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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 3/2005 EDITORIALE 3 La forza della Ragione dialogante e le ragioni della Forza Gustavo Raffi 9 L’Orfismo Anna Maria Corradini 17 I fondamenti del simbolismo Bent Parodi 27 Giorgio Gemisto Pletone: “prisca philosophia” e critica dell’ermetismo Moreno Neri NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO 57 Ermetismo e magia nella Siena colta del Rinascimento Maria A. Ceppari Ridolfi e Vinicio Serino 71 Cultura ermetica e spiritualità “altre” a Siena nel Rinascimento Vinicio Serino 89 Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofo occulto” nella Siena del tardo Rinascimento Patrizia Turrini SEGNALAZIONI EDITORIALI 99 RECENSIONI 105 Il Dire t t o re e la redazione di Hiram desiderano ringraziare sentitamente il p rof. Vinicio Serino per la cura della sezione monografica di questo numero , contenente le sintesi degli interventi presentati all’omonimo Convegno tenu- tosi l’11 Giugno 2005 nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Siena.

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HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italia

n. 3/2005

• EDITORIALE

3 La forza della Ragione dialogante e le ragioni della ForzaGustavo Raffi

9 L’OrfismoAnna Maria Corradini

17 I fondamenti del simbolismoBent Parodi

27 Giorgio Gemisto Pletone: “prisca philosophia” e critica dell’ermetismo Moreno Neri

• NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

57 Ermetismo e magia nella Siena colta del Rinascimento

Maria A. Ceppari Ridolfi e Vinicio Serino

71 Cultura ermetica e spiritualità “altre” a Siena nel RinascimentoVinicio Serino

89 Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofo occulto” nella Siena del tardo Rinascimento

Patrizia Turrini

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 99• RECENSIONI 105

Il Dire t t o re e la redazione di Hiram desiderano ringraziare sentitamente ilp rof. Vinicio Serino per la cura della sezione monografica di questo numero ,contenente le sintesi degli interventi presentati all’omonimo Convegno tenu-tosi l’11 Giugno 2005 nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Siena.

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HIRAM, 3/2005Direttore: Gustavo Raffi

Direttore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio Serino

Vicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni Lani

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EDITORIALE

La forza della Ragione dialogante e le ragioni della Forza

di Gustavo Raffi

Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia

The contemporary international crisis presents us with a tantalizing condition,where the pattern of the clash among different cultures seems to assume a freshconfirmation. On the contrary, it is in very difficult situations such as the pres -ent one that the real power of the rational and critical “D i a l o g o s” should beunderlined. We need, in fact, a serius reflection on the cultural patterns distin -guishing various cultures in order to isolate the intolerant é l i t e s which desire toimpose theocratical ideas through violence and terror; the difficult target is thatto avoid simple formulas, offering contrariwise new critical opportunities for amutual comprehension based on the assumption that also the differencies can beuseful in order to test our principles. We must insist on the need of a real mundi -alization of common tolerant values, based on respect and paceful behavious. Inthis respect the Masonic tradition, as a special kind of modern educative commu -nity, proposes some dialogical intruments, based on the Reason and on the ideathat some Universal patterns and p r i n c i p i a, which presently appear as signifi -cant intellectual means of intercultural recognition against the triumph of theirrational violence of theocratical ideologies.

uesto primo lustro del XXI se-colo ci ha proposto uno sce-nario completamente nuovo e,

per certi suoi aspetti drammatici, certa-mente non prevedibile. L’ e m e rgenza rap-presentata dal fanatismo religioso e dal fon-damentalismo, una certa esaltazione dell’ir-razionale, sostenuta da un malcelato rela-tivismo giustificazionista, il richiamo aprincìpi dogmatici e sostanzialmente autori-tari, hanno minato fortemente le speranze di

dialogo ed i processi di costruzione, in unarealtà pur contraddittoriamente mondializ-zata, di una ecumene internazionale piùequa e sensibile ai diritti umani ed alleistanze di riscatto e di emancipazione nonsolo del cosiddetto “sud” del mondo, maanche di quelle porzioni del corpo socialesostanzialmente marginalizzate ed indigen-ti che pur vivono nel ricco Occidente. Nonpossiamo certamente nascondere che lagioia per i festeggiamenti del Bicentenario

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del Grande Oriente d’Italia sia turbata da unclima di generale preoccupazione per irecenti eventi terroristici che hanno scon-volto non solo laGran Bretagna, maanche altri paesi.L’insicurezza e lapaura fomentano,purtroppo, senti-menti non facili dag o v e r n a ree soprat-tutto possono spin-gere a faciliequazioni, che,alla fine, siprestano alla com-pleta ed acriticaaccettazione delladottrina dello scontro di civiltà. Non è cer-tamente compito di una Comunione mas-sonica entrare nel merito di – o peggio vo-ler dirimere – questioni così scottantementelaceranti, ma una istituzione di spiriti liberie critici non può esimersi dall’interrogarsisulla realtà in cui essa vive, non solo per laragione banale che ne fa parte, ma anche esoprattutto perché, come è già accaduto inTurchia, gli stessi ideali che fanno dacemento ai L a n d m a r k s massonici, si tramu-tano in obiettivo per alcuni movimenti ogruppi intolleranti, pronti a tutto, in primisal ricorso ad azioni terroristiche. Ovunque ecomunque ci sia il rischio di offuscare eabbandonare equilibrio e ragione, il compi-to del massone resta quello di esercitare lavirtù del dialogo, innanzitutto con se stesso,non certo per giustificare, ma per suscitare,attraverso il ricorso ad un pensiero critico enon dogmatico, le soluzioni, anche

dolorose, ma più assennate. Ciò, come bensi sa, non implica che tutti i massoni, allafine concordino, anzi, ma che la ricerca di

soluzioni per lororientra in un processodi vaglio, critica, au-tocritica e riflessioneche sappia andare aldi là delle corniciideologiche e cheaccetti il principiodel confronto dia-logico con la diver-sità, tanto dentroquanto fuori. Lasconfitta del terrori-smo e del fanatismofondamentalista pas-

sa così attraverso la capacità di saper isolarel’estremismo e le sue é l i t e s, talora bennascoste ed use ad una sorta di occidentale“doppiopetto” finanziario e diplomatico,senza legittimarle, senza farle cioèdiventare l’unica vera e sostanziale espres-sione di una cultura e di una tradizione. A desempio, il mondo islamico non è solo quel-lo espresso dai terroristi, i quali, peraltro,non hanno incertezze nel colpire nel muc-chio o nell’aggredire anche luoghi di cultomusulmani, come si è più volte verificato inIraq; si tratta di una realtà complessa,divisa, contraddittoria, lacerata da contrap-posizioni intestine e da opzioni culturali chesi declinano in uno spettro molto ampio; unmondo paradossale, in cui alcuni Stati pos-sono tranquillamente trascendere i più ele-mentari diritti civili al punto che dinanzialle loro norme non solo un Mazzini, unGaribaldi ed un Cavour si rivolterebbero

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• 5 •La forza della Ragione dialogante e le ragioni della Forza, G. Raffi

nella tomba, ma lo stesso Vittorio EmanueleII; al contempo, alcuni di questi stessi pae-si, solo per via della loro importanza eco-nomica, sono con-siderati “buoni” sot-to un certo punto divista anche occiden-tale. E qui si pone unprimo grande pro-blema: il fanatismoteocratico e l’illibe-ralità sono vera-mente avversati dal-la nostra civiltà,oppure ci possonoanche stare bene,purché si faccianobuoni affari senzaproblemi? Ma èdavvero possibilefare buoni affari in una realtà globale, a pre-scindere da ogni ragione etica, quando siviene a cementare il potere di chi vive comein pieno Medioevo, pur utilizzando aerei ecomputer? Noi non conosciamo la risposta,ma riteniamo sensato porci qualche dubbio;e riteniamo che il “relativismo” degli affarie dei valori rechi con sé gravissimi rischi econcezioni eticamente discutibili.

Così, mutatis mutandis, se, al posto dicircoscrivere l’area di influenza dell’intol-leranza, si esalta, invece, il ruolo nefasto dicoloro che si appellano allo scontro fronta-le, quasi fossero i portavoce ufficiali di unintero mondo, non si viene a sancire di fat-to l’ammissione di una sconfitta epocale,quella della potenza della discussione e delconfronto, e non si corre forse il rischio dicreare una base sociale all’estremismo,

ovvero di radicarlo anziché estirparlo? Chela nostra cultura ufficiale e massificata siapoco adeguata a separare il grano dalla

pula, lo dimostra ilfatto che la stessastampa nazionaleabbia finito col chia-mare “islamisti” iterroristi islamici,quando nella linguanazionale, un islami-sta non era altro cheuno specialista delmondo islamico, allostesso modo in cuiun “grecista” o un“latinista” non sonoterroristi greci oromani, ma esperti

della cultura classica.In tal modo, da un giorno all’altro, un’inte-ra categoria di studiosi si è risvegliata sco-prendo di essere stata criminalizzata, innan-zitutto dall’ignoranza occidentale. Le stes-se cattedre universitarie di I s l a m i s t i c a c h ecosa dovrebbero insegnare? Il terrorismoislamico o la cultura di una civiltà, cheperaltro non è solo araba, ma anche turca,persiana, indiana, etc.? Si tratta di un esem-pio, apparentemente banale, ma esso cimostra come l’ignoranza può fare il giocodei faziosi, che desiderano gettare benzinasul fuoco, perché essa aumenta la confusio-ne e non porta affatto chiarezza e quindiquella vera informazione, che permette unalibertà di opinione e di scelta.

La nostra speranza è che la forza dellaragione e della discussione serva a cemen-tare quegli ideali di fratellanza e di tolleran-

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• 6 •EDITORIALE

za e rispetto reciproco, senza che ciò signi-fichi alcun cedimento su temi inderogabiliquali la sicurezza ed il rispetto della vitaumana, in un quadro dicondivisione semprepiù ampia di valoricomuni. Non è un casoche lo stesso GrandeOriente d’Italia si siapiù volte impegnato inquesti anni a costruireoccasioni di dialogo,chiamando allo stessotavolo rappresentantidelle comunità islami-che, rabbini, sacerdoticattolici e pastori prote-stanti, insieme a laici,perché tutti costoro fan-no parte a pieno titolodi una società aperta edi un multiverso chenon deve cadere in ghettiseparati ed inconciliabili, pronti a combat-tersi alla bisogna. Lo stesso richiamo alladifesa della Scuola Pubblica, al fine di sot-tolineare la funzione aperta e pluralista,ossia dialogante e critica, dell’educazionescolastica, mirava non a contrastare leScuole cattoliche in quanto tali, ma ad evi-tare che si spianasse la strada alla costruzio-ne di scuole settarie, ciascuna depositariadella propria verità assoluta e del proprioprogetto, con una conoscenza solo precon-cetta dell’altro, che di fatto già si configuranon come cittadino, membro di una comu-nità mutualmente educante nella sua com-plessità, ma come potenziale nemico reli-gioso. Anche in questo caso, il nostro punto

di vista non era ispirato da aprioristico rela-tivismo. In modo paradossale sono relativi-sti tutti coloro che, partendo dal presuppo-

sto che ogni signolo puntodi vista ideologico, sorto ecementato in una comunitàdeterminata, abbia un suosistema di codici e valorivalido al suo interno, percui esso si autogiustifica inrapporto a se stesso, fini-scono col dover ammettereche un dialogo vero siaimpossibile; tutt’al più essipotranno accettare l’idea diuna negoziazione diploma-tica, ovvero come un con-fronto, sostanzialmente diforza, tra maggioranze eminoranze, al fine di stabi-lire le regole e gli spazi didiversità che ciascuno può

avere ed eventualmente con-cedere nel suo confine, senza però maiaccettare il confronto a tutto campo, versouno stadio di verità più alta e profonda,posta al di sopra del punto di vista partico-lare di una data civiltà. Ma ora che i confinidiventano sempre più labili e che la globa-lizzazione impedisce di ricorrere a soluzio-ni crude quali quelle che si risolvono nel-l’invito perentorio che “ciascuno resti acasa sua”, come si dovrà fare? Una possibi-lità è il ricorso, in determinati casi e comeestrema ratio, alla guerra e le occasionifuture certamente non mancheranno. Ma anoi resta il dovere, anche massonico, diricorrere alla forza della ragione, che accet-ta il principio di conoscere veramente l’al-

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• 7 •La forza della Ragione dialogante e le ragioni della Forza, G. Raffi

tro su base razionale e di cercare di dialoga-re con lui, anche informandolo corretta-mente su quelli che sono i nostri princìpi ele nostre aspettative, e nonlasciando che la rappresenta-zione dell’Occidente siaesclusivamente monopolio dichi intende suscitare lo scon-tro. Il dialogo è quanto di piùd i fficile ci sia, soprattutto conchi procede a partire da pre-supposti lontani dai nostri, masi tratta di un dialogo fecon-do, perché se si discute solocon coloro che ci danno giàragione, forse si avrà maggio-re soddisfazione e si proveràmeno fatica, ma non si avràavuto l’opportunità di appren-dere o di insegnare nulla dinuovo. Il dialogo vero è quel-lo che ci costringe, comeavrebbe detto K.R. Popper, aduscire dalla nostra “cornice”concettuale e a metterci incomunicazione critica e auto-critica con “cornici” diverse.Allora, se si venisse “sconfitti” in qualcheaspetto di tale discorso, ciò sarebbe para-dossalmente una vittoria, in quanto si sareb-be appreso qualche cosa che prima si igno-rava. Si tratta un po’ del procedimento dia-logico adottato in Massoneria, ove ciascunonon ha pretesa di convincere l’altro, ma apartire da presupposti diversi, il singolopone accenti e contenuti diversi, che vengo-no liberamente interiorizzati, scartati oaccettati, in tutto od in parte, dai singoli;quante cose, infatti, nel corso dei secoli la

comunità massonica ha insegnato al suointerno, non attraverso la trasmissione didogmi e di un c o r p u s dottrinale, che di per

se stesso non esiste, ma gra-zie al suo metodo educativo,dialogante, critico e apertoalle differenze. Si tratta,quindi, di insistere sullapotenzialità insita in un di-scorrere che si presti semprealla critica e che, anzi, la pre-tenda, per verificarne, attra-verso il principio di falsifica-bilità, il rigore, la coerenzaoppure le incongruità e debo-lezze. Ciò è possibile perché,al di là delle differenze diciviltà e religione, l’essereumano è il medesimo; difattila Massoneria fonda le sueaspirazioni universali sul fat-to che una tale universalitàesista e che sia gradualmenteconoscibile, e non sull’ambi-gua affermazione che i dirittiumani e la centralità dell’es-

sere siano criteri relativi. Para-dossalmente, una strana allenza pseudo-tol-lerante tra forze intolleranti sta operando innome di teologie diverse contro la scienza,al fine di imbrigliarne le potenzialità e lerisorse. In questa nuova constellazione sipuò assistere a strane ed inedite accoppiate,in cui i valori della tradizione illuministicavengono demoliti non per un giusto ade-guamento e superamento, ma in nome delMedioevo e di valori perenni, anche se rela-tivisticamente circoscritti per aree diinfluenza delle singole fedi.

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• 8 •EDITORIALE

Il mondo è pieno di persone, a Orientecome ad Occidente, che vorrebbero viverein pace e serenità,prendere un autobuso un metrò, senza sal-tare per aria e senzache nessuno venga abombardarne la casa;pieno di personepronte a dialogare pertrovare una via piùluminosa, anche sed i fficile. Vi sonoovviamente anchecoloro che attizzanoil fuoco, che voglionouccidere, distruggeree governare autocrati-camente nel nome diqualche dio, talvoltaminore e più prosaico, quantificabile in oroe petrodollari, una massa diseducata e privadi strumenti critici. Tali spiriti tenebrosia l b e rgano ovunque e la storia dell’Occiden-te lo dimostra quanto quella di altre civiltà.Noi non possiamo fare molto, ma per quan-

to ci è dato, abbiamo il compito di suscitarenelle nostre comunità, il principio del dialo-

go e le sue ragioni,anche quando dovessecostare più fatica – eprobabilmente costeràsempre più –, evitan-do le formule facili,scontate, i giudiziacritici e totalizzanti,che estinguono il pen-siero prima ancora deldialogo stesso. In que-sto senso la forza del-la ragione dialoganteinsiste sulla possibili-tà di conoscere la real-tà, di poterla studiarein modo equilibrato,

confrontando modi,mezzi e aspirazioni, in una prospettiva dipace universale e non di tregua armata. Suquesta strada noi cercheremo di fare tutta lanostra parte. Così, anche questo nuovo invi-to al dialogo critico sarà un modo di festeg-giare il XX Settembre.

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L’Orfismo

di Anna Maria Corradini

In this contribution the Author offers an overview of the Orphic tradition with itsliterary and ritual sources in the framework of the old Greek culture with particu -lar focus on the complex relation with the cult of Dionysos and its mysteria.

uesto papiro, che fa parte dellecomposizioni orfiche, contieneun chiaro riferimento ai misteri

dionisiaci: si tratta di un rituale finalizzatoa l l ’ a c c e s s o a l g r a d o s u p r e m o della cono-scenza. L’influenza dionisiaca ed eleusina simanifestano nella stessa invocazione aDemetra e Brimò, nonché nell’espressione“dio nel grembo” che viene chiarita in unpasso di Clemente Alessandrino (Protr.2,16) dove gli iniziati dei misteri di Saba-zio, portavano sotto le vesti un serpente,simbolo della violenza ai danni di Persefoneperpetrata da Zeus, e della conseguentenascita di Dioniso nella forma di toro.

Questa mitologia è una delle componen-ti della poesia orfica. L’Orfismo è dunqueun sincretismo di vari elementi tra i quali

Mutilai me stesso, scontai le pene deipadriSalvami, grande Brimòe Demetra e Reae Cureti armatiaffinché facciamo belle offertel’ariete e il caprodoni innumerevolie vicino al pascolo del fiumeprendendo i testicoli del caproe le altre carni le mangima chi non è iniziato non assista ...Un solo Dioniso, i simbolidio nel gremboe ciò che ti fu concesso profonderegettare nel panierepigna, trottola, dadioppure specchio.

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spiccano quello agrario e quello dionisiaco,inteso come divino furore che libera dal-l’angoscia per elevare alla sferadivina. Il mito di Orfeo ènoto: suo padre è Oiagros,forse un dio-fiume chesposa la musa Calliopeo Polymnia.

L’origine di Orfeoè tracia; egli divienere di un popolo tra-ce (Bistoni, Mace-doni). Orfeo è unmitico cantore chesuona divinamente lalira. Partecipa alla spe-dizione degli A rg o n a u t i ,viene iniziato ai misteri diSamotracia, invoca i Cabiri, divi-nità preposte a tali misteri, perché salvino isuoi compagni con l’impegno di sottoporliall’iniziazione.

Ma la figura di Orfeo è legata alla suadiscesa nell’Ade per ritrovare la sposa Euri-dice morta perché aveva subito il morso diun serpente, mentre era inseguita dal pasto-re Euristeo, che voleva violentarla. È questala versione alessandrina ripresa da Vi rg i l i onel IV libro delle Georgiche. Ade e Persefo-ne, commossi dal suo canto, gli restituisco-no Euridice a condizione che egli risalendodagli inferi, non si volti a guardare. A l l ’ u-scita, temendo che la sposa non lo segua,egli si volta ed Euridice muore per la secon-da volta. Avendo tentato invano di tornareindietro, Orfeo è costretto a vagare incon-solabile per il mondo.

Varie sono le versioni che riguardano lasua morte, in ogni caso avvenuta in manie-

ra violenta e strettamente collegata con ladiscesa agli inferi. Secondo Eschilo, che ne

tratta nella tragedia Le Bassaridirappresentata nella prima metà

del V sec. a.C., dopo il suoviaggio agli inferi, Orfeo

non avrebbe più onora-to Dioniso attirandol’ira del dio. Oppurea seguito di una suamisoginia, le bac-canti lo uccisero.

Secondo Ovidio(M e t a m o r f o s i) egli

avrebbe rivolto le sueattenzioni verso i giova-

ni introducendo la pedera-stia in Tracia e scatenando

così l’ira delle donne.Ovidio deriverebbe tutto questo dal poe-

ta Fanocle, secondo il quale Orfeo canta neiboschi il suo amore per Calaide e le donnetracie lo uccidono: come punizione per que-sto delitto, le donne vengono tatuate dailoro uomini. Infatti nelle pitture vascolaridel V secolo a.C. le donne tracie si ricono-scono per i tatuaggi. Una tradizione piùantica è tramandata da Pausania (9, 30, 5),secondo il quale la morte di Orfeo è attri-buibile alle donne tracie per il fatto che egli“convinse i loro uomini a seguirlo”. In que-sto caso il cantore diventa quasi capo diun’associazione di marchio maschile cheescludeva le donne. Nel cratere di Berlinodel Pittore di Orfeo del V sec. a.C., Orfeo èrappresentato in atto di cantare assieme aduomini armati. Il mitografo Conone, vissu-to al tempo della nascita di Cristo, sostienel’avversione di Orfeo per le donne e ricorda

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• 11 •L’Orfismo, A.M. Corradini

che egli non le ammise mai ai riti segreti.Forse esistevano delle associazioni arcaichedi guerrieri che praticavano propri ritisegreti? Secondo alcuni lacatabasi di Orfeo èlegata allo sciama-nesimo, ma questaattribuzione non èdel tutto pertinentenel caso di eroigreci o dello stessoOrfeo che come Ulisse eTeseo è disceso nell’Adecon il corpo e non conl’anima come avviene pergli sciamani. Tra l’altronon si conosce una tradizio-ne orfica di “trance” estaticadurante la quale l’anima compiaun viaggio nell’oltretomba di-staccata dal corpo. Le donne, fat-to a pezzi il corpo di Orfeo, lo get-tarono nel fiume che lo trascinò fino almare. Gli abitanti di Lesbo raccolsero latesta ed elevarono un mausoleo. La tombadell’eroe, secondo la tradizione, si trovavaanche presso il fiumeM e l e s in Asia Minoredove erano i resti del corpo ricompostodagli stessi Traci. Orfeo continua a suonarela lira e a cantare per i beati in veste bianca.

Da quel che si può notare la tradizioneorfica è complessa, ma su alcuni punti si èd’accordo: 1) Orfeo è uno ierofante iniziatoai culti misterici di Dioniso; 2) egli vivepoco prima della guerra di Troia, infatti par-tecipa alla spedizione degli A rgonauti; 3) èdi origine tracia; 4) scende negli inferi e isuoi riti sono connessi con l’esaltazionemistica dionisiaca delle baccanti; 5) Orfeo e

Dioniso hanno un retroterra comune che è ilmondo silvo-pastorale della Tracia o di Cre-ta; entrambi sono rappresentati assieme ad

animali anche ferocinell’atto di pla-

carli – nelcaso di Orfeo

egli doma glianimali con ilcanto e la

melodia dellalira; la componenteagraria resta ilsostrato di base per

il Dionisismo e l’Or-fismo nelle loro prime

manifestazioni; l’Orfeor a ffinato cantore in abiti

eleganti, è di epoca tarda.Al centro dell’Orfismo è

Dioniso, la sua passione emorte: attraverso il rituale si

raggiunge la catarsi, cioè la purificazione ela salvezza. Un attributo di Dioniso nelmondo orfico è quello di Zagreo, termineche appare per la prima volta nel poemaA l c m e o n i d e ( V sec. a.C. fram. 3 Kinkel) nelquale sono invocati la terra e Zagreo. Euri-pide (fram. 475 Nanck) ricorda Zagreocome il dio venerato dalle associazioni cre-tesi al tempo di Minosse i cui componentiformano il coro delle Cretesi. L’ e t i m o l o g i adel nome è forse “il grande cacciatore (dianime)” secondo l’etym. Gud. (227, 37), daZa-agreus. Euripide lo definisce “cacciato-re notturno”, n y k t ò p u l o s, e lo avvicinaa l l ’ o rgiasmo. Firmico Materno (de err. prof.rel., 6) riferisce per primo della passione diDionysos-Zagreo, il cui nome latinizzato è

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Libero. È figlio illegittimo di Giove, re etiranno di Creta, che dimostra tale aff e t t onei suoi confronti, da scatenare la collera diGiunone. Giove lascia momentaneamentela reggia ed affida il giovane alle guardie;Giunone riesce a corromperle e fa uccidereDioniso-Libero dai Titani che, smembrato ilcorpo, lo divorano.Ma Minerva con-serva il cuore diDionisio perché sivuole vendicare dei Ti t a-ni. Allora Giove, nonappena si accorge del-l’uccisione del figlio,elimina i Titani; quindicostruisce una statua ingesso e vi introduce ilcuore ricevuto da Miner-va. I Cretesi, aggiunge Fir-mico, istituirono riti in ricor-do di quegli avvenimenti. Cle-mente Alessandrino (P r o t e p t. II,17) racconta lo stesso mito speci-ficando che i Titani sedusseroDioniso con giocattoli infantili: la trottola,il rombo, giocattoli incurvati. Aggiunge poiche tali oggetti venivano adoperati nei ritua-li orfici in memoria dello sbranamento deldio. Egli stesso scrive:

[…] simboli di questo rituale ( t e l e t è )sono un gioco di astragali, una palla,una trottola, dei pomi, un rombo, unospecchio, un vello.

I Titani, sempre secondo Clemente Ales-sandrino, saranno folgorati da Giove. Nonsi fa cenno alla resurrezione; questo temaritorna in un passo di Filodemo (de piet. 44)

che parla delle tre nascite di Dioniso, una dasua madre Semele, la seconda dalla cosciadi Zeus, la terza, quando dopo lo smembra-mento, Rea, riuniti i pezzi del corpo, faritornare in vita Dioniso. Diodoro Siculo(III, 62) afferma che Dioniso torna alla vitagrazie a Demetra. Il ciclo di nascita-morte-

resurrezione è untema ricorrentetra le religioni

antiche, si vedanoOsiride, Attis. La

componente agraria staproprio in questo tripli-ce momento dell’eter-no ritorno alla vitadalla morte e vicever-sa secondo cicli stagio-

nali. L’Orfismo si ponedunque in questo conte-

sto. Le orge dionisiacherappresentano un passaggio

per accedere al divino; gli orfi-ci vanno oltre: essi cercano l’im-mortalità attraverso la purifica-

zione e il riscatto dal male. Con l’Orfismo ilconcetto di peccato e di riscatto si fa lenta-mente strada con il raggiungimento dellasalvezza dell’anima. È questo il motivodominante della religione orfica: la salvez-za dell’anima. Da questa concezione deri-vano una serie di regole da osservare comela pratica vegetariana, il rifiuto di cibarsi dicarne, l’ascetismo. L’Orfismo comprendeuna vera e propria teogonia particolare:all’origine di tutto vi è il Primo nato o Pro-togono, si tratta di un essere bisessuato,generato da un uovo; egli è la luce “Pha-nes”, ed in alcuni inni orfici è detto pure

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• 13 •L’Orfismo, A.M. Corradini

M i t i s edE r i k e p a i o s, e si identifica con Dio-niso; Phanes crea da se stesso Nyx, la Not-te. Unitosi alla figlia, genera Urano e Gea,esseri con un sesso definito, progenitori del-l’umanità. Infine sul trono sale Zeus, cheingoia Phanes e generaun nuovo mondo.

Questa teogoniariportata daDamascio (D eprimis princi -p i i s, 123 bis) ènota come rap-sodica perché tra-mandata dai rap-sodi che cantavanogli hieroi logoi ( “ s a c r iracconti”). Zeus rappre-senta colui che crea il molteplice partendodall’unità. Esistono altre tradizioni convarianti che vogliono come principio Nyx(la Notte) dalla quale nascono Urano e Gea;oppure Oceano da cui deriva Chronos chein seguito produce l’Aither e il Caos. Nelpapiro di Derveni, scoperto a Te s s a l o n i c anel 1962, la teogonia orfica è incentrataattorno alla figura di Zeus come principio ecompimento di tutto. Il mito che l’umanitàderivi dalle ceneri dei Titani è tardo (II-Isec. a.C.); l’uomo partecipa della naturadivina e titanica, poiché i Titani avevanoinghiottito il corpo di Dioniso. Era possibi-le attraverso purificazioni (k a t h a r m o i) ediniziazioni (teletai), riuscire ad eliminare lanatura titanica ed assumere una veste divi-na (dionisiaca).

Come si inserisce la figura di Orfeo nelcontesto mitico dionisiaco? Si è detto che ilrituale misterico orfico riscatta l’uomo dal-

la sua condizione di contaminazione e glipermette di conoscere uno stato beatifico. Itesti orfici attestano che nel rito si ripeteval’antica rappresentazione dionisiaca dellosmembramento furente delle carni e della

loro consumazione.L’Orfismo recu-

pera un ritod i o n i s i a c o ,ma lo trasfi-gura attri-buendo adesso una fun-zione etica e

s a l v i f i c a .Negli scritti

orfici Orfeo èr a p p r e s e n t a t o

come discepolo di Dioniso ed iniziato aisuoi misteri; Orfeo è un cantore che incantacon la sua melodia magica. Al centro dellapersonalità di Orfeo è appunto il cantocome magia, come elevazione dello spirito,egli è re e sacerdote; il misticismo e ilriscatto spirituale contrastano per certi ver-si con un rituale violento e legato alle org eoggetto di esaltazione. Non bisogna dimen-ticare che una delle tradizioni vuole cheOrfeo fosse rimasto vittima della stessa iradi Dioniso che avrebbe incitato le donnetracie fino al punto di ucciderlo, geloso delculto che Orfeo rivolgeva ad Apollo. Unaforma di contrasto tra Dionisismo ed Orfi-smo potrebbe far pensare che quest’ultimoabbia riformato il Dionisismo orgiastico eviolento rendendolo altamente spiritualisti-co. A questo proposito sono chiari i riferi-menti delle laminette orfiche e dei formula-ri dei riti che attribuiscono all’iniziato una

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purezza ed un’incontaminazione esattamen-te opposta al rituale dionisiaco. Agli Orficiè infatti vietato cibarsi di carne ed uccidereanimali perché questi possono essereadatti alla reincarnazione di anime.Rifuggono da tombe ecadaveri, non consumanolegumi che sono cibo deimorti, non mangiano uovache sono simbolo dellagenerazione delle anime.Tali prescrizioni, che ren-dono un iniziato un b a k -c h o s, ci appaiono in unframmento euripideo deiC r e t e s i. Orfeo è dunqueil cantore di Apollo, cioèimmagine, musica, ma ilsuo contenuto (attraversola passione dionisiaca) è ilmistero di Dioniso. Le duedivinità sono i volti di unastessa religione e sono comple-mentari l’uno all’altro; Olimpio-doro nel “commento al Fedone di Platone”così si esprime:

Dioniso pose l’immagine allo spec -chio, e così fu frantumato. Ma Apollo loraccoglie e lo riconduce alla vita essendodio purificatore e veramente salvatore diDioniso […].

Dall’uno al molteplice e dal moltepliceall’uno attraverso l’intervento di A p o l l o .Ecco ancora un elemento tendente a chiari-re il duplice aspetto e l’identità di Dioniso-Apollo attraverso il simbolo dello specchio.Orfeo non è soltanto l’unificatore dei dueculti apollineo e dionisiaco, ma ne rappre-

senta l’unità e perisce nella lotta tra le forzedelle due divinità che a questo punto si

identificano. La poesia manifesta ilmondo delle immagini illusorie del

divino e, attraverso l’estasimisterica dionisiaca, siattinge alla fonte dellavera conoscenza divi-na. Il mito di Dionisoed il suo rituale sonostrettamente collegaticon la simbologia delgioco e degli elementiche ne fanno parte(dadi, trottola, rom-bo, palla, specchio,vello). I dadi hannouno scopo divinato-rio, la palla e la trot-

tola sono veri e proprigiocattoli che si usano

nell’infanzia e fanno sup-porre un passaggio dall’in-fanzia alla pubertà. Lo spec-

chio è il simbolo dell’illusione, ma anchedella conoscenza perché specchiandosi Dio-niso fanciullo conosce se stesso pur igno-rando che l’immagine riflessa è la sua.Apparenza e realtà si identificano in Dioni-so che rappresenta in se stesso la sola real-tà. Orfeo mostra il cammino verso la veraconoscenza del dio. Negli scritti orfici esi-stono delle precise indicazioni sui percorsida intraprendere e da evitare. Teoria e prati-ca coincidono per la salvezza dell’iniziatosulla via dell’illuminazione.

Il simbolo del rombo è noto nei riti ini-ziatici dei primitivi. In uno scolio attribuitoal grammatico Diogeniano (II sec. d.C.) il

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• 15 •L’Orfismo, A.M. Corradini

rombo viene definito una tavoletta di legnoattaccata ad una cordicella e fatta rotearedurante i riti misterici perché ronzasse. Ilrombo appare come unelemento di base nellepratiche iniziatiche.

L’origine di Orfeo èattribuita alla Tracia, tut-tavia il suo legame conCreta è evidente ancheperché il Dionisismo hachiare derivazioni dall’i-sola. Una testimonianzafigurativa arcaica di Orfeoche si può ricostruire è ildipinto di Polignoto, la cele-bre Nikyia nella Leschedegli Cnidi a Delfi; Pausania(X, 30, 6) fa notare che Orfeoera rappresentato in costume gre-co, prezioso indizio per la sua vici-nanza al mondo greco in età antica.Più tardi, nelle raffigurazioni, egliassume l’abito tracio con berretto dipelle di volpe alopeke, alti calzari, vestericamata e corto mantello; nell’età ellenisti-ca predomina un costume di influsso orien-tale con chitone ricamato, mantello e ber-retto frigio, che rimane la caratteristica diOrfeo anche nell’età cristiana.

Se pure tracia fu l’origine del cantore,tuttavia i suoi agganci con il mondo cretesee greco sono molto evidenti, nonché conl’Oriente, anche per la successiva diff u s i o-ne dell’Orfismo in questi ambienti. Sonostate avanzate ipotesi sull’origine orientaledell’Orfismo, ma in effetti non esistono pro-ve schiaccianti in tal senso; forse si potreb-be pensare che in esso siano confluiti vari

influssi con predominanza evidente dellacomponente greca, perché è proprio in Gre-

cia che l’Orfismo ha trovatoil suo sviluppo e la suaaffermazione.

Ad Orfeo la tradi-zione attribuisce varieopere delle quali cisono pervenuti fram-menti. Il Kern li ha rac-colti in un’opera unica.

Gli Inni Orfici sono 88componimenti databili trail II e V sec. d.C.; si trattadi formule rituali ed invo-cazioni; secondo Kern, l’a-

rea di formazione degli inniè quella dell’Asia Minore.

L’epoca dell’aff e r m a z i o n edella poesia orfica potrebbe

essere quella del V I - V sec. a.C.,ma vi sono indizi che potrebberospostare la cronologia ad un perio-do più remoto. In queste composi-

zioni gli elementi orfici sono evidenti per lamenzione di divinità come Erikepaios, Pha-nes, Chronos, Protogonos, ma si nota purela presenza di altre divinità come la GrandeMadre, le Ninfe, le Nereidi, etc. Il papiro diGurab (Egitto), riconducibile ad una comu-nità orfica del III sec. a.C., molto frammen-tario, mostra un sincretismo tra l’Orfismo, iculti cretesi e le divinità eleusine. Sono purecitati i simboli della passione di Dioniso,cioè i suoi giocattoli che confermano l’usoiniziatico di tali oggetti.

