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1. Dio In questo capitolo vedremo se il Cristianesimo si fondi sull'esistenza di Dio. Per questo esporremo: - Il concetto di Dio - I modi per arrivare a dire che un Dio c'è: - l'intuizione - l'esperienza - il ragionamento - la fede in qualche "profeta" - Come si distingue il Cristianesimo dalle religioni monoteiste - La valutazione che il Cristianesimo dà delle "prove" In appendice: alcune prove dell'esistenza di Dio I. Il problema Molte persone sono convinte che il Cristianesimo si fondi sull’esistenza di Dio. Infatti si sente dire: «Sono cristiano e perciò credo in Dio» o, peggio ancora: «Credo in Dio e perciò sono cristiano». Che dire di queste affermazioni? II. Il concetto di Dio Comunemente chi usa il termine Dio intende un Assoluto, un essere trascendente, una realtà infinita esterna al nostro mondo. Si può trovare anche qualcuno che vede come Dio una realtà interna al nostro mondo o meglio il mondo stesso (panteismo). N.B. Non è detto però che questo Dio sia unico. Potrebbero essercene molti (cfr. per es. la mitologia greca o romana). III. L’esistenza di Dio 1. C’è un Dio? - A questa domanda anche oggi qualcuno risponde di sì. Ma necessariamente arriva la seconda domanda: Come fa a sapere che c’è? 2. I modi per conoscere una realtà Si può arrivare a dire che una «cosa» qualsiasi esiste attraverso quattro strade: l’intuizione, la constatazione, la dimostrazione,la fede. DIO C'È ? COME LO SAI ? - Lo intuisco = Esperienza diretta - Lo vedo - lo sento - l'ho visto = Sensazione (esperienza indiretta) - Lo dimostro = Prove razionali - Me l'hanno detto = Testimonianza = Fede - Ne ho bisogno = L'irrazionale

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1. Dio

In questo capitolo vedremo se il Cristianesimo si fondi sull'esistenza di Dio. Per questo esporremo: - Il concetto di Dio - I modi per arrivare a dire che un Dio c'è: - l'intuizione - l'esperienza - il ragionamento - la fede in qualche "profeta" - Come si distingue il Cristianesimo dalle religioni monoteiste - La valutazione che il Cristianesimo dà delle "prove" In appendice: alcune prove dell'esistenza di Dio

I. Il problema Molte persone sono convinte che il Cristianesimo si fondi sull’esistenza di

Dio. Infatti si sente dire: «Sono cristiano e perciò credo in Dio» o, peggio

ancora: «Credo in Dio e perciò sono cristiano».

Che dire di queste affermazioni?

II. Il concetto di Dio Comunemente chi usa il termine Dio intende un Assoluto, un essere

trascendente, una realtà infinita esterna al nostro mondo.

Si può trovare anche qualcuno che vede come Dio una realtà interna al

nostro mondo o meglio il mondo stesso (panteismo). N.B. Non è detto però che questo Dio sia unico. Potrebbero essercene molti (cfr. per es. la mitologia greca o romana).

III. L’esistenza di Dio

1. C’è un Dio? - A questa domanda anche oggi qualcuno risponde di sì.

Ma necessariamente arriva la seconda domanda: Come fa a sapere che c’è?

2. I modi per conoscere una realtà Si può arrivare a dire che una «cosa» qualsiasi esiste attraverso quattro

strade: l’intuizione, la constatazione, la dimostrazione,la fede.

DIO C'È ? COME LO SAI ? - Lo intuisco = Esperienza diretta - Lo vedo - lo sento - l'ho visto = Sensazione (esperienza indiretta) - Lo dimostro = Prove razionali - Me l'hanno detto = Testimonianza = Fede - Ne ho bisogno = L'irrazionale

PROVE o FEDE IN INDIZI TESTIMONI

(in base a garanzie)

ESPERIENZA "PROPRIA DI DIO" Questa strada per arrivare ad un Dio è quella seguita dalle tre grandi

(grandezza misurata sul numero dei fedeli) religioni "rivelate":

- l’Ebraismo crede a Mosè ed ai profeti che dicono di aver visto

il Dio Jhwh;

- il Cristianesimo crede a Gesù che dice di essere il Figlio del Dio Jhwh;

- l'Islamismo crede a Maometto che dice di essere il Profeta (portavoce)

del Dio Allah (che è un altro nome del Dio Jhwh).

L'ASCOLTATORE REAGISCE: - NON TI CREDO = non mi fido di te perché * sei un illuso (ti sei ingannato) * sei un bugiardo (mi vuoi ingannare) - TI CREDO = ho fiducia in te: accetto perciò il Dio di cui tu mi parli perché * mi sembri una persona competente ed onesta

e) Il "bisogno" di Dio Qualcuno, non trovando una spiegazione a molti fatti della sua vita, o

sentendosi solo a vivere, invoca una spiegazione esterna, un aiuto

esterno che gli dia sicurezza.

Questo "Dio" potrebbe essere giudicato un volgare "tappabuchi" delle

proprie insicurezze.

L'ESISTENZA DI DIO SECONDO IL CRISTIANESIMO - GESÙ DI NAZARETH HA DETTO DI ESSERE "FIGLIO DI DIO" - HA GARANTITO CON LA SUA RISURREZIONE LA VERITÀ DELLA SUA AFFERMAZIONE - DUNQUE PER IL SEGUACE DI GESÙ (= chi ha fiducia in Lui = il cristiano): * DIO ESISTE * È IL PADRE DI GESÙ

f) Piccola conclusione

IV. Il Dio cristiano (= di Gesù Cristo) È impreciso dire che il Cristianesimo si fonda sull'esistenza di Dio. Affermare

che c'è un Dio non è caratteristico solo dei cristiani: molte religioni infatti

ammettono uno o più dèi.

Ciò che caratterizza il Cristianesimo (senza tuttavia esserne il fondamento)

è l’accettazione del Dio fatto conoscere da Gesù. Egli, dicendo di

esserne il Figlio, rivela che quel Dio, di cui già parlò Mosè, è suo Padre. Perciò la frase «Credo in Dio», che si usa anche nella messa, nel Cristianesimo può

avere un solo significato: «Mi fido di Gesù che rivela definitivamente l’unico Dio e,

sulla sua parola (incontrollabile!), accetto che questo Dio sia Padre. E l’accetto, perché

Gesù l’ha garantito risorgendo».

2. Il CRISTIANESIMO è una RELIGIONE? In questo capitolo vedremo

se il Cristianesimo sia una religione. Per questo esporremo: - il concetto di religione - i tipi di religione: - naturali - rivelate e i rapporti tra religioni naturali e rivelate - il concetto di salvezza - il Cristianesimo è una religione rivelata da Gesù, ritenuto il Cristo.

I. Il problema Qualcuno dice che il Cristianesimo è una religione.

Cosa dire di questa affermazione?

II. Il concetto di religione Se si fa una ricerca sui dizionari italiani del significato della parola «religione», si

scopre che essi danno di religione molte definizioni diverse, indice della confusione

di idee che regna al riguardo.

Appena l’uomo prende coscienza di esistere ed inizia a ragionare, si accorge di non essere padrone

del suo destino, ma di camminare verso la morte.

Si pone allora queste o simili domande:

- Chi sono io?

- Di dove vengo? Dove vado?

- Che senso ha la mia vita?

Però due strade si aprono all’uomo per rispondere a questi interrogativi

cui non può sottrarsi:

1. L’uomo cerca di risolvere mediante la ragione umana le questioni che la

sua esistenza gli pone. Nascono così le varie religioni naturali.

2. L’uomo accetta di fidarsi di qualche maestro ritenuto sufficientemente

esperto per risolvere, al posto suo, il problema del senso della vita.

In questo caso si parla di religioni rivelate.

Per essere creduti, questi "portavoce" dovettero offrire certe garanzie che

l'ascoltatore doveva valutare per vedere se fossero state sufficienti.

III. Religione naturale Definiamo religione naturale:

adesione a valori assoluti o universali, scoperti con la ragione umana,

a cui si subordina la propria vita.

L'Assoluto di cui stiamo parlando può essere collocato

a) dentro al proprio mondo (antenati, sole, propria spontaneità, benessere

dell’umanità, denaro, sesso...) e nasce così una religione immanente.

b) esterno al proprio mondo (essere superiore, giustizia, verità...) e nasce così

una religione trascendente.

IV. Religione rivelata Definiamo religione rivelata:

adesione ad un Essere assoluto che risponde al problema del senso

della vita attraverso qualche persona che afferma di essere inviata da

lui (profeta).

Esempi di religioni rivelate:

* EBRAISMO: gli ebrei credono che Jhwh abbia parlato a Mosè e ai

profeti ebraici e per mezzo di loro, offrendo come garanzia principale

della sua rivelazione la liberazione del popolo dalla schiavitù di Egitto

(cfr. Ex 3; Deut 26, 5b-9).

* CRISTIANESIMO: i cristiani credono che Dio abbia soprattutto parlato

per mezzo di Gesù di Nazareth, il quale ha offerto come garanzia della

verità delle sue parole la propria risurrezione da morte (cfr. 1 Cor 15,

3b-5; Rom 10,9; Mt 12,38-40; Giov 2,18-22).

* ISLAMISMO: i musulmani credono che Allah abbia parlato

definitivamente attraverso Maometto, ultimo e sigillo dei profeti

(cfr. la loro professione di fede quotidiana: «Non divinità se non

Allah; Maometto è il profeta di Allah»). Garanzia: l’ascensione al

cielo di Maometto e la novità assoluta della dottrina nel Corano.

V. Rapporto tra religioni naturali e rivelate 1. Chi studia le manifestazioni storiche della religiosità umana constata

che una religione rivelata normalmente è sorta in un ambiente che già

ammette l’esistenza di un Dio, come infatti si può accettare che Dio

abbia parlato, se non se ne ammette l'esistenza?

Più in generale, ogni fede suppone un atteggiamento religioso naturale

di disponibilità ad accettare la verità che si scopre, atteggiamento che

resterà sempre alla base della fede stessa.

2. La fede, per quanto pretenda di superare la ragione, non dovrebbe

distruggerla: mediante la fede si passa dall’adesione ad un qualche

valore assoluto spesso impersonale, all’adesione alla persona di un Dio

soprannaturale che si è rivelato attraverso il «profeta».

Alla domanda iniziale allora si può rispondere così:

il Cristianesimo è una religione che pretende di essere rivelata.

Rivelatore di esso è Gesù di Nazareth, che

- ha detto di essere il portavoce di Dio;

- ha garantito di esserlo risorgendo.

3. INTRODUZIONE ALL’EBRAISMO In quanto cristiani, siamo interessati al nostro “Credo”.

Ma occorre considerare che il cristianesimo:

- è sorto nel I secolo d.C. nell’ambiente ebraico

- è stato formulato inizialmente nei termini di quella cultura

- accetta tra i libri sacri anche l'Antico Testamento

- si presenta come lo sviluppo di Israele (nuovo Israele).

Perciò è necessario conoscere il mondo culturale ebraico del I sec. d.C.

I. Geografia

II. Cenni storici

a. Premessa sulle fonti La fonte principale della nostra conoscenza della storia ebraica fino ai

tempi di Gesù è soprattutto la Bibbia (Antico Testamento).

STORIA = Periodo caratterizzato dalla presenza di DOCUMENTI ATTENDIBILI

Un documento è attendibile quando il suo contenuto è omogeneo con documenti contemporanei o quasi, prodotti da culture parallele.

PREISTORIA = Periodo caratterizzato dalla presenza di documenti della cui

attendibilità, PER ORA, non si può essere certi.

Questa non può essere la prospettiva di una storia "laica". Tutt'al più

si deve dire che è storico che gli ebrei religiosi interpretarono in modo

"religioso" i fatti del loro passato.

Prima del 1200 a.C. siamo ancora nella Preistoria ebraica.

b. Tradizioni preistoriche (...-1200 a.C.) Quello che in seguito diventerà il popolo ebraico, sorse da una migrazione

di tribù nomadi, dedite alla pastorizia, dalla bassa Mesopotamia

alla Siria meridionale (terra del Canaan, Palestina).

Queste tribù, molto gradualmente e forse con qualche difficoltà, si

fusero con le popolazioni già sedentarie (agricoltori) ed urbanizzate

(artigiani e commercianti).

In questo contesto vanno situate le tradizioni sui Patriarchi, centrate

sulla figura di Abramo, capostipite del popolo di Israele, originario

della città sumera di Ur, nella bassa Mesopotamia, di Isacco e di

Giacobbe.

«Discesa» in Egitto Una causa esterna, probabilmente una carestia, provocò un ulteriore

spostamento di alcune di queste tribù verso la fertile terra d’Egitto,

Uscita dall’Egitto e alleanza al monte Sinai Una rivolta riuscita contro il Faraone d’Egitto (quale? quando?) permise

a questi ebrei, sotto la guida di Mosè, di fuggire.

Sotto la guida di Giosuè penetrarono nella Palestina, allora già abitata

da popolazioni sedentarizzate, i Cananei, e vi si stabilirono.

Ma qui entriamo nella storia.

c. Storia Fase prestatale (1200-1000 a.C.) Nel secolo XIII, con l’inizio della civiltà del ferro, i «popoli del mare»,

provenienti dall’ovest, invasero il Medio Oriente e si insediarono nel Canaan.

Sorsero così piccoli stati cananaici. In Palestina ai regni cananaici

mancò organizzazione e ciò permise ai nomadi (il popolo

d’Israele) di penetrare in Canaan e di conquistare, nel giro di due secoli,

tutto il territorio. Con l’insediamento, le tribù d’Israele assunsero dai

conquistati la lingua, la cultura, gli usi e i costumi: tutto in pratica,

tranne la religione, unica loro peculiare tradizione.

Con la sedentarizzazione in Canaan si avviò ben presto un processo di

trasformazione delle strutture politiche che, attraverso i «giudici»,

porterà alla instaurazione della monarchia. Le figure dei giudici dominarono

il periodo di guerre e di lotte compreso tra il 1200 e il 1000 a.C. Chi era il giudice? Un capo momentaneo stimato dal gruppo che l’aveva scelto. Il suo potere non si estendeva

a tutte le tribù d’Israele, ma a tutti coloro che riconoscevano autorità al giudice stesso.

Essendo a capo di una parte della popolazione, controllava conseguentemente una parte

non ben definibile di territorio.

Però, soprattutto con le nuove invasioni dei «popoli del mare» (in

Palestina detti Filistei) il popolo sentì la necessità di un potere stabile,

con un esercito stabile, capace di guidare saldamente lo stato d’Israele,

cioè di un re.

L’ultimo dei giudici, Samuele, unse re Saul, figlio di Kish, della tribù

di Beniamino.

d. Regno unito (1020-930 a.C.)

Tre re:

- SAUL: un giudice che, a causa del pericolo dei Filistei, si vide riconosciuto

capo da tutto Israele. In effetti si comportò ancora come un

giudice, non mantenendo una corte e non abitando una reggia, ma

continuando a vivere a casa sua. Fu principalmente capo militare.

Subì a Gelboe una grave sconfitta da parte dei Filistei e si suicidò.

Gli successe

- DAVIDE di Betlemme, della tribù di Giuda, unto re da Samuele

mentre ancora regnava Saul che era stato giudicato infedele a Dio e

perciò dichiarato decaduto dalla sua autorità.

Alla morte di Saul, Davide fu riconosciuto re prima dalle tribù del sud

(Giudea) e fu unto a Hebron. In seguito, vinte le resistenze della casa di

Saul, fu accettato come re anche dalle tribù del nord (Samaria). Sconfisse

definitivamente i Filistei, occupò Gerusalemme che rese «sua» città e

capitale dell’impero.

