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MEFRA – 122/2 – 2010, p. 451-477. ——————— Pier Giovanni Guzzo, [email protected] Francesca Spatafora, Parco Archeologico di Himera, Palermo, [email protected] Stefano Vassallo, Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Palermo, [email protected] 1. Manganaro 1989. 2. Una sintetica ricostruzione del recupero della phiale è in : Ferruzza 1998 e Ferruzza 2001. Vedi anche : Bonacasa 1998 e Isler 1999. Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera Dalla Sicilia a New York, e ritorno Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO VICENDE DEL RITROVAMENTO La storia del «recupero» della phiale è lunga e complessa; si tratta non soltanto della riscoperta di un eccezionale reperto archeologico ma, ancor prima, del frutto di un’importante e difficile inchiesta giudiziaria che ha segnato un rilevante traguardo dello Stato Italiano nella riacquisizione del proprio patrimonio storico-artistico illegal- mente trasferito all’estero. La prima notizia sulla coppa appare nel 1989 : Giacomo Manganaro dichiara, in un articolo pubblicato su Revue des études anciennes, di avere visto il reperto alcuni anni prima in una collezione privata siciliana; ne fornisce la documentazione fotografica e una prima descrizione e interpreta- zione 1 . Cinque anni dopo, la Procura di Termini Imerese, nella persona del sostituto procuratore Aldo De Negri, coadiuvato dal maresciallo dei Carabinieri Salvatore Messineo, avvia l’indagine sul trafugamento della phiale a partire da alcuni indizi recuperati nell’ambito di un’inchiesta su oggetti d’arte sottratti dal Museo di Termini Imerese. Si apprende così del rinvenimento casuale del reperto, probabilmente nel 1980, nel territorio di Caltavuturo, nel corso di lavori per la costruzione di un pilone della linea elettrica. Il «pezzo», in un primo tempo acquistato da un collezionista di Catania, Vincenzo Pappalardo, viene rivenduto per 30 milioni di lire a Vincenzo Cammarata, noto collezionista ennese che l’avrebbe successivamente ceduto, pare per 140 milioni di lire, al titolare, certo William Veres, di una società di commercio con sede a Zurigo 2 . Nel 1991, dunque, la phiale lascia clandestina- mente la Sicilia e viene trasferita in Svizzera. Servendosi di un intermediario – Robert Haber, proprietario di una società che si occupa di arte antica, la Robert Haber & Company Ancient Art di New York – il Veres riesce a piazzare il reperto negli Stati Uniti, consegnandolo ad Haber a Lugano, città strategica per il passaggio di opere d’arte provenienti dall’Italia. La phiale viene dunque venduta al miliardario statunitense Michel Steinhardt per 1.200.000 dollari, falsifi- cando i documenti doganali, nei quali viene indi- cata la Svizzera come paese d’origine del pezzo e dai quali risulta ridotto il valore rispetto al reale prezzo d’acquisto. A New York diversi esperti di metallurgia antica sottopongono la phiale ad approfondite analisi; in particolare da parte del Metropolitan Museum, già in possesso di un’altra phiale mesomphalos aurea acquistata anni prima senza documenti che ne attestassero la provenienza. Il risultato è a favore dell’autenticità, esito confer- mato da altre analisi tecniche che, come vedremo più avanti, saranno realizzate al suo rientro in Italia. Ovviamente, l’autenticità della coppa è un passaggio fondamentale a garanzia del nuovo acquirente, Michel Steinhardt. A questo proposito va ricordato che diversi anni dopo, il collezionista ennese Vincenzo Cammarata, protagonista in qualità di imputato nella lunga vicenda giudi- ziaria legata alla vendita della phiale, sosterrà

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MEFRA – 122/2 – 2010, p. 451-477.

——————— Pier Giovanni Guzzo, [email protected] Spatafora, Parco Archeologico di Himera, Palermo, [email protected] Vassallo, Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Palermo, [email protected]

1. Manganaro 1989.2. Una sintetica ricostruzione del recupero della phiale è in :

Ferruzza 1998 e Ferruzza 2001. Vedi anche : Bonacasa 1998e Isler 1999.

