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1 mAnsa 2 Appunti - DIRITTO PROCESSUALE PENALE.doc DIRITTO PROCESSUALE SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO. I soggetti del procedimento sono figure estremamente diverse fra di loro, vi sono le Parti il Giudice la Polizia Giudiziaria I soggetti del procedimento sono coloro che appaiono titolari di potere di iniziativa all’interno del procedimento. Il compimento di un atto da parte di un soggetto del procedimento, fa sorgere in altri soggetti del procedimento, il dovere di compierne uno successivo. Per capire il concetto di parte, bisogna fare riferimento all’azione principale, sempre presente, che viene esercitata nel processo penale ovvero l’azione penale. Per individuare quali sono le prime parti del processo penale occorre guardare al soggetto attivo e al soggetto passivo dell’azione penale. il soggetto attivo, titolare esclusivo dell’azione penale, è il pubblico ministero, il soggetto passivo è l’indagato che diventa imputato nel momento in cui viene esercitata l’azione penale . Quindi, per individuare il concetto di parte bisogna fare riferimento alle azioni che vengono esercitate all’interno del processo penale e prima di tutte all’azione penale. Nel processo penale, può essere comunque esercitata anche un diverso tipo di azione e cioè un’azione civile e questo perché, un fatto che costituisce reato per il nostro ordinamento, assume rilievo anche come fatto illecito previsto dal codice civile; un fatto illecito è fonte del diritto al risarcimento del danno ed eventualmente quando possibile, alle restituzioni, in favore della persona che è stata danneggiata. Tenendo quindi presente che un fatto storico può essere definito in una duplice maniera ovvero sia come fatto reato sia come fatto

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DIRITTO PROCESSUALE

SOGGETTI DEL PROCEDIMENTO.

I soggetti del procedimento sono figure estremamente diverse fra di loro, vi sono

⇒ le Parti ⇒ il Giudice ⇒ la Polizia Giudiziaria

� I soggetti del procedimento sono coloro che appaiono titolari di potere di iniziativa all’interno del procedimento.

� Il compimento di un atto da parte di un soggetto del procedimento, fa sorgere in altri soggetti del procedimento, il dovere di compierne uno successivo.

Per capire il concetto di parte, bisogna fare riferimento all’azione principale, sempre presente, che viene esercitata nel processo penale ovvero l’azione penale. Per individuare quali sono le prime parti del processo penale occorre guardare al soggetto attivo e al soggetto passivo dell’azione penale. ⇒ il soggetto attivo, titolare esclusivo dell’azione penale, è il pubblico ministero,

⇒ il soggetto passivo è l’indagato che diventa imputato nel momento in cui viene esercitata l’azione penale.

Quindi, per individuare il concetto di parte bisogna fare riferimento alle azioni che vengono esercitate all’interno del processo penale e prima di tutte all’azione penale. � Nel processo penale, può essere comunque esercitata anche un

diverso tipo di azione e cioè un’azione civile e questo perché, un fatto che costituisce reato per il nostro ordinamento, assume rilievo anche come fatto illecito previsto dal codice civile; un fatto illecito è fonte del diritto al risarcimento del danno ed eventualmente quando possibile, alle restituzioni, in favore della persona che è stata danneggiata.

Tenendo quindi presente che un fatto storico può essere definito in una duplice maniera ovvero sia come fatto reato sia come fatto

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illecito civilistico, il legislatore ha previsto che, all’interno del medesimo processo, possano essere esercitate entrambe le azioni.

La persona che ha subito un danno e che quindi è stata danneggiata dal reato, avrà interesse a esercitare l’azione civile nei confronti dell’imputato, quale soggetto che ha causato quel danno; l’azione civile potrà essere eventualmente esercitata nei confronti del responsabile civile quale figura distinta dall’imputato ma che, sotto il profilo civilistico, comunque deve rispondere dei fatti commessi dall’imputato.

L’esempio più semplice è quello della compagnia di assicurazione per la responsabilità civile in

caso di un incidente stradale.

Potrebbe essere chiamato a rispondere di un reato di omicidio colposo una persona che era

alla guida dell’autovettura e che ha causato la morte della vittima.

Nello stesso processo, i prossimi congiunti della persona danneggiata potrebbero però

chiedere che sia chiamata anche la compagnia di assicurazione in modo da avere un soggetto

che sicuramente sia solvibile e che possa rispondere del risarcimento del danno.

Queste due azioni, l’azione penale e l’azione civile, ci consentono di individuare le parti del

processo penale; a queste se ne potrebbe aggiungere un’altra: il soggetto che è civilmente

obbligato per la pena pecuniaria ma è una figura del tutto secondaria e che nella pratica non

fa quasi mai ingresso nel processo penale.

Nel libro primo del codice di procedura penale, il legislatore inizia a trattare la materia facendo riferimento ad un soggetto che non è parte e cioè al Giudice e ne parla trattando dei problemi relativi alla giurisdizione, alla competenza, alla imparzialità del Giudice. Per giurisdizione possiamo fare riferimento ad una definizione generale ovvero alla funzione dello stato, consistente nella applicazione della legge al caso concreto e sotto questo profilo, la giurisdizione si affianca agli altri poteri dello stato.

Nella Costituzione non si trova mai l’indicazione del potere giurisdizionale come potere dello stato; lo si trova definito come ordine, però i costituzionalisti sono tutti concordi nel ritenere che comunque il potere giudiziario è a tutti gli effetti un potere. Il motivo per cui probabilmente non si trova la definizione di potere nella costituzione, è perché il potere giudiziario non fa parte della funzione di indirizzo politico.

Nell’ambito del codice di procedura penale, il concetto di giurisdizione viene in rilievo soprattutto per definire i rapporti tra

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Giudice Ordinario e Giudice Speciale e quindi, quando si parla di giurisdizione nel codice di procedura penale, si intende fare riferimento all’insieme di regole che permettono di distinguere questi due tipi di Giudice. ⇒ Il GIUDICE ORDINARIO è un Giudice che ha una competenza

generale tendenzialmente su tutti i soggetti dell’ordinamento, e che trova la propria regolamentazione nell’ordinamento giudiziario.

