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Memorie di Sante Lucenti, nato il 04 agosto 1924 a Forcella (TE) località Collecchio, soldato della seconda guerra mondiale << Fui chiamato alle armi a 19 anni il primo Agosto 1943 e alcuni giorni dopo partii per il Distretto Militare di Teramo che si trovava vicino alla Madonna delle Grazie; eravamo circa 1000 persone e da qui fummo smistati in varie città d’Italia. Mi destinarono a Monopoli (Bari) in un vecchio mattatoio adibito a caserma e lo stesso giorno presi la tradotta a Giulianova. Partirono con me i soldati: Libetti di Corropoli, Ciminà di Teramo, Mantovani di Montepagano e Tamburri di Forcella. Arrivammo a Foggia alle prime luci del mattino e qui il treno si fermò bruscamente a causa di un bombardamento degli Stuka della Luftwaffe. Ci rifugiammo sotto dei fichi d’india e un ufficiale ci urlò “salvate la testa soldati”; con le mani sul capo e gli occhi rivolti verso il cielo vedevo i proiettili uscire dai mitragliatori e capii che fossero aerei tedeschi dalla croce uncinata che avevano sulle ali. Ho ancora in mente l’immagine di una donna con le mani in testa e accasciata su delle macerie, non so se fosse morta o ferita. Dopo un giorno e due notti, diverse soste e vari bombardamenti, che causarono alcune decine di morti e la distruzione di due vagoni del treno, arrivammo a Monopoli e ci mandarono subito in un capannone per riposare. Il giorno dopo cominciammo l’addestramento, che durò circa 15 giorni, dove ci spiegarono come far funzionare un mortaio da 81 mm. Mi ricordo che scrissi una lettera a mio padre chiedendogli di contattare il tenente Vincenzo D’Onofrio del distretto de L’Aquila scongiurandolo di farmi tornare in Abruzzo poiché a Monopoli si stava molto male, il rancio era scarso, si mangiavano i fichi d’india, il riso con i vermi, la caserma era piena di pidocchi e piattole e la notte si dormiva con i tappi alle orecchie a causa delle cimici. Ci si spulciava a vicenda uno sopra l’altro e mettevamo i pidocchi dentro una bacinella. A fine Ottobre mi arrivò una lettera di mio fratello Francesco, forse inviata tramite il tenente Guido Maselli di Teramo, che mi informava sulla sua attuale postazione; era di stanza su una fregata della Guardia di Finanza nel porto di Brindisi. La notte dopo arrivò l’ordine di partire per Spinazzola, vicino Bari, e molti spaventati dalla notizia di dover combattere fuggirono. Ad attenderci c’erano le truppe inglesi che ci portarono nei rifugi antiaerei prima di partire per il porto di Bari. Dopo una quindicina di giorni ci fu il trasferimento nella Caserma Santa Chiara da dove partivamo per andare a scaricare le navi americane e inglesi che

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Memorie di Sante Lucenti, nato il 04 agosto 1924 a Forcella (TE) località Collecchio, soldato della seconda guerra mondiale

<< Fui chiamato alle armi a 19 anni il primo Agosto 1943 e alcuni giorni dopo partii per il Distretto Militare di Teramo che si trovava vicino alla Madonna delle Grazie; eravamo circa 1000 persone e da qui fummo smistati in varie città d’Italia. Mi destinarono a Monopoli (Bari) in un vecchio mattatoio adibito a caserma e lo stesso giorno presi la tradotta a Giulianova. Partirono con me i soldati: Libetti di Corropoli, Ciminà di Teramo, Mantovani di Montepagano e Tamburri di Forcella.

Arrivammo a Foggia alle prime luci del mattino e qui il treno si fermò bruscamente a causa di un bombardamento degli Stuka della Luftwaffe. Ci rifugiammo sotto dei fichi d’india e un ufficiale ci urlò “salvate la testa soldati”; con le mani sul capo e gli occhi rivolti verso il cielo vedevo i proiettili uscire dai mitragliatori e capii che fossero aerei tedeschi dalla croce uncinata che avevano sulle ali. Ho ancora in mente l’immagine di una donna con le mani in testa e accasciata su delle macerie, non so se fosse morta o ferita.

Dopo un giorno e due notti, diverse soste e vari bombardamenti, che causarono alcune decine di morti e la distruzione di due vagoni del treno, arrivammo a Monopoli e ci mandarono subito in un capannone per riposare. Il giorno dopo cominciammo l’addestramento, che durò circa 15 giorni, dove ci spiegarono come far funzionare un mortaio da 81 mm. Mi ricordo che scrissi una lettera a mio padre chiedendogli di contattare il tenente Vincenzo D’Onofrio del distretto de L’Aquila scongiurandolo di farmi tornare in Abruzzo poiché a Monopoli si stava molto male, il rancio era scarso, si mangiavano i fichi d’india, il riso con i vermi, la caserma era piena di pidocchi e piattole e la notte si dormiva con i tappi alle orecchie a causa delle cimici. Ci si spulciava a vicenda uno sopra l’altro e mettevamo i pidocchi dentro una bacinella.

A fine Ottobre mi arrivò una lettera di mio fratello Francesco, forse inviata tramite il tenente Guido Maselli di Teramo, che mi informava sulla sua attuale postazione; era di stanza su una fregata della Guardia di Finanza nel porto di Brindisi.

