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1 CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA SCUOLA FORENSE V.E. ORLANDO AVV. VALERIA SIMEONI ATTO DI APPELLO NELL’INTERESSE DELL’IMPUTATO 30.4.2014

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CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMASCUOLA FORENSE

V.E. ORLANDO

AVV. VALERIA SIMEONI

ATTO DI APPELLO NELL’INTERESSE DELL’IMPUTATO

30.4.2014

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L’ipotesi di reato contestata a Tizio è quella di favoreggiamento personale ai sensi degli artt. 81 cpv., 378 c.p., 61 n. 9 c.p.

In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria: Tizio colonnello dei carabinieri presso il Servizio, dopo la

consumazione del sequestro di persona in danno di Caio, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aiutava due suoi superiori

ed altri sconosciuti appartenenti al Servizio ad eludere le investigazioni dell’Autorità;

in particolare Tizio, avendo appreso che due suoi superiori erano sottoposti ad indagini preliminari per il sequestro di persona avvenuto

nei confronti di Caio circa due anni prima, consentiva che gli stessi utilizzassero l’apparecchio di telefonia mobile del Servizio che egli aveva in dotazione per scambiarsi informazioni sul procedere delle

indagini in corso per il sequestro, per concordare prospettazioni difensive, per indurre potenziali testimoni a dichiarare il falso ove

convocati dall’A.G..

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A Tizio era altresì contestata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., per aver commesso il fatto con violazione dei

doveri inerenti la sua qualità di pubblico ufficiale, in quanto appartenente al Servizio.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale in composizione condannava Tizio

alla pena di anni tre di reclusione, oltre che all’interdizione dei pubblici uffici per 5 anni.

Il Tribunale negava le attenuanti generiche, mentre riconosceva la circostanza aggravante comune dell’art. 61 n.

9 c.p..Tizio è stato altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Caio e della moglie Beta.

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Al riguardo, risulta in atti che la condanna per favoreggiamento nei confronti di Tizio si fonda

esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze in uso a funzionari del Servizio nel corso delle

indagini preliminari relative al delitto di sequestro di persona, contestato a imputati diversi da Tizio, che sono, in

realtà, radicalmente inutilizzabili.

Il Tribunale ha, infatti indicato quali “FONTI DI PROVA” della condanna di Tizio per favoreggiamento solo

le intercettazioni telefoniche, poi acquisite in dibattimento.

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(Articoli 581 e ss. c.p.p.)

Ecc.ma Corte di Appello di

Proc. pen. n. Reg. Gen. Trib Sentenza Trib n.

Atto di appello nell’interesse di Tizio

Il sottoscritto Tizio e il sottoscritto difensore di Tizio nel procedimento in epigrafe, Avvocato…, come da nomina con contestuale procura

speciale in calce al presente atto, del quale costituisce parte integrante, con il presente atto,

propongono appelloavverso la sentenza n. pronunciata dal Tribunale di… ,in composizione

monocratica, sezione…, giudice dott. ..

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…in data … con la quale Tizio, imputato per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 378 c.p., 61 n. 9 c.p., (circostanza aggravante comune), è stato condannato, previa esclusione delle circostanze attenuanti

generiche, alla pena di anni tre di reclusione, nonché all’interdizione dei pubblici

uffici per anni 5. Tizio è stato altresì condannato al risarcimento dei danni in favore

delle parti civili costituite Caio e della moglie Beta.

Con il presente atto di appello, si impugnano altresì, ai sensi dell’art. 586 c.p.p., le ordinanze pronunciate nel corso del

dibattimento dal Tribunale di … nel procedimento indicato in epigrafe in data …., con le quali è stata ammessa la costituzione di parte civile di Caio e Beta anche nei confronti di Tizio per il reato

di cui all’art. 378 c.p. a lui contestato.

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L’appello si riferisce a tutti i capi e punti della sentenza impugnata relativi:all’affermazione di penale responsabilità di Tizio per il reato di cui al capo

dell’imputazione e alla conseguente condanna alla pena principale e a quella accessoria.