A Davide successe uno dei suoi figli:

- SALOMONE che ebbe oltre 40 anni di regno. Riunì sotto il suo

dominio, e senza fare guerre, quasi tutta la Siria, dall’Eufrate ai

confini di Egitto. Con lui Israele toccò il culmine della sua potenza,

ma anche del suo fasto lussuoso.

e. La divisione dei regni (930-586 a.C.) Alla morte di Salomone successe il figlio Roboamo, ma si aprì una grave

crisi che avrebbe portato alla spaccatura dell’impero. Cause: l’irrigidimento

della monarchia di Giuda nel confronto del Consiglio degli

Anziani e i pesanti gravami fiscali imposti alle tribù del nord. Da ciò

seguì, soprattutto nel nord, un notevole malcontento per cui il nord

non rinnovò più a Roboamo il patto stipulato con Davide e con

Salomone.

Mentre le tribù di Giuda e di Beniamino restarono fedeli alla casa di

Davide e accettarono come re Roboamo, le tribù del nord ritornarono

al sistema elettivo del capo carismatico e scelsero come re Geroboamo

che era il capo dell’esercito di Salomone.

Dalla scissione nacquero così due regni: il regno di Giuda al sud con

capitale Gerusalemme e il regno di Israele al nord con capitale Samaria.

Regno di Israele (nord) Per evitare che l’unico tempio, a Gerusalemme, finisse per riavvicinare

i due regni a tutto danno del nord, vennero ricostruiti gli antichi

santuari di Betel e di Dan come centri di culto in antitesi col tempio di

Gerusalemme.

Anche un nuovo sacerdozio si oppose a quello di Gerusalemme.

E così lo scisma da politico diventò anche religioso.

Lo Jahwismo si contaminò coi culti stranieri spesso favoriti per

ragioni politiche dai re d’Israele.

Contro i mali che minavano il regno del nord si levarono le voci dei

profeti Elia, Eliseo (sec. IX a.C.), Amos e Osea (sec. VII).

Regno di Giuda (sud) In Giudea si susseguirono sempre re di discendenza davidica. I

primi re furono idolatri e permisero l’introduzione dei culti pagani,

per cui da molti era sollecitata una riforma soprattutto religiosa.

Il primo re riformatore fu Ezechia (sec. VIII a.C.).

Egli, sostenuto anche dal profeta Isaia, cercò di ristabilire soprattutto

l’osservanza della legge antica e di ripristinare il culto del

tempio.

A Ezechia successe Manasse, che ebbe un regno lunghissimo (parte

centrale del sec. VII a.C.). Venne considerato il re empio per eccellenza:

interessi politici (era dipendente e tributario dell’Assiria)

lo spinsero ad accettare il culto di Assur, principale divinità assira,

e ad erigere nel tempio di Gerusalemme altari a divinità assire.

Alla morte di Manasse e dopo il breve regno di Amon, salì al trono

Giosia, l’ultimo grande sovrano di Giuda. Egli, sostenuto dal profeta

Geremia, restaurò il culto di Jhwh e procedette con estremo rigore nei

confronti degli idolatri. Per questo fece anche restaurare il tempio

che era andato in abbandono sotto Manasse.

In politica estera Giosia cercò di rendere il paese più indipendente

possibile da ingerenze straniere. Fu ucciso in battaglia dagli egiziani a

Meghiddo, perché nel 609 si era opposto al loro passaggio sul territorio

di Giuda, dato che essi avevano deciso di andare ad aiutare gli Assiri

che stavano soccombendo sotto gli attacchi dei medi.

Pochi anni dopo, il re di Giuda Sedecia si ribellò al dominio di

Nabucodonosor, re dei Babilonesi, costringendolo ad invadere il

paese. Gerusalemme cadde nel 597, l’esercito ebraico fu disperso, il

sovrano fu fatto prigioniero e un gruppo di ebrei fu deportato a

Babilonia.

A causa di altre rivolte, nel 587 Nabucodonosor riprese la guerra e

distrusse Gerusalemme, la reggia e parzialmente il tempio e deportò

a Babilonia la classe dirigente ebraica e i ricchi.

L’esilio di Babilonia (587-538 a.C.) Gli ebrei che rimasero in Palestina conservavano la loro identità

Nazionale.

Invece gli ebrei deportati in Babilonia soffrirono una delle più gravi

crisi della loro storia:

a) crisi politica e sociale: - senza indipendenza, in mezzo ad un popolo straniero ed ostile

- con un re dipendente dai Babilonesi, nonostante le speranze che

potesse ritornare in patria;

b) crisi religiosa: - gli dèi babilonesi si erano dimostrati più potenti del Dio Jhwh

- il culto in Babilonia non fu più possibile per la mancanza del

tempio

- la legge stessa dovette essere parzialmente adattata in quanto

incompatibile con le mutate condizioni di vita;

c) crisi culturale: - nella deportazione in Babilonia andarono perduti gli archivi di

Gerusalemme e molti libri

- gli ebrei dovettero cambiare molte delle loro abitudini e la stessa

lingua (dovettero imparare la lingua dei babilonesi, l’aramaico);

d) crisi economica: - i loro commerci si ridussero molto

- molti capitali andarono persi.

Tuttavia la deportazione non riuscì a privare i deportati ebrei della

loro unità etnica e religiosa.

Cercarono infatti di riprendersi dalla crisi:

- sorsero in Babilonia piccoli gruppi che cercarono di tenere vive

le tradizioni e le leggi di Israele e di ridare così fiducia al popolo;

- riorganizzarono anche i commerci riuscendo ad acquistare in

poco tempo una notevole potenza economica;

- tennero viva la speranza, ricordando i fatti della loro storia

lontana, soprattutto la liberazione dalla schiavitù d’Egitto

La stella del II Impero Babilonese tramontò ben presto: nel 538 a.C.

Babilonia è conquistata da Ciro, re dei persiani. Egli attua un netto

cambiamento di politica: intende governare con l’appoggio dei

popoli sottomessi, rispettandone le origini, le tradizioni e la religione.

Con un editto del 538 permette agli ebrei di ritornare in Palestina,

ponendo così fine a cinquant’anni di esilio.

Postesilio - Giudaismo (538 a.C. - 135 d.C.) Il ritorno in Palestina avvenne molto gradualmente e solo una parte

degli ebrei rientrò in patria: molti preferirono restare in Babilonia, sia

per evitare le fatiche di un disagiato trasferimento, sia perché ormai si

sentivano tranquilli in Babilonia.

Coloro che ritornarono in Palestina, dovettero affrontare il problema

dell’inserimento in quella terra.

Nascono così due forme di giudaismo:

a) giudaismo della "Diàspora" (= dispersione, in mezzo a popoli non

ebrei): profondamente attaccato alla legge onde conservare la propria

identità in mezzo ai pagani (no ai matrimoni misti ed alle

usanze pagane)

b) giudaismo di Gerusalemme: meno attaccato alla legge e più legato al

culto del tempio.

Gli ebrei in Palestina politicamente dipendevano dal governo di Ciro,

facendo parte della satrapia del Transeufratene, però, localmente, furono

governati da due capi, un sommo sacerdote e un governatore (péhah): Giosia

e Zorobabele, dipendenti però dal governatore di Samaria. Sotto di loro

venne potenziato il tempio e si riorganizzò il culto.

Ci fu però uno scontro di mentalità fra i rimpatriati e quelli che non erano

stati deportati, scontro che si risolse a favore dell’aristocrazia sacerdotale

e a danno della monarchia: il re Zorobabele, discendente di Davide, fu

eliminato, forse anche fisicamente. Da questo momento in Palestina comandarono

quasi sempre le famiglie sacerdotali (ierocrazia o teocrazia).

L'organizzazione del sacerdozio subì un importante mutamento. Sino all’esilio, esso

era riservato a tutti i discendenti della stirpe di Aronne, membri della tribù di Levi. Però il profeta Ezechiele (43,19; 44,15), ancora durante l’esilio, riferendosi al tempo futuro,

aveva proclamato che, per volontà di Dio, solo i membri della famiglia di Sadòk (rimasto

fedele, con i suoi figli, a JHWH, quando gli altri ebrei si erano allontanati da Dio,

contaminandosi ed abbandonandosi a culti idolatri) avrebbero offerto sacrifici ed

olocausti nel tempio, come ministri del culto divino: gli altri invece, ora detti «leviti»,

avrebbero continuato a servire nel tempio, ma, esclusi dalla celebrazione del sacrificio,

avrebbero svolto le mansioni più umili e ordinarie (Ez 44).

È da questo momento che il termine «sacerdote» (come ministro del culto) viene applicato

e si identifica esclusivamente con quello di «sadocita», mentre «levita» indicherà una

sorta di «sacrestano» addetto alla custodia o alla pulizia del tempio.

I sadociti vennero così a costituire una sorta di aristocrazia sacerdotale, capace di esercitare

un’ampia influenza sul popolo ebraico. Essi eleggevano tra di loro il sommo sacerdote (dinastia sadocita).

Le linee fondamentali della politica sadocita possono essere riassunte in due punti:

1) compromesso religioso: il sommo sacerdote si rese subito conto che non

era pensabile limitare l’esercizio del proprio potere solo agli ebrei.

Dopo l’esilio, infatti, questi erano in Gerusalemme niente altro che una

minoranza in contatto continuo con i pagani. Era dunque necessario, se

il governo sadocita intendeva sopravvivere, estendere la sua autorità

su tutti gli abitanti, ebrei e non ebrei, ponendoli tutti sullo stesso piano,

dando ai pagani vari privilegi come quello di poter offrire incenso a

JHWH anche fuori Gerusalemme e infine pensando che in futuro anche

dei pagani potranno essere eletti sacerdoti (cfr. Is 56 e 66,22). È, quella

sadocita, una politica universalistica, molto vicina agli ideali dei regni

di Davide e di Salomone.

2) compromesso politico: per esercitare opportunamente il potere si dovevano

mantenere buone relazioni con i potentati vicini. Ecco allora

i matrimoni dinastici tra i sadociti e le famiglie dei governatori di

Samaria e dei signori di Amman, mentre nella banca del tempio

vengono accolti i denari dei Tobiadi di Amman.

La politica sadocita cerca di dare allo stato ebraico una identità politica,

ma ne mancava il presupposto fondamentale: un effettivo potere

politico (mancavano infatti a questo «stato» un esercito e una effettiva

autonomia).

Una impostazione di tal genere non poteva che rivelarsi inefficace.

Attorno al 446 a.C. Gerusalemme subì una scorreria da parte di un

signorotto locale. La cosa fu riferita agli ebrei di Babilonia e Neemia,

ministro del re Artaserse I di Persia, ottenne dal re i pieni poteri su

Gerusalemme e fu aiutato in questo dal sacerdote Esdra, che a Susa,

capitale della Persia, forse aveva riscritto l'antica legge ebraica.

Ritornato in patria, Neemia esercitò un’autorità indiscussa, anche

perché il governo sadocita aveva ormai perso il credito della popolazione.

Egli, rovesciando la politica di apertura verso i pagani,

tentò di realizzare a Gerusalemme gli ideali del giudaismo della Diaspora:

restare ebrei senza alcun compromesso con i pagani.

Neemia allora si sforzò di imporre la rigida osservanza dell'antica

legge di Mosè, imposta da Artaserse. Gerusalemme doveva diventare

di nuovo una città «pura», chiusa ad ogni contatto con i pagani.

Escluse tra l’altro dal tempio tutto il capitale non ebreo, vietò il

matrimonio con i pagani, ordinò l’assoluta osservanza del riposo

del sabato.

Proprio a causa di questa politica di isolamento, iniziata da Neemia,

abbiamo quasi un secolo di silenzio storico. Sappiamo solo che

verso il 330 a.C. la Palestina passò sotto il dominio di Alessandro

Magno e poi, alla sua prematura morte (323 a.C.), fu data ai Tolomei

d’Egitto, sotto i quali un gruppo di ebrei si è trasferito ad Alessandria

d’Egitto per motivi commerciali. Si forma così ad Alessandria un

altro centro ebraico, a contatto con la cultura greca (ellenismo).

Il contatto fu molto fecondo. I Tolomei tennero una politica conciliante.

Tra l’altro permisero agli ebrei di governarsi secondo le loro

leggi, ma ne vollero a corte una copia. Fu così che la Bibbia fu

tradotta dall’ebraico in greco: si ebbe la traduzione detta «dei Settanta

» (LXX), perché fatta tradurre da 70 sapienti ebrei.

Durante il II sec. troviamo in Palestina una situazione di pace e di

libertà religiosa. Però nel 200 a.C. i Seleucidi di Siria sconfiggono

Tolomeo V di Egitto e così la Palestina passa sotto i Seleucidi.

A causa della politica religiosamente intollerante di Antioco IV

Epifane, re di Siria, sostenuta in parte anche dal sommo sacerdote

non sadocita Menelao, nel 167 a.C. scoppiò una rivolta della popolazione

contro la Siria, ma soprattutto contro Menelao giudicato

sommo sacerdote illegittimo perché non discendente di Sadòk.

Capi della rivolta: i membri della famiglia dei Maccabei. La lotta fu

lunga e politicamente complessa e terminò con la deposizione di

Menelao e l’elezione a sommo sacerdote dell’ultimo dei Maccabei:

Simone (142 a.C.).

Però Simone Maccabeo, pur senza assumere il titolo di re, si comportò

di fatto come un principe ellenistico: mantenne un esercito di

carriera da lui stipendiato, perseguì una politica di grandezza e di

gloria personale, ebbe una corte fastosa e perciò dispendiosa.

Da lui inizia quella dinastia ebraica che fu chiamata degli Asmonei.

Il regime instaurato in Palestina dai Maccabei era destinato a scontrarsi in due

opposizioni:

1) gli esseni

Questa setta religiosa si formò ai tempi di Menelao e fu guidata da un

sacerdote sadocita. Questi dichiarò impuro il tempio, perché era caduto nelle

mani di un sacerdote non sadocita e scelse, insieme a tutti i membri del

gruppo, l’esilio volontario nel deserto del Mar Morto (Qumràn). 2) gli assidei (= pii), poi diventati farisei (= separati, puri)

Questo gruppo voleva il ritorno all’osservanza integrale della legge, senza

compromessi.

Nell’esatta osservanza della legge scritta e orale

stava la salvezza (cioè il benessere). Ma siccome non sempre la salvezza-benessere

si poteva constatare in questo mondo, essi cominciarono a pensare

all’esistenza di un altro mondo dopo la morte.

Sotto il dominio romano, la Palestina si avvia in una direzione che potremmo oggi dire

«capitalista». Accanto alla classe sacerdotale nobile si sviluppa una classe non nobile di ricchi

proprietari che si appoggia ai romani e da loro è appoggiata per la necessità che i romani

avevano di capitali per le loro imprese. Si assiste così alla frattura economica e sociale tra città e

campagna: in città il predominio è dei sadducei e dei farisei, nella campagna, invece, tra il «popolo

della terra» (come erano chiamati con disprezzo i contadini), prevale il movimento degli esseni.

Un ricco capitalista terriero, Antipatro, riesce a imporsi politicamente. Suo figlio Erode il Grande,

dopo molte traversie, riesce a farsi riconoscere dai romani re della Giudea (37-4 a.C.). La sua

politica: devota fedeltà verso Roma ed estrema durezza verso i sudditi.

Alla sua morte, il suo regno viene diviso, con il consenso di Roma, tra i suoi figli: Giudea e Samaria

passano ad Archelao (4 a.C.-6 d.C.), la Galilea ad Erode Antipa (4 a.C.-39 d.C.) e Iturea,

Traconitide e Perea a Filippo

(4 a.C.-34 d.C).

Archelao era mal visto, anche a causa del suo malgoverno, soprattutto dai sacerdoti e dai farisei di

Gerusalemme che inviarono più volte a Roma delegazioni contro di lui per farlo deporre.

I continui tumulti che scoppiavano a G e r u s a l e m m e costrinsero l’imperatore Augusto a

deporlo (6 d.C.) e ad esiliarlo. Gerusalemme passò nelle mani del consiglio degli anziani, il

Sinedrio, mentre la Giudea venne affidata al controllo dei procuratori romani, che governeranno

sempre con molto riguardo verso gli ebrei. In genere i capi del popolo, farisei e sadducei, sono

favorevoli a Roma, soprattutto perché essi hanno autorità e c‘è libertà di culto.

Il popolo è invece contrario per i tributi che deve pagare.