⇒ Il GIUDICE SPECIALE è quel Giudice che ha una competenza solo su determinati soggetti dell’ordinamento e non fa parte della magistratura ordinaria.

Partendo dal GIUDICE SPECIALE, nel nostro ordinamento si individuano due figure principali di Giudice Speciale:

• i Tribunali Militari che esercitano la giurisdizione sugli appartenenti alle forze armate

• la Corte Costituzionale quale Giudice penale con riferimento a un’unica figura, quella del Presidente della Repubblica.

Il Presidente della Repubblica è esente dalla giurisdizione salvo che per i reati di attentato alla Costituzione e alto tradimento. Per questi due reati viene sottoposto al giudizio da parte della corte costituzionale e il pubblico ministero è un commissario che viene nominato da parlamento. Quando si parla di impeachment si parla proprio del problema della responsabilità penale del presidente della repubblica rispetto a queste figure di reato.

Occorre definire il concetto di competenza come quella parte di giurisdizione che è svolta da un singolo organo giudiziario. Si individua la competenza attraverso 3 criteri generali: ⇒ attraverso il titolo di reato e allora si parlerà di competenza

per materia; ⇒ in base al luogo dove è commesso il reato e allora si parlerà

di competenza per territorio; ⇒ in base al rapporto che un reato ha con altri reati e allora si

parlerà di competenza per connessione.

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Esistono poi delle figure residuali di competenza che riguardano situazioni del tutto peculiari quali ad esempio, il problema di un procedimento penale in cui un magistrato sia o la persona indagata o imputata o il danneggiato (persona offesa) o ancora il caso in cui il procedimento penale debba essere esercitato nei confronti di una persona che è minorenne. In questo caso vi sono dei criteri speciali di competenza, che rappresentano delle eccezioni rispetto alle regole generali, che danno vita a quella che viene normalmente chiamata competenza

funzionale.

Per quanto riguarda i magistrati, sembra abbastanza ovvio il motivo per cui si deroga alle regole generali, si preferisce allontanare il luogo di celebrazione del processo da quello dove il magistrato esercita le proprie funzioni per garantire al meglio l’imparzialità dell’organo giudicante. Il criterio è che, se ad esempio, un reato è commesso nel distretto di corte d’appello di Venezia, si passa ad un altro distretto di corte d’appello non in base a un criterio arbitrario, ma in base a delle tabelle che sono espressamente previste dalla legge. Quindi, per un reato commesso da o in danno di un magistrato nel distretto di Venezia, si passa al Giudice competente per materia del capoluogo di distretto del Trentino Alto Adige, quindi si va a Trento. Per quanto riguarda i minorenni, anche qui la spiegazione della deroga ai principi generali è abbastanza facile, si preferisce che a occuparsi dei processi nei confronti di una persona minore di anni 18, sia un organo che abbia un qualche grado di specializzazione cioè il tribunale per i minorenni.

Occorre precisare che, mentre la Corte Costituzionale e il Tribunale Militare sono giudici speciali, il tribunale per i minorenni, pur essendo un Giudice specializzato con riferimento a un particolare genere di persone indagate o imputate, non è un Giudice speciale, è un Giudice ordinario e questo, a livello pratico si traduce nel fatto che i rapporti tra il Giudice del tribunale per i minorenni e gli altri giudici ordinari, si risolvono a livello di conflitti di competenza e non di conflitti di giurisdizione. Assodato che la competenza è quella parte di giurisdizione svolta da un singolo organo, all’ art. 4 del codice di procedura penale vi è l’indicazione di come si individua la competenza per ciascun reato secondo la seguente regola:

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“Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato.

Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle

circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti

per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella

ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale”.

Art. 4. - Regole per la determinazione della competenza.

1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

L’elemento che si deve considerare per stabilire la competenza (quando il legislatore indica che si deve dirimere un rapporto tra competenze di organi giudiziari diversi) è quello della pena. Si deve guardare al massimo e non al minimo della pena. Le circostanze del reato hanno rilievo solo in ipotesi del tutto particolari e sono le circostanze ad effetto speciale (che elevano la pena più di un terzo) per cui è prevista una pena di specie diversa. ⇒ Le circostanze che permettono un aggravamento della pena fino a un terzo si chiamano circostanze ordinarie,

⇒ Le circostanze che permettono di elevare la pena a più di un terzo si chiamano ad effetto speciale.

Circostanze per cui è prevista una pena di specie diversa si trovano ad esempio in materia di omicidio, sono quelle circostanze che fanno scattare l’ergastolo, quindi si passa da una pena temporanea alla pena dell’ergastolo.

Quando si parla quindi di competenza per materia, è necessario guardare al titolo di reato ed eventualmente alla quantità di pena che viene erogata per questo reato; sotto questo profilo, il legislatore ripartisce quindi la competenza tra diversi organi giudiziari guardando da un lato il tipo di reato, (certi reati il legislatore preferisce attribuirli ad un organi giudiziario rispetto a un altro) adottando un criterio che può essere definito qualitativo, e dall’altro guardando all’entità della pena secondo un criterio che si può definire quantitativo.

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Sotto questo profilo gli organi giudiziari presenti nel nostro ordinamento, partendo dall’alto:

1. la Corte d’Assise 2. il Tribunale 3. il Giudice di Pace

⇒ la CORTE D’ASSISE quale organo di composizione mista con al suo interno due giudici professionali (magistrati togati, giudici di carriera), e sei giudici popolari (cittadini presenti in elenchi che si trovano in ciascun comune italiano e che vengono estratte a sorte). Questo organo con una composizione così particolare serve per giudicare principalmente due tipi di reato: o i reati di sangue (come l’omicidio volontario) o i reati di terrorismo (i più gravi reati in materia politica

tipo banda armata o eversione dell’ordinamento costituzionale)

Il legislatore quindi, ha voluto che per questa tipologia di reati, ci fosse un organo con soggetti misti al suo interno ovvero un Giudice composto da otto persone più eventualmente delle altre a lato.

