1 ERNESTO D’ALBERGO ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA...

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ERNESTO D’ALBERGO, ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA Edizione digitalizzata a cura di Nino Luciani, Alm@-DL , Bologna 2009 1 1 AVVERTENZA INDICE GUGLIELMO GOLA, L' OPERA SCIENTIFICA DI E. D'ALBERGO, 6 DOMENICO DA EMPOLI, PRESENTAZIONE DI E. D’ALBERGO, 11 Per trovare una parola o frase, clicca: 1) Edit, Search; 2) Scrivi la parola o frase nella stringa che si apre sulla destra. Infine, clicca Search. NINO LUCIANI, IL “2° CRITERIO PARETIANO”, D’ALBERGO E LA SCIENZA DELLE FINANZE, 408 The “2 d Pareto’s criterion”, d’Albergo and the Science of Public Finance, 425 INTRODUZIONE, 13 I. DEFINIZIONE DELLA SCIENZA DELLE FINANZE COME ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA II. TRATTAZIONE SCIENTIFICA PER FINI DI CONOSCENZA SECONDO LA DEFINIZIONE. III. PRINCIPI TEORICI CHE ORIENTANO LE INDAGINI. IV. CONCEZIONE RAZIONALE-QUANTITATIVA ESPLICITA NELLA DEFINIZIONE E «GIUDIZI DI VALORE». V. RAZIONALITÀ DELLA DEFINIZIONE CHE AFFERMA LA LIMITAZIONE DELLE RICERCHE TEORICHE ALL'ASPETTO ECONOMICO DEI PROBLEMI DELLA FINANZA PUBBLICA. VI. RAPPORTI FRA DIRITTO E FENOMENO CONCRETO (ORDINAMENTO POSITIVO). VII. IL DOMINIO DELL'ASTRAZIONE IPOTETICA NELL'ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA. VIII AUTONOMIA DELLA SCIENZA DELLA FINANZA PUBBLICA DALLA ECONOMIA POLITICA. IX. LIMITI DELLA DIMOSTRATA RELATIVA AUTONOMIA DELLA "SCIENZA DELLE FINANZEDALLA ECONOMIA POLITICA. X. RAPPORTI FRA ECONOMIA FINANZIARLA E: A) POLITICA ECONOMICA E FINANZIARIA IN SENSO TRADIZIONALE; E B) POLITICA FISCALENEL SENSO KEYNESIANO. XI. IL CARATTERE RAZIONALE DELLO STUDIO COMPIUTO IN QUESTE LEZIONI DI ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA. CAPITOLO I. - BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE, 73 I. I BISOGNI PUBBLICI. II. LE SPESE PUBBLICHE. III CRITERIO DI DECISIONE DELLA QUANTITÀ DEI BISOGNI PUBBLICI DA SODDISFARE (SECONDO CRITERIO DI PARETO). CAPITOLO II. - LE ENTRATE PUBBLICHE, 86 I. LA LOGICA DELLA SEQUENZA: BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE - ENTRATE PUBBLICHE. II. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DEI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ CHE DOMANDINO O SUBISCANO IL CONSUMO DI SERVIZI PUBBLICI. III. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DELLO STATO CHE OFFRE E IMPONE CONSUMO DI SERVIZI. A) PREZZO PRIVATO E QUASI-PRIVATO. B) PREZZO PUBBLICO. C) TASSA (COME CORRISPETTIVO NON TRIBUTARIO). D) COMMISTIONE DI TASSE NON TRIBUTARIE E DI TASSE CON NATURA DI TRIBUTI. E) I CONTRIBUTI (DI MIGLIORIA SPECIFICA). F) IMPOSTE SPECIALI. IV. LE IMPOSTE GENERALI E LA LORO CLASSIFICAZIONE. A) IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE. B) IMPOSTE REALI E PERSONALI. C) IMPOSTE PROPORZIONALI E PROGRESSIVE. CAPITOLO III. LA DISCRIMINAZIONE QUANTITATIVA DEGLI IMPONIBILI. DEI CRITERI SOGGETTIVI DI RIPARTIZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI, 110 I. LO SPOSTAMENTO, NELL'IPOTESI, DEL SOGGETTO DELLE VALUTAZIONI EDONISTICHE DAI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ ALLA CLASSE GOVERNANTE PER LA COLLETTIVITÀ STESSA. II. INTUIZIONI E DIMOSTRAZIONI SCIENTIFICHE IN TEMA DI PRINCIPII E CRITERI O MODIDI DISTRIBUZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI III. ALTRE AVVERTENZE DI METODO PER LA VISIONE RAZIONALE DEL PROBLEMA. IV. LA LEGITTIMITÀ LOGICA E LA FECONDITÀ TEORICA DELL'IPOTESI DI UNA DECRESCENZA «TIPICA» DELLUTILITÀ MARGINALE DEL REDDITO VISTA DALLA CLASSE GOVERNANTE PER I MEMBRI DELLE COLLETTIVITÀ. V. L'IRRAZIONALE E CONTRADDITTORIO SCETTICISMO LEGATO ALLA NEGAZIONE DI UNA «TIPICA» DECRESCENZA DELL'UTILITÀ MARGINALE DEL REDDITO, LOGICAMENTE ASSUNTA COME IPOTESI RAZIONALE IN QUESTO CORSO. VI. ANALISI DEL PRINCIPII DEL SACRIFICIO: A) EGUALE, B) PROPORZIONALE, C) MINIMO COLLETTIVO. VII. CONSIDERAZIONI DI POLITICA FINANZIARIA E STATISTICHE CHE INFLUENZANO LA DETERMINAZIONE QUANTITATIVA E L'INTRODUZIONE DELL'IMPOSTA PROGRESSIVA. SISTEMI DI PROGRESSIONE.

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  • ERNESTO D’ALBERGO, ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA Edizione digitalizzata a cura di Nino Luciani, Alm@-DL , Bologna 2009

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    AVVERTENZA INDICE GUGLIELMO GOLA, L'OPERA SCIENTIFICA DI E. D'ALBERGO, 6 DOMENICO DA EMPOLI, PRESENTAZIONE DI E. D’ALBERGO, 11

    Per trovare una parola o frase, clicca: 1) Edit, Search; 2) Scrivi la parola o frase nella stringa che si apre sulla destra. Infine, clicca Search.

    NINO LUCIANI, IL “2° CRITERIO PARETIANO”, D’ALBERGO E LA SCIENZA DELLE FINANZE, 408 The “2d Pareto’s criterion”, d’Albergo and the Science of Public Finance, 425 INTRODUZIONE, 13

    I. DEFINIZIONE DELLA SCIENZA DELLE FINANZE COME ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA II. TRATTAZIONE SCIENTIFICA PER FINI DI CONOSCENZA SECONDO LA DEFINIZIONE.

    III. PRINCIPI TEORICI CHE ORIENTANO LE INDAGINI. IV. CONCEZIONE RAZIONALE-QUANTITATIVA ESPLICITA NELLA DEFINIZIONE E «GIUDIZI DI VALORE». V. RAZIONALITÀ DELLA DEFINIZIONE CHE AFFERMA LA LIMITAZIONE DELLE RICERCHE TEORICHE ALL'ASPETTO

    ECONOMICO DEI PROBLEMI DELLA FINANZA PUBBLICA. VI. RAPPORTI FRA DIRITTO E FENOMENO CONCRETO (ORDINAMENTO POSITIVO).

    VII. IL DOMINIO DELL'ASTRAZIONE IPOTETICA NELL'ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA. VIII AUTONOMIA DELLA SCIENZA DELLA FINANZA PUBBLICA DALLA ECONOMIA POLITICA. IX. LIMITI DELLA DIMOSTRATA RELATIVA AUTONOMIA DELLA "SCIENZA DELLE FINANZE” DALLA ECONOMIA POLITICA. X. RAPPORTI FRA ECONOMIA FINANZIARLA E: A) POLITICA ECONOMICA E FINANZIARIA IN SENSO TRADIZIONALE;

    E B) “POLITICA FISCALE” NEL SENSO KEYNESIANO. XI. IL CARATTERE RAZIONALE DELLO STUDIO COMPIUTO IN QUESTE LEZIONI DI ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA.

    CAPITOLO I. - BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE, 73

    I. I BISOGNI PUBBLICI. II. LE SPESE PUBBLICHE. III CRITERIO DI DECISIONE DELLA QUANTITÀ DEI BISOGNI PUBBLICI DA SODDISFARE (SECONDO CRITERIO DI PARETO).

    CAPITOLO II. - LE ENTRATE PUBBLICHE, 86

    I. LA LOGICA DELLA SEQUENZA: BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE - ENTRATE PUBBLICHE. II. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DEI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ CHE

    DOMANDINO O SUBISCANO IL CONSUMO DI SERVIZI PUBBLICI. III. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DELLO STATO CHE OFFRE E IMPONE CONSUMO DI

    SERVIZI. A) PREZZO PRIVATO E QUASI-PRIVATO. B) PREZZO PUBBLICO. C) TASSA (COME CORRISPETTIVO NON TRIBUTARIO). D) COMMISTIONE DI TASSE NON TRIBUTARIE E DI TASSE CON NATURA DI TRIBUTI. E) I CONTRIBUTI (DI MIGLIORIA SPECIFICA). F) IMPOSTE SPECIALI.

    IV. LE IMPOSTE GENERALI E LA LORO CLASSIFICAZIONE. A) IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE. B) IMPOSTE REALI E PERSONALI. C) IMPOSTE PROPORZIONALI E PROGRESSIVE.

    CAPITOLO III. – LA DISCRIMINAZIONE QUANTITATIVA DEGLI IMPONIBILI. DEI CRITERI SOGGETTIVI DI RIPARTIZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI, 110

    I. LO SPOSTAMENTO, NELL'IPOTESI, DEL SOGGETTO DELLE VALUTAZIONI EDONISTICHE DAI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ ALLA CLASSE GOVERNANTE PER LA COLLETTIVITÀ STESSA.

    II. INTUIZIONI E DIMOSTRAZIONI SCIENTIFICHE IN TEMA DI PRINCIPII E CRITERI O “MODI” DI DISTRIBUZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI

    III. ALTRE AVVERTENZE DI METODO PER LA VISIONE RAZIONALE DEL PROBLEMA. IV. LA LEGITTIMITÀ LOGICA E LA FECONDITÀ TEORICA DELL'IPOTESI DI UNA DECRESCENZA «TIPICA» DELL’UTILITÀ

    MARGINALE DEL REDDITO VISTA DALLA CLASSE GOVERNANTE PER I MEMBRI DELLE COLLETTIVITÀ. V. L'IRRAZIONALE E CONTRADDITTORIO SCETTICISMO LEGATO ALLA NEGAZIONE DI UNA «TIPICA» DECRESCENZA

    DELL'UTILITÀ MARGINALE DEL REDDITO, LOGICAMENTE ASSUNTA COME IPOTESI RAZIONALE IN QUESTO CORSO. VI. ANALISI DEL PRINCIPII DEL SACRIFICIO: A) EGUALE, B) PROPORZIONALE, C) MINIMO COLLETTIVO.

    VII. CONSIDERAZIONI DI POLITICA FINANZIARIA E STATISTICHE CHE INFLUENZANO LA DETERMINAZIONE QUANTITATIVA E L'INTRODUZIONE DELL'IMPOSTA PROGRESSIVA. SISTEMI DI PROGRESSIONE.

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    VIII CRITICA DELLA PROPRIETÀ «FONDAMENTALE» DELLA PROGRESSIONE E RELATIVITÀ DI ESSA.