Una phiale d’oro iscrittadall’entroterra di HimeraDalla Sicilia a New York, e ritorno

Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

VICENDE DEL RITROVAMENTO

La storia del «recupero» della phiale è lunga ecomplessa; si tratta non soltanto della riscoperta diun eccezionale reperto archeologico ma, ancorprima, del frutto di un’importante e difficileinchiesta giudiziaria che ha segnato un rilevantetraguardo dello Stato Italiano nella riacquisizionedel proprio patrimonio storico-artistico illegal-mente trasferito all’estero.

La prima notizia sulla coppa appare nel 1989 :Giacomo Manganaro dichiara, in un articolopubblicato su Revue des études anciennes, di averevisto il reperto alcuni anni prima in una collezioneprivata siciliana; ne fornisce la documentazionefotografica e una prima descrizione e interpreta-zione1.

Cinque anni dopo, la Procura di TerminiImerese, nella persona del sostituto procuratoreAldo De Negri, coadiuvato dal maresciallo deiCarabinieri Salvatore Messineo, avvia l’indaginesul trafugamento della phiale a partire da alcuniindizi recuperati nell’ambito di un’inchiesta suoggetti d’arte sottratti dal Museo di TerminiImerese. Si apprende così del rinvenimentocasuale del reperto, probabilmente nel 1980, nelterritorio di Caltavuturo, nel corso di lavori per lacostruzione di un pilone della linea elettrica. Il«pezzo», in un primo tempo acquistato da uncollezionista di Catania, Vincenzo Pappalardo,viene rivenduto per 30 milioni di lire a VincenzoCammarata, noto collezionista ennese chel’avrebbe successivamente ceduto, pare per 140

milioni di lire, al titolare, certo William Veres, diuna società di commercio con sede a Zurigo2.

Nel 1991, dunque, la phiale lascia clandestina-mente la Sicilia e viene trasferita in Svizzera.Servendosi di un intermediario – Robert Haber,proprietario di una società che si occupa di arteantica, la Robert Haber & Company Ancient Art diNew York – il Veres riesce a piazzare il repertonegli Stati Uniti, consegnandolo ad Haber aLugano, città strategica per il passaggio di opered’arte provenienti dall’Italia. La phiale vienedunque venduta al miliardario statunitenseMichel Steinhardt per 1.200.000 dollari, falsifi-cando i documenti doganali, nei quali viene indi-cata la Svizzera come paese d’origine del pezzo edai quali risulta ridotto il valore rispetto al realeprezzo d’acquisto.

A New York diversi esperti di metallurgiaantica sottopongono la phiale ad approfonditeanalisi; in particolare da parte del MetropolitanMuseum, già in possesso di un’altra phialemesomphalos aurea acquistata anni prima senzadocumenti che ne attestassero la provenienza. Ilrisultato è a favore dell’autenticità, esito confer-mato da altre analisi tecniche che, come vedremopiù avanti, saranno realizzate al suo rientro inItalia. Ovviamente, l’autenticità della coppa è unpassaggio fondamentale a garanzia del nuovoacquirente, Michel Steinhardt. A questo propositova ricordato che diversi anni dopo, il collezionistaennese Vincenzo Cammarata, protagonista inqualità di imputato nella lunga vicenda giudi-ziaria legata alla vendita della phiale, sosterrà

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3. Sulle problematiche connesse alla vicenda processualeamericana e soprattutto al dibattito sulla legittimità dell’ac-quisizione di reperti archeologici nei musei americani, vediLyons 1998, Gestenbleth, Lyons 1999, Lyons 2002, conbibliografia di riferimento. A queste tematiche sono dedicati

anche gli atti di un convegno tenutosi all’università di NotreDame (Stati Uniti) nel 2007; in particolare per la phiale diCaltavuturo Vassallo 2007.

4. Sulle ricerche a Monte Riparato, con bibliografia precedentevedi : Pancucci 2002; Chiovaro 2009.

strumentalmente, a propria difesa, che si tratta diun falso.