Ma quando Caligola impose a tutto l’impero il culto dell’imperatore, gli ebrei furono unanimi nella

rivolta. Sorse un partito estremamente nazionalista: gli zeloti, i quali proclamavano la ribellione

armata. I tumulti, calmatisi alquanto sotto Claudio, ripresero più violenti sotto Nerone, nel 66 d.C.

La reazione romana non tardò ad arrivare: tra il 66 e il 70, Vespasiano e poi Tito strinsero d’assedio

Gerusalemme, che nel 70 si arrese per fame e fu distrutta. Però l’ebraismo in Palestina non fu

distrutto: rimane vivo il fariseismo. Ulteriori continue ribellioni, l’ultima delle quali capeggiata da

un certo Bar Kochbà (figlio della stella = nome di guerra), costrinsero l’imperatore Adriano a

decretare la fine della nazione ebraica (132-135 d.C.). Gli ebrei furono dispersi (diaspora),

per poi rientrare parzialmente dopo il 45.

La LINGUA

EBRAICA

I. Tipo di lingua È una lingua del ceppo semitico.

Tale ceppo comprende le seguenti suddivisioni:

- aramaico: caldeo, siriaco, samaritano, mendeo

- cananaico: ebraico, fenicio, punico, ugaritico

- arabico meridionale (etiopico) e semitico orientale: assiro, babilonese

II. L'alfabeto Come in molte lingue semitiche antiche, l’alfabeto ebraico consta di sole

consonanti (22 segni in tutto), che servono anche come numeri (v. tab.

sottostante).

III. Scrittura La scrittura dell'ebraico avviene da destra a sinistra. I segni indicati nella

tabella della pagina precedente formano la cosiddetta scrittura quadrata

che gli ebrei impararono dai babilonesi (aramaico) nel VI secolo a.C. e

che si usa ancora oggi. Prima del VI secolo a.C. gli ebrei usavano la

scrittura rotonda, come i fenici.

IV. Le vocali Fino al V sec. d.C. gli ebrei scrivevano i testi solo con le consonanti. Le vocali

le mettevano a senso. Ma progressivamente, dato che molti non riuscivano

più a leggere il testo, si sentì la necessità di introdurre le vocali, soprattutto

nei testi biblici (nelle sinagoghe sempre letti in ebraico). Però un completo sistema vocalico si introdusse solo dopo Cristo. Nell'introdurre le

vocali si usò il criterio di non toccare più il testo biblico, ritenuto ormai «sacro», e perciò

le vocali sono state scritte come lineette e puntini, sopra o sotto le consonanti.

Sono noti tre sistemi vocalici:

- palestinese antico (abbiamo solo tracce)

- babilonese (in genere con segni sopralineari)

- di Tiberiade (nella Bibbia)

Appendice: il nome di Dio Una parola che non fu vocalizzata è hwhy (jhwh), che è il nome del Dio degli ebrei.

Dato che, ai tempi in cui si sono introdotte le vocali, tale nome non veniva più

pronunciato (per una interpretazione restrittiva di Ex 20, 7 e Deut 5, 11 che

proibivano di pronunciare il nome di Dio invano), gli studiosi che hanno

introdotto le vocali non sapevano più come si pronunciasse, per cui non l’hanno

vocalizzato. Origene (morto verso il 250 d.C.) lo trascrive in greco "IABE"

(pronuncia: Iavè).

Quando, nella lettura sinagogale della Bibbia, gli ebrei trovavano quel nome,

avevano preso l'abitudine di leggerlo ADONAI (= Signore) e così, per ricordarselo,

hanno finito per scrivere, sotto le consonanti di quel nome, le vocali

(modificate per regole grammaticali) di Adonai. Se perciò qualcuno oggi, senza

sapere la storia che sta dietro a questo modo di scrivere, legge brutalmente il

nome come sta scritto nella Bibbia, legge JEHOWA, che sicuramente in antico

non era pronunciato così

Il CANONE dell'

ANTICO TESTAMENTO

Se si vuole conoscere il Cristianesimo, è necessario capire prima la matrice ebraica da cui è sorto: si

deve cioè studiare quel fenomeno storico che globalmente chiamiamo ebraismo del I secolo d.C.

I. Le fonti della nostra conoscenza dell'ebraismo Per studiare l’ebraismo del I secolo d.C. abbiamo a disposizione:

a) Fonti dirette: i libri in uso allora nelle comunità ebraiche e giunti fino a noi.

Tra essi ricordiamo:

- La Toràh (che significa «insegnamento, legge») o Pentateuco (dal greco

pšnte «pente» che significa «cinque», e teàcoj «téuchos» che significa

«contenitore» e quindi, per estensione, il libro contenuto dentro).

La Toràh comprende 5 libri allora ritenuti scritti da Mosè:

Genesi Esodo Levitico Numeri Deuteronomio

- i Libri Storici: raccontano in forma più o meno interpretata vari

episodi della storia ebraica: Giosuè … 2 libri delle Cronache … 3 libri dei Maccabei

- i Libri Profetici: raccolgono profezie, oracoli, promesse di salvezza,

esortazioni alla conversione: Isaia …

- i Libri Sapienziali: sono riflessioni per insegnare l’arte di vivere e il

senso della vita: Giobbe .. Orazione di Manasse … Sapienza di Salomone

- i Libri Apocalittici: descrivono gli eventi degli ultimi tempi in cui Dio

avrebbe salvato Israele: Daniele Apocalisse di Ezechiele Libro di Enoch …

- i Libri Edificanti: narrano la vita, spesso romanzata, di personaggi

famosi: Ruth Ascensione di Isaia Tobia Lettera di Aristea …

- i Manoscritti di Qumràn: libri della comunità monastica che abitò questo

luogo presso il Mar Morto dal III secolo a.C. al I d.C. Tali libri furono

ritrovati tra il 1947 e il 1967.

Dell’ampia biblioteca (sono circa 800 scritti) ricordiamo:

Rotolo degli Inni Commentario di Abacuc

Manuale di Disciplina Guerra dei figli delle tenebre contro i figli della luce

b) Fonti indirette: altri documenti (anche di epoche posteriori) che riportano

tradizioni correnti nel I secolo d.C.

Tra di essi ricordiamo in particolare:

- i Talmùd: sono una grande «raccolta sparsa», fatta tra il III e il VI

secolo d.C., di insegnamenti scritti (Mishnàh) e orali più antichi a

commento dell'Antico Testamento: norme giuridiche, interpretazioni

ufficiali rabbiniche, conferenze dei grandi maestri, aneddoti,

usi ebraici, ...

I Talmùd sono due: Palestinese (più breve) e Babilonese (più lungo).

- le opere di Filone di Alessandria (30 a.C. - 50 d.C.).

Tra esse ricordiamo:

* Esposizione catechistica, in 6 libri

- le opere di Giuseppe Flavio (38-103 d.C.):

* Antichità giudaiche

- Anche i libri cristiani del I-II secolo d.C. sono una fonte di conoscenza dell’ebraismo, però essi

verranno da noi usati studiando direttamente il Cristianesimo.

II. Il problema del canone Questi libri non avevano tutti uguale valore presso il popolo ebraico.

Alcuni erano giudicati normativi per la fede e quindi vincolanti (libri

ufficiali), altri invece, pure buoni, non godevano di tale autorità. «Canone» deriva probabilmente dall’accadico qanû, ebraico qanéh, greco canwn (canon),

che significa canna per misurare e poi misura, norma, regola fissa, elenco...

Una risposta globale al problema del canone può essere questa:

facevano parte del canone quei libri che la comunità ebraica riconosceva

come normativi, perché appartenenti alla propria tradizione di fede e

ritenuti ispirati dalla divinità (= Parola di Jhwh). Normalmente un testo non entra a far parte del canone quando viene scritto, ma solo successivamente, a volte anche

parecchi secoli dopo, quando qualche comunità religiosa ebraica lo giudica importante per la fede e quindi per la vita.

Ma la questione così impostata coinvolge un’altra serie di problemi.

Infatti nel I secolo d.C. gli ebrei erano divisi in varie comunità: babilonese,gerosolimitana,

samaritana, alessandrina... C’è perciò da attendersi che non esistesse un unico elenco di libri

ufficiali, ma diversi canoni fossero in uso nelle comunità. E così era di fatto.

Sorge allora l’ulteriore problema: a quale elenco di libri ufficiali dobbiamo riferirci per conoscere

il pensiero ebraico ufficiale del I secolo d.C.? Per rispondere a questa domanda, è necessario

affrontare brevemente la seguente questione:

III. L’evoluzione del canone dell'Antico Testamento Premessa: è impossibile, almeno per ora, fare una vera storia della formazione del canone

dell'Antico Testamento, a causa della scarsità di documenti.

I pochi a disposizione ci permettono di stabilire solo le linee generali.

1. Il fatto La Bibbia in uso oggi presso gli ebrei è divisa in tre gruppi di libri:

la Legge ( Toràh = legge, insegnamento), i Profeti (Nebiìm), e gli Scritti (Ketubìm).

Queste ripartizioni inducono a pensare che il canone non si sia formato in un sol getto, ma

lentamente: quando un libro veniva ad avere un’autorità accettata dalla comunità, entrava a far parte

del canone di quella comunità. Tappe probabili di questa evoluzione:

a) La Legge (Toràh) In un primo tempo (V sec. a.C.?) venne riconosciuta ufficialmente solo la Legge, come norma per la vita religiosa e

sociale. Ma quale Legge? a) Nei tempi più antichi (XII sec. a.C.) sembra avesse importanza solo il documento

di un patto fra le tribù che si rinnovava e si leggeva pubblicamente ogni sette anni e di cui Dio era garante. b) Poi

vennero aggiunte ad esso le nuove leggi, sorte dalle esigenze della vita sedentaria, e le norme del culto.

g) Al tempo di Giosia, re di Giuda (639-609 a.C.), venne ritrovato nel tempio di Gerusalemme un antico rotolo di leggi

(molto probabilmente la parte centrale dell’attuale Deuteronomio), che fu aggiunto alla «Legge» già in vigore.

d) Dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia (538 a.C.) il re dei persiani permise agli ebrei di vivere secondo la loro

Legge, però ne volle una copia a corte. Lo scriba Esdra (V sec. a.C.) riorganizzò tutta la legislazione. Potrebbe essere

nata così l’edizione definitiva del Pentateuco con valore normativo in quanto legge del re dei persiani.

Così l’antica e tradizionale legge di Mosè (che Esdra aveva cercato di raccogliere dopo l’esilio babilonese) era diventata

legge del Re di Persia e, siccome il re era ritenuto «figlio di Dio», era considerata legge di Dio. È attraverso un procedimento logico di questo tipo che deve essersi introdotta tra gli ebrei l’idea di un libro «sacro».

Certamente per tutti era tale nel V secolo a.C. solo il Pentateuco. I samaritani infatti, che si sono staccati dal resto degli

ebrei prima del 400 a.C., hanno accettato (ed accettano ancora oggi) come libri normativi solo il Pentateuco.

b) I profeti (nebiìm) a) Sappiamo che, con il regno di Davide, si cominciarono a redigere degli annali di corte, nucleo originario di ampie

sezioni di quei libri che gli ebrei chiameranno Profeti Anteriori e i cristiani Libri Storici dell'Antico Testamento.

b) Purtroppo ci mancano dati per stabilire quando i Libri Profetici sono entrati nel canone.

g) L’entrata nel canone ebraico dei Libri Profetici è comunque posteriore allo scisma samaritano (ca. 400 a.C.), in

quanto i samaritani non li hanno accettati come sacri.

c) Gli (altri) Scritti (ketubìm)

a) Le prime collezioni di «Scritti» vengono eseguite tra la fine del secolo VIII e gli inizi del VII per ordine del re di

Giuda Ezechia (718-689 a.C.).

b) L’Ecclesiastico, verso il 180 a.C., conosce alcuni libri degli «Scritti», cioè

i Salmi (47,8), i Proverbi (47,11), Neemia (49,11-13).

Da questi dati si può concludere che la «canonizzazione» degli «Scritti», iniziatasi con Ezechia, si andò sviluppando a

poco a poco. Non si può stabilire con esattezza quando sia terminata, comunque non si dovrebbe essere molto lontani

dal vero affermando che l’elenco degli Scritti era completo verso l’inizio del I secolo d.C.

2. Tentativo di spiegazione dell'evoluzione del canone Probabilmente l’idea di un elenco ufficiale di libri sacri si è formata nel sec. VI-V a.C., quando una

parte del popolo ebraico si trovava sotto il dominio straniero (cioè durante l'esilio di Babilonia o nel

postesilio): volendo continuare a vivere secondo le tradizioni ebraiche senza contaminazioni con i

pagani, e tuttavia senza capi che avessero autorità per garantire questo, dovettero ricercare l’autorità

nei libri. Di qui la necessità di sapere quali libri avessero autorità.

a) Prima dell'esilio di Babilonia (sec. VI a.C.) fu accettata da tutti l’autorità di alcuni libri ritenuti di

Mosè (Pentateuco), in quanto Mosè aveva parlato con Dio e scritto quanto Dio gli aveva detto.

b) Dopo l’esilio, siccome la legislazione del Pentateuco da molti era giudicata ormai inadeguata alle

mutate situazioni storiche, + alcuni sentirono il bisogno di integrarla con altri libri (detti

Profetici) che rispondessero meglio alle esigenze dei tempi. Scelsero perciò come normativi quei

libri i cui autori (veri o presunti) erano ritenuti comunemente «profeti», cioè ispirati da Dio.

+ altri invece, per reazione, accettarono solo Mosè come profeta e perciò rifiutarono l’autorità degli

altri scritti - o del tutto (es. i samaritani); - o riconoscendo in più solo il libro di Giosuè, perché

questi era stato investito di autorità dallo stesso Mosè;

- oppure ammettendo solo l’esistenza di commentatori e di interpreti dell’opera di Mosè, ma con

autorità notevolmente inferiore.

c) Con l’ellenizzazione della Palestina e le relative discussioni pro o contro l’ellenismo (III-II

secolo a.C.), alcuni gruppi accettarono come ispirati anche libri di sapienza umana (scritti non solo

in ebraico, ma anche in greco o in aramaico). Entrarono così a far parte del canone vari «Scritti» * In questo periodo sorsero le sinagoghe (luoghi di preghiera nei giorni festivi e scuole nei giorni feriali). Criterio di canonicità di un libro diventò allora il fatto che esso fosse letto pubblicamente in sinagoga.

d) Dopo la caduta di Gerusalemme (70 d.C.), distrutto il tempio e con esso cessato il sacerdozio, i

farisei, che già godevano il favore popolare, divennero il centro della vita religiosa ebraica. Dato il

loro attaccamento alle «tradizioni dei padri», vollero sottoporre ad un esame più scrupoloso i libri

sacri, per assicurarsi che tutti realmente «macchiassero le mani», o se non fosse il caso di

«nasconderne» qualcuno, cioè escluderlo dalla lettura sinagogale. I criteri sui quali si basò il nuovo esame furono tre: a) antichità del libro: doveva essere stato composto nel periodo che

va da Mosè a Esdra; b) santità: doveva essere conforme al Pentateuco e differenziarsi da ogni libro pagano (cfr. G.

Flavio, «Contra Apionem» 1,8; Esdra 4,14-18); g) composizione in lingua ebraica o almeno aramaica. Si pensa che questo lavoro di fissazione del canone sia stato effettuato a Jamnia, nella pianura della

Palestina vicina al Mediterraneo,verso gli anni 90 d.C., ma forse è stato fatto dopo.

Il canone ebraico da allora comprese 39 libri, detti poi Protocanonici (canone palestinese, corto)

ancora in uso oggi presso gli ebrei. I libri rifiutati sono detti Deuterocanonici.

e) Dopo il 90 d.C. deve essere avvenuto il rifiuto da parte degli ebrei della traduzione greca della

Bibbia dei LXX, contro i cristiani che se l’erano appropriata.