    CAPITOLO IV. - DEL PRINCIPIO DELLA «CAPACITÀ CONTRIBUTIVA», 149 I. TENTATIVI DI DARE SIGNIFICATO AL CONCETTO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA IN SEDE OGGETTIVA: LA CAPACITÀ

    CONTRIBUTIVA RELATIVA AL VANTAGGI (EFFETTI) DELLA SPESA PUBBLICA. II. LA TASSAZIONE DIFFERENZIALE O ELISIONE DI «RENDITE DI PROTEZIONE» ALLA LUCE DEL «PRINCIPIO DELLA

    CAPACITÀ CONTRIBUTIVA RELATIVA»

    CAPITOLO V. - DEI COSIDDETTI PRINCIPII «ECONOMICO», DELLA «NEUTRALITÀ» E «PRODUTTIVISTICO» E DI ALTRI CRITERI PER LA RIPARTIZIONE DELLE IMPOSTE GENERALI, 161

    I. IL "PRINCIPIO ECONOMICO” DI E. BARONE. II. LA NEUTRALITÀ DELL'IMPOSIZIONE IN RAPPORTO ALLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITI. LA FORMULAZIONE DEL

    DALTON. III. IL "PRINCIPIO PRODUTTIVISTICO” IV. IL COSIDDETTO CRITERIO DELL'OPPORTUNITÀ (EXPEDIENCY).

    CAPITOLO VI. - LA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPONIBILI, 170

    I. AVVERTENZE SULLE RAGIONI CHE FANNO PRECEDERE LO STUDIO DELLA DISCRIMINAZIONE A QUELLO DELLA EPURAZIONE DELL'OGGETTO DELL'IMPOSIZIONE.

    II. SPIEGAZIONI POLITICO - SOCIOLOGICHE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA. III. DISTINZIONE CHE SI PRENDE IN ESAME. IV. LE DUE IMPOSTAZIONI TEORICHE DEL PROBLEMA: A) UNA DI TIPO OGGETTIVO O RICARDIANO; B) L'ALTRA,

    APPROPRIATA E RAZIONALE, DI TIPO MARGINALISTICO O SOGGETTIVO, NEL SIGNIFICATO CHE SI PRECISA. V. DIMOSTRAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA SU BASE EDONISTICA (PRIMA APPROSSIMAZIONE).

    DEFINIZIONE DEL REDDITO. VI. DEDUZIONI ULTERIORI ED AVVERTENZE SULLA DISCRIMINAZIONE.

    VII. ANALISI DI SECONDA APPROSSIMAZIONE PER LA SPIEGAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA. VIII. SI INTRODUCE NEL RAGIONAMENTO LA «FUNZIONE DEL CONSUMO».

    APPENDICE AL CAPITOLO VI. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLE IMPOSTE DIRETTE, IN ITALIA: IMPOSTA DI FAMIGLIA, IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE, IMPOSTA SUL PATRIMONIO

    CAPITOLO VII. - SULLA «DOPPIA TASSAZIONE DEL RISPARMIO, 191

    I. LA EGUALE TASSAZIONE DEL CONSUMO E DEL RISPARMIO È IMPLICITA NELLA DEFINIZIONE IPOTETICA DELL'OG-GETTO IMPONIBILE.

    II. ETEROGENEITÀ DEI DUE SISTEMI DI TASSAZIONE: A) DEL REDDITO CONSUMATO, B) DEL REDDITO PRODOTTO.

    CAPITOLO VIII.- LA «EPURAZIONE» DI QUANTITÀ ECONOMICHE PER LA RIDUZIONE AD IMPONIBILI, 203 I. L' EPURAZIONE DEGLI IMPONIBILI NELLA TASSAZIONE DEL REDDITO: 1) PRODOTTO, 2) GLOBALE DISPONIBILE, 3)

    CONSUMATO OVVERO DEL PATRIMONIO. II. FONDAMENTO LOGICO DEL PROCESSO DI EPURAZIONE DEGLI IMPONIBILI

    III. RAGIONI D'ORDINE ECONOMICO RAZIONALE CHE FANNO LUOGO ALLA TASSAZIONE DI REDDITI «NETTI» ANZICHÈ «LORDI».

    APPENDICE AL CAPITOLO VIII - SULLE “EPURAZIONI” PRESUNTE

    CAPITOLO IX. - GLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE, 212 I. IMPORTANZA E COLLOCAZIONE DI QUESTO CAPITOLO NELLA FINANZA PUBBLICA.

    II. I PRINCIPI DI CAUSALITÀ E DI FINALITÀ E L'IMPOSTAZIONE ATOMISTICA DEL PROBLEMA DEGLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE

    III. IL PRINCIPIO DETERMINISTICO E LA SUA IMPOSTAZIONE SECONDO L'EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE. IV. NECESSITÀ LOGICA DELLO STUDIO COLLEGATO DEGLI EFFETTI DI PRELIEVO E SPESA DELLE IMPOSTE. V. CONTRAPPOSIZIONE TRA LO SCHEMA “ATOMISTICO” E QUELLO “DETERMINISTICO” IN TERMINI QUANTITATIVI.

    VI. SPIEGAZIONE DELLE CORRENTI SEMPLIFICAZIONI DELLO STUDIO DEGLI EFFETTI DELLE IMPOSTE VII. EQUIVALENZA DI EFFETTI ECONOMICI TENDENZIALI IN ECONOMIA DI MERCATO E NEI SISTEMI COLLETTIVISTI

    CAPITOLO X. - ANALISI DEGLI EFFETTI DELLA ATTIVITÀ, FINANZIARIA, 233

    I. PRECEDENZA ALLA CONFIGURAZIONE DI CONCORRENZA «PURA» O «PERFETTA». II. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI CONCORRENZA PERFETTA, DOMANDA ELASTICA E COSTI CRESCENTI.

    III. TRASLAZIONE E COSTI DECRESCENTI. IV. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI MONOPOLIO PURO E TOTALE. V. TRASLAZIONE IN CONDIZIONE DL MONOPOLIO PARZIALE.

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    VI. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI CONCORRENZA MONOPOLISTICA. VII. L’IPOTESI DI MONOPOLIO BILATERALE E LA TRASLAZIONE. VIII LA TRASLAZIONE REGRESSIVA. IX. EFFETTI DELL’IMPOSIZIONE E RENDITA DEL CONSUMATORE. X. EFFETTI DELL'IMPOSTA SULLE QUANTITÀ NEI CASI: A) DI BENI COMPLEMENTARI; B) DI BENI SUCCEDANEI.

    A) TRASLAZIONE DELL'IMPOSTA NEL CASO DI BENI COMPLEMENTARI. B) TRASLAZIONE DELL'IMPOSTA NEL CASO DI BENI SUCCEDANEI.

    XI. COINCIDENZA DI PERCUSSIONE ED INCIDENZA: L'AMMORTAMENTO DELL'IMPOSTA. XII. LA RIMOZIONE DELL'IMPOSTA.

    A) IPOTESI DI IMPOSTA FISSA. B) IPOTESI DI IMPOSTA PROPORZIONALE AL REDDITO..

    CAPITOLO XI - PROBLEMI CONCERNENTI LA TRASLAZIONE ED EFFETTI ECONOMICO-EDONISTICI DI TRIBUTI, 289 I. DAZI FISCALI.

    II. EFFETTI SPECIALI DELL'IMPOSTA SU TUTTI GLI SCAMBI. III. IMPOSTE DI FABBRICAZIONE, MONOPOLI FISCALI E LORO ALTERNATIVA. IV. PRESSIONE COMPARATA DI IMPOSTE DIRETTE ED INDIRETTE, A PARITÀ DI PRELIEVO. V. RELAZIONI DEL TEOREMA PRECEDENTE CON VISIONI DI MASSIMO BENESSERE COLLETTIVO.

    VI. IL «PRINCIPIO ECONOMICO» DI BARONE E L'INTEGRAZIONE FRA IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE. VII. LA «MULTIDIREZIONALITÀ» DELLA DOMANDA E LA TEORIA DELLE IMPOSTE SUI CONSUMI.

    CAPITOLO XII. - EFFETTI DEGLI «SGRAVI» FISCALI, 329

    I. L'IRREVERSIBILITÀ DELLE MODIFICAZIONI PRODOTTE DAL “FACTUM PRINCIPIS” SULLE CONDIZIONI DI EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE ?

    II. EFFETTI DELLO "SGRAVIO" DI IMPOSTE GENERALI E PROPORZIONALI SUL REDDITO. III. EFFETTI DELLO "SGRAVIO" DI IMPOSTE NON GENERALI.

    CAPITOLO XIII. - RAGIONAMENTI DEDUTTIVI E MISURAZIONE DEGLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE, 333

    I. INATTENDIBILITÀ LOGICA DELLA DETERMINAZIONE STATISTICA DELL’ELASTICITÀ DELLA DOMANDA E OFFERTA, IN SEGUITO A VARIAZIONI FISCALI.

    II. LIMITI DEL SIGNIFICATO DI INDAGINI EMPIRICO-STATISTICHE PER LA MISURAZIONE DEGLI EFFETTI DELLE IMPOSTE.

    CAPITOLO XIV. - GLI EFFETTI DELLE FLUTTUAZIONI ECONOMICHE SULLE IMPOSTE, 338 I. SULLA “ELASTICITÀ PASSIVA O SENSIBILITÀ” DELLE IMPOSTE ALLE VARIAZIONI DELLA CONGIUNTURA.

    II. IL PROBLEMA DELLA NEUTRALIZZAZIONE DELLA SENSIBILITÀ CONGIUNTURALE DELLE IMPOSTE. APPENDICE AL CAPITOLO XIV

    CAPITOLO XV. - TEORIA DELLA PRESSIONE TRIBUTARIA E FISCALE E DEGLI EFFETTI DELLA SPESA PUBBLICA, 348 I) ANALISI DEI TERMINI DEI RAPPORTI CON CUI SI ESPRIMONO I CONCETTI DI PRESSIONE «TRIBUTARIA» E

    «FISCALE». II) LA DIPENDENZA FUNZIONALE DEL REDDITO NAZIONALE DALLA MANOVRA DI QUANTITÀ MONETARIE

    PRELEVATE E SPESE AD OPERA DELLA CLASSE GOVERNANTE PER LO STATO. III) LA PRESSIONE FISCALE IN TERMINI SOGGETTIVI DI UTILITÀ E SACRIFICI EDONISTICI.

    II. LA PRESSIONE TRIBUTARIA NEI CONFRONTI INTERNAZIONALI.

    CAPITOLO XVI. - ALCUNI PROBLEMI DELLA FINANZA STRAORDINARIA, 363 I. RAZIONALITÀ DELLA DIFFERENZIAZIONE LOGICA E METODOLOGICA DELLA FINANZA STRAORDINARIA DALLA

    FINANZA ORDINARIA II GLI STRUMENTI DELLA FINANZA STRAORDINARIA”

    A) TESORO DI GUERRA. B) IMPOSTA STRAORDINARIA E PRESTITO PUBBLICO.

    III. IL PROBLEMA DELLA PRESSIONE COMPARATA DEL PRESTITO E DELL'IMPOSTA STRAORDINARIA IN TEORIA PURA. IV. IMPOSTA STRAORDINARIA SUI PROFITTI DI CONGIUNTURA. V. VARI TIPI DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO.

    VI. LA CONVERSIONE DEI PRESTITI PUBBLICI. VII. L'AMMORTAMENTO DEL DEBITO PUBBLICO. VIII IL PROBLEMA DEI «LIMITI» DEL DEBITO PUBBLICO. IX. «IL CIRCUITO DEI CAPITALI» PER UN FINANZIAMENTO “STRAORDINARIO” SENZA INFLAZIONE.

    ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DI E. D’ALBERGO, 441

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    ERNESTO D’ALBERGO PROFESSORE ORDINARIO DI SCIENZA DELLE FINANZE

    ECONOMIA DELLA

    FINANZA PUBBLICA

    Guglielmo Gola

    L’OPERA SCIENTIFICA DI E. D’A.*

    Domenico da Empoli

    PRESENTAZIONE DI E. D’A.*

    Nino Luciani

    Il “2° Criterio Paretiano”, E. d’Albergo e la Scienza delle Finanze*

    * Testo aggiunto in questa edizione 2009. Per altre variazioni, si vegga anche l’avvertenza in nota 1, p. 13.