Quando in televisione si vede un qualche processo famoso per omicidio, si possono notare dei giudici che vengono inseriti come eventuali riserve e che poi quando si va a decidere in camera di consiglio, non vengono più utilizzati.

I più tipici reati di competenza della corte d’assise, si trovano comunque elencati all’articolo 5 del c.p.p.

Art. 5. - Competenza della corte di assise.

1. La corte di assise è competente: a) per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a

ventiquattro anni, esclusi i delitti di tentato omicidio, di rapina e di estorsione, comunque aggravati, e i delitti previsti dall'articolo 630, primo comma, del codice penale e dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;

b) per i delitti consumati previsti dagli articoli 579, 580, 584 del codice penale; c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli

articoli 586, 588 e 593 del codice penale; d) per i delitti previsti dalle leggi di attuazione della XII disposizione finale della Costituzione, dalla legge 9 ottobre

1967 n. 962 e nel titolo I del libro II del codice penale, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.

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⇒ il GIUDICE DI PACE si occupa di microcriminalità, è un Giudice che ha particolari funzioni conciliative, è un Giudice sempre monocratico, è un Giudice onorario in quanto è contrapposto alla figura di Giudice professionale. Non è un magistrato che ha vinto un pubblico concorso, è un magistrato che ha la laurea in giurisprudenza e ha superato una certa abilitazione; in alternativa potrebbe essere una persona che ha svolto la professione di notaio oppure ha insegnato in materie giuridiche.

In materia di infortuni sul lavoro ha una competenza estremamente residuale, limitata ad incidenti con lesioni non superiori a venti giorni (quindi per le lesioni superiori a venti giorni passiamo alla competenza del tribunale, sotto i venti giorni rimane il Giudice di pace).

⇒ Il TRIBUNALE è il terzo organo giudiziario che sta in mezza fra il la Corte d’Assise ed il Giudice di Pace e si presenta in due forme:

o il Tribunale in composizione collegiale che giudica con tre Giudici tutti e tre giudici professionali;

o il Tribunale in composizione monocratica che giudica con un unico Giudice

La particolarità di questo sistema sta nel fatto che, quando si è voluto eliminare la figura del pretore e sostituirla con i Tribunali in composizione monocratica, si è deciso che i rapporti tra i Tribunali in composizione collegiale ed il Tribunale in composizione monocratica, non fossero rapporti di competenza ma fossero dei rapporti definiti di “cognizione” all’interno dello stesso ufficio giudiziario.

Dal punto di vista ontologico non esiste una differenza fra competenza e cognizione se non il fatto che parlando di competenza rivolgendosi ad un Giudice incompetente, questo Giudice dovrà pronunciare una sentenza di incompetenza, mentre, rivolgendosi al Tribunale in composizione collegiale invece che al Tribunale in composizione monocratica, il problema dei rapporti fra questi due organi, all’interno della stessa competenza, si risolve mediante la pronuncia di semplici ordinanze che prevedono la trasmissione di atti dall’uno all’altro di questi due organi, salvo nei casi del tutto peculiari.

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In sostanza mentre prima, quando esisteva la figura del pretore, i problemi fra pretore e tribunale, che allora era sempre in composizione collegiale, erano problemi definiti di competenza, mentre adesso questi problemi non sono più definiti di competenza ma di cognizione il che, tradotto nella pratica, si traduce nel fatto che non vengono più pronunciate delle sentenze e che i tempi entro cui possono essere sollevate le relative eccezioni sono molto più ristretti.

Il criterio per stabilire quando un procedimento è di competenza del collegiale e quando del monocratico è duplice e per differenziarli, si parte intanto dal tribunale in composizione collegiale; la legge vuole che determinati reati che esigono una peculiare preparazione tecnica oppure che siano abbastanza allarmanti per l’opinione pubblica, siano trattati da un Giudice collegiale; due i criteri:

o da un lato la materia commerciale, il reato commerciale, i reati contro la pubblica amministrazione, i reati di violenza sessuale sono sempre portati davanti al Giudice collegiale.

o dall’altro un criterio quantitativo: se per un reato è prevista una pena superiore a dieci anni, allora la competenza è del tribunale collegiale.

Tutto il resto è di competenza del tribunale in composizione monocratica, compresa un’importantissima eccezione, ovvero i reati in materia di stupefacenti; per questi reati, se non concorrono particolari aggravanti, la competenza è del Giudice monocratico. L’eccezione è molto importante perché per i reati in materia di stupefacenti, in particolare l’articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, la pena editale è fino a vent’anni. In questo caso un Giudice monocratico può erogare una pena che arriva quindi fino a vent’anni di reclusione.

Gli infortuni venivano trattati sempre da un monocratico perché il tipo di pena che è prevista è un tipo di pena che rientra nella cognizione del magistrato monocratico. Stabilire che cos’è un reato è una questione di diritto penale sostanziale; per stabilire che cos’è un reato, il criterio generale è negli articoli 33-bis e 33-ter dove si trova l’elencazione di una serie di reati, attraverso questa elencazione, si dovrebbe, in linea di massima, saper ricostruire qual è la competenza. In quasi tutti i codici comunque, dopo la descrizione del reato, ve la indica lo stesso codice qual è la competenza, quindi quello di poter essere incerti su quale sia la competenza tra tribunale monocratico e tribunale in composizione collegiale è un problema che si pone solo raramente per i reati di tipo speciale. Non è un problema che dovrebbe essere difficile da risolve se si conoscono anche gli altri criteri oltre a quello della competenza per materia, in quanto questi criteri vengono applicati sempre congiuntamente.