In particolare, tra l’altro, come sarà specificato nei motivi che seguono, si impugnano tutti i punti della sentenza relativi:

o Alla violazione della normativa in materia di segreto di Stato ai sensi della L. 124/2007 e delle sentenze della Corte Costituzionale n. 106/2009, 24/2014 e

alla dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di Tizio per la sussistenza del segreto di Stato.

o all’affermazione di responsabilità penale di Tizio per il reato di favoreggiamento a lui contestato, con riferimento all’utilizzazione di

intercettazioni telefoniche per il reato di favoreggiamento contestatogli, sulle quali si fonda in modo esclusivo la sentenza di condanna nei confronti di

Tizio, di cui si deduce l’inutilizzabilità radicale

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per la violazione del segreto di Stato ai sensi dell’art. 41 L. 124/2007 e dell’art. 202 c.p.p. (Corte Costituzionale 106/2009 e Corte Costituzionale n. 24/2014), sia per

violazione degli artt. 266, e 4 c.p.p.

o all’entità della pena principale e della conseguente pena accessoria;

o al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante comune di cui all’art. 61 n. 9

c.p.;o alla condanna di Tizio al risarcimento dei danni a favore delle parti

civili costituite;

La sentenza impugnata è infatti illegittima per i seguenti

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MOTIVI:I

Violazione della normativa in materia di segreto di Stato ai sensi della L. 124/2007 e dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n.

106/2009 e 24/2014 poiché le intercettazioni telefoniche sulle quali si fonda la sentenza di condanna di Tizio sono inutilizzabili in quanto si riferiscono,

direttamente o indirettamente, ad ambiti coperti dal segreto di Stato

I. 1 Le sentenza della Corte Costituzionale n. 106/2009 e 24/2014 e l’area coperta dal segreto di Stato

Nel procedimento penale in oggetto, Tizio non indagato né imputato per l’ipotesi del sequestro di persona, veniva condannato alla pena di anni tre di

reclusione per il reato di favoreggiamento personale ai sensi degli artt. 81 cpv., 378 c.p., con la sola circostanza aggravante comune dell’art. 61 n. 9 c.p., per

aver agito con violazione dei doveri inerenti la sua qualità di pubblico ufficiale, in quanto appartenente al Servizio.

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Al riguardo, risulta in atti che le uniche fonti di prova dell’ipotesi di reato contestata a Tizio sono intercettazioni telefoniche effettuate

sulla utenza di servizio dell’Amministrazione di appartenenza, in uso temporaneo ai funzionari del Servizio, ritenute nella sentenza impugnata di “insuperabile rilevanza probatoria”, in realtà totalmente INUTILIZZABILI per la

violazione del segreto di Stato ai sensi dell’art. 41 L. 124/2007 e dell’art. 202 c.p.p.. Tali intercettazioni si

riferiscono, infatti, ad ambiti coperti dal segreto di Stato, come precisato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n.

106/2009 e 24/2014.

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In estrema sintesi, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 106/2009 pronunciata in esito a conflitti di attribuzioni insorti tra poteri dello Stato nel medesimo procedimento, ha evidenziato che il segreto di Stato non ha mai avuto ad oggetto il reato di sequestro di persona in sé, accertabile

dall’Autorità Giudiziaria nei modi ordinari, bensì una serie di aspetti in qualche modo collegati direttamente e

indirettamente al fatto di reato stesso e attinenti ai rapporti tra Servizi italiani e stranieri e agli assetti operativi e organizzativi (interna corporis) del Servizio italiano.

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La Corte Costituzionale evidenzia, altresì, “...con la conseguenza, quanto alla fonte di prova in questione, dello sbarramento al potere giurisdizionale

derivante dalla opposizione e dalla conferma, ritualmente intervenuti del segreto di Stato”.