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    Ernesto d’Albergo 1902-1974

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    Guglielmo Gola ∗

    L'opera scientifica di Ernesto d'albergo

    Ernesto d'Albergo nacque il 2 giugno 1902 a Siracusa, in Comune di Noto, da nobile famiglia sicilia-

    na. Egli ricordava con espressioni di dolce ammirazione il Padre, N. H. Salvatore d'Albergo della Ci-marra morto nel 1944, avvocato illustre, fondatore ed animatore di benefiche istituzioni sociali. Le doti oratorie che avevano reso “affascinante il dire e la persona” l'esuberanza di sentimenti, l'atteggiamento fiero ed aristocratico, indipendente da ogni compromesso, che Ernesto d'Albergo ricordava del Padre, facevano spicco parimenti in Lui. Dalla Madre, Nella Scirpa d'Agata, aveva ricevuto il «vigore fisico ed intellettuale, sorretto da eccezionale forza di raziocini, e lo spirito realizzatore », che caratterizzarono anche la Sua azione.

    Era d'animo molto generoso e la sua signorilità di tratto e di sentire era di natura tale da non creare disagio, pur nel massimo rispetto, nei postulanti che a Lui si rivolgevano.

    Al culto della famiglia, accompagnava quello per l'amicizia: la stima e l'affetto che nutriva per le persone elette alla Sua amicizia sempre prevalevano su altri sentimenti.

    Studiò alla Università Bocconi, a Milano, laureandosi nel 1924. Nel 1930 conseguí la libera docenza; fu professore incaricato all'Università del S. Cuore ed all'Università statale di Milano, oltre che a Vene-zia, Cà Foscari. Nel 1935 fu ternato, con S. Pugliese e L. Gangemi, nel concorso alla cattedra universi-taria, avendo come giudici i professori Fanno, Mazzei, Papi, Repaci e Tivaroni. Titolare di Scienza delle finanze e Diritto finanziario nella Università di Ferrara e Siena (1935-38), di Trieste (1938-40), di Bolo-gna (1941-55), ebbe la cattedra di Scienza delle finanze, dal 1956, alla Facoltà di Scienze politiche del-l'Università di Roma, conservata sino al collocamento fuori ruolo.

    La separazione dell'insegnamento della Scienza delle finanze da quella del Diritto finanziario fu per Lui motivo di particolare soddisfazione. Invero, Egli, pur dotato di spiccata sensibilità giuridica, anche per tradizione di entrambi i rami familiari dei genitori, da molto tempo aveva combattuto la cosiddetta commistione di indirizzi della disciplina, in cui dovrebbero coesistere, secondo taluni, economia e dirit-to, oltre a politica, tecnica, sociologia. Largo posto viene fatto a simile questione in Economia della Fi-nanza pubblica (1952), con argomentazioni riprese poi in appositi scritti, fra cui Un aspetto della diffe-renziazione fra economia e diritto (estratto da «Studi senesi in memoria di Ottorino Vannini » 1954), e più tardi in Elementi volontaristici e coattivi nei rapporti finanziari con enti pubblici («Studi in onore di G. Zanobini », vol. IV, 1962), Per il progresso degli studi finanziari (« Riv. Bancaria », 1963).

    Della Sua vita accademica va anche ricordato che fu Preside della Facoltà di Economia e Commer-cio di Bologna dal 1947 al 1952. L'intenso agire, riflesso di intima dote spirituale, annovera il merito dell'esistenza della Rivista Bancaria - Minerva Bancaria. Ernesto d'Albergo, infatti, che dal 1936 era stato titolare di una rassegna fissa, f u invitato nel 1945 a realizzare il rilancio della nuova serie della Rivista, che da allora diresse per un trentennio, fino alla Sua dipartita (15 aprile 1974).

    Parimenti alle Sue doti di realizzatore, l'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, di cui fu Presi-dente sin dal 1952, deve a lui, in gran parte, la sua vitalità. Per Lui, quella fu una preziosa palestra in cui trovarono sfogo, su terreno a cui voleva imprimere carattere di totale neutralità di interessi di qual-siasi parte, i Suoi innati impulsi a servire, con illuminata e sapiente difesa della verità e dell'obiettività, gli interessi della cosa pubblica.

    Tratteggiare la figura di Ernesto d'Albergo come studioso di economia della finanza pubblica é com-pito assai difficile e facile nello stesso tempo.

    Il critico incontra notevoli difficoltà nell'affrontare la mole e la varietà della produzione scientifica; ma risulta facilitato nella sua indagine dalla coerenza che lega i ragionamenti in cui si snoda la proble-matica, per quanto estesa e varia, da lui affrontata. Si può ben dire che non esiste capitolo della scienza delle finanze in cui Ernesto d'Albergo non si sia cimentato, recando contributi talvolta fondamentali per il progresso della conoscenza teorica.

    __________ ∗ Guglielmo Gola, già Professore Ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario nell’Università di Bologna,

    primo allievo di Ernesto d’Albergo.

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    In questa sede, la disamina non può procedere in profondità, poiché la completa indagine sui conte-nuti del pensiero scientifico del Nostro comporterebbe estesi e approfonditi sviluppi logici non compati-bili, appunto, con le imposte limitazioni di tempo e di spazio.

    Pertanto, questa esposizione, necessariamente in forma sintetica, intende individuare e presentare le idee-madri che hanno in preminenza fecondato le ricerche del nostro Autore; e ciò al fine di contribuire ad una competente valutazione dell'apporto da Lui dato al progresso della scienza economico finanzia-ria.

    Di fronte alla dibattuta questione della legittimità logica della presenza dei giudizi di valor, sul terre-no proprio della scienza, Ernesto d'Albergo tiene presenti i giudizi di valore come appartenenti alla scienza, unicamente in quanto possono significare, pur nell'improprio linguaggio, ipotesi, assunti, con-dizioni, presupposti, ecc. E non ammette - sono Sue parole - « compromessi ed ibride commistioni fra analisi, distaccate dal dover essere, e programmi o fini caldeggiati dallo studioso, in quanto politico formulatore di idee-guida, incompatibili con la neutralità della scienza ».

    E’ alla base della impostazione della Sua visione teorica generale della finanza pubblica, l'assunzio-ne della classe governante quale soggetto dell'unico calcolo delle variazioni edonistiche dei governati, prodotte anche dall'attività finanziaria, in vista della realizzazione di un massimo di utilità per la collet-tività. Si tratta dell'applicazione del “ Secondo criterio di Pareto » (così definito dal d'Albergo), presente nelle originali impostazioni dei teoremi che spiegano la ripartizione formale dell'imposta ed altri fatti o fenomeni, come pure definiscono analiticamente le condizioni di massimo benessere collettivo, in presen-za anche dei vincoli fiscali.

    Illustri studiosi, italiani e stranieri, in sede di aggiornata critica della letteratura scientifica, hanno prospettato come aspetti negativi dell'impostazione accennata: a) le basi soggettive utilitaristiche ecces-sivamente astratte; b) l'accentuazione sociologica.

    Argomentare, sia pure in prima approssimazione, su simili questioni, farebbe sconfinare questa me-moria oltre i suoi intenti. Pertanto, ci limitiamo ad accennare che l'astrattezza e la natura utilitaristica trovano spiegazione e giustificazione nella visione del d'Albergo proprio nella osservata misura in cui esse sono strumentali rispetto al compito definito per la scienza delle finanze, considerata quale ricerca di uniformità teoriche relative all'analisi dei modi di prelievo e spesa e dei corrispondenti effetti sulle condizioni di equilibrio economico.

    In simile quadro logico, Ernesto d'Albergo, per molti versi in modo originale, ha fatto vivere in un compiuto sistema conoscitivo la teorematica economico finanziaria, con rilievo ai problemi riguardanti la natura delle entrate pubbliche, la distribuzione ottima della spesa, la differenziazione quantitativa de-gli imponibili, la discriminazione qualitativa dei redditi, la pressione tributaria e fiscale, l'onere compa-rato di diverse forme di tributi, il confronto fra diverse forme di entrate, eccetera.

    Orbene, a fronte di simile costruzione razionale, presentata in sintesi per fini didattici nei due densi volumi di lezioni, ed illustrata da una produzione scientifica, per specialisti, di rara mole e varietà tema-tica, dobbiamo registrare la mia insoddisfazione rispetto a visioni alternative proposte da altri studiosi, se non addirittura, in qualche caso, la nostra delusione per la dichiarata rinuncia di alcuni a trovare la spiegazione di istituti tributari, con il solo uso degli strumenti dell'analisi economica. Ricordiamo, ad e-sempio, l'istituto della progressività, da alcuni non considerato fenomeno suscettibile di spiegazione da parte dell'analisi economica. In verità apparirebbe paradossale che la scienza economica fosse incapace di spiegare un fatto di indubbio contenuto economico come la distribuzione della imposta, dichiarando il proprio fallimento di fronte a tale compito.

    È inoltre vero che Ernesto d'Albergo non si è sottratto alla tendenza (manifestata anche da autori, anche fra i più noti di cui si onora la scienza economica)- a ricercare spiegazioni sempre più comprensi-ve della fenomenica isolata nella specializzazione scientifica. Animato da insoddisfazione per la minore forza esplicativa degli schemi logici, costruiti con i soli strumenti elaborati dall'analisi economica, Erne-sto d'Albergo ha ragionatamente accolto (in un gruppo di saggi, specialmente degli anni più vicini) an-che fattori prima trascurati, perché di natura extra-economica: ciò, ripetiamo, al fine di arricchire l'effi-cacia euristica delle uniformità logiche, atte a dare spiegazione del complesso fenomeno sociale, me-diante l'impiego anche di ipotesi e di fattori propriamente elaborati dalla sociologia. Difatti sono nella visione di Ernesto d'Albergo il riconoscimento- della classe governante quale soggetto dell'unico, calcolo edonistico per conto dei governati, e la valorizzazione del concetto paretiano di “massimo d'utilità per la collettività”, soprattutto analizzato negli studi su Finanza e Benessere.

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    L'assunzione della impostazione metodologica di cui abbiamo indicato alcuni caratteri essenziali, ha consentito ad Ernesto d'Albergo di accompagnare, talvolta con notevole anticipazione, gli sviluppi della scienza economica realizzati, per approssimazioni successive, al complesso fenomeno concreto o con l'applicazione di « nuovi » principi o uniformità conseguenti all'assunzione di nuove ipotesi di lavoro.

    La costante attualità degli studi di Ernesto d'Albergo è affidata: a) alla sua astrazione da giudizi di valore, ammissibili solo come dati del problema e mai con forza di dimostrazione, da cui consegue lo svincolo da cangianti valutazioni politico sociali del momento, della validità delle risultanze (e che, per-tanto, conservano carattere generale di uniformità teoriche, nel tempo e nello spazio; b) alla varietà de-gli orizzonti aperti da visioni del fenomeno globale, riconosciute da attenti studiosi anticipatrici dell'ap-proccio keynesiano e post-keynesiano (e, pertanto, proprie della più recente problematica macro-finanziaria; e) all'applicazione di strumenti analitici, elaborati dall'economia della finanza pubblica, per la soluzione di problemi di benessere economico, portati avanti sino alla definizione di massimo benes-sere collettivo. All’interno di questo, il vincolo fiscale (considerato per le variazioni edonistiche causate da prelievo e spesa) viene fatto vivere, con intuizione originale, nel modello paretiano di massimo benes-sere collettivo (in termini di utilità) in sociologia.

    Dall'opera scientifica di Ernesto d'Albergo traspare l'intento non sempre esplicito di dimostrare il ca-rattere unitario e universale della teoria pura, le cui formulazioni generali definiscono verità che a-straggono da differenze di ordinamenti storici, ovvero prescindono da differenze metodologiche, quando siano rispettati i canoni della coerenza ed evitate incompatibilità e contraddizioni. Soprattutto in saggi appartenenti all'ultimo periodo della Sua produzione scientifica e quindi della Sua operosissima esisten-za ( per tutti citiamo il saggio su Un'identificazione di schemi per l'economia finanziaria, in Giornale de-gli Economisti, 1967-68) Ernesto d'Albergo auspica “l'annullamento di divergenze di opinioni scientifi-che e di corrispondenti schemi classificatori”, facendo soprattutto appello allo schema generale di Pare-to, atto a comprendere tutti i fatti, idealizzati o concreti tendenzialmente, del dominio finanziario pubbli-co, coordinato con le concezioni di Pantaleoni. Da Lui è negata antinomia fra le idee -madri di Pareto e Pantaleoni in tema di strumenti logici interpretativi del complesso fenomeno finanziario, rifiutando, co-me inevitabili, schemi parziali in sede concettuale e analitica. Egli tende a collegare i due schemi, appa-rentemente separati, che spiegano le variazioni d'equilibrio economico, in cui operino soggetti, uti singu-li o raggruppati: quello degli effetti dei legami fra costi e vantaggi dell'attività finanziaria ( anche in termini di effetti di prelievi e spese discriminate); e l'altro che continua la visione di massimo di utilità per la collettività (“secondo criterio di Pareto”), da Lui applicato, anche in lontani saggi, a questo ordi-ne di temi di pura teoria.