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Accanto alla competenza per materia vi è la competenza per

territorio e cioè si guarda al luogo dove il reato è consumato. Il principio generale è che il legislatore vuole che ci sia un collegamento tra il Giudice e l’ambito territoriale all’interno del quale il reato è stato consumato ed è appunto per questa ragione che nell’articolo 8 del c.p.p. si trova la regola generale sulla competenza per territorio. � Il luogo in cui il reato si è consumato è il luogo in cui si

sono realizzati tutti gli elementi costitutivi del reato.

Nell’articolo 8, accanto alla regola generale vi sono delle precisazioni che non rappresentano un’eccezione rispetto alla regola generale ma delle concrete applicazioni di questa stessa regola.

Art. 8. - Regole generali.

1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato. 2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è

avvenuta l'azione o l'omissione. 3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche

se dal fatto è derivata la morte di una o più persone. 4. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a

commettere il delitto.

1° applicazione: “Se si tratta di un fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il Giudice del luogo in cui

è avvenuta l’azione o l’omissione.”

Un problema che in materia di infortuni sul lavoro non dovrebbe presentare gravi difficoltà; se una persona viene uccisa, e qui non ha ovviamente rilievo l’elemento psicologico del reato quindi parliamo sia di omicidio colposo che di omicidio doloso, si guarda non al luogo dove la persona è deceduta ma al luogo in cui è stata posta in essere l’azione o l’omissione.

Esempio: se si ha un infortunio sul lavoro nel circondario del tribunale di Venezia e la persona viene portata all’ospedale a Padova e muore nell’ospedale di Padova, in base alla regola generale (la prima: luogo di consumazione del reato) e siccome la morte è un elemento costitutivo del reato di omicidio colposo, si dovrebbe dire che competente per territorio è il tribunale di Padova, ma siccome il legislatore si è ben reso conto che in questi casi il luogo in cui può realizzarsi l’evento morte può essere non direttamente collegato al luogo dove il fatto si è completamente verificato, ha preferito fare riferimento al luogo in cui si è svolta l’azione o l’omissione, quindi il luogo, ad esempio, dove vi era il cantiere. Questo comunque per dire, che non si è di fronte a delle eccezioni rispetto alla regola generale ma a delle applicazioni di questa stessa regola.

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2° applicazione: è rivolta al reato permanente; il reato permanente, è un istituto di diritto penale sostanziale, è un reato in cui l’offesa della persona si protrae nel corso del tempo. Tipici reati permanenti sono il maltrattamento in famiglia oppure il sequestro di persona; qui l’offesa non viene realizzata in un solo momento ad esempio come accade nel delitto di lesioni, nel delitto di omicidio, ma si realizza nel corso del tempo. In questi casi, per evitare che non potesse essere la stessa persona che commette reato a scegliere il Giudice competente decidendo di far finire il reato in un luogo piuttosto che in un altro, si è guardato al Giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione

del reato. Esistono poi delle regole suppletive che vengono applicate nel caso in cui, sulla base di questi criteri, non sia possibile stabilire il luogo in cui il reato è consumato. Sono delle regole suppletive che sono elencate nell’articolo 9 ma su cui non ci si soffermerà. 3° applicazione: il terzo criterio per individuare la competenza è il criterio della competenza per connessione (art. 12 c.p.p.).

Art. 12. - Casi di connessione.

1. Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più

persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento; b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od

omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso; c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri.

Il legislatore considera che, a volte, vi sono dei collegamenti fra più reati e questi collegamenti sono così stretti fra di loro che appare opportuno celebrare un processo unico per questi più reati. Questo può comportare che non vengano applicate le altre e gli altri criteri di competenza e si debba applicare un criterio unico che permetta, quando più reati che secondo gli altri criteri dovrebbero far si che il processo venisse celebrato in luoghi diversi, di stabilire ed individuare un unico Giudice competente.

Esempio: se si ha un infortunio sul lavoro nel circondario del tribunale di Venezia e la persona viene portata all’ospedale a Padova e muore nell’ospedale di Padova, in base alla

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regola generale (la prima: luogo di consumazione del reato) e siccome la morte è un elemento costitutivo del reato di omicidio colposo, si dovrebbe dire che competente per territorio è il tribunale di Padova, ma siccome il legislatore si è ben reso conto che in questi casi il luogo in cui può realizzarsi l’evento morte può essere non direttamente collegato al luogo dove il fatto si è completamente verificato, ha preferito fare riferimento al luogo in cui si è svolta l’azione o l’omissione, quindi il luogo, ad esempio, dove vi era il cantiere. Questo comunque per dire, che non si è di fronte a delle eccezioni rispetto alla regola generale ma a delle applicazioni di questa stessa regola.

Lettera a

Partiamo dal presupposto che quando si parla di connessioni si fa riferimento ad un collegamento molto stretto fra vari reati; l’articolo 12 porta come primo caso (lettera a) quello in cui vi sia un reato commesso da più persone tra di loro. È il caso del reato plurisoggettivo come ad esempio un furto che può essere commesso da due o più persone. Se un furto è commesso da due persone siamo in presenza di un reato concorsuale che può essere visto anche come un insieme di due reati: il reato commesso dal soggetto A e il reato commesso dal soggetto B e se le due persone hanno agito nello stesso luogo, non esistono problemi nello stabilire quale sia il Giudice competente, mentre se le persone agiscono in luoghi diversi il problema sussiste. Accanto alla figura di più persone che hanno commesso un

reato in concorso fra di loro (reato doloso), vi sono quelle di reato colposo

o della cooperazione nel reato di più persone; o di più persone che con condotte indipendenti hanno

determinato l’evento. Nel reato colposo, il reato potrebbe essere stato commesso da più soggetti senza la coscienza e la volontà di commettere insieme un reato e la condotta di questi soggetti, attraverso l’elemento della colpa, può determinare un evento previsto dalla legge come reato.

Ad esempio: un datore di lavoro e un preposto, non ottemperando alle regole che ciascuno dei due dovrebbe seguire, possono determinare la mancata osservanza di regole in materia antinfortunistica e da qui derivare un evento di lesione o un evento di morte. Quindi, più persone hanno cooperato alla commissione di un reato.