Come documenti orfici diretti vi sono poile laminette auree del V- I V sec. a.C.: a que-ste si aggiungano le fonti indirette sull’Or-

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Bibliografia

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fismo o che alludono ad esso, testimonian-ze di veri autoriclassici. Unaprima fase del-la poesia orfi-ca conosceuna tradizioneorale che vieneimpiegata neimisteri eleusinicome rituale verba-le introduttivo alla fasemistica. È chiara la con-nessione tra Orfismo emisteri eleusini.

La musica rimane infineun elemento basilare nella poetica orficaperché in tutte le descrizioni e rappresenta-zioni Orfeo appare come il cantore chea ffascina, turba e commuove. Il nucleo cen-

trale della poesia orfica indica Orfeo investe di rapsodoche radunavaattorno a séu n ’ a s s o c i a z i o-ne di giovani,senza presenzef e m m i n i l i .

Attorno a que-sto l e i t m o t i v s i

sono sovrappostialtri elementi che

poi hanno determinatola complessità con tutte le

sue sfaccettature dell’Orfismo.È però certo che Orfeo, nell’immagi-

nario mitico dei Greci ed in seguito deiRomani, rimane il cantore che affascina edammalia riuscendo a superare la morte conil dono dell’immortalità.

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I fondamenti del simbolismo

di Bent Parodi

Giornalista

The Author analyzes the meaning of the term s y m b o l o n proposing some reflec -tions on its conceptual implications in the comparative and wide-ranging contextof a significant number of ancient religious and philosophic schools of thinkingamong East and West; the Author also discusses the contemporary crysis of the tra -ditional esoterical patterns with respect to some extreme and crude results producedby the clash with various modern hyper-rationalistic approaches.

l simbolo è una finestra aperta sul -l ’ i n f i n i t o. La definizione non è no-stra ma di Oswald Wirth, raff i n a t o

interprete dello spirito originario della Li-bera Muratoria.

È, dunque, rappresentazione che nasce esi iscrive nell’ambito della esoteria, che nelsimbolo trova il suo naturale linguaggio.

Ma anche il mondo “profano” può rite-nerla accettabile. E ciò è tanto più verooggi, dopo gli ampi contributi della “psico-logia del profondo”, delle nuove formed’arte e di quella che generalmente siamosoliti chiamare “condizione post-moderna”.

Né si può tacere dell’appassionata ricer-ca di Mircea Eliade, che al simbolo ha con-

ferito dignità accademica, partecipandoload un pubblico eterogeneo.

Simbolo – dal greco s y n b à l l o ‘ g e t t oa s s i e m e ’ e, quindi, ‘unifico’ – ha il valoreetimologico di ‘contrassegno, riferimento’.Esso, per sua natura, allude alla realtà meta-storica, trasporta il pensiero in una sferaatemporale, in quello che gli storici dellereligioni definiscono “spazio sacro”. Il sim-bolo si nega alla ragione discorsiva, allaspeculazione settoriale; esso fa appello,piuttosto, all’intuizione che – sola – puòcomprendere la totalità primordiale.

Contro le strettoie della dialettica, inca-pace di cogliere l’intima essenza unitariadel cosmo sensibile, il simbolo è universale

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proprio per la sua caratteristica d’essere aldi là della storia che determina ma dallaquale non è mai condizionato.

Gli sono connessi ilmito, l’emblema, l’al-legoria e il rito purnon identificandosi –questi – in esso, giac-ché la parte è solofiglia del Tutto, il Tu t-to rimanendo oltre lesue componenti.

Di simboli, appun-to, è costellato il mon-do antico; basta sfo-gliare le pagine deimiti per renderseneconto. Ma con sensi-bilità nuova: per trop-po tempo si è parlato di“prelogismo”, in contrapposizione al pen-siero razionale, o, peggio, di favole puerilie ingenue, valide soltanto sotto il profiloestetico o letterario. E questa coscienza sta,per fortuna, riemergendo dal lungo oblìo disecoli di oscurantismo; ci si rende conto chequanto precede la filosofia è più vitale del-la filosofia stessa, che la vita profonda siattinge dal pozzo del passato, che è più vivociò che è più remoto nel tempo.

Determinante è stato l’apporto dellamoderna scienza delle religioni, di studiosiautorevoli come il rumeno Eliade che nelmito hanno visto il “racconto esemplare”, laripetizione cosmogonica degli archetipi del-lo spirito.

L’ i n e ffabile non si presta alla rappresen-tazione convenzionale; per descrivere ilprofondo, per riviverlo dall’interno occorre

essere iniziati al simbolo. La parola nonbasta; essa è dispersiva, fuorviante: la stes-sa etimologia ne tradisce i limiti.

“ P a r o l a ” è t e r m i n econtratto da“ p a r a b o l a ” ,p a r a b o l é, che in grecovuol dire ‘approssima-zione’. E mai defini-zione fu forse piùazzeccata perché il lin-guaggio, fatto di paro-le, ci divide mentre isimboli si rivolgono alcuore ed alla mente,con la suggestione del-l’enigma e del parados-so. I sapienti d’ognitempo hanno fatto pro-pria questa verità, allu-

sivamente hanno dise-gnato il cerchio ricomposto; dalla frantu-mazione della molteplicità sono risaliti, viavia, all’unità originaria.

Dal simbolo all’iniziazione rituale, dal-l’iniziazione all’estasi culmine della cono-scenza: tale fu l’indicazione di Orfeo. Ta l eè oggi il richiamo di ogni scuola esotericache sia davvero tale.

Ma l’esperienza conoscitiva che liberal’Ego teofanico, proprio in quanto ricorre alsimbolo e nel simbolo si involge, è di talenatura che non può essere partecipata. Ed èquesto, in fondo, il “segreto” di tutte lescuole esoteriche, il “segreto” di cui tantomaliziosamente si chiacchiera nel mondodella routine.

È una situazione che Plotino, il padre delneoplatonismo, seppe ritrarre con grandeefficacia:

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• 19 •I fondamenti del simbolismo, B. Parodi

Perché proprio questo sta a significa -re quel famoso comando dei nostrimisteri, non rivelare nulla ai non inizia -ti, appunto poiché il divino non è dadivulgarsi, salvo a colui che, per suaventura, non l’abbia già speri -mentato. […]

Enneadi, VI

E ciò, ancora, perché l’incon-tro dell’uomo col suo principio –nell’attimo dell’estasi – è “fugadi solo a solo”, un’esperienzacosì intimamente individuale checiascuno può farla e viverla sin-golarmente solo al momento pre-fissato dal piano evolutivo.

Ovviamente è questa una con-dizione che può riferirsi soloall’iniziazione “esemplare”, alcompimento del cammino intro-spettivo quando l’e p o p t a, che fugià m i s t é, è ormai un Adepto (a d e p t u s d aadipiscor, ‘raggiungo, mi realizzo’); il con-templante – per dirla ancora con Plotino –deve sublimarsi in illuminato, cogliere laricomposizione del molteplice nell’unità.

Il simbolo, come nostalgia delle origini eripetizione emblematica della cosmogonia edell’antropogenesi, ha anche valore prope-deutico e catartico: esso precede – e supera– la filosofia nell’esplicazione del gran librodella natura.

Molto prima che Proclo, l’ultimo degliAntichi, disegnasse la teoria della circolari-tà dell’Essere, che Hegel la riprendesse conla costruzione della triade tesi-antitesi-sin-tesi, il mito aveva affidato al simbolo ilcompito di iniziare al pensiero.

Come si può inoltre negare dignità spe-culativa al binario, emblematicamente rap-presentato dalle coppie divine, e alle granditrinità dei sistemi teologici dell’Orienteantico. Prendiamo, solo ad esempio, il caso

dell’Egitto cul-la di sapienza evi troveremotriadi a profu-sione. Esami-niamone qual-cuna, a riprovadel nostro dis-corso. Ad Elio-poli, la città delsole Annu, larealtà della vitaè così descritta:

K h e p e r, l’a-stro sorg e n t e( l e t t e r a l m e n t e :

“colui che divie-ne”), si trasforma a mezzogiorno in Ra, “labocca in azione” e, cioè, il L o g o s ( c o m esuggerisce il pittogramma); la sera, esauritoil ciclo della sua esistenza quotidiana cheeternamente si ripete, il sole “diventa”A t u m,parola rivelatrice che in egizio signi-fica “tutto ciò che è, tutto ciò che non è”,ovvero la potenzialità, l’Essere al di là delDivenire.

Il ciclo cosmico è ben rappresentatoanche da altre due trinità: a Menfì Ptah, ilD e m i u rgo (capostipite del massone perchéil nome del dio era quello di “gran capodegli artigiani”), si unisce con Sekhmet, lapotenza del sole vista anche nei suoi aspettiterrificanti, per dar vita a Nefertum (“bel-lezza della potenzialità”), il fanciullo che

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e m e rge dai petali del loto. A Tebe, la cittàdalle cento porte, Amon (“il nascosto”), ori-ginario spirito delvento è posto inrelazione alla gran-de madre per eccel-lenza, Mut l’Eternofemminino (si notiche M u t, per sin-golare coincidenza,in germanico vuoldire ‘madre’): daidue nasce Khonsu,epifania lunare,archetipo delle sin-tesi trinitarie.

È sempre la leg-ge del triangolo, ilmistico Delta, cheriaffiora dai simboli espressi nel mito.

Ancora un esempio di altro genere, que-sta volta ripreso dall’India (la Trimurti diBrahma, Vishnu e Shiva è troppo nota aiteosofi perché se ne debba accennare inquesta sede): la distinzione dialettica fraBrahma e Para-Brahma. La filosofìa “acca-demica” ha tradotto il binomio con ‘Essere’e ‘Non-Essere’, parafrasando il modulo par-menideo (anch’esso, per la verità, maleinterpretato); la filosofìa, cioè, ha inventatola categoria del Nulla dandole dignità onto-logica: insomma, una contraddizione in ter-mini. Come si fa a dare vita a ciò che nonha vita? Il pensiero razionale è stato capaceanche di questa aberrazione.

Para-Brahma, invece, espressione delsimbolismo religioso significa l’‘Esserenella sua fase di non manifestazione’: attua-lità e potenzialità, Essere e Divenire.

Il simbolo, ancora una volta, ci rivelaprofondità sconosciute alla ragione discor-

siva; con la forza dell’im-magine apre davvero fine-stre sull’infinito. Chiacquista questa consapevo-lezza è già sulla soglia del-la realizzazione.

La natura profondamen-te simpatetica dei simbolicostituisce il più correttoapproccio alla W e l t a n -s c h a u u n g di ogni civiltàtradizionale e ne mostra lasostanziale continuità colpassato. Anche per questavia eminente è dunque pos-sibile sottolineare il secola-re equivoco, di marca

razionalistica, che il Medio Evo rappresen-ti una frattura verticale nei confronti del-l’antichità. Sarebbe, invece, l’evo modernoad apparire come un’anomalia, un’eccezio-ne nella storia. Di tutte le civiltà essa è l’u-nica ad essersi sviluppata in senso quasiesclusivamente materialistico, privilegian-do l’applicazione alla riflessione, la speri-mentazione alla ricerca fine a se stessa.

È un fatto che sul finire del XV s e c o l oandò perduta la chiave dei simboli tradizio-nali; con l’esplosione dell’individualismo,Umanesimo e Rinascimento diedero avvioalla cultura laica, all’affermazione di un’an-tropologia laica, irriducibilmente separatadalla sfera del sacro. Fu una vera e propriacaduta nella storia che, da rapida, si è anda-ta facendo sempre più vertiginosa via viache ci si avvicina alla conclusione del mil-lennio e, con essa, al collasso energetico.

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• 21 •I fondamenti del simbolismo, B. Parodi

Che accadde nel Quattrocento? Orienteed Occidente persero ogni contatto eff e t t i-vo, l’architettura cessò di essere orientata, leregole andarono negletteper secoli.

Si potrebbe fissare unadata per questo collasso,che non è quella conven-zionale delle invasionibarbariche, della cadutadell’Impero romano nel476 d.C.: la distruzionedell’Ordine del Te m p i oad opera di Filippo ilBello. L’avvenimento, dacui può originarsi l’Etàmoderna, è emblematico,segna il divorzio irrever-sibile tra potere sacerdo-tale e potere regale, tra il“religioso” ed il “civile”. Ese nel mondo dei simboli tutta la realtà ave-va carattere sacrale, col suo occultamentonacque il punto di vista profano, paradossa-le mascheramento della storia sotto la formad’una paidéia laica.

Ma le pietre, le immagini, parlano e,attraverso di esse, i simboli d’un passatoremoto che vive ancora dentro di noi.

Così il Medio Evo può schiuderci nuova-mente il suo orizzonte spirituale (che è, poi,quello della Tradizione, tout court).

Gérard de Champeaux e dom SébastienStercks o.s.b. hanno percorso questa via,così poco battuta (vd. I simboli del MedioE v o, Editrice Jaca Book, Milano, 1981),dandoci un saggio ricco di suggestioni incui l’arte romanica dell’età di mezzo è rivis-suta nelle sue valenze simboliche dall’inter-

no, premessa ad un discorso universale enon indagine conchiusa e fine a se stessa.Mancava sin dai tempi di Initiation à la

symbolique romane, XIIsiécle ( F l a m m a r i o n ,Paris, 1977) uno stu-dio d’assieme delgenere. Ne fu autriceattenta Marie M. Davye, per concorde giudi-zio dei critici, la suaricerca ha segnato unnetto salto di qualitàrispetto a tutta la pre-cedente saggistica.

Ora Gérard deChampeaux e Séba-stien Stercks, partendoda Initiation à lasymbolique romane,

sono andati ben più in là.Tramite l’arte romanica è l’uomo medioe-vale che parla un linguaggio a n t i c h i s s i m o eproprio per questo modernissimo.

La riflessione sull’opera di Mircea Elia-de (Trattato di storia delle religioni, Imma -gini e simboli, Il mito dell’eterno ritorno) haavuto un suo peso considerevole; così comenon mancano in Simboli del Medio Evoalcune caratteristiche equazioni rievocate daMarcel Granet (Il pensiero cinese, A d e l p h i ,Milano, 1971). Si tratta di due studiosi for-tunatamente immuni dalla patologia delrazionalismo spinto ai suoi estremi parossi-stici e così tipico del nostro tempo; essi han-no accolto non pochi punti di vista del pen-siero tradizionale. Talché I simboli delMedio Evo riverberano dall’interno il cosmosimbolico, riflettono, sia pure in forma

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mediata, le acquisizioni della scuola diRené Guénon e dei suoi allievi, FrithjiofSchuon e Titus Burckhardt. Libro carico disimpatia verso l’uomo medievale e la suasensibilità, nelladimensione sim-b o l i c a d e l l ’ a r t eriscopre costantie archetipi chevanno ben al dilà di un determi-nato periodostorico, mette inevidenza persi-stenze e analo-gie con la spe-culazione delmondo antico, di quello orientale.

Se ne ricava, in definitiva, un’immaginedell’unità tradizionale nel tempo e nellospazio, ci si accorge che il Medio Evo, lun-gi dall’essere un periodo di decadenza, fu alcontrario l’ultimo sussulto di un mondostraordinario, capace di evocare tutta la ric-chezza della Tradizione primordiale. Il con-tinuo raffronto tra la civiltà antica e la civil-tà cristiana, raffigurazioni cosmologiche esimboli ontologici, ci restituisce la cifranascosta, la prova della perfetta ortodossia,della continuità del V a n g e l o che confermala legge tradizionale della religio perennisdel mondo orientale antico.

Le forme essoteriche sono diverse ma lalettura esoterica ci rivela una unità trascen-dente che supera gli angusti limiti propridella storia.

È trascorso molto tempo dacché l’etnolo-gia ha riscoperto il pensiero mitico, dal tem-po in cui Lucien Levy-Bruhl affermava che

i simboli costituiscono un prologismo deipopoli primitivi, una forma inferiore delsapere.

L’ubriacatura razionalistica ha subitomolti contraccolpi negliultimi decenni, l’abbat-timento delle grandidistanze ha riaccostatol’Occidente all’Orien-te, ritrovando un inesti-mabile patrimonio disaggezza. Nel contem-po, la tecnica storica hacompiuto un salto diqualità e la miglioreconoscenza del mondomediterraneo antico, lo

sviluppo dell’etnologia e della scienza del-le religioni, hanno fatto giustizia sommariadi secolari pregiudizi, delle chiusure aprio-ristiche del positivismo europeo.

Oggi sappiamo che tutta la nostra scien-za occidentale non è che una modalità delconoscere, e, per giunta, angusta, ristretta;l’evidenza ci ha imposto una maggior cau-tela di giudizio nei confronti dell’altro, del-le culture diverse.

Siamo figli della filosofia greca; ad essadobbiamo il misconoscimento della sapien-za mitica, delle valenze simboliche.

Abbiamo confuso per duemila anni quel-la che era soltanto una tecnica gnoseologicacon il sapere, tout court, abbiamo ridotto ilpunto di vista esoterico a qualcosa di occul-to di cui diffidare, dimenticando che la filo-sofia razionalista è una forma convenziona-le, così come quella euclidea è una delletante geometrie possibili. Così l’Occidenteha dimenticato se stesso, ha snaturato le sue

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origini inventando concezioni abnormi,come quella del nulla, vera assurdità meta-fisica.

Ancora nel basso Medio Evo, la SummaT h e o l o g i c a di San To m m a s od’Aquino era un manualead uso degli studenti; quan-ti dei nostri ragazzi sareb-bero oggi capaci d i f a m i l i a-rizzare con la metafisicadell’Aquinate? Tale cadutadi valore è strettamenteconnessa alla perdita del“centro”, all’occultamentodei simboli ancora vitali nelMedio Evo.

La ricerca di Gérard deChampeaux e SébastienStercks, che la Jaca Bookmolto opportunamente ci ha offerto in tra-duzione italiana con il ricco materiale illu-strativo realizzato da Z o d i a q u e, è l’ultimo,maturo, esito di questo recente processo diriscoperta del mondo simbolico. Qui l’arte– come si è già accennato – è punto di par-tenza per una grande sintesi unitaria delpensiero tradizionale.

E la visione cristiana si mostra perfetta-mente in linea con la citazione di MohyddinIbn Arabi: L’uomo è simbolo dell’esistenzauniversale (Vahdatul El Vujud).

Attraverso il simbolo l’individuo compiela sua anabasi catartica, da fenomeno si fauomo reintegrato nel suo stato di perfezio-ne primordiale (El Insan el Qadîm), dallostato edenico può sollevarsi, con un ulterio-re balzo, alla condizione trascendente di“Uomo Universale” (El Insan el Qâmîl) ,l ’Adam Qadmôn della tradizione cabalisti-

ca, l’Osiride cosmico egizio, il M a h aPurusha indù.

Tale è il miracolo – se così può dirsi –compiuto dai simboli in chi sa iniziarsi ad

essi, tale la “chiave perdu-ta” dacché l’Occidentepost-cristiano fuse lah a q î q a h (‘verità esoteri-ca”) con la s h a r î ‘ a h ( “ l e g-ge essoterica”).

L’artista tradizionaledel Medio Evo, per torna-re più strettamente altema, non si prefiggeva diimitare puramente e sem-plicemente la natura, maimitatur naturam in suao p e r a t i o n e (San To m m a s o

d’Aquino, Summa Theolo -g i c a, 1 q. 117, a.); ed è palese che l’artistanon potesse improvvisare, con i suoi solimezzi individuali, una tale operazione pro-priamente cosmologica.

La perfetta conformità dell’artista conquesta o p e r a t i o, conformità sottoposta alleregole della tradizione, creava il capolavo-ro. Essa presupponeva una conoscenza.

Unicamente l’arte tradizionale – nelsignificato più vasto, che comprende tuttociò che è d’ordine formale esteriore, quindia fortiori tutto ciò che appartiene a qualsia-si sfera del rituale – unicamente quest’arte,tramandata con e attraverso la tradizione,poteva essere garante della corrispondenzaanalogica adeguata tra gli ordini divino ecosmico, d’un canto, e quello umano o arti-stico, dall’altro.

La montagna, la pietra, l’albero, il cer-chio e la croce rinviano ed alludono davve-

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ro ad altro da sé per chi sa leggere in essi. Il

simbolo – come affermava Oswald Wi e r t h– è una finestra aperta sull’in -f i n i t o. E Ananda K.Coomara-swamy (De la mentalité pri -m i t i v e, in Etudes traditionel -l e s 4 4e Année, Nos.2 3 6 - 2 3 8 ,Paris, 1939) ci ricorda che:

Un oggetto non è unica -mente quello che è per i sen -si, ma anche quello che rap -presenta. Gli oggetti, natu -rali o artificiali, non sono[ . . . ] ‘simboli’ arbitrari diuna realtà diversa e superio -re; ma sono [ . . . ] la veramanifestazione di essa real -tà: l’aquila o il leone, adesempio, non sono un simbolo o un’im -magine del Sole, ma il Sole stesso in unasua parvenza (stante che la forma essen -ziale importa più della natura in cui simanifesta); come pure, ogni dimora èl’immagine del mondo ed ogni altare sitrova al centro della terra [...].

Perché l’universalità dei simboli? Essi –a ffermavano i rishi del V e d a – sono a p a u -rusheya, ‘non-umani’; per il pensiero tradi-zionale essi sono partecipati all’uomo dal-l’alto, all’uomo in quanto creato ad imma-gine e somiglianza di Dio.

Ogni elemento singolo, e il mondo nellasua intera complessità è un simbolo, tantimicrosimboli che si riuniscono nel macro-simbolo trascendentale. L’immagine (loy a n t r a indù), il suono – e con esso il lin-guaggio – (il m a n t r a ariovedico), tutto èsimbolo con una polivalenza di significati

che, lungi dal contraddirsi, si sovrappongo-no e si integrano favorendo la trasmutazio-

ne spirituale (a b h i s a m b h a v a)dell’uomo.

La ragione discorsiva – sisa – ha i suoi limiti. Non ècon essa che si possono attin-gere le verità metafisiche,bensì per il tramite del pen-siero simbolico, vera alchi-mia interiore.

Il rito non è che simboloagito, i miti una specie delgenere universale (raccontisimbolici che alludono arealtà di ordine tradizionalesuperiore).

Accennavamo all’iniziodella continuità tra pensiero

cristiano medioevale e tradizione arcaica,dell’ortodossia evangelica venuta a confer-mare la Legge.

Per concludere e meglio ribadire quest’u-nità di legami ricorreremo ad un simboloesemplare: il “mito” dei re Magi.

La tradizione di questi saggi, venuti dal-l’Oriente a rendere omaggio al Cristo infasce, neiV a n g e l i è ripresa da San Matteo.Ma fu Beda il venerabile ad esaltare il ricor-do dei Magi nel Medio Evo e si narra chenel 1164 i resti mortali dei saggi Baldassar-re, Melchiorre e Gaspare furono traslati daMilano alla cattedrale di Colonia.

I tre Magi, che offrirono l’oro, l’incensoe la mirra a Gesù bambino nella stalla (la“caverna iniziatica”) di Betlemme, la “casadel pane”, furono guidati nella loro ricercada una “stella fiammeggiante”, essa stessasegno della teofanìa luminosa. Da dove

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venivano? San Matteo non ce lo dice.Ma qui ci occorre la letteratura esoterica

del pensiero tradizionale. Vi si parla coninsistenza d’un centro spirituale supremo,detentore di ogni cono-scenza metafisica: Essosi sarebbe chiamato –nelle varie età – T h u l e ,Luz, Isola dei Beati,Dilmun, etc. Nell’ulti-ma fase dell’Età del fer-ro (il kaliyuga d e g l iIndù) il suo nome èAgarttha, “inviolabile,occulta”; e ciò in dipen-denza dell’estremadecadenza spirituale delnostro tempo, ragione per cui ogni sapienzadeve essere opportunamente velata per noncorrompersi.

Qui si sarebbero ritratti gli ultimi veriRosa Croce, all’indomani del trattato diWestfalia (1644).

La sua localizzazione (anch’essa daintendersi simbolicamente) è attribuitaall’Oriente. A capo di questo centro, che nelprimo ciclo dell’umanità si chiamò P a r a -d ê s h a,Paradiso, troviamo una struttura ter-naria (la stessa che sembra caratterizzare, alfondo, ogni processo creativo): al verticeB r a h m â t m â, “supporto delle anime dellospirito di Dio”, con due coadiutori che sonoil M a h â t m â, rappesentante dell’Anima uni-versale e il Mahânga, simbolo di tutta l’or-ganizzazione materiale del Cosmo.

Si tratta della stessa divisione gerarchicache le dottrine occidentali rappresentanomediante il ternario “spirito, anima, corpo”e qui applicata secondo l’analogia costituti-

va del Macrocosmo e del Microcosmo e,propriamente, nel caso di Agarttha, desi-gnava princìpi più che esseri umani nel sen-so corrente.

Ora, come ci ricor-da René Guénon, i lMahâtmâ conosce gliavvenimenti del futu -ro e il M a h â n g a d i r i -ge le cause di talia v v e n i m e n t i; quantoalB r a h â t m â, egli puòguardare e parlare aDio faccia a faccia; è,cioè, l’equivalente delMetatron della tradi-zione ebraica.

La triade di Agarttha, l’inviolabile,rispecchia il Tribhuvana indù, il trimundiocostituito dalla Terra (B h u, il Mahânga acapo della manifestazione corporea), dal-l’Atmosfera (B h u v a s, il Mahâtmâ r e s p o n-sabile della manifestazione sottile o psichi-ca nel mondo intermedio, l’A n t a r y k s a) edal Cielo (S h v a r, il B r a h m â t m â, a capo delmondo principale non manifestato).

Il Mahâtmâ ed il Mahânga simboleggia-no, inoltre, il potere sacerdotale e quelloregale, distinzione che corrisponde a quellaindiana deiB r â h m a n i e degliK s h a t r i y a, ledue caste (v a r n a) per eccellenza. Il B r a h -m â t m â, al quale appartiene la pienezza deidue poteri, è ativarna, di là dalle caste.

La tripartizione del centro spiritualesupremo, in cui si identifica la Legge eso-terica, che i V a n g e l i vennero a confermare,si ritrova, appunto, nella narrazione dell’a-postolo Matteo: i Re Magi venuti dall’O-riente altri non sono che i tre capi dell’A-

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garttha, venuti a rendere omaggio allagrande teofanìa.

Il Mahânga o ffre a Cristo l’oroe lo saluta come “Re”; ilMahâtmâ gli offre l’incensoe lo saluta come “Sacerdo-te”; il B r a h m â t m â, infi-ne, gli offre la mirra(cioè il balsamo diincorruttibilità, imma-gine dell’A m r i t a, raff i-gurata dal S o m a v e d i-co, dall’H a o m a m a z-deo e corrispondentea l l ’ambrosìa dei Greci).Il capo supremo dell’A -g a r t t h a saluta nel Cristo ilMaestro spirituale pereccellenza.

Ed è ancora Guénon (Il re delm o n d o, Adelphi, Milano, 1992) aricordarci come l’omaggio reso in tal modoal Cristo nascente, nei tre mondi che sonoanche i loro rispettivi regni, dai rappresen-tanti autentici della Tradizione primordialeè, nello stesso tempo, il pegno della perfet-

ta ortodossia del Cristianesimo nei confron-ti di essa. E non casualmente il mito dei

Magi ebbe particolare vitalità nelMedio Evo, età nella quale

Oriente ed Occidente torna-rono a scontrarsi (le Cro-

ciate) ma anche ad incon-trarsi con un’interazioneculturale: Sufi e Te m-plari si trasmisero unprezioso bagaglio diconoscenze iniziatiche.Ma poi venne Filippo ilBello… E la fine delMedio Evo segnò l’oc-

cultamento dei simboli, iltrionfo della d i à n o i a a sca-

pito della nòesis tradiziona-le; di questa non restano che

vestigia e sacre reliquie.Ma, forse, si può ancora sperare

ed il saggio di Gérard de Champeaux eSébastien Stercks ne è interessante confer-ma esegetica. Verrà giorno in cui tireremo lesomme e sarà la conclusione di un altrociclo, forse il più squilibrato della storia.

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Giorgio Gemisto Pletone: “prisca philosophia” e critica dell'ermetismo

di Moreno Neri

Saggista

George Gemistos (1355 c.-1452), known as Plethon, Byzantine philosopher, mas -ter of initiates (M y s t a g o g u s), and legislator, was the inspirer of the Platonic Acad -emy in Florence. We can attribute to Plethon the fundamental and revolutionarynotion of Prisca Theologia. However, Plethon’s rigorous conception about theancient wisdom did not admit any sort of conciliation either with Christianity orwith Hermeticism. Although the doctrine of the philosopher from Mistrás presentsseveral points of contact with the modern p e rennialism, it keeps this philosophyat a considerable distance basically by privileging Hellenism, represented byPythagoras, Plato, and their followers.

Gemisto era tanto superiore al suotempo quanto l’antichità era superiorea quel suo triste tempo e quanto quellatriste epoca era nondimeno superiore aquesto indeterminabile tempo attuale.

Alexandros Papadiamantis, La giovane tzigana

uando, nel 1492, Marsilio Fici-no ebbe terminato la suatraduzione delle Enneadi d i

Plotino – la prima in lingua latina – ladedicò a Lorenzo il Magnifico1.

Nella prima pagina, proprio nelle righeiniziali di questo monumento del platoni-smo italiano, si legge l’omaggio al platoni-smo di Mistrà di Giorgio Gemisto Pletone(c. 1355–1452):

Il grande Cosimo, per pubblico decre -to padre della patria, al tempo del conci -lio di Firenze fra Greci e Latini, sotto ilpontificato di Eugenio, udì spesso unfilosofo greco di nome Gemisto detto

1 Il codice, manoscritto e miniato nello stile caratteristico del Rinascimento fiorentino, è tuttora con-servato nella Biblioteca Laurenziana (Plut. 82,10).

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Pletone parlare, come un altro Platone,dei misteri platonici e fu così ispirato,così profondamente conqui -stato che, da quel momen -to, concepì nell’alta suamente il disegno di unaAccademia, da realizzarsiappena se ne desse l’oppor -tunità. Quindi, per attua -re in qualche modo sì granconcetto, quel gran Medicidestinò a tanta opera meancora bambino, figlio diFicino, medico suo egregio.Per questo scopo mi venne di giorno ingiorno formando, e si adoperò poi perchéavessi nell’originale greco tutti i libri,non solo di Platone, ma anche di Ploti -no. Poi, nel 1463, quando ero trentenne,mi incaricò di tradurre prima Ermete equindi Platone. Tradussi Ermete inpochi mesi, lui vivente; quindi cominciaianche Platone. Che desiderasse la tradu -zione anche di Plotino, non mi accennò,per non gravarmi insieme troppo, tantaera in quell’uomo insigne la bontà per isuoi, tanta la moderatezza nei riguardidi tutti. Ed io, non presago, non pensaidi affrontare un giorno Plotino. Maintanto Cosimo, ciò che da vivo in terraaveva taciuto, finalmente manifestò, omeglio impresse dall’alto. Infatti al tem -po in cui offrii ai Latini la lettura di Pla -tone, l’animo eroico di Cosimo ispirò,non so come, la mente eroica di Giovan -ni Pico della Mirandola a venire aFirenze, senza che neppure Pico si ren -desse ben conto del modo. Questi, natonell’anno in cui avevo affrontato Plato -ne, giungendo a Firenze nel giorno equasi nell’ora in cui lo pubblicavo, subi -

to dopo i primi saluti mi chiede di Plato -ne. Ed io: il nostro Platone è uscito oggi

dalla nostra dimora.Egli allora si rallegròcon impeto, e poisubito, non so in qua -li termini – e neppurlui lo sa – non solomi spinse, ma addi -rittura mi incitò conforza a tradurre Plo -tino. Appare, senzadubbio alcuno, effetto

di ispirazione divinache, mentre Platone quasi rinasceva, l’e -roe Pico, nato allorché Saturno possede -va l’Acquario (e sotto lo stesso segno eronato io trent’anni prima), giungendo aFirenze nel giorno in cui usciva il nostroPlatone, mi aprisse mirabilmente queldesiderio inespresso, e a me del tuttonascosto, ma a lui ispirato dal cielo, del -l’eroe Cosimo a proposito di Plotino.

Si tratta di un testo famoso, quasi intes-suto di coincidenze – verrebbe da dire disincronicità junghiane –, di trasmissioni spi-rituali, di profezie celesti e d’influssi astro-logici. È valsa la pena riportarlo per intero efar parlare esso soltanto, onde far rilucerel’aurea catena in cui Pletone, alter Plato, farinascere Platone, sotto il marchio d’undestino provvidenziale, dove le rinascite, ela trasmissione dell’influenza divina, sonodestinate a perpetuarsi.

Così, una generazione dopo lo sfortunatoe infruttuoso Concilio dell’Unione, nellacerchia stessa dell’“Accademia”, si collega-va la sua stessa nascita e la rinascita del pla-tonismo fiorentino all’influsso degli incon-tri del 1438-1439.

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• 29 •Giorgio Gemisto Pletone: “prisca philosophia” e critica dell'ermetismo , M. Neri

Nel 1462 Ficino aveva già tradotto gliinni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teo -g o n i a di Esiodo e si accingeva a tradurrel’intera opera platonica. Main quell’anno il signore diFirenze era venuto in pos-sesso, riportato dalla Mace-donia da Leonardo diPistoia, del Corpus Herme -t i c u m. Il grande mecenatemediceo gli impose dunquedi interrompere la traduzio-ne dei dialoghi platonici periniziare subito, come attestail citato proemio alleE n n e a -d i, quella dei 14 libri diErmete. Tra il 1463 e il 1494completava la sua versione deidialoghi platonici. Nel frattempo traducevaAlcinoo, Speusippo, Pitagora, l’A s s i o c o d iSenocrate e il De secta phytagorica d iGiamblico. Nell’84 mentre traduceva Ploti-no inframmezzava il suo lavoro con tradu-zioni di Giamblico, Proclo, Porfirio, Te o-frasto, Psello e gli Oracoli magici di Pleto-ne. In definitiva l’intero c o r p u s platonico eneoplatonico.

Ma chi era Pletone? Come scriveva nel1827 Giacomo Leopardi2:

Tace la fama al presente di GiorgioGemisto Pletone Costantinopolitano;non per altra causa se non che la celebri -

tà degli uomini, siccome, sipuò dire, ogni cosa nostra,dipende più da fortuna cheda ragione. E niuno puòassicurarsi, non solo diacquistarla per merito,quantunque grande, maacquistata eziandio chedebba durargli. Certo è cheGemisto fu de’ maggioriingegni [ … ] del tempo suo[ … ] Visse onorato dallapatria [ … ] fu accolto edavuto caro in Italia.