In particolare, per quanto concerne la pur ritenuta legittimità formale delle intercettazioni telefoniche acquisite durante le indagini preliminari, la Corte

ha precisato con riferimento alla “concreta utilizzabilità processuale del contenuto delle intercettazioni disposte dagli inquirenti…” che “l'Autorità

giudiziaria non potrà comunque porre a fondamento delle sue determinazioni, in qualsiasi momento della scansione processuale, elementi

conoscitivi che dovessero risultare coperti dal segreto di Stato”.

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In estrema sintesi, pertanto, come ha sancito la Corte Costituzionale, la conferma del segreto di Stato inibisce all’Autorità giudiziaria

l’acquisizione delle fonti di prova, nonché l’utilizzazione delle fonti di prove già acquisite, ivi comprese le intercettazioni telefoniche, che si

riferiscano, direttamente o indirettamente, all’area coperta dal segreto di Stato, anche se “in qualche modo collegati” al fatto reato per cui si

procede.

Deve rilevarsi che le intercettazioni telefoniche utilizzate nei confronti di Tizio si riferiscono direttamente o indirettamente, all’area coperta dal

segreto di Stato nei termini riconosciuti legittimi e corretti dalla Corte Costituzionale con la sentenza del n. 106/2009 e n. 24/2014.

Tali intercettazioni non potevano quindi essere utilizzate e non potevano quindi in alcun modo fondare la condanna di Tizio per favoreggiamento

personale e il Tribunale doveva dichiarare non doversi procedere nei confronti di Tizio per la sussistenza del segreto di Stato ai sensi dell’art.

41 L. 124/2007.

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I. 2 L’opposizione del segreto di Stato da parte di Tizio nel corso del dibattimento

Preliminarmente si osserva che il Tribunale a seguito della decisione della Corte Costituzionale di conferma del segreto di Stato revocava l’ordinanza di ammissione dei testi a discarico di Tizio essendo tali testimoni “non ammissibili in quanto l’oggetto del capitolo di prova

ricade in modo inequivoco nell’ambito del segreto di Stato così come delineato dalla sentenza della Corte”.

Successivamente, Tizio durante il giudizio di primo grado, in esito all’esame ai sensi dell’art. 503 c.p.p richiesto dal P.M., opponeva il segreto di Stato con riferimento a quanto egli avrebbe dovuto esporre a sua difesa in ordine agli assetti organizzativi e

operativi del Servizio, con particolare riferimento alla disponibilità dell’utenza telefonica sottoposta ad intercettazione al fine di consentire l’attivazione da parte

della Autorità Giudiziaria procedente dell’interpello al Presidente del Consiglio per confermare o rimuovere “il divieto di riferire” ai sensi dell’art. 41 L. 124/2007.

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Come è noto, l’art. 41 L. 124/2007 prevede, tra l’altro, che “Ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio è fatto

divieto di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato”. Tale norma ha infatti enucleato, a carico di tutti i pubblici ufficiali come lo era Tizio e agli incaricati di pubblico servizio, indipendentemente dalla loro qualifica di imputati o di testimoni, l’esistenza di uno specifico ‘obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato’, obbligo la cui violazione, ha indicato espressamente la Corte, è sanzionata penalmente dall’art. 261 c.p. e di cui gli interessati dovranno essere resi edotti anche alla luce dei contenuti della presente sentenza” (cfr. Corte costituzionale

106/2009).

A fronte dell’opposizione del segreto di Stato da parte di Tizio, il Tribunale rigettava con ordinanza la richiesta di interpello da parte del P.M.ex art. 41,

co. 3, L. 124/07, poiché, con riferimento a Tizio l’interpello era “sostanzialmente ultroneo e inutilmente defatigatorio” riguardando “…un

ambito già sottoposto alla definizione del segreto da parte della medesima, …confermata dalla sentenza della Corte costituzionale 106/2009”.