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Un'altra ipotesi potrebbe essere quella di un infortunio sul lavoro che causa una lesione ad un soggetto che viene ricoverato in ospedale; in ospedale i medici sbagliano l’intervento e la persona muore. Anche in questo caso ci sono più condotte indipendenti tra loro completamente slegate che hanno determinato un evento unico; da un lato c’è la condotta del datore di lavoro e del preposto, dall’altro c’è la condotta dei medici.

Lettera b

Accanto al criterio dell’articolo 12 lettera a, vi è la figura del reato continuato o del concorso formale di reati; sono tutti istituti di diritto sostanziale ed hanno un diritto procedurale. È possibile che con una stessa azione o omissione, una persona violi più norme penali e/o più volte la stessa norma penale; in questo caso parliamo di concorso formale; quindi una sola azione o omissione determina la violazione di più norme penali. Più diffuso nella realtà concreta è il caso della continuazione ovvero di più azioni od omissioni da parte di un soggetto, dove però queste azioni sono collegate fra di loro da un disegno criminoso unitario; in questo caso, sotto il profilo del diritto penale sostanziale, il legislatore considera sotto il profilo della pena il reato unico ed invece di applicare tante pene distinte, applica la pena del reato più grave magari aumentata fino al triplo.

Il caso più banale può essere quello della persona che in una stessa nottata va a rubare in più appartamenti diversi; in questo caso abbiamo un disegno criminoso unitario ma più reati distinti. I reati vengono unificati tra di loro e viene applicata la pena del reato più grave con la possibilità di aumentarla fino al triplo.

Il concetto di reato continuato, presuppone quello di disegno

criminoso unitario, quindi ci vuole la coscienza e volontà di

commettere il reato, il dolo.

Per i reati colposi non ci potrà mai essere un reato continuato perché in linea di principio non c’è una volontà criminosa unitaria.

Per determinare la pena si ricorre all’articolo 81 del codice penale; si prende la violazione dell’atto più grave, si determina entro la cornice della pena editale prevista da questo reato la pena, e poi si aumenta questa pena al massimo fino al triplo.

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Di solito poi viene aumentata di poco, insomma è un istituto che consente di contenere la pena, è favorevole all’imputato più che essere sfavorevole, nonostante alla base ci sia l’idea di una persona che commette più reati con un disegno criminoso unitario. Sotto un certo profilo potrebbe sembrare una contraddizione che una persona che commette più reati ed ha un disegno criminoso unico, venga premiata. È una norma il cui significato sta nel cercare di attenuare il rigore che deriverebbe dall’applicazione delle norme sul cumulo materiale. Perché, applicando per ciascun reato una singola pena, in casi come questi a volte andremmo a pene che appaiono francamente eccessive.

Lettera c

Il terzo caso è quello della connessione teleologica: i reati per cui si procede sono stati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri. Connessione teleologica vuol dire che c’è un collegamento finalistico tra un reato e un altro.

Ad esempio: si vuole truffare un negoziante comprando un orologio con un assegno che non sarà mai pagato perché è un assegno di provenienza delittuosa quindi protestato come rubato. Vengono commessi due reati: nel momento in cui c’è l’impossessamento dell’assegno che serve per commettere la truffa, si commette un reato di ricettazione dell’assegno e questo reato serve per commettere l’altro, quello di truffa.

Anche qua c’è uno stretto collegamento tra i due reati e queste sono le categorie (a, b, c) che ci interessano quando si parla di connessione di reati. La norma fa riferimento al concetto di procedimento perché si parte dall’ipotesi che per ogni reato vi sia un procedimento, ma dire connessione fra reati e dire connessione fra procedimenti è la stessa identica cosa; in definitiva, se a volte si trova il riferimento a procedimento e a volte reato, non bisogna lasciarsi trarre in inganno, non bisogna lasciarsi confondere, perché si sta parlando dell’identico concetto. Nella fase delle indagini, la necessità di condurre delle indagini unitarie per determinate fattispecie criminose, può sussistere anche al di fuori dei casi dei collegamenti che sono stati individuati ed in particolare questo può accadere nei casi previsti da una norma del

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codice di procedura penale che è l’articolo 371 che indica quelli che sono i collegamenti fra reati.

Art. 371. - Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero.

1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti.

2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate: a) se i procedimenti sono connessi a norma dell'articolo 12; b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o

assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza;

c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. 3. Salvo quanto disposto dall'articolo 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza.

Questa norma individua tutti i casi in cui il pubblico ministero può procedere a delle indagini coordinandole fra di loro e sono dei casi più estesi rispetto ai casi di connessione, sono però dei casi in cui, se da un lato le indagini possono essere svolte in maniera unitaria, dall’altro non deve influire sulla competenza del Giudice. Il pubblico ministero quindi potrà svolgere queste indagini in maniera unitaria però dopo, per stabilire davanti a che Giudice rivolgersi, bisognerà applicare le regole sulla competenza. Riassumendo e concludendo questo punto, attraverso gli articoli 12 e 371 del codice di procedura penale, vengono individuati una serie di collegamenti fra diversi reati, questi collegamenti possono essere: ⇒ particolarmente forti, e siamo di fronte al criterio dell’articolo 12

lettera a); ⇒ criteri di collegamento più deboli ma comunque in grado di

influire sulla competenza e sono gli altri criteri previsti nell’articolo 12;

⇒ criteri sufficienti per coordinare delle indagini tra loro e svolgerle in maniera unitaria, ma non tanto sufficienti da influire sulla competenza e sono i criteri di collegamento delle cosiddette indagini collegate indicate nell’articolo 371 del codice di procedura penale. L’ipotesi tipica è quando la prova di un reato può influire sulla prova di un altro reato; in questo caso le indagini verranno svolte

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in maniera unitaria, ma poi quando si tratterà di individuare il Giudice competente bisognerà distinguere reato per reato. Se non lo faremo verranno sicuramente poste nell’udienza preliminare o nella prima udienza davanti al Giudice del dibattimento delle questioni in ordine alla competenza.