Fu, indubbiamente, il maggior filosofodel declinante Impero bizantino. Giorg i oGemisto, figlio del protonotario della chie-sa di Santa Sofia, dopo aver compiuto i suoistudi a Costantinopoli, si trasferì in giovaneetà nell’impero ottomano, ad A d r i a n a p o l i(Edirne) e Prusa (Bursa). Per molti anni fual servizio di un autorevole e misteriosoebreo, Elisha, membro della corte del GranTurco, che lo introdusse allo studio dellafilosofia antica3. Dopo la morte del suomaestro, intorno al 1400, ritornò a Costan-

2 Giacomo Leopardi, Discorso in proposito di una orazione gre c a. Scritto nell’inverno 1826-27 aRecanati, in cortese polemica con l’amico letterato Pietro Giordani (1774-1848), questo discorso fu pubbli-cato, insieme alla sua traduzione dell’orazione di Giorgio Gemisto Pletone in morte dell’Imperatrice ElenaPaleologina, nel periodico Nuovo Ricoglitore: A rchivi d’ogni letteratura antica e moderna con rassegna enotizie di libri nuovi e nuove edizioni dell’editore Stella nel febbraio 1827. Vedi ora Leopardi 2003.3 Come Plotino ebbe in Ammonio Sacca un misterioso maestro che alcuni studiosi ritengono fosseun monaco buddhista, così Pletone ebbe in Elisha, o Elisseo, un maestro che i più recenti studi indicanocome un I s h r â q î, cioè un membro della corrente filosofica del sufi Sohrawardi e dei “teosofi della luce” o

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tinopoli, da cui, a causa del suo insegna-mento, sospettato d’eresia e paganesimo, fuallontanato su pressione della Chiesa Orto-dossa. L’ i m p e r a t o-re, amico perso-nale di Pletone eche univa ad unagenuina pietà unabenevola tolle-ranza, risolse dia ffidare a Gemi-sto, oramai cin-quantenne, unimportante incari-co di magistratonel Despotato diMorea, approssi-mativamente nel 1407. Il Despotato, doveregnava il ramo cadetto (o un figlio o unfratello dell’imperatore) era la più vastaestensione territoriale bizantina nel Pelo-ponneso. Manuele vi aveva da poco inviatoil suo secondo figlio Teodoro, il più dottodei suoi figli, a succedere nel governo delPeloponneso al suo morente fratello Te o d o-ro I, e lo stesso imperatore vi compì unalunga visita per installare il giovane sul tro-no. La capitale, nella quale il filosofo si tra-sferì con la famiglia, era Mistrà, posta su un

versante del monte Taigeto a poca distanzadal sito dell’antica Sparta. Divenuto giudi-ce supremo del despotato, fondò e diresse

u n ’ a c c a d e m i a ,modellata su quelladi Platone, con uninsegnamento esso-terico ed uno esote-rico, riservato aduna ristretta cerchiad’iniziati. Assunse ilnome di Pletone(Plhvqwn� e Gh�mi-s�t�o�v�~ s i g n i f i c a n oentrambi “pieno” eil primo nome asso-

miglia a quello diPlatone) e propose importanti e innovativeriforme politiche per la sopravvivenza dellanazione greca. Nel 1437 viaggiò in Italiacome membro della delegazione imperialebizantina per partecipare al Concilio di Fer-rara-Firenze. Ritornò a Mistrà, dove conti-nuò a dedicarsi agli studi e all’insegnamen-to, fino alla sua morte, quasi centenario, unanno prima della caduta di Costantinopoli.

Benché Fiorentino4 e Della To r r e5 a v e s-sero messo in dubbio l’intervento di Pleto-ne sulle origini del platonismo fiorentino, le

platonici di Persia, che già due secoli prima avevevano congiunto Zoroastro a Platone. Sohrawardi si riferi-sce al significato tradizionale della Sapienza come alla a l - h i k m a t al-‘atîqa (la saggezza antica), termine checorrisponde esattamente al latino prisca philosophia. Vedi Corbin, 1991: 214 e 258 e 1971 (rist. 1991): 31-35 1972 (rist. 1991): IV. Vedi anche Tardieu, 1987: 145-148 e Tambrun-Krasker, 1995: 41-43. Se Pletoneè indicato, da plurime fonti, come un m i s t a g o g o (maestro di iniziati) a Elisha si addicono gli appellativi sufi-ci di shaikh (anziano, maestro) e murshid (colui che guida).4 Fiorentino 1885.

5 Della Torre 1902.

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ricerche e gli studi degli ultimi anni6 a t t e-stano, al contrario, una forte influenza del-l’esoterismo greco, conosciuto inItalia attraverso Pletone e i suoidiscepoli.

Come Platone nel suo viaggioin Italia, l’ultraottuagenario Ple-tone trovò dunque in Cosimo deMedici un novello Dionigi, ma gliesiti furono diversi. Il signore del-l’italica Atene ne restò così sedot-to da favorire nella sua corte,negli anni a venire, la rinascita diuna scuola platonica spingendo ilfiglio del suo medico, il promet-tente Ficino, a tradurre e illustra-re tutto Platone e le opere dei pla-tonici, oltre gli scritti ermetici.

L’esistenza, a margine dei lavori delConcilio a Firenze, d’importanti conversa-

zioni filosofiche non può essere messa indubbio, dato che esse si concretizzarono in

un opuscolo, che feceepoca nella storia delpensiero: il P�e�riv� w|nj�A�ris�t�o�tevlh~� pro~Plavtwna� diafevre-t�a�i c o m u n e m e n t enoto col titolo, piùbreve e comodo, diDe Differentiis, nelquale si dimostrava lasuperiorità di Platonerispetto allo Stagirita,innescando un’aspracaterva di polemicheda parte dei filo-ari-

stotelici, ma finendoper scardinare l’ormai ottuso e sclerotizza-to pensiero della Scolastica7.

Il celebre testo è solo il riassunto di lun-

6 Sarebbe troppo lungo dettagliare l’elenco degli studi che rafforzano e precisano tale conclusione,a partire dallo studio di Kieszkowski sul platonismo del Rinascimento, fino a quelli di Chastel su MarsilioFicino e l’arte, quelli di Masai sul platonismo di Mistrà, quelli di Garin e di Vasoli sul ruolo di Pletone nelRinascimento, quelli di Wind sotto il versante iconologico e i più recenti studi di Silvia Ronchey nell’am-bito di una necessaria rivalutazione dell’influenza del pensiero bizantino sulla cultura occidentale.7 Vedi la sua prima traduzione in italiano: Giorgio Gemisto Pletone 2000, accompagnata dallo stu-dio introduttivo: Neri Moreno, G i o rgio Gemisto Pletone – De differe n t i i s, Rimini, 2000. Occorre inoltreosservare che Pletone a Firenze presentò anche la Geografia di Strabone (che fino ad allora era stata igno-ta), cosa che condusse al rovesciamento delle teorie geografiche erronee di Tolomeo. Questa nuova con-cezione del Rinascimento sulla configurazione della Terra, secondo le ricerche di molti studiosi attribui-sce allo stesso Pletone un importante, anche se indiretto, ruolo nella scoperta dell’America da parte di Cri-stoforo Colombo che citò Strabone fra le sue autorità principali e che ebbe il testo dal fiorentino PaoloToscanelli Dal Pozzo, che lo aveva ricevuto, di prima mano, da Pletone. I contemporanei oggi non si ren-dono sufficientemente conto dell’effetto che poteva produrre la presenza di un greco in possesso di testioriginali e antichi. Grazie al maestro bizantino la mappa del pensiero intellettuale e quelle della storia edella geografia non sarebbero più state eguali a prima. È un lascito che l’Occidente non può disconoscere.I contemporanei, tanto i suoi fervidi ammiratori come Ficino e il cardinale Bessarione quanto i suo acerri-mi avversari come Scolario e Giovanni Trapezunzio, non s’ingannavano, quindi, sulla personalità di pri-m’ordine di Pletone.

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ghe discussioni, una sorta di promemoriaper degli uditori evidentemente già infor-mati da discorsi più abbondanti. Sappiamod’altronde, che, con-formemente ad unprincipio pedagogico– ed esoterico – tradi-zionale, Pletone, purscrivendo libri, cosicome Platone, in uncerto qual modo nonli stimava aff a t t o ,preferendo ad essi latradizione vivented e l l ’ i n s e g n a m e n t oorale.

Ecco le sue dichiarazioni in proposito:

Non biasimiamo Aristotele perché hascritto, né per ciò che ha scritto di buo -no, al contrario incoraggiamo a leggere isuoi libri “a causa di ciò che vi è di utilein essi, a condizione, tuttavia, di sapereche innumerevoli e grossolani errori visi trovano mescolati”8; esortiamo a leg -gerli nel modo in cui Plutarco incita adascoltare le poesie. Non è perché ha scrit -to su tutto che per questa ragione dob -biamo venerare pure gli errori che hacommesso nei suoi scritti, ma, avendocome maestro Platone, un uomo ben piùdivino di lui, e, allo stesso tempo, senzagiudicarci indegni di rettificare ciò cheAristotele ha detto di male, ci ricono -sciamo il diritto di raddrizzarlo. C’è tut -tavia una cosa che, tra ben altre, vi sfug -

ge: non è per mancanza di conoscenzeche Platone non ha scritto niente sullescienze, è perché egli stesso e prima di

lui i Pitagorici giu -dicavano cosa buo -na non scrivere sutali questioni, matrasmetterle oral -mente ai lorodiscepoli, col pen -siero che essisarebbero stati piùsaggi se avesseroritenuto tali scien -ze nella loro anima

e non nei libri; per -ché quanti credono di possederle nei librinon si danno cura di possedere le scien -ze in modo continuativo nell’anima. Sedunque questo possesso avesse potutoprodursi in modo continuo, ciò sarebbestato meglio; ma, siccome, secondo lecircostanze, fortune e disgrazie introdu -cono nella nostra attività conforme allasaggezza delle interruzioni numerose elunghe, la scrittura ha egualmente lasua utilità, che consiste nel fornire unasorta di memoria a coloro che non posso -no dedicarsi alle scienze in modo conti -nuo. Platone, anch’egli, ha dunquelasciato dei promemoria9, ma relativisolamente ai princìpi della logica, dellafisica, dell’etica e della teologia; e se inse -gnò la filosofia, questo accadde rendendopartecipi non della sua personale, ma diquella che dalla tradizione di Zoroastro

8 Delle Differenze fra Platone ed Aristotele, op. cit., p. 91.9 Cfr. sul tema Reale, 1997: 75-134.

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era arrivata fino a lui attraverso i Pita -gorici. Pitagora, difatti, per avere fre -quentato in Asia dei magidiscepoli di Zoroastro, passòa questa filosofia; ora, Plu -tarco ed altri “situano lanascita di Zoroastro a più di5000 anni prima della guer -ra di Troia”10; se ciò è credi -bile a fatica, quantomenodeve essere il più antico diquelli che sono chiamatigeneralmente saggi e legi-slatori, con l’eccezione del -l’egiziano Menes11, quellegislatore che non fu affattoun saggio. In Egitto, perciò,i sacerdoti adottarono prin -cipalmente le dottrine diquesto Zoroastro e ne derivarono la lorofama, mentre per i riti del culto restaro -no legati ai precetti di Menes che,meschini, attirarono loro il ridicolo. ChePlatone passò a questa filosofia, è ciò chedimostrano gli oracoli della tradizione diZoroastro che si sono conservati fino anoi: sono ovunque completamente inaccordo con le opinioni di Platone. Pla -tone, dunque, trasmise nei suoi dialoghisoltanto i princìpi della filosofia, ossia ilminimo necessario e limitato alle que -stioni più importanti, lasciando ai suoi

discepoli la cura di dedurre il resto daquesti princìpi e dall’insegnamento che

avevano da lui inteso.Ma Aristotele cheera stato allievo diPlatone e che poi,sotto il colore dellafilosofia, passò allas o f i s t i c a1 2, per amoredi una vanagloriache lo incitava adiventare capo diuna propria scuolada lui diretta, scon -volse e pervertì iprincìpi della filoso -fia consegnati daPlatone e giunti a luidal profondo delle

ere; quanto a ciò che aveva ricevuto oral -mente da Platone, se ne appropriò met -tendolo per iscritto, non senza introdur -vi numerosi errori. Siccome, peraltro,“si è occupato addirittura più di quantove ne fosse bisogno”1 3 di cose distanti daiprincìpi ed insignificanti, pubblicò unafolla di scritti, avendo inventato questaquattordicesima forma di sofisma1 4: affa -scinare le persone meno intelligenti conuna massa di scritti. La saggezza, ineffetti, si contrae in poche parole e trattapoche cose; perché riguarda i princìpi

10 Plutarco, De Iside et Osiride, 369 E.11 Il medesimo giudizio sul leggendario Menes, fondatore della I Dinastia (3.100 ca. a.C.) dell’An-tico Egitto, è espresso nelle Leggi, in un altro passo menzionato infra.12 Sul giudizio sprezzante di Pletone circa i sofisti vedi ancora infra.13 Delle Differenze fra Platone ed Aristotele, op. cit.: 41.14 Sulle tredici forme di sofismi vedi Aristotele, Confutazioni sofistiche, 4-5.

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dell’essere e chiunque li abbia afferratialla perfezione, sarà capace di giudicarebene quanto possa venire alla conoscen -za dell’uomo.

Tutti i rimproveri di Ple-tone ad Aristotele si ridu-cono ad uno solo: A r i s t o t e-le ha spezzato “la continui-tà storica” dell’esoterismo,“la catena aurea dellasapienza misterica”1 5. Iltesto, tratto dalla sua R e p l i -ca a Scolario, non ha biso-gno di commenti.

G i o rgio Scolario, anch’e-gli membro laico della delega-zione bizantina in Italia ai tempi del Conci-lio, e che al suo ritorno era diventato l’umi-le monaco, campione intransigente del par-tito bizantino antiunionista (Meglio il tur -bante turco che la tiara pontificia) e che nona caso sarebbe divenuto, dopo la caduta diCostantinopoli, il patriarca di Costantino-poli della Chiesa Ortodossa con il nome diGennadio II, aveva interpretato il De Diffe -r e n t i i s come un attacco direttamente miratocontro il cristianesimo. Se dal tempo di SanTommaso la dottrina d’Aristotele era diven-tata la filosofia ufficiale della Chiesa ognicritica ad Aristotele da allora appariva comeuna critica alla stessa Chiesa. Non potevadunque lasciarla priva di risposta e stese

subito un Contro Pletone, ove si fece cam-pione del sistema dello Stagirita che servi-va di struttura alla propria fede.

Nella sua R e p l i c aPletone chiaramente sidifende dall’intenzioneche il futuro patriarcagli aveva imputato espiega che egli criticaAristotele perché tienea mettere le menti inguardia contro una dot-trina pericolosa cheporta con sé i germidistruttivi d’un ateismomaterialista. Il silenzio

d’Aristotele sulle dottrine essenziali dellagenerazione e dell’immortalità dell’animadivenivano assolutamente scandalose, seposte a confronto della potenza metafisicadei dialoghi platonici.

A quest’abbozzo storico, forzatamentesommario, circa la sapienza tradizionale, sipossono aggiungere delle precisazioni pre-se dal Trattato delle L e g g i. Vista l’influenzadi queste concezioni sul platonismo rinasci-mentale, considerato che il manoscritto del-le L e g g i, dopo la morte di Pletone, venutoin mano del patriarca Gennadio Scolario fuda lui dato alle fiamme, tranne alcuni braniconservati dallo stesso patriarca a riprovadel loro contenuto eretico e pagano, e checiò che ne resta è così poco accessibile1 6,

15 Von Stein, 1875: vol. III, 121.16 Migne non ritenne di riprodurlo nella sua monumentale Patrologia graeca. Bisogna così ricorre-re ancora all’edizione di Alexandre con traduzione francese di Pelissier e testo greco a fronte (Paris, 1858),che tuttavia, nonostante una non lontana ristampa anastatica (a cura di Adolf M. Hakkert, Amsterdam, 1966),

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senza dubbio ci si perdonerà qualche cita-zione più estesa nella nostra traduzione.

Leggiamo, innanzi tutto, questo sunto,che ha il vantaggio di ben sot-tolineare l’importanza chePletone accordava alle piùpiccole tracce delle epochepiù remote che consentivanodi raggiungere l’“archeolo-gia ellenica”. Pletone, infat-ti, collegava i “principi pri-mi”, i “fondamenti del pen-siero” (l�o�g�ikai;� ajrcaiv) a l l o“studio delle antichità (�a�j�r�c�a�i�l�o�g�i�v�a): comese ciò che è “primo” per la logica e più sag-gio per la morale debba anche essere il piùantico nel tempo:

ecco i maestri che seguiamo tra ilegislatori ed i sapienti: innanzi tutto ilpiù antico il cui nome ci sia pervenuto,Zoroastro, che ha rivelato, con la massi -ma brillantezza, ai Medi, ai Persiani edalla maggior parte degli antichi popolidell’Asia, la verità sulla teologia e sullamaggior parte delle altre importantiquestioni. Dopo di lui vengono, fra glialtri, Eumolpo, che ha istituito presso gliateniesi i misteri eleusini per insegnarvil’immortalità dell’anima; Minosse,legislatore dei Cretesi; Licurgo, degliSpartani: aggiungiamo Ifito e Numa, dicui il primo, insieme a Licurgo, istituì aOlimpia i Giochi in onore di Zeus, il

supremo degli dei, mentre il secondodettò ai Romani un gran numero di leg -gi, la maggior parte delle quali relative

agli dei e in parti -colare ai ritisacri. Tra i legis -latori, sono quel -li che preferiamo.Fra gli altrisapienti sceglia -mo le dottrinedei seguenti:presso i Barbari,

i Brahmani del -l’India e i Magi della Media; presso igreci, fra gli altri e soprattutto, i Curèti,secondo la tradizione i più antichi legis -latori. Sono essi che hanno recuperato ladottrina dell’esistenza degli dèi di secon -da e di terza generazione e dell’eternitàdelle opere e dei figli di Zeus e quella del -l’universo intero, credenze, queste, cheerano state, in quei tempi, abbandonatein Grecia a causa dei cosiddetti Giganti,questi esseri empi che lottarono controgli dei. Con la forza di ragionamentiirrefutabili e con la guerra che condus -sero ai Giganti, i Curéti si imposero sucoloro che avevano scelto il partitoavverso e che pretendevano che tuttofosse mortale, eccetto il solo creatore,antico principio di tutte le cose1 7. Dopodi loro menzioneremo i sacerdoti di Zeusa Dodona e gli interpreti dei suoi oraco -

le più importanti biblioteche non sempre possiedono. Va inoltre segnalata una sua versione in spagnolo, mamancante del testo greco a fronte: Lisi e Signes Codoñer 1995. 17 Si tratta di una reinterpretazione in chiave filosofica del mito della lotta dei giganti, figli di Gea edi Urano contro gli dei dell’Olimpo (Gigantomachia), menzionata per la prima volta da Pindaro (e quindi daEsiodo, Teogonia, 629 ss. e in particolare 674 ss.) e che fu ben presto interpretata come la lotta del diso r d i-

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li; parecchi altri uomini ispirati, ed inparticolare il divino Poliido, che Minos -se stesso frequen -tava per la suasaggezza; Tire -sia che per i Gre -ci fu il maestropiù celebre di ungran numero dialte conoscenzee, in particolare,dello sviluppobrillante dellateoria delle tra -smigrazioni del -l’anima e deisuoi ritorni sen -za fine sulla terra;Chirone, che fu precettore di moltissimieroi del suo tempo e maestro di molteconoscenze e importanti istituzioni.Aggiungiamo i Sette Savi che fiorironosplendidamente nell’epoca in cui Anas -sandride ed Aristone regnavano a Spar -ta: Chilone di Sparta, Solone di Atene,Biante di Priene, Talete di Mileto, Cleo -bulo di Lindo, Pittaco di Mitilene eMisone di Chene. A tutti questi maestriaggiungiamo ancora Pitagora e Platone,così come tutti i filosofi celebri che si

sono formati alla loro scuola e i più illu -stri dei quali sono Parmenide, Timeo,

Plutarco, Ploti -no, Porfirio eGiamblico.

In questa sin-tesi di storia del-la filosofia, l’e-numerazione del-le autorità – dicui a stento oggipossiamo imma-ginare l’eff e t t oc o n s i d e r e v o l eche doveva pro-durre su un uma-

nista del Quattrocento1 8 – è seguita da unadichiarazione che ne mette in risalto il sen-so e l’importanza filosofica e la cui portatarivoluzionaria non può sfuggire:

Tutti [i sapienti e i filosofi citati]essendo concordi fra loro sulla maggiorparte delle questioni e sulle più impor -tanti, sembrano avere espresso le dottri -ne più valide per gli uomini saggi che sisono succeduti dopo di essi. Noi pure,seguendoli, non innoveremo nulla incosì gravi questioni, né accoglieremo

ne bruto e del caos primitivo contro l’ordine della natura e la cultura. Di norma la Gigantomachia era ancheinterpretata come rispecchiante le lotte e trionfi dei Greci sui Barbari. Cfr. inoltre la sua metafora in Plato-ne, S o f i s t a, 246-248 e sul nuovo paradigma ermeneutico della Gigantomachia come lotta tra il materiali-smo e lo spiritualismo, Reale, 1997: 405 ss.18 Persino gli attuali studiosi come Enrico Turolla (1964: vol. III, 875) riconoscono che la dottrinadella trascendenza non è di Platone “ma risale ad antichità remotissima” ed è espressa nei Ve d a; anche KarlAlbert (1991: 96) giunge alla conclusione che la filosofia platonica è sostanzialmente affine alle correntiprincipali della filosofia extraeuropea, in particolare al Ved˝nta Avaita di ›amkara e al Tao di Lao-tzu.

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alcuna delle novità recenti di alcuni sofi -s t i1 9. Fra i sapienti e i sofisti c’è infattiquesta fondamentale diffe -renza, che le affermazionidei saggi appaiono semprein armonia con le più anti -che credenze e che le veredottrine, anche per la loroantichità, sono superiorialle opinioni erronee piùmoderne che alcuni hannopropagato e propagano. Isofisti, invece, tendono soloa innovare nella maggio -ranza delle cose e soprattut -to di ciò menano vanto. Que -sto infatti dà loro quella gloria vana, acausa della quale si adoperano in tutto.

Si sarà compreso chi Pletone designa sot-to il termine di “sofisti”2 0: sono evidente-mente, prima di tutto, i fondatori del Cri-stianesimo e i Dottori della Chiesa, maanche quelli delle altre religioni rivelatecome il Giudaismo e l’Islam, le cui dottrinerispondono tutte al connotato di provenireda “un’ispirazione profetica degli dèi chevengono a visitarli”2 1. Ma in generale i sofi-sti sono tutti coloro che innovano o trali-gnano dalla “prisca teologia”, in confrontoa coloro che le sono rimasti fedeli. Sofisti,del resto, come spiegava Giamblico (V i t a

p i t a g o r i c a, XVII, 76), in contrapposizioneai pitagorici, sono coloro che utilizzano il

proprio tempo inmaniera futile, fan-no commercio difalse dottrine, ten-dendo trappole perirretire i giovani,piuttosto che dedi-carsi alla vera cono-scenza delle coseumane e divine. Inquesto senso granparte della filosofia

moderna è tutt’altroche “amore della sapienza”, anzi è piuttostoqualcosa che si fa in odio a essa, talché la sipotrebbe più correttamente chiamare “miso-sofia”. Sofisti, spiega infatti Pletone in unaltro frammento delle L e g g i, sono anchequegli “impostori” che convincono moltiuomini a fuggire scrupolosamente ogniesercizio dello spirito, convincendoli che lascienza significhi soltanto la loro dannazio -ne e perdizione.

E ancora:

i sofisti, dall’altra parte, pensano sol -tanto ad incutere soggezione e si procu -rano qualsiasi mezzo per farsi una repu -tazione, alcuni anzi elevano le loro pre -tese più in alto della natura umana; in

19 Cfr. Plotino, Enneadi, V, 1,8: […] le nostre teorie non sono nuove né di oggi, ma sono state pen -sate da molto tempo anche se non in maniera esplicita, e i nostri ragionamenti sono l’interpretazione di que -gli antichi, la cui antichità ci è testimoniata dagli scritti di Platone.20 Non certo gli antichi sofisti come pretende Anna Kélessidou (1984: 29-40), e nemmeno soltanto irappresentanti delle tre religioni rivelate abramiche, così come sostiene Masai, 1956: 140.21 Vedi il testo qui di seguito.

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quanto alla verità, non ne hanno alcunapreoccupazione, cercano anzi mille espe -dienti per occultarla.Entrambi abbassanogli Dèi fino all’uo -mo, innalzano l’uo -mo fino ad una divi -nità più grande diquella che convieneall’uomo, mettonosottosopra ogni cosae distruggono leprincipali convinzio -ni di coloro che liascoltano.

Ma non solo; ancorpiù grave è la promes-sa, da parte loro, diuna futura beatitudine eterna:

alcuni sofisti che hanno un vastoseguito, promettono ad alta voce a colo -ro che li seguono dei beni maggiori diquelli che noi abbiamo dimostrato chepuò raggiungere il genere umano; s’in -testardiscono nell’annunciare che essipossiederanno una immortalità pura,non più sporcata da nessuna mescolan -za mortale, mentre, secondo la nostradottrina, le anime non cesseranno, ognivolta che il loro turno sarà venuto, diunirsi di nuovo a qualche corpo mortale.Ma, innanzitutto, è prudente giudizio,in generale, unirsi preferibilmente non aquelli che promettono di più, bensì aipiù affidabili. Ugualmente non bisognapreferire i discorsi che destano le mag -giori speranze più di quelli che sonomaggiormente degni di credito. Qualevantaggio c’è nel lasciarsi incantare,

sulle questioni più importanti, da spe -ranze brillanti, ma vane e irrealizzabili,

e nel perder tempo conmenzogne dalle insa -ne credenze? È il col -mo della disgraziaessere ingannati sugliDèi e sulle credenzepiù importanti perl’uomo e avere a que -sto riguardo opinionicontrarie alla verità.Ma, del resto, nonsarebbe sorprendenteche i destini annun -ciati da noi al genereumano apparissero acoloro che fanno unacorretta analisi prefe -

ribili alle promesse di questi sofisti. Inprimo luogo, questi pretesi saggi nonriconoscono un’eternità assoluta e com -pleta né all’Universo, né all’anima uma -na, accordando agli esseri l’eternità nonnei due sensi, ma in una sola direzione,quella dell’avvenire. Essi sostengono chel’universo ha avuto un inizio nel tempo,e che sarà sottomesso allo stesso cambia -mento delle cose umane. Per maggior -mente illudere coloro cui annuncianotali cose, da una parte sostengono che lecose umane non cambieranno da sole macon tutto l’Universo, dall’altra, annun -ciano che il regno del male deve esserebreve e che, in un tempo che seguirà,Dio donerà agli uomini una felicità eter -na e assoluta. Questa dottrina è più spe -ciosa che se ponessero nel primo tempoun’eternità di mali prima di un’eternitàdi beni nel tempo a venire. Quanto anoi, riconoscendo all’anima umana

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un’eternità intera, non mutilata e zop -pa, dimostriamo anche che per essa ilbene è maggiore del male. Non è eviden -te, infatti, che questa eternità cheabbraccia il passato e il futuro è benmigliore e più bella di quella immorta -lità a metà, e che l’eterno così è moltopiù perfetto e più bello dell’eterno inquel modo?

La “sofistica”, quindi, nelladottrina di Pletone, sta alla filo-sofia eterna dei k�o�in�a�i�;e�[�n�n�o�i�a�i dello stoicismo(una sorta di verità “pre-comprese”) come nelle reli-gioni rivelate l’eresia sta allatradizione immutabile del-l’ortodossia. Il metodo diPletone, soprattutto in metafisica, si trova,di conseguenza, integralmente tracciato:

Noi, al contrario, adotteremo le dot -trine e le parole degli uomini che sem -pre, dall’antichità, hanno saggiamentepensato; e, ad un tempo, con il ragiona -mento, che è il più potente e il più divi -no dei nostri mezzi di conoscenza, cer -cheremo, attraverso un’attenta compa -razione, di raggiungere su ogni questio -ne, per quanto è possibile, ciò che è ilmeglio. Poeti e sofisti, infatti, in questosono dannosi, nel non dare alcuna ragio -ne valida di ciò che dicono, fingendo gliuni e gli altri di dovere a un’ispirazioneprofetica degli dèi, che vengono a visi -tarli, le cose che affermano. Così i poeti,tingendo le loro parole di espressioniaffascinanti e di ritmo, seducendo gliuditori e convincendo quelli che nonsanno distinguere la grazia dello stile e

dell’armonia con la verità o la falsità deipensieri. Del resto, i poeti si preoccupa -no assai poco di persuadere coloro che li

ascoltano, basta loro divertir -li, che li persuadano o no,benché si trovino degliuomini sui quali essi han -no un’efficacia maggiore

di quanto non cerchino diaverne. Quanto ai sofi -sti, gli uni impieganodei falsi ragionamentiinvece d’argomentigiusti e veri ed imbro -gliano così i più igno -ranti. Altri, i piùciarlatani tra tutti,pretendono di operare

miracoli e sembranocompiere grandi cose per mezzo di unacerta forza divina. Ma in realtà, mezzi erisultati non sono altro che un’impostu -ra: tuttavia colpiscono i deboli e incapa -ci di esame. Quindi le loro menzognemagnificate da discorsi e da scritti suc -cessivi ne fuorviano molti altri; infinequeste dottrine ricevono, dall’abitudinedi sentirle ripetere fin dall’infanzia,un’autorità che fa il peggior male agliStati accreditando mille principi assur -di che hanno per la condotta della vitaumana le più gravi conseguenze. Alcontrario, i ragionamenti ben dedottiinsegnano molto chiaramente le veritàsulle questioni sottoposte ad esame, edoffrendosi di per se stesse all’investiga -zione di un’attenta riflessione, permet -tono agli ultimi venuti, altrettanto benequanto ai primi, di pervenire ad unaconoscenza personale e non presa a pre -stito, al contrario di coloro che, ingan -

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nati dagli insegnamenti dei sofisti, pren -dono a prestito ciecamente la loro per -suasione da coloro che sisono lasciati convincereprima di essi.

Alle formulazioni auto-ritarie e ingiuntive deiprofeti (“poeti e sofisti”)si opponeva, dunque, lafilosofia antica con ilcarattere dialogico dellesue argomentazioni.

Agli occhi dei suoicontemporanei, il filosofodi Mistrà, appariva comel’interprete per eccellenzadell’ellenismo che allorasignificava “paganesimo”e che egli identifica con la “filosofia eter-na”. È noto che tale onore non gli fu rifiuta-to dagli uomini del XV secolo: lo storicobizantino Michele Duca lo definì “principedella setta platonica” e Sigismondo Pandol-fo Malatesta, uno dei suoi ferventi ammira-tori, ne traslò le spoglie da Mistrà per sep-pellirle nel suo “pagano” Tempio di Rimini,sulla cui arca di marmo fece incidere leparole “principe dei filosofi del suo tempo”.

Pletone non era solo l’occulto difensoredel paganesimo, l’avversario del Cristiane-

simo, ma anche il sacerdote di una nuovareligione solare sul punto d’instaurarsi:

L’ho udito io stesso aFirenze – era lì per il Con -cilio con i Greci – m e n t r easseriva che tutto il mondotra pochi anni avrebbeaccolto una sola medesimareligione, con un sol ani -mo, una sola mente, unasola predicazione e avendo -gli chiesto: cristiana omaomettana, mi rispose:“nessuna delle due, maun’altra non differente daquella dei gentili”. Sde -gnato da tali affermazioni,sempre l’ho odiato e l’ho

considerato come una viperavelenosa, né l’ho più potuto vedere odascoltare Ho sentito però da alcuni grecifuggiti qua dal Peloponneso, che costuiprima di morire, or è circa un triennio,affermò pubblicamente che, non moltotempo dopo la sua morte, Maometto eCristo sarebbero caduti nell’oblio esarebbe rifulsa in tutto l’universo l’asso -luta verità22.

Come Proclo e Giuliano, Pletone scio-glieva inni al Sole:

2 2 È il testo, come il brano successivo, di Giorgio di Trebisonda Comparationes philosophorum A r i -stotelis et Platonis, per Jacobum Pentiumde Leuco, Venettiis, 1523, (ora pubblicato da Unveranderter Nach-druck, Frankfurt a. M., 1965) sul quale vedi Alexandre, Op. cit., p. XVI; Anastos, 1948: 211; Masai, 1956:381 n. 1; Montague Woodhouse,1986: 168, Garin, 1994: 93-94 e 1996: 65; Vasoli, 2001: 791. La nascita diuna nuova religione, probabilmente, era attesa per il 1484, in occasione della congiunzione di Giove e Satur-no in Scorpione, sulla quale vedi Ficino, 1988: XLI-XLII; Landino, 2001: 320-321; Hankins, 1990: 303-304.

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Ho visto, ho visto, ho veduto e letto iostesso le sue preghiere al sole, e gli inninei quali lo esalta e lo adoracome creatore del tutto contanta eleganza di termini,dolcezza di composizione,sonorità di ritmo…, che nul -la sembra potersi aggiungere;d’altra parte dava al Soleonori divini con parole tal -mente caute che anche i piùdotti non se ne potevanoaccorgere se non dopo attentee frequenti osservazioni.

È ormai assodato che vaattribuita a lui – come fanno laYates e Kristeller – la premi-nente e rivoluzionaria nozionedella “prisca sapientia” o “priscatheologia”, vale a dire quella genealogia diantichi teologi e legislatori che conducedirettamente dai maestri primordiali dirittofino agli ultimi diadochi e scolarchi del-l’Accademia platonica, che si era incaricatodi far rivivere. Fu Pletone il primo a presen-tare quest’idea di “lignaggio”, di Tr a d i z i o-ne. È importante qui comprendere che fuPletone a gettare il seme di quell’idea di unaTradizione della verità così influente epotente e così cara alla Massoneria e a ognidottrina esoterica in genere, di quel ritornoall’unità originaria di ogni sapere che trovala sua espressione in pochi e comuni princì-pi e simboli che restano necessariamente

esoterici. Ciò che in realtà veniva chiamatodai suoi avversari “paganesimo politeista”

era per Pletone una risistemazio-ne della Teologia platonica d iProclo in cui

alle Divinità riconosciutedalla filosofia si sono conser -vati i nomi tradizionali degliDei dell’Ellade, ma riportandociascuno di tali nomi dal sen -so meno filosofico che haassunto nelle finzioni dei poe -ti al senso più conforme allafilosofia.

Quindi un sistema ben diver-so da ciò che comunementes’intende per paganesimo, più

una pia philosophia, per ripren-dere un’altra nozione che sarà così cara aFicino. Al di sopra dei molti dèi vi è unD e m i u rgo, Zeus. Dall’Uno procede quindiPoseidone, il principio attivo (n�o�u�`�~), men-tre Hera è il principio passivo (d�u�v�n�a�mi�~), evia via gli altri dèi come Apollo, A r t e m i d e ,Efesto, Dioniso, Athena, che rappresentanoi princìpi d’identità, diversità, di quiete, dimoto spontaneo e moto agito etc.