La phiale entra così in possesso di MichelSteinhardt, uno dei più importanti benefattori delMetropolitan Museum, restando nella sua colle-zione, senza alcuna contestazione, fino all’aper-tura, nel 1995, dell’inchiesta giudiziaria. È laProcura di Termini Imerese che, muovendosi conabilità e districandosi nella complessa rete deldiritto internazionale in materia di esportazione diopere d’arte, avanza richiesta di rogatoria interna-zionale alla competente autorità giudiziaria diNew York, chiedendo la restituzione dell’oggetto erivendicandone la legittima proprietà allo StatoItaliano. Le autorità americane non rimangonoinsensibili alla richiesta e, sempre nel 1995,dispongono il sequestro della phiale, che vienetrasferita negli uffici del Custom Service di NewYork, per violazione delle leggi doganali.

Gli anni americani della phiale sono così carat-terizzati da un primo periodo che comprendel’arrivo «fraudolento» del reperto a New York e ilsuo temporaneo possesso da parte dell’acquirente,e da una seconda movimentata fase di dura lottagiudiziaria, svoltasi non soltanto sul piano deldiritto; il contenzioso «Steinhardt» aprì, infatti, unduro conflitto, tutto americano, sulla legittimitàdell’acquisto di opere d’arte di provenienza scono-sciuta da parte di musei e collezionisti3. Da un latol’AAM (American Association of Museums) dall’altrol’AIA (Archaeological Institute of America), dueimportanti Istituti americani di cultura i quali, conincisivi documenti, assumono in merito allavicenda opposte e contrastanti posizioni, ispirate aimpostazioni del problema diametralmente diver-genti. L’AAM, infatti, insieme ad altre associazionilegate ai Musei statunitensi, ponendo in secondopiano l’aspetto legato alle leggi di tutela dei paesida cui provengono le opere d’arte, sostienel’importante ruolo svolto dai musei – attraverso laconservazione, le pubblicazioni e l’educazionepubblica – nella valorizzazione del patrimonio arti-stico mondiale. Secondo l’AIA, invece, le operevanno in primo luogo valutate nel loro contesto

storico e geografico originale, nel rispetto dellediverse legislazioni nazionali a protezione delpatrimonio archeologico di ciascun paese; nonmeno importante, sempre per l’AIA, è la conside-razione del rapporto diretto che si viene ad instau-rare tra i commerci illegali di materiali archeologicie il saccheggio dei siti da parte degli scavatori clan-destini.

Il primo coinvolgimento della Soprintendenzadi Palermo si data al 1996, quando sull’eco dellenotizie giornalistiche, da cui emerge il collega-mento tra il luogo di rinvenimento della phiale e ilterritorio di Caltavuturo – in provincia di Palermoe quindi nell’ambito del territorio di competenzadella Soprintendenza – viene fatta richiesta alNucleo dei Carabinieri per la Tutela del PatrimonioCulturale di potere conoscere maggiori dettagli sulluogo di rinvenimento, per eventuali iniziative edinterventi legati alla tutela della zona archeologicadi Monte Riparato, un abitato di età ellenistica ilcui nome era emerso nel corso dell’inchiesta comepossibile sito di rinvenimento della coppa.

Su Monte Riparato (fig. 1), infatti, la Soprin-tendenza di Palermo, in collaborazione con l’Uni-versità di Palermo, conduce fin dagli anni settantadel secolo scorso, indagini archeologiche nellenecropoli e nell’abitato4; le ricerche hannopermesso di definire alcuni interessanti aspetti diun abitato che godette tra IV e II sec. a.C. di undiscreto periodo di floridezza. Collocato su unrilievo naturalmente fortificato a controllo dellamedia valle dell’Imera settentrionale (fig. 2),l’insediamento è stato ipoteticamente identificatocon l’antica Ambica ricordata da Diodoro Siculonell’ambito degli avvenimenti bellici del IVsec. a.C. L’abitato, occupato fin da età protosto-rica, ricadde certamente, in età arcaica, nell’area diinfluenza di Himera, a cui sopravvisse anche dopola distruzione della colonia, riorganizzandosi sottoil profilo urbanistico e architettonico. A questa fasesi collega la necropoli di località Santa Venere dovesono state riportate alla luce circa settanta sepol-ture : si tratta di tombe a inumazione o di sepol-ture a incinerazione segnalate dalla presenza di

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Fig. 1 – Il Monte Riparato visto da Sud.