Una volta che siano stati individuati i criteri della competenza per connessione, il legislatore pone delle regole speciali in caso di competenza per connessione determinata da materia o da

territorio. La competenza per connessione può riguardare il problema della competenza per materia o della competenza per territorio e queste norme sono esplicitate negli articoli 13 e seguenti del codice di procedura penale.

Art. 13. - Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali.

1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale, è competente per tutti quest'ultima.

2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'articolo 16 comma 3. In tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario.

Art. 14. - Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni.

1. La connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni.

2. La connessione non opera, altresì, fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi quando era maggiorenne.

Art. 15. - Competenza per materia determinata dalla connessione.

1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della corte di assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la corte di assise.

Art. 16. - Competenza per territorio determinata dalla connessione.

1. La competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato.

2. Nel caso previsto dall'articolo 12 comma 1 lettera a) se le azioni od omissioni sono state commesse in luoghi diversi e se dal fatto è derivata la morte di una persona, è competente il giudice del luogo in cui si è verificato l'evento.

3. I delitti si considerano più gravi delle contravvenzioni. Fra delitti o fra contravvenzioni si considera più grave il reato per il quale è prevista la pena più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità dei massimi, la pena più elevata nel minimo; se sono previste pene detentive e pene pecuniarie, di queste si tiene conto solo in caso di parità delle pene detentive.

� Sotto il profilo della competenza per connessione determinata dal territorio, il legislatore stabilisce questa regola: se vi sono più reati che sono connessi fra di loro, bisogna guardare il reato

più grave ed è questo che determina la competenza.

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Se i reati sono tutti di pari gravità (ci sono più omicidi tra di

loro e/o ci sono più furti tra di loro connessi) si guarda al

reato commesso per primo.

Quindi, in presenza di due reati che fra loro sono connessi, tipo omicidio e furto e per qualche motivo questi reati sono connessi, ad esempio perché per compiere il furto si è commesso un omicidio, occorre guardare al reato più grave; se poi sono stati commessi ovviamente nello stesso luogo il problema non si pone, però si deve partire dal presupposto che questi reati potrebbero essere stati commessi in luoghi diversi e quindi si guarda il reato più grave.

Questo sotto il profilo della competenza per connessione determinata dal territorio. � Sotto il profilo della competenza per connessione determinate dalla materia, la regola è in questi termini: prevale in linea di massima il Giudice superiore quindi prevale la Corte d’Assise

sul Tribunale. Se vi sono reati di competenza del Tribunale e dei reati di competenza della Corte d’Assise, e questi sono tra loro connessi, competente per tutti è la Corte d’Assise.

Ad esempio: si vuole truffare un negoziante comprando un orologio con un assegno che non sarà mai pagato perché è un assegno di provenienza delittuosa quindi protestato come rubato. Vi è un reato contro la pubblica amministrazione, (il tipico reato di competenza del tribunale collegiale) e vi è un reato di sangue di competenza della Corte d’Assise, secondo le regole della competenza per materia, avrei due Giudici diversi davanti a cui celebrare il processo, ma la regola della competenza per connessione, dice che invece il processo deve essere fatto davanti a un unico Giudice e questo Giudice sarà il Giudice del reato più grave ovvero la Corte d’Assise.

La gravità del reato, nel momento in cui questo non sia ancora stato giudicato, la si guarda in astratto e non in concreto; si guarda la tipologia del reato e, sulla base dei criteri che sono in linea principale quello della pena individuati sulla base dell’articolo 4, si individuerà quello che è il reato più grave. Anche in materia di reato continuato, concorso formale, il principio è che non si guarda al reato più grave in concreto ma al reato più grave in astratto; un delitto è quindi sempre più grave di una contravvenzione, un delitto che ha il massimo editale più alto, sarà più grave di un delitto che ha il massimo editale più basso, anche se in concreto il disvalore dell’azione commettendo il secondo delitto è maggiore rispetto a quello che si ha commettendo il primo.

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Una volta che si sia individuata, all’inizio del processo, la

competenza, questa non si sposta a seguito delle vicende del

processo.

Argomenti che sicuramente saranno oggetto dell’esame.

Le figure dell’imputato e dell’indagato (art. 60 c.p.p.).

Art. 60. - Assunzione della qualità di imputato.

1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell'articolo 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo.

2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna.

3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo.

⇒ indagato è il soggetto al quale viene attribuito il reato all’inizio delle indagini e che per tale motivo viene iscritto nel registro delle notizie di reato.

⇒ imputato è una sottospecie dell’indagato ovvero è quell’ indagato a cui il reato è attribuito con la formulazione dell’

imputazione.

quindi la persona viene iscritta nel registro, viene svolta l’indagine ed al termine dell’indagine, il pubblico ministero deve decidere se promuovere o meno l’azione penale nei confronti di quel soggetto: o se non la promuove, viene chiesta l’archiviazione del procedimento e il

procedimento se la richiesta di archiviazione verrà accolta, si estingue. o se invece viene esercitata l’azione penale, ecco che, con la formulazione

dell’imputazione, la persona acquista la qualità di imputato.

L’indicazione di indagato nel codice di procedura penale non è presente se non con l’espressione: persona sottoposta alle indagini. Esiste una regola generale secondo cui le garanzie che sono

previste per l’imputato si estendono all’indagato (art. 61 c.p.p.).

Art. 61. - Estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato.

1. I diritti e le garanzie dell'imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari. 2. Alla stessa persona si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo che sia diversamente stabilito.

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Nel titolo 4 del libro primo, quello relativo alla figura dell’imputato, il legislatore si preoccupa di indicare quelle che sono le regole generali per l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini (indagato), ovvero le regole che deve seguire in linea di principio, tanto l’autorità giudiziaria, quanto la polizia giudiziaria. Per autorità giudiziaria si intende il riferimento a due figure completamente distinte tra di loro:

o il Giudice o il Pubblico Ministero.