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Il Tribunale evidenziava, altresì, che “le domande poste dall’ufficio del P.M. anche nei confronti Tizio apparivano “ictu oculi” foriere

di risposte che, in qualche modo, potevano toccare l’area del segreto di Stato anche se riguardanti aspetti finalizzati al

compimento del reato di sequestro di persona o di favoreggiamento personale e che non possono, nemmeno indirettamente, costituire

oggetto di accertamento da parte del Tribunale”.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha tuttavia condannato Tizio in relazione ai medesimi fatti rientranti

nell’ambito del segreto di Stato, come da esso stesso indicato nella suindicata ordinanza, per i quali aveva ritenuto superfluo attivare

l’interpello.

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La conseguenza è paradossale poiché, per la sussistenza del segreto di Stato,

Tizio non si è potuto difendere direttamente avendo dovuto opporre preliminarmente il segreto di Stato ex art. 41, co. 1, L. 124/2007, nei

termini evidenziati (“divieto di riferire” la cui violazione è sanzionata ex art. 261 c.p. secondo la Corte costituzionale).

In particolare, non si è potuto in alcun modo difendere fornendo la spiegazione delle ragioni per le quali i suoi superiori potevano utilizzare il

telefono di Servizio sottoposto ad intercettazione, per l’esistenza del segreto di Stato,che ha invano opposto ai sensi dell’art. 41L.124/2007, ma

viene condannato per le stesse intercettazioni telefoniche, utilizzate nonostante il segreto di Stato e persino, come vedremo, nonostante il

codice di procedura penale.

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Al riguardo, è necessario precisare che la natura “essenziale” di quanto Tizio avrebbe dovuto esporre riguardava i fatti a lui

contestati poiché, come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 24/2014, a Tizio è stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p. e l’imputazione delinea un fatto commesso

con abuso dei poteri inerenti alle funzioni di appartenenti al Servizio.

Tizio, quindi, per poter esercitare il proprio diritto di difesa con riferimento alla condotta di favoreggiamento personale aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p., avrebbe dovuto spiegare la posizione

gerarchica operativa all’interno del Servizio, le ragioni per cui “l’apparecchio di telefonia mobile” in contestazione non era il suo e le ragioni per cui egli non poteva in alcun modo non “consentire” l’utilizzo di tale telefono di servizio da parte di un suo superiore, ma aveva preliminarmente dovuto opporre il segreto di Stato ai sensi dell’art. 41 L. 124/2007 (cfr. Corte Costituzionale 24/2014).

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Il Tribunale, invece:• non attivava l’interpello ex art. 41 L. 124/2007 in esito all’opposizione

del segreto di Stato da parte di Tizio sull’assunto che il segreto riguardasse un ambito già coperto dal segreto di Stato, non liberando

quindi Tizio dal “divieto di riferire”;

•revocava l’ordinanza di ammissione dei testi a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico ex art. 495 c.p.p. costituite dalle

citate intercettazioni;

•condannava ugualmente Tizio.

La sentenza di condanna era, quindi, adottata in violazione del segreto di Stato ai sensi dell’art. 41 L 124/2007, nei termini sanciti

dalle sentenze 106/2009 e 24/2014 della Corte Costituzionale.

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Peraltro, nei confronti di Tizio non risultavano “elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose

coperti dal segreto” ex art. 41, co. 6, L. 124/2007 e art. 202, co. 6, c.p.p., riferibili al reato di favoreggiamento

personale ad egli contestato ed il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare, anche nei confronti del medesimo il “non

doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”, alla stregua di quanto deciso con riferimento agli altri imputati

appartenenti al Servizio.

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II

Assoluzione perché il fatto non sussiste poichè la sentenza di condanna si fonda esclusivamente su intercettazioni telefoniche

inutilizzabili per il delitto di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., ai sensi degli artt. 191. cp.p. 266, 4 e 271 c.p.p.

L’ulteriore profilo di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche su cui si basa esclusivamente la sentenza di condanna nei confronti di

Tizio consiste nella inutilizzabilità radicale ai sensi degli artt. 266, 4 e 271 c.p.p., con riferimento al reato di favoreggiamento così come

contestato a Tizio.L’art. 271 c.p.p., vieta, infatti, l’utilizzazione dei risultati delle

intercettazioni eseguite fuori dei casi consentiti o senza l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 268, co. 1 e 3, prescrivendo addirittura “in ogni stato e grado del processo la distruzione della

relativa documentazione…”.