Tuttavia la genealogia degli antichisapienti di Pletone, come osserva la Yates, èdiversa da quella in seguito descritta daMarsilio Ficino2 3, che v’inserisce ErmeteTrismegisto, di cui, al contrario, Pletone,non fa menzione.

23 Sulla genealogia di Ficino proposta nella sua dedica, detta A rg u m e n t u m, alla traduzione del P i m a n -d e r (in O p e r a, Basilea 1576, p. 1836: C’è quindi una teologia degli antichi [prisca theologia] [...] che ha lasua origine in Mercurio e culmina nel divino Platone) e su quella diversa elencata nella Theologia Platoni -

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Bisogna infatti precisare che la dottrinadi Pletone ha ben poco a che fare con l’er-metismo, salvo che non s’in-tenda tale concezione insenso lato ed ampio cosìcome la s’intende oggi: è ine ffetti difficile non trovarparentele tra testi ermetici equelli gnostici, neoplatoni-ci, alchemici, tanto cheUmberto Eco definisce que-sto generale “modo di pen-sare” come “semiosi erme-tica”. Ma sarebbe forsemeglio utilizzare il termine“ermesismo”, sistematizza-to da Antoine Faivre edincludente la maggior partedelle forme di esoterismo.

È assai problematico, direi impossibile,che i testi ermetici fossero sconosciuti aP l e t o n e2 4. Eppure non troviamo nessun rife-rimento diretto negli scritti sopravissuti delfilosofo di Mistrà. Ci sono note le sue pre-ferenze per oracoli caldaici, inni orfici, ver-si aurei pitagorici, Platone e i platonici.Avrà dunque tenuto presente i timoriespressi da Platone nel C r a t i l o (407 e), incui Ermete non è solo l’interprete e il mes-saggero ma anche “il ladro e ingannatore

nei discorsi”, e le osservazioni del F e d r o(275 a-b) in cui l’invenzione della scrittura,

attribuita a T h o t h - H e r-mes, è produttrice del-l’oblio e foriera di tra-scurare la memoria, con-tenuta nei riti e nellaparola, necessari ad ognicomunità iniziatica e chesoli consentono la tra-smissione del senso deiprincìpi primi ed ilrisveglio dell’anima, eove si accusa di ingenui-tà chiunque pensi che gliscritti, seppur abbondan-ti, producano alcunchédi solido: rispetto all’o-ralità, per quanto interro-

gati essi dicono sempre la stessa cosa. Avràritenuto di uno sciovinismo inaccettabile,ellenico com’era, l’attribuzione che nelCorpus Hermeticum (XVI, 1-2) vien fattadella lingua egiziana come centrale ed ori-ginale e la contestuale critica alla filosofiagreca, definita “un rumore di parole”.

Ma, soprattutto, è difficile che Pletonenon facesse rientrare questi scritti nella di-sprezzata famiglia dei sofisti che fingono didovere a un’ispirazione profetica degli dèi,

ca che comincia con Zoroastro (in Opera cit., p. 386), vedi Yates, 1969: 27-28. Per un più ampio studio dellegenealogie ficiniane si veda Walker, 1954: 204-259. In generale vedi, sempre Walker 1972.24 Vedi in proposito Woodhouse, 1986: 60, il quale osserva come gli scritti ermetici fossero spessocitati da autori greci ben noti a Gemisto come Giamblico, Cirillo d’Alessandria, Cedreno, Psello e Nicefo-ro Gregora e come il manoscritto greco utilizzato da Ficino per la sua traduzione delC o r p u s fosse proba-bilmente di proprietà di Michele Psello. Si tenga anche presente che la versione degli O r a c o l i, cosiddetti cal-daici, e che Pletone per primo attribuì ai “magi, discepoli di Zoroastro”, deriva direttamente da un mano-scritto di Psello, eppure la versione ficiniana in latino è basata sul testo greco di Pletone.

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che vengono a visitarli, le cose che afferma -no, che è quanto di solito accade nei trattatiermetici a cominciaredal P i m a n d e r. Né,nella logica strin-gente di Gemisto,era possibile desu-mere da essi unsistema eff e t t i v a-mente coerente, conla loro varia e con-tradditoria gnosi siadi natura ottimisticache pessimistica.Un’operazione che,invece, gli era stata agevole con la raccoltadegli Oracoli caldaici, tramandati come gliscritti ermetici da Psello (1018-1078), sop-primendo sei oracoli e revisionando drasti-camente i rimanenti trentasei. Ma quel chepiù importa, risistemò il loro ordine secon-do il suo personale criterio filosofico,aggiunse a ciascun frammento una nota ese-getica che chiarifica come, nella sostanza,la sua interpretazione si discosti da quella diPsello, e infine vi appose due serie di com-menti generali in cui si separa da tutti i suoipredecessori che avevano esaminato gli

O r a c o l i in modo apofatico. In antitesi Ple-tone fa di essi il veicolo della formulazione

di una teologiapositiva rappre-sentata da ununico ma nont r a s c e n d e n t eDio e, per pri-mo, li attribui-sce ai “magidiscepoli diZoroastro”. Nelfar tutto ciò,Pletone produs-

se la prima edi-zione critica degli O r a c o l i 450 anni primadi Wilhelm Kroll25.

Pletone, fra l’altro, doveva rigettare nonsolo alcuni degli scritti ermetici per le loronotevoli somiglianze con la Genesi mosai-ca, ma anche perché propugnavano una vitaascetica, da lui considerata una bestemmiacontro la vita stessa e il valore dell’azioneumana. L’anima umana, ci viene spiegato inuno suo dei suoi commenti agliO r a c o l i, inperfetta consonanza con l’esigente eticazarathustriana, è il canale attraverso il qua-le il raggio divino penetra per illuminare il

25 De oraculis chaldaicis (Breslau, 1894). È divertente notare che Kroll, che puntigliosamente igno-rò Pletone quando pubblicò la sua edizione del 1894, fu guidato nel suo sforzo dalla stessa logica e filoso-fia editoriale del suo predecessore bizantino. Anche la versione italiana a cura di Tonelli (1995) presenta lemedesime carenze d’attenzione, per non parlare della sua disinvolta definizione della raccolta di Pletonecome “parziale, nebbiosa o spuria”. Vedi invece l’edizione critica francese, affrontata filologicamente e filo-soficamente, degli O r a c o l i, del C o m m e n t a r i o e della B reve Spiegazione, nell’opera di Brigitte Tambrun-Krasker (1995), che include anche la versione araba degli Oracoli di Gemisto, tradotta per la prima volta daMichel Tardieu e rinvenuta a Istanbul nella biblioteca del Topkapi Sarãi in un manoscritto contenente anchealcuni frammenti delle Leggi nonché la Sintesi delle dottrine di Zoroastro e Platone.

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mondo e l’azione umana deve tendere a rea-lizzare nel mondo di quaggiù una copiasempre più perfetta del mon-do divino. In quest’ultimocaso la filosofia dello zoroa-strismo e l’umanesimo elle-nico di Pletone sono perfet-tamente coincidenti.

E difatti per contro rite-neva che le dottrine egizianedi Menes non andasseroprese seriamente, essendo irituali egiziani, come aff e r-ma nel passaggio che abbia-mo veduto, m e s c h i n i […] er i d i c o l i. Dunque una fonterivale ed inesatta rispettoallo Zoroastrismo, al Pitago-rismo e al Platonismo, cuiaccordava un’esclusiva preferenza. È per-ciò, per i motivi descritti, passibile di nonessere menzionata esplicitamente, se non,

nel suo consueto stile, con enigmaticheallusioni, come ancora in questo passaggio

a proposito di quella religio-ne egiziana, che, centocin-quant’anni dopo per gliinquisitori di Giordano Bru-no sarebbe divenuta nonsolo la prisca theologia pre-corritrice del Cristianesimoma addirittura l’unica verareligione:

Quanto a Menes2 6, illegislatore degli Egiziani,benché passi per anterioreancor più di tremila anni[degli Eraclidi2 7], non puòessere considerato comeun legislatore saggio e

degno di stima. Mai avrebbe istituitouna religione così carica di pratichesuperflue e brutte, se il fondo stesso del -la sua dottrina non fosse stato vizioso.

26 Seguiamo ancora nella traduzione la correzione che fece Charles Alexandre, identificandolo conMenes o Men, il primo re mitico dell’Egitto. Occorre però segnalare che tutti i manoscritti recano il lemmaMÜne non Mn. Già Ignaz Hardt nella sua versione latina (in 1806-1810, vol I, I), traduceva con “Minosse”,confondendolo con il legislatore cretese. Alexandre attribuisce l’errore alla scrittura dei copisti per il notofenomeno dello iotacismo. Francisco Leonardo Lisi e Juan Signes Codoñer nella loro traduzione spagnola,op. cit.: 129 n. 108, propendono invece per la traduzione “Min”, seguendo la lettura originale dei manoscritti.Ma Min era un antichissimo dio della fertilità egiziano, rappresentato itifallico, che i Greci per analogia iden-tificavano con Pan. Poiché in questo passo si parla di legislatori, appare perciò più convincente l’identifica-zione con Menes, il primo leggendario re egiziano, fondatore della I dinastia che unificò Basso e Alto Egit-to intorno al 3050 a.C. stabilendone la capitale a Menphis e introducendo il culto di Ptah. È citato da Ero-doto (II, 4 e 99) e Diodoro Siculo (I, 45 e 89, 3), autori che Pletone conosceva (cfr. Joseph Bidez e FranzCumont, 1973: 260). È peraltro noto che questo mitico monarca Menes (detto anche Narmer) era chiamatodai greci Menes, Min, Mena (cfr. Van Sertima, 2004: 133); in particolare Erodoto (2.4, 99) usa il lemmaM�i�`�n, Maneto (= Eusebio, FGrH 538, 5539) M�h�v�n�h�~, Diodoro (1.43, 45) M�h�v�n�a�~ e Giuseppe Flavio (A n t i -q u i t a t e s, 8.155-157) Mivnaio~� (cfr. Braune 1988 e Morenz, 1972: x-xvi). Va inoltre notato che in Pseudo-Maneto L i b ro di Sothis Menes è anche chiamato con il nome di Mizraim, il nome biblico dell’Egitto. Gli stes-si dotti egiziani ritenevano che l’epoca precedente a Menes, loro primo re, fosse una sorta di età dell’oro, in

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In effetti, se le dottrine dei suoi sacerdo -ti ebbero princìpi simili a quelli diZoroastro, non si devecredere che le abbianoricevute da Menes; essile trovarono più tardi,per il tempo che dispo -nevano nella loro ricercadella sapienza. Tuttavia,divenuti saggi, nonpoterono correggere iriti che praticavano,perché Menes aveva loroimposto una legge senzadubbio eccellente e salu -tare ai popoli che hannouna buona legislazione, manon a quelli le cui leggi sono cattive: eglinon permetteva di osare di fare nemme -

no il più piccolo cambiamento ai costu -mi patrî; così, mentre loro stessi conti -

nuavano nell’u -so di rette dot -trine, lascia -vano il popoloa b b a n d o n a t oalle sue prati -che insensate.

D’altra partePletone nellag l o r i f i c a z i o n edella Greciacome pure inuna prevenzione

assai netta contro l’Egitto aveva un’illustreantecedente: Filostrato (160-249 d.C.).Infatti, nella sua Vita di Apollonio di Tiana

cui regnavano gli dèi (cfr. Erman, 1971: 34). Anche Plutarco (De Iside et Osiride, 354 B) cita il re “Meinis”come colui che aveva introdotto, nell’Egitto, lusso ricchezza e piacere, trasformandone l’anico tenore di vitasemplice e frugale e riferisce che nel tempio di Tebe vi erano delle maledizioni contro di lui incise su una ste-le. È probabile che Menes, figura storica o personaggio leggendario a seconda dei ricercatori, sia la personi-ficazione del cambiamento di un’era – l’etimo mn significa resistere, durare. Del resto come segnala RenéGuénon (1997: 17), sulla scia di un’osservazione già fatta da Hegel nella sua Filosofia della storia, il M i n ao M e n e s degli Egizi, il Menw dei Celti e il Minosse dei Celti (e probabilmente lo stesso N u m a) sono reperti,sotto forme diverse, del vedico M a n u, il Legislatore primordiale e universale, mediatore fra umanità e divi-nità: Esso designa, in realtà, un principio, l’Intelligenza cosmica che riflette la Luce spirituale pura e for -mula la Legge( D h a r m a ) p ropria delle condizioni del nostro mondo o del nostro ciclo di esistenza; ed è, altempo stesso, l’archetipo dell’uomo considerato specialmente in quanto essere pensante (in sanscrito m â n a-v a) . A ulteriore conferma si può aggiungere M a n c o, il leggendario fondatore della dinastia Inca del Perù.27 La datazione più probabile circa il ritorno degli Eraclidi oscilla tra il 1200 e il 1100 a.C. Secondoil mito i discendenti di Eracle, perseguitati da Euristeo, re di Argo ed implacabile nemico di Eracle, abban-donarono il Peloponneso e fuggirono in Attica stabilendosi a Tricorito, nella Tetrapoli. Uniti al re Teseo diAtene respinsero gli attacchi di Euristeo e lo uccisero. Tuttavia, fallirono varie volte nel loro tentativo diritornare nel Peloponneso. L’oracolo di Delfi aveva infatti loro ordinato di attendere “il terzo raccolto”,intendendo tre generazioni, per potere ritornare in Peloponneso. In seguito gli Eraclidi della quarta genera-zione, Temeno, Cresfonte e i figli del fratello Aristodemo, i gemelli Procle ed Euristene, con l’aiuto di Ossi-lo, re degli Etoli, conquistarono la penisola, spartendosela fra loro. Il mito del ritorno degli Eraclidi rinvia aun intervento di restaurazione della civiltà “solare”. La leggenda adombra, forse, anche la calata dei Dori.

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questo partito preso si trova riprodotto inmolti punti, dove si evidenzianospecialmente la superiorità del-la sapienza indiana (quella deibrahmani e dei “gimnosofisti”)su quella egiziana ormai corrot-ta e, di conseguenza, la necessi-tà di riformare i culti pubblicidell’Egitto28. Certamente il rim-provero che viene mosso aMenes, un essere umano, èquello di avere divinizzato ilsuo supremo ufficio di monarcae di aver creato una teocrazia, incui solo il faraone personificavala mediazione tra cielo e terra.Nella dottrina di Pletone laduplice natura dell’uomo, divina e bestiale,immortale e mortale, lo situa come “conter-

mine”, punto d’unione tra i due mondi.Attraverso l’iniziazione e il

rito correttamente esegui-t o2 9 all’uomo è concessanon tanto un’identificazio-ne con la divinità (o�J�m�o�i�v�w-si~� qew/`) quanto un’imita-zione (mi�v�m�h�si�~)3 0. Nondimentichiamo, infine,che la filosofia del Rina-scimento oppose in genereun ideale individualista ecivico a quello collettivo eteocratico della Chiesa.

La sapienza in Egitto siera perciò conservata solosul piano esoterico e sacer-

dotale. I libri, espressione essoterica, nonpotevano pertanto che riflettere l’insensa-

28 Cfr. specialmente fine Lib. V e Lib. VI.29 Il rito è il dominio per eccellenza in cui si esplicano le funzioni fisiche irrazionali e, in particolarmodo, la più elevata tra esse: l’immaginazione. Pletone ripete il concetto nelle L e g g i: i riti [ … ] sono un mez -zo d’agire con cui modelliamo e suggelliamo la nostra immaginazione, la facoltà più vicina alla parte divi -na del nostro essere, e, nello stesso tempo, le consentiamo di elevarsi fino a ciò che è bello e divino, mentrela rendiamo più sottomessa e più docile a ciò che è più divino in noi (Alexandre, Op. cit.: 150-151). In con-clusione il rito costituisce un modo per aiutare ad elevare la funzione irrazionale dell’anima, ma solo la fun-zione razionale, ovvero la filosofia, abilita a conoscere il divino. Come per Plutarco un qualche accessoall’ordine dei principi supremi è, in ogni caso, garantito dal più alto esercizio intellettuale: la filosofia.30 L’idea dell’indivisibilità dell’anima, al pari delle intelligenze iperuranie, e quella che certi suoi attisono congeneri a quelli degli dèi sono care a Pletone giacché le riesprime nelle L e g g i, Op. cit.: 247. Nei suoicommenti agli Oracoli si esplicita che tali atti sono la contemplazione degli esseri e quella dello stesso diosupremo. Del pari chiarisce sempre nelle L e g g i (i b i d e m)che l’atto principale della contemplazione (q�e�w�ri�;�;�a)è l’intuizione (e[nnoia) del divino, limite estremo d’arrivo e culmine (ejscatiav). Se ne deduce che Pletoneè fiducioso nella filosofia e nella ragione naturale e che il dio supremo può essere conosciuto. In Pletone nonvi è la teologia negativa di Plotino, in cui il divino è assolutamente trascendente e del tutto ineffabile. Il Diodi Gemisto è un principio intellettivo e come tale non trascende l’ambito della pensabilità, ma è esso stessopensiero di pensiero, pensiero di se stesso; mancano perciò gli stessi presupposti metaontologici e, dunque,metanoetici, che soli possono giustificare l’idea di un Principio che si possa costituire come l’assolutamen-te altro, totaliter alter, tipici dell’assoluta trascendenza posizionale postulata da diversi neoplatonici.

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tezza delle pratiche. Doveva inoltre esserenoto a Pletone che Giamblico attribuiva adHermes-Thot la scritturadi 1.100 libri e Seleucostimava che i libriermetici non fosseromeno di 20.000 e tutticompilati prima delperiodo di Menes.

Per Pletone la verateologia è un’altra ecoincide con la filosofiadi Pitagora e di Platone:

Sebbene nessunpopolo sia ateo, tutta -via gli uomini hannosulla Divinità opinio -ni molto diverse.Occorre dunque che di ogni tradizionece ne sia sempre una e la stessa e che siala più corretta; le altre le sono inferiori,più vicine o più distanti alla più corret -ta e alcune necessariamente più lontanedi tutte le altre. Quanto a noi, aderiamoalla dottrina che sappiamo la migliore, aquella di Zoroastro, coincidente con lafilosofia di Pitagora e di Platone: essasupera tutte le altre per esattezza, e inpiù è la tradizione dei nostri padri.Dunque è unicamente ad essa che noichiediamo, puri, tutta la felicità cui cisia permesso pretendere. Quanto allealtre, più si allontanano dalla nostradottrina, più quelli che le praticano siallontanano dalla felicità, e più si avvi -cinano alla sventura; e quelli che profes -

sano le opinioni più differenti dallanostra sono quelli che cadono all’ultimo

gradino dell’infe -licità, poichésono immersi inspaventose tene -bre, l’ignoranzadei princìpi piùimportanti.

Come sia avve-nuto nel volgered’una generazionecon Marsilio Fici-no l’inserimentodi Ermete T e r m a -x i m u s e nel vol-gere di due gene-

razioni con Picodella Mirandola il successivo inserimentonella Tradizione di Mosè e, conseguente-mente, dello studio della Kabbalah ebraica,attiene da un lato a quella libertà di ricercache è patrimonio insostituibile di ogni eso-terismo. Del resto, nel Rinascimento direPlatone significò soprattutto spazzare l’op-pressivo mondo aristotelico, chiuso, gerar-chico, finito, e conquistare contro tutte lesistemazioni uno spirito nuovo di ricerca,spregiudicato e veramente libero. Giusta-mente E.M Forster in suo saggio giovanilesu Pletone lo accredita come colui che rein-trodusse nel mondo “uno dei segreti dellaGrecia antica – il segreto della conversazio-ne civile”3 1. Furono forse le continue accu-se di eresia e paganesimo che indussero

31 Forster, 1936: 175-186. Trad. it. di Moreno Neri, 2004: 61-79.

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Marsilio Ficino e Bessarione3 2, antico disce-polo di Pletone giunto ai vertici della Chie-sa cattolica, ad adottare da una parte unamaggior cautela e dal-l’altra uno spiritoconciliativo e unavolontà di unire earmonizzare i duegrandi sistemi del-l’antichità fra loro econ il Cristianesimoinsieme al compito disalvare dall’alluvionei resti del patrimoniospirituale della greci-tà, di cui il Corpus Hermeticum era partei n t e g r a n t e3 3. È stato del resto Eugenio Garina parlare dello “stato fluido” in cui venne acomporsi il sapere quattrocentesco, oscil-lante tra la “setta”, la “scuola” e la “confra-ternita laica” e in cui questa fluidità diatteggiamenti che conduce a una volontàirenica e concordantista scaturisce, comun-que, dall’idea di possedere una sapienzaunitaria, che oltrepassa l’apparente varietàdi forme religiose e filosofiche.

Tornando a Pletone va infine segnalatal’opinione di Demetrios Dedes3 4, secondo laquale il maestro di Mistrà con Menes aveva

intenzione di alludere a Mosè. Né è impro-babile che, sotto le sembianze del legislato-re Menes, Pletone alludesse all’altro leg-

gendario legislatore,Ermete Tr i s m e g i s t o(Aegyptiis leges etliteras tradidisse3 5)Per parte nostraaggiungiamo chealcuni decenni dopoMarsilio Ficinoidentificò Mosè conErmete Tr i s m e g i s t o .Persino Platone

sarebbe divenuto inuno spirito conciliatorio, sempre più sincre-tistico, “un Mosè atticizzante”.

Sempre Ficino pone Ermete come il fon-datore della filosofia religiosa in Egitto.Inoltre Ficino sosteneva che si formaronodue indirizzi della prisca theologia, unoebraico, l’altro ellenico. È certamente anchequesto uno dei motivi dell’assenza, cheWoodhouse trovava inspiegabile, degliscritti attribuiti ad Ermete Trismegisto tra lefonti di Pletone essendo considerato da luiil “ramo egiziaco-ebraico” come corrotto edistante. Ricordiamo infine che una delleaccuse all’Accademia romana, processata

32 Sul cardinale Bessarione vedi la voce di L. Labowsky in Dizionario biografico degli Italiani, IX,1967, pp. 686-696 con un’ampia bibliografia e Bessarione e l’Umanesimo, a cura di Gianfranco Fiaccado-ri, Napoli, 1994.33 Nell’ampia collezione di libri che Bessarione lasciò in eredità alla Repubblica di Venezia e checostituisce il nucleo iniziale della Biblioteca Marciana non manca il Pimander (cod. gr. 263). 34 In “Die Handschriften und das Werk des Georgios Gemistos (Plethon)”, in Ô�E�l�l�h�n�ik�a�v�, 33.1, 1981,pp. 67 ss.35 È la nota citazione di Cicerone, De natura derorum, III, 22, riportata da Lattanzio, Divinae Istitu -tiones, I, 6.

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nel 1468 e considerata da Masai la più vici-na sul piano dottrinale all’Accademia diM i s t r à3 6, era che […]dicevano che Moy -ses era stato ungrande inganator dehomini con la sualeze […]37.

In breve il con-cetto di prisca philo -sophia si trasforme-rà nella p h i l o s o p h i ap e r e n n i s di A g o s t i-no Steuco. Se Gemi-sto, questo sognatore razionalista, avesseconosciuto queste tendenze, che scivolava-no sempre di più verso la mistica e l’occul-tismo, non avrebbe risparmiato loro i suoisarcasmi. Non è qui il luogo per ripercorre-re la storia della trasformazione delle duenozioni e dell’interpretazione della Tr a d i-zione, dal Rinascimento al giorno d’oggi.Sarebbe troppo lunga una disamina dei loromutamenti da Nicccolò Cusano ad A g o s t i-no Steuco, da Fludd a Stanley, da Leibniz a

Rosmini, da Aldous Huxley a Jasper fino aGuénon, Coomaraswamy, Corbin e Schuon,

al punto che con il ter-mine Tr a d i z i o n e(sempre con la Tmaiuscola) si posso-no intendere cosemolto differenti traesse, tanto che la“filosofia perenne”può essere il frittomisto di Huxley oessere, nel XX seco-lo, identificata al

tomismo e alla stessa scolastica, combattu-ta da Pletone38.

Se la nascita delle moderne correnti eso-teriche, come periodizza Antoine Faivre,parte dal XV secolo, come reazione all’ari-stotelismo formale, andando a costituireprogressivamente un intero c o r p u s, checomprende il r e v i v a l dell’ermetismo e lacosiddetta “filosofia occulta”, l’alchimia, ilparacelsianesimo e il rosicrucianesimo, laKabbalah cristiana, la massoneria, le cor-

36 [ … ] on se demande si l’Académie romaine n’etait pas, en quelque sorte, une filiale de celle deMistra. La question paraîtra d’autant plus audacieuse qu’elle est sans doute insoluble. L’ h i s t o i re des socié -tés secrètes aboutit fatalment à de telles questions. Pourtant, si l’on ne peut y répondre, on doit maintenirfermement qu’elles se posent. (Masai, 1956: 343).37 La citazione è tratta da von Pastor, 1925: vol. II., pp. 302-327, dove si trova un’esposizione soli-da e documentata sull’affare dell’Accademia romana e sul suo presunto complotto paganeggiante contro ilpontefice Paolo II.38 Per una discussione sulla persistenza dei modelli di tradizione, prisca philosophiaep h i l o s o p h i ap e rennis nella cultura moderna, i riferimenti classici, oltre alla già citate opere della Yates e di D. P. Wal-ker, sono: Collins,1962: 255-279; Hossein Nasr, 1981 (in particolare i capp. 2 e 3 intitolati Che cos’è la tra -d i z i o n e ? e La riscoperta del sacro e il rinnovamento della tradizione); Schmitt, 1966: 505-532 e 1981: 211-236; Westman e Mc Guire, 1977.

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renti teosofiche e occultistiche, fino al piùrecente “tradizionalismo” o “perenniali-smo”, la riscoperta di questoaspetto del sacro è in defini-tiva inestricabilmente legataalla figura di Pletone e allasua rivivificazione della tra-dizione, la cui realtà rendeoggi possibile in Occidentedi vivere in accordo con iprincìpi tradizionali. E, tutta-via, come lamentiamo datempo, l’opera di Pletone è,sfortunatamente, ignota enegletta, soprattutto in Italia.

Nel caso di Pletone sem-bra utile distinguere, sullafalsariga di Schmitt, tra prisca theologia ephilosophia perennis. La differenza tra ledue nozioni è sottile, eppure esiste. Entram-be fanno risalire la sapienza a epoche anti-chissime. Tuttavia per i seguaci dellap r i s c asapientia la conoscenza degli antichisapienti si è trasmessa nella corrente pita-gorica e quindi in quella platonica. Di qui lapreminenza speciale di Platone e del plato-nismo. Ma il sapere primordiale è oblitera-to. La philosophia perennis, viceversa, puradottando, grosso modo, la stessa genealo-gia, ricerca affinità tradizionali più univer-sali, e ritiene che l’autentica conoscenza,anche se dimenticata, non è del tutto perdu-ta, ma può sempre essere rivitalizzata inpochi eletti, anche attraverso il supportoessoterico di una tradizione religiosa viven-te, dato che vi è un’unità trascendente tratutte le religioni. Non si crede che la cono-scenza – come pensava Pletone – sia statapersa per diversi secoli, ma si constata che

la si può trovare in ogni epoca, sebbenequalche volta soltanto in grado ridotto.

Secondo questa dottrina, lafilosofia, o la scienza, sareb-be “perenne”, trovandosicontinuamente in ogni epo-ca storica, anche nella faseattuale del “Kaly-yuga”, l’e-tà oscura dei cicli cosmiciindù. Prisca theologia h ainvece una sfumatura dimillenarismo astrologico el’implicazione di un’impor-tantissima riscoperta e rina-scita di verità antichissimesecondo congiunzioni pla-netarie, sulla base di un

ciclico ritorno, fra periodi nei quali la veri-tà è svelata e altri nei quali è occultata. Lacorrente perennialista indica nella fine delMedioevo e nel Rinascimento la perditadella sapienza tradizionale e l’inizio di unprocesso radicale di secolarizzazione dellaconoscenza. Al contrario, per la prisca theo -logia è l’avvento del Cristianesimo che rap-presenta l’inizio della fine della civiltà tra-dizionale ed è il Rinascimento con la risco-perta del platonismo e della dottrina dell’a -nima mundi ad esso connessa che esalta unideale organico e tradizionale della cono-scenza. Sotto questo punto di vista il “tradi-zionalismo”, come si presenta nella sua for-ma attuale a partire da Guénon, è un tipo dianti-modernità del tutto moderna, talvoltanon priva del contagio dell’intolleranzainsita nel dogmatismo dei “sofisti” verso lalibertà di ragionamento, avversata più conl’ostracismo e la demonizzazione. E, perinciso, è curioso che il tradizionalismo gué-

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noniano, con la sua concezione strettamen-te medievalista del sapere, tragga la suacifra più importante dellapropria griglia interpretativada una nozione nata appun-to nel Rinascimento, etàcolla quale ingaggia unacritica senza quartiere.

La p r i s c a p h i l o s o p h i a i nquesto senso si colloca al difuori del quadro propriodella tradizione occidentaledominante costituita dalCristianesimo e dalle altredue “religioni del libro”,che ritiene perniciose inno-vazioni rispetto alla tradi-zione primordiale. La crisidel mondo moderno per Pletone nasce cold i ffondersi delle religioni rivelate. La p h i l o -sophia perennis, d’altro canto, indica un’u-nità della conoscenza; essa troverebbe qual-che esempio della vera sapienza fuori delledottrine dei p r i s c i,e si presta più facilmen-te della prisca theologia all’assorbimento ditradizioni divergenti in una singola filoso-f i a3 9. Pletone, invece, guarda con venerazio-ne al passato, ad un mondo in cui erano esi-stiti sapienti e amore della sapienza; “filo-sofia”, significa, per lui, recuperare quelloche già è stato realizzato e vissuto, più vita-le della filosofia stessa. Il Platonismo, in talsenso, non risulta essere una filosofia origi-nale che si affianca ad altre forme di pen-siero, al contrario esso emerge quale

momento fondamentale di recupero e rivi-talizzazione della Tradizione del passato,

che può essere soltantouna. Altra differenza fon-damentale, rispetto alperennialismo, è la cre-denza nella metem- psi -cosi, comune al Brahma-nesimo, al Pitagorismo eal Platonismo e che Gué-non contrasta come fosseuna scaturigine delmoderno spiritismo, delteosofismo e delle utopiesocialistiche. D’altrondeil “tradizionalismo” o“perennialismo” in senso

guénoniano – senza nullatogliere alla sua funzione intellettuale dinatura sovra-individuale e alla sua grandepenetrazione metafisica – risente di diverseripetute incomprensioni non solo verso ilRinascimento, ma anche nei confronti dellaClassicità in genere.

Da quanto sommariamente indicato nerisulta che la corrente perennialista è dun-que una branca dell’albero della tradizionesapienziale dell’Esoterismo occidentale, èsolo una corrente tra le altre, con un suo spi-rito conciliativo, quasi sempre sincretico econcordantista (a dispetto delle petizioni diprincipio, ad esempio, dello stesso Gué-non). Un’altra corrente è il Platonismo inte-grale, esclusivista e intransigente di Pletoneche, certamente, ha avuto meno fortuna nel-

39 Charles B. Schmitt, Op. cit. 1981: 213.

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la storia del pensiero pur essendo statos e m i n a l e nello sviluppo di una nozione dacui derivarono una letteraturavastissima e anche parecchisistemi filosofici indipenden-ti, fino alla corrente formadella riscoperta del sacro edel rinnovo della Tradizione.D’altra parte è anche veroche i giardini dell’Accade-mia non sono una delle patriespirituali dell’umanità quan-titativa, ma ogni é l i t e,in qua-lunque tempo e in qualunqueluogo, invocherà Platone40.

Pur avendo una funzionedi spicco la corrente peren-nialista non può perciò riven-dicare l’ambizione di esserel’Esoterismo in sé. In questasua funzione anche attuale staperaltro il suo limite intrinseco a una scuo-la di pensiero, troppo assorbita da un impe-gno di costante mediazione fra le grandivoci del pensiero antico e fra queste e lereligioni. Un maggior studio delle opere di

Pletone potrebbe schiudere e far esplorarenuove possibilità concettuali e produttive

chiavi di lettura. Platone, Ploti-no, Pletone (i “Qui, Quo, Qua”della filosofia greca come sonostati sprezzantemente definiti)vengono oggi presentati comesemplici filosofi come se sitrattasse di professori di filoso-fia di qualche università vicina.Al contrario i loro scritti nonsono filosofie umane, ma dot-trine sacre d’ispirazione divinapiù paragonabili ai d a r s h a n aindù che a scuole filosofichesecondo la concezione corren-te. La riscoperta dell’anticaTradizione, la riaff e r m a z i o n edel carattere sacro della cono-scenza, in una parola la rivalu-tazione dell’eredità intellettua-

le greca è uno dei compiti più importanti darealizzare nel mondo contemporaneo che,ben condotto, avrebbe un profondo impattonon solo sullo stato presente della filosofia,ma anche della metafisica e della storia.

40 Già Thomas Taylor (1758-1835), rappresentante del platonismo moderno, infaticabile traduttoreinglese di Platone e dei commentarii platonici, definito da Disraeli “moderno Pletone”, considerava la cono-scenza come il primo mezzo d’accesso al sacro e descriveva la via platonica come una “via insolita e soli-taria”. Il postulato di una tradizione mediterranea come una Tradizione dei Misteri (nel senso antico e ini-ziatico del termine) è presente in Arturo Reghini (1878-1946) e in tutta la sua opera. La stessa idea di unafiliazione ininterrotta, seppur segreta, è formulata da Matila Ghyka nella sua opera spesso negletta (Le Nom -bre d’or, 1931) che esamina l’influenza del pitagorismo nella storia del pensiero occidentale e nella societàiniziatiche, tutte derivate, in forma più o meno diretta, da esso. In ambito psicoanalitico, va considerata comeriemergenza della tradizione Carl Gustav Jung (1875-1961), il cui concetto di archetipi scaturisce diretta-mente dal platonismo, venendo confermato dalla psicologia, infine va citato il famoso psicologo James Hill-man con il suo ampio progetto di rivalutazione dell’anima e delle sue espressioni culturali più alte: il poli-teismo pagano e la “complessità” rinascimentale.

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E anche in questo caso vanno rimarcatele divergenze tra i p r i s c i e i perennialisti.Per questi ultimi è impos-sibile far rinascere ilpaganesimo greco, inquanto è impossibileresuscitare con mezzipuramente umani unatradizione il cui spiritovivente ha già disertato ilmondo terrestre, benchéle sue forme artistiche, isuoi simboli e anche unacerta presenza d’ordinepiù psichico che spiritua-le siano sopravissute41.