    .Soprattutto per le considerazioni sopra riferite, Ernesto d'Albergo appare continuatore sia di Panta-leoni sia di Pareto, le cui visioni, solo apparentemente contrapposte, sono risultate componibili nella ra-zionale trattazione da Lui svolta; in essa l'analisi del particolare non perde di vista la natura composita e la globalità, in concreto, del fenomeno studiato. In altre parole, la conoscenza delle dipendenze parti-colari esistenti fra le singole grandezze esaminate pone in rilievo la presenza delle dipendenze da altre grandezze e l'interdipendenza generale da fattori economici ed extra economici, che in sintesi concorro-no a comporre il complesso fatto sociale.

    Di questa Sua capacità di sintesi, posta a servizio della ricerca di uniformità generali teoriche, d'Al-bergo fornisce ancora luminoso saggio in Gli effetti di imposte e spese di bilancio in regime collettivisti-co (in «Giornale degli Economisti », 1966).. L'origine di quest'ultima impostazione, nella produzione scientifica del d'Albergo, non è netta, potendosi trovare anche nei Suoi primi lavori significative intui-zioni. Ma essa è soprattutto nelle trattazioni che fanno razionalmente superare il cosiddetto no-bridge e pertanto in quelle aventi per oggetto le visioni del benessere collettivo, che risulta esaltata la posizione di Ernesto d'Albergo nei confronti della concezione paretiana, specialmente in quella da Lui stesso de-nominata “secondo criterio”.

    Elenco, seguendo sempre un ordine logico a scapito di quello cronologico, i seguenti fondamentali contributi: Finanza e benessere, estratto da « Giornale degli Economisti »,1963-64; Sviluppi di un teore-ma finanziario e sue relazioni con il massimo benessere, estratto da « Studi in memoria di Guglielmo Ma-sci », Giufjré, 1943; Di una proprietà dell'imposta progressiva alla luce della « matematica fiscale » e del-l'economia finanziaria, (in « Giornale degli Economisti », 1952; Teoria dello «scambio volontario » e del-l'utilità collettiva, estratto da « Stato sociale », 1958.

    Altri settori particolari di ricerca, che attestano l'eccezionale varietà della tematica scientifica di Er-nesto d'Albergo possono essere presentati come segue: Nuovi studi sull'ammortamento del debito pubbli-

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    co, estratto dal « Giornale degli Economisti », 1933-1934; Brevi note su l'ammortamento e sui « limiti » del debito pubblico, estratto da « Studi in onore del prof. Nina », «Annali dell' Università di Macerata », 1955; Prestiti ed imposte nelle nuove teorie e nell'esperienza bellica, estratto da « Studi dell'Istituto di Scienze Economiche e Statistiche dell'Università degli Studi di Milano », 1945.

    In questi saggi, dopo avere posto da parte le “derivazioni” in senso Paretiano, ovvero i sentimenti e i giudizi morali (erroneamente estesi dal campo dei rapporti tra privati al campo della finanza pubblica) nella condotta che deve tenere lo Stato in tema di ammortamento del debito pubblico, Egli f a notare che si ripresenta il problema classico della pressione comparata di prestito e imposta straordinaria. Que-st'ultimo tema è affrontato nel saggio del 1945, nell'impostazione, in termini di utilità, del Borgatta, e dal d'Albergo sottoposta a revisione critica, in cui il fattore tempo, prima trascurato, è preso in considera-zione.

    Gli effetti economici dell'imposta sugli scambi è definita come imposta sugli affari e ritenuta equiva-lente ad imposta sul ricavo lordo, ovvero sul profitto lordo oppure sul valore globale del prodotto. Egli respinge invece l'ipotesi di imposta sulle vendite o sui consumi, studiati in: La natura e il fondamento del-le «imposte sugli scambi », Di alcuni effetti economici dell'« imposta sugli scambi », (in « Giornale degli Economisti »,1931); Sulla condensazione delle aliquote sugli scambi, (in « Giornale degli Economisti », 1935).

    Una singolare disamina dei pensamenti rivolti dal d'Albergo al noto teorema della doppia tassazione del risparmio ( di cui nega la validità, come dimostrazione di violazione di eguaglianza e, quindi, di giu-stizia, quando non siano adeguatamente definite). Egli fece questo fin dall'epoca in egli ricevette le le-zioni universitarie di Einaudi, Prato, Gobbi, invece sostenitori del teorema. Si vegga il saggio dal titolo Confessioni, convinzioni e conferme nella negazione del teorema della doppia tassazione del risparmio, e-stratto da « Studi economici », 1971. Simile conclusione Egli aveva già esposto nelle Lezioni di Econo-mia della Finanza Pubblica ed in Sur la double taxation de 1'épargne, in « Revue de Science et de Législa-tion financière », 1952, che riproduce una conferenza tenuta alla Sorbona, a Parigi.

    Tenuto conto della data di pubblicazione, risalta nei saggi sotto indicati per originalità il rilievo dato ai rapporti di dipendenza funzionale fra variabilità del gettito di talune imposte tipiche per “sensibilità congiunturale” e “fluttuazioni economiche”. Si tratta dei saggi Della sensibilità delle imposte in rapporto alle fluttuazioni economiche, in « La riforma sociale », 1934;e Sulla neutralizzazione della sensibilità con-giunturale delle imposte, in «Rivista internazionale di scienze sociali », 1935.

    L'Autore perviene alle conclusioni seguenti: 1) è da escludere una scala con gradi costanti ed assoluti di sensibilità congiunturale, anche difficilmente osservabili in via analitica nel passato; 2) non appare logico riformare i sistemi tributari trascurando di considerare le ragioni giuridiche, amministrative, e-conomiche, ecc. che con vario peso, hanno contribuito a determinare l'assetto tributario nei vari paesi.

    Dell'opera di Ernesto d'Albergo come scienziato, oltre il rigore logico e la forza d'analisi nello stesso tempo possente e acutissima, stupiscono l'originalità e la varietà dei temi affrontati. Ciò traspare, con evidenza immediata, dalla lettura del Corso di lezioni intitolato alla Economia della finanza pubblica, pubblicato nel 1951-52, che praticamente conclude una serie di edizioni di « Corsi » di ben minori di-mensioni, quali dispense universitarie, iniziata nel 1939. Invero, i due volumi del 1971 (Giuffrè editore) sono l'aggiornamento dell'edizione 1951-52, con aggiunta di una Appendice, alla fine del volume secon-do (capp. IX-XVI), nella quale ritorna su vari aspetti, trattati nei precedenti vari capitoli. Ciò vale, a te-stimonianza e dimostrazione della viva attualità della trattazione, ai fini del progresso degli studi nel campo della finanza pubblica, considerata per il contenuto economico e per l'aspetto razionale della ri-cerca di uniformità teoriche. E non vi sono istituti o teorie, criticamente analizzate con la padronanza assicurata da una preparazione culturale eccezionale, dell'Autore, che anche con questa varietà dà pro-va della Sua costante presenza, del Suo costante parlare in prima persona.

    È vero che la ricerca teorica ha costituito per il d'Albergo la principale occupazione della Sua mente di scienziato, e la Sua produzione nel campo della pura conoscenza non ha mai subito soste, se non quel-le dovute dal travaglio della meditazione su temi specifici. (Ricordo i Suoi tormenti documentati da con-fidenziale corrispondenza epistolare, su temi come quelli del benessere, della doppia tassazione del ri-sparmio, della discriminazione qualitativa degli imponibili).

    Ma non può tacersi l'importanza della Sua attività di pubblicista, di commentatore di fatti, di critico tecnico. Le Sue « cronache » per lustri, premesse ad ogni fascicolo della “Sua” Rivista Bancaria - Mi-nerva Bancaria, sono un condensato di interpretazioni degli avvenimenti più significativi per il mondo

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    economico: la capacità di sintesi, oltre che quella della analisi (negli studi). Gli è qualità di rilievo, non meno dell'obiettività e della indipendenza assoluta di giudizio.

    Sul terreno applicativo della finanza pubblica, le riforme dei sistemi tributari italiani o stranieri, pro-poste e succedutesi nell'arco del mezzo secolo, gli fornirono l'occasione per occuparsi di simili problemi concreti. Mi limito a citare, senza neppure una scelta fra i numerosi scritti riassuntivi, i seguenti: La cri-si dell'imposta personale sul reddito, Cedam 1931, che reca l'illustrazione del sistema di imposizione di-retta e progressiva del reddito spendibile o consumabile (preferibile - anche se di difficile attuazione - all'imposta diretta e progressiva sul reddito percepito, solo in parte nei sistemi positivi traducibile in reddito globale « disponibile » o « godibile »); Orientamenti per una revisione del sistema tributario ita-liano, Unione Italiana Camere di Commercio, 1948; Legittimità giuridica e razionalità economica delle imposte di fabbricazione nell'ambito del sistema tributario italiano, in « Rassegna di diritto e tecnica do-ganale », 1955; Alcuni rilievi critici intorno all'imposta sulle società, in « Rivista Bancaria », 1954; Ri-lievi critici sull'ordinamento dell'imposta generale sull'entrata, 1961; Sulla interpretazione delle norme fi-scali del trattato istitutivo del Mercato Comune, in « Rivista Bancaria », 1960; e le Relazioni generali svolte in tutti i congressi dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, a Lui particolarmente cara e per la quale profuse tante energie, ricevendone ampi riconoscimenti. In queste Relazioni, invero, l'attivi-tà legislativa del nostro Paese in questo scorcio di secolo, in ogni fase dal progetto alla attuazione, è sta-ta commentata favorevolmente o negativamente dal d'Albergo, con critiche sempre costruttive, serene e, quel che più conta, particolarmente per Lui, unicamente al servizio dell'obiettività e nell'interesse del Pae-se.

    A conclusione, dirò della figura di Ernesto d'Albergo come Maestro: solo poche parole, che però vorrei scelte fra le più ricche di significato per recare una testimonianza formata di giudizi a cui non fanno velo sentimenti estranei o incompatibili con l'obiettività. Assai generoso nei consigli, suggerimenti, meraviglia-va per la prontezza con la quale sapeva far riferimento a visioni generalizzanti per chiarire i termini di problemi, teorici o concreti, che chiunque, allievo o non, poteva proporgli. Nemmeno nei momenti di stan-chezza, che Egli pur dotato di resistenza fisica eccezionale alle volte denunciava, lasciò senza risposta chi Gli prospettava dubbi, incertezze.

    Anche per questo, Ernesto d'Albergo sarà ricordato nei luoghi e dal pubblico da Lui prediletti, ossia nei seminari scientifici, nelle aule universitarie, dove Egli ha esercitato un magistero eccezionale, creando una Sua scuola, e tracciando sicure strade alla divulgazione di quelle verità scientifiche, alla cui ricerca ha ve-ramente dedicato tutta la Sua intensamente laboriosa esistenza.

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    Domenico da Empoli ∗

    Presentazione di Ernesto d’Albergo

    Conseguì nel 1930 la libera docenza e nel 1935 ottenne la cattedra di “Scienza delle finanze e Diritto

    finanziario” (come, allora, si denominava la disciplina, prima che lo stesso d’Albergo ne ottenesse il cam-biamento nell’attuale denominazione di “Scienza delle finanze”).