Fig. 2 – L’area centro-settentrionale della Sicilia con i principali centri di prima età ellenistica.

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5. Il carteggio relativo al coinvolgimento della Soprintendenzanei suoi rapporti istituzionali con le forze dell’ordine, lamagistratura e il Ministero Beni Culturali è conservatonell’archivio della Soprintendenza di Palermo.

6. Nota della Commissione Interministeriale per il Recuperodelle Opere d’Arte del Ministero per i Beni Culturali eAmbientali del 19 luglio 1999, agli atti nell’archivio dellaSoprintendenza di Palermo.

epitymbia, caratterizzate da ricchi corredi chedocumentano la prosperità dell’insediamento tra ilIV ed il II sec. a.C.

Ritornando alle vicende della phiale, è oppor-tuno ricordare che l’intervento della Soprinten-denza, non limitandosi all’aspetto conoscitivo,investì anche quello giuridico, con la proposta, nelnovembre del 1998, di costituzione di parte civilenell’ambito del procedimento giudiziario in corso,proprio in considerazione della probabile prove-nienza della phiale da scavi clandestini nellecampagne di Caltavuturo e, quindi, del dannoperpetrato al patrimonio archeologico della giuri-sdizione provinciale5. L’Avvocatura dello Stato,interpellata, suggerì, tuttavia, l’opportunità che lacostituzione di parte civile, nel processo di TerminiImerese contro Haber/Steinhardt e in quellocontro Cammarata/Veres, avvenisse da parte delMinistero per i Beni Culturali.

Pochi mesi dopo, il 12 luglio 1999, la Corted’Appello di New York, conferma la precedentesentenza di primo grado emessa dalla CorteDistrettuale il 14 novembre 1997 : con unasentenza per molti aspetti innovatrice, che segneràun importante precedente ed una vigorosa svoltanell’azione di tutela del patrimonio culturaleitaliano, la Corte d’Appello respinge il ricorso diM. H. Steinhardt. Al di là del risultato, è interes-sante considerare le motivazioni che sono alla basedella sentenza; la prima fa riferimento alla rile-vanza delle false dichiarazioni sul formulario diimportazione della phiale negli Stati Uniti; laseconda, ben più sostanziosa nei contenuti, chia-risce che la phiale è da considerarsi di provenienzafurtiva («stolen») ai sensi del National StolenProperty Art (NSPA), dal momento che la legisla-zione italiana attribuisce allo Stato la proprietàdegli oggetti di scavo. L’importazione del repertoè, pertanto, da considerarsi illegale, perché l’NSPAvieta l’importazione negli Stati Uniti di oggetti diprovenienza furtiva6.

La Commissione Interministeriale per il Recu-pero delle Opere d’Arte, nella nota con cui comu-nica al Ministero e alle altre Istituzioni interessate

(la Procura di Termini Imerese e la Soprinten-denza) la sentenza del 12 luglio 1999, sottolineaanche l’importanza di questo precedente perscoraggiare musei, mercanti e collezionisti dall’im-portazione illecita negli Stati Uniti di repertiarcheologici italiani, e forse, come auspica l’Amba-sciata in Washington, anche a favorire la soluzionedi altri casi aperti.

Da questo momento si apre un nuovo capitolonella storia della phiale, intrecciandosi gli aspettipiù strettamente giuridici collegati al rientro inItalia e alla conclusione dei procedimenti giudiziariin atto, con le potenziali prospettive legate allavalorizzazione di un oggetto prezioso non solo peril suo valore intrinseco e per la sua notevoleimportanza sotto il profilo storico-archeologico,ma anche, in qualche modo, per la valenza simbo-lica rispetto al tema della lotta che da decenni loStato Italiano conduce nel tentativo di arginare gliscavi abusivi ed il commercio illegale all’estero del-le opere d’arte.