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Si tratta, giova ripeterlo, di una inutilizzabilità radicale ai sensi degli artt. 266, 4 e 271 c.p.p., con riferimento al reato di favoreggiamento

così come contestato a Tizio.L’art. 271 c.p.p., vieta, infatti, l’utilizzazione dei risultati delle

intercettazioni eseguite fuori dei casi consentiti o senza l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 268, co. 1 e 3, prescrivendo addirittura “in ogni stato e grado del processo la distruzione della

relativa documentazione…”.

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In particolare:l’art. 266 c.p.p. co. 1 lett. a) consente la “Intercettazione di

Conversazioni o Comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione” esclusivamente per i delitti “non colposi per i

quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 cp.p.” (l’art. 266, fa infatti, rinvio all’art. 4 c.p.p. per il criterio di determinazione della

pena ed escludendo quindi dal computo di essa la continuazione ex art. 81 cpv. e le circostanze aggravanti comuni, come quella di cui all’art. 61 n. 9 c.p. contestata al

Tizio). L’art. 266 co. 1 lett. b) c), d), e), f), f bis) c.p.p. consente, altresì, le

intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche per ipotesi di reato, specificamente indicate, tra le quali non è previsto il

favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p. che è “punito con la reclusione fino a quattro anni”.

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Tale limite di pena massima nel caso di specie non può subire alcun aumento, non essendo contestate a Tizio né le circostanze aggravanti per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria dal reato, né quelle ad effetto speciale, ai sensi dell’art. 4 c.p.p, che avrebbero

consentito il superamento del limite dei cinque anni ex art. 266 c.p.p..

Al riguardo, è indiscusso nella Giurisprudenza di legittimità che la disciplina dell’art. 266 c.p.p in ordine ai limiti di ammissibilità delle intercettazioni

telefoniche non è suscettibile di deroghe né di interpretazioni estensive (cfr. Cass. pen.1.10.1997, Bonavolta; in dottrina, per tutti, Le Fonti del Diritto Italiano, a cura di Tranchina, Giuffrè editore, 2008; come è noto, la tutela

della riservatezza delle comunicazioni è sancita dall’art. 15 Cost. cfr. Corte Cost. 6.4.1973, n. 34, richiamata anche dalla giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. sez. I, 12.11.1997, n. 3133; cfr. Corte Cost. 21.04.2005, n. 163).

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Pertanto, il favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p., aggravato solo ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p. è escluso dalla disciplina

dell’art. 266 c.p.p. ed è pertanto un reato per il quale le intercettazioni telefoniche non sono consentite e i cui risultati non possono essere, in ogni caso, utilizzati ex art. 271 c.p.p. e ciò anche laddove indizi di tale

delitto emergessero da intercettazioni telefoniche legittimamente disposte per un reato diverso per il quale le stesse siano consentite e

che presenti profili di connessione ex art. 12 c.p.p..

Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 15.1.2004 n. 4942, sez. VI pen., con espresso riferimento ad un caso concreto di favoreggiamento personale in relazione al quale erano

state utilizzate intercettazioni telefoniche disposte con riferimento ad un reato connesso, ha affermato:

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le intercettazioni telefoniche relative alla prova di reati non previsti dall’art. 266 c.p.p., ancorché disposte ed

acquisite in relazione a reati connessi ex art. 12 c.p.p.:

non possono essere né ammesse quali prove nel dibattimento;

non possono neppure costituire il presupposto per l’incriminazione del soggetto a cui sono riferite;

pongono nel nulla la base probatoria su cui si fonda l’accusa e la conseguente condanna”