Il magistrato è una categoria che comprende il Pubblico Ministero ed il Giudice; il pubblico ministero infatti non è un Giudice ma è comunque un magistrato. Dunque l’articolo 64 dice che durante l’interrogatorio non possono essere utilizzati metodi o tecniche che siano idonee a influire sulla libertà di autodeterminazione del soggetto o alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti.

Art. 64. - Regole generali per l'interrogatorio.

1. La persona sottoposta alle indagini, anche se in stato di custodia cautelare o se detenuta per altra causa, interviene libera all'interrogatorio, salve le cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze.

2. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti .

3. Prima che abbia inizio l'interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma

comunque il procedimento seguirà il suo corso; c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti,

l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197-bis. 3-bis. L'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3, lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese

dalla persona interrogata. In mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3, lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone.

Il principio che sta alla base di questa regola è che la persona che interviene nel corso dell’interrogatorio deve essere libera di scegliere se rendere delle dichiarazioni o meno e che quindi, nemmeno con il suo consenso, questa libertà di autodeterminazione può essere condizionata.

Gli esempi che generalmente vengono fatti sono quelli della narcoanalisi cioè dell’utilizzo di sostanze stupefacenti per influire sulla capacità dei ricordi oppure della macchina della verità.

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Il difensore durante l’interrogatorio non può rispondere al posto del suo assistito perché la risposta all’interrogatorio è un atto personalissimo; ci sono tre categorie di atti:

o gli atti personali; o gli atti personalissimi; o gli atti per i quali il difensore può agire al posto del suo

assistito. L’interrogatorio come l’esame incrociato è il tipico atto personalissimo, quindi il difensore non può rispondere. Quando si inizia un interrogatorio la persona interviene libera all’interrogatorio, l’autorità giudiziaria o l’autorità di polizia deve dare degli avvertimenti, questi avvertimenti sono previsti nell’articolo 64, 3° comma del codice di procedura penale. Sono avvertimenti fondamentali perché, se questi avvertimenti non vengono dati, l’atto avrà delle patologie che verranno sicuramente fuori nelle successive fasi del procedimento. Questi avvisi sono 3:

� Il primo è che le dichiarazioni che la persona rende potranno essere utilizzate nei suoi confronti, quindi la persona deve essere avvisata che ciò che verrà a dichiarare potrà assumere rilevanza contro di lui nel corso del procedimento. Sotto questo profilo se una persona decide di rendere delle dichiarazioni, queste dichiarazioni, in determinati casi (anche nell’ipotesi in cui la persona deciderà al dibattimento la via del silenzio e quindi di non rispondere alle domande), potranno essere conosciute dal Giudice attraverso l’articolo 513 c.p.p. Quello che è importante è che questo avviso ha il significato di porre la persona davanti alla consapevolezza che quello che dirà potrà eventualmente essere conosciuto in una seconda fase anche da parte del Giudice.

� Il secondo avviso che la persona riceve è che ha la facoltà di non rispondere salvo quanto disposto nell’articolo 66.

Art. 66. - Verifica dell'identità personale dell'imputato.

1. Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e

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quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.

2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona.

3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'articolo 130.

Allora, la persona è tenuta a fornire le proprie generalità e sotto questo profilo egli ha un obbligo di rispondere all’autorità che lo sottopone all’interrogatorio ed esistono nel nostro codice penale anche dei reati in questa materia.

Ad esempio l’articolo 651, che è una contravvenzione, prevede i casi in cui una persona si rifiuti di fornire le proprie generalità mentre l’articolo 495 del codice penale, riguarda l’ipotesi in cui uno renda delle false dichiarazioni sulle proprie generalità, un problema che è attualissimo con le persona straniere che sono prive di documenti. Quando una persona viene fermata e non ha dei documenti, viene sottoposto ad un fotosegnalamento; fotosegnalamento vuol dire che gli viene fatta una fotografia e gli si prelevano le impronte digitali. Questi dati entrano in una banca dati e permettono di formare dei certificati attraverso cui l’autorità di polizia giudiziaria e l’autorità giudiziaria, possono sapere quante volte una persona che eventualmente ha fornito false generalità sia stata fermata. Attraverso le impronte quindi digitali si risolve il problema di chi fornisca delle false generalità alla polizia giudiziaria o all’autorità giudiziaria, sulla premessa che è un reato, è un illecito penale fornire delle false generalità.

Viene dato questo avviso e nello stesso tempo gli si dice che ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda.

Il diritto al silenzio della persona, si può manifestare in questo modo: o può decidere di non rispondere a nessuna domanda che gli viene

rivolta; o può rispondere solo ad alcune domande;

questa è una sua scelta. Quindi non è che una volta che si inizia un interrogatorio, la persona indagata e anche la persona imputata, perché le stesse regole valgono in entrambi i casi, debba comunque rispondere a tutte le domande, può decidere di rispondere ad alcune, e ad altre no; in questo caso, l’autorità di polizia darà atto che la persona non intende rispondere alle domande e che eventualmente ha reso la dichiarazione di voler presentare in un momento successivo una memoria. È un suo diritto.

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Oltre al diritto al silenzio viene riconosciuto in linea generale alla persona che è sottoposta all’interrogatorio, la facoltà di mentire. La facoltà di mentire implica quindi che la persona, senza subire delle conseguenze penali, possa raccontare delle menzogne. Il limite che si può individuare alla facoltà di mentire, è quello relativo al delitto di calunnia o al delitto di simulazione di reato, nel senso che si è liberi di mentire per esercitare il diritto di difesa, fino a quando non si calunnia un altro soggetto o si simula un reato.