Pochi giorni dopo la storica sentenza di NewYork, nell’imminenza del ritorno in Italia delreperto, la Soprintendenza di Palermo, basandosisui dati noti dell’inchiesta, secondo cui il territoriodi Caltavuturo, ed in particolare il sito di MonteRiparato, rimaneva il maggiore indiziato in rela-zione alla provenienza della phiale, ne chiedel’assegnazione finalizzata all’esposizione nell’Anti-quarium di Himera.

Tale assegnazione appariva, e appare tuttora, lapiù coerente dal punto di vista culturale. Unasezione del Museo, inaugurato nel 1984 e riapertoalla pubblica fruizione nel 2001, è riservata allericerche archeologiche condotte fin dal 1975, incollaborazione con l’Istituto d’Archeologia del-l’Università di Palermo, nel sito di Monte Riparato.L’Antiquarium comprende, infatti, oltre al nucleocentrale destinato ad Himera, le collezioni relativealle esplorazioni archeologiche realizzate in diversialtri siti del territorio della Sicilia centro-setten-trionale : Monte Riparato, Santa Venera, Terravec-chia di Cuti, Cefalù e Brucato/Mura Pregne.

Il 24 gennaio 2000 la Corte Suprema degli Stati

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7. Nota della Segreteria del D.G.R.C. del Ministero degli AffariEsteri del 25 gennaio 2000, agli atti della Soprintendenza diPalermo.

8. Spatafora, Vassallo 2002. Vedi anche : Spatafora 2006;

Spatafora, Vassallo 2005; Vassallo 2005.9. Spatafora, Vassallo 2004.

10. Spatafora, Vassallo 2006.11. Spatafora, Vassallo 2007.

Uniti, rende esecutiva la sentenza e anche il Mini-stero degli Esteri sottolinea come il dispositivo dellasentenza riconosca «la titolarità dello Stato Italianosugli oggetti di scavo, ai sensi della nostra legisla-zione di tutela, e pertanto essere la phiale oggetto difurto»7. Il 29 febbraio 2000 è il giorno della ricon-segna della phiale aurea all’Italia, avvenuta nelcorso di una significativa cerimonia svoltasi a Romaalla presenza del Ministro per i Beni Culturali,Giovanna Melandri, del Procuratore delle Repub-blica di Termini Imerese, Francesco Messineo, del-l’Assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia,On.le Salvatore Morinello e dell’ambasciatore degliStati Uniti a Roma, Thomas Foglietta.

Poco dopo la phiale viene esposta per un sologiorno in Sicilia nella storica villa Whitaker diPalermo, in una prima, simbolica, presa dicontatto con la terra di provenienza. Si avvianocontemporaneamente, su incarico dell’autoritàgiudiziaria, accertamenti e studi di tipo tecnico perfugare ogni dubbio sulla autenticità del reperto.L’esecuzione di una perizia tecnico-scientifica daparte dei Proff.ri Nicola Bonacasa, Giuseppe Nencied Antonietta Brugnone, attesta il valore e l’origi-nalità della coppa, confermate del resto anche daanalisi di laboratorio disposte dalla Procura diTermini Imerese ed effettuate da esperti del-l’Università di Siena e della Sapienza di Roma(E. Formigli e D. Ferro), che non rilevano alcunaprova a favore della tesi della falsificazione, riscon-trando invece una serie di elementi che ne dimo-strerebbero l’autenticità.

Nelle vicende della coppa si apre un nuovoimportante capitolo, quello della valorizzazione. Il3 maggio 2002 il procuratore di Termini Imerese,Francesco Messineo, affida la phiale in giudizialecustodia al Soprintendente ai Beni Culturali eAmbientali di Palermo, Adele Mormino, facendocarico alla stessa di tutti gli oneri e responsabilitàinerenti alla custodia, ma consentendo nello stessotempo che «il custode nominato, sotto la propriaresponsabilità» abbia «facoltà di utilizzare ilreperto per studi ed osservazioni scientifiche e perla esposizione in pubblico con tutte le cautelenecessarie a prevenire qualsivoglia pregiudizio».

