1 - Giada, la regina della Città di Pietra

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FIABA DI MAURO NERI ILLUSTRAZIONI DI FULBER www.risparmiolandia.it Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO AVVENTURA NEL DESERTO 1 - Giada, la regina della Città di Pietra

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Avventura nel deserto

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FIABA DI MAURO NERIILLUSTRAZIONI DI FULBER

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Le avventure dI GELLINDO GHIANDEDORO

AVVENTURA NEL DESERTO

1 - Giada, la reginadella Città di Pietra

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AVVENTURA NEL DESERTO

Sul Bosco delle Venti Querce pioveva a dirotto ormai da quattro giorni e quattro notti: un concerto di milioni e milioni di gocciole che tic-tic-tic-tic-tic... percuo-tevano le grandi foglie degli alberi con un suono monotono e noioso che face-va appisolare spauracchi e animali. Tra questi ultimi, anche il nostro simpatico Gellindo Ghiandedoro!

Ecco perché quella sera, quando... tock! tock! tock!... qualcuno bussò forte alla porta della tana, lo scoiattolino balzò col cuore in gola giù dal divano sul

– Tutto qui? – chiese Gellindo, rigiran-do tra le mani la lettera misteriosa.

– Pareva anche a me che ci fosse solo

Caro cugino Fra’... stanno per rapirmi!

Mi restano solo due minuti prima di sparire chissà dove, e li utilizzo entrambi per

scriverti questa lettera, che un mio amico poi imbucherà al villaggio più vicino. La ter-

ribile banda dei Tre Beduini Traditori – ma li chiamano anche i Cavalieri della Notte

Nera – è convinta che io sappia dov’è nascosto un favoloso tesoro... Dicono che si tratti

di casse e casse colme d’oro, d’argento e di gioielli preziosi... Io non so di che cosa parli-

no, ma tant’è: si sono messi in testa, quegli sciocchi, che io sappia ogni cosa e vogliono

portarmi con loro nel deserto! Seguimi, cugino Fra’, ti supplico! Corri a liberarmi e te

ne sarò grato per tutta la vita!

Il tuo fidato cugino

Abdu Al-Bar

(oasi di Ghilane, Tunisia)

quale s’era addormentato con un libro in mano e urlò con voce strozzata: – Chi è? Chi bussa come un matto alla mia porta?

– Sono io!Ci vollero esattamente tre secondi

perché Gellindo riconoscesse il nuovo venuto. – Sei Fra’ Vesuvio, vero? Forza, entra... la porta è aperta!

La lettera che lo spaventapasseri Fra’ Vesuvio lesse al suo amico scoiattolo era allo stesso tempo chiara e misteriosa.

questo foglio, ma poi dalla busta è cadu-to a terra anche quest’altro bigliettino. Ecco, leggi:

«È di roccia il cuore duro del deserto:

è l’incantesimo che trasforma tutto in sasso

è la Città di Pietra... tutto comincerà da lì...»

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Gellindo si grattò i peli della zucca, arricciò quelli della lunga coda, si lisciò i baffetti e... – Mi stai dicendo che do-vremmo lasciare tutto... i nostri amici e le nostre case... preparar fagotto e andar-cene in... Tunisia? Così, sui due piedi?

– Tu su due, io su un piede solo! – sor-rise Fra’ Vesuvio saltellando sul bastone che lo teneva in piedi. – Se sei mio amico, sei ami il mistero, se ti piace viaggiare, se non hai paura degli imprevisti, se non tremi davanti ai pericoli...

– D’accordo, va bene: mi hai convinto! Prepariamo gli zaini, salutiamo tutti e partiamo per il deserto! – Gellindo s’av-vicinò alla finestra e guardò la pioggia che continuava a cadere imperterrita. L’idea del caldo secco del deserto quasi quasi lo solleticava e non gli dispiaceva. Sarebbe stata una bella esperienza!

Ancora non sapeva, però, quel che l’attendeva!

Il caldo del deserto toglieva il fiato, ma non era quello il problema.

La sabbia del deserto ardeva come fuoco vivo, ma non era quello il proble-ma.

Il sole del deserto dardeggiava dall’al-to del cielo come un incendio, ma non era quello il problema.

L’immensità del deserto di sabbia toglieva il fiato, ma non era quello il problema.

E allora: dove stava il problema?Il problema era il silenzio!A parte il vento caldo, basso e teso

che soffiava da meridione, disegnando sui crinali e sulle gobbe delle dune i di-

segni più strani, il silenzio era talmente profondo e intenso da far quasi paura. Era il silenzio del deserto sabbioso!