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“Nel procedimento a carico di taluno per reato non compreso tra quello per i quali, ai sensi dell’art. 266 c.p.p, puo’ farsi luogo ad intercettazioni di comunicazioni, non è consentita

l’utilizzazione dei risultati di intercettazioni effettuate in altro procedimento instaurato a carico di altri soggetti, per quanto il

reato anzidetto sia connesso a quelli addebitati a costoro”;

“Dirimente e quindi assorbente” rispetto ad ulteriori censure di legittimità “appare il rilievo che in ordine al reato contestato

all’imputata (art. 378 c.p.), punito con la pena massima fino a 4 anni di reclusione, non è consentita l’intercettazione di

comunicazioni o conversazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione ai sensi dell’art. 266, c. 1, lett. a) c.p.p.”.

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“Nessun rilievo può avere il fatto che l’intercettazione sia avvenuta in altro procedimento, riguardante soggetti diversi e per reati in relazione ai quali

l’intercettazione è consentita”.

“Infatti, l’utilizzo in un procedimento, ove l’intercettazione è stata legittimamente effettuata e di cui peraltro la difesa pone in dubbio la connessione con quello

attuale (ma il tema è eventualmente subordinato) non può comportarne l’utilizzo in un diverso procedimento contro altri imputati salve far venir meno il

presupposto fondamentale dettato dalla norma citata di cui all’art. 266, c. 1, lett. a) c.p.p.”.

Se così non fosse, la norma in questione sarebbe surrettiziamente (e facilmente) aggirabile attraverso l’istituto della connessione, con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall’art. 266 c.p.p., che intende porre un limite alla

interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all’art. 15 della Costituzione”.

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“Si deve quindi affermare con chiarezza che, se nell’ambito di intercettazioni consentite per determinati reati, emergono indizi di colpevolezza a carico di terzi

per reati in relazione ai quali le intercettazioni stesse non sono consentite (e quindi non sono utilizzabili), tali intercettazioni non possono costituire il presupposto per

l’incriminazione del terzo”. “Nel caso in esame la evidente inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali è

tale da porre nel nulla la base probatoria su cui si articola l’accusa e la conseguente condanna”.

“Consegue la dichiarazione di nullità dell’impugnata sentenza, senza possibilità di rinvio per il venir meno del substrato probatorio, perché il fatto non sussiste” (cfr.

Cass. sez. VI pen., 15.1.2004, n. 4942; giurisprudenza la quale ammette la possibilità di utilizzare i risultati delle intercettazioni telefoniche per il reato di

favoreggiamento personale solo ove sia contestata un’aggravante ad effetto speciale che consenta quindi il superamento del limite di pena dei cinque anni: cfr. Cass. pen. Sez. VI, 15.10.2009, n. 4452; Cass. pen. Sez. II, 26.05.2009, n.25590).

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Alla luce della legge e delle decisioni della Suprema Corte, può affermarsi pertanto che l’imputazione di favoreggiamento ex artt. 81 cpv., 378 e 61 n. 9

c.p. nei confronti di Tizio non poteva e non doveva essere neppure formulata, attesa l’inutilizzabilità ai sensi degli artt. 266 e 271 c.p.p. delle

intercettazioni telefoniche, esclusivo elemento di indagine ed unico fondamento dell’accusa.

Tali intercettazioni telefoniche non potevano costituire in ogni caso “Fonti di Prova” nella sentenza pronunciata nei confronti di Tizio.

Tizio doveva pertanto essere assolto perché il fatto non sussiste.

Peraltro, un ulteriore profilo di inutilizzabilità, riguarda l’omesso controllo del Tribunale in ordine alla ammissibilità delle intercettazioni in oggetto,

poiché, solo dopo la verifica in concreto dei presupposti di legittimità delle

intercettazioni, il giudice di merito può “valutare ed utilizzare i risultati acquisiti con l’esecuzione delle operazioni di intercettazione” (Cass. 6.2.96, Filoni, Cass.pen. 97, 1434; cfr. Cass. pen. sez. I, 12.11.1997, n. 3133, Cass.

SS.UU.).