A prescindere, dunque, dalla permanente espo-sizione nell’Antiquarium di Himera, a fianco deicoevi reperti provenienti dalla necropoli di MonteRiparato di Caltavuturo, la phiale, nel mese digiugno del 2002, viene inserita nel percorso esposi-tivo della Mostra «Sicani, Elimi e Greci. Storie dicontatti e terre di frontiera», allestita dalla Soprin-tendenza di Palermo nella sale di Palazzo Riso8 enell’ottobre del 2003 esposta ad Assisi in occasionedella mostra, voluta dalla presidenza della RegioneSiciliana, «Luce. La cultura non è un’isola».

A Zurigo, a partire dal 20 ottobre 2004 e fino almese di febbraio del 2005, la phiale viene espostanel Museo Archeologico dell’Università svizzeranell’ambito della mostra «Das Eigene und dasAndere. Griechen, Sikaner und Elymer» organizzatadalla Soprintendenza di Palermo in collaborazionecon l’Istituto di Archeologia della stessa Univer-sità9 e, dal 13 maggio al 20 agosto 2006, entra a farparte integrante del percorso espositivo «DesGrecs en Sicile» realizzato, ancora a cura dellaSoprintendenza e in collaborazione con il CentreCamille Jullien di Aix-en-Provence, nella presti-giosa sede del Musée d’Archéologie Méditerranéennedel Centre de la Vieille Charité di Marsiglia10.

Significative, in Sicilia, le esposizioni al PalazzoReale di Palermo, sede dell’Assemblea Regionale,una prima volta, il 23 settembre del 2006, in occa-sione delle Giornate Europee del Patrimonio e dal15 giugno 2007 in occasione della mostra «Ars Sici-liae» organizzata nell’ambito delle celebrazioni del60o anniversario della costituzione dell’AssembleaRegionale.

Infine, dal mese di ottobre 2007 la phialeritorna ad essere contestualizzata nel suo territoriodi provenienza e tra i materiali della stesa epocarinvenuti in quel comprensorio territoriale, inoccasione dell’esposizione «Memorie dalla terra.Insediamenti ellenistici nelle vallate della Sicilia centro-settentrionale», realizzata dalla Soprintendenza diPalermo nei locali del restaurato Convento di SanFrancesco a Caltavuturo11. E ancora, in ultimo, arappresentare l’attività del Nucleo dei Carabinieriper la Tutela del Patrimonio Culturale nel recu-pero di opere d’arte dal mercato internazionale

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12. Spatafora, Vassallo, in c.d.s.

clandestino, il prezioso reperto è stato esposto, dal30 ottobre del 2009, al Real Albergo dei Poveri di

Palermo in occasione della Mostra «L’Arma perl’Arte. Sicilia»12.

Francesca SPATAFORA

Stefano VASSALLO

LA PHIALE : DESCRIZIONE

Phiale mesomphalos (fig. 3).Diametro cm 22,75; altezza cm 3,7; peso

gr. 982,40.La vasca, a profilo arrotondato, poggia sulla

concavità dell’omphalos, con diametro di cm. 3,9.Il bordo, rialzato, ha il piano superiore lievementeinclinato all’interno, con spessore interno.

La parete è decorata a sbalzo. Il bordo è liscioall’interno ed all’esterno. All’esterno è praticata unaiscrizione puntinata in lettere dell’alfabeto greco.

Fig. 3 – Rilievo grafico della phiale.

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13. Per le fasi tecniche di realizzazione cfr. Ferro, Formigli,Pacini, Tossini 2008, p. 66.

Fig. 4 – Interno della phiale.

Fig. 5 – Particolare della lamina interna attorno all’omphalos.

Interno (fig. 4) : l’omphalos, con altezza di cm.2,7, è a superficie liscia e profilo curvo. Alla base ècircondato da una lamina a corona circolare(fig. 5), ornata a sbalzo da palmette le cui duefoglie laterali hanno gli apici piegati verso la fogliacentrale ritta verticalmente. Alle palmette sonoalternati fiori di loto stilizzati.

La lamina è marginata da grosso filo godro-nato, saldato a mascherare l’applicazione dellastessa alla parete della phiale13.