La notte dopo arrivò l’ordine di partire per Spinazzola, vicino Bari, e molti spaventati dalla notizia di dover combattere fuggirono. Ad attenderci c’erano le truppe inglesi che ci portarono nei rifugi antiaerei prima di partire per il porto di Bari. Dopo una quindicina di giorni ci fu il trasferimento nella Caserma Santa Chiara da dove partivamo per andare a scaricare le navi americane e inglesi che

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trasportavano bombe, carri armati, camion, rifornimenti vari e munizioni. Vidi per la prima volta le calze di nylon e le scatolette di sale che comprai e spedii ai miei familiari a Collecchio (TE). Poiché il rancio era scarso dalle piccole finestre facevamo scendere, tramite un cestello e delle cinte unite, dei soldi a dei bambini che ci portavano i fichi d’india ma molte volte presero le lire e non tornarono.

Il 2 Dicembre 1943 il porto fu bombardato da tantissimi aerei tedeschi. Le navi esplodevano in un batter d’occhio e per spegnere il fuoco ci mettemmo 15 giorni. I corpi che galleggiavano venivano raccolti con delle gru e delle reti e venivano ammassati sulla banchina. Furono affondate circa 20 navi e il porto rimase fermo per tre settimane prima di poter riprendere le attività. Fu bombardata una nave che forse trasportava combustile o olii e il boato fu sentito da mio fratello che era a Brindisi.. ( 17 navi affondate, circa 1000 morti tra militari e civili, alcuni storici la definirono come la seconda Pearl Harbor – ndr)

A Febbraio 1944 riuscii a prendere un giorno di licenza per andare a trovare mio fratello a Brindisi, era imbarcato sulla Caron ed era Motorista Navale Sottocapo. Mentre attendevo il suo arrivo, al porto si ammassavano gli sfollati del Sangro e della bassa Pescara dove c’era il fronte della Linea Gustav. Poco dopo mi venne a prendere con una lancia e mi portò a bordo dove feci una doccia e pranzammo insieme.

Tornato a Bari continuai a lavorare nel porto. Ogni giorno, anche se gli scarichi erano diminuiti a causa del bombardamento, arrivavano navi piene di carri armati e munizioni. A fine ’44 mi arruolai

come volontario nei Gruppi Combattenti dell’8° Armata Fanteria Americana (Esercito Cobelligerante Italiano – ndr). La prima richiesta mi fu bocciata dal Tenente Rocchia che mi voleva con lui a Termoli perchè sapevo portare la motocicletta e il trattore ma rifiutai, ne presentai un’altra e fui trasferito alla Caserma Picche per l’addestramento alla fanteria. Una ventina di giorni dopo partimmo da Brindisi con una nave a tre ciminiere alla volta di Ancona ma, arrivati a ridosso del Conero, il comandante dovette aspettare due giorni prima di attraccare poiché il porto era stato minato e si

poteva scaricare una sola nave al giorno. Una volta scesi facemmo le visite di routine e ci caricarono sui camion con direzione Case Bruciate e Senigallia. Qui allestimmo due campi-notte con delle tende basse e giacigli scavati nel terreno per evitare le schegge e i proiettili. Ricordo che la notte passavano centinaia di soldati diretti al fronte sul fiume PO.

Ero entusiasta quando, nelle campagne di Senigallia, trovai un motore di un trattore che portai con me per tanto tempo e che fui costretto a lasciare per il troppo peso.

Giunti ad Alfonsine gli americani ci destinarono alla caserma locale per svolgere l’attività di servizio pubblico e ogni giorno i partigiani locali, forse ignari dell’armistizio, ci sparavano contro ma noi avevamo l’ordine di non rispondere al fuoco. Nei primi mesi del 1945 gli americani bombardarono di tutti i ponti e vie di collegamento sul fiume Po e dei suoi affluenti e da Copparo, paesello a 20 km dal fiume dov’ero di stanza, si vedevano i bagliori delle esplosioni. Nel frattempo la fanteria, dopo l’arrivo di un camion pieno di soldati tedeschi morti, catturò alcuni partigiani che continuavano ad aprire il fuoco contro di noi; li portarono sulla riva di un torrente e li costrinsero a rasarsi i capelli a zero.

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Il 25 Aprile arrivò la notizia della liberazione d’Italia e l’ordine di andare a Tarvisio a depositare tutte le armi. Purtroppo non ebbi il congedo e fui trasferito prima a Mestre, poi ad Orvieto e Bracciano e alla fine a Civitavecchia dove c’era la Scuola Meccanici ed Operai d’Artiglieria dove svolsi l’incarico di insegnante meccanico. Qualche mese dopo arrivò una lettera con l’ordine di trasferimento verso Cecchignola dove c’era un cantiere per smontare i centri di prigionia tedeschi. Li ebbi la possibilità di votare per la Repubblica e di conoscere il Capitano teramano Sciarra, sposato con un’attrice, che mi consentì di tornare a lavorare nei campi di famiglia perché mio padre era impossibilitato. Chiesi così tante volte la licenza che mi disse “E’ meglio bruciare un paese che mettere su un usanza” così, come ringraziamento e sapendo che alla moglie piacevano le uova fresche, riportai a Roma due galline e dei fiori. E pensare che la licenza aveva validità di 24 ore e non si poteva uscire fuori dal Distretto Militare di Roma.

Ad Agosto 1946 finalmente arrivò il congedo e tornai nella mia casa natia di Collecchio.>>

Racconto tratto da periodico “l’Autiere”.