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Alla luce di quanto evidenziato, la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di Tizio è

illegittima perché basata esclusivamente su intercettazioni telefoniche inutilizzabili con

riferimento al delitto di favoreggiamento personale, in violazione degli artt. 191, 266, 4 e 271 c.p.p..

Si confida pertanto che l’Ecc.ma Corte adita, in riforma della sentenza impugnata, voglia assolvere

Tizio perché il fatto non sussiste.

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IIILa pena edittale inflitta a Tizio è eccessiva anche alla luce della erronea applicazione

dell’art. 62 bis c.p. per la mancata concessione circostanze attenuanti generiche

Per mero scrupolo difensivo, la difesa impugna anche i capi della sentenza relativi all’entità della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Tizio è stato condannato alla pena di anni 3 di reclusione senza l’applicazione delle attenuanti generiche, nonché alla pena accessoria dell’interdizione ai pubblici uffici per

anni 5. Come è noto, le circostanze attenuanti generiche, quali circostanze del reato in senso

tecnico, hanno la funzione di adeguare la commisurazione della pena all’entità del fatto e alla concreta responsabilità dell’imputato e, fermo restante la loro natura discrezionale e

facoltativa, il diniego di esse a fronte della richiesta nell’interesse dell’imputato deve essere motivato adeguatamente e correttamente.

Nel caso di specie, il trattamento processuale dell’imputato che ha opposto il segreto di Stato non configura, come erroneamente ritenuto dal Tribunale “mancanza di

comportamenti di resipiscenza e collaborazione”, se mai concretizza un comportamento processuale leale corretto perché rispettoso del divieto di riferire di fatti coperti dal

segreto, come in precedenza evidenziato.

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IVErronea applicazione dell’art. 133 c.p. ed eccessività della pena

inflitta

Alla luce di tutto quanto sopra osservato, la pena di anni tre di reclusione inflitta a Tizio con particolare riferimento alla gravità del

fatto a lui contestato, oltre che radicalmente ingiusta è eccessiva, anche alla luce dei criteri legali relativi alla commisurazione della

pena ex art. 133 c.p. dei quali è stata fatta erronea applicazione.Infatti, non sono state prese in considerazione dal Tribunale né la

incensuratezza nè la mancanza della capacità a delinquere dell’imputato, che sono tra i parametri di riferimento della valutazione espressa dal giudice sul quantum della pena.

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Al riguardo, occorre evidenziare il principio risalente, consolidato e ribadito anche da recentissime sentenze della Suprema Corte secondo il quale nell’ipotesi in cui la gravità del fatto assurge quale criterio di

riferimento della pena il primo giudice - se anche non tenuto ad effettuare un esame analitico di tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p.

- deve, tuttavia, precisare la condanna con una motivazione approfondita che dia conto, al di là dell'affermazione di maniera sulla gravità del fatto e sulla personalità dell'imputato, dell'effettiva gravità dei comportamenti in termini di maggiore concretezza, che non si è configurata nel caso di specie attesa l’impossibilità di esercitare il

diritto di difesa da parte di Tizio (Cassazione penale  sez. V, 26 novembre 1996, n. 511; Cass. pen. sez. sez. III, 03 maggio 2012,  n.

46822).

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V

L’eccessività della pena anche con riferimento alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai Pubblici Uffici ai sensi degli artt.

28, 29, 31 e 133 c.p.

All’applicazione della pena di tre anni di reclusione è conseguita l’automatica applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici nella

misura di 5 anni, ai sensi dell’art. 29 c.p.p. La rideterminazione della pena inflitta a Tizio, alla luce di quanto evidenziato nei precedenti motivi, inciderebbe altresì, sulla misura

della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici nel rispetto dei criteri generali per la commisurazione di tali pene alla pena

principale di cui agli artt, 28, 29, 31 e 133 c.p..