Ma, come ricorda Plu-tarco, dopo gran tempo anchegli oracoli riacquistano voce a somiglianzadi strumenti al tocco di nuovi musicis a p i e n t i4 2. Questa possibilità era ben notaagli esponenti del moderno tradizionalismopitagorico. Scriveva al riguardo, con lopseudonimo di “Luce”, Giulio Parise, disce-polo di Arturo Reghini e Amedeo RoccoArmentano: l’ente di una catena che si con -

tinua nelle generazioni, attraverso i membri

di una comunità o di una scuola iniziatica,

riassume in sé una tradizione, la cui luce e

potenza non si dissolvono per la eventuale

i n t e rruzione della trasmissione sul piano

fisico, ma entrano in uno stato virt u a l e ,

donde possono essere richiamate in qual -

siasi momento ed in qua -

lunque luogo da chi,

con la retta intenzione,

r i p renda ad operare

secondo i riti, usando i

segni ed i simboli di

tale tradizione43.Si trattava di un invi-

to rivolto, in primis, aimassoni, giacché sonoin molti ad aver osser-vato che nella Massone-ria si rinvengono trefiloni principali, quelloc r i s t i a n o - c a v a l l e r e s c o ,

quello egiziaco-alessandri-no e infine quello pitagorico-platonico (chepare essere il più trascurato anche di fronteal successo di certa paccottiglia occultisticae pseudo-esoterica), quasi che la nostra isti-tuzione iniziatica fosse frammentata e “irra-diata” o espansa in forma luminosa neidiversi Riti. Fra questi poli così significati-vi quale sceglierà l’Esoterismo per guidanell’ambito della sua conoscenza? Di qualesi approprierà negli anni a venire?

Vogliano gli dèi che questo saggio nonsia altro che una semina che si rivolge afuturi mietitori.

41 Cfr. Hossein Nasr, 1981: cap. 3.42 Plutarco, De defectu Oraculorum (Il tramonto degli oracoli), 418 D.43 “Opus magicum: le catene”, in UR - Rivista di indirizzi per una scienza dell’Io, Anno I, numero10, Ottobre 1927, p. 294.

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Riferimenti bibliografici

Fare un elenco delle opere che menzionano, a qualche titolo, Pletone è un’impresa irrea-lizzabile e, d’altra parte, perfettamente inutile, perché le menzioni in dizionari, enciclopedie,manuali e trattati di filosofia sono sfuggenti e di seconda mano. Ci si limita dunque a rinvia-re ai titoli contenuti nelle note.

È utile segnalare che chi volesse una bibliografia aggiornata di opere che trattano ex pro -fesso di Pletone può fare riferimento a Sul ritorno di Pletone (Un filosofo a Rimini) Atti delCiclo di conferenze, Sala Della Cineteca Comunale di Rimini, 22 Novembre-20 Dicembre2002, Biblioteca civica Gambalunga, Rimini, 2003 contenente i seguenti saggi: Silvia Ron-chey (Università di Siena), Giorgio Gemisto Pletone e i Malatesta; Cesare Vasoli (Accade-mia dei Lincei), La rinascita platonica e le polemiche antiaristoteliche tra Quattrocento e Cin -q u e c e n t o; Monica Centanni (Università di Venezia), Misteri pagani nel Tempio Malatestia -n o; Marco Bertozzi (Università di Ferrara), Giorgio Gemisto Pletone e il mito del paganesi -mo antico: dal Concilio di Ferrara al Tempio Malatestiano di Rimini; Antonio Panaino (Uni-versità di Bologna), Da Zoroastro a Pletone: la Prisca sapientia. Persistenza e sviluppi.

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Ermetismo e magia nella Siena colta del Rinascimento

di Maria A. Ceppari Ridolfi e Vinicio Serino

Archivio di Stato di Siena e Università di Siena

In the present article the Authors tell about the contribution that the circulation ofthe Corpus Hermeticum gave to the formation and development of the idea of thecentrality of man, which philosophers like Marsilio Ficino and Giovanni Pico del -la Mirandola expressed in their though. At that time a new vision of man is spread -ing in Europe, according to which, thanks to magic and alchemic practices, on theone hand man is able to stand up till the Ethernum God, and on the second one hecould also fall into the state of brutality. As E. Garin states, man is able to mouldeverything, to draw every character, to answer to any invocation, to appealto every God. Then the Authors examine some examples of different “deviancy”,happened in a hight cultural milieu in which the persons under investigation couldeasily reach the Books of secrets, books of magic and alchemy, astrology etc.

Nel segno di Ermete

a scritto Eugenio Garin che n e l

‘400 la nuova immagine del -l’uomo acquista consapevolezza

e dimensioni caratteristiche sotto il segno diErmete Trismegisto1. In specie con lab e l l i s -sima apertura dell’Asclepius, con quei toniche già avevano cercato di sedurre gliantichi Padri della Chiesa ed essi li avevano

invano esorcizzati e che tornava ora adecheggiare solenne: grande miracolo è l’uo -mo, degno d’onore e di venerazione2. Unessere che, immortale, fra la terra e il cielo,unico tra gli esseri di quaggiù si slanciaoltre, come fuoco che avviva [ … ] e la terraegli doma con l’opera sua, e sfida gli ele -menti, e conosce i demoni, e si mescola aglispiriti, e tutto trasforma, e plasma voltid i v i n i3. Quell’uomo, che comincia a libe-

1 Garin, 1976: 144.2 Garin, 1976: 145.3 Garin, 1976: 145.

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• 58 •NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

rarsi dalle paure, dalle rinunce, dal disprez-zo di questo mondo a cui era stato lunga-mente costretto da unateologia dalla quale erastato indotto a guardaresolo verso la patriaceleste, riscopre ora lanatura, coi suoi segreti,le sue occulte corrispon-denze, i suoi s i g n a, lasua straordinaria v i si n t e r i o r.In questo il C o r -pus Hermeticum a v e v ainsegnato molto e moltoaveva contribuito allaformazione dell’uomomediatore cosmico, tranatura e Dio, vagheggiatoda Marsilio Ficino. Soprattutto aveva inse-gnato che tutte le cose dipendono da un soloprincipio, e questo principio dipende a suavolta dall’Uno e Solo, e il principio simuove, per poter divenire ogni volta princi -pio, mentre l’Uno, esso solo, rimane stabile,non si muove. Tre, dunque, sono questiesseri: Dio – che è Padre e che è il Bene –, ilmondo e l’uomo. E dio contiene il mondo, eil mondo l’uomo. Il mondo nasce come figliodi Dio, l’uomo come figlio del mondo,nipote di Dio4.

Un insegnamento di certo non incoeren-te con quanto in quegli anni affermava Picodella Mirandola nella sua Oratio de hominisdignitate quando fa dire al Creatore:

Non ti ho dato, Adamo, né un postodeterminato, né un aspetto tuo proprio,

né alcuna prerogativatua, perché quelposto, quell’aspetto,quelle prerogative chetu desidererai, tuttoappunto, secondo iltuo voto e consiglio,ottenga e conservi. Lanatura determinatadegli altri è contenu -ta entro le leggi dame prescritte. Tudeterminerai la tuanatura da nessunabarriera costretto,secondo il tuo arbi -

trio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posiin mezzo nel mondo, perché di là tumeglio scorgessi tutto ciò che è nel mon -do. Non ti ho fatto né celeste, né terreno,né mortale, né immortale, perché di testesso quasi libero e sovrano artefice tiplasmassi e ti scolpissi nella forma chetu avessi prescelto. Tu potrai degenera -re nelle cose inferiori, che sono i bruti; tupotrai rigenerarti, secondo il tuo volere,nelle cose superiori che sono divine5.

Magie, per fare

L’uomo è dunque il centro dell’universo.Di per sé non è nulla ma, potenzialmente,può diventare tutto. O innalzarsi al livellodell’Eterno. O degradarsi alla condizione di

4 Corpus Hermeticum, 2005: 265.5 Pico, 1942: 104-107.

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• 59 •Ermetismo e magia nella Siena colta del Rinascimento, M.A. Ceppari Ridolfi e V. Serino

bruto. Questa la sconfinata possibilità chegli viene conferita di fare, di intervenire, perplasmare il mondo secondoil proprio volere. È per que-sto che occorre conseguirela conoscenza, ossia pene-trare nei segreti della natu-ra, operazione che è possi-bile, come insegnava lostesso Pico e moltissimi trai sapienti dell’epoca, attra-verso la magia non neces-sariamente strumento perevocare potenze demonia-che quanto, piuttosto,osservazione ed esperimen-to, per riprodurre i miracolidella natura. Come per ilMalagigi de Il Morgantem a g g i o r e questa magia non è, non deveessere un modo per stravolgere l’ordinenaturale delle cose, giacchè quello Iddio cheimpera a tutti i regi/ ha dato termine, ordi -ne e misura;/ e non si può più in là che i fre -gi,/ però che a ogni cosa egli ebbe cura; e fat -ture, aruspi e sortilegi, non posson far quelche non può Natura […]6.

Una simile visione delle cose comportadei cambiamenti radicali rispetto ai model-li culturali tipici del Medio Evo. A s c o l t a r ela voce sommessa dell’universo, che è tuttoun rifrangersi di segni dotati di un sensor i p o s t o7 diventa quindi un preciso impegnoper l’uomo. È dunque perfettamentecoerente con questa mentalità la penetrazio-

ne nei più intimi recessi delle leggi di natu-ra. Di certo per conoscerla ed assecondarla,

come quando si indagaper apprendere comerimediare alle malattieche affliggono il corpo,ormai non più intesocome la prigione del-l’anima; o per cercarela pietra filosofale,capace di tramutare ilvile metallo in lucci-cante oro; o per rag-giungere, attraverso laCabala, l’alfabeto diDio e quindi la scienzauniversale.

Ma c’è anche chinon batte la strada della

magia naturale e, all’opposto, tende sempli-cemente a piegare ai propri desideri la forzastraordinaria della natura col ricorso a“esperimenti”o formule capaci di incantarei demoni per legarli a sé, come si dicevaavesse fatto lo stesso re Salomone.

Siena, da questo punto di vista, non costi-tuisce affatto una eccezione. Anzi. Conl’avvento della nuova era le pratiche magi-che di ogni tipo diventano sempre più diff u-se, specie nella classe colta, anche per l’ec-cezionale sviluppo del sapere che si verifi-ca in quel tempo, sia per la spinta data allaconoscenza dalla nuova visione del mondodi segno umanistico, sia per l’avvento dellacarta stampata. Uno dei “libri dei segreti”

6 Pulci, 1989: Cantare XIV, Strofa 107.7 Garin, 1976: 144.

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• 60 •NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

che trattano di questo tipo di magia è custo-dito ancora tra le carte dell’Archivio di Sta-to di Siena e moltodoveva essereconsultato all’epo-ca giacché sugge-risce come entrarein contatto coidemoni. In parti-colare, l’autore,che evidentementeera molto addentroin questo genere dicose consiglia:

Se volete che ildemonio vi dica ogni cosa. Piglia la bot -ta detta rospo e ponetela in una pissidenuova con acqua pluviale e di dettaacqua ungetevi la faccia e dirà quello chevolete. Probatum est per hominem8.

Colui che scrive, come si vede, si preoc-cupa di assicurare l’ignoto lettore sul per-fetto funzionamento dell’incantesimo per-ché, appunto, ne è già stata fatta una provaben riuscita.

Libri del genere erano molto ricercati,ovviamente da coloro che erano in grado dileggere e comprenderne il significato, pro-

prio perché sembravano assecondare quel“grande miracolo che è l’uomo”, come

appunto lo conside-rava Asclepio. Chine possedeva eracerto – o più proba-bilmente si illudeva– di trovarvi larisposta ai problemie alle difficoltà del-la vita: l’amore, lasalute, il potere, lagloria etc.

Una testimonianzache viene dai (molti) processi

I documenti relativi a tale materia perve-nuti fino a noi sono quasi esclusivamente dinatura giudiziaria ed anche molto esigui.Ciò nonostante lasciano indovinare un flo-rido commercio sotterraneo di Libri disegreti e relative copie, che dovette durare alungo, nonostante i divieti imposti dallaChiesa e la solerzia degli inquisitori.

Per un caso fortuito, tra le carte di unnotaio senese addetto al tribunale dell’in-q u i s i z i o n e9, Lorenzo di Giusa, fratello del-l’inquisitore Girolamo, sono rimasti alcuni

8 Archivio di Stato di Siena, Bandini Domenico di Sarteano, b. 69.9 La documentazione medievale dell'inquisizione senese nella repressione dell'eresia è andata qua-si completamente perduta. Restano pochissime carte conservate presso l'Archivio di Stato di Siena, nel fon-do Uffici ecclesiastici (Archivio di Stato di Siena, G u i d a - I n v e n t a r i o, vol II, Roma 1951, p. 153). Altri docu-menti sono stati rintracciati a Siena, Firenze e negli Archivi Vaticani da Paolo Piccolomini (Piccolomini,1908 in Bullettino senese di storia patria [da qui in avanti BSSP]: 233-245; Id., 1908: 295-305; Id., 1910:3-35; Id., 1910: 159-199). Due processi per eresia del secolo XIV sono stati pubblicati alla fine del secoloscorso dal Sanesi (Sanesi, 1896: 384-388; Id., 1899: 497-509). Sull'inquisizione senese è poi indispensabi-le segnalare gli interessanti studi di Severino e di Marchetti (Severino, 1974: 889-905; Marchetti 1975).

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• 61 •Ermetismo e magia nella Siena colta del Rinascimento, M.A. Ceppari Ridolfi e V. Serino

interrogatori relativi a quattro processi dovemagia, eresia e superstizione, ma anchedesiderio di conoscenza dellanatura e dei suoi segreti, siintrecciano quasi in manieraindissolubile. Due casi – unodel dicembre 1466 e l’altrodel giugno seguente – sonorelativi proprio al possesso dilibri di magia e furono istrui-ti da Bartolomeo di PietroCampagnini, allora inquisito-re in Tu s c i a1 0. Il primo vedecome inquisito Pietro Paolodi Girolamo, detentore di untesto che rivelava il segretoper parlare con i demoni esottoporli ad incantamento.Dalle carte del processo siapprende che Pietro Paolo ave-va in corso intense trattative con Giorgio diLorenzo, un banchiere senese, pronto asborsare ben 10 ducati larghi pur di avere inprestito il famoso libro. Pare per altro chel’affare non sia mai andato in porto.

Ben più grave il secondo caso, che vede-va inquisito ser Antonio, presbitero di Mon-torgiali, dedito agli incantesimi e a pratichegenericamente definibili “strane” e perciòsospetto di eresia. L’inquisitore lo costrinseai ferri nelle carceri annesse al convento diSan Francesco. Durante l’istruzione del pro-cesso fu ascoltato come testimone e poten-ziale complice ser Costantino da Cuna, pre-sbitero di Campriano. Ser Costantino

dichiarò che il suo collega si vantava spes-so di possedere un libro di incantesimi e che

si era offerto di prestar-glielo dietro adeguatocompenso. Ma anche inquesto caso, pare, non siera giunti a un accordodefinitivo, per cui serCostantino non avevaavuto il libro e, pertan-to, non aveva potutoconsultarlo. Ser A n t o-nio, condotto davantiall’inquisitore, confessòtutto: anzitutto il posses-so del libro per incanta-re i demoni e quindi icontatti avuti con moltepersone, in maggioranza

sacerdoti, proprio a ragio-ne di tale possesso. A ffermò infine che lepromesse degli incantesimi erano vane emendaci. Sperava infatti che una completacollaborazione da parte sua inducesse l’in-quisitore a liberarlo dalle carceri. Non sap-piamo come finì questo processo, ma lasospensione dall’incarico e l’esilio eranoinevitabili, come del resto era accaduto inaltri casi. Particolarmente interessante,comunque, il considerevole numero disacerdoti coinvolti nelle operazioni di serAntonio, a conferma dell’interesse che lepratiche magiche suscitavano persino tra gliuomini di chiesa, come del resto un po’ i ntutti i ceti intellettuali cittadini.

10 Su questi due casi e su quelli che seguono, si vedano Ceppari Ridolfi 1999; Id. 2003.

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Un trasmutatore sui generis

Per altro, se la vicendadi ser Antonio è gene-ricamente ascrivibilea quella degli operato-ri praticanti, senzamolto riguardo per gliaspetti più profondidella “Filosofia occul-ta”, ben più comples-so è il caso di CesareAngiolieri, alchimistasenese in buoni rappor-ti con larga parte della migliore borg h e s i acittadina quando, agli inizi del Cinquecen-to, viene processato da una corte laica, il tri-bunale senese degli Ufficiali di custodia.L’Angiolieri aveva avuto il primo approcciocon le pratiche trasmutatorie nel 1466,allorché il padre Rinaldo aveva ospitato nel-la sua casa in Camollia, nel popolo dellaMagione, un alchimista di Pistoia, tale Bar-tolomeo di Antonio, che lo aveva aff a s c i n a-to con le sue competenze nel “mondo segre-to”. L’alchimista possedeva un preziosolibretto che insegnava a manipolare sostan-ze e metalli e rivelava segreti di magia. Pra-ticava esorcismi, parlava con i demoni e glispiriti maligni e probabilmente era capacedi molti altri prodigi per cui a Siena, comenelle altre città dove aveva soggiornato inprecedenza, aveva conquistato largo credi-to e forse anche buoni proventi. Per sua dis-grazia queste attività e, quindi, le sue fortu-

ne furono bruscamente interrotte dall’inqui-sitore dell’eretica pravità in Tuscia, ma il

fascino delle sue promessee dei suoi incantesiminon si era spento deltutto. E probabilmentea Siena era rimasta piùdi una copia di quelprezioso libretto dialchimia, magari bennascosta in casa diqualche insospettabilecittadino.Cesare Angiolieri, che

all’epoca di quei fatti aveva circa sei anni,fu certamente iniziato alla scoperta deisegreti della natura e ai princìpi dell’artemagica da suo padre Rinaldo e ben prestopensò di sfruttare la sua perizia in alchimia,non tanto per arricchirsi quanto forse per farfronte a impellenti problemi economici.Poco dopo i trent’anni era in grado di conia-re monete napoletane d’argento adulteratocon stagno e antimonio: carlini e incorona-ti, così denominati perché vi era raffiguratal’immagine della Ve rgine incoronata. Cono-sceva poi il segreto di una tintura che davaal rame l’aspetto e il colore dell’argento e diun’altra che tingeva l’argento di coppella inmodo da farlo sembrare oro vero. Insiemead altri complici aveva organizzato una spe-cie di società per falsificare e smerciaremonete false. Aveva fabbricato lui stesso glistampi per coniare monete veneziane, qualit r o n i11, marcelli1 2 e cristi1 3, naturalmente con

11 Trono o anche tron, moneta così chiamata dal doge Niccolò Tron (morto nel 1473) di cui porta aldritto l'effige. Pezzo d'argento con cui divenne effettiva a Venezia la lira, fino ad allora moneta di conto; è

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metalli adulterati. Aveva venduto buonaparte di quelle monete a un amico, utiliz-zando il ricavato anche per comprare legna,cacio e altri generi di prima necessità. Nel-l’aprile 1504 CesareAngiolieri sposavaNaddina Colombi-n i1 4, figlia di quelNaddo che nel 1484aveva pagato con lavita la sua militanzapolitica nel Montedei Nove1 5. Da parte di madre Naddina eraimparentata con la prestigiosa famigliadegli Aringhieri, essendo figlia di Lucreziasorella del più noto Alberto A r i n g h i e r i ,Operaio del Duomo. Varie disavventurepersonali avevano esaurito le risorse econo-miche dell’Angiolieri, che spinto dallanecessità, tra aprile e giugno 1507, ebbel’ardire di falsificare (in maniera grossola-na) monete senesi d’argento, i “grossoni”16.L’Angiolieri, pressato dai creditori, commi-se l’imprudenza di pagare ai banchieri Chi-gi un debito di 25 fiorini d’oro, utilizzando

in parte grossoni senesi da lui stesso conia-ti. Purtroppo per lui i Chigi non tardaronomolto ad accorsergene. E poiché il passodall’alchimia alla magia è breve, – ormai a

corto di risorsee di espedienti– Cesare silasciò tentaredall’idea di farricorso proprioalla magia perrisolvere i suoi

problemi. Dopo tutto, per liberarsi di unnemico personale – magari un creditorepetulante che pretendeva di essere soddi-sfatto a tutti i costi, oppure un cambiatoreche esaminava con troppa attenzione e peri-zia le sue monete false – cosa c’era dimeglio di un maleficio mortale? Preparòallora due statuine, una di piombo e una dicera, e le sotterrò insieme a caratteri e scrit-te magiche sotto lo “scalone” dell’Antipor-to di Camollia, ai piedi dell’affresco dellaVe rgine, dipinto agli inizi del Trecento daSimone Martini e poi restaurato e ridipinto

l'unica moneta veneziana che, a somiglianza delle contemporanee d'argento degli altri Stati italiani dettetestoni, porta come tipo del dritto il busto del principe.12 Marcello, moneta veneziana d'argento del valore di mezza lira, coniata a partire dal secolo XV.13 Le monete veneziane che portavano impresso sul verso un'immagine del Cristo erano lo zecchinod'oro e il mattapane d'argento (matapane, matapan).14 Nell'aprile 1504 Cesare Angiolieri aveva denunciato di aver ricevuto da Naddo Colombini il paga-mento di fiorini 600 a titolo di dote per la figlia Naddina, sua futura sposa.15 Naddo Colombini fu decapitato nel giugno 1484 e i suoi beni confiscati a beneficio del Comune.Sulle vicende politiche cittadine della fine del secolo XV, si veda Pecci, 1755: 1ss. Dalla confisca dei benidi Naddo fu esclusa una quota assegnata alla moglie Lucrezia come restituzione della sua dote; tale opera-zione fu fatta con l'approvazione della Balia.16 Sulle monete in uso a Siena, si vedano Del Mancino, 1967: 139-153; Toderi, 1992: 283-403; Bal-bi De Caro - Angeli Bufalini 2001.

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più volte nel corso dei secoli. La sacraimmagine, particolarmente cara a San Ber-nardino, all’epoca delle vicende di CesareAngiolieri era ancora oggetto della devo-zione popolare, tanto chepresso l’Antiporto il 2luglio e in altri giornidell’anno si celebravanouffici divini.

L’Angiolieri era cer-tamente convinto chel ’ e fficacia dei suoi male-fici venisse in qualchemodo potenziata dallavicina immagine dellaVe rgine e dai riti sacriche si celebravano inquel luogo: vi lasciòinfatti sepolte le sue fat-ture per mesi. Forse ilsuo nemico era solitopassare sotto l’Antiporto di Camollia e ilmaleficio avrebbe dovuto annientarlo, ma lecose non andarono come il “mago” senesesperava e, di fatto, non successe nulla.Anche contro il suo ricettatore, “colpevole”di essersi rifiutato di smerciare i “grossoni”senesi falsificati, l’Angiolieri preparòun’immagine magica per accecarlo: un paiodi occhi trafitti forse dai chiodi. Anche que-sta volta la malia risultò inefficace.

Alla fine gli Ufficiali di custodia e regi-me furono informati delle sue malefatte epresero visione delle monete false e deglistampi preparati per coniarle. Disposero disottoporlo a stringente interrogatorio; era il25 ottobre 1507. Messo alle strette, l’An-giolieri confessò tutto. Il 29 ottobre 1507 gliU fficiali di custodia e regime, poiché i rea-

ti accertati erano assai gravi, ritenneroopportuno chiedere un c o n s i l i u m al giudicedei malefizi, Galeazzo Maria da “Ve z a n o ” ,e alcuni giorni dopo gli delegarono diretta-

mente la causa.Galeazzo Maria proce-

dette subito all’i n q u i s i t i o,contestando all’Angiolierila falsificazione di monetesenesi e forestiere e i varimalefici operati. E il 4novembre, appena duegiorni dopo il decreto didelega, sottoponeva l’im-putato ad interrogatorio.Cesare Angiolieri, sponta-neamente e sotto giuramen-to, confessava allora diessere colpevole di tutti ireati contestatigli, pursapendo di rischiare la pena

di morte. Forse, poco prima di compariredavanti al giudice, un qualche crudele stru-mento di tortura lo aveva convinto a con-fessare senza indugi.

A nulla valse la disperata difesa che suofratello Conte pronunciò il 9 di quel mesedavanti al giudice dei malefizi nel tentativodi salvargli almeno la vita. Le moneteconiate da Cesare non erano veri e proprifalsi – diceva Conte – ma opere alchemiche,frutto della sua perizia in quell’arte. La pra-tica trasmutatoria, dunque, veniva presenta-ta come efficace, o quanto meno capace diprodurre davvero “qualcosa”. A g g i u n g e v ache non c’erano comunque monete impe-riali e che, pertanto, la pena prevista daglistatuti senesi non doveva essere quella capi-tale, ma una più mite.

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Galeazzo Maria da “Vezano”, dopo averriflettuto cinque giorni, il 14 novembre diquell’anno 1507 pronunciò lasentenza. Memore della limi-tazione impostagli dagli Uff i-ciali di custodia e regime, chenon volevano la pena del fuo-co ma una meno crudele,ordinò che Cesare A n g i o l i e r ifosse condotto nel MercatoVecchio e decapitato. Dispo-se inoltre che tutti i suoi benifossero confiscati a beneficiodel Comune. La sentenza dimorte fu puntualmente ese-guita il giorno seguente.

Una preziosa saccuccia

È verisimile che per tutto ilCinquecento, ed anche oltre,come del resto in tante altre parti d’Europa,la magia trovasse a Siena moltissimi adepti.Ne fanno fede, tra l’altro, due voluminosiprocedimenti giudiziari del XVI secolo con-servati presso l’Archivio arcivescovile diS i e n a. Il primo è datato 1541 ed è relativo aun raccapricciante caso di negromanzia incui intervengono, ciascuno relativamentealle proprie competenze, sia il vicario delvescovo sia gli Otto di guardia, denomina-zione all’epoca attribuita al tribunale degliUfficiali di custodia.

Nel marzo 1541 Piazza del Campo futeatro di un’esecuzione esemplare: dallecarceri del Palazzo pubblico un carro con-duce al luogo del supplizio un condannato amorte. Il carro esce al Chiasso Largo, fa ilgiro intorno alla Piazza e vi rientra passan-

do dalla Costarella. Lungo il tragitto il boiaarroventa le tenaglie sui carboni ardenti e

poi le avvicina al condannato,ma senza toccarlo. L’uomo èmoribondo, sfinito dagliinterrogatori, dalla tortura, daalmeno due tentativi di suici-dio e dal lungo digiuno: ilsuo fisico non reggerebbequel crudele tormento; èinvece opportuno che giungaancora vivo nel centro dellaPiazza, dove è pronta la cata-sta di legna per il rogo. A r r i-vati lì, il boia lo strozzaappendendolo a una colonna,ma il canape, inopinatamen-te, si spezza prima che il con-dannato muoia; è quindinecessario ripetere l’opera-

zione. Quindi il boia dà fuocoalla legna e le fiamme avvolgono quel cor-po ormai esanime. Infine lancia sul rogoanche la “saccuccia” del condannato condentro libri e scritture. I particolari sceno-grafici e il luogo scelto per il supplizio rive-lano la precisa volontà di dare un valoreparticolarmente significativo a quell’esecu-zione capitale, tale da farla apparire uncastigo esemplare in modo che fosse dimonito terrificante per tutti. Il condannatoera infatti un frate, Sisto da Verze nell’areti-no, che si era macchiato di colpe raccapric-cianti. Il religioso, che coltivava un perico-loso interesse per la magia nera, accecatodalla cupidigia e dalla brama di potere, ave-va praticato esperimenti di negromanzianella speranza di costringere il diavolo ouno spirito maligno a sottostare ai suoi

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voleri. Frate Sisto – tramite GirolamoMoroni, studente napoletano residente allaSapienza che colti-vava i suoi stessiinteressi – eraentrato in contat-to con due stu-denti tedeschi,Martino Tr a i n e re Paolo Hoch-stetter da A u g u-sta, i quali cono-scevano il segre-to per “costre-gnere il diavolo”,almeno così rite-neva il frate. I duetedeschi, esasperati dalle sue insistenze,avevano composto una baia [cioè una bef-f a ],mettendoli variati nomi di varie lingue,formandoli per burla un segreto, acciò chese lo levasse d’intorno. Quel segreto dovevaessere provato su un giustiziato, reo di gra-vissimi assassinii; se sperimentato su perso-ne normali non avrebbe dato alcun risultato.Il frate decise allora di sopprimere una pic-cola mendicante e utilizzarne parti del cor-po per preparare l’esperimento. Catturato,fu rinchiuso in fondo alla torre del Palazzopubblico per ordine degli Otto di guardiache, in un primo momento, avevano pensa-to di inviarlo nelle carceri del vescovado.Poi però, per la gravità e l’eccezionalità del

caso, i giudici ritennero opportuno rivendi-care al proprio tribunale l’onere di quell’in-

dagine, pur nelrispetto dellep r e r o g a t i v edelle autoritàe c c l e s i a s t i c h e .Dopo varii n t e r r o g a t o r iespletati allapresenza delvicario vesco-vile, durante iquali fu fattoricorso anchealla tortura, gli

Otto di guardiaconsegnarono il frate all’autorità ecclesia-stica, ma non vollero mai cedere la “sac-cuccia” con le scritture e i libri di negro-manzia. Doveva evidentemente trattarsi dimateriale estremamente pericoloso, o alme-no giudicato tale, che per motivi di ordinepubblico era prudente tenere rigorosamentesotto sequestro della Autorità giudiziarialaica. A distanza di pochissimi giorni, il 12marzo, il vicario del vescovo GiovanniFrancesco Franceschi, dottore di dirittoc a n o n i c o1 7, formalizzò l’inquisizione controfrate Sisto contestandogli tra l’altro di averucciso la piccola mendicante e di aver pra-ticato incantesimi e malefici contro diversepersone e in vari luoghi. Giudicandolo inde-

17 Il Franceschi, che apparteneva a un ramo della famiglia Pannilini, nel 1525 era candidato al dot-torato in giurisprudenza, ma non si sa con esattezza quando prese la laurea. Condotto a insegnare nello Stu-dio già nel 1531, fu uno dei fondatori dell'Accademia degli Intronati, dove era registrato con il nome diMoscone. Per queste notizie, cfr. Minnucci - Koπuta, 1989: 501.

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gno di ricoprire qualsiasi ufficio e beneficioecclesiastico, lo depose in perpetuo da ognicarica, in ottem-peranza alleleggi canoni-che. La secola-rizzazione pri-vava il frate daogni privilegioclericale e quin-di la punizionedei suoi misfattiera demandata al tribunale laico, in questocaso agli Otto di guardia, ai quali fu subitoriconsegnato. Il 23 marzo i giudici, comeera prevedibile, condannarono frate Sistoalla pena capitale. La punizione del negro-mante doveva essere esemplare e pertantoci si preoccupò di determinarne le modalitàanche nei particolari più scenografici ecome luogo per l’esecuzione fu scelta, nona caso, Piazza del Campo.

Tra alchimia e segreti della luna fissa

Il secondo processo di cui vi è traccianell’Archivio Arcivescovile di Siena fuquello celebrato nel 1570 da BernardinoM a c c a b r u n i1 8 vicario del vescovo, aff i a n c a-to inizialmente da un commissario apostoli-co. L’anno successivo il caso sarebbe stato

completamente riesaminato da RinaldoTolomei, dottore e patrizio senese nonché

giudice delegato dalvescovo di Siena.

Il procedimentoriguardava ser PietroApolloni parroco diSan Vincenti inCamollia, che erastato trovato in pos-sesso di alcuni libriproibiti, fra cui un

testo di alchimia, ilT e s t a m e n t u m t r a d i z i o-nalmente attribuito a Raimondo Lullo; unlibro di astrologia divinatoria il cui i n c i p i trecitava: Mese di luglio Sole in Leo; unQuaterno de’ remedii massime contro lap e s t e; un Tractatum lapidis che terminavacon il “segreto ad album”, la formula persbiancare il rame e renderlo simile all’ar-gento. Il vicario del vescovo contestò inol-tre a ser Pietro di aver allestito in casa suauna bisca per i giochi proibiti; di aver per-messo a molte meretrici di frequentare lasua casa; di possedere una “apotissa”, “unappunto”, con un segreto di magia; di averesercitato l’arte dell’alchimia eseguendodegli esperimenti; di aver venduto comea rgento puro verghe di rame sbiancato; infi-ne di aver preparato liquori, acque e “lisci”per donne. Delineando così il ritratto di un

18 Il Maccabruni nell'ottobre 1544 si era laureato in diritto canonico presso lo Studio di Siena (Min-nucci - Koπuta, 1989: 424 e 547). Aveva avuto contatti con esponenti del gruppo sozziniano ed era statoimplicato nel processo per eresia intentato nel 1544 a tale gruppo. Nel 1559, si tentò con una macchinazio-ne di coinvolgerlo di nuovo in un processo per eresia, ma anche questa volta fu scagionato e ottenne la liber-tà provvisoria grazie alle garanzie offerte da alcuni cittadini senesi legati al gruppo sozziniano. Su questopunto, si veda Marchetti, 1975: 51-67, 177.

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perfetto “operativo” pronto ad entrare sen-za tanti scrupoli in molti territori proibiti.Ser Pietro fu confinato perdue anni nella sua parroc-chia, costretto a svolgerecon continuità e senza dis-trazioni il ministero di par-roco e curatore di anime.Gli fu vietato di praticarel’alchimia e gli vennerosequestrati tutti i libri e leattrezzature. Soltanto incaso di disobbedienzasarebbe stato sospeso ad i v i n i s con relativa decadenza dai beneficiecclesiastici. Sentenza assai mite, per altro,ispirata certo dall’intento di correggeremediante una penitenza salutare quel parro-co scapestrato e recuperarlo così al suoministero, in perfetta sintonia con l’esigen-za di riforma morale del clero recentemen-te sancita dal Concilio di Trento. Ma per serPietro, personaggio colorito ed estroso,dotato di tutte le virtù e i vizi del parrocovecchio stampo, era impossibile rimaneretranquillo e cambiare radicalmente vita,così dall’oggi al domani. E poi il fascinodell’alchimia, l’arte di mutare in oro imetalli vili, era per lui irresistibile. Ser Pie-tro riallacciò i rapporti con i vecchi amiciesperti di alchimia e riprese ad occuparsi diquesta arte con maggiore trasporto di prima.Nella passione per l’alchimia si fondevanoinsieme interesse culturale e cupidigia, tan-to che il parroco ritenne di aver finalmentetrovato il modo per fabbricare l’oro. Facen-do da intermediario tra alcuni amici checondividevano i suoi stessi interessi, mise incontatto il pittore Bartolomeo Neroni dettoil Riccio – che conosceva il segreto della

“luna fissa”, cioè il procedimento per tra-smutare l’argento in oro bianco – con un

orefice che sapeva fabbricareuna tintura d’oro a 24 caratiper rendere l’oro bianco simi-le all’oro buono. D’altra parteSer Pietro non si sottrasse nep-pure al fascino del soprannatu-rale, anche al di là dei confiniimposti dalla religione cattoli-ca. In questo campo era bendocumentato: infatti era statotrovato in possesso di un librodi astrologia divinatoria, che

concedeva largo spazio alla superstizione; epoi, cosa ancor più grave, conosceva isegreti per evocare i demoni. Elemento basedi tale magia era la polvere di pipistrello,ottenuta sottoponendo il corpo di questoanimale o parte di esso a vari trattamenti diessiccazione e macinatura. È assai probabi-le che quella polvere gettata in una lucernaardente – magari con l’aggiunta di qualchealchemica miscela – producesse odori acri eforti, effetti strani e fuori dal comune, tali dasuscitare in chi assisteva all’esperimentol’illusione di trovarsi in presenza di esserisoprannaturali. Infine ser Pietro conoscevail segreto per preparare la polvere che bru-cia sull’acqua, esperimento di sicuro eff e t t ose compiuto in determinate condizioni e difronte a spettatori suggestionabili.