3.Conclusione Nel I secolo d.C. esistevano tre canoni principali:

- quello alessandrino (lungo - 46/47 libri - usato poi dai cristiani)

- quello palestinese (corto - 39 libri - usato dagli ebrei anche nei secoli successivi)

- quello samaritano (cortissimo - 5 libri - usato ancora oggi dai Samaritani).

Le scoperte di Qumràn, la stessa traduzione dei LXX e le citazioni fatte dal N.T. sembrano

assicurare che il canone più usato in Palestina nel I sec. a. e d. C. dovesse essere quello lungo.

Anche se per gli ebrei può sembrare scandaloso, forse la migliore conservazione del testo ebraico

antico si ha nella traduzione dei LXX.

IV. I libri canonici Siamo ora in grado di dare una risposta al nostro problema: per conoscere il pensiero ufficiale

ebraico del I secolo d.C. noi ci riferiremo ai libri contenuti nel canone alessandrino (46 libri) per le

seguenti ragioni:

- era il canone usato in Palestina nel I secolo d.C., cioè ai tempi di Gesù;

- è stato scelto dalle prime chiese cristiane. Fra le chiese cristiane attuali c’è qualche discordia a riguardo del canone:

- le chiese cattoliche-latine e le chiese ortodosse hanno accettato la massima parte dei libri contenuti nel canone

alessandrino (eccetto 4° libro di Esdra e 3° dei Maccabei) e questa scelta fu confermata dal concilio di Trento (1546).

- Le chiese ortodosse-orientali mantengono un atteggiamento indeciso su alcuni libri;

- le chiese protestanti hanno accettato il canone palestinese, pur ammettendo che alcuni libri del canone alessandrino

siano utili per la pietà.

Vediamo quali sono i libri cui ci rifaremo e come vengono di solito indicati:

N.B.: In corsivo i deuterocanonici

La TRASMISSIONE dell'ANTICO TESTAMENTO

I. Il problema della trasmissione dell'A.T. I testi che noi usiamo non sono i libri originali, ma delle traduzioni o, per chi conosce l’ebraico o il

greco, delle copie a stampa di documenti scritti oltre 2000 anni fa.

Sorge così il problema critico: che sicurezza abbiamo che in tanti secoli il testo si sia trasmesso

integro?

Testo originale (V-II a.C. = preso) - copie (220 manoscritti: IX - XV d.C.) - stampa (XVI-XX)

II. Dati per la risposta Per avere una risposta, procediamo per gradi:

1. Noi normalmente usiamo delle traduzioni dell'Antico Testamento. Esse derivano da un testo

ebraico (o greco) tradotto da un competente (?) ed onesto (?) traduttore.

2. Questo testo stampato di cui si è servito il traduttore è la riproduzione più fedele possibile (?) di

testi manoscritti antichi. Tra essi i codici più antichi sono:

- il Pentateuco del Museo Britannico (manoscritto n. 4445), scritto alla fine del secolo IX d.C.;

- il codice dei Profeti, scritto nell’895 d.C. e conservato nella sinagoga dei Karaiti al Cairo; ….

3. Il testo ebraico presentatoci da questi manoscritti è un testo consonantico, puntato

(= vocalizzato) e accentato tra il V e il X secolo d.C., con l’aggiunta di note marginali.

4. Sorge però l’ulteriore problema: che garanzia abbiamo che i masoreti (copisti-vocalizzatori)

abbiano tramandato fedelmente il testo biblico?

In generale si è concordi nel ritenere che la fedeltà sia buona:

- sia per la cura estrema dei rabbini nel conservare integro il testo

(bastava un errore perché la copia venisse scartata!).

- sia per la sostanziale concordanza del testo masoretico con:

a) le citazioni in varie lingue che ne fanno autori giudei e cristiani fra il I e il IX secolo d.C.

b) le traduzioni antiche che sono giunte a noi.

La FORMAZIONE dell'ANTICO TESTAMENTO

I. Introduzione: il problema Stabilita la sicurezza (relativa) di possedere il testo dell'Antico Testamento

come era in uso verso il II sec. a.C., possiamo ancora domandarci: come

si sono formati tali libri? Chi sono gli autori?

In particolare per i libri «storici» possiamo anche domandarci: di quali

documenti (fonti) si sono serviti gli autori per raccontare i fatti del passato?

È il problema della formazione dei libri.

II. Storia letteraria del Pentateuco 1. Esistenza di documenti anteriori al Pentateuco a) Sino a metà del secolo XVIII si riteneva da tutti che il Pentateuco fosse il testo più antico della

Bibbia e che l’avesse scritto Mosè, il quale, ispirato da Dio, aveva raccolto la storia e le leggi di

Israele.

b) Verso la metà del ‘700, con il primo sviluppo dell’analisi critica del testo ebraico, l’affermazione

che il Pentateuco sia stato scritto da Mosè cominciò a vacillare. Il medico francese Astruc, leggendo nel 1753 il Pentateuco in ebraico, notò che Dio era chiamato con vari nomi: ora

JHWH, ora 'Elohim, ora JHWHElohim. Per spiegare questa stranezza, pensò che dovessero esistere dei documenti

anteriori al Pentateuco, ognuno dei quali usava un diverso nome per Dio, documenti di cui si sarebbe servito Mosè nello

scrivere definitivamente il Pentateuco, rielaborandoli in un racconto unitario. Così, a seconda del nome divino usato,

Astruc individuò una «fonte javista» ed una «fonte eloista»; ma siccome non tutto il materiale poteva essere

ricondotto a queste due fonti principali, giunse a distinguerne altre, fissandone complessivamente una decina.

c) L’intuizione di Astruc fu ripresa, ampliata e completamente trasformata alla fine del sec. XIX da

Julius Wellhausen (1844-1918). Egli notò che il Pentateuco, come l'abbiamo oggi, non può essere

l'opera di un unico autore. Infatti nel Pentateuco ci sono varie incongruenze o contraddizioni che

difficilmente si potrebbero spiegare se l'opera fosse di un unico autore. Ecco le più significative:

* Gen 1 e Gen 2: due racconti diversi della creazione.

* Gen 12,10-19; Gen 20,1-12; Gen 26,1-11: tre racconti diversi dello stesso fatto.

d) Wellhausen diede origine ad un gruppo di studiosi, noti col nome di Scuola Scandinava.

Lavorando con metodi letterari, giunsero alle seguenti conclusioni:

a) Mosè non ha scritto l’attuale Pentateuco;

b ) esso è il frutto di un complesso lavoro redazionale: una specie di

«collage» di vari documenti preesistenti (fonti);

g ) individuarono dietro al Pentateuco, almeno 4 documenti chiamati Fonte Javista (J), Eloista (E),

Deuteronomista (D) e Sacerdotale (P)

d ) il lavoro di rielaborazione si è concluso verso il secolo V a. C.

(soprattutto ad opera di Esdra).

2. Concetto di «Fonte»

Con il termine di «fonti» si intende tutto il materiale preesistente che è servito all’ultimo redattore

per comporre il libro. Nel caso del Pentateuco si può chiamare «fonte»:

a) il materiale originale filtrato dalla tradizione orale (trasmissione delle notizie antiche);

b) il processo valutativo-selettivo attraverso il quale l’insieme delle notizie è arrivato e viene

presentato (intervento sulle notizie per coordinarle);

c) la redazione finale del materiale stesso in documenti abbastanza ampi (sistemazione definitiva

delle notizie).

Tutto questo materiale andrà poi a confluire nella redazione definitiva del Pentateuco.

3. La critica letteraria (o alta) Lo studio di queste tre fasi di sviluppo delle fonti è oggetto di una scienza specifica chiamata critica

letteraria (o alta) dell'Antico Testamento. Essa, partendo dai risultati della critica testuale (cioè dal

testo originale, che per il Pentateuco doveva essere completo nel secolo V a.C.), si prefigge,

attraverso metodi esclusivamente letterari, di ricostruire la preistoria del testo (origine, sviluppo,

redazione finale): è dunque lo studio delle tradizioni orali e scritte che stanno alla base del testo

biblico ormai formato e definitivo.

4. Individuazione delle fonti con i metodi della critica

letteraria a) Metodi per la ricerca

Come procede oggi la critica letteraria sul testo per ricercare e studiare le fonti?

Per due vie principali:

- analisi delle parole: la scoperta di gruppi di parole o di espressioni caratteristiche e ricorrenti in

testi diversi fa pensare all’esistenza di una unica fonte.

- analisi delle idee: a volte si incontrano in uno stesso testo modi di pensare la vita o interpretazioni

storiche divergenti. Questo fa pensare alla esistenza di vari autori che hanno prodotto documenti

diversi, scritti secondo le proprie idee e i propri schemi mentali, poi unificati nel testo attuale.

b) Risultati della ricerca (comunemente accettati)

Due secoli di critica applicata al Pentateuco hanno permesso agli studiosi di ottenere alcuni risultati

(oggi in parte contestati): le fonti J, E, P, D.

JAVISTA (J - sec. X a.C.)

Modi di vedere caratteristici:

- universalismo della salvezza: Dio ama tutti i popoli;

- antropomorfismo nel parlare di Dio.

ELOISTA (E - sec. IX a.C.)

Modi di vedere caratteristici:

- Dio ha un popolo prediletto: Israele

DEUTERONOMISTA (Deut - sec. VII a.C.)

- si tratta di una "scuola" di pensatori

- ad essa vanno attribuiti il Deuteronomio e tutta l’opera storica dei libri dei Re.

L'idea centrale: la storia dei rapporti fra Dio ed Israele si sviluppa in quattro tempi:

Patto - Trasgressione - Punizione - Pentimento

SACERDOTALE (P - sec. VI a.C.)

- risale, grosso modo, al periodo di Ezechiele (secolo VI a.C.);

- sembra che sia stata quella che ha organizzato definitivamente

in un’unità tutto il materiale delle altre fonti.

Le idee centrali:

- diritti e doveri dei sacerdoti;

- norme cultuali e di purità.

Schema semplificato:

Critiche attuali

L’oggettività di questi risultati ottenuti, soprattutto dalla Scuola Scandinava, oggi è messa in

discussione per le seguenti ragioni:

1a quanto alla individuazione delle singole fonti: poiché non si riesce a raggiungere l’accordo fra gli

studiosi nel determinare esattamente a quale fonte appartengano i singoli brani del Pentateuco,

viene il sospetto che i criteri per individuarle non siano di tipo scientifico-oggettivo;

2a quanto alla loro datazione, ci sono molti dubbi: infatti analizzando libri sicuramente datati come

quelli di Amos, Osea e il primo Isaia (capp. 1-39), che dovrebbero essere contemporanei alle varie

fonti del Pentateuco, non si trova nessuna o quasi delle idee contenute in esse.

Perciò, pur non negando la validità del metodo per la ricerca delle fonti, alcuni studiosi

contemporanei propongono datazioni più recenti per le fonti stesse.

Ne dovrebbe derivare di conseguenza una diversa ipotesi di formazione del Pentateuco. E questa è

ancora da proporre e da verificare.

Il LIBRO di GENESI

I. Introduzione al Pentateuco È la più antica raccolta di tradizioni e di leggi ebraiche.

1.Il nome - Pentateuco: è il nome con cui veniva chiamato dai greci e significa letteralmente «cinque

contenitori» (perché i libri antichi spesso erano arrotolati in contenitori cilindrici) e perciò va inteso

come «cinque libri» attribuiti a Mosè.

- Toràh: è il nome con cui viene chiamato dagli ebrei e significa «legge, insegnamento».

È anche chiamato «Libro della Legge», «Libro di Mosè»...

2.Divisione Il nome stesso greco dice che il Pentateuco è diviso in 5 libri. Ogni libro ha un titolo.

Gli ebrei intitolavano i libri in base alle prime parole con cui essi iniziavano (come avviene ancora

oggi coi documenti del Papa), mentre la traduzione greca dei LXX (250 a.C. circa) li intitolava

secondo il loro contenuto.

3.Autore Il Pentateuco è stato attribuito dagli ebrei (anche ai tempi di Gesù) e dai cristiani a Mosè.

Ora invece la maggior parte degli studiosi accetta che nel Pentateuco esistano varie fonti di secoli

diversi, unificate da un redattore finale, forse Esdra, nel V. sec. a.C.

4. Ispirazione I libri del Pentateuco, almeno dal sec. V a.C. in poi, sono stati accettati come «Parola di Dio» dagli

ebrei e dai cristiani:

- dagli ebrei: perché, nella loro convinzione, Jhwh ha parlato a Mosè, il quale ha scritto direttamente

quanto gli aveva detto;

- dai cristiani: perché Gesù e gli apostoli l’hanno accettato come ispirato da Dio (cfr. per es. Mt

19,3-8; Lc 24,25-27; 2 Tim 3,14-16; 2 Pietro 1,20-21; ecc.).

II. Il libro della Genesi 1.Introduzione a) Tradizioni Importanti tradizioni che le tribù nomadi (da cui deriverà poi il popolo ebraico) portarono con sé

quando, nel sec. XIII a.C., si insediarono nel Canaan (= Palestina), furono quelle riguardanti

- le origini del mondo (cosmogenesi);

- le storie dei patriarchi: Abramo Isacco Giacobbe Giuseppe.

Tali «fatti» furono sempre interpretati dagli ebrei (non dai cristiani) come:

- manifestazioni della libera iniziativa di Dio di formarsi un popolo «eletto»;

- garanzia della perenne fedeltà di Dio nell’amare e proteggere il suo popolo;

- fondamento della fede ebraica in Jhwh. I cristiani diranno che non esiste un popolo eletto, ma che ogni popolo è amato da Dio

(Eb 2,11-22; cfr. anche Atti 10,34; Rom 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9; Gc 2,1; 1 Pt 1,17).

b) Storicità Le tradizioni raccolte nella Genesi hanno certamente un nucleo storico, ma resta impossibile (per

ora) separarlo – da accrescimenti e interpretazioni. Ai tempi di Gesù il libro era ritenuto storico.

c) Divisione del libro Riguardo al contenuto, la Genesi si divide chiaramente in due parti.

La «preistoria biblica» (1,1 - 11,26)

- la «storia» di Adamo ed Eva (2,4b-4,26);

- la «storia» dei discendenti di Adamo (5,1 - 6,8) con la descrizione della corruzione universale e

del proposito divino di distruggere l’umanità;

- la «storia» di Noè (6,9 - 9,29), caratterizzata soprattutto dal diluvio;

- la «storia» dei discendenti di Noè (noachidi) (10,1 - 11,9), con la descrizione della torre di Babele;

- la «storia» dei discendenti di Sem (semiti) (11,10-26) fino a Tare, padre di Abramo.

La storia dei Patriarchi (11,27 - 50,26)

- la «storia» di Abramo (11,27 - 25,11): la sua vocazione, la sua alleanza con Dio ed il sacrificio di

Isacco; - la «storia» di Ismaele (25,12-18); - la «storia» di Isacco (25,19 - 35,29);- la «storia» di

Esaù (36,1-43); - la «storia» di Giacobbe-Israele (37,1 - 50,26), con l’inserzione di Giuseppe.

d) Fonti di Genesi J = javista

E = eloista

P = sacerdotale-redattore finale.

ANALISI DI BRANI SCELTI

La "Protostoria" - Gen 1,1 - 2,4 a

Schema semplificativo:

Concezione antica del mondo:

Gen 1 ed evoluzione Storia del problema a) Fino al 1700: il problema non venne posto su basi scientifiche. Pacificamente si insegnava, partendo da Gen 1, che Dio aveva creato le specie una ad una (Fissismo).

b) 1700 - 1800: cominciarono le prime scoperte di fossili di specie estinte, che fecero pensare ad una evoluzione delle

specie. I teologi, poiché tendevano ad una lettura "storico-letterale" della Bibbia.

1) Alcuni scienziati si schierarono a favore dell’evoluzione. In particolare:

- G. Lamarck (Philosophie zoologique, 1809) sostenne che l’evoluzione dell’individuo ripete quella della specie;

- Ch. Darwin (L’evoluzione della specie, 1859) sostenne (meglio!) * il principio dell’adattamento delle specie alle

mutate condizioni ambientali; * la selezione naturale.