Fra’ Vesuvio aveva avuto fortuna ed era riuscito a farsi dire da un vecchio berbero nomade, amico di suo cugino Abdu Al-Bar, dove si trovasse la città di Pietra... «Seguite il sole in tutta la sua corsa verso occidente e fermatevi dopo tre giorni di marcia – aveva detto il ber-bero seduto sull’ingresso della sua tenda di lana scura. – Troverete una minuscola oasi... una pozza d’acqua e ventidue palme tutt’attorno, contatele bene e non potrete sbagliarvi. Da lì camminate verso sud per mezza giornata... sei ore di marcia in tutto e sarete arrivati alla città di Pietra!»

Vesuvio e Gellindo avevano seguito le indicazioni del vecchio nomade: avevano camminato per tre giorni verso ovest e, giunti alla minuscola oasi che contava esattamente ventidue palme, avevano svoltato verso meridione. Stavano cam-minando ormai da cinque ore e mezzo sotto un sole infuocato e la meta non doveva essere distante.

– E quando saremo alla città di Pietra, che faremo? – chiese il povero spaurac-chio, che aveva finito da tempo l’acqua della borraccia.

– Non manca molto e, quando saremo lì, vedremo il da farsi. Avrà pure qualche abitante, questa misteriosa città!

Chiamarla “città”, a dire il vero, era un po’ esagerato, ma che tutto fosse di pietra, su questo potete star certi!

La misteriosa città di Pietra era costi-

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tuita da un quadrato di casette coi tetti tondi come tante polentine rovesciate, al centro del quale un vecchio pozzo “non” dava più acqua da chissà quanto tempo. Sulla destra un boschetto di palme in pietra toglieva quasi il fiato per lo stupo-re: i tronchi delle palme erano di roccia scura, le foglie erano lastre di basalto color del piombo e dalla sabbia grigia affioravano ovunque gruppi di “rose del deserto” color nocciola che parevano fiori di aiuole strane.

Quella era la città di Pietra!Gellindo e Fra’ Vesuvio non ebbero

nemmeno il tempo di riprendersi dallo stupore, che dalla casetta più vicina uscì una giovane ragazza dai lunghi capelli neri, che era accompagnata da due scu-dieri dalla pelle color dell’ambra.

– Salve stranieri... era scritto nei libri dei maghi che un giorno sareste arrivati a portarci finalmente la pace!

La fanciulla parlava sottovoce, come se avesse paura che qualcuno la potesse spiare. Si fece dare da uno dei paggi due bicchieri d’acqua e...

– Bevete in nostro onore, riposatevi e poi vi racconteremo la nostra storia!

L’acqua era dolce e fresca quasi come quella che Gellindo era abituato a bere nella sua Valle di Risparmiolandia. Dis-setati che furono, lo scoiattolo e lo spau-racchio vennero invitati all’ombra della casa e lì la fanciulla cominciò a parlare.

– Il mio nome è Giada e sono la regina della città di Pietra. Regina solo di me stessa, a dir la verità, e di questi due servitori, gli unici sudditi che mi sono rimasti. I loro nomi sono Kaled e Mo-

hammed, Momò per gli amici.– E tutti gli altri sudditi che fine hanno

fatto? – chiese Gellindo.– Sono stati rapiti dalla Notte Nera

– bisbigliò Giada, guardandosi attorno spaventata.

– La notte... nera? – balbettò Fra’ Vesuvio, che già s’immaginava il povero cugino Abdu prigioniero nelle spire di un buco nero senza fondo.

– Fino a qualche tempo fa – spiegò allora Giada, – questa parte di deserto era la più bella dell’intera Tunisia. Qui la sabbia era fina e color dell’oro giallo e le sorgenti e le oasi pullulavano in ogni dove. Era un deserto nel quale non si poteva morir di sete e di fame: bastava camminare anche solo un paio d’ore e l’ombra fresca e riposante di un palmeto o di un bananeto ti accoglieva tra le sue braccia.

Kaled la interruppe e continuò a rac-contare: – Poi un giorno capitò da queste parti quel puzzone di Sim-bal, uno dei terribili Cavalieri della Notte Nera, uno dei Tre Beduini Traditori!

– E com’è questo Sim-bal? – gli chiese Fra’ Vesuvio, al quale la faccenda della Notte Nera continuava a ricordare qual-cosa di già sentito....