    Egli insegnò dapprima a Ferrara e a Siena (1935-38), poi a Trieste (1938-40) e quindi a Bologna (1941-1955), ove ricoprì anche la carica di Preside della Facoltà di Economia e Commercio dal 1947 al 1952. A partire dal 1^ novembre1956, Ernesto d’Albergo divenne titolare di Scienza delle finanze e diritto finanziario presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, divenuta poi cattedra di Scienza delle finanze in tutte le Facoltà di Scienze Politiche (con legge 18 dicembre 1962 n. 1.741, che rendeva i-noltre obbligatoria la disciplina) . A Roma d’Albergo, dopo la conclusione della sua attività didattica con il collocamento fuori ruolo dal 1^ novembre 1972, si spense improvvisamente il 15 aprile 1974.

    Il periodo in cui d’Albergo si era formato e aveva scritto i suoi primi contributi era ancora un periodo in cui gli studi economici italiani (e quelli di Scienza delle finanze in particolare) godevano di ampio pre-stigio internazionale. Anche se non sarebbe del tutto appropriato parlare di una vera e propria “scuola” italiana di Scienza delle finanze, per la varietà e per le diversità di posizioni metodologiche e di punti di vista tra i diversi studiosi della disciplina, non vi è dubbio che molte delle tematiche che ancor oggi sono centrali negli studi di Scienza delle finanze erano state individuate dagli studiosi italiani, le cui soluzioni, pur se basate su schemi teorici meno sofisticati degli attuali, erano fondamentalmente corrette e, per l’epoca, molto innovative.

    Basti pensare alla teoria dei beni pubblici, che costituisce il nucleo teorico intorno al quale si è formata la scienza delle finanze (come “domanda e offerta di beni pubblici”) in parallelo con l’economia politica (domanda e offerta di beni privati) e che, nell’ambito dell’impostazione degli equilibri parziali, è stata ap-profondita in modo ineccepibile da Antonio de Viti de Marco (preceduto da Maffeo Pantaleoni e affiancato da Ugo Mazzola). Ed inoltre, ai numerosi contributi alla teoria della traslazione delle imposte e agli effetti del debito pubblico, oltre a contributi più specifici, come il “teorema di Barone” sull’eccesso di pressione delle imposte indirette e le discussioni sulla doppia imposizione del risparmio. Non si possono poi ignorare i primi studi di analisi economica delle istituzioni, iniziati con la distinzione devitiana tra Stato “monopoli-sta” e Stato “cooperativo” e con gli schemi politico-sociologici, che hanno contribuito a delineare le basi di una vera e propria “teoria dell’offerta” di beni pubblici.

    In questo vasto quadro d’indagine, Ernesto d’Albergo operò dando prova di capacità innovativa, ap-profondendo con visione originale temi già trattati da altri studiosi e allargando il campo d’indagine a fe-nomeni nuovi, o comunque non sufficientemente approfonditi in precedenza, come la crisi dell’imposta per-sonale sul reddito, come gli scritti sulla sensibilità congiunturale delle imposte e anche le anticipazioni del-la moderna politica di bilancio. Diede altresì interpretazioni nuove di teorie ampiamente discusse, come la teoria delle illusioni finanziarie di A. Puviani, di cui dimostrò l’estensione anche a contesti istituzionali democratici.

    Accanto ai temi di carattere teorico, d’Albergo si soffermò anche, in periodi diversi, su aspetti concreti dell’ordinamento tributario, soprattutto nel primo dopoguerra e poi, negli Anni 60, in occasione dei dibat-titi che precedettero la riforma tributaria italiana.

    Ernesto d’Albergo dedicò anche molta attenzione ai problemi economici e finanziari correnti, sia ita-liani che internazionali, con scritti apparsi su riviste scientifiche (in particolare la Rivista Bancaria-Minerva Bancaria, da lui diretta a partire dal 1945) ed anche su quotidiani economici (soprattutto il Sole-24 Ore).

    __________ ∗ Domenico da Empoli, professore ordinario di scienza delle finanze nell’Università “La Sapienza” di Roma.

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    2. Dagli scritti di E.d’Albergo emerge la personalità di uno studioso indipendente, anche dalla tradizio-ne italiana, di cui pure si considerava partecipe e quasi custode (o, forse si dovrebbe meglio dire, “il cu-stode”).

    Nato scientificamente in un periodo in cui le scuole scientifiche nazionali avevano identità proprie, per la limitata circolazione delle idee nel mondo scientifico internazionale, ed in cui, inoltre, la tradizione scientifica italiana negli studi di finanza pubblica aveva un peso molto consistente (anche se molti contri-buti italiani erano rimasti quasi ignorati, come dimostra il successo del saggio di James M. Buchanan sulla Scienza delle finanze), d’Albergo viveva male la nuova situazione, progressivamente verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, in cui l’internazionalizzazione della scienza economica aveva fatto perdere visi-bilità alla c.d. “scuola italiana” di Scienza delle finanze.

    Credo di non essere lontano dal vero nel ritenere che d’Albergo abbia vissuto la nuova situazione inter-nazionale della disciplina come una vera e propria sconfitta personale e, quindi, quasi come “dramatis persona”.

    Se non si tiene conto di questo particolare, quasi risentito atteggiamento di d’Albergo, non è possibile comprendere le sue polemiche degli ultimi anni con gli studiosi americani, la cui riproposizione delle teo-rie italiane era per lui occasione per interventi distruttivi, anziché di dialogo pacato e, quindi, utile a quel corretto inserimento dei contributi italiani nel panorama scientifico internazionale a cui lo stesso d’Albergo anelava.

    E’ indubbio, per esempio, che gli scritti di Paul Samuelson sulla teoria dei beni pubblici sono stati, sia per il loro specifico contenuto che per il ruolo scientifico di Samuelson, molto importanti per rivalutare gli studi di scienza delle finanze, in un periodo in cui le indagini di carattere macroeconomico sembravano le uniche rilevanti scientificamente. Credo non vi siano dubbi che si possa far risalire ad essi la rinnovata at-tenzione internazionale per la Scienza delle finanze, che non è più venuta meno.

    E’ anche vero che Samuelson aveva trattato con “distacco” le teorie italiane, cosa piuttosto grave, an-che perché l’economista americano non aveva una conoscenza diretta dei contributi italiani: le sue consi-derazioni erano basate su una sintesi, alquanto carente, fornitagli da Richard Musgrave (come egli stesso ha rivelato alcuni anni fa), anch’egli, peraltro, senza conoscenze dirette delle fonti italiane.

    Tuttavia, non vi è dubbio che le aspre critiche di d’Albergo non abbiano molto aiutato la rivalutazione dei contributi italiani. Una reazione moderata, che avesse documentato le inesattezze in cui era incorso Samuelson, sarebbe stata indubbiamente più efficace.

    Ancor più inspiegabile (se non nella logica che sopra ho delineato) è l’atteggiamento di assoluta chiu-sura di d’Albergo nei riguardi dei lavori di James Buchanan e, in particolare, del suo lungo saggio sulla teoria finanziaria italiana, che costituisce ancor oggi il principale riferimento internazionale per chiunque voglia studiare i contributi italiani alla Scienza delle finanze. I successivi lavori di Buchanan, e in partico-lare le costruzioni della teoria della Public Choice, che hanno stabilito un collegamento permanente con la tradizione italiana, sono stati un riconoscimento fondamentale per la scienza finanziaria italiana. Anche per essi non vi sono stati apprezzamenti (per usare un eufemismo) da parte di d’Albergo. E’ un peccato, quindi, che questo atteggiamento di d’Albergo gli abbia impedito di inserirsi nel dibattito internazionale, nel quale i contributi italiani alla Scienza delle finanze venivano, direttamente o anche indirettamente, rie-saminati e discussi, apportando i chiarimenti e le precisazioni che egli riteneva più importanti. Tutto ciò nulla toglie ai meriti scientifici di Ernesto d’Albergo, di cui questo volume costituisce testimo-nianza, per quanto incompleta. Ci auguriamo che la sua lettura possa essere motivo di ulteriori riflessioni sul pensiero di questo illustre studioso, che sin dalle prime opere ha dimostrato originalità di pensiero e forte spirito critico.”

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    INTRODUZIONE 1

    I.

    DEFINIZIONE DELLA SCIENZA DELLE FINANZE COME ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA

    Comincerò a dare una definizione della scienza delle finanze, come studio del contenuto economi-

    co-quantitativo di essa. Questa definizione vuole abbracciare i problemi che effettivamente seguiranno nella trattazione successiva. Quindi essa è una sintetica enunciazione programmatica, che coerentemente trovi giustificazione in ciò che si presenterà ai lettori nelle singole parti dello svolgimento del «corso» di lezioni.

    L'esigenza di una definizione della scienza delle finanze, deriva dalla logica necessità di delimitare la trattazione, coerentemente, in rapporto a quella che sembri la materia oggetto di stu-dio, scientificamente inteso.

    Definizione, dicono i filosofi, è il discorso col quale significhiamo che cosa è un oggetto. Si suppo-ne quindi che noi abbiamo già una certa nozione dell'oggetto. La difficoltà maggiore sta nel trattarne in mo-do sintetico e comprensivo, tale che agevoli la immediata conoscenza di conclusioni che presuppongono ragionamenti.

    R. A. Murray2 aveva, come altri studiosi, sentito la esigenza metodologica di definire «provviso-riamente» la scienza delle finanze come «lo studio delle uniformità che presenta l'attività finanziaria degli enti pubblici in genere e dello Stato in particolare». Per "attività finanziaria" intendeva 1'«attività svolta da-gli enti pubblici per la soddisfazione di quei bisogni che, essi, in un dato momento e in un dato luogo, as-sumono a proprio compito per svariate ragioni».

    Compito od oggetto della scienza delle finanze come teoria pura od ipotetica con contenuto econo-mico, è «la ricerca di uniformità teoriche relative all'analisi:

    a) dei modi secondo i quali lo Stato e gli enti pubblici minori possono procurarsi, con o senza coa-zione, le entrate e distribuire le spese necessarie al soddisfacimento dei bisogni pubblici;

    b) delle variazioni degli equilibri economici particolari e dell'equilibrio economico generale pro-vocate dal modo e dal «quantum» di prelievo ed ottenimento, in genere, delle entrate e della erogazione delle spese, nelle varie ipotesi di organizzazione dei mercati e di intervento, o meno, del fattore tempo» .

    In questa introduzione, che è anche metodologica3 e vuol delimitare coerentemente la materia scientifica di questo insegnamento universitario, la definizione che precede può avere qualche vantaggio. Essa può servire a precisare l'orientamento logico del cultore di questa scienza, che consiste nello escludere, quanto è possibile, ogni fattore estraneo alla teoria che persegue fini di conoscenza e di spiegazione di fatti

    __________ 1 AVVERTENZA. L’Edizione digitalizzata di questo libro di Ernesto d’Albergo è stata curata da Nino Luciani. La

    edizione cartacea di riferimento è quella del 1952, Steb Bologna, di cui sono custodite delle copie, in particolare, nel-le Università “La Sapienza” di Roma, e di Bologna.

    I primi elementi di questo libro sono stati raccolti dagli studenti nel corso di lezioni universitarie di scienza delle fi-nanze, e successivamente integrati dall’Autore.,

    In questa edizione digitalizzata, sono state apportate piccole limature al testo originale cartaceo. Ad es. sono state tolte alcune frasi incidentali, proprie del linguaggio parlato, durante le lezioni; sono stati scissi alcuni paragrafi, troppo lunghi, ed è stato riscritto il testo in casi rarissimi. Questo è stato fatto, in vista della sua traducibilità in lin-gua inglese, appena sarà possibile trovare il relativo finanziamento.

    2 MURRAY R. A., Principii fondamentali di scienza pura delle finanze, Firenze, «La Voce», 1914, 3 Il proposito di evitare questioni di metodo, nelle quali troppo si intrattengono molti autori invece di far posto ad

    applicazioni implicite di esso, essendo ovviamente infeconde per se stesse, non può essere se non parzialmente assolto in queste lezioni. Contro volontà, quasi, sono trascinato a trattarne per cercare di mettere ordine nelle idee con tanta pervicacia professate da docenti di questa disciplina, nella quale, ormai toppo insistentemente, si vogliono far rientrare materie diverse: economia, politica, diritto, tecnica; talune. delle quali sistemabili scientificamente ma con criteri ben distinti, oppure ribelli ad una teorizzazione, allo stato attuale delle conoscenze e probabilmente per lungo tempo.