2) Altri scienziati continuarono a sostenere il fissismo.

3) I teologi reagirono, sostenendo che non ci sono prove sicure a favore dell’evoluzione.

c) 1900: Continuano le discussioni … libro di fede o anche di scienza? Qualche teologo temeva che, accettando errori

scientifici nella Bibbia, crollasse la fede in essa come "Parola di Dio". Si fanno nuove scoperte a favore dell’evoluzione. d) La situazione oggi

Nelle discussioni fra biblisti e scienziati, si sono venute chiarendo le posizioni:

- i biblisti hanno capito che la Bibbia 1. non è un libro di scienza, ma un libro di fede; 2. non dice come Dio ha creato

gli animali o l’uomo, ma contiene un messaggio religioso sul senso della vita dell’uomo;

3. si esprime coi concetti scientifici degli antichi ebrei. Perciò non si può pretendere che sia in accordo con la scienza di

oggi. Se d’altra parte fosse in accordo con la scienza di oggi, potrebbe non esserlo con la scienza di domani;

4. è "Parola di Dio", indipendentemente dalle idee scientifiche che espone; - gli scienziati sono diventati più cauti nel

fare affermazioni generali di tipo filosofico o teologico in nome della scienza. Non è il loro campo.

(Luminarie = polemica coi babilonesi)

4. La creazione dell'uomo (1,26-29)

5. Il sabato (2,2-3)

Gli ebrei devono osservare il sabato come giorno sacro, poiché in quel giorno Dio si riposò.

- Gen 2,4b - 3,24 (Fonte J)

1. Struttura della narrazione Ad una lettura attenta il testo lascia l’impressione di essere un racconto semplice e fantasioso.

2. Analisi di alcuni elementi

a) Dio È visto come un grande uomo (antropomorfismo):

- fa vari mestieri: il vasaio (2,7.19), l’ostetrico (2,7), il giardiniere (2,8), l’anestesista (2,21), il

chirurgo (2,21), il sarto (3,21) - passeggia al mattino e fa rumore (3,8)

b) l’eden Dio prepara l’ambiente in cui vuole collocare l’uomo.

Il lo immagina nella Mesopotamia (fiumi)!.

c) l’uomo È presentato come un fantoccio di fango fatto da Dio, ma a cui Dio diede il suo soffio vitale (il suo

spirito!). L’uomo ha perciò in sé qualcosa di divino: la vita di Dio. Il termine ebraico ‘adam non è il nome proprio di una persona, ma un collettivo che vuol dire l’uomo o l’umanità.

Tuttavia già prima dei tempi di Gesù gli ebrei lo interpretarono come il nome del primo uomo.

d) la donna È vista come un aiuto degno dell’uomo (2,20.18).

Viene tratta da una «costola» dell’uomo; per questo si chiama ‘isshàh (= uoma) perché fu tratta da

‘ish (= uomo) (2,22-24).

e) il peccato

ogni peccato consisterebbe nell’atto di disobbedienza a un comando di Dio, con conseguenze (nudi

che si nascondono) e castighi (parto e lavoro).

3. Interpretazione A questo testo sono state date fin dall'antichità due interpretazioni: a) storica: i fatti si sono proprio svolti come raccontati;

b) mitica: il racconto sarebbe simbolico, una favoletta per far capire idee profonde.

NB. Il mito non si oppone alla storia. È invece una super-storia che si realizza in tanti fatti concreti. Es. la favola del

lupo e dell’agnello non si è mai verificata così, eppure si verifica tutte le volte che un forte ha già deciso di stroncare un debole e cerca delle ragioni per giustificarsi. Propenderemmo per questa seconda interpretazione!

Il peccato originale Spesso si sente dire che Gen 3 racconta il peccato originale. Cos’è? Nel linguaggio teologico cristiano (soprattutto da sant'Agostino in poi) si parla di peccato originale e si

intende la situazione di peccato involontaria in cui vengono a trovarsi tutti dal concepimento.

Così inteso, questa pagina parla di "peccato originale"? La risposta deve essere negativa, perché

- qui c'è la descrizione di un peccato volontario, mentre il peccato originale è involontario.

- Gli ebrei non hanno l'idea di un peccato originale. - I cristiani (o almeno i cattolici) sanno dell'esistenza del peccato originale da Paolo.

Sant'Agostino spiega : «Come un principe decaduto ha lasciato nella miseria tutti i suoi eredi, così Adamo

peccando ha lasciato peccatori tutti gli uomini». Comunemente si insegna che:

- il peccato originale viene trasmesso per generazione

- viene eliminato mediante il battesimo

Gen 4,23-24: il canto di Lamech Fonte: J

La vendetta

Gen 5 Fonte: J

L’età dei Patriarchi. Come intenderla?

Varie ipotesi: amplificazione dei numeri; computo mesi- anni; premio vita buona.

Gen 6 - 9: il diluvio (Fonti: J e P)

L’autore descrive il crescere della corruzione dell’umanità che provoca il castigo di Dio (diluvio e

accorciamento della vita). Noè dovrà iniziare una nuova discendenza. Permesso di mangiare carni,

tranne quelle col “sangue”.

Gen. 11: la torre di Babele Fonte: J

+ L’autore cerca di rispondere ad un problema: se tutti gli uomini derivano da Adamo ed Eva, come

mai ci sono nel mondo lingue diverse?

La sua risposta: l'esistenza di lingue diverse e la conseguente difficoltà a capirsi fra gli uomini è un

castigo di Dio a causa del loro orgoglio. L’autore vuol irridere le ziqqurath babilonesi (torri di

segnalazione o anche templi?) e la stessa città di Babilonia, a cui fa derivare il nome dalla parola

«babel», cioè «confusione». Negli At: discesa dello Spirito = rovesciamento della torre di Babele.

La Storia di Abramo (Gen 11,27 - 25,11)

+ Abramo è

- l’amico di Dio (Dio gli si manifesta); destinatario delle promesse, il fedele che si lascia guidare.

Gen 12,1-9: la vocazione di Abramo Fonte: J

Abramo credette a Dio (cfr. Rom 4), cioè si affidò a lui.

Gen 12,10-20 e Gen 20,1-18 (cfr. anche Gen 26,1-11) Fonti: varie

Episodio ripetuto tre volte con lo stesso schema (sia pure con particolari diversi): il patriarca è

disposto a «vendere» la propria moglie per aver salva la vita ed aver vantaggi economici.

Il fatto non viene condannato come immorale. Solo Gen 20,12 (fonte E?) cerca di giustificare

Abramo dall’accusa di aver mentito quando disse che sua moglie era sua sorella.

Gen 13 Fonte: J

La «terra»: elemento fondamentale di sopravvivenza.

Gen 14,18-20: Melchisedeq (= re di giustizia) è re di Salem (Gerusalemme?) e sacerdote del Dio Altissimo;

Abramo gli dà la decima (parte) del bottino fatto, cioè lo riconosce sacerdote.

I sacerdoti ebrei erano infatti mantenuti dal popolo mediante lo spontaneo pagamento della decima.

Nella tradizione ebraica posteriore, Melchisedeq diventa il capo di un sacerdozio particolare.

Nella tradizione cristiana, Melchisedeq, che offre pane e vino, diventa un simbolo di Gesù (Eb).

Gen 15: il patto fra Dio ed Abramo + L’importante problema dell’erede.

Per gli antichi era importante avere molti figli per guerra e assistenza.

Gen 16: il figlio che Abramo ha dalla serva Agar Da Ismaele (= Dio ascolta) deriveranno, secondo la tradizione mediorientale, gli Arabi.

Gen 17: il cambio del nome e la circoncisione Manifesta la sua volontà di affidarle una missione importante (cfr. Pt). Il cambio del nome da parte di Dio potrebbe anche essere un espediente che l’autore usa per contribuire ad unificare le

varie tribù per formare il popolo ebraico. Un gruppo di loro si riferiva ad un capostipite di nome Abram; un altro ad

un capostipite di nome Abraham. L’autore afferma: «Sono la medesima persona, a cui Dio ha cambiato nome.

Abbiamo perciò tutti lo stesso padre e dunque siamo tutti fratelli».

La circoncisione: segno del patto con Dio:

- Consiste nel taglio del prepuzio del bambino. - Antico uso a scopo igienico (ridurre le infezioni

agli organi genitali) e forse sessuale (agevolare il rapporto sessuale) è diventato per gli ebrei un rito

religioso (praticato ancora oggi da tutti gli ebrei).

Gen 18: la visita di Dio ad Abramo L’episodio richiama antiche tradizioni orientali di visite fatte da divinità in sembianze umane.

Riso di Sara = Isacco. Tipica trattativa commerciale in Oriente. Prefigurazione della Trinità.

Gen 19: Sodoma Il delitto degli abitanti di Sodoma, oltre che di tipo sessuale, è anche di tipo sociale: la violazione

delle leggi dell’ospitalità. Da questo racconto deriva la parola sodomia, usata per indicare

l’omosessualità. La legge ebraica la condanna con la pena di morte.

Gen 22: Il sacrificio di Isacco Abramo, prototipo dei credenti, si fida di Dio che aveva voluto provare la sua fede.

Il luogo del sacrificio è il monte Moria, dove sorgerà il tempio di Gerusalemme.

Gen 23: La sepoltura di Sara I nomadi non hanno un cimitero fisso. Abramo comincia a sedentarizzarsi.

Gen 24: Il matrimonio di Isacco Il testo rivela la mentalità ebraica antica che si è poi tradotta nel proverbio nostro:

«Donne e buoi dei paesi tuoi».

Gen 25,7-11: la morte di Abramo La morte non ha nulla di drammatico. È un evento naturale.

Gen 25, 19-34: Esaù e Giacobbe Anche Rebecca è sterile. Se concepisce bambini, è per dono di Dio.

Deduzione logica: gli ebrei sono voluti da Dio (figli di Dio).

Gen 26: la prosperità di Isacco Promesse già fatte e Dio benedice chi gli è caro con la prosperità economica.

La storia di Giacobbe e di Giuseppe (Gen 27 - 50)

Gen 27: la benedizione di Giacobbe È presentato il conflitto fra Esaù e Giacobbe e lo stratagemma.

Gen 28,10-22: la scala di Giacobbe Questo famoso episodio viene raccontato per dare lustro al santuario di Betel (= casa di Dio) che

funzionava ancora ai tempi di Davide. La pietra che Giacobbe rizza diventa una stele sacra.

Gen 29-30: i matrimoni di Giacobbe Giacobbe, a causa della falsità di Labano, ha quattro mogli: Lia e Rachele e le serve di Lia e di

Rachele (Zilpa e Bila), che gli danno in tutto 12 figli maschi.

Gen 32,23-33: Giacobbe lotta con l’angelo Episodio misterioso!

Importante il cambio del nome: Israele = forte contro Dio.

Gen 37-48: la storia di Giuseppe Si tratta di un romanzo egiziano a lieto fine, modificato forse per far capire

come Dio protegge sempre gli ebrei.

Notare il giusto Giuseppe odiato dai fratelli e venduto per 20 sicli d'argento (c.37) diventa un

simbolo di Gesù, venduto per trenta denari;

Gen 49: la benedizione di Giacobbe verso i figli La più importante è quella per Giuda (v. 8-12)

Gen 50: la sepoltura di Giacobbe in Palestina

Il libro dell' ESODO

I. Introduzione Un importante blocco di tradizioni (il secondo dopo quello riguardante i Patriarchi di Genesi) che le

tribù nomadi degli ebrei portarono con sé insediandosi verso il sec. XIII a.C. nel Canaan.

Riguardante * l’uscita dall'Egitto (in greco éxodos = uscita) da cui il titolo.

* l’alleanza con Dio al Sinai.

Tali «fatti» furono in seguito sempre interpretati dagli ebrei come l’intervento di Dio nella loro

storia, il fondamento della loro fede in Mosè, la garanzia della perpetua benevolenza verso Israele.

I «fatti» dell’esodo sono esposti nei libri dell’Esodo, del Levitico e dei Numeri. Descritti in forma

poetica nei Salmi e poi ripresi e rimeditati da vari libri dell'Antico e del Nuovo Testamento.

II. Storicità Le tradizioni raccolte in Esodo hanno certamente un nucleo storico, molto più solido di Genesi, ma

resta impossibile (per ora) separarlo dagli accrescimenti e dalle interpretazioni religiose.

Ai tempi di Gesù, anch’esso come Genesi era considerato storico.

III. Fonti dell’Esodo Combinazione di J E e P.

Brani principali

Es 2,1-22: Mosè + La figura di Mosè

- nascita; - nome: forse dall’egiziano mosis = «figlio del dio...». Per gli ebrei invece acquistò il

significato popolare di «salvato dalle acque». In realtà «salvato» in ebraico si direbbe mashù,

mentre moshè è un participio presente che significa «colui che salva»; - infanzia ed educazione alla

corte del Faraone (non si sa quale sia); - fuga nel Madian; - matrimonio con Sippora, figlia di Ietro,

sacerdote del Madian.

Ex 3: la rivelazione/nascondimento del nome di Dio a) La sacralità di Dio (i calzari potevano aver raccolto impurità).

b) I nomi con cui Dio viene chiamato:- «Il Signore = Jhwh»; - «L’angelo del Signore»; - «Dio di

tuo padre, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe; - «Dio degli Ebrei» (v.18).

c) Ma il testo classico parla di «‘EHIEH ‘ASHER ‘EHIEH».

Significati:

1. Sono chi sono = Non ti dico il mio nome, perché tu non creda che, invocandomi, io sia costretto

ad aiutarti. Tu non puoi conoscere la mia essenza (espressa nel nome) cfr. Gen 32,30.

2. Sono chi ero = Sono il Dio dei Padri, della tradizione

3. Sono chi sarò = Chi sono io lo capirete da ciò che in futuro farò per voi.

4. I LXX e la Vulgata poi hanno dato di questo testo una interpretazione che ha avuto molta fortuna:

Sono colui che è, inteso: o nel senso filosofico di «sono colui la cui essenza è di esistere in forza

propria» (ma sembra un po’ troppo fine per dei nomadi antichi), o nel senso storico di «sono un Dio

che esiste, in confronto agli dei egiziani che non sono» (cfr. Salmo 115,3-9).

Ex 12,1-28 e 43-51; 13,3-12: la festa di Pasqua (pésach) (Fonti: 12,1-20: P - varie -; 12,21-28: J; 12,43-51: P; 13,3-12: P)

Questi capitoli ci presentano una mescolanza di tradizioni orali e di scritti di epoche diverse, spesso

di origine liturgica, con lo scopo di insegnare come celebrare la Pasqua.

Cerchiamo perciò, fin dove è possibile, di districare le fonti e di ricostruire le origini, lo

svolgimento ed il significato della festa ebraica di Pasqua.

a) Origini

1. Verso il 1300-1200 a.C. cominciarono a confluire in Palestina gruppi di nomadi (pastori) che

lentamente si fusero con i sedentari (agricoltori) che già vi abitavano, formando un gruppo

abbastanza omogeneo (primo nucleo di quello che sarà poi il popolo ebraico).

2. Pastori ed agricoltori avevano le proprie feste religiose. Lentamente le feste di ognuno dei due

gruppi che cadevano all’incirca nello stesso periodo si sono attratte ed unificate in una sola.

3. In primavera, sia i nomadi o seminomadi, sia i sedentari, avevano una loro

festa: raffrontiamole!

I PASTORI (nomadi)

Festa dell’agnello (Ex 12,3-11) - festa della partenza per i pascoli

(transumanza)

- tempo: notte del plenilunio di marzo-aprile,

cioè il 14 del mese di nissan (calendario babilonese)

- carattere: festa della tribù, non legata ad

alcun santuario

- era una cena d’addio e di solidarietà tra i

pastori

- si mangiava l’agnello sgozzato (sacrificato)

ed arrostito

- significato:

a) ringraziamento a Dio per il gregge,

b) propiziazione contro gli spiriti maligni

e per la fecondità del gregge: per questo si usava spruzzare col sangue dell’agnello

il gregge, i pali della tenda, le persone

c) alleanza tra i pastori (patto di sangue) in

caso di aggressione da parte di nemici

- modalità: si mangiava in fretta, pronti

per la partenza per i pascoli.