– Sì dai: raccontaci com’è fatto! – esclamò Gellindo, che invece rammen-tava bene quel che c’era scritto nella lettera del cugino Abdu Al-Bar.

– Avete presente uno stregone a cor-to di buon cuore? Bene, Sim-bal di cuore non ne ha nemmeno l’odore! Avete pre-sente un mostro cattivo? Lui la cattiveria se la mangia a pranzo e a cena! Avete

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presente uno che si diverte a prendersi gioco degli altri? Il beduino Sim-bal degli altri fa palline di cus-cus... e poi puzza, oh se puzza quel manigoldo! Mettete assieme tutti gli odori più nauseanti che conoscete e avrete solo una pallida idea di quanto puzza quel beduino!

I nostri due amici ascoltavano a bocca aperta.

– Sim-bal giunse nel mio regno por-tandosi al seguito i suoi cento dromedari assetati d’ogni goccia d’acqua – continuò a raccontare la povera Giada. – Lui e i suoi animali bevvero tutte le stille di liquido dalle mie palme, che si trasforma-rono in alberi di sasso. Prosciugarono il pozzo della mia oasi, e l’acqua sul fondo divenne sabbia sottile e arida. Aspiraro-no ogni goccia d’umidità dalle aiuole del mio giardino, e la sabbia divenne grigia e fredda, mentre le rose si tramutarono in fiori di pietra. Poi quel puzzone, non contento, fece prigionieri tutti i miei soldati e tutti gli uomini e le donne del mio regno: mi lasciò sola con due scu-dieri, caricò i miei tesori sulle some dei suoi cento dromedari e partì alla volta del Grande Sud per riunirsi ai suoi due fratelli altrettanto malvagi...

– E avete per caso conosciuto un tipo di nome Abdu? – chiese speranzoso Fra’ Vesuvio. – Abdu Al-Bar è il suo nome completo...

– Oh sì, certo – rispose Giada. – Sulla schiena del primo dromedario era legato prigioniero uno spauracchio berbero che si chiamava appunto Abdu. Piangeva e strillava come un disperato, il poveretto: era senz’acqua da una settimana intera

e da due non toccava cibo. Diedi allora ordine al mio scudiero Mohammed di portare a quel poveretto un po’ d’acqua e due tozzi di pane di nascosto dalle guardie... Riferisci ai nostri amici cosa ti ha detto quell’Abdu – concluse la regina rivolgendosi al suo fidato scudiero.

Momò rispose con un sussurrò: – “Se un giorno passerà di qui un simpatico straniero che saltella su un bastone solo e che risponde al nome di Fra’ Vesuvio”, questo mi disse il povero prigioniero, “ditegli che è sulla strada giusta! Che non demorda e che continui a cercarmi... Ditegli che suo cugino sta camminando spedito verso Sud!”

Il giorno dopo Gellindo Ghiandedoro e Fra’ Vesuvio salutarono la regina Giada, che s’era dimostrata generosa copren-

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doli di viveri attinti alla sua dispensa se-greta: datteri e banane, biscotti al miele, pane secco e cus cus per almeno cinque pranzi a testa...

– Stanotte mi sono consultata con i miei due sudditi – disse la regina al mo-mento degli addii, – e di comune accordo abbiamo deciso che il buon Momò venga con voi! Sarà la vostra guida, vi indicherà la strada da seguire e difenderà le vostre vite come fossero la mia! Trovate il vo-stro amico Abdu, vi scongiuro: assieme affrontate e sconfiggete Sim-bal ed i suoi fratelli e poi tornate da me assieme a tutto il mio popolo rapito. Sarà quello il momento delle grandi feste, perché solo allora il mio regno riprenderà a vivere bello e fortunato com’era prima!

Fra’ Vesuvio e Gellindo salutarono la regina e Kaled, l’ultimo e unico scudiero

rimastole. Si misero in spalla i robusti zaini colmi di viveri e...

– e Momò dove s’è cacciato? – chie-sero in coro. – Non doveva venire con noi?

Rispose il rombo potente di un mo-tore: dal boschetto di palme pietrificate uscì rombando una stupenda jeep color dell’argento, con Momò al posto di guida. – Cosa aspettate? Buttate su i bagagli, che si parte!

I nostri amici diedero un’ultima oc-chiata alla minuscola città di Pietra dal lunotto posteriore e le ruote della jeep balzarono in avanti, mordendo la sab-bia della duna più vicina. Il loro viaggio disperato in direzione Sud era appena cominciato!

(1. continua)

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