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    storici, attuali o probabili e virtuali, limitatamente alla considerazione dell’aspetto quantitativo che, finora, si è manifestato il più atto ad una sistemazione scientifica (quello economico).

    II.

    TRATTAZIONE SCIENTIFICA PER FINI DI CONOSCENZA SECONDO LA DEFINIZIONE La definizione esclude che la ricerca scientifica debba, nel campo della finanza pubblica, perseguire

    fini di immediata applicazione ovvero di formulazione di normae agendi, suggerimenti, programmi d'azio-ne, precetti ecc.. La scienza delle finanze - come economia finanziaria - non ha, lo scopo preminente era di dar consigli al principe o «signore» sul modo di amministrare la pubblica cosa per la felicità del sovrano e del popolo soggetto o per la potenza dello Stato, in genere. Tutto ciò si dice senza togliere merito a quanto nelle opere di pionieri quali Petty, Justi e Sonnenfels, specialmente, si formulò nei tempi in cui andavano gettando le prime basi scientifiche della finanza pubblica.

    In altri termini, dalla ricerca per fini di pura conoscenza esulano scopi di arte finanziaria. Studioso e consigliere hanno compiti nettamente distinti, come meglio si dirà più oltre, nel separare razionalmente 1'aspetto economico da quello giuridico e politico del fenomeno finanziario.

    Il perché dell'essere del fatto finanziario o del suo manifestarsi in dati modi, con l'analisi delle con-

    seguenze del come o del quanto, appartiene alla scienza ovvero alla teoria pura finanziaria, su cui qui emi-nentemente si insiste.

    Il dover essere può, invece, costituire un travestimento di proposizioni scientifiche. Infatti, dietro formulazioni apparentemente vertenti nel campo dell'arte o della precettistica, può nascondersi un ragiona-mento teorico su base ipotetica. Questa distinzione fra forma e sostanza, per la contrapposizione in atto, di arte e teoria, sarà richiamata più oltre nel differenziare indagini economiche e giuridiche della finanza pub-blica.

    Lo stesso dicasi dei canoni o metodi amministrativi concernenti, ad esempio, il migliore, più como-do, opportuno modo di prelevare entrate: anche questa è opera che spetta al tecnico, amministratore od or-ganizzatore degli stati e dei settori fiscali.

    Taluno discorre di tecnica finanziaria. Comunque siamo fuori della teoria, la quale come parte della scienza, con contenuto eminentemente economico, tiene conto del modi o sistemi amministrativi come dati di fatto, che assume per la soluzione di problemi, ad es., di eguale distribuzione degli oneri che danno corpo alle pubbliche entrate. Criterio amministrativo (eguale) o se si vuole anche etico o politico, da cui discen-dono conseguentemente teoremi e problemi su base quantitativa, trattabili quasi come nelle scienze esatte (matematiche e fisiche), con la limitazione ben nota: che non può il cultore di questo ramo delle scienze so-ciali ricorrere all'esperimento, ma solo avvalersi dell'osservazione per un modo approssimato di verificare le deduzioni e le uniformità teoriche.

    III.

    PRINCIPI TEORICI CHE ORIENTANO LE INDAGINI. Prima di esaminare altre coerenti conseguenze della definizione adottata nel par. I, occorre una pre-

    cisazione che si riferisce alla proposizione contrassegnata, in detta definizione, con la lettera b). Supponendo azioni a contenuto positivo dei soggetti attivi (Stato o altro enti pubblici minori), quali

    prelievi di ricchezza, oppure a contenuto negativo come restituzioni o, ancora, rinuncia all'azione (esenzio-ne da prelievi) ecc., tutte le condizioni ed ipotesi, che si affacciano qui brevemente, giustificano l'utilizza-zione e l'applicazione di princìpii scientifici molteplici.

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    Trattando di analisi di variazioni di equilibri e rapporti economici, come effetti dl intervento di fat-tori fiscali (prelievo e spesa di quantità di potere d'acquisto), faremo appello, quindi, ad alcuni princìpii o-rientativi.

    a) Qui richiamo anzitutto il principio di causalità in senso filosofico, inteso come connessione, o

    relazione tra fatti, oggettivamente esistente. Essa corrisponde ad una relazione nella mente dell'osservatore, dando luogo alla teoria4.

    Il principio di causalità non va confuso con il determinismo, definito come esistenza di connessioni necessarie, secondo cui «ogni causa ha un determinato effetto ed ogni effetto una determinata causa.

    Il significato in cui sarà usato il concetto di causa, è quello Aristotelico di causa «efficiente», ovve-ro di forza atta a produrre una cosa o fatto o fenomeno.

    Non possiamo, invece, seguire il principio di causalità quale è inteso dagli scienziati moderni, nel senso che sperimentalmente si possa provocare un fatto A dove e come piaccia per osservarne la conse-guenza B. I fenomeni finanziari, infatti, non sono riproducibili o causabili come nei laboratori sperimentali delle scienze fisiche. Non sono fenomeni causabili, ponendo in essere altri fenomeni a fine sperimentale, quelli di cui si occupa la finanza pubblica. Non esiste un fatto che si possa a piacimento ed a scopo speri-mentale causare o produrre, come causa o «sorgente delle onde» (dicono i fisico-matematici) che costitui-scono il fenomeno. Sono onde che «divergono» dalla sorgente che assurge a funzione di causa. Sono stati detti fenomeni entropici quelli provocabili o causabili ad arbitrio dello sperimentatore, nelle scienze fisiche.

    b) Accogliendo il concetto di determinismo, nel senso che possano essere previsti i fenomeni futuri

    in base alla conoscenza di quelli presenti, non è escluso che si possano spiegare alcuni rapporti fra fatti che, in questa sede, vengono considerati in via ipotetica. Ma sempre escludendo che si possano, a nostro arbitrio, riprodurre i fenomeni teoricamente analizzati.

    Quando, pur senza poter sperimentalmente riprodurre i fenomeni, si ammetta la relazione di causa-lità, non in senso scientifico ma piuttosto filosofico, si può prevedere che alla azione di una causa segua un effetto. Ove i casi osservati siano numerosi (grandi numeri), al probabile verificarsi di effetti si sostituisce la certezza, nella previsione. Introducendo un'imposta che modifichi il costo di produzione, anche in sede di osservazione di fatti reali istantanei (che la scienza considera per tipi ipotetici), si può prevedere una varia-zione del prezzo in aumento, in determinate circostanze (domanda poco elastica della merce prodotta e in-fluenzata dal fatto finanziario).

    Ma quando, come si evince dalla definizione, si introduca il fattore tempo, e dalla visione statica (con assenza di tempo o durata dei fenomeni) di relazioni di causalità, si passi alla dinamica (e, cioè, si con-siderino i fenomeni nel loro sviluppo o movimento) l'intervento di fattori causali nuovi e imprevisti fa venir meno il legame deterministico, perché un fenomeno può non essere la conseguenza necessaria di uno ante-cedente. E per l'intervento di «atti creativi» variabili, non può concepirsi la previsione se non in termini di probabilità5.

    Come vedremo a proposito di misurabilità «a posteriori» del processo traslativo (ovvero del trasfe-rimento di un onere fiscale, attraverso lo scambio, da un soggetto A, a mezzo di un aumento o di una dimi-nuzione di prezzi, a carico di un soggetto B, nel tempo), soltanto in via di probabilità si può ritenere che la variazione di prezzo sia stata conseguenza del fatto fiscale, agente nell'intero mercato, quale fenomeno di massa.

    Nel modo più plastico e avvincente, ad opera di L. Amoroso6, la analogia fra teoria fisica ed eco-nomica, che si limiti allo studio del movimento stazionario che rappresenti la vita economica dominata da forze corrispondenti a quella che è l'inerzia in meccanica, è stata compiuta con la nota pubblicazione dal ti-tolo significativo da questo punto di vista. Il venir meno del carattere deterministico del movimento in fisi-ca, in base al «principio di indeterminazione» di Heisenberg (secondo il quale il movimento dell'atomo è considerato dipendente oltre che da forze, ostacoli e resistenze di inerzia, da elementi estranei al moto) ha fatto pensare per analogia alla visione della teoria dinamica relativa alla esperienza economica, in cui le a-

    __________ 4 PARETO V., Manuale, Introduzione. 5 DEMARIA G. , Il principio di indeterminazione nella economia dinamica - Rivista Internazionale di scienze sociali,

    settembre 1932. 6 AMOROSO L., Meccanica Economica, Macrì, 1942.

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    zioni non sono uniformemente ripetute, ma presentano una continua e perenne trasformazione, un incessan-te divenire.

    c) Un altro principio, infine, che possiamo classificare nell'ordine causale, nel campo teorico in og-

    getto, dobbiamo tener presente, in relazione alla circostanza che consideriamo fatti e fenomeni non riprodu-cibili o provocabili a nostro arbitrio e che sono osservabili solamente.

    In certo senso si potrebbe dire che questo è il significato di «causa», secondo Aristotele, detta «fina-le», che rappresenta il fine, motivo o intento dell'azione creativa della cosa o fatto o fenomeno.

    Alludo al principio di finalità, secondo il quale un fenomeno (mezzo) è legato ad altro fenomeno (fine). E come senza causa, nella visione in cui domina il principio di causalità in senso ampio, non si a-vrebbe effetto, senza fine non si avrebbe ricorso al mezzo per raggiungerlo7.

    d) Un altro principio che troverà applicazione, vasta e frequente, in relazione anche coi termini del-

    la definizione (nella quale si pone a compito della scienza delle finanze lo studio di variazioni dell'equili-brio economico) è quello di mutua dipendenza fra le quantità considerate. Il concetto di «funzione» e la sua traduzione grafica che offre una rappresentazione visiva delle variazioni collegate delle variabili, verranno utilizzati ampiamente, secondo si avverte nelle due precedenti (1942, 1944) «prefazioni» a questo «corso».

    Poiché tutte le quantità, nei loro rapporti reciproci, influiscono le une sulle altre, in modo che la va-riazione di una porta con sé una variazione di tutte le altre, si terrà conto del rapporto o principio di interdi-pendenza generale, oltre che come visione di massima, per i problemi che si prestino ad essere interpretati in questo quadro logico, ampio e senza le limitazioni della clausola del «ceteris paribus».

    Non occorrerebbe avvertire che tutti i principii a cui si è fatto riferimento possono essere dimostrati non incompatibili con la utilizzazione dei procedimenti di conoscenza, propri delle scienze propedeutiche, quali: 1) il procedimento induttivo (argomentazione con la quale si passa da proposizioni particolari ad una propo-sizione universale); 2) il procedimento deduttivo (che parte da premesse generali immediatamente evidenti e positive, e, attra-verso un insieme ordinato di proposizioni, conduce a conseguenze coerenti).

    IV.

    CONCEZIONE RAZIONALE-QUANTITATIVA ESPLICITA NELLA DEFINIZIONE E «GIUDIZI DI VALORE».

    La definizione dell'oggetto della scienza delle finanze, come studio economico di relazioni quanti-

    tative influenzate dal fatto finanziario, induce a far escludere dalle analisi quanto appartiene al dominio mo-rale espresso in termini qualitativi. Il giusto, il buono, ed ogni altro giudizio di valore debbono esulare dai ragionamenti che formano questa scienza.