- era una settimana di festa (forse da sabato a

sabato, con inizio il venerdì sera)

- si mangiava pane azzimo (in attesa che si

formasse il nuovo lievito)

GLI AGRICOLTORI (sedentari)

Festa del pane azzimo (Ex 12,15-17) - festa della raccolta dell’orzo (offerta del primo

covone)

- tempo: nel mese di abib = mese delle spighe

(calendario cananaico)

- carattere: festa della famiglia, legata a qualche

santuario locale

- significato:

a) ringraziamento a Dio per il nuovo pane

b) comunione tra i membri della famiglia

- modalità: si mangiava in casa, a tavola, sotto

la presidenza del capofamiglia.

Col fondersi dei costumi dei due gruppi, le due feste si sono integrate reciprocamente in un’unica

festa, formata dagli elementi principali di ognuna delle due (Ex 5,1-3): la cena dell’agnello coincise

con la prima cena degli azzimi (Ex 12,34).

Tale festa è chiamata in ebraico con il nome di Pèsach, di significato oscuro: forse originariamente

agnello, poi popolarmente passaggio.

4. In una determinata primavera, proprio nel periodo della festa dell’agnello, un intervento

strepitoso di JHWH ha liberato il popolo dalla schiavitù d’Egitto (Ex 8,21-24). Così credettero e

credono tuttora gli ebrei.

La festa di Pasqua acquistò il significato di «festa di liberazione», da celebrarsi come «memoriale»

perpetuo della liberazione dalla schiavitù d’Egitto.

5. In seguito il popolo capì che Dio lo aveva liberato dalla schiavitù d’Egitto solo per poter stabilire

con lui l’alleanza e perciò collegò la Pasqua con l’alleanza. ALTRA FESTA KIPPUR = CAPRO!

Ex 13,17-14,31: il passaggio del mar Rosso (Fonti: JEP mescolate)

Mar Rosso è un'interpretazione posteriore. Il testo lo chiama mare dei giunchi.

Si è osservato da tempo che in questo brano ci sono divergenze. Infatti

- si tratta di fuga o di espulsione? (Ex 12,35-12,33-34)

- le acque sono aperte

a) da un forte vento orientale (14,21.24-25.27; Sl 77 e 114)

b) dalla mano di Mosè (14,21.22-23.26.28-29)

c) dall’angelo di Dio (14,19)

Questo ha fatto pensare a tre diverse tradizioni (J,E,P), in un primo tempo

indipendenti, ciascuna delle quali narrava di un’azione di JHWH al mare

dei giunchi.

Un redattore avrebbe poi amalgamato i tre racconti in uno solo.

Ex 15-20; 24; 32-34: le peregrinazioni nel deserto Questi capitoli ci presentano una lunga serie di fatti provenienti da tradizioni. Riportiamo il

percorso secondo la tradizione:

Ex 17,1-7; Num 20,2-13: Dio dà agli ebrei acqua in abbondanza

Ex 18, 13-27; cfr. Num 11,11-30 e Deut 1,9-19: istituzione dei giudici Viene fatta risalire a Mosè l’organizzazione giudiziaria ebraica che invece è posteriore.

6. Ex 19; 20 e 24; Deut 5: l'alleanza del Sinai-Horeb Il materiale di questi capitoli proviene da due fonti: J ed E, che raccontano lo stesso fatto e sono

state appaiate (conservandone il parallelismo) dopo la caduta di Samaria (722 a.C.).

Criteri di riconoscimento:

- la fonte E sottolinea l’atto dell’uomo che ricerca Dio;

la fonte J ha invece l’idea che l’incontro sia già ben programmato da Dio;

- per E il patto stipulato all’Horeb è bilaterale (cfr. il sangue del sacrificio

sparso sull’altare - simbolo di Dio - e sul popolo);

per J il patto del Sinai è unilaterale, solo da parte di Dio (banchetto);

- per E Dio non si rivela mai (è «l’angelo di Dio»);

per J Dio si rivela direttamente.

Vari studiosi lo fanno risalire proprio a Mosè.

D’altronde, se si eccettuano i primi tre comandamenti, troviamo comandamenti analoghi in quasi

tutte le legislazioni antiche del Medio Oriente, come per esempio nell’egiziano Libro dei morti, in

un rituale di esorcismo babilonese, nello stesso codice di Hammurabi...

Ha la forma di una imposizione solenne che Dio fa al popolo ebraico dopo averlo salvato, per

amore, dalla schiavitù di Egitto.

La doppia stesura, Eloista e Deuteronomista, ha varianti minime e questo mostra l’antichità e la

buona conservazione del testo.

Commentiamolo rapidamente secondo la formulazione di Esodo:

- v. 2: Jhwh richiama i suoi benefici come titolo di diritto ad imporre il patto.

- v. 4-6: la proibizione di farsi immagini di Jhwh (= idoli).

- v. 5: contiene una spiegazione del motivo del male nel mondo: è la punizione che Dio dà al

peccato (= alla trasgressione della legge). Questo versetto fa dell’ebraismo antico un «sistema chiuso» rispetto al male, cioè il male ha sempre una spiegazione nel

nostro mondo: a) la causa del male non è Dio, ma il peccato dell’uomo, b) se il giusto soffre è perché paga le

conseguenze delle colpe dei suoi antenati, fino al trisnonno (principio di solidarietà). E chi si ricorda ancora dei peccati

del trisnonno?

- v. 7: divieto di pronunciare il nome di Jhwh «per una ragione vana» oppure falsa. Israele ha

ricevuto la rivelazione del nome di Dio per poterlo lodare e farlo conoscere alle nazioni pagane;

non perciò servirsene per pratiche magiche. Solo il sommo sacerdote lo pronunciava nel tempio durante la festa del Kippùr. Invece nella lettura della Bibbia in

sinagoga si sostituiva con Adonai.

- v. 8-11: il riposo del sabato è, come in Gen 2,1-3, il compimento della creazione.

- v. 12: «Onora», letteralmente sarebbe «glorifica». Glorificare i genitori è riconoscere che essi

sono gli strumenti di Dio, fonte di vita.

- v. 15: secondo una tradizione ben attestata (cfr. Ex 21,16, i Targumím - commenti alla legge fatti

in lingua aramaica) questo comandamento originariamente vietava il ratto, cioè l’impadronirsi di

persone per renderle schiave. In seguito il comandamento è stato esteso alle cose degli altri.

Il codice dell’alleanza

Una serie di norme di epoche diverse, ma molto antiche, riguardanti i più diversi aspetti della vita

ebraica.

Tra di esse è da notare: l’altare, che è sacro, deve essere fatto di materiali non lavorati dall’uomo,

perché altrimenti diventerebbe profano. la legge del taglione. Leggi per il rispetto dei forestieri.

Leggi benevole anche verso i propri nemici. L’anno sabbatico (= anno di riposo) per i poveri.

Le tre grandi feste agricole ebraiche di pellegrinaggio: azzimi, (Pasqua), mietitura (Pentecoste),

raccolto (tende).

Vengono descritti, ma come profezia, i confini raggiunti dagli ebrei al tempo di Salomone (950

a.C.). Di qui si conclude che il testo fu scritto durante o dopo il regno di Salomone.

7. Ex 32 - 34: rottura e rinnovamento dell'alleanza Testimoniano della lotta di Mosè e poi dei Profeti per tenere il popolo nell’obbedienza a Dio.

- v. 4: il vitello o il toro era forse solo il sedile della divinità, come attestano varie statue di divinità

del Medio Oriente: Dio cavalca un toro.

L’ultima parte del libro dell’Esodo (capp. 35-40), riguarda la costruzione

del santuario di Jhwh. Non essendo però determinante al fine di conoscere

il pensiero ebraico, riportiamo solo una ricostruzione congetturale

Profetismo e istituzioni

Che cos’è la profezia È un fenomeno caratteristico di tutto il Vicino Oriente Mediterraneo e sviluppatosi in modo

particolare in Israele.

Cosa s’intende con il termine «profetare»?

Significa venire a conoscenza di cose che normalmente l'uomo non è in grado di sapere; in altre

parole, significa entrare in comunicazione diretta con il soprannaturale, con il divino, giungendo

alla comprensione della volontà degli dei (di JHWH, per Israele).

Conoscere la volontà del dio per adempierla: questo è il significato fondamentale dell’arte mantica

o divinatoria (introdotta in Medio Oriente dai Sumeri).

Dalla mantica derivarono due altri metodi per entrare in contatto con il Dio: la profezia estatica e la

profezia intuitiva (quest’ultima caratteristica d’Israele).

a) La profezia estatica, superando la mediazione di particolari «segni» animali o naturali, si riteneva

che portasse l’uomo ad uno strettissimo contatto con Dio. Il fenomeno della profezia però era

preceduto da tutta una serie di riti propiziatori, per di attirare l'attenzione della divinità, per invitarla

a manifestarsi e per preparare l'atmosfera più adatta a tale manifestazione.

Ed era proprio mentre si stavano svolgendo tali riti che una o più persone entravano in una specie di

estasi e si trasformavano in profeti. Profetizzare coincideva così con «l’essere fuori di sé», in una

sorta di «trance».

b) A differenza di quella estatica, la profezia intuitiva si manifestava in una sola persona. In questo

caso si pensava che Dio scegliesse alcuni uomini particolari per adempiere l’ufficio di profeta. Il

profeta era dunque l’inviato di Dio e la sua missione poteva essere temporanea o durare tutta la vita.

L’elezione da parte di Dio portava come conseguenza che queste persone a volte avvertivano dentro

di sé una forza o avevano delle «visioni», che poi esse stesse interpretavano.

Il profeta per Israele:

- è colui che conosce il progetto di Dio sulla storia (passata, presente, futura)

e lo rivela al popolo;

- è un uomo incaricato da Dio del compito di manifestare al popolo la sua

Parola;

- è l’uomo del Patto, che parla a nome del Dio di Mosè.

Contenuto del messaggio profetico a) Invito alla conversione interiore a Dio;b) Rivelazione del senso della storia d’Israele;

Dopo l’esilio di Babilonia (538 a.C.) comincia a farsi strada in Israele l’idea di un nuovo patto.

Messianismo Fenomeno tipico del popolo d’Israele, ampiamente documentato.

Messia significa unto con olio (elemento prezioso in Palestina), consacrato da Dio.

Tipi di messianismo

1. Funzione regale: il messia re Il monarca è unto re e, in quanto "Unto di Dio" (messia-cristo), associa ed unisce alla monarchia la

funzione messianica a beneficio e per la salvezza di Israele. A cominciare dal regno di Davide, la

divulgazione della profezia riportata da Natan al re (cfr. 2 Sam 7) arricchisce la funzione messianica

regale di una fondamentale promessa: i discendenti di Davide saranno i legittimi sovrani in

Israele ed i legittimi messia del popolo.

2. Funzione profetica: il messia profeta Mentre il messianismo regale ha come suo modello di riferimento Davide, quello profetico si

riferisce in particolare a Mosè ed alla sua funzione di mediatore dell’alleanza, di trasmettitore e

primo interprete della legge divina.

Questa concezione del messia-profeta si afferma in età decisamente posteriore rispetto a quella del

messia-re e deve essere ricondotta all’annuncio, sviluppato soprattutto da Geremia.

3. Funzione sacerdotale: il messia sacerdote Il sacerdote era in Israele, per diritto-dovere di nascita, un membro della tribù di Levi.

4. Funzione superumana: il messia Figlio dell’Uomo Il tardo giudaismo (dal III sec. a.C.) conosce l’affermarsi, accanto alle tre già ricordate, di un’altra

figura e funzione messianica: quella dell’unto annunciato in Dn 7,13-14.

Il misterioso personaggio che viene presentato ha queste caratteristiche:

- partecipa della natura umana, ma ne è al di sopra; - riceve l’investitura direttamente da Dio;

- riceve un potere cosmico, che si estende a tutti i popoli, nella storia ed al di là della storia;

- tale regno eterno ed indistruttibile è strettamente connesso con l’azione salvifica di Dio.

5. La funzione servile: il messia servo sofferente È infine necessario ricordare una particolare figura messianica.

In alcuni canti o carmi contenuti nel libro del profeta Isaia si parla di un misterioso servo di

Jhwh, fedele esecutore di una missione di salvezza affidatagli dal Signore.

Per compiere questa missione il servo deve soffrire e morire nel disprezzo generale, deve

annientarsi e farsi «uomo dei dolori». Solo attraverso la sua grande sofferenza il Signore farà

passare in Israele la salvezza promessa. Chi è questo servo sofferente?

- a volte tutto il popolo di Israele che soffre nella storia persecuzioni e dominazioni straniere in attesa della liberazione

imminente; - a volte il profeta, o un profeta, diverso da Isaia, ma come lui martire per la fede, - a volte un re o un capo del popolo che, attraverso il suo sacrificio espiatorio,

potrà salvare tutto il popolo.

Le ISTITUZIONI RELIGIOSE EBRAICHE

IL TEMPIO Ha subìto varie trasformazioni, fino ad essere distrutto nel 70 d.C. dai romani.

1. Il tempio nel deserto: la tenda di Dio Quando Israele peregrinava nel deserto e viveva sotto le tende, anche il suo Dio dimorava sotto una

tenda, detta tabernacolo o dimora.

Dopo la conquista del Canaan (sec. XIII a.C.) il tabernacolo (che nel frattempo si era arricchito

dell’arca dell’alleanza) venne spostato da un luogo all’altro, finché Salomone lo sostituì col tempio.

2. Il tempio di Salomone (I° tempio) Salomone, coronando un sogno di suo padre Davide (cfr. 2 Sam 7), volle dare ad Israele un centro

stabile di culto e costruì verso il 960 a. C. il tempio su un terreno di sua proprietà che spianò e rese

adatto alla costruzione. Il tempio di Salomone subì molteplici restauri e fu distrutto nel 587-6 a.C. dalle truppe di Nabucodonosor.

3. Il tempio di Zorobabele Quando gli ebrei rientrarono dall’esilio nel 538 a.C., si preoccuparono assai presto di ricostruire il

tempio. Il nuovo Tempio fu condotto a termine nel 516 a. C., dopo molte opposizioni e difficoltà.

Esso riproduceva la stessa pianta dell’antico (Esdra 1; 3-6). Mancando l’arca dell’alleanza, forse

andata distrutta, il «santo dei santi» rimase vuoto. Spogliato e profanato da Antioco Epifane, il

tempio fu restaurato dai Maccabei nel II sec. a.C.

4. Il tempio di Erode il grande (II° tempio) Sarebbe il III° tempio, però la tradizione giudaica ha sempre considerato il tempio di Erode il

grande come il «secondo tempio», giacché lo giudicava solo un abbellimento di quello ricostruito

nel 516 a.C. Con questa grandiosa impresa Erode volle accattivarsi l’animo dei giudei ed ostentare

il suo gusto ellenistico per l’edilizia. Iniziati i lavori nel 19 a.C., li condusse a termine in nove anni

e mezzo, sebbene i lavori di rifinitura siano durati fino al 62 d.C. (cfr. Gv 2,20: «46 anni ci vollero a

costruire questo tempio»). Il tempio conservò la struttura salomonica, però ricevette un’altezza

maggiore e considerevoli aggiunte.

Breve teologia del tempio a) Sede della presenza divina Il tempio è la «casa» di Dio, dove egli abita per sempre. Ne prese possesso quando l’arca vi fu

introdotta, mediante la nube che, nella Bibbia, indica la presenza di Jhwh nel tabernacolo.

Dio è presente in modo speciale. Questa riflessione troverà la sua ultima formulazione nel concetto

della Shekináh (cioè la presenza di Dio) del tardo giudaismo.

b) Segno di elezione La scelta del tempio di Gerusalemme come dimora esclusiva di Jhwh è la conseguenza di due scelte

anteriori da parte di Jhwh: la scelta del popolo ebraico al Sinai e quella della dinastia davidica.

Avendo scelto il popolo ebraico, Jhwh volle abitare in mezzo ad esso nel tempio.