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VI

L’impugnazione dell’ordinanza con la quale è stata ammessa la costituzione di parte civile di Caio e della moglie Beta nei

confronti di Tizio, imputato per il solo reato di favoreggiamento personale e l’impugnazione dell’ordinanza con la quale è stata

rigettata la richiesta di esclusione delle predette parti civili

In via preliminare si osserva che la Suprema Corte di Cassazione a a Sezioni Unite ha sancito l’impugnabilità delle ordinanze ammissive della costituzione di parte civile unitamente alla

sentenza, proprio al fine di consentire anche al giudice dell’impugnazione di valutare l’effettiva esistenza del diritto al

risarcimento del danno asserito. Nel caso di specie, le parti civili si sono costituite nei confronti di

tutti gli imputati per tutti i capi di imputazione per il reato di sequestro, ma anche nei confronti di Tizio per il reato di cui all’art. 378 c.p, tuttavia tale costituzione era inammissibile nei confronti di

Tizio.

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In particolare, le parti civili non sono state danneggiate dal reato di favoreggiamento a lui contestato. Come è noto, il bene

giuridico protetto dal reato di favoreggiamento è il regolare andamento dell’amministrazione della giustizia, bene riferibile

unicamente ed in via esclusiva allo Stato. Ne deriva che nemmeno la persona che abbia denunciato una condotta di favoreggiamento è legittimata a costituirsi parte civile nel procedimento scaturito, in quanto non titolare di un diritto

soggettivo né di un interesse legittimo relativo al bene protetto dalla norma incriminatrice.

Sul punto è pacifica l’interpretazione della Suprema Corte che, anche in sentenze recenti ha ribadito l’impossibilità di costituirsi

parte civile nei confronti di un imputato accusato di favoreggiamento (Cass. Pen. Sez. V, 19.11.2008 n. 43207, Cass.

Pen. Sez. Fall. 4.10.2003 n. 37812).

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Peraltro, anche senza fare riferimento ad interpretazioni giurisprudenziali, appare evidente che nella condotta di

favoreggiamento contestata a Tizio non potrebbe mai ipotizzarsi un danno diretto per le asserite persone offese. Tale condotta, invero, si

pone in un contesto temporale e logico di molto successivo alla condotta ipotizzata di sequestro e non poteva, e non può, quindi avere

alcuna conseguenza su fatti già avvenuti, atteso, tra l’altro, come è noto, che il delitto di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. si

configura “fuori dei casi di concorso” nel reato presupposto. Anche in questo caso, quindi, il Giudice di primo grado ha commesso un errore clamoroso nell’ammettere la costituzione di parte civile nei

confronti di Tizio e nel condannarlo alle statuizioni civili.

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Proprio ad evitare tali conseguenze la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nel pronunciarsi

favorevolmente sulla possibilità di impugnare le ordinanze relative alla ammissibilità della costituzione

di parte civile, ha stabilito in data 19.5.1999 che è compito specifico del giudice quello di valutare

preliminarmente la legittimazione della costituzione anche al fine di “evitare di liquidare necessariamente

ed automaticamente le spese processuali ad un soggetto che sia privo di legittimazione”.

Nelle parole della Corte, il giudice ha, infatti, il potere – dovere di valutare la legittimazione della

costituzione di parte civile durante tutto il corso del processo ed in misura ancora più attenta al momento

della pronuncia della sentenza.

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Oltre ai requisiti di proponibilità della domanda, secondo la Corte, devono sempre sussistere anche i presupposti formali di ammissibilità della

domanda risarcitoria, già oggetto di un accertamento anticipato e provvisorio, “la cui osservanza il giudice è tenuto a sindacare, all’esito del

dibattimento, con la sentenza di merito”.

Alla luce di tutto quanto evidenziato si confida che l’Ecc.ma Corte d’Appello adita voglia assolvere Tizio perché il fatto non sussiste, ovvero dichiarare il non doversi procedere nei confronti di Tizio per la sussistenza

del segreto di Stato ai sensi degli artt. 529 c.p.p. e 41 L. 124/2007

Firme Imputato e difensori

Procura speciale e nomina di difensore del giudizio di appello.