    Escludendo dall'oggetto della scienza delle finanze i giudizi di valore (giusto, ottimo, ecc), può sembrare che esista contrasto, fra coloro che giudizi di valore pronunciano qualificando in tali termini gli i-

    __________ 7 Rimando alla trattazione originale del FANTAPIE’, che trova applicazione nel campo delle azioni volontarie, quali

    sono quelle che compiono anche i soggetti operando economicamente, come tendenze a fini. Azioni che più che da cause passate vengono determinate da fini futuri. In un campo, come l'economico, eminentemente basato su premesse psicologiche, non si può trascurare codesto principio per la spiegazione di fatti come quelli che ci intratterranno più ol-tre come, ad es.: la tendenza dei privati contribuenti al massimo utile, compatibilmente con l'interferenza del fattore fi-scale prelievo di imposte; la tendenza a conservare la disponibilità del reddito per i propri privati consumi, «rimuo-vendo» l'incidenza data dalla sottrazione di una quantità di potere d'acquisto, a titolo di imposta, ecc. Per il Fantappiè, la nostra personalità è mossa da fini e non da cause: di questo principio non si può non tener conto nella spiegazione della condotta, specialmente, di singoli, di fronte al fatto finanziario, ipoteticamente considerato. Per lo sviluppo di questa teorica si veda di questo autore: Fantappiè, Principii di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico, Roma, Soc. ed. «Humanitas nova».

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    stituti e i sistemi o principii finanziari, e quanti si astengono da siffatte enunciazioni di apprezzamenti mo-rali.

    Ricordo, a proposito della giusta imposta, le seguenti proposizioni del Berliri8: a) economisti («e politici») si dichiarano concordi nel pensare che della giustizia o ingiustizia del-

    l'imposta debba la loro scienza disinteressarsi; b) economisti, politici e giuristi finiscono a concludere che la giusta imposta non esiste. Codeste proposizioni non sono metodologicamente ammissibili. Infatti non chiariscono la posizione

    dello studioso nei confronti degli ideali di giustizia, di bene ecc. che, pure, dominano le soluzioni concrete o politiche.

    Non vedo perché il Berliri abbia affiancato a quello di economisti e giuristi il termine «politici» proprio quando solo i politici possono enunciare e di solito, come uomini d'azione, enunciano giudizi di va-lore che orientano la storia, ma non come studiosi.

    Data una definizione di «giustizia» o di ciò che è «ottimo» nel campo finanziario, il cultore di eco-nomia finanziaria analizza la rispondenza, ad esse, degli istituti9, ponendo in evidenza quali conseguenze, in sede quantitativa, derivino dall'accogliere la definizione o il concetto di «giusto» «ottimo», ecc. Quando ci si dice: «con questo bisogno di giustizia dovrà, dunque, fare i conti l'economista» rispondiamo che sempre gli economisti, veri cultori di questa scienza, hanno «fatto i conti» con la giustizia come ideale posto dai po-litici, consacrato o meno nelle leggi da attuarsi nel campo tributario.

    Supponiamo che la giustizia sia definita come eguaglianza di posizione dei membri della collettivi-tà di fronte al pagamento dei tributi. Rispetto a questa ipotesi, il cultore di teoria finanziaria esaminerà se detta eguaglianza, in termini obiettivi (o monetari), venga razionalmente tradotta dal prelievo di reddito o ricchezza in genere, in ragione proporzionale; se l'eguaglianza venga intesa in senso soggettivo (sacrificio di utilità della ricchezza posseduta), spiegherà se e in quali ipotesi, rispettivamente l'imposta proporzionale e quella progressiva soddisfino coerentemente alla premessa extra-scientifica della giustizia e della egua-glianza, nella corresponsione di tributi allo Stato.

    Che cosa si dovrebbe dire di quanti ritengono che del concetto di giustizia non abbiano tenuto conto gli economisti, quando si pensi a due (Edgeworth, Wicksell) fra i più forti ingegni, razionalisti per eccellen-za e, anche per gli strumenti della ricerca impiegati, fra i più rigorosi ragionatori della fine del secolo passa-to e del primo quarto di questo in corso? Edgeworth10 intestava la seconda parte della trattazione della Teo-ria pura dell'imposta, al Principio della giustizia tributaria. Wicksell11 dedicava il secondo dei suoi famosi Saggi di finanza teorica, integralmente alla illustrazione di Un nuovo principio di giusta tassazione.

    Pare ben strano che proprio l'Einaudi12 non abbia rilevato che, da quando si è avuta sistemazione scientifica di questa disciplina in senso economico, gli economisti hanno «fatto i conti» con il concetto di giustizia. Proprio egli ha tentato una critica della correlazione fra detto concetto di giustizia, tradotto in quello di eguaglianza, e i sistemi astratti di esprimere il concetto, nel campo dell'imposizione di tributi. Tali sistemi astratti sono stati ipotizzati dai cultori di economia finanziaria anche attraverso criticati «sommi principii utilitaristici».

    Un concetto di .giustizia tributaria, «pre-giuridico» come opportunamente rileva, iniziando la sua trattazione, l'Allorio, preesiste per il giurista ed è «quello stesso cui fanno frequente riferimento gli econo-misti». E continua: «In fondo, la giustizia tributaria nel senso rilevante per i giuristi non è che il prolungarsi e concretarsi della giustizia tributaria nei senso considerato dagli economisti». Pare strano che questo non abbia visto il Berliri, che certamente avrà meditato sul Diritto processuale tributario13; e più ancora che l'Einaudi non abbia pensato, nel dettare la prefazione, al proprio formale e ripetuto riferimento a concetti di giustizia, ed abbia fatto menzione indiretta solo della sua monografia sull'«ottima» imposta14 .

    __________ 8 BERLIRI L.V., La giusta imposta, Roma, edizione Istituto Italiano di Studi legislativi, 1945. 9 Modi e quantum del prelievo delle entrate soprattutto tributarie ovvero coattivamente conseguite dall'ente pubblico,

    tenendo conto o meno, simultaneamente, dei vantaggi o della utilità dei pubblici servizi goduti. 10 EDGEWORTH, “Teoria pura dell'imposta”, Biblioteca dell'Economista, vol. XVI. 11 WICKSELL, “Saggi di finanza teorica”, Nuova collana di Economisti, vol. IX. 12 EINAUDI L., Miti e paradossi della giustizia tributaria,, G. Einaudi editore, 1938. 13 ALLORIO, Diritto processuale tributario, Milano, Giuffrè 1942, pp. 16-17. 14 EINAUDI L., "Contributo alla ricerca dell' "ottima imposta", Annali di Economia» dell'Università Bocconi, Milano,

    1929.

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    Ciò detto, se imposta «equa» od «ottima» verrà definita quella che meno turbi l'equilibrio dei rap-porti di scambio ovvero l'equilibrio del mercato, lo studioso, teorico della finanza, rileverà le condizioni che dovranno verificarsi nella ripartizione dei tributi, affinché codesta definizione di imposta, in senso qualita-tivo, trovi corrispondenza coerente nel tipo analizzato scientificamente. E' ovvio che potrà concludere che, tutte le imposte turbando l'equilibrio economico in termini quantitativi, l'effetto psicologico di modi deter-minati di ripartire le imposte può dar luogo a perturbazioni addizionali o differenziali tendenzialmente maggiori o minori dell'equilibrio del mercato.

    Se imposta «giusta» sarà definita, in sede politica o comunque extra scientifica od etica, quella che si approssimi al prezzo che si sarebbe liberamente pagato nel caso in cui non ci fosse stata la coazione con-nessa all'imposta, lo studioso configurerà, in via di ipotesi, le logicamente adeguate condizioni di produtti-vità della destinazione del tributo. Esse saranno tali, nel quadro della distribuzione del reddito fra le varie voci di consumo o di investimento, che il contribuente aderisca, compatibilmente con la propria soddisfa-zione massima, a detta ripartizione del reddito o della ricchezza disponibile fra usi pubblici e privati, secon-do la logica del prezzo di mercato, che liberamente affronta nel soddisfare i propri bisogni.

    Lo stesso studioso farà opera scientifica dimostrando, naturalmente per via di puro ragionamento, la non concepibilità di un'imposta che corrisponda, anche in via approssimata, al prezzo di mercato, negando da questo punto di vista ovvero attraverso logiche argomentazioni, la configurabilità, anche ipotetica, di una siffatta ottima o «giusta» imposta, per contraddizione in campo logico, ecc.

    Ma questo non è formulare «a priori» giudizi di valore, che in campo morale, extra-scientifico tro-vano la loro sede. E' tener conto delle definizioni gravitanti nel campo etico o politico, per dedurne le carat-teristiche (tipi di imposte o di prezzi pubblici) e le conseguenze quantitative dell'avere accolto come pre-messa una data definizione di giustizia, ad es. tributaria, per dare la soluzione logica del problema, ad es. della distribuzione delle imposte in base a dati principii etici, coerentemente con essi.

    Sebbene la formulazione delle proposizioni scientifiche possa trarre in inganno presso, soprattutto, i pionieri di questa scienza, è certo che, sostanzialmente, il metodo non è stato diverso da quello che qui in-dico, per il posto che deve darsi ai giudizi di valore nel campo scientifico.

    Riportiamoci, ad es. a uno dei primi «professori» di scienza delle finanze, S. Majorana15. Nello spiegare la teoria dello scambio, egli, dopo aver discorso di «ineguaglianza e ingiustizia nella ripartizione delle imposte», tratta di «giustizia dell'imposta» come produttività dell'impiego; e «rispetto all'individuo» «la giustizia è nel confronto fra i sacrifici da lui durati come contribuente e la somma dei vantaggi diretti e indiretti ottenuti per l'impiego dell'imposta». Ritiene il M. violazione del principio dell'«equa ripartizione delle imposte», il «difetto di uniformità o la difformità del sistema di imposte»; afferma che nelle imposte l'eguaglianza si traduce nella proporzionalità oltre che nella universalità, e cita altri (Mill, P. Smith) che vo-gliono proporzionalità ai servizi ricevuti dai contribuenti; o non nega «l’equità del principio dell'imposta progressiva» e aderisce all’idea di Stuart Mill (secondo il quale nelle imposte progressive sarebbe «parte di giustizia») o cita Say che afferma: «le imposte progressive sono le sole eque».

    Questo florilegio fa vedere come possano apparire confusi giudizi di valore e modi di traduzione di essi in sistemi coerenti rispetto alla definizione di giustizia. Ma consente, intanto, di assodare che da gran

    __________ Avevo steso queste annotazioni, nel 1945, la maggior parte in margine alle stesse pagine del compianto Berliri, tanto

    immediata era la reazione avverso all’asserzione della mancata considerazione del concetto di giustizia da parte dei cultori di economia e di scienza delle finanze, allorché ho visto analoga presa di posizione del GANGEMI, Elementi, citati, del 1948, pagg 409-10. Egli ad interpretazione del concetto di giustizia, novera anche quello della universalità del dovere tributario.

    Ma l'universalità ha impegnato più i giuristi che gli economisti. Il crollo dei privilegi e l'assoggettamento di tutti i cittadini alla legge tributaria, ha informato più gli statuti e costituzioni e gli interpreti e i sistematori dei principii di di-ritto costituzionale e pubblico. Gli economisti si sono occupati delle eccezioni al principio, con lo studio degli effetti delle esenzioni fiscali che anche Gangemi ricorda, siano esse a favore dei titoli del debito pubblico, e dei redditi e va-lori capitali inerenti alle più varie forme di attività economica. E della universalità si è trovata consacrazione nei cano-ni della tassazione, che sono stati detti «amministrativi» e pure densi di contenuto economico per aspetti diversi dalla universalità. La quale per contro, ha interessato profondamente gli economisti sotto la specie della generalità della imposizione dei carichi tributari. Ma generalità richiama il concetto di uniformità dell’onere, la quale viene idealizzata ed attuata a mezzo di imposizione proporzionale. E ciò ci riporta al concetto di eguaglianza nel campo tributario come concetto che in termini obbiettivi e soggettivi, ha avvinto e continua ad avvincere le menti dei razionalisti, che pure partono dal concetto di giustizia volta a volta enunciato da politici e moralisti.

    15 MAJORANA S., Trattato di economia politica, III edizione, 1912, cap. VI.

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    tempo gli economisti si sono trovati a «fare i conti» con concetti di giustizia, di equità. Anche attualmente dette definizioni possono costituire punti di partenza o premesse o concetti o definizioni, che il teorico ac-colga allo scopo di proporsi il problema scientifico della rispondenza, a dette premesse o definizioni ecc., di sistemi tributari, istituti, sistemi di ripartizione delle spese, simultaneamente considerati. Tutto ciò, per la coerente soluzione dei problemi di ripartizioni fiscali informate ad ideali, per se stessi, estranei alla scienza, o considerati come dati, condizioni preliminari o premesse di cui tiene conto il teorico per la corrispondente costruzione ipotetica. Ivi non c’è confusione, quindi, fra scienza e vita o storia, fra etica ed economica; ma corrispondenza di sistemi di logica economico-finanziaria a date definizioni o condizioni ideali, formulate dal politico e da chiunque risolva problemi sociali alla luce anche di elementi morali, in una moderna meto-dica di questa scienza che obbedisca, anche nella forma, ai dettami relativi al compito del teorico.