IL SACERDOZIO EBRAICO

1. Sacerdozio premosaico L’età dei patriarchi non conosce un vero e proprio sacerdozio. Sacerdoti sono i capifamiglia. Infatti

le tradizioni del libro di Genesi mostrano i patriarchi che costruiscono altari in Canaan e offrono

sacrifici a Dio.

I sacerdoti che compaiono nell’età patriarcale e di cui parla la Bibbia sono stranieri: Melchisedeq,

sacerdote-re di Gerusalemme (Gen 14), e i sacerdoti del Faraone.

2. Sacerdozio mosaico a) Origine Stando ai testi di Esodo e Levitico, Mosè ha istituito il sacerdozio ebraico.

Scelse come sacerdoti i componenti della famiglia di Aronne, che dovevano trasmettere

ereditariamente le loro funzioni. Consacrò Aronne ed i suoi quattro figli. Impose determinate

proibizioni ai sacerdoti quando erano nelle loro funzioni: dovevano vestire di lino, non potevano

contaminarsi con cadaveri o con donne, né bere bevande alcooliche. Come aiutanti dei sacerdoti

furono scelti gli appartenenti alla tribù di Levi.

Sembra che l’unzione sacerdotale sia stata adottata solo nel periodo postesilico, ed unicamente per

il sommo sacerdote, ad imitazione di quella dei re. Ciò nonostante i sacerdoti erano considerati

«santificati», «messi da parte» per il servizio di Dio. Questo trasferimento nel dominio sacro

consente al sacerdote di muoversi in esso senza sacrilegio. Può così entrare nel tempio, maneggiare

gli oggetti sacri, mangiare la parte che gli spetta dei sacrifici, ecc., ma egli deve anche rimanere

separato dal profano e sottomettersi a certe interdizioni e a certe regole di purità.

b) Caratteristiche Secondo i documenti biblici, i sacerdoti, almeno dopo il V sec. a.C., dovevano avere le seguenti

caratteristiche:

a) Condizioni fisiche

Il sacerdote non doveva avere deformità fisiche evidenti.

b) Età

La legge mosaica non determina un’età per compiere funzioni sacerdotali; solo i leviti, obbligati ad

esercitare incarichi pesanti, dovevano avere trent’anni. I rabbini esigevano un esame dinanzi al

Sinedrio.

g) Consacrazione

Si esigeva un bagno purificatorio, l’imposizione di vestiti sacri, l’unzione (almeno per il sommo

sacerdote) e determinati sacrifici e cerimonie.

d) Vestiti

Erano quattro: calzoni di lino, tunica di lino, cintura ricamata e mitra (= copricapo) di lino.

Dovevano essere indossati per tutto il tempo in cui il sacerdote si trovava al Tempio, ad eccezione

della cintura ricamata che doveva essere usata solo quando si esercitavano funzioni sacre.

L’uso di questi vestiti era proibito fuori del Tempio.

e) Classi

Quando si moltiplicarono i discendenti di Eleàzar e di Itamar non fu più possibile che tutti

esercitassero insieme le funzioni del culto. Per questo Davide divise i sacerdoti in ventiquattro

classi, secondo i capi delle famiglie sacerdotali, assegnando ad ognuna, per sorte, un turno

settimanale nel servizio liturgico.

f) Residenza ed introiti

I sacerdoti fissarono la loro residenza in qualsiasi località. Non avendo un territorio, loro dovevano

avere degli introiti dal culto, perché Dio era la loro «eredità» o «sorte». (kléros, da cui la parola

"clero"). A loro apparteneva parte dei sacrifici che venivano offerti, la maggior parte delle

oblazioni, i pani offerti a Dio, detti pani della proposizione e la pelle della vittima negli olocausti.

Erano loro pure le primizie, le decime, il prezzo di riscatto dei primogeniti, ciò che si consacrava a

Dio con «anatema», le cose abbandonate se non compariva il padrone.

Il sacerdozio ai tempi di Gesù a) Il sommo sacerdote Poiché gli ebrei non avevano più un loro re, almeno in teoria il sommo sacerdote era il supremo

capo religioso e civile della nazione e veniva eletto a vita tra i membri più influenti di alcune

famiglie sacerdotali aristocratiche, soprattutto del gruppo dei sadducei.

In pratica però egli dipendeva da Erode e dai procuratori romani.

Nel campo civile il sommo sacerdote agiva specialmente come capo del Sinedrio, la cui presidenza

gli spettava di diritto. Ma le decisioni più importanti spesso gli erano imposte dall’autorità romana.

b) Gli altri sacerdoti Sotto il controllo dei sommi sacerdoti prestavano servizio nel tempio i sacerdoti ed i leviti.

La loro funzione era ormai solo liturgica: presiedere la preghiera pubblica e i sacrifici del popolo.

Spesso erano in tensione con i farisei che rimproveravano loro il formalismo nel culto ed un

eccessivo attaccamento alla legge scritta. Il popolo non li amava anche perché li vedeva come dei

parassiti della società.

LE FESTE EBRAICHE

1. Sabato (ebraico: shabbát) L’osservanza del sabato comportava il riposo assoluto con una duplice motivazione: consacrazione

a Dio di quel giorno in cui Egli stesso cessò di lavorare (cfr. Gen 2,2-3) e riposo (liberazione cioè

dalla fatica) per l’uomo - schiavo compreso! - (cfr. Deut 5,12-15).

Durante l’esilio di Babilonia (587-538 a.C.), nell’impossibilità di celebrare le altre feste, il sabato

acquistò una grande importanza come segno distintivo del popolo ebraico.

2. Feste di pellegrinaggio: Pasqua - Pentecoste - Capanne Fondamentali nel ciclo che abbiamo chiamato stagionale, sono le tre feste che celebrano i grandi

interventi di Jhwh a favore del suo popolo (in origine erano celebrazioni legate al ciclo naturale

delle stagioni, poi «storicizzate» in prospettiva religiosa). Sono le cosiddette feste di pellegrinaggio,

occasioni in cui ogni israelita maschio era tenuto, potendolo, a recarsi al tempio di Gerusalemme.

a) Pasqua (ebraico: pésach) La festa di Pasqua cadeva il 14 del mese di nissàn-abíb (marzo aprile) e si connetteva con la

successiva festa degli azzimi che si celebrava nei sette giorni seguenti (15-21 nissàn).

Svolgimento della Pasqua ai tempi di Gesù

Descriviamo come si svolgeva la Pasqua ai tempi di Gesù, perché ci interessa per la messa.

1. Preparativi

Prima della Pasqua tutta la famiglia saliva a Gerusalemme, eventualmente portando l’agnello o gli

agnelli per la festa. - Al mattino della vigilia si recava al tempio, dove il capofamiglia sgozzava

l’agnello ed un sacerdote ne prendeva il sangue in un calice d’oro. Con una parte del sangue

spruzzava la famiglia, mediante un mazzo di issopo, e l’altra la versava sull’altare, simbolo di Dio

(patto di sangue fra Dio e la famiglia). Poi il capofamiglia lo scuoiava e lo preparava per essere

arrostito. Nel pomeriggio la famiglia si recava in una stanza che aveva affittato da qualche parente o

conoscente di Gerusalemme (prezzo dell’affitto: la pelle dell’agnello) dove veniva preparato

l’occorrente per la cena. Al tramonto la mamma di famiglia accendeva la lucerna, bruciava

l’incenso per profumare e poi aveva inizio la cena vera e propria.

2. la cena (haggadàh)

Nonostante una notevole libertà nei riti, la cena si svolgeva in tre

tempi, intervallati da 4 calici di vino ed alcuni canti:

1. Spiegazione

- I° calice - Benedizione del capofamiglia a Dio per la festa e per il vino: «Benedetto sei tu, JHWH,

nostro Dio, che hai creato il frutto della vite!». Abluzione della destra.

Si portano in tavola erbe amare, salsa rossastra, pane azzimo. Il padre di famiglia, prendendo in

mano i pani, dice: «Questo è il pane della miseria, che i nostri padri hanno mangiato in Egitto.

Chi ha fame s’accosti! Chi ha bisogno, venga e celebri la Pasqua!». A domanda di uno dei presenti

(spesso il figlio minore) il capofamiglia (o un ospite di riguardo) dà la spiegazione della festa e del

suo significato. Al termine il padre di famiglia conclude esortando a ringraziare il Signore di tutto.

Segue il canto dell’Hallèl minore (salmi 112-113) intercalati da alleluja (= lode a Dio).

- II° calice e nuova abluzione della destra.

2. Cena pasquale propriamente detta

Benedizione (= consacrazione) a Dio del pane azzimo, fatta dal capofamiglia: «Benedetto sii tu, o

Signore Dio nostro, re del mondo, che fai uscire il pane dalla terra». Tutti i presenti rispondono:

«Amen». Frazione del pane e distribuzione di esso a tutti. Si mangiano il pane azzimo, le erbe

amare e altri cibi che non hanno relazione con la circostanza; ultima portata: l’agnello.

- abluzione finale delle mani con acqua profumata.

3. Preghiera di ringraziamento (berakàh)

- III° calice (calice della benedizione): viene portato in tavola quando da essa è stato rimosso tutto.

Su di esso chi presiede pronuncia una lunga preghiera di ringraziamento a Dio per tutti i benefici

fatti al popolo e in particolare per l’alleanza: berakàh. Poi il calice viene bevuto da tutta la

famiglia, passandolo dall’uno all’altro. Segue, come risposta, il canto di tutta la famiglia: seconda

parte dell’Hallèl minore (salmi 113-117), poi due preghiere, l’Hallèl maggiore (salmo 135/136) e

una benedizione chiusa dall’amen.

- IV° calice, ancora benedetto da chi presiede e bevuto a chiusura della cena. Il padre passava in rassegna tutti i benefici che Dio aveva fatto al popolo, spiegava il significato dell’agnello, delle

erbe amare, della salsa rossa e del pane azzimo, ricordava che Dio aveva liberato miracolosamente il popolo

dalla schiavitù d’Egitto e concludeva esortando a ringraziare di tutto il Signore: «Cantiamo dinanzi a Lui: Alleluja».

Significato della Pasqua

1. Veglia notturna a ricordo della notte della liberazione (Deut 16,6).

2. Sacrificio dell’agnello come rito di propiziazione e segno del sacrificio personale. 3. Narrazione

dei meravigliosi interventi di JHWH nella storia del popolo ebraico.

4. «Memoriale» della salvezza operata da Dio per Israele.

5. Coscienza per ogni Israelita di rivivere quella notte di liberazione.

6. Benedizione di JHWH (= berakàh = ringraziamento) per i suoi interventi salvifici.

7. Rinnovazione personale dell’Alleanza con JHWH fatta al Sinai.

8. Tensione al futuro: il popolo esprime la sua certezza che le cose meravigliose che JHWH ha fatto

per lui nel passato sono una garanzia di quelle, ancora più grandi, che farà in futuro.

b) Pentecoste (ebraico: shavuòt) La festa successiva alla Pasqua era quella di Pentecoste che, come dice il nome greco, si celebrava

50 giorni o sette settimane dopo la Pasqua (cfr. Ex 23,16 e 34,22).

In antico si trattava probabilmente per i pastori della festa dopo la tosatura delle pecore e per gli

agricoltori della festa della mietitura, in quanto cadeva in maggio/giugno al termine della raccolta

del grano e dell’orzo. In seguito questa festa fu riletta come il ricordo dell’alleanza.

c) Capanne (ebraico: sukkót) La festa delle Capanne (o dei tabernacoli; in ebraico: sukkòt-capanne),

cadeva il 15 del mese di tishri (settembre-ottobre) e durava otto giorni.

Per i contadini era la festa della vendemmia e come tale popolare e allegra.

Per i pastori invece era la festa del ritorno a casa dopo i pascoli estivi.

3. Altre feste: kippùr - hannukàh - purìm Oltre a queste tre feste principali, vanno ancora ricordate almeno tre altre.

a) L’espiazione (ebraico: yom kippùr) Cade poco prima della festa delle capanne (10 del mese di tishri) e, diversamente da questa, è

giorno di penitenza e digiuno completo (vietato mangiare o bere dall'alba al tramonto).

In un’assemblea solenne al tempio si offrivano sacrifici in espiazione dei peccati (Lev 16,1-34).

Si sacrificavano due capri, l’uno per Jhwh in espiazione dei peccati del popolo; l’altro per Azazèl

(forse un demone del deserto), sul quale venivano simbolicamente trasferiti i peccati della

comunità. Esso era poi abbandonato nel deserto, a significare l’allontanamento dal popolo di ogni

suo peccato («capro espiatorio»!).

b) La dedicazione del tempio (ebraico: hannukàh) Istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. per ricordare la purificazione del tempio dopo che il re

seleucide Antioco Epifane di Siria lo aveva profanato, essa fu fissata il 25 del mese di kisléu

(novembre-dicembre). Durava otto giorni, durante i quali tuttavia la gente continuava a

lavorare, ma festeggiava la ricorrenza soprattutto con musiche e canti serali e notturni e con

l’illuminazione delle case (per questo fu anche chiamata «festa delle luci»).

c) Purìm È la festa più allegra del calendario ebraico. Cade nei giorni 14 e 15 del mese di adàr (febbraio-

marzo). È descritta nel libro biblico di Ester. In essa si commemora la liberazione degli ebrei di

Persia da un massacro preparato da Aman, ministro del re Assuero, e sventato dall’ebrea Ester,

diventata regina, che riesce a convincere Assuero a proteggere gli ebrei.

LA SINAGOGA

1. Il nome Sinagoga (dal gr. sunagog»-sinagoghé, «assemblea»), originariamente indicava qualsiasi riunione

di persone. Come nome tecnico e più usato, indica una riunione di tipo religioso, culturale o

politico. Il termine viene poi applicato ad un gruppo di ebrei che abitano in uno stesso luogo o sono

soliti riunirsi per rendere culto a Dio.

Sinagoga è pure il nome tecnico per indicare il giudaismo. Indica inoltre il luogo o edificio nel

quale si celebra la riunione.

2. Origine ed evoluzione Prima dell’esilio di Babilonia il popolo d’Israele costituiva una unità religiosa il cui centro unico era

il tempio di Gerusalemme. Soltanto in esso si poteva sacrificare e rendere un culto legittimo a Jhwh

(Deut 12,1-14). Nel 587 a.C. Gerusalemme e il suo tempio furono distrutti dai babilonesi e il popolo

fu deportato a Babilonia. Qui, durante l’esilio, si consolidò quella corrente di pensiero che in

seguito venne chiamata il giudaismo. Per supplire alla mancanza del tempio, che costituiva il centro

unificatore della comunità, sorsero le sinagoghe. Di ritorno dall’esilio, poco a poco l’usanza si

estende e si costruiscono edifici adatti per queste riunioni, che prima si svolgevano in case private.

3. Struttura dell’edificio La sinagoga era, nella sua parte essenziale, una stanza sufficientemente grande per contenere la

comunità (gli uomini separati dalle donne). In essa c’erano sedie per i membri (una speciale per il

capo) ed un tavolo per deporre il libro della legge. Ma la cosa più importante della sinagoga era un

armadio (detto arón hakódesh) che conteneva i rotoli della legge. Essi erano conservati in appositi

contenitori (a volte molto preziosi) con dei manici che permettevano di far girare il rotolo per

cercare il punto da leggere, senza doverlo toccare con le mani.

A volte accanto alla sala principale della sinagoga c’erano sale ausiliarie che servivano per scuola e

riunioni. Spesso sotto il pavimento della sinagoga c’era anche una stanza detta ghenizáh, che

serviva a conservare i libri vecchi che non venivano più usati.

Funzionamento ai tempi di Gesù a) Capi La sinagoga, una volta strutturata, poteva contare su un personale fisso: l’archisinagogo come “capo

dei capi”; un “ministro” (sagrestano), per l’elemosina e “catechisti” per bambini e ragazzi.

b) La preghiera in sinagoga Le riunioni di preghiera avevano luogo di solito nei giorni festivi (sabati e feste), però potevano

farsi anche in altri giorni, come ad esempio nei giorni di digiuno e in altre occasioni particolari.