Nell’agosto 1571 il vescovo di Sienadelegò a Rinaldo Tolomei, dottore e patriziosenese, l’onere di rinnovare il processo giàintentato contro ser Pietro. Nel corso dellasua difesa il parroco disse, tra l’altro, che siera interessato dell’alchimia non per lucro,ma per diletto (causa recreationis) e per aiu-tare i poveri nelle loro malattie, come si

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poteva facilmente dedurre dal fatto che ave-va distillato oli e liquori. Del resto, aggiun-geva, non era il solo a Siena adinteressarsi di tali cose.Escluse sempre con caparbie-tà di aver tentato esperimentidi magia, cercando di mini-mizzare la cosa: Non me nediletto, perché non sono in etàdi far burle. A sua difesa serPietro citò nove persone: trepreti, due orefici e vicini dicasa o parrocchiani. Tutti bra-vi cittadini, osservanti i pre-cetti della Chiesa, che si era-no confessati e comunicatipiù volte durante l’anno. Cer-carono tutti di minimizzare la faccenda deilibri proibiti, affermando che ser Pietro liaveva tenuti non per malizia, ma per inav-vertenza. Esclusero poi categoricamente econ enfasi qualsiasi sospetto di eresia neisuoi confronti. È assai probabile che a serPietro, al termine di quel secondo processo,sia stato inflitto un severo castigo, ma nonsappiamo quale perché manca la sentenzadel Tolomei. L’azione delle autorità eccle-siastiche che avevano posto sotto inquisi-zione ser Pietro era però tesa a far recepire– a lui come a tanti altri parroci dell’epoca– i princìpi del rinnovamento morale volutodal Concilio di Trento in modo da recupe-rarlo all’esercizio del suo ministero. E cosìfu: ser Pietro – forse previa penitenza salu-tare – fu lasciato a reggere la sua parrocchiadove, qualche anno dopo, avrebbe ricevuto

il vescovo di Perugia Francesco Bossi, nel-la veste di visitatore apostolico.

In finis

A partire dalla metà del Seicen-to i casi di pratiche magiche aSiena diventano sempre più rari.Forse per il processo di raziona-lizzazione imposto, in ambitoecclesiastico e non solo, dalledisposizioni fissate dal Conciliodi Trento. Forse perché la formi-dabile tensione che aveva spin-to, dalla seconda metà del ‘400,alla costruzione dell’uomo nuo-vo, artefice del proprio destino,

si era ormai, irrimediabilmenteesaurita. O forse semplicemente perché, conl’avvento della rivoluzione scientifica,cominciava a maturare nei confronti del -l’antichità, un atteggiamento assai diversoda quello degli umanisti. Tanto che n e lmomento stesso in cui fanno ricorso ai testidell’antichità Bacone e Cartesio, ossia gliantesignani, con Galileo, della scienzamoderna, negano il carattere esemplare del -la civiltà classica1 9, con il suo modo diintendere v i v a la natura. Come avrebbescritto John Dryden, era ormai nata una“nuova natura” che nulla aveva in comunecon quella già proposta dal Corpus Herme -t i c u m e sulla quale, anche attraverso lamagia, si era esercitato per un paio di seco-li l’homo novus di Marsilio Ficino e di Gio-vanni Pico della Mirandola.

19 Rossi, 2004: 58.

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Cultura ermetica e spiritualità “altre” a Siena nel Rinascimento

di Vinicio Serino

Università di Siena

The present contribution reconstructs the relationship that, during five l u s t r a,were built between the Hermetic culture and the Sienese society; this was a partic -ularly intense period, when the passage from the Medieval to the Modern Era tookplace. In this context a decisive role was played by the worker of the CathedralAlberto Aringhieri who, through a program of interventions made between the1480 and the beginning of 1500, depicts on the floor of the Cathedral the pillars ofan “alternative philosophy”. He used simultaneously images with a deep symboliccontent with writings taken from the ancient pagan culture; a really “other” visionof the world which, whith the ten Sibyls, a sort of prophetesses of the time to come,announces not only the next appearance of epochal changes - according to theastrologists it was the 1484, the annus horribilis of the conjunction of Jupiter andSaturn in Scorpion - but it also proposes an initiation route that, by means ofepisodes as death, resurrection and passion, contributes to the constitution of ac h r i s t u s. Not the incarnate god of the nova re l i g i o, but the “anointed”, the con -sacrated, the person who has the access to the “sacred Mysteria”.These “sacred Mysteria” were comprised in the Corpus Hermeticum just trans -lated by Marsilio Ficino, whose a great evidence is offered by the Sienese intarsia ofHermes Mercury Trismegistus. It is a true rareness inside of a Christian temple,that expresses truths only apparently coherent with the doctrinarian orthodoxy, buttotally revolutionary. Particularly, in the marble table where Hermes places his lefthand, two passages taken from the A s c l e p i u s and the P i m a n d e r are inscribed and,at a first and superficial reading, they seem to refer to the trinity. Instead, if theyare traced back to their original context, they introduce the theme of a Creator God,able to “make” a second god who is not Christ but the world, and a third god whois not the Holy Spirit but man. All these are very interesting arguments, thinking that, in a few time and fromSiene itself, the religious reformer Fausto Paolo Socino will declare the Eternal asthe only God, and confining Jesus Christ to the role of revealer of the celestial good -ness that, by its example, traces the way to the salvation of mankind.The last “exploit” of Alberto Aringhieri was the realization of the intarsia differ -ently called of the “Hill of Virtue”, of “Fortune”, of “Knowledge”, where he con -denses the sense of his own initiation path at the end of which, for those who werehumble, ready to sacrify themselves and detached from earthly metals, the prize isthe great knoledge of interior enlightment.

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nità dai formidabili poteri magici, ma anchedalle sterminate conoscenze in ambitoastrologico ed alchemico con Mosè: del suorapporto, qui definito “di contemporaneità”,con colui che condusse il popolo eletto dal-

l’Egitto alla Terra promessa.La cosa è di per sé abba-

stanza singolare se è veroche le immagini di Ermeteall’interno dei templi cristia-ni sono non solo una raritàbizzarra, ma addirittura ilsegno di una irriguardosainosservanza verso le pre-scrizioni di Agostino d’Ippo-na che, come ricorda F. Ya t e sriprendendo alcuni passi delDe civitate Dei, attacca lostesso E r m e t e […] per averlodato le pratiche magiche

con cui gli Egiziani infondevano spiriti[aerei] o demoni nelle statue degli dei, ren -dendole, così, animate e trasformandole aloro volta in divinità1. Sì che, pur appa-rendo come un profeta dell’avvento delC r i s t i a n e s i m o era comunque accecato dal -la sua ammirazione per l’idolatria egizianaed era il diavolo a suggerirgli la profeziadella futura distruzione di essa2.

D’altra parte Agostino aveva espressoqueste negative opinioni – che di certo m e t -tevano in difficoltà i molti devoti ammirato -ri degli scritti ermetici3 – anche con riferi-mento ad altri personaggi della cultura

1 Yates, 1989: 22-23.2 Yates, 1989: 23.3 Yates, 1989: 23.

Una immagine molto apprezzata

on vi è praticamente opera diraccolta e commento dei testidel Corpus Herme -

t i c u m che non faccia ricorso,solitamente nella prima dicopertina, alla tarsia marmo-rea del Duomo di Siena rap-presentante Ermete MercurioTrismegisto, il signore dellascrittura, della magia e diogni sapere, la trasposizione,nella cultura greca e romana,del dio egizio Toth dalla testadi ibis. Una tarsia verosimil-mente realizzata intorno al1488, opera attribuita algenio di Giovanni di Stefa-no, uno degli artisti più rap-presentativi della cultura rinascimentalesenese, che fa bella mostra di sé esattamen-te davanti all’ingresso principale della Cat-tedrale dell’Assunta.

Non vi è alcun dubbio che uno dei trepersonaggi ivi rappresentati sia proprioErmete, dal momento che una provviden-ziale scritta apposta al di sotto del riquadroammonisce il visitatore che lì è eff i g i a t oHermes Mercurius Trimegistus / Contem -p o r a n e u s M o y s i. Introducendo quindi, nel-la già complessa vicenda un ulteriore, fon-damentale elemento di riflessione, costitui-to appunto dall’accostamento di quella divi-

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pagana che avevano preannunciato l’avven-to del dio incarnato.

Se si dice che la Sibilla, o leSibille, Orfeo e un certoErmete che non conosco,nonché i vati o i teologi o isapienti o i filosofi dei Gentiliabbiano predetto o affermatodelle verità sul Figlio di Dioo sul Padre Dio, ciò puòservire per confondere lavanità dei pagani, non certoper abbracciarne l’autorità. Noiinfatti mostriamo di venerare quelDio del quale non poterono tacereneppure coloro che in parte si per -misero di insegnare agli altri paga -ni, loro fratelli, a venerare gliidoli e i demoni, in parte nonosarono proibirne il culto4.

E non vi è dubbio, da questo punto divista, che Ermete fu esattamente il caposti-pite di coloro che insegnarono la venerazio-ne di idoli e demoni, almeno secondo lafede a tutta prova di Agostino.

Ed allora perché l’immagine di questopersonaggio, che un padre della chiesasostiene di non conoscere, è lì, all’interno diun tempio cristiano, la casa della Ve rgine, lasedes sapientiae della città? Per di più in unacollocazione di tutto rispetto dal punto divista dell’immaginario simbolico che, comea fferma Frances Yates, vale ad attribuirgli

una così preminente posizione spirituale5

poiché in grado di catturare lo sguardo delfedele appena penetrato all’interno dello

spazio sacro.

Un singolare operaio

A volere quella ingombrante pre-senza fu un personaggio straor-

dinario, il vero ubi consistamdella cultura ermetica interra di Siena, l’operaiodella Cattedrale A l b e r t o

Aringhieri. Colui che con ogniprobabilità ha introdotto, nel terri-torio dell’antica Repubblica, prati-camente in contemporanea con la

traduzione del Corpus Hermeticumcondotta da Marsilio Ficino su dis-posizione di Cosimo il Vecchio, la

“verità” di Ermete Trismegisto, anche senon è affatto escluso, da alcuni sfuggentiindizi, che “qualcosa” vi fosse anche da pri-ma, come di recente ha ipotizzato LeliaCracco Ruggini.

Ma chi è Alberto Aringhieri? È il discen-dente di una facoltosa famiglia che avevafatto le proprie fortune nella vicina Casoled’Elsa tanto che un suo illustre antenato,Beltramo, detto messer Porrina, si era meri-tato un importante monumento funebre rea-lizzato, agli inizi del ‘300, dallo scultoreMarco Romano all’interno della locale Col-legiata. Da quella famiglia era discesoanche Ranieri, vescovo di Cremona ai primi

4 Agostino d’Ippona 2004.5 Yates, 1989: 58.

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del ‘300 a testimonianza di un ruolo cre-scente del casato che, successivamente tra-sferitosi a Siena, avreb-be occupato, attraversovari suoi componenti,posizioni sempre piùrilevanti nella dimen-sione politico-istituzio-nale della Repubblica.

Il padre di messerAlberto, Francesco, eraun “curioso”, che colti-vava interessi a metàstrada tra la scienza ela magia. Lo testimo-niano alcune sue lette-re dalle quali risulta lacompetenza che avevamaturato in fatto di erbepiù o meno miracolose – in quanto ritenutecapaci di combattere la peste o altre patolo-gie tipiche dell’epoca come il mal della pie-tra – competenza acquisita anche e soprat-tutto grazie ai continui spostamenti a cui locostringevano i suoi affari di mercante e lapropria attività di ambasciatore al serviziodel Comune senese.

Alberto, figlio del “curioso” Francesco,diventerà, intorno al 1480, l’Operaio dellaCattedrale, ossia in pratica il DirettoreAmministrativo – ma in questo specificocontesto l’espressione è senz’altro impro-pria – degli imponenti lavori che riguarda-rono in quegli anni davvero intensi la strut-tura architettonica e l’impianto iconografi-co del Duomo di Siena. Uno straordinariocantiere di scienza, arte, cultura nel qualeavevano già lavorato, qualche secolo prima,personaggi del calibro di Nicola e GiovanniPisano, artefici rispettivamente dello splen-

dido pulpito e di parte della facciata mar-morea. Ed al quale attesero non pochi espo-

nenti di quella Corporazionedei Magistri comacini – unindizio della presenza dei qua-li è rappresentato dall’altaredei Santi Quattro Coronatiposto esattamente all’iniziodella navata di sinistra, vici-nissimo alla tarsia di Ermete –probabili (?) artefici del f i a tdei tanti misteri che si nascon-dono in quella autentica fore-sta di simboli che è la catte-drale senese.

Dieci Sibille annunciatrici

Per altro, già prima della rea-lizzazione di Ermete, Alberto A r i n g h i e r iaveva impresso il proprio segno nei marmidel Duomo dell’Assunta facendo incidere,tra il 1482 ed il 1483, e sempre sul pavi-mento della Cattedrale, dieci Sibille, le pro-fetesse dell’antichità tratte dalle Antiquita -tes rerum humanarum et divinarum d iMarco Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Sitratta, per la precisione, della Sibilla Delfi-ca, della Sibilla Cimmera, della SibillaCumana, della Sibilla Eritrea, della SibillaPersica, della Sibilla Libica, della SibillaEllespontica, della Sibilla Frigia, dellaSibilla Samia, della Sibilla Albunea. Mal’ordine con cui si susseguono all’internodel duomo senese è completamente diversorispetto a quello proposto dal suddetto Mar-co Terenzio Varrone. Ed ancora diverso daun altro “percorso sibillino”, aperto unaventina d’anni prima da Sigismondo Mala-testa, in quel di Rimini, nel suo celebre

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Tempio – che tanto aveva colpito il Papaumanista Pio II sì da dichiarare non sembraun Tempio di Cristo, bensì di fedeli adora -tori del demonio – egualmente formato dal-le stesse enigmatichesacerdotesse, ma rap-presentate secondouna sequenza del tut-to diversa rispetto aquella di Siena.

E questo è un pri-mo, importante segnodella logica che sem-bra abbia guidato ildisegno di A l b e r t oAringhieri. Il quale potrebbe aver voluto ivicollocare quelle annunciatrici dei tempi avenire, e che la dottrina cristiana concepivasolo – come aveva del resto affermato A g o-stino – per aver vaticinato il futuro avventodel Cristo, salvatore dell’umanità, allo sco-po di lanciare, ai propri ignari concittadini,un enigmatico messaggio sul loro futuroprossimo. Le dieci profetesse, infatti, furo-no realizzate tutte tra l’anno 1482 e l’anno1483, come è tra l’altro testimoniato daipagamenti corrisposti a favore degli artisticoinvolti. Quinque Sybillae Positae SuntAnno Domini 1482, è iscritto sul pavimen-to marmoreo, esattamente alla destra dellanavata centrale per chi entra. Altre cinquealla sinistra nell’anno del Signore 1483.U fficialmente per annunciare l’avvento diCristo. Ma vi è chi ha avanzato, e non sen-za autorevolezza, una ben diversa ipotesi:l’“ordito” di Aringhieri sarebbe stato infatti

concepito per una considerazione di carat-tere astrologico. Perchè il 1484 venivapreannunciato come un annus horribilis,l’anno di epocali sommovimenti prodotti

dalla nefasta congiunzio-ne di Giove e Saturno inScorpione, temibilissi-mo segno di morte e dicambiamento. Le Sibil-le, misteriose annuncia-trici, collocate emblema-ticamente in quello spa-zio ed in quel tempo,dovevano servire adavvertire il mondo dei

tremendi rischi incombenti.È molto probabile che Aringhieri acqui-

sisse queste “competenze astrologiche”,grazie a Luzio Bellanti, notissimo astrolo-go senese di quel periodo, rimasto celebreper la disputa che lo aveva opposto a Picodella Mirandola in tema di Astrologia divi-n a t r i c e6.

Tra l’altro al figlio del grande operaiodella Cattedrale era stato imposto proprio ilnome di Luzio. Anche se, dall’estratto deiBattezzati della famiglia Aringhieri, comerisulta da un prezioso documento f o r m a t oed eseguito per ordine, con direzione, etassistenza, et a spese dall’abate GalganoBichi e terminato nel mese di maggio del-l’anno 1713 dal Prete Tommaso Mocennicurato della Parrocchia di S. Niccolò aMaggiano, al 1482 è attestato un solo Luzioma senza alcuna specificazione della pater-nità. Molto probabilmente, comunque, si

6 P. della Mirandola 1946 e 1952.

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trattava proprio del figlio di Alberto, perso-naggio destinato a diventare tristemente incittà celebre molti anni dopola morte del suo illustrepadre, essendosi macchiatodi tradimento in occasionedi una delle tante guerre cheopponevano Siena alla(sempre) odiata Firenze.

La pista astrologica è sta-ta battuta da Ioan Coulianocon la citazione di una cele-bre profezia di Joannes deClara Monte che annunciavala nascita del piccolo profe-ta di Germania. Un esseredotato di “grande saggezza”,ma anche capace di schizza-re, al pari di uno scorpione, ilveleno che ha nella coda7. Couliano azzardala identificazione di questo profeta conMartin Lutero, l’artefice della rottura dellaunità della Chiesa romana e che, con l’af-fissione delle sue novantacinque tesi, certa-mente avrebbe contribuito non poco ascompaginare i delicati equilibri religiosi,ma anche politici ed economici, della vec-chia Europa. Anche se per la storia, il ribel-le agostiniano seppure nato il 10 Novembre,ossia sotto il segno del malefico Scorpione,avrebbe in qualche modo anticipato di unanno le previsioni di Bellanti ed A r i n g h i e r i ,avendo visto la luce, appunto, nel 1483 enon, come era stato preconizzato, nel 1484.Non vi è comunque dubbio che la sugge-stione sia forte, soprattutto in considerazio-

ne della collocazione “anomala” – come giàdetto anomala rispetto a Varrone, da cui

sono tratte – delle Sibille edelle citazioni ivi riportate,per lo più ricavate dalleDivinae Institutiones d iLattanzio, che ne illustranola presenza.

È segno di prudenza evi-tare con ogni cura di pene-trare nel mare magno diquesto messaggio la inter-pretazione del quale, ovvia-mente, non può che esseremeramente ipotetica. Masembra comunque utilerichiamare l’attenzione sudue aspetti particolarmente

interessanti che riguardanola prima Sibilla, ossia quella Delfica, con-notata da una scritta estremamente eloquen-te e che recita così: Ipsum Tuum C o / g n o s c eDeum / Qui Dei Filius Est.

È rappresentata nell’atto di reggere unafiaccola, forse per segnalare la irriducibilevolontà di illuminare la oscurità di un per-corso. Con quel motto di pietra e con quel-la fiaccola ostentatamente accesa ed innal-zata verso l’alto, la Sibilla Delfica riprendel’insegnamento del celebre oracolo di A p o l-lo, che invita a guardare dentro noi stessi.Ma aggiunge qualcosa di più e, dal punto divista della ortodossia cattolica, non perfet-tamente in linea: induce cioè il “lettore sen-sibile” a conoscere, ossia a cogliere nelleprofondità più reposte del proprio essere, il

7 Couliano, 1987: 276 sgg.

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suo dio. Il dio che porta dentro di sé, la scin-tilla divina di matrice gnostica ed ermetica,ben diversa dalla idea del dio-personaespressa dalla dogmatica cristiana.

Dunque una sorta diinsegnamento iniziatico,così come iniziatico sem-bra il percorso, fattoappunto di 10 stazioni,che Aringhieri invita abattere nel labirinto dellaCattedrale di Siena. Par-tendo dalla Sibilla Delficaper giungere all’ultima,quella realizzata nell’im-minenza dell’avvento del-l ’annus horribilis, l’Albu-nea, dal nome di una fonteche sgorga nei pressi di Ti v o-li. Sybilla Albunea Quae Tibur/tina Cogno -minata Est Quod / Tiburi Pro Deo Coleba -t u r. Ossia “è nominata Tiburtina perché aTivoli è onorata come un dio”.

Per “giustificare”, in qualche modo, lapresenza delle dieci Sibille si sostiene trat-tarsi semplicemente di un elegante riferi-mento alla annunciazione dell’avvento diCristo da parte della cultura pagana. Ed intal senso, ossia con riguardo alla vicendadella nascita, della maturità, della passionee morte del Salvatore, viene inteso il loromessaggio, come già detto in genere trattoda Lattanzio. È per altro indubbio – edanche abbastanza singolare – che è solo nel-l’ultima, nell’Albunea, appunto, che com-pare il nome di Cristo: Nascetur Christus /In Bethlehem Annun/ciabitur In Nazareth /Regnante Tauro Paci/fico FundatoreQuie/tis O Felix Mater Cu/ius Ubera IllumL a c t a / b u n t.“Nascerà il Cristo a Betlemme.

Se ne darà l’annuncio a Nazareth durante ilregno del toro pacifico fondatore della pace.Felice quella madre i cui seni lo allatteran-no”. È l’unico punto di tutto il percorso

sibillino in cui vieneespressa la parola Cristo.Che, forse, dal punto divista della cultura “altra”professata da Alberto A r i n-ghieri, poteva rappresenta-re, nel senso originario chela parola possiede, l’unto.Non Dio quanto, piuttosto,l’iniziato ai santi misteri,annunciato dal fiore diNazareth e nato nella cittàdel pane, Betlemme, all’e-poca del toro pacifico,

ordinariamente inteso comeallusione al regno di Ottaviano Augusto mapur sempre riferibile anche all’omonimosegno astrologico che copre il periodo tra il21 aprile ed il 21 maggio, quando la prima-vera è esplosa con tutta la propria forzai r r e s i s t i b i l e .

Ermete tre volte grandissimo contempo -raneo di Mosè

Ad appena un lustro dalla realizzazionedelle Sibille, nel 1488, Aringhieri dispone-va per la fattura della più celebre, ed inquie-tante, delle sue tarsie, quella di Ermete Mer-curio Trismegisto. Ermete, o Toth, dio dellamagia e di ogni sapere è anche, per dirlacon lo storico delle religioni Franz Cumont,il dio che divenne in Egitto il rivelatore del -la sapienza degli oroscopi, come di tutte lealtre specie di conoscenze. La sua presenzaall’interno del Duomo di Siena doveva

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costituire, con molta verosimiglianza, unaulteriore “stazione” di un “programmasegreto”, costruito col pro-posito di lasciare, a chi inpossesso di occhi pervedere, le tracce (copiose)di una straordinaria cultu-ra, di segno inequivocabil-mente ermetico, che, attra-verso artisti quali Giovan-ni di Stefano; astrologiquali Luzio Bellanti; “filo-sofi” quali lo stesso A r i n-ghieri deve aver certamen-te allignato in Siena peralmeno un venticinquen-nio, proponendosi come una sorta di nondichiarata alternativa alla ortodossia cristia-na. Per gente raffinata e di grandi letturecome l’Aringhieri la scienza di Ermete fu, oalmeno questa è la sensazione che avvertechi scrive, una vera e propria concezionedel mondo rivelata ai fedeli, come diceCumont, attraverso una oscura letteratura[…] apparentemente sviluppata tra il 50a.C. ed il 150 d.C.8.

Da questa “oscura letteratura” A r i n g h i e-ri trasse alcuni insegnamenti che feceapporre nella tarsia marmorea della Catte-drale, esattamente sulla tabella, sorretta dadue sfingi, simbolo della segreta sapienzad’Egitto, che tengono “curiosamente”intrecciate le rispettive code. Sopra questatabella Ermete pone la mano sinistra, lamano del cuore, mentre consegna a due per-

sonaggi – ordinariamente intesi come laTradizione orientale e quella occidentale –

“le leggi e le lettere del-l’Egitto”, secondo il notopasso tratto dal De natu -ra deorum di Marco Tul-lio Cicerone. Come dire,quindi, tutta la sapienzadel popolo delle pirami-di. Sapienza che, appun-to, viene in qualchemodo condensata nellatabella con la scelta didue passi del C o r p u sH e r m e t i c u m, trattirispettivamente da due

libri riconducibili allo stesso C o r p u s, l’A -s c l e p i o ed il P i m a n d r o. Sull’arg o m e n t o ,come è noto, la Yates ha lasciato paginedavvero illuminanti9. Chi scrive si limiteràa svolgere solo alcune personali osservazio-ni. In primo luogo su di un’altra tabella, col-locata immediatamente dopo l’accesso allasoglia centrale del Duomo, e quindi primarispetto alla tarsia di Ermete, dove si leggequesta scritta ammonitrice: C a s t i s s i m u mVir/ginis Templum / Caste Memento /Ingredi. Che, se viene intesa sulla falsarigadel “senso” attribuitogli da Alberto A r i n-ghieri, almeno così come viene concepita inquesta sede, sembra proprio un invito dicarattere iniziatico, rivolto a colui che staper penetrare all’interno del Tempio e che,appunto, deve accedervi, castamente. Ossiapurificato, liberato da tutte le scorie – dai

8 Cumont, 1990: 81.9 Yates, 1989: 56-58.

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“massonici” metalli – che potrebbero osta-colarne il suo incontro col sacro. FrederichO h l y, con una ipotesi digrande suggestione,sostiene che quelT e m p l u m molto sem-plicemente riproduce,simbolicamente, ilTempio realizzato peril Re Salomone daHiram il costruttore,uno spazio dei tempiin cui tutte le età etutte le epoche di gra -zia della storia dellasalvezza si ritrovano rac -colte in un tutto secondo un ordine signifi -cativo […]. Uno spazio che, grazie alleimmagini impresse sul pavimento, “finoalla soglia dell’altare” maggiore rappresen-ta un vero e proprio “libro aperto della prei-storia di Cristo10.

Alberto Aringhieri ha allora, probabil-mente, inteso arricchire questo libro conmolte pagine tratte da saperi poco in lineacon quelli della ortodossia ecclesiale. A ltempo stesso, però, ha voluto esprimere ilsenso di separazione, di dimensione “altra”di quel luogo, invitando chi vi penetrava adun atteggiamento di c a s t i t a s, variamenteinterpretabile in rapporto alle conoscenzeed alle convinzioni di ciascuno. Ermete,nelle sembianze di un vecchio saggio, con

un copricapo dalla foggia singolarmenteanaloga alla c.d. “Corona bianca dell’Alto

Egitto”, offre ai due per-sonaggi che sembranopendere dalle sue lab-bra, le leggi e le letteredi Egitto, come giàdetto secondo la notacitazione tratta dal D enatura deorum.

La interpretazioneclassica, ispirata da unerudito senese, A l f o n-so Landi, che nellaseconda metà del Sei-

cento “raccontò” il Duo-mo di Siena, vuole che si tratti di due rap-presentanti della “gentilità” e che quellovelato sia, addirittura, una donna11. Ma sonopossibili anche altre spiegazioni, se si famente locale al fatto che la iscrizione sotto-stante connota Ermete Mercurio Tr i s m e g i-sto come “contemporaneo di Mosè”. Si diceper sottolineare il rapporto del grandeLegislatore ebreo con il mondo Egizio, conla sua cultura, appunto “le leggi e le lettere”– giacchè Mosè fu ammaestrato in tutta lasapienza degli Egiziani,ed era potente inparola ed opere1 2 – e quindi, in certo qualmodo, per giustificarne la ingombrante pre-senza all’interno di un tempio cristiano.D’altra parte Marsilio Ficino, nel suo D eChristiana religione, non esita ad aff e r m a r e

10 Ohly, 1979: 28.11 Landi, 1992: 66.12 Atti, 7,22.13 Ficino, 1484: cap.26.

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che qualunque cosa si legge di MercurioTrismegisto dimostra essere stata in Moyse:et da Moyse facta. Et chelui fu esso Mercurio et fuchiamato ancora Museo1 3.Quei due personaggi, allo-ra, e proprio per sanziona-re la saldezza di questorapporto, potrebbero esse-re lo stesso Mosè, la guidadel popolo di Israele, esuo fratello Aronne, intro-dotti ai segreti di To t h ,ossia al Corpus Hermeti -c u m, con tutte le relativeconoscenze astrologiche,alchemiche, teurg i c h e ,magiche.

Per altro, aderendo, siapure in parte, alla ipotesi formulata dal Lan-di che vede nella figura bendata rappresen-tata sullo sfondo una donna, si potrebbeipotizzare che si tratti di Maria, Maria lasorella di Mosè, raffigurata da GiovanniPisano sulla facciata della Cattedrale e cheuna consolidata tradizione medievale iden-tifica con l’alchimista inventrice del celebre“bagno di Maria”.

Aringhieri, forse, ed ovviamente ad uso econsumo di quanti erano in grado di capire– e certamente non dovevano essere molti –ripropose in questo modo la sua “verità”,una verità di chiara matrice ermetica, sulleautentiche radici – come chiamarle, intellet-tuali? culturali? spirituali? – del Cristianesi-mo. Da questo punto di vista è particolar-mente invitante la verità enunciata da Erme-te nella tabella sulla quale poggia la manosinistra e che viene sorretta da due sfingi

con le code singolarmente intrecciate in unasorta di numero otto. Deus Omnium Crea -

tor / Secum Deum Fecit /Visibilem Et Hunc / FecitPrimum Et Solum / QuoOblectatus Est Et / ValdeAmavit Proprium /Filium Qui Appellatur /Sanctum Verbum. Ossia“Dio, creatore di tutte lecose, fece un secondo dio[s e c u m è abbreviazione dis e c u n d u m]. Lo fece pri-mo e solo. In lui si è com-piaciuto e molto amò ilproprio figlio, che vienechiamato Spirito Santo”.Ad una prima rapida efrettolosa lettura la scritta

parrebbe del tutto legittima, alludendo allapersona del Padre, alla persona del Figlio,alla Persona dello Spirito Santo. Ma le cosesono molto più complesse – molto piùermeticamente complesse – di quanto nonappaia ictu oculi. In primo luogo perché ilFiglio, seconda persona della Trinità, non èstato “fatto” dal Padre in quanto, come reci-ta il Credo Niceno, è Dio da Dio, Luce daLuce, Dio vero da Dio vero, generato, noncreato, della stessa sostanza del Padre. A lriguardo è quanto meno curioso osservareche l’eresia ariana si fonda proprio sullanegazione della consustanzialità del Figliocol Padre e sulla convinzione che ci sareb-be stato un “tempo” senza il Figlio. Né,d’altra parte, per restare sempre nell’ambi-to della ortodossia ecclesiale, il Figlio “èappellato” Spirito Santo, in quanto lo Spiri-to Santo è la terza persona della Trinità.

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È qui che comincia a trasparire la “mani-polazione ermetica” operata – nel senso“sottile” che la parola o p u s possiede – daAlberto A r i n g h i e r i .Dare la sensazionedi affermazioni diprimo livello, inlinea con le veritàu fficiali, nascon-dendo invece aff e r-mazioni di segnoben diverso,coerenti con la logi-ca dei “messaggioscuri”. Esattamen-te come per le Sibille,la loro sequenza, il contenuto delle scritteche accompagnano il loro cammino.

Infatti la scritta è tratta, come appuntonotato a suo tempo da F. Yates, da due pas-si del Corpus Hermeticum e non dai sacritesti della Religione cristiana. Anzitutto dal-l’Asclepio dove Ermete così si rivolgeall’indirizzo del proprio interlocutore:

Ascolta dunque, Asclepio. Il Signoree Creatore di tutte le cose, che corretta -mente chiamiamo Dio, fece un secondodio dopo di Sé, un dio che si può vederee avvertire coi sensi [chiamerei questosecondo dio ‘sensibile’ non perc h ésia dotato esso stesso di sensibilità…ma perché si presenta al senso di chilo vede]. Poiché dunque Dio fece questodio, il primo derivato da Sé e al contem -po il secondo dopo di Sé, e gli parve bel -

lo, in quanto era assolutamente colmodella bontà di tutti gli esseri, prese adamarlo come figlio generato dalla sua

stessa divinità1 4.

P a r t i c o l a r m e n-te rilevante poi,per la migliorec o m p r e n s i o n edella sottile ope-razione condottada Alberto A r i n-ghieri, la parteche segue imme-d i a t a m e n t e ,

ossia:

Dunque, Dio, essendo così grande ebuono, volle che ci fosse un altro essereche potesse contemplare quel dio cheaveva tratto da se stesso, e creò l’essereumano, imitatore al contempo della suaragione e della sua sollecitudine15.

Ancora più oltre, sempre ammonendoAsclepio, Ermete afferma in maniera asso-lutamente esplicita:

Il Signore dell’eternità è il primoDio; il secondo è il mondo, e l’uomo è ilt e r z o1 6.

È evidente che le cose – ossia le veritàespresse da Ermete nella tarsia senese –sono molto più complesse di quanto nonappaiono ad una lettura del tutto superficia-

14 Corpus Hermeticum, 2005: 527.15 Corpus Hermeticum, 2005: 527.16 Corpus Hermeticum, 2005: 531.

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le. Quel secondo dio con la minuscola, fat-to ossia creato, dopo di Sé – a differenza delFiglio e dello Spirito che sono invece gene-rati e che per questo condividono la stessasostanza delGenerante – èquindi il mondo.E il terzo dio,santificato dalloSpirito che gli èstato insuff l a t o ,è l’uomo. L’ i d e adi Dio, l’ideadel mondo, l’i-dea dell’uomo,ecco le tre dimen-sioni della filosofia classica alle quali sem-bra fare riferimento il dotto operaio dellaCattedrale di Siena non separate ma colle-gate dal Deus omnium creator. In perfettacoerenza con lo spirito rinascimentale dove,come rileva Giuseppe Vatri, è Ermetista ciòche lega i differenti piani di una realtà, uni -ca in se stessa, ma moltiplicata in livelli ric -chi di corrispondenze reciproche [ … ]. Edove esiste una Catena Aurea che lega tut -te le manifestazioni del mondo, della qualel’Uomo è il punto nodale1 7, sì da esprime-re, appunto il sincretismo rinascimentale,il gusto per la conoscenza nuova e unifican -t e con la conseguente liberazione d a lrispetto medievale per l’ordine, per i siste -mi, per le risposte definitive18.

Ma c’è di più. La parte finale della iscri-zione, qui appellatur sanctum verbum,sembrerebbe tratta da un’altra parte delCorpus Hermeticum, ossia il Pimandro.