    A proposito di confusione di elementi diversi, morali e razionali, richiamo uno studioso svedese. Ha trovato favore, per me ingiustificato, in Italia un'opera del Myrdal16 con cui l'a. si è proposto di

    individuare sistematicamente l'insinuarsi dell'elemento politico, fideistico o di presupposti normativi, nelle teorie economiche. In particolare il Myrdal ha preso di mira, criticamente, la scienza delle finanze, ma con-traddicendosi spesso.

    Invero, egli considera (p. 21) chiaramente sterile il carattere dell'indagine di teoria pura nel campo della scienza delle finanze (avente «punti di contatto con la politica pratica») e poi, alla fine della trattazio-ne afferma che la dottrina dell'incidenza nel senso ampio e la dottrina degli effetti dei possibili sistemi fi-scali sono l'unico contenuto di tutta la scienza delle finanze (p. 307): come se non si trattasse di indagini di teoria pura economica, nel caso di quelle che suggerisce.

    Ho fatto riferimento al Myrdal come a tipico caso di mentalità avversa ai «sommi principii utilitari» o ai ragionamenti in base a premesse edonistiche (di cui vedremo la legittimità in sede ipotetica, quale è la scientifica), per ricordare che le critiche di questo tipo (in cui si confonde la storia con la scienza, l'elemento politico fideistico con la consequenzialità dei ragionamenti discendenti da premesse che il teorico può ac-cogliere come dati) non giovano al progresso di questa nostra scienza.

    V.

    RAZIONALITÀ DELLA DEFINIZIONE CHE AFFERMA LA LIMITAZIONE DELLE RICERCHE TEORICHE ALL'ASPETTO ECONOMICO DEI PROBLEMI DELLA FINANZA PUBBLICA.

    Orientandoci per la divisione dei compiti fra moralisti e scienziati, fra forgiatori di ideali morali e

    politici e ricercatori di coerenti e corrispondenti sistemi finanziari o singoli istituti finanziari, ci avvicinia-mo alla considerazione della natura complessa del fenomeno finanziario. Con la definizione si dà per risol-to il problema del contenuto quantitativo della scienza delle finanze, implicitamente ed esplicitamente limi-tandolo al campo economico eminentemente.

    Relativamente alla attualità di questa mia posizione, mi sia concesso di riferirmi a Taylor17, un va-loroso cultore di finanza pubblica degli Stati Uniti la cui concezione metodologica si riflette nella affinità delle intestazioni dei rispettivi volumi. Orbene, egli afferma che il campo è così esteso e profondo, che la soluzione del problema fiscale richiede «la coordinazione di sforzi di più specialisti».

    Una visione ortodossa come questa non appare pacifica proprio e purtroppo in Italia, terra in cui sono fioriti rigorosi ed apprezzati studi di scienza pura delle finanze, a giudicare da affermazioni e posizioni come le seguenti, che meritano critica nel senso indicato in precedenti edizioni di queste lezioni.

    Di fronte all'ideale razionale, costituito dalla auspicabile (18) separazione dei due insegnamenti (se-parazione che già ebbe luogo dissociando l'economia politica dal diritto commerciale, in fase di minor pro-gresso scientifico svolti in unico insegnamento, occorre tuttavia riaffermare la netta separazione, almeno in

    __________ 16 MYIRDAL, L'elemento politico nella formazione delle dottrine dell'economia pura, traduzione per la Biblioteca

    Sansoni: 17 TAYLOR PH. E., The economics of public finance, New York, MacMillan, 1948. 18 Anche secondo GIANNINI A. D., Rivista Italiana di diritto finanziario, 1939, n l.

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    sede scientifica, della scienza delle finanze dal diritto finanziario e da altre discipline che possono recar luce sulla spiegazione dei fatti finanziari (politica finanziaria, tecnica amministrativa, ecc.).

    Scritti di docenti di scienza delle finanze e diritto finanziario continuano a creare confusione fra: a) analisi teorica ai fini della ricerca scientifica nei rispettivi campi riservati alle due discipline che

    vanno sotto il nome di scienza delle finanze (dal contenuto assai vago se non lo si restringe ad indicare l'e-conomia finanziaria, tant'è che secondo lo Zingali detta «scienza» dovrebbe contenere anche il diritto finan-ziario); nonché analisi, sempre in sede teorica (secondo un processo comune a tutte le scienze anche le più progredite ed esatte), che rende necessaria la separazione, ai fini di studio e di costruzione scientifica, degli aspetti sotto i quali si presenta la fenomenica concreta da un canto, e, dall'altro:

    b) sintesi per esigenze di insegnamento universitario, nel senso che ad un solo docente si assegni la illustrazione dei due fondamentali aspetti dai quali è stato sinora precipuamente studiato il fatto finanziario;

    c) sintesi scientifica che, degna di tal nome, non abbiamo ancora visto e forse non vedremo presso un solo cultore;

    d) sintesi per i fini concreti di interpretazione della legislazione positiva ovvero di spiegazione di istituti, sistemi ecc. che danno corpo ad una data realtà fenomenica.

    Inoltre, legislazione e diritto vengono alternativamente e indifferentemente usati, laddove dovrebbe essere evidente, se mai, la correlazione fra sistemazione scientifica del reale e rappresentazione pura e sem-plice del reale.

    Poiché seguendo codesti indirizzi, ancora nel tempo presente (in cui la posizione delle scienze ri-spetto ai fenomeni risulta pacifica nel mondo scientifico che comprende le più varie discipline) si darebbe luogo a contrasto e, in definitiva, a regresso nel campo della teoria finanziaria, occorre segnalare il distacco fra posizioni che finiscono per essere erronee, di cui do un breve florilegio, e criteri scientifici rigorosi a cui deve rispondere lo studio della economia finanziaria e del diritto finanziario.

    A) E' occorso di leggere, ad esempio, in un saggio metodologico recentissimo di G. Zingali (19), af-fermazioni come le seguenti, che il lettore noterà come, dettate da esigenze concrete, non siano conciliabili con la posizione dello scienziato, quale farò risultare da altre affermazioni metodologiche che oltre segui-ranno.

    Dopo aver fatto il caso limite in sede di definizione, come sopra ricordato, della scienza delle finan-ze che «abbraccia tutti gli aspetti dai quali può essere scientificamente riguardato il fenomeno finanziario» (e ciò teoricamente oltre che didatticamente), lo Zingali elogia il corso di E. Vanoni, in due volumi che «of-frono una manifestazione plastica del contenuto misto della disciplina» (divenuta una sola nonostante prima si discorra di economia e diritto). Detto corso, secondo lo Zingali, dovrebbe «scegliersi a modello» (da quanti vogliano non solo rientrare nell'orbita ufficiale della nostra materia) «ma anche praticarla in senso veramente scientifico ed unitario, così come da trenta anni sta tenacemente sostenendo Benvenuto Griziot-ti».

    Non sottolineo quanto di contrario alla migliore tradizione ed al metodo scientifico sia in questa proposizione. Mi limito a far risultare detto giudizio dalla posizione degli scienziati di ieri e di oggi in tutti i campi e dalle stesse concezioni qualche anno fa professate dallo Zingali.

    Ancora lo Z. asserisce che il vero cultore di finanza, per fatalità, non possa prescindere dal diritto (ed usa detto termine in luogo di legislazione), che dà corpo alle ipotesi di teoria pura o consente di verifi-care queste e le deduzioni che scientificamente ne discendano.

    __________ 19 Incluso nel volume, in onore del prof. Tivaroni, dal titolo Finanza pubblica contemporanea Bari, Laterza, 1950

    nel quale, come si è visto, richiama idee ben più cautamente esposte in questo senso, nelle Lezioni di Scienza delle fi-nanze Catania, Muglia, 1947 in cui la questione pratica o didattico-accademica era preminente. Infatti fra l'altro a pag. 26, suggerisce agli aspiranti all'insegnamento della scienza delle finanze, cioè ai «docenti di do mani» appena laureati, di «cominciare ad impostare la loro preparazione in entrambi i sensi» giuridico ed economico «trascurando ogni prefe-renza concettuale e prendendo in armonica e proporzionata considerazione tutti e quattro gli elementi costitutivi della materia» cioè anche il politico ed il tecnico.

    Il che potrebbe. accogliersi per il «docente», nel senso che la sua cultura, di cui debba dar saggio nelle lezioni acca-demiche, dovrebbe abbracciare dette conoscenze. Però anche il «docente» non dovrebbe essere un passivo ripetitore di nozioni frutto dell'altrui ricerca, ma debbono le medesime essere criticamente rivissute con la mente orientata verso un solo ordine di logiche argomentazioni.

    D'altra parte in queste mie pagine si tratta di creazione o costruzione scientifica, di studio tendente a trovare, per contributo originale singolo o rispettivo, uniformità teoriche per il progresso della scienza coltivata razionalmente.

  • ERNESTO D’ALBERGO, ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA Edizione digitalizzata a cura di Nino Luciani, Alm@-DL , Bologna 2009

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    L'economia finanziaria e il diritto finanziario, secondo Zingali, non soltanto debbono essere coordi-nati ma «fusi nell'esame analitico e sintetico delle questioni». Così che si dovrebbe «costruire il diritto fi-nanziario su basi economiche e l'economia finanziaria su basi giuridiche». «Solo se gli studiosi sapranno essere contemporaneamente economisti e giuristi, l'economia finanziaria e il diritto finanziario potranno trovare, nel corso universitario, la loro definitiva saldatura». Sarebbe il trionfo completo dell'indirizzo «mi-sto».

    Meraviglia come lo Zingali, dotato di molto equilibrio intellettuale, abbia mutato rapidamente idea, nel giro di due anni. Invero, nell'edizione del 1947 delle «Lezioni di scienza delle finanze» (Muglia, Cata-nia), egli dichiarava (p. 24) di non volere «mescolamento scientifico di discipline diverse». Mescolamento di cui si ha prova palese, nella confusione logica con cui abbiamo visto e vediamo trattare problemi di teo-ria in questi anni. Ma dopo avere ammesso correttamente che le discipline, «se pure si riferiscano allo stes-so campo (finanziario), non cessano di essere economia, diritto, politica e tecnica (e, quindi, di godere della propria autonomia), si rendeva conto delle «enormi difficoltà cui andrebbe di volta in volta incontro quel cervello privilegiato che tentasse una tale sintesi». Così già egli osservava al Griziotti, che parlando al plu-rale si qualificava fra i «finanzieri integrali (20), ad un tempo economisti, politici, giuristi e tecnici», Zingali cavallerescamente opponeva trattarsi di «una rondine che non fa primavera».

    Non so che cosa potrebbero pensare gli studiosi stranieri, leggendo di siffatti proposti indirizzi «mi-sti», che non figurano in nessun campo scientifico odierno. Mi riferisco agli studiosi stranieri che hanno tri-butato all'Italia, per merito dei suoi studiosi di scienza delle finanze ovvero degli economisti, l'omaggio che è dovuto ai rigorosi sistematori di una disciplina più con monografie che con trattati. Chi di noi cerchi di seguire quanto nel mondo si pensa e si scrive in un. solo settore della sola scienza economica, e si sforzi di tener dietro al progresso che la specializzazione sospinge sempre più, può comprendere come un program-ma di lavoro scientifico (come quello di cui si sono esposte le caratteristiche), esca anche dal campo delle possibilità ovvero delle capacità di chi intenda, davvero, fare opera scientifica e non miscuglio espositivo di conquiste scientifiche altrui.

    B) Altro genere di confusioni è quello che si nota, sempre in visioni di recente confermate (21), nella argomentazione del Griziotti che �