Generalmente veniva seguito quest'ordine:

1) Recitazione in comune della grande professione di fede di Israele, chiamata Shemàh

2) Lettura della Sacra Scrittura. Si leggeva prima la Toràh (legge di Mosè), divisa in sezioni per

consentirne la lettura completa in un periodo di tre anni e poi un brano dei Profeti (Nebiìm).

3) Esortazione (omelia), fatta dall’archisinagogo o, su suo invito, da qualcuno dei presenti.

4) 18 grandi preghiere a Dio per varie intenzioni (18 benedizioni).

5) Preghiera finale e benedizione (= augurio) sul popolo, recitata da un sacerdote o, in sua assenza,

dal popolo.

c) Altre attività La sinagoga nei sabati e negli altri giorni festivi serviva per la preghiera. Nei giorni feriali era

scuola di Bibbia, Inoltre la gente si raccoglieva la mattina e la sera per recitare le preghiere e, a

volte, gli uomini discutevano gli affari pubblici, le questioni politiche. Nei giorni di mercato aveva

luogo la seduta del Sinedrio, piccolo tribunale locale, che doveva dirimere le contese sorte fra i

membri della comunità.

Le ISTITUZIONI CIVILI EBRAICHE Profondamente connesse con quelle religiose.

I. I gruppi politico-religiosi in Israele Le varie correnti o gruppi politico-religiosi che esistevano ai tempi di Gesù hanno la loro origine nel

diverso atteggiamento di fronte all’ellenismo all’epoca dell’insurrezione, riuscita, dei Maccabei

contro i Seleucidi di Siria (sec. III-II a.C.).

1. I farisei Come ogni rivolta, anche questa contro i Seleucidi, una volta uscita vittoriosa, ebbe modo di

trasformarsi in un moderato compromesso col più forte. Così gli Asmonei, discendenti dei

Maccabei, giunti al potere grazie all’appoggio del gruppo degli Assidei (i pii) che erano avversi ad

ogni istituzione straniera, finirono non solo per appoggiarsi alle classi ebree aristocratiche, ma

anche per favorire infiltrazioni ellenistiche pagane.

Allora gli Assidei si opposero agli Asmonei, si separarono dalla mischia e si chiamarono/furono

chiamati col nome di farisei (in ebraico perushím = separati). Il Nuovo Testamento presenta

piuttosto male questo gruppo, che aveva indubbiamente i suoi limiti, ma anche numerosi pregi.

Costoro, che si tenevano «separati» da tutto ciò che non era giudaico, accettavano non solo la legge

scritta (la Toràh), ma anche la tradizione orale, come era fissata nelle interpretazioni e nei

commenti dei rabbini (esperti di legge - noi diremmo: avvocati).

I farisei in questo modo, da un lato riconoscevano l’importanza fondamentale della comunità

religiosa che trasmetteva non solo il testo scritto, ma anche la sua interpretazione orale, dall’altro

erano soggetti al rischio di moltiplicare precetti e norme finendo per sconfinare nell’ipocrisia.

La sostanza (spirito) della legge veniva così sacrificata a volte alla forma e alla cerimoniosità.

nella vita eterna).

Dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. il gruppo farisaico fu praticamente l’unico gruppo

superstite, per cui sarà visto come il giudaismo ufficiale. Tra l’altro verso gli anni 90 d.C. a Jamnia

un gruppo di farisei fissò il canone ebraico dell'Antico Testamento. Il «fariseismo» poi, grazie

all’uso (o all’abuso) polemico di questo termine (cui ha contribuito anche il Nuovo Testamento), è

diventato sinonimo di «legalismo, tradizionalismo, formalismo».

Questa connotazione negativa non rende giustizia al fariseismo delle origini che è, in realtà,

movimento vivace e innovativo con vasti appoggi fra il popolo minuto, a cui i maestri farisei si

dedicarono facendo scuola, spesso anche gratuitamente.

2. I sadducei Assai più conservatore dei farisei era il gruppo dei sadducei, il partito conciliante per eccellenza:

con l’ellenismo prima, con la dinastia asmonea poi ed infine con la dominazione romana.

A differenza dei farisei, costoro ammettevano solo la legge scritta come unica norma di condotta

(evitavano così i pesanti fardelli imposti dalle interpretazioni farisaiche!); rifiutavano qualsiasi idea

di risurrezione dei morti (in quanto non espressamente formulata nella Toràh) e negavano qualsiasi

altra forma di retribuzione che non fosse quella immediata e materiale.

Dal momento che essi avevano ricchezza e potere, ciò significava che Dio li aveva benedetti e che

quindi essi erano giusti! Numericamente inferiori ai farisei, si appoggiavano preferibilmente alle

classi sacerdotali ed aristocratiche. Non sopravvissero alla distruzione del tempio (e quindi del

sacerdozio) da parte dei romani.

3. Gli zeloti Gli zeloti erano dei farisei più politicizzati, intolleranti verso l’autorità romana.

Si trattava di un gruppo di integralisti che, partendo dal principio che solo Jhwh era il loro re

legittimo, diventavano «zelanti» (da cui zeloti) applicatori della legge nazionale religiosa, arrivando

fino alla resistenza e all’opposizione armata contro ogni autorità non ebrea.

I più estremisti fra loro non esitavano a congiurare contro i romani organizzando ribellioni ed

attentati. Dall’arma adoperata più di frequente, la sica (corto pugnale, facile da

nascondersi sotto i vestiti), venivano da alcuni anche chiamati «sicari».

Saranno proprio costoro i responsabili della rivolta degli anni 66-70 d.C., che si concluderà con la

distruzione non solo della città di Gerusalemme, ma anche di questi focolai di rivolta.

4. Gli erodiani Di assai minor rilevanza politica (da quel poco che ne sappiamo!) erano gli erodiani, i sostenitori

cioè della dinastia di Erode, che era straniera e filo-romana. Essi erano assai attenti a tutto ciò che

potesse in qualche modo intaccare il loro potere.

5. Gli esseni Gli esseni formavano una vera e propria congregazione religiosa.

Come gli zeloti, si opponevano e combattevano le contaminazioni seguite all’ellenizzazione delle

varie dinastie succedutesi al governo in Israele, ma, diversamente da questi, ne davano una

giustificazione esclusivamente religiosa: la difesa della legge di Dio. Si consideravano così l’armata

santa di Jhwh, pronta a combattere la guerra santa non appena Dio avesse dato il segnale.

Alcuni appartenenti a questo gruppo si possono riconoscere in quei monaci insediatisi a Qumràn,

presso il Mar Morto e di cui, dal 1947, si è scoperta non solo l’esistenza, ma anche la notevole

produzione letteraria. Un'attuale reinterpretazione dei reperti archeologici di Qumràn ha portato a

concludere che gli esseni si fossero costruiti lì il loro tempio.

II. I samaritani Vorremmo concludere questo breve panorama con un gruppo che, a rigore, non appartiene al

giudaismo ufficiale: si tratta di quei samaritani che da tempo si erano staccati dal giudaismo di

Gerusalemme. La rottura risale probabilmente al periodo postesilico, al tempo di Esdra (V sec.

a.C.), quando l’eccessivo rigorismo nei confronti delle relazioni coi pagani e in special modo dei

matrimoni misti, spinse alcuni, con a capo il sacerdote Manasse, a rifugiarsi con la loro moglie,

pagana, in Samaria, dando vita sul monte Garizim ad un tempio concorrente col tempio di

Gerusalemme (Esdra 9-10; Neem 13,23-31).

All’incirca nello stesso periodo si stabilizzarono anche le tradizioni del canone samaritano che

accettò, come libri sacri, solo la Toràh, rifiutando tutti gli altri libri dell'Antico Testamento.

III. Il Sinedrio Ai tempi di Gesù costituiva quello che noi oggi chiameremmo il «senato».

Era costituito da 70 membri, a ricordo dei 70 anziani che Mosè aveva costituito come giudici (cfr.

Ex 24,1.9 e Ex 18,13-26), più il sommo sacerdote che ne era il presidente.

Erano membri del Sinedrio: a) gli ex-sommi sacerdoti o i capi più influenti delle famiglie

sacerdotali (erano generalmente sadducei); b) gli «anziani», cioè i capi delle famiglie laiche più

potenti (quasi tutti sadducei); c) gli «scribi», cioè i più influenti dottori della legge (per lo più del

gruppo dei farisei).

IV. La società giudaica 1. Gli uomini "del popolo" * I piccoli commercianti e i piccoli "industriali"; * La piccola proprietà terriera; gli artigiani che

esercitavano il mestiere di tessitori, fabbri, falegnami, conciatori... l’industria della pesca,

concentrata sulla costa mediterranea e soprattutto sul lago di Genezaret.

* Scendendo nelle classi sociali ed allontanandosi dai pochi centri cittadini, il numero delle persone,

e con esso la povertà, aumentava.

* Il cosiddetto popolo della terra (in ebraico Ham ha’árez), costretto a lavorare duramente per

sopravvivere, appariva agli occhi degli scribi e dei farisei come gente impura e incolta: essi non

comprendevano la Legge e dunque non potevano osservarla bene. Viveva quasi in sussistenza.

Numerosi erano anche i mendicanti,* Esistevano anche dei briganti, che si appostavano

prevalentemente sulle vie che collegavano i centri maggiori e depredavano i passanti;

* Non mancava poi un nutrito numero di disoccupati e di schiavi. La situazione di questi ultimi era

assai diversa a seconda che si trattava di schiavi giudei o di schiavi pagani.

I primi venivano acquistati dal padrone presso il quale restavano per un massimo di sei anni e

venivano trattati praticamente come operai; gli altri, acquistati a vita (venivano liberati negli anni

giubilari – ogni 50 anni), erano di totale proprietà del padrone che aveva su di loro

ogni potere, salvo il caso di mutilazione in cui doveva liberarli.

2.Le donne Prima del 500 a.C. circa, la donna ebrea era abbastanza valorizzata. Lo assicurano i testi biblici più

antichi (2 Sam 6,19; Deut 12,12; Gdc 21,21;...). Invece dopo la riforma di Esdra e Neemia (sec. V

a.C.) la donna viene considerata sempre di meno. È all’ultimo posto della scala sociale, come lo

schiavo. Era dipendente dapprima dal padre e poi, una volta sposata, dal marito. L’unico modo per

riscattarsi socialmente era quello di avere una prole numerosa, segno tangibile della benevolenza

divina. Di conseguenza la sterilità era per la donna ebrea un fallimento della propria esistenza.

3. Il matrimonio a) La natura Il matrimonio è il legame fra uomo e donna (o meglio, tra le loro famiglie), che ha funzione di

collaborare con Jhwh per realizzare il suo comando: "Crescete e moltiplicatevi" (Gen 1,28).

b) Le modalità Il matrimonio era legato alla struttura "patriarcale" e "maschilista". Era il ragazzo che, con

l'approvazione del padre e della madre 1), andava a chiedere di "acquistare" la ragazza al padre di

lei. Si instauravano allora laboriose trattative anche commerciali, che, se andavano a buon fine, si

concludevano con un accordo scritto, in cui era previsto anche come comportarsi in caso di ripudio

della donna. Solo alla fine delle trattative la ragazza veniva interpellata e poteva anche rifiutare il

marito, ma forse il caso del rifiuto era poco frequente. La legge di Mosè sconsigliava/vietava il

matrimonio con donne straniere e anche tra consanguinei.

c) La poligamia Era possibile la poligamia (Gen, 16 ecc.; 2 Sam 5,13), vista come necessità di aumentare la

famiglia. Ma, soprattutto per ragioni economiche (la seconda moglie costava molto di più!), il

matrimonio era per lo più monogamico.

d) La fecondità L'ideale del matrimonio era avere una numerosa discendenza e la sterilità era una ragione

sufficiente per il divorzio, perché era giudicata una maledizione di Dio.

Qualora poi un uomo sposato fosse morto senza figli, il parente più prossimo del morto doveva

prendere in moglie la vedova e fare di tutto per avere da lei un figlio, che a tutti gli effetti (per es.

per l'eredità) era ritenuto figlio del morto (legge del levirato).

Levirato deriva dal latino levir che significa cognato. Questa norma forse era stata istituita per

evitare il formarsi del latifondo.

e) L'adulterio Era gravemente vietato dalla legge e punito con la pena di morte, solo teorica, però di fatto veniva

punita quasi solo la donna (cfr. Gv 8,10-11: Gesù perdona l'adultera. E l'uomo dov'era?).

f) Il ripudio (divorzio) Era normalmente praticato presso gli ebrei, ma era soltanto l'uomo che poteva ripudiare la moglie.

Deut 24,1-5, evidentemente per cercare di porre un freno ai frequenti ripudi che erano diventati una

piaga sociale, pone per essi certe condizioni. - se trova in lei "qualcosa di brutto" (fisiche o non

saper fare la moglie); - ma lo deve mettere per scritto (libretto di ripudio), per evitare discussioni

successive; - ed era un atto irreversibile: qualora la ripudiata, sposata da un altro uomo, ritornasse

libera, il primo marito non poteva più riprenderla come moglie. g) La "zenùt"

Ai tempi di Gesù esisteva l'uso (detto forse "zenùt"), non codificato dalla legge di Mosè, ma riconosciuto nel Talmùd,

che l'uomo potesse avere una moglie "di riserva", quando la moglie legittima era impedita a compiere i suoi doveri di

moglie. I figli di questa "moglie di riserva"

prendevano solo un terzo dell'eredità.

4. L'educazione dei giovani - la scuola Più volte, la Bibbia esorta i genitori a istruire i ragazzi sulla storia "sacra" e sui riti religiosi. “La

preoccupazione più grande per gli Ebrei - dirà Giuseppe Flavio - è l’educazione dei fanciulli”.

a) La scuola elementare La scuola elementare si teneva presso le Sinagoghe (Atti 19,9). Maschietti di 5-13 anni; i quali -

sotto la paterna direzione dei Soferím (= scribi) - imparavano a leggere e a scrivere, specialmente la

Bibbia (il Levitico) e la Mishnàh (soprattutto i trattati sulle feste) e i primi elementi dell’ebraico.

Dovevano imparare gli elementi della religione, specialmente la preghiera Shema’ In classe il ragazzo stava seduto per terra o su uno sgabello. Per questo si diceva

che egli era “ai piedi del rabbino N.N.” (Lc 10,39; Atti 22,3).

b) Bar mizwáh (= - si diventa – figlio dell’Alleanza) A 13 anni, la scuola elementare finisce, e il ragazzo entra nella maturità civile religiosa.

Una cerimonia di iniziazione sottolinea questa maturità.

Il rito consiste in un esame fatto da un rabbino, in cui il ragazzo deve dimostrare di conoscere la

tradizione ebraica e termina con una benedizione pronunciata dal padre, con cui egli ringrazia Dio

per averlo liberato dalla responsabilità legale per le azioni morali del figlio.

c) La scuola superiore Fatta l’iniziazione, il giovinetto passa alla scuola superiore, in qualcuno dei grandi centri

dell’ebraismo. Questa scuola è presieduta da un rabbino famoso che immette gli studenti nelle alte

discussioni talmudiche sulla liturgia, sul culto, sul testo biblico, sulla filosofia religiosa e sulla

lingua biblica. Gli studenti per lo più erano poveri e perciò venivano sostenuti negli studi dalla

carità delle comunità. Per guadagnare qualche soldo facevano gli amanuensi, cioè gli scrivani,

ricopiando le dispense dei maestri e le varie opere che erano contenute nelle biblioteche

della scuola superiore o in quella privata del rabbino.

Le relazioni fra maestri e discepoli furono sempre molto democratiche, e spesso affettuosissime.

Famose sono le “feste degli alunni” che, specialmente nelle feste di Pasqua, di Pentecoste e dei

Purìm, si celebravano in casa dei più famosi rabbini.

È così importante nella mentalità ebraica la scuola che si crede che perfino l'Eterno (= Dio), nel

cielo, ne abbia istituita una per i beati. Vi si insegna, anche lassù, la Toràh.