All’esterno del filo godronato, sulla parete del-la phiale è incisa una serie di semicerchi, al cuiinterno sono motivi lineari, forse parte superioredi palmette.

La parete della phiale è ornata a sbalzo daquattro corone concentriche, ognuna composta da36 elementi, di altezza crescente verso l’esterno.

La prima corona è alta cm 0,9.La seconda corona è alta cm 1,2.La terza corona è alta cm 1,7.La quarta corona è alta cm 2,3.La prima corona è costituita da elementi ovoi-

dali, con apice verso l’interno, a superficie solcatalongitudinalmente. Sono contornati da linee,aperte e ingrossate all’estremità interna.

Fra un elemento e l’altro, verso l’interno, sonolinee con estremità esterna affinata ed internaingrossata.

La seconda corona è costituita da ghiande, conscudetto superiore finemente inciso a linee incro-ciate ed oblique, ed apice verso l’interno. Sonocontornate da linee che, in maniera variata fraloro, sono distinte, oppure continue, rispetto aquelle che contornano gli elementi componenti laprima e la terza corona.

La terza corona è costituita da ghiande, simili aquelle della seconda corona. Ai lati sono linee chevariamente si continuano con quelle che margi-nano le ghiande costituenti la seconda corona.Esse sono incrociate fra loro, all’altezza delmargine inferiore dello scudetto; la zonad’incrocio mostra tre linee orizzontali a formareun avvolgimento. In corrispondenza esterna delcentro superiore delle ghiande che costituiscono laseconda corona sono linee con estremità esternaaffinata ed interna ingrossata, analoghe a quellepresenti nella prima corona.

La quarta corona è costituita da ghiande,analoghe a quelle che costituiscono le due coroneimmediatamente più interne.

Fra queste ghiande sono api con il capo voltoall’esterno. Su di esse è un cerchiello, con puntocentrale, che regge un bocciolo formato da dueordini di foglie appuntite aperte laterali e tre petaliarrotondati all’interno di esse.

Esterno (fig. 6) : la concavità dell’omphalos ècircondata da una corona (fig. 7), che reca incisauna decorazione formata da foglie d’edera sorretteda steli curvilinei con corimbi (costituiti da unaserie di cerchielli incisi con punto centrale) e ricci

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14. Wolters 1913, p. 195-196; Richter – Milne 1973, p. 29-30;Luschey 1939, p. 10 nt. 4; Sparkes – Talcott 1970, p. 105-106; Lazzarini 1973-1974, p. 374. Non paiono esserefrequenti le iscrizioni, contenenti nomi di forme, su reci-pienti : a quelli raccolti da Rolfe 1891, si aggiungano quellidiscussi da Burzachechi 1962, p. 28, 30-31 (a p. 32 : su un

aryballos in bronzo da Sparta è inciso : a¶galma) e la «coppadi Nestore» : Buchner-Russo 1955. V. anche l’elenco redattoda Lazzarini 1973-1974 e da Hansen 1976, p. 30 e nt. 11. Peranaloghe iscrizioni in etrusco e in lingue italiche : L. Agosti-niani, Le «iscrizioni parlanti» dell’Italia antica, Firenze, 1982.

Fig. 6 – Esterno della phiale.

Fig. 7 – Particolare della corona inferiore esterna.

terminali. La composizione base è ripetuta seivolte, con piccole differenze, anche dimensionali.

Dall’esterno di questa corona si hanno lequattro corone già descritte all’interno dellaphiale.

Dalla sommità della quarta corona si alza ilbordo liscio continuo, quasi verticale. Una parte diesso è occupata, per una lunghezza di cm. 15, daun’iscrizione puntinata (fig. 8) :

DAMARXOYAXYRIOS XRYSOI PDDAltezza dei caratteri : cm. 1,2 max; 0,6 min.Ampiezza dell’intervallo : cm. 3.All’interno del labbro non si notano convessità

in corrispondenza dell’iscrizione.