Qui Pimandro, il Nous del -la sovranità assoluta1 9,dichiara essere la “luce”, ilNous […] Dio precedentealla sostanza umida com -parsa dalle tenebre. E che i lLogos luminoso provenien -te dal Nous è il figlio diD i o. Inoltre, afferma anco-ra Pimandro rivolto al suointerlocutore, che quanto in

te vede e ode è il Logos d e lSignore, e che il Nous è Dio Padre: essi nonsono separati l’uno dall’altro; la vita, infat -ti, è l’unione di questi due20. Questo “Logosdel Signore” è, appunto, quello che vieneappellato Sanctum Verbum nella tabelladella tarsia senese. Ed è particolarmenteinteressante osservare come è proprio gra-zie a questo Logos che si vede e si ode giac-chè, dal Trattato XI, si ricava che D i o […] èuna forma [idea] incorporea, invisibile in sestessa ma principio di tutte le forme visibi -l i. Quindi, il pensiero divino contiene l’uni -verso intero contenendo se stesso. E se l’a -nima ha il potere di abbracciare ed anche disuperare con il pensiero tutto l’universo, amaggior ragione il pensiero divino è dotatodi una capacità infinita21.

17 Vatri, 2000: 25.18 Vatri, 2000: 24.19 Corpus Hermeticum, 2005: 77.20 Corpus Hermeticum, 2005: 79.21 Corpus Hermeticum, 2005: 299, Presentazione del Trattato XI.

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Più precisamente tutti gli esseri sono inDio, ma non come se fossero situati in unluogo (poiché il luogo è un corpo, e un cor -po immobile, e le coseivi situate non hannomovimento): sonosituati in un altromodo nella facoltàrappresentativa incor -p o r e a2 2. Insomma unasorta di Panenteismoche spiega bene ilsenso dell’ammoni-mento della SibillaDelfica, colei che apreil percorso iniziaticovoluto dall’Aringhie-ri. È evidente che l’in-vito a conoscere il pro-prio dio, il dio che ciascuno porta in sé, èpossibile in quanto, quali “figli di Dio”,“tutti gli esseri sono in Dio” ed in questomodo, attraverso il processo di visitazioneinteriore – Visita interiora terrae rectifican -doque invenies occultum lapidem – c i a s c u-no può tornare a Lui, Fonte primigenia.

Su di un colle accidentato

L’ultima impresa dell’Aringhieri che, adavviso di chi scrive, testimonia più di ognialtra – e quindi più della stessa realizzazio-ne di Ermete Trismegisto – il suo messag-gio segreto è la commissione, data al pitto-re Bernardino di Betto detto il Pinturicchio,di un cartone di disegno per la tarsia del

Colle, che il citato erudito Alfonso Landichiama della Virtù; ma che altri appellanoancora della Fortuna, con riferimento alla

splendida figura munitadi cornucopia che sistaglia nella parte bassadella riquadro; e chealtri ancora chiamanodella Conoscenza, enfa-tizzando il libro chiusoche reca l’immagine didonna posta alla som-mità dell’ermo colle.

Questa scena, collo-cata a metà della navatacentrale, ed idealmentecontrapposta ad Erme-te, è senza alcun dubbio

quella maggiormenterappresentativa della “spiritualità” di Mes-ser Aringhieri, una spiritualità che nulla haa che fare con quella di matrice cristiana.L’occhio dell’osservatore va immediata-mente a cogliere la enigmatica figura fem-minile collocata alla sommità di un ripidocolle, seduta su di un trono di pietra bensquadrata. Accanto a lei due personaggiidentificati da provvidenziali scritte. Si trat-ta di Socrate, colui che, per amore di verità,scelse di darsi la morte ed al quale la miste-riosa signora consegna una palma, simbolodi vittoria ma anche di martirio, come haacutamente osservato Marco Bussagli. Dallato opposto Cratete, filosofo cinico del IVsecolo a.C., raffigurato nell’atto di gettarenella sottostante massa d’acqua – forse un

22 Corpus Hermeticum, 2005: 313, Trattato XI.

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mare, forse un fiume – preziosi monili. Conla mano sinistra – la mano che è appuntodalla parte di Cratere –la ignota signora osten-ta un libro chiuso,segno di sapere nonmanifestato, nel lin-guaggio della Chiesaromana si direbbe nonrivelato. Muovono ver-so la sommità delMonte dieci personag-gi, colti in atteggia-menti molto diversi.Due soli sembranodavvero impegnati asalire gli impervi sen-tieri di quel colle acci-dentato dove allignanoanimali che strisciano,come lucertole, serpenti, tartarughe, chioc-ciole. Solo una minuscola, e pressocchèinvisibile farfalla, svolazza tra i rari fiori.

Una splendida femmina nuda, evocantele fattezze della Venere di Botticelli, si erg ealla base dell’isola, riuscendo nella diff i c i l eimpresa di mantenere un precario equili-brio, con un piede appoggiato su di una bar-chetta che sembra sul punto di affondare el’altro appoggiato su di una sfera di marmocollocata alla base dell’isola stessa. Col belbraccio sinistro levato verso l’alto sostieneuna vela rigonfiata da un vento impetuoso.Si tratta, è chiarissimo, della Fortuna, tral’altro riconoscibile perché con la manodestra regge la canonica cornucopia: quelsuo precario equilibrio è una evidente allu-sione alla instabilità della sorte che attendeogni uomo.

I personaggi ivi rappresentati, sempreche riescano nell’impresa di raggiungere la

sommità del colle, sono ipredestinati a sfogliare lepagine di quel libro che lamisteriosa signora tienerigorosamente chiuso. Sitratta di veri e propri aspi-ranti alla Conoscenza – maforse non sarebbe fuori diluogo il termine di “inizia-to” – nei quali, recente-mente, Alessandro A n g e l i-ni ha voluto riconoscerePandolfo Petrucci – all’e-poca, ossia agli inizi del‘500, Signore di Siena – e,appunto, lo stessoA l b e r t oAringhieri. Chi vuole con-

quistare la vetta del montes a l e b r o s u m,ossia sassoso, deve farsi simileai piccoli esseri viventi che lo popolano.Tutti animali che strisciano – salvo appuntoper la piccola e pressochè invisibile farfal-la, in greco p s y c h e, come l’anima – ossiache praticano la h u m i l i t a s – da h u m u s,ossia Terra – perché è solo grazie alla fran-cescana umiltà che ci si può accostare aisanti misteri. La vocazione al sacrificio diSocrate e la disponibilità a liberarsi delleproprie ricchezze materiali rappresentanoaltrettante imprescindibili condizioni perarrivare al cospetto di quella misteriosasignora e poter quindi sbirciare in almenouna delle pagine del libro che, così gelosa-mente, tiene serrato nella propria mano. Delgruppo dei dieci non tutti sembrano dispo-sti a farlo, essendoci chi si attarda in unaanimata discussione o, addirittura, chi pare

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irrimediabilmente perduto nei propri pen-sieri, seduto, forse addormentato.

La scena, dunque, del tutto avulsa rispet-to al contesto “ortodosso” della cattedrale e,caso mai, come messo inrisalto dallo Ohly, acco-stabile alla soprastantetarsia della Ruota dellaF o r t u n a2 3 – per altro ivirealizzata circa 150 anniprima – sembrerebbeuna sorta di sintesi dellesingolari “operazioni”realizzate da A r i n g h i e r i ,a mezzo di una fittaschiera di artisti chedunque rispondevano aisuoi disegni, e tutte evo-canti l’idea del mistero,delle lettere e delle leggi di Egitto conErmete; della via iniziatica, con le stazionidelle Sibille; del metodo di ricerca, cheappunto è chiamato a mettere in atto chi haavuto la fortuna di approdare nell’isola diquella Donna impassibile. Forse la Gnosi…

A giudizio di Maurizio Calvesi la tarsiasarebbe da riconnettersi, almeno comemodello ispirativo, alla celeberrima H y p n e -rotomachia Poliphili, opera forse di France-sco Colonna Signore di Preneste – ma l’at-tribuzione è molto contestata – e pubblicataa Venezia da Aldo Manunzio appena qual-che anno prima che venisse realizzata la tar-sia stessa, ossia nel 1499. Francesco Colon-na, fa ancora osservare Calvesi, appartene-

va alla grande famiglia signora di Palestri-na, città sede della Fortuna Primigenia edove si conserva tuttora il celebre mosaicodel Nilo, per altro scoperto solo nella secon-

da metà del XVI secolo24.Per parte sua Maurizio

Nicosia, nel corso di una visi-ta a Siena di qualche anno fa,ha ipotizzato, facendo riferi-mento all’intero contesto, chel’isola non sia situata in mez-zo al mare ma posta lungo ungrande fiume, quale il Nilo. Ilche potrebbe indurre ad iden-tificare la misteriosa signoracon Iside, la grande madre,detentrice dei segreti dellavita e della morte, che rappre-senterebbe così una sorta di

ideale polo opposto ad Ermete…Naturalmente si tratta solo di mere ipote-

si che necessitano di verifiche e di appro-fondimenti. Ma la suggestione è senz’altroforte.

Come un ergastolano

Di lì a poco, nell’anno del Signore 1504,Alberto Aringhieri, passava a miglior vita.La sua lapide tombale, posta esattamentesulla soglia della cappella del braccio di SanGiovanni Battista, il protettore dell’Ordinegerosolimitano ed ospitaliere al quale l’A-ringhieri stesso apparteneva, iniziata nel1482 e che sarebbe stata conclusa intorno al

23 Ohly, 1979: 38.24 Calvesi, 1988: 20-21.

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1506, è tuttora visibile. Vi si legge chesolerti cura ac industriatenne per XXIV,quale “erg a s t o l a n o ”l ’ U fficio di Operaiocostruendo, appun-to, il Sacello delDivo Giovanni. Sifece anche raff i g u-rare sulla parete diquella cappella conla classica cappa dicavaliere gerosolo-mitano, sullo sfon-do di Rodi, allorasede dell’Ordine, in atteggiamento di pre-ghiera, vistosamente ostentando un anellodalla pietra scura non infrequente in altrerappresentazioni pittoriche di valenza“alchemica”.

Secondo la tradizione anche il cavalierecon armatura e croce rossa rappresentatonello stesso luogo dal Pinturicchio – e che ilcritico Enzo Carli definì un giovane sanG i o rgio – riprodurrebbe, se non le sembian-ze fisiche, almeno quelle spirituali di questouomo straordinario. Il quale non disdegnòdi farsi rappresentare, sempre dal Pinturic-chio (si era agli inizi del 1500) e semprecon la cappa nera dell’Ordine e relativa cro-ce patente, all’interno della attigua libreriaPiccolomini, nell’affresco che riproducel’incontro avvenuto a Siena, nel 1452, tra

l’imperatore Federico III ed Eleonora diPortogallo, auspice l’allora Vescovo della

città Enea SilvioP i c c o l o m i n i2 5. Nul-la di strano se nonil fatto che, all’epo-ca, il nostro cava-liere aveva appena5 anni…

D’altra parte, dauno che aveva avu-to l’ardire di farinserire, tra le 172teste dei pontefici

collocate sulla som-mità dei pilastri della Cattedrale, anche lapapessa Giovanna, giudiziosamente rimos-sa solo nel 1600, questa “intrusione”storicaera davvero il minimo26.

Al di là di ogni considerazione resta lapresenza e l’azione di questo uomo straor-dinario sicuramente in possesso di cono-scenze non comuni e tutt’altro che ortodos-se per Siena e la cristianità e che, per alme-no un paio di decenni, esercitò una notevo-le influenza sulla cultura cittadina rappre-sentando, in certo senso, il lato nobile,socialmente di spicco e raffinato di una cul-tura “altra” che apriva al tempo dellamodernità incalzante; della indagine intor-no ai segreti della natura; dell’esperimentodestinato a transitare dal gabinetto del magoal laboratorio dello scienziato.

25 Carli, 1979: 123.26 Kelly, 1992: 773.

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Riferimenti bibliografici

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Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofoocculto” nella Siena del tardo Rinascimento

di Patrizia Turrini

Archivio di Stato di Siena

In this contribution a case of “black magic” is described; it happened in Siene inthe middle of 1500 and two are the main characters: the magician, Scipione Zon -dadari, is a young man of the high society, to degree in Law; the victim is CesareCampani, the Bishop’s assistant, professor of Canonical Right in the city’s office.From the distrained manuscript and from the trial with torture made against him,we can know that the young and reckless Scipione did not practice only magicalarts, but also that he was full of a Pagan culture; in fact he looked up to texts liketheC l a v i c u l a Salomonis and the De occulta philosophia by Cornelius Agrippafrom Nettesheim and he attended the “lessons” of two friars, a priest and a philoso -pher/herbalist who devoted themselves to occultism, esotericism and astrology.

Un secolo intenso

l XVI secolo fu un periodo di grandisconvolgimenti, politici, sociali,economici. La scoperta del Nuovo

Mondo, il completamento del processo diformazione degli Stati nazionali, i sommo-vimenti all’interno dell’Impero rappresen-tarono altrettante cause di forti cambiamen-ti e di altrettanto forti tensioni. La Chiesaromana, naturalmente, non resta immune da

questo processo di mutazione. È, in primoluogo, chiamata a combattere – o si potreb-be dire difendersi? –, unitamente ai governirimasti nell’area di influenza cattolica, con-tro la “pestifera heresia luterana” che, dopol ’ a ffissione a Wi t t e n b e rgdelle “fatidiche”novantacinque tesi, si espande, come unincendio indomabile, in tutta Europa.

Tuttavia i successori di Pietro non devo-no fronteggiare solo gli assalti dei riforma-tori. In contemporanea, infatti, un altro

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preoccupante fenomeno comincia ad assu-mere dimensioni sempre più ampie e, quin-di, sempre più inquie-tanti. Si tratta dellacultura magica che,per usare una espres-sione di Franco Car-dini, si faceva stradaanche appoggiandosiall’insorgente imper -tinenza di un saperesempre più laico en a t u r a l i s t i c o, in con-comitanza con l evecchie superstizioniche anzi parevanocorroborate dal rina -scere della culturaclassica1.

Non vi è allora alcun dubbio, da questospecifico punto di vista, che il clima diaccese dispute religiose, scardinando le cer-tezze della (e nella) Chiesa romana cattoli-ca, favoriva lo sviluppo e la diffusione del-le concezioni magico-filosofiche. Tanto piùse innestate in una dimensione culturale chetendeva ad esaltare, sulle orme di MarsilioFicino e di Giovanni Pico della Mirandola,la dignità del microcosmo umano, il suodiritto-dovere, in quanto artefice della pro-pria fortuna, di penetrare nei più ripostimisteri della natura e della vita, superandoormai le barriere teologiche che, seppurecon alcune eccezioni, l’istituzione ecclesia-le aveva opposto alla ricerca e in particola-re a quella scientifica per tutto il Medioevo.

Vi è, dunque, una vera e propria ansia disapere, di conoscere, di apprendere, andan-

do oltre gli scontati ste-reotipi fissati da discipli-ne sclerotizzate ed ormaiinservibili per la com-prensione del mondo. Diun mondo nuovo ed increscente fermento, aff a t-to diverso da quello cheavrebbero auspicato inve-ce i detentori di un potere– ecclesiastico, istituzio-nale, economico – semprepiù messo in discussione.

A Siena questo deside-rio di nuovo aveva trova-to una importante sponda

nelle vicende di Alberto Aringhieri, l’Ope-raio della Cattedrale che aveva introdotto incittà – verosimilmente sviluppandola all’in-terno di una cerchia iniziatica composta dapersonaggi di alta levatura intellettuale – lacultura ermetica, con la propria unitariainterpretazione del mondo e delle cosesecondo gli insegnamenti di Ermete Tr i-smegisto incisi, ad uso e consumo di queipochi in grado di comprendere, sui marmidella Cattedrale dell’Assunta.

Magia cerimoniale, per conoscere ecomandare la Natura

Ma il sacro fuoco della conoscenza nonviene acceso solo dalla scintilla della gnosiermetica. Anche la magia, sempre coltivata

1 Cardini, 1993: 111.

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in città e non di rado ad uso e vantaggio del-le stesse istituzioni pubbliche che implicita-mente ne riconoscevano lafunzione sociale, conosceun momento di straordi-nario vigore. E non si trat-ta solo della vecchia, cara,rassicurante (almeno finoa una certa epoca) magianaturale, quella delle erbee delle pozioni, praticataab immemorabilia d amaliarde e facitrici chesan Bernardino, nellapiazza del Campo, bolla-va come diaboliche stre-ghe. Quanto, piuttosto,della nuova magia cerimo-niale, intesa e vissuta come una vera e pro-pria scienza, con tanto di rudimenti teorici edi declinazione pratica.

Esemplare, in tale contesto, la vicendaqui ricostruita: un caso di “magia nera”verificatosi a Siena attorno alla metà delCinquecento, di cui chi scrive ha recente-mente rintracciato, tra le carte nell’Archiviodi Stato, gli atti processuali2. Dunque unaconcreta testimonianza di “devianza”, capa-ce di offrire il destro per alcune riflessionisulla diffusione, nell’ambiente universitarioe in quello monastico/clericale, di vari testi“proibiti” – quali la Clavicula Salomonis3 e

il De occulta philosophia di Cornelio A g r i p-pa di Nettesheim4 –, nonché sulla presa di

queste teorie, comepure delle pratichead esse connesse.

Tra il settembre1550 e la primaveradel 1551 il capitanodi giustizia Giovan-ni Andrea Cruciani,un nobile nativodella provincia diRieti, sottoponeva adetenzione e pro-cessava, ricorrendoanche alla tortura,un giovane (all’epo-

ca aveva ventitreanni) laureando in legge: Scipione Zonda-dari, il cui padre Marcantonio era un notouomo di cultura, insegnante di greco e lati-no nello Studio senese, attivamente impe-gnato nel governo cittadino. Tra l’altro, daimagnanimi lombi della famiglia Zondadari,sarebbe nato, nella seconda metà del Sei-cento, il cardinale Anton Felice, figlio diAgnese Chigi – dei Chigi di papa A l e s s a n-dro VII – che avrebbe attivamente parteci-pato alla preparazione della bolla In emi -nenti (1738), la prima delle tante condannecomminate dalla Chiesa romana a caricodella Società dei Liberi Muratori.

2 Per le vicende di Scipione Zondadari e per i procedimenti giudiziari in cui fu coinvolto rinvio aTurrini 2003.3 Per i successivi riferimenti, rimando al testo del 1989 Il vero libro del ’500, la Clavicola di Salo -mone, tradotto in italiano da Pietro Bailardo a Roma nel 1750, Catania.4 Per i successivi riferimenti, rimando a Cornelio Agrippa 1988.

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• 92 •NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

Una immagine di cera con spilli, invol -ta in uno panno lino

L’accusatore di Sci-pione, Cesare Campa-ni, vicario generaledell’arcivescovo diSiena e professore didiritto canonico, erastato colpito, a suodire, da una stranamalattia all’inizio delmese di agosto delprecedente anno1549:era in lecto già piùmesi e si consuma[va]a pocho a pocho. Lamalattia era stata attri-buita dalla voce popo-lare, ma anche dallostesso Cesare, a u n amalìa [ c h e ] li è stataf a c t a. Nel dicembre 1548era stata, infatti, rinvenuta sulla soglia dellacasa dove Cesare abitava con suo padreNiccolò, parroco di San Salvadore, u n aimmagine di cera con spilli in essa, involtauno panno lino con certi pezi di saia gialla,preparata secondo il libello dell’accusatore(e anche secondo alcuni testimoni) dal gio-vane Zondadari, il quale a lungo si era fintoun amico della vittima, mentre nutriva ver-so di lui sentimenti da implacabile nemico.

Le vicende di cui fu protagonista Scipio-ne – con sviluppi successivi fino al 1557 econ una seconda detenzione per gli stessimotivi – inserite nel particolare clima cheprecedette di poco la fine della Repubblicasenese, costituiscono un caso emblematico

per la “strana” mescolanza che presentanodi magia popolare e filosofia occulta.Mescolanza di cui danno prova non solo

l’aspirante mago nellesue letture e nei suoirituali, ma anche le vit-time: dal canonico egiurista Cesare Campa-ni, alla serva Giomamorta (così dicono piùtestimoni) per averetoccato la statuina dicera, e ancora al nobileAlessandro Ugolini,uomo d’armi nemico didue speziali, i fratelliRettori, strettamentelegati insieme a unaloro sorella a Scipionee a una delle sue sorel-le. Tutti colpevoli,secondo le accuse del-

l’Ugolini – ma le due gio-vani donne di buoni natali rimangono ano-nime nei verbali dell’interrogatorio – diavere concertato una “malìa a morte” con-tro di lui. Le male arti di Scipione avrebbe-ro colpito anche Alessandro Branchini, col-pevole di non averne impalmato la sorellapreferita, e Francesca, l’altra sorella dellostesso Scipione, sterile e in cattiva salute(forse Scipione ne desiderava la morte perriprendersi la dote?, come insinuava ilcognato Alessandro Vieri); e ancora il musi-co Luzio, creditore del giovane mago emisteriosamente morto; ed una maturavedova di Macerata che, “ammaliata” dallostudente senese in trasferta, aveva cedutoalle sue profferte amorose.

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• 93 •Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofo occulto”, P. Turrini

Nelle carte processuali si contrappone dauna parte il fronte degli accusatori, compo-sto da alcuni nemici implaca-bili di Scipione – le vittimedelle sue presupposte malìe –sussidiati dall’e n t o u r a g e d iCesare Campani (studenti,vicini di casa, i servi e anchela sua amante); dall’altra ilfronte dei difensori, più chealtro numerosi professori del-lo Studio, colleghi e amici diMarcantonio padre dell’im-putato. Oltre a questi furonoascoltati alcuni legali impli-cati a vario titolo nella vicen-da e uno stuolo di medici cheavevano curato, o meglio ten-tato di curare, il Campani.

Non solo donnicciole

Secondo i medici Cesare era affetto da“melancolia” o “lipemania”, una sindromea ffettiva caratterizzata da tristezza morbosae ostinata, un pessimismo invincibile, unsenso profondo di sfiducia e di avvilimento,che paralizza l’azione. La malattia, che simanifesta talvolta in fasi cicliche, alternatacon l’esaltazione maniaca, era senz’altrodifficile – o meglio impossibile – da curareper la medicina protomoderna. Una aff e z i o-ne sicuramente non inconsueta nella socie-tà del tempo, come testimonia eloquente-mente la straordinaria immagine dell’ange-lo pensoso, sullo sfondo di un sole (forse)morente, realizzata con evidenti citazioni dicarattere alchemico dal genio di A l b r e c t hDurer, più o meno in quegli anni.

Al processo avviato contro Scipionefurono chiamati a testimoniare anche alcu-

ni giovani della buonasocietà, prima amici –o meglio “sudditi” –dell’accusato con cuiavevano condiviso ritinegromantici, con tantodi evocazione delleombre dei morti, e orain rapporti freddi conlui, per paura di risvol-ti giudiziari. A t t r a v e r s ovarie testimonianze siha notizia del coinvol-gimento nella vicendadi alcuni esperti in artimagiche, fra cui duefrati e un chierico: Sci-pione Zondadari avevainfatti seguito le “lezio-

ni” di un certo frate Fran-cesco (un francescano) e di un non meglioidentificato frate domenicano. Era inoltre incontatto con il chierico Lattanzio Pucciniche coltivava interessi esoterici e astrologi-ci nella sua abitazione in Fontebranda.E m e rge inoltre la figura di Vincenzo d’A-chille (o Achilli), mago, erborista e filosofo,chiamato in causa da più testimoni e dallostesso imputato come maestro di Scipione.

La brutta storia in cui è caduto ScipioneZondadari testimonia quindi – per la pre-senza di questi personaggi colti, che prati-cano la magia come se fosse una normalescienza, con ricorso a vere e proprie formedi sperimentazione concettualmente nondissimili da quelle tipiche degli scienziati

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• 94 •NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

tout court – l’esistenza a Siena, in quel par-ticolare clima di cambiamenti istituzionali,anche dolorosi, della fine della Repubblica,di uno straordinariob a c k g r o u n d c u l t u r a-le favorevole allosviluppo di certe“cose”. Se le malìepraticate dal giovanemago non si spiega-no infatti senza unosguardo alla lungastoria della strego-neria senese, si evin-ce comunque, dallaintera vicenda, chela cultura esotericanon era solo magiapopolare ad uso econsumo della gentesemplice e superstiziosa. Era, invece, ancheun’antropologica visione del mondo chea ffascinava le classi colte, già “contamina-te” dalle idee riformate. Scipione si dilettacerto nella pratica della “magia contagiosa”,con largo impiego di statuine di cera comequella che provoca la morte di una poveraserva e i malesseri di messer Cesare Cam-pani, ma soprattutto – come risulta da inter-rogatori, testimonianze e sequestri di mano-scritti e libri nella sua camera – è un accani-to lettore di importanti testi esoterici cheevidentemente, anche grazie alla invenzio-ne della stampa, cominciano ad avere unad i ffusione sempre più massiccia, in speciepresso i ceti sociali più elevati.

Una occulta interpretazione del mondo

Tra le opere più consultate dal giovanemago spicca il De occulta philoso -

p h i a di Cornelio Agrippa di Net-tesheim, un testo in latino e con-cettualmente difficile a causa del-la straordinaria erudizione del-l’autore, e pertanto tutt’altro cheadatto per lettori di scarsa cultura.Scrive infatti Cornelio che chidesidera occuparsi di magia nonpuò ignorare i segreti della fisica,della matematica, della teologia,perché la magia è

una scienza poderosa e miste -riosa che abbraccia la profondis -sima contemplazione delle cosepiù segrete, la loro natura, la

potenza, la qualità, la sostanza, lavirtù e la conoscenza di tutta la natura.E c’insegna in quale modo le cose diffe -riscano e si accordino tra di loro, produ -cendo perciò i suoi mirabili effetti, unen -do la virtù delle cose con la loro mutuaapplicazione e congiungendo e dispo -nendo le cose inferiori passive e con -gruenti con le doti e le virtù superiori.

E ancora perché

la magia è la vera scienza, la filosofiapiù elevata e perfetta, in una parola laperfezione e il compimento di tutte lescienze naturali5.

5 Cornelio Agrippa 1988: 4.

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• 95 •Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofo occulto”, P. Turrini

Come attestano le carte processuali, Sci-pione Zondadari si era dunque imbevuto diquesta cultura dotta di segno pagano, alter-nativa a quella propria dell’ortodossiaecclesiale e per questo riservata, nascosta,anzi, in coerenza con lafilosofia di A g r i p p a ,occulta, anche perchéincomprensibile allagente comune.

Operare magicamen -te, secondo gli inse -gnamenti di Salomone

Tuttavia Scipione nonera solo un “filosofoocculto”: quello che compie all’interno diun’umida e tenebrosa cantina della città diSiena, posta sotto la chiesa di San Salvado-re, è infatti un vero e proprio rito di “magiacerimoniale”. Sulla scorta dei dati che ripor-ta il processo, si può escludere che le opera-zioni in questione fossero state condotte sultesto di Agrippa che, come rileva A r t u r oReghini, ha un carattere eminentemente“espositivo, dottrinale”, quindi non stretta-mente operativo, nel senso dell’operativitàm a g i c a6. È allora verosimile che tutta lacerimonia imbastita nella cantina di CesareCampani fosse stata ricavata dalla lettura diLa Clavicola di Salomone, uno dei più anti-chi e noti testi di magia, ricompreso tra inumerosi manoscritti e i libri sequestrati al

giovane mago. L’opera, di origine ebraica,anche se forse almeno una parte degli inse-gnamenti magici dell’antico re d’Israeledoveva circolare già nella Roma dell’impe-ratore Vespasiano, si era diffusa in Europa

intorno alX I I - X I I Isecolo, pro-v e n i e n t ep r o b a b i l -mente daBisanzio; inseguito erastata rima-neggiata inlatino, di

nuovo tradot-ta in ebraico, tenendo conto anche degliinflussi dei dotti arabi, infine nel Cinque-cento presentata in italiano per un ipoteticoduca di Mantova7. Pertanto – proprio per illungo processo di contaminazioni e rima-neggiamenti – questa opera costituiva perScipione Zondadari e i suoi contemporaneiil compendio massimo della cultura ebraica,araba e cristiana in materia di magia. Lafigura di Salomone aveva così assunto, nel-l’immaginario comune, tutte le caratteristi-che idonee a costituire una sorta di v i v e n si m a g o della magia. Seguendo i (presunti)insegnamenti di La Clavicula l ’ o p e r a t o r e ,quale era appunto Scipione, sarebbe stato ingrado di possedere la “piccola chiave” (c l a -v i c u l a) di accesso alla magia: comandare

6 Ibidem.7 de Givry, 1976: 74-75.

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• 96 •NEI GIARDINI DI TOTH: CULTURA ERMETICA ED ARTI MAGICHE A SIENA NEL RINASCIMENTO

cioè ai demoni, nuocere ai nemici, ottenerericchezza, fama ed amore, solo che fosserostate eseguite esattamen-te le istruzioni, fattoricorso all’antica linguadi Salomone, usati glioggetti raccomandati.

Se si legge attenta-mente la C l a v i c u l a8 s iritroverà allora tutto ilcomplesso rituale e lospecifico armamentariousato dal giovane magosenese. Anzitutto il luo-go, per il quale è impor -tante [ … ] sia [ … ] c h i u -so [ … ], non abitato daa l c u n o, esattamentecome la buia cantina deiCampani. Quindi l’ora degli esperimentiche è più sicuro farli di notte, giacché glispiriti vengono più facilmente nel silenziodella notte. Nel testo esoterico ci sono tuttigli oggetti impiegati nel rito che portò Sci-pione in carcere: il “breve”, realizzato vero-similmente su di una pergamena verg i n e ,ossia fatta con bestie che mai hanno genera-to, secondo un rituale di preparazione com-plicatissimo; l’incenso e la mirra, che ser-vono alle fumigazioni profumate, mentre lozolfo è necessario per quelle fetide; quindila cera, indispensabile sia per fare immagi -ni o candele necessarie a parecchie arti ede s p e r i e n z e e che deve essere vergine, ossiamai usata, oltre che, naturalmente, consa-

crata secondo una precisa formula che ini-zia con Eutabor, Natabor, Sintacibor, Ado -

nay, On Lazamon, Terra -nes cos Philodes; infine ic i r c u l a che, sicuramente,appartenevano alla catego-ria dei cerchi magici usatiper la consacrazione deipentacoli, ossia per crearegli amuleti di metallo dicui nel testo esoterico vi ègrande dovizia di esem-plari, ma anche per pro-teggere l’evocatore dalleforze che si intendonosuscitare, forze diabolicheche mettono a rischio lavita stessa dell’operatore,

il quale pronunzierà lo scon-giuro, i carmina del processo di Scipione.

Infine un’annotazione sui “tempi” del-l’incantesimo di Scipione che va dal 24 digiugno, la notte di san Giovanni cara allestreghe che nella complice oscurità di quelgiorno raccoglievano le magiche erbe mas-simamente cariche di benefica v i s, al 5 diagosto. In quel giorno cade la festività dedi-cata a Sant’Emidio, di cui la P a s s i o r a m-menta il miracolo della guarigione dellafiglia di Graziano, paralitica e sofferente diperdite di sangue, e di un cieco al quale vie-ne ridonata la vista, rievocando anche lacredenza dei sacerdoti pagani certi che Emi-dio fosse una sorta di reincarnazione del diodella medicina Esculapio9. Forse proprio

8 Il vero libro del ’500, cit., passim.9 Cattabiani, 1993: 337-338.

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• 97 •Scipione Zondadari, giovane mago e “filosofo occulto”, P. Turrini

per questa fama Scipione aveva fissato il 5di agosto come il tempo della guarigione diCesare Campani, se veramente lo volevaguarito, come si affanna-va a ripetere, durante gliinterrogatori, al capitanodi giustizia Cruciani neltentativo di discolparsi.

Prima della messa infunzione della macchinadell’Inquisizione roma-na postridentina1 0 e r a n ospesso le autorità laichea reprimere il fenomenodella magia/stregoneria.Nel 1550 il capitano di giu-stizia Giovanni Andrea Cruciani, almenonel processo Zondadari, non portò fino infondo le gravi accuse scagliate da più testi-moni contro Scipione il quale, grazie allasua gioventù e correlata forza fisica, sepperesistere alla tortura negando qualsiasi col-pa. Per il vigente statuto senese resisterealla tortura “purgava”, infatti, dall’accusa11.Inoltre la personalità, lo stato sociale e lemolte amicizie del padre Marcantonio con-tribuirono a salvare il figlio.

Neppure alcuni anni dopo, nel 1556, lamagistratura dei Quattro segreti di Balìavolle giungere alle estreme conseguenzeinsite nell’accusa di “magia nera” rivolta dinuovo a Scipione. Ci si limitò a quella che

era intesa come una salutare detenzione, inmodo che lo Zondadari abbandonasse,finalmente, i suoi pericolosi interessi esote-

rici e le relativepratiche magiche.Anche in questocaso la posizionesociale dell’impu-tato, le accoratesuppliche deifamiliari, tra cui ladisperata madreCaterina ormaivedova di Mar-cantonio, e soprat-

tutto la mancanza di“prove certe”, nonché il “palese odio” degliaccusatori (tra i quali, probabilmente, Cesa-re Campani, di nuovo ammalato di “melan-colia”) devono avere pesato sulla mancataformalizzazione della condanna salvandocosì, ancora una volta, Scipione, che sareb-be stato scarcerato l’anno successivo dopouna “salutare” detenzione.

In finis

La vicenda umana e giudiziaria di Sci-pione Zondadari, unitamente a quella cor-relata del vicario vescovile Cesare Campa-ni del tutto convinto di essere vittima diuna malìa, costituisce comunque un’evi-

10 In realtà l’istituzione della Congregazione cardinalizia del Sant’Uffizio risale alla bolla papaleLicet ab initio del 15 luglio 1542, tuttavia è difficile precisare la data in cui fu effettivamente e in modo uni-forme messa in funzione l’Inquisizione Romana nei vari Stati italiani, con le resistenze e i patteggiamentiche ne dilazionarono ovunque l’introduzione. Così Prosperi, 1991: 27-64 (pp. 40-41).11 Su questo punto, v. Ascheri, 1993: Dist. III, cap. 27, p. 292.

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mente successivi, si sarebbe innestata lavicenda dei Sozzino, Fausto e Lelio, rifor-matori religiosi, convinti sostenitori che laconoscenza, nelle sue diverse espressioni,fosse la forma di preghiera più graditaa l l ’ A l t i s s i m o .

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dente testimonianza degli interessi magicied esoterici coltivati a Siena in periodo tar-do-rinascimentale dall’é l i t e nobiliare e cul-turale. E conferma la estrema fertilità di untessuto sociale molto vivo sul quale, pro-prio in quegli anni ed in quelli immediata-

Riferimenti bibliografici

Il vero libro del ‘500, la Clavicola di Salamone, tradotto in italiano da Pietro Bailardo aRoma nel 1570, Catania, 1989.

Ascheri, M. (1993 ) (a cura di) L’ultimo statuto della Repubblica di Siena (1545), Accade-mia Senese degli Intronati, Siena.