Il problema è stabilire il momento in cui si passa dall’esercizio del diritto di difesa alla calunnia e la regola che la giurisprudenza ha cercato di individuare è che la persona esercita il diritto di difesa quando si limita a negare dei fatti di cui ad esempio è accusato da un'altra persona e sconfina nel delitto di calunnia quando individua una serie di circostanze tali da fare apparire la persona che ha reso queste dichiarazioni come un falso testimone; in quel momento si passa dal diritto di difesa ad una fattispecie criminosa che è quella del delitto di calunnia. Stabilire in concreto quando ciò accada, può essere molto difficile. Oltre che con il diritto di calunnia, si esce dall’esercizio del diritto di difesa nel caso di simulazione di reato. La simulazione di reato si ha nell’ipotesi in cui si racconti all’autorità di polizia giudiziaria, o al magistrato di un reato che so non essere mai esistito.

� Il terzo avviso che viene dato alla persona è che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri assumerà in ordine a tali fatti l’ufficio di testimone, salvo le incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie previste dall’articolo 197 bis.

Art. 197. - Incompatibilità con l'ufficio di testimone.

1. Non possono essere assunti come testimoni:

a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444;

b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444;

c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria;

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d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391-ter.

Art. 197-bis. - Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che

assumono l'ufficio di testimone.

1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo

371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444.

2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c).

3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio. (1)

4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.

5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette.

6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3. (1)

(1) La Corte costituzionale con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l’illegittimità dei commi 3

e 6 del presente articolo nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del art. 197-bis cod. proc. pen., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione «per non aver commesso il fatto» divenuta irrevocabile.

Questo avviso che è di difficilissima comprensione, probabilmente non viene capito dalla maggior parte delle persone indagate o imputate a cui viene rivolto. Il significato è che nel nostro ordinamento sono previste delle particolari categorie di testimoni quali i testimoni assistiti, che si pongono a metà strada tra il testimone in senso stretto e la figura dell’imputato. Sono persone le quali nonostante nei loro confronti si svolga un procedimento penale, una volta che abbiano reso delle dichiarazioni a carico di terzi, cioè abbiano accusato delle terze persone di avere commesso un reato, possono essere

ascoltate con l’obbligo di dire la verità; quindi nel momento in cui rendono delle dichiarazioni a carico di terzi, successivamente nell’ambito del procedimento, potranno essere obbligate a dire la verità.

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Per capire quando ciò accade si deve prendere l’articolo 197 del codice di procedura penale che viene richiamato anche espressamente dalla lettera C dell’articolo 64. L’articolo 197, indica alcune figure di soggetti che sono incompatibili con la figura del testimone ed allora ecco che ritorna il criterio di collegamento dell’articolo 12. L’articolo 197 dice che i coimputati del medesimo reato, e le persone

imputate di un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma primo, lettera A, non possono mai essere sentiti come

testimoni, salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata una sentenza passata in giudicato. Collegando l’articolo 197 con l’articolo 64 e con l’articolo 12, si ha che se una persona rende dichiarazioni a carico di terzi, nel corso di un interrogatorio davanti alla polizia giudiziaria, e queste dichiarazioni sono rese nei confronti del coimputato, oppure nei casi degli altri criteri indicati dall’articolo 12, non potrà mai essere sentita come testimone assistito all’interno del procedimento. Se invece non siamo in presenza di questa ipotesi, ma siamo in presenza di un criterio di connessione debole, oppure di collegamento probatorio che è ancora qualcosa di meno rispetto alla connessione, ecco che l’avviso previsto dall’articolo 64 lettera C acquista importanza perché all’interno del procedimento penale, la persona potrà essere sentita come testimone assistito. È in questo caso specifico che l’articolo 64 3° comma lettera C, ha un concreto campo di applicazione. Nei due i casi previsti dalla lettera A e dalla lettera B, la qualità di testimone assistito potrà essere assunta solo nel momento in cui la sentenza sia passata in giudicato.

Nell’articolo 64 lettera C si fa riferimento all’ipotesi delle incompatibilità perché non è vero che ogni volta che una persona rende dichiarazioni a carico di un terzo assumerà la veste di testimone assistito; l’assumerà solo se il reato per cui si procede nei confronti della persona che sta dichiarando e quello relativo alla persona in relazione alla quale sono rese le dichiarazioni hanno tra loro un criterio di collegamento relativamente debole, quindi o una connessione debole oppure un collegamento probatorio. Il fatto poi che nell’articolo 64 si faccia riferimento al concetto di garanzie, è perché questa persona nel momento in cui assumerà la veste di testimone, verrà comunque sentita con l’assistenza di un difensore (presenza che in

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generale viene disciplinata nell’articolo 197 bis secondo comma, con riferimento a queste ipotesi). Anche nei casi in cui nei confronti di una persona viene pronunciato un decreto di archiviazione, e quindi non sia più un indagato, ma sia un ex indagato, la maggior parte degli autori ritiene che questa persona debba comunque essere sentita come testimone assistito, oppure come imputato di procedimento connesso con tutti i limiti che ciò comporta, perché nei suoi confronti non è stata pronunciata una sentenza irrevocabile ed il decreto di archiviazione non è una pronuncia irrevocabile.

L’avviso lo dovete dare sempre, e quando date l’avviso dell’articolo 64 terzo comma lettera C, state per dire a questa persona che potrà assumere, non che assume nel vostro procedimento, quindi l’interrogatorio lo continuate come l’avevate iniziato; è in una fase successiva che lui potrà essere eventualmente sentito come testimone assistito, il che vuol dire nella sostanza che potrà essere obbligato a rispondere. Introducendo questo avviso dell’articolo 64 lettera C, il legislatore a differenza di prima, ha voluto che, in certi limitati casi, non in tutti, chi rende durante le indagini delle dichiarazioni a carico di altre persone, non possa tirarsi indietro al dibattimento e debba deporre sotto l’obbligo di verità. Questo non sarà possibile in tutti i casi ovvero nelle ipotesi che sono quelle previste dall’articolo 12 lettera A dove il legislatore preferisce dare la precedenza al diritto al silenzio rispetto al diritto di confrontarsi.