Cardini, F. (1993) Le “novelle di magia” di Giovanni Sercambi, in Le mura di Firenze i n a r -gentate, Palermo.

Cattabiani, A. (1993) Tutti i Santi d’Italia, Milano.Cornelio Agrippa (1988) De occulta philosophia, vol. I, con I n t r o d u z i o n e di A. R e g h i n i ,

Milano.de Givry, G. (1976) Il tesoro delle scienze occulte, Milano.Prosperi, A. (1991) Per la storia dell’Inquisizione romana, in L’Inquisizione Romana in Ita -

lia in età moderna. Archivi, problemi di metodo e nuove ricerche, atti del seminario inter-nazionale, Trieste, 18-20 maggio 1988, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 19,Roma.

Turrini, P. ( 2003) “De occulta philosophia”. Cultura accademica e pratiche esoteriche e Sie -na alla metà del XVI secolo, “Documenti di storia”, 47 (con un commento di V. S e r i n o ) ,Siena.

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Segnalazioni editoriali

3/2005H I R A M

La storia della Massoneria non inizia in Te rra Santa, né in Egit -

to, Grecia o Roma, ma qui in Inghilterra e può essere fatta

risalire alla metà del XIV sec.

Queste parole si trovano nel testo Grand Lodge 1717-1967, pub-blicato in occasione del 25mo anniversario della Gran Loggiad’Inghilterra. In generale possiamo essere d’accordo con questaa ffermazione, ma vorremmo aggiungere ad essa alcune pre-cisazioni. Innanzitutto, si sa bene che la nascita della Massone-ria operativa è strettamente legata alla costruzione delle catte-drali medievali nell’Europa Occidentale. Dopo più di trecento anni di grandi attività,questo periodo costruttivo terminò durante la seconda metà del XIV sec. Così dovrem-mo collocare la nascita della Massoneria almeno un secolo prima. In secondo luogo, lacostruzione delle cattedrali e tutto quello che aveva a che fare con esse, si sviluppò apartire dalle cosiddette “Scuole episcopali”. Tali scuole erano diffuse soprattutto inFrancia e Inghilterra, ma la più importante venne fondata agli inizi dell’XI sec. aChartres nella Francia centrale e mantenne una posizione di preminenza nell’arco ditrecento anni.A quel tempo, la Francia e l’Inghilterra del Medioevo erano molto più ricche direlazioni di quanto non accada ora: nel sud e nell’ovest della Francia intere provinceappartenevano alla Corona d’Inghilterra. Più avanti scopriremo come la cattedrale diCanterbury in Inghilterra venne quasi del tutto prefabbricata in Francia e poi trasporta-ta pietra per pietra sull’altra riva del mare. Infine, possiamo trovare tra i più famosiinsegnanti della Scuola di Chartres persone come John di Salisbury, che aveva originiinglesi.

Strumenti di lavoro nella Massoneria delle originiEdizioni Gout+Gout, New York, pp. 51. 4,95

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SEGNALAZIONI EDITORIALI• 100 •

3/2005H I R A M

La Massoneria è una filosofia, una religione, una setta? Esiste unsegreto massonico? Quali sono le vere origini di questo movi-mento? Lontano dalle idee preconcette e dai fantasmi a propos-ito del potere occulto dei massoni, un iniziato ci fa scoprirequesta fratellanza che, discretamente, si è rivelata essere una viaoriginale, nel mezzo tra il mondo dell’esoterismo e quello del-l’impegno politico.

La presente opera ripercorre la storia di un movimento di pensiero misconosciuto e pro-pone un’esposizione di elementi chiari e ben comprensibili. Le obbedienze, le logge, iriti e i simboli che i massoni celebrano e dei riferimenti utili: ecco un testo completo epreciso illustrato con incisioni, fotografie e disegni spesso ancora inediti.

JACK CHABOUD

La franc-maçonnerie. Histoire, mythes et réalités.Edizioni Librio Inédit, Parigi, 2004, pp. 94. 2,00

Uscire da una visione polemica o agiografica della Massoneriaè la condizione necessaria per comprendere la natura el’evoluzione di questo insieme di associazioni che vanno sotto ilnome di Grande Loggia oppure Grande Oriente. Per qualiragioni un uomo o una donna entrano a far parte di una loggiamassonica? A cosa fa riferimento la tradizione iniziatica nellaquale si inseriscono? Come fanno ad apprendere i riti e i segreti?

Si tratta di un’“obbedienza” teista, deista o agnostica? “Regolare” oppure “liberale”?Maschile, femminile o mista?

SÉBASTIEN GALCERAN

Les franc-maçonneries (XVIII-XXI sec.)Edizioni La découverte, Parigi, 2004, pp. 117.

Se allora dovessimo riscrivere le prime parole di questa introduzione, potrebbero esserequeste: “la Massoneria nacque nel Medioevo in concomitanza con la costruzione dellecattedrali medievali e le scuole episcopali che ebbero la responsabilità di costruirle. L’ o-rigine deve essere cercata in Francia o Inghilterra, due paesi che erano strettamentelegati a quel tempo”. Bisogna aggiungere che gli studiosi non saranno mai in grado ditracciare l’origine esatta della Massoneria, né nello spazio né nel tempo.

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[...] l'assunto centrale della teoria della guerra giusta - di Vi t o r i a ,ma anche a quelle più vicine a noi nel tempo -, ovvero che siapossibile anche se non facile giustificare il male (la guerra), nor-marlo e limitarlo, a fin di bene, cioè di pace, corre il rischio dinon risultare quello che vuole essere, cioè un discorso criticosulla guerra, e di rovesciarsi invece nell'opposto, ossia di essere attratta nella logica del-la potenza politica e di rivelarsi infine un discorso della guerra, un'ennesima giustifi-cazione dell'antica schiavitù del conflitto armato, una funzione di autolegittimazione

• 101 •SEGNALAZIONI EDITORIALI

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Uno spettro si aggira per l’Europa: il relativismo, cioè il dogmache non c’è nessun dogma. Chierici e laici hanno stretto una san-ta alleanza in nome dei nostri valori e delle nostre radici. Forsenon sanno che dietro quel fantasma ci sono il corpo dell’indi-viduo, la libertà della ricerca, le garanzie dei diritti e la stessagenuinità della fede. Tutto cancellato, se vince il progetto deiteo-con? Affatto, se il laico ha non solo la volontà di reagire maanche la forza di attaccare. Non questa o quella chiesa, ma la “presunzione di infalli-bilità” che può viziare qualsiasi istituzione o comunità, compresa quella degli anticle-ricali. Essere laico vuol dire non solo esercitare l’arte del sospetto ma anche agire peruna solidarietà che non ha bisogno di fondamento.

GIULIO GIORELLO

Di nessuna chiesa. La libertà del laico.Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, pp. 79. 7,50

Grazie ai contributi della ricerca storica e sociale anglosassone e francese, questo testotraccia la genesi di alcuni gruppi di appartenenza sulle isole britanniche e tratta dellaloro esportazione sul continente europeo nel XVIII sec. Permette di comprendere comela sociabilità massonica si è costituita in Francia all’interno di uno spazio sociale rela-tivamente autonomo. Alcuni schemi analitici consentono di cartografare questo spazioe di considerare la sua dimensione internazionale.

FRANCISCO DE VITORIA

De iure belliTraduzione, Introduzione e Note di Carlo Galli. Con testo latinoa fronte.Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 111. 10,00

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[...] Così, come per altri giuristi che lo avevano preceduto, daGiovanni da Legnano e Martino Garati da Lodi, e ad altri che loseguiranno, Juan López da Segovia s’inserisce tra i predecessoridell’opera di Ugo Grozio che darà nuove soluzioni al pro- ble-ma nel De iure belli ac pacis, pubblicato nel 1625, aperto alla

corrente giusnaturalistica, ad una concezione diversa della sovranità e dello stato e allateorizzazione di una legge che possa regolare i rapporti tra gli stati sovrani. Preceden-ti noti e ritenuti talvolta di scarso rilievo, ma che in realtà rappresentano uno sfondosignificativo e non trascurabile dal quale l’opera del Grozio si distacca.Lo studio di Vico Allegretti propone come analisi centrale la struttura e i caratteri delTr a c t a t u s del López, secondo il testo tramandato dall’edizione che appare nella raccol-ta cinquecentesca del Tractatus universi iuris curata dallo Ziletti, confrontata con l’edi-zione senese del 1496.L’indagine di dipana attraverso un’attenta analisi delle a u c t o r i t a t e s che sorreggono lea rgomentazioni dell’autore e delle soluzioni adottate. Riferimenti e spunti alle dottrinepolitiche, filosofiche e teologiche del tempo aprono prospettive di singolare spessorenell’ottica di un’accurata ricostruzione del problema della guerra nel tramonto di un’e-poca. All’interesse per la riemersione di un’opera trascurata nel ricordo dei posteri, sidevono aggiungere le notizie sul profilo biografico del giurista spagnolo, ricavate ancheda fonti inedite, che arricchiscono il pregio del volume.

dalla presentazione di Adriana Campitelli

SEGNALAZIONI EDITORIALI• 102 •

3/2005H I R A M

VICO ALLEGRETTI

Il Diritto di guerra nel XV secolo. Il Tractatus de bello etbellatoribus di Juan López († 1496).Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, Roma, 2003, pp.246. 20,00

interna - per di più, inconsapevolmente - al nichili- smo occidentale, ormai planetario.[...] L'idea, largamente condivisibile, che sia moralmente doveroso razionalizzare e pacifi-care la politica internazionale, e accedere a forme di cooperazione tra le nazioni, non puòcoincidere, oggi, con la teoria della guerra giusta; semmai, il compito che ci attende è con-siderare la giustizia, più che come metro oggettivo della guerra giusta, come processo diemancipazione reale dell'umanità dalle ingiustizie che costituiscono la trama delle relazioniinternazionali: un processo che si fonda sulla comprensione della storia e dei contesti con-creti più che sull'a priori della giustizia; un processo, infine, al quale può a volte non essereestranea la violenza, legittimata, però, più che da astratte istanze morali, da puntuali esi-genze contingenti.

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• 103 •SEGNALAZIONI EDITORIALI

3/2005H I R A M

Editoriali e commenti

Discorso del Presidente della Repubblica in occasione del 25aprileDulce et decorum est pro Patria mori di Renzo Brunetti

Come si difende una Costituzione di Pietro Caruso

I duecento anni del Grande Oriente d’Italia di Gustavo Raffi

Le ragioni del “Sì” di Carlo Flamigni e Maurizio Mori

Saggi e interventi

Primo RisorgimentoDickens, Mazzini e il finto Mazzini di Michele Finelli

“Upon Democracy”, i pensieri mazziniani di A.M. Lazzarino Del Grosso

L’Eroe dell’Ideale. Giuseppe Garibaldi per la pace di Alessio Sfienti

Garibaldini alle Argonne di Silvio Pozzani

Secondo RisorgimentoResistenza mazziniana di Mario Proli

I caduti del P. D’Azione alle Fosse Ardeatine a cura di Luca Bagatin

Discorso di Calamandrei a Cuneo del 21 dicembre 1952 a cura di P.M.

Terzo RisorgimentoLa ricerca su gli embrioni di Andrea Chiti-Batelli

Sulla tolleranza di Maria Laura Lanzillo

Il pacifismo di Cassola di Gianni Bernardini

La pace ragionata di Luigi Bisicchia

La solitudine dei personaggi di Germi di Piergiovanni Permoli

Cultura e società

Una bella iniziativa della Domus di Roberto Balzani

Padova e le 100 città sorelle di Pietro Caruso

Un monumento a Mazzini di Cristina Vernizzi

Studi repubblicani

Crisi della democrazia e cesarismo di Federico Tirocini

Mazzini e la critica letteraria di Luca Platania

Giovanni Spadolini e le funzioni Costituzionali del Presidente del Consiglio deiMinistri di Enrico Albanesi

IL PENSIERO MAZZINIANOAnno LX - numero 1 - Gennaio-Aprile 2005

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SEGNALAZIONI EDITORIALI• 104 •

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Libri Cultura e Società

Riletture a cura di P.M.

L’opzione di Pietro Caruso

Scelta ragionata di Roberto Balzani

Fra gli scaffali, recensioni a cura di P.M.

Il volume raccoglie i contributi presentati nell’ambito del con-vegno svolto a Bologna il 21 ottobre del 2004, in occasione del60° anniversario della battaglia dell’Università (20 ottobre1944).Negli scontri tra giovani partigiani e nazifascisti – che ebbero come teatro l’Ateneobolognese – trovarono la morte sei giovani partigiani dell’Ottava Brigata Giustizia eLibertà.Partendo da questa vicenda, ripercorsa anche attraverso diverse testimonianze dirette,finora inedite, i saggi vogliono evidenziare il ruolo che i giovani –e in particolar modogli studenti – ebbero nella lotta contro i fascismi, estendendo l’analisi anche al casospagnolo e all’opposizione dei movimenti universitari al franchismo e al caso esem-plare dei giovani studenti della Rosa Bianca, caduti nella lotta di resistenza al nazismo.L’incontro di studio è stato promosso dall’Archivio storico dell’Università di Bolognae dal Dipartimento di Discipline storiche ed è stato coordinato da Gian Paolo Brizzi,professore di Storia moderna e Direttore dell’Archivio storico.

STUDENTI PER LA DEMOCRAZIALa rivolta dei giovani contro il nazifascismo.Scritti di P.U. Calzolari, S. Cofferati, G.P. Brizzi, F. BertiArnoaldi, L. Casali, D. Gagliani, M. Peset, C. Natoli; a cura diGian Paolo Brizzi.Edizioni CLUEB, Bologna, 2005, pp. 117. 11,00

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Quando nel 1998 Massimo Della Campa, Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’I-talia, avvocato in Milano, Presidente della Società Umanitaria e benemerito per molte altreiniziative civili e sociali, pubblicò con Giorgio Galli, noto politologo e giornalista, pressol’editore Franco Angeli il libro La Massoneria Italiana, si aprì una felice stagione di rifles-sioni sulla nostra storia recente e meno recente. Per troppo tempo il fumo delle allusioni edei dubbi calunniosi, nonché le nebbie dei silenzi colpevoli avevano occultato nel comunesapere e sentire dell’opinione pubblica la vera e gloriosa storia della Massoneria illumini-sta e libertaria settecentesca, risorgimentale ottocentesca e democratica novecentesca. Laconcomitante congiura dei totalitarismi laici e clericali e dell’ignavia di fratelli troppo timi-di e paurosi, per controbattere colpo su colpo gli attacchi autoritari e oscurantisti e per dive-nire soggetti attivi di uno scontro storico per la civiltà moderna della libertà, eguaglianza efratellanza, aveva sospinto la Massoneria italiana nell’ombra. Un’ombra che non le com-pete in quanto attrice storica protagonista nella costruzione del pensiero, della cultura e del-le istituzioni laiche e democratiche occidentali. Se ancora di recente (12 giugno 2005) inoccasione dei referendum sulla fecondazione assistita sul quotidiano Av v e n i re un clerico-giornalista può permettersi di insinuare, riguardo al G.O.I. ed all’attuale Costituzione ita-liana, le seguenti parole: Una Costituzione che non siamo sicuri che i sodali del Gran Mae -

s t ro avre b b e ro voluto così com’è scaturita dalle mani piene di voglia di riscatto dei costi -

tuenti dopo il crollo del re g i m e; ciò significa che non siamo stati capaci come massoni difar sapere a tutti gli italiani che tra quelle mani vi erano anche le mani dei fratelli MeuccioRuini e Piero Calandrei e che ad esse e non ad altre è dovuta la parte più democratica elibertaria della nostra Carta Costituzionale.

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Recens ion i

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Recensione a MASSIMO DELLA CAMPA

Luce sul Grande Oriente. Due secoli di massoneria in Italia.Sperling & Kupfer, Saggi, 2005, pp. 332. 22,00

di Morris L. Ghezzi, Gran Maestro Onorario del G.O.I.

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Oggi quella felice stagione di riscoperta di verità storiche, rinvigorita dall’incessante ope-ra e dalla rinnovata politica di presenza culturale e sociale dell’attuale Gran Maestro delGrande Oriente d’Italia, avv. Gustavo Raffi, presenta un secondo fondamentale capitolo edi-toriale, quello rappresentato dal libro sempre di Massimo Della Campa Luce sul G r a n d e

Oriente, pubblicato dalla Sperling & Kupfer.Quest’ultimo saggio fornisce una rigorosa e documentata ricostruzione delle più antiche

origini della Libera Muratoria, soffermandosi, in particolare, sugli ultimi duecento anni distoria della Massoneria italiana: dalle confraternite di artigiani alla moderna Massoneria delXVII e XVIII secolo, sino ai giorni nostri. Particolarmente significativa appare l’analisidegli anni d’oro dell’espansione, nella seconda metà dell’Ottocento, ricostruiti attraversole iniziative dei Grandi Maestri dell’epoca, che si distinsero in quanto personaggi animatida quello spirito patriottico e libertario, operante ai massimi livelli della politica italiana,che fornì un vitale ed insostituibile contributo alla costruzione dello stato liberale post risor-gimentale. La tenebra del Fascismo riuscì ad oscurare ed ad esiliare l’organizzazione mas-sonica, ma non a piegarne lo spirito se, come scrive sempre della Campa, ben diciotto mar-tiri delle Fosse Ardeatine erano Liberi Muratori. Anni non certo meno duri attendevano laLibera Muratoria nel secondo dopoguerra, compressa ed osteggiata come era tra due ideo-logie ad essa avverse: il Cattolicesimo pontificio ed il Comunismo. Non casualmente, infat-ti, il libro ricorda lo “scippo” statale di Palazzo Giustiniani compiuto dalla Magistratura ita-liana nei confronti del G.O.I. con spirito non dissimile da quello messo in essere dal Fasci-smo, quando ne determinò con la forza l’esproprio. Gli ultimi trenta anni di storia dellaMuratoria italiana, infine, sono stati funestati da episodi largamente enfatizzati, distorti estrumentalizzati dai mass media. L’Autore conduce una approfondita analisi sulla Masso-neria deviata e ne traccia un completo e fedele resoconto. Senza nulla nascondere, sulla basedelle risultanze delle inchieste parlamentari e giudiziarie, nonché delle relative sentenze,risulta, con indiscutibile chiarezza, che nulla di illegittimo l’indagine Cordova ha potutoattribuire al G.O.I. e la stessa Loggia P2 è risultata assolta con sentenza definitiva dall’ac-cusa di essere una loggia segreta.

L’opera di Della Campa, dunque, rappresenta un indispensabile strumento di lavoro pergli studiosi della storia italiana contemporanea, in quanto l’Autore, unico storico, salvo, for-se, il Mola, fornisce una completa visione panoramica della Massoneria italiana dalle ori-gini settecentesche sino ai giorni nostri, tracciandone un resoconto puntiglioso e fedele,sempre sorretto da una abbondante e rigorosa documentazione accompagnata da una accu-rata analisi storico-critica. Le accuse giudiziarie alla Massoneria si dissolvono sotto i colpidella ricerca ed emerge con chiarezza il pregiudizio ideologico, che perseguita l’associa-zione in Italia da quando essa è apparsa. È possibile che tale pregiudizio sopravviva anchein epoca di democrazia e di stato di diritto? Non dovrebbe essere possibile, ma per essernecerti è necessario controbattere ogni falsità e calunnia con un attivo comportamento di pre-senza sociale, consapevole della propria storia e rivolto all’impegno civile verso la costru-zione di un futuro sempre più libero.

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Se la vicenda P2 viene fedelmente ricostruita e severamente giudicata come deviazioneinterna all’istituzione libero-muratoria, le numerose inchieste politiche, governative, parla-mentari e giudiziarie sono esaminate insieme con le autentiche conclusioni di assoluta dis-colpa, sino a condurre l’indagine alla recentissima sentenza della Corte Europea di Stra-s b u rgo, che condanna come illegittime le norme antimassoniche della Regione Marche. Mail libro non si ferma alle persecuzioni subite dalla Libera Muratoria, esso affronta anche iltema delle varie anime che nelle differenti epoche e circostanze ambientali, pur nelle ispi-razioni ed idealità comuni, la mossero e la muovono. Non si tratta solo di una analisi filo-sofica, ma anche ed ancora di una ricerca storica che evidenzia i rapporti tra le moltepliciobbedienze internazionali.

L’opera appare ricercata anche per il corredo di grafie e documenti inediti o poco cono-sciuti che fornisce al lettore e per l’attenta e rara illustrazione iconografica, che ne accom-pagna la “carrellata” storico-descrittiva.

Un’opera di tale spessore non poteva passare inosservata ai lettori attenti ed alla critica.Infatti, lo stesso Presidente Cossiga ne ha elogiato con lettera personale all’Autore il con-tenuto e il Corriere della sera ed il Giornale ne hanno fornito una lusinghiera recensione.

Il libro, che, per altro, è di agevole e piacevole lettura, pregio non indifferente in mate-ria storica, compare nel bicentenario di fondazione del Grande Oriente d’Italia. In occasio-ne di tale ricorrenza pare particolarmente opportuno ripercorrere le tappe fondamentali del-la storia della Libera Muratoria italiana per documentarne gli ideali, le attività, i meriti esgombrare definitivamente il campo dagli equivoci e dai pregiudizi che l’hanno resa sospet-ta agli occhi di chi ne ha una conoscenza solo superficiale. Compiere un tale lavoro, lungoeventi che occupano due secoli di storia non è impresa facile; la complessità dell’arg o m e n-to, poi, ne rende ancora più impervio il percorso, ma l’Autore, sorretto da notevole capaci-tà ed esperienza, è giunto con sicurezza alla meta e ha levigato la propria pietra con mas-sonica perizia.

P.S. Scrissi questa recensione su sollecitazione dello stesso Massimo Della Campa, cheproprio il lunedì prima del suo ricovero in ospedale conversò a lungo con me e mi ram-mentò il mio impegno. Il mercoledì successivo portai il testo alla sua segretaria per rive-derlo insieme, ma seppi del suo grave malore. Ora, con malinconia, offro ai lettori questeriflessioni, che spero possano invogliare a leggere un libro che è ormai più una testimo-nianza di vita che un’opera letteraria.

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Attraverso i contributi di otto studiosi e ricercatori, l’ultimo numero degli Annali di sto -

ria dell’educazione e delle istituzioni scolastiche diretti da Luciano Pazzaglia – ordinariodi Storia della scuola e delle istituzioni educative all’Università cattolica del Sacro Cuoredi Milano – e pubblicati dall’Editrice La Scuola, dedica la consueta sezione monograficaalla presenza massonica nell’educazione italiana abbracciando l’arco cronologico che vadal completamento dell’Unità sino all’avvento del fascismo.

Apre l’approfondimento un testo di Fulvio Conti, associato di Storia contemporaneaall’Università di Firenze, che sotto il titolo “Massoneria, scuola e questione educativa nel-l’Italia liberale” illustra come l’ambito scolastico ed educativo fu al centro dell’interventopubblico della Massoneria nei primi decenni dopo l’Unità nel tentativo di contrastare l’e-gemonia esercitata dalle forze cattoliche e di realizzare un più ampio progetto di secolariz-zazione e di modernizzazione del Paese. Un intervento – questo – modulato con una azio-ne svolta attraverso i propri rappresentanti nelle istituzioni e mediante campagne di mobi-litazione dell’opinione pubblica per condizionare le scelte di politica scolastica del Paese;con la creazione di strutture educative, culturali e ricreative autonome (luoghi di formazio-ne e di ritrovo alternativi rispetto a quelli di natura religiosa); infine attraverso il proseliti-smo fra insegnanti e docenti universitari.

“Istruzione, educazione e istituzioni educative della Massoneria a Roma dal 1870 all’av-vento del fascismo”, è invece il contributo del sacerdote paolino GianCarlo Rocca, diretto-re del Dizionario degli Istituti di Perfezione che indaga la presenza della Massoneria nelleistituzioni educative a Roma, manifestatasi, in ambito privato, soprattutto nella fondazionedi educatorii e ricreatorii dopo il 1880. Rocca sottolinea come il contatto diretto con bam-bini e bambine, ragazzi e fanciulle, costituì una grande novità per la Massoneria romanaportando alcuni suoi rappresentanti – ad esempio Domenico Orano, attivo in ambito edu-cativo – a rendersi conto che il laicismo o la laicità, cui tendeva la Massoneria, non era unaquestione per bambini.

Da Roma al Piemonte, Marco Novarino – che collabora alla Facoltà di Scienze Politichedell’Università di Torino – analizza il rapporto tra Massoneria ed educazione a Torino in etàliberale, quando tra la fine dell’‘800 e l’alba del ‘900, i massoni sostennero progetti educa-tivi per contrastare la straordinaria presenza delle strutture cattoliche della “Torino dei San-ti e delle opere sociali”. Questa vocazione alla filantropia e alla pedagogia a partire dal 1865trovò un terreno fertile nelle logge torinesi, non appena esse si trasformarono da organi diri-genti del Grande Oriente d’Italia in entità agenti sul territorio. Attraverso la creazione diistituti per l’educazione popolare, d’avviamento al lavoro e in aiuto di quel “mondo invisi-

La Massoneria dall’Unità al Fascismo: tra scuola ed educazioneUn approfondimento monografico in Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni

scolastiche, n. 11/2004,Editrice La Scuola, Milano, pp. 448, 43.

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bile”, figlio del pauperismo fatto di orfani, di ragazzi abbandonati al loro destino e di ragaz-ze costrette a prostituirsi, i massoni subalpini vollero contribuire all’emancipazione mora-le e intellettuale degli italiani, fondata sui princìpi della libertà, dell’eguaglianza, della fra-ternità, della scienza e del progresso.

Tutto dedicato alla Milano del trentennio 1876-1906 e ai suoi “Ricreatori festivi a Mila-no”, l’intervento di Angelo Robbiati, dell’Archivio per la Storia del Movimento sociale cat-tolico in Italia “Mario Romani”, che documenta – nel secolo XIX – sia il ruolo centrale del-la Loggia massonica quale punto d’incontro di progettualità politica e culturale, sia la rile-vanza di iniziative della Loggia milanese “La Ragione”: quali, ad esempio la pubblicazio-ne del settimanale di educazione La Famiglia e la Scuola (durato solo fra il 1876 e il 1878)e l’istituzione di ricreatori, alternativi e contrapposti agli oratori cattolici (sciolti poi nel1925). L’obiettivo dichiarato era quello di operare per la formazione di una mentalità nuo-va, e di una cultura popolare, ispirate ai princìpi laici (la realizzazione del programma fuaffidata a Ludovico Coiro).

Da Milano a Livorno, ecco il saggio di Angelo Gaudio, docente straordinario di Analisidei sistemi educativi e di educazione comparata all’Università di Udine, sulle “Presenzemassoniche e politiche educative e scolastiche” in questa città dall’Unità all’avvento delfascismo. Gaudio segnala le presenze di fratelli massoni di diverse comunioni, in iniziati-ve comunque connesse alle politiche scolastiche e/o educative; descrive le attività per lasoppressione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (una tradizione loca-le, condivisa anche dagli ambienti del liberalismo moderato). Particolare attenzione vieneprestata ai Tevenè, vera e propria dinastia di maestri repubblicani (particolarmente attiva),come pure alle presenze massoniche nell’istruzione secondaria e nell’amministrazione sco-lastica (soffermandosi sul caso di Dario Cassato, avvocato e uomo politico israelita, viaassessore, deputato e senatore).

“ L’Umanitaria e la Massoneria”, è poi il tema affrontato da Fabio Pruneti, associato diStoria dell’educazione all’Università di Sassari. Sorta nel 1893 a Milano grazie all’inizia-tiva di Prospero Moisé Loria, la Società Umanitaria si caratterizzò per numerose iniziativefilantropiche, in una innovativa ottica laico-positivistica di tipo preventivo. Anche se nonsi rinvengono tracce di una connessione organica tra Massoneria e Umanitaria, l’articolo,percorrendo tutta la “parabola” di questa istituzione, mostra i tratti comuni con il pensierodei liberi muratori, nella convinzione che tale sodalizio fu mutevole, anche in virtù dei dif-ferenti appartenenti al suo gruppo dirigente.

Le vicende della Massoneria si intrecciano con quelle della costruzione e consolidamentodel Regno d’Italia. Ciò è particolarmente evidente nelle questioni educative, come testi-monia la lunga serie di ministri “framassoni” della pubblica istruzione. Gianfranco Bandi-ni, ricercatore di Storia della pedagogia all’Università di Firenze, sviluppa il suo contribu-to dal titolo “Il ministro dell’obbligo scolastico: appunti per una biografia pedagogica”, esa-minando la figura di Michele Coppino, per lungo tempo parlamentare e ministro di grande

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rilievo, permette di approfondire queste tematiche, centrando l’attenzione su due aspettiesemplari della sua azione di governo: la famosa legge sull’istruzione obbligatoria e i suoiinterventi riguardo la meno nota, ma assai interessante questione dei libri di testo.

Da segnalare infine lo scritto di Letterio Todaro C o s t ru i re templi alla virtù. Cultura posi -

tivistica ed espressioni massoniche nell’Italia post-unitaria. Secondo l’autore, ricercatoredi Storia della pedagogia all’Università di Catania, il radicamento e lo sviluppo della Mas-soneria nei primi decenni post-unitari trovano un quadro organico di spiegazione nei pro-cessi di secolarizzazione della vita pubblica e nel piano di una riforma complessiva delcostume intellettuale del cittadino dello Stato moderno. Inoltre l’assimilazione dei canonievoluzionistici e della scienza positivistica rappresentano un veicolo ideologico tramite ilquale, nell’Italia post-unitaria, prendono forma le espressioni di un laicismo massonico che,all’insegna dell’ordine e del progresso, cerca di diffondere i princìpi di una socialità rifor-mata appellandosi alle virtù civili. In sintesi si evidenzia nella mentalità massonica – conun afflato pedagogico tipico dello scientismo positivistico – lo sforzo di tradurre in postu-lati etici ed in norma di condotta un credo laico che, nella sua autenticità, intendeva costi-tuirsi a titolo di religione sociale.

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L’Autore, benché alla prima esperienza nel settore storiografico, prendendo spunto daalcune brevi notizie riportate dalla “Guida” di Montepulciano su un nobile benestante diorigini calabresi, analizza la figura di Francesco Saverio Melissari nato a Reggio Calabrianel 1832 e morto nel 1900.

Buiarelli, attingendo ai giornali dell’Ottocento e a fonti bibliografiche e di archivio, rico-struisce con serena obiettività la vita del Melissari nelle sue qualità di imprenditore, filan-tropo, artista e massone.

Trattasi di una ricerca scrupolosa che rappresenta un contributo storiografico importan-te in quanto l’Autore ha colto i lati più interessanti della vita del calabrese Francesco Save-rio Melissari e, nello stesso tempo, ha portato alla luce un pezzo di storia della città di Mon-tepulciano.

Nonostante la lontananza dei luoghi (a quell’epoca) il nobile Melissari, partendo dallaCalabria, si trasferì nella terra del Poliziano dove acquistò un’antica fortezza che restauròe ivi impiantò una grande filanda che dava lavoro a circa seicento persone d’ambo i sessi,per cui divenne un esperto allevatore di baco da seta e un produttore molto conosciuto inambito nazionale e internazionale da meritare un premio all’esposizione di Parigi nel 1878.

Il Melissari proveniva da un’antica e nobile famiglia di baroni di Reggio Calabria i cuicomponenti rivestirono importanti cariche pubbliche, fra cui un Giovanni decorato del-l’Ordine dei Cavalieri di Malta.

Francesco Saverio fu iniziato, nel 1863, nella loggia reggina “Domenico Romeo” dovericoprì la carica di Oratore Aggiunto e di Secondo Sorvegliante. Durante la sua permanen-za a Montepulciano fu, nel 1872, tra i fondatori della Loggia “La Ragione” e ricoprì la cari-ca di Maestro Venerabile. Partecipò, inoltre, alla vita parlamentare per tre legislature seden-do a sinistra nel Parlamento di Firenze e poi di Roma.

Paolo Buiarelli, concludendo nel suo volume, afferma che Melissari fu una figura impor-tante per la crescita della città di Montepulciano e che pur rimanendo un aristocratico, il suoimpegno, la sua capacità organizzativa sono stati messi a disposizione della collettività purcon tutti i limiti dell’uomo e della sua estrazione familiare.

Recensione a PAOLO BUIARELLI

Un calabrese a MontepulcianoMontepulciano 2004, pp. 96

a cura di Bruno Polimeni

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Nella tarda modernità, in quanto fase terminale del nichilismo, è ancora possibile avereaccesso a una qualche forma di esperienza religiosa? È attorno a questa domanda di fondoche ruotano le riflessioni contenute in questo libro. Una prima risposta potrebbe essere quel-la che ci viene suggerita da Nietzsche: gli umani che hanno sperimentato la morte di dio eche non si sono ritratti dinanzi all’esperienza abissale da essa inaugurata possono diveniredèi, non perché ingenuamente desiderosi di sostituirsi a dio, ma perché capaci di custodirela finitezza che li costituisce e li fissa alla terrestrità - e possono così assumere i tratti di un“dio mortale” (definizione dell’uomo, questa, che si ritrova già nell’A s c l e p i u s, un testoermetico del II secolo). Individuare nella proposta di Nietzsche il luogo in cui trovare rispo-ste alle domande usuali sul senso della vita (Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo?Perché vivere?) comporta però un azzardo e un rischio che forse rimangono ancora inassu-mibili. Di fronte a questa difficoltà vale allora la pena esplorare altri percorsi.

In autori come Derrida e Lévinas sono temi come l’alterità e la giustizia al di là della leg-ge a costituire il centro di una riflessione che curva l’esperienza religiosa verso il luogo del-l’etica. Con esiti però assai diversi: mentre in Derrida essere ospitali verso il desiderio digiustizia (che è certo più antico della modernità) non viene disgiunto dal mantenimento diuna distanza critica verso la tradizione, in Lévinas a mancare è proprio la necessaria vigi-lanza in merito alla differenza che sussiste tra il dio della tradizione e l’orizzonte nichilisti-co entro cui la modernità si dispiega. A svolgere il nesso che lega la questione posta dallareligione dei moderni al rapporto che la modernità intrattiene con quanto la precede è dedi-cato l’ultimo capitolo di questo libro. Qui vengono messe a confronto la teoria della seco-larizzazione (esposta a partire dalle posizioni di Troeltsch, Overbeck e Vattimo) con le tesidi Hans Blumenberg, che di questa tesi fu fiero oppositore. Scopo di tale confronto è sug-gerire l’ipotesi che a rendere visibili gli ineliminabili tratti tragici del moderno sia precisa-mente l’oscillazione tra il desiderio di vivere la modernità come custodia e memoria di quel-le tradizioni che hanno preceduto la modernità e il desiderio di trasformare quest’ultima nelluogo in cui avviene l’interminabile consumazione del mito.

GIOVANNI LEGHISSA

Il dio mortale. Ipotesi sulla religiosità modernaCon una postfazione di G. Vattimo.Medusa, Milano, 2004, 19,80.