All’esterno, tra bordo ed estremità superioredella quarta corona (fig. 9), si ha una profondaammaccatura causata da un oggetto a punta arro-tondata, che ha causato una piccola lacerazionedella parete; accanto a questa se ne ha unaseconda simile, ma meno profonda, posizionatapiù verso l’interno.

A sinistra del D iniziale dell’iscrizione sonoalmeno due segni lineari incisi profondi, chehanno causato corrispondenti convessità all’in-terno del labbro.

DENOMINAZIONE E CONFRONTI

La denominazione antica della forma attestatadal nostro recipiente è fia¥lh : il termine fia¥la èinciso sul labbro di un recipiente in argento, rinve-nuto a Cipro : così da assicurarci il nome che aquesta forma veniva dato dagli Antichi14.

Fig. 8 – Sviluppo fotografico dell’iscrizione.

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15. Luschey 1939, p. 12; Valenza Mele. Nell’epigramma, conser-vato da Paus. 5, 10, 4, della dedica nel tempio di Zeus aOlimpia di uno scudo dorato da parte degli Spartani dopo labattaglia di Tanagra del 457 a. C. è usato il sostantivo fia¥lhcome sinonimo, indotto dalla somiglianza della forma : cfr.Richter-Milne 1935, p. 29, con citazioni di Autori antichi alproposito. Per il donario e il confronto fra il testo letterario equanto rimane di quello epigrafico : Clairmont 1982, spec.p. 80 per la metafora, esemplificata anche da Arist., Rhet. 3,4; da ultimo : Nafissi 2007, p. 209-214. Per lo scudo comeoggetto di dedica : Lazzarini 1976, p. 103, 167,

16. Ath. 11, 501d : balaneiomfa¥lov.17. Pollux 6, 98; Luschey 1939, p. 13. Sostegni di questa forma

sono sotto il bacile raffigurato nel mosaico con colombe daVilla Adriana.

18. Per altre denominazioni cfr. Luschey 1939, p. 21-22.19. Ed anche all’asticella costituente il fermo di una chiusura :

cfr. Aristoph., Lys., v. 410. Per un significato generico deltermine anche Luschey 1939, p. 26. Sulla genericità deltermine e sulla difficoltà di identificazione delle rappresenta-zioni con i diversi tipi di ghiande noti in natura : ZancaniMontuoro 1979; Kurz 2007, p. 82-84. Herzhoff 1990 la iden-tifica nel frutto della Quercus troiana, propria di Dodona, delquale vede una rappresentazione, a tutto tondo, nellaghianda in argento con scudetto in bronzo, alta cm 3 : Cara-panos, 1878, p. 92 n. 3, tav. 49, 10, della quale funzionalità ecronologie non paiono definibili. Altrimenti Brosse 1998,p. 73 (Quercus Robur L.), il quale associa le api al tronco dellequerce, nei quali avevano i propri alveari (p. 76).

Fig. 9 – Particolare della quarta corona esterna.

Della storia del nome testimonia Ateneo (11,501-502) : già Omero utilizza il sostantivo, maper indicare un recipiente in bronzo, sulla esattaconformazione del quale gli Antichi hannoemesso ipotesi diverse fra loro15. In epoca piùrecente, il sostantivo viene riferito a recipientiprovvisti di omphalos e ornati a rilievo conelementi a forma di ghianda16. Il grammaticoPolluce, di poco più recente di Ateneo, conservauna citazione di Saffo a proposito di phialai inoro, provviste di astragali17 : al termine di unalacuna nella tradizione del testo di Ateneo (11,502 b) è contenuta una simile descrizione, dallaquale risulta che tali astragali si trovavano sottoil fondo del recipiente, forse con funzione disostegni. Ateneo, per il nome del recipiente,rimanda ad un passo di Cratino intessuto dagiochi di parole, in quanto ba¥lanov richiamal’altro sostantivo balaneıon. Ateneo ricorda comele phialai in argento e in oro fossero abitual-

mente definite solamente con riferimento almetallo impiegato (aßrgyrı¥v e xrysı¥v, rispettiva-mente); che i Nassii dedicarono ad Apollo Deliouna palma in bronzo e karyw¥ tav fia¥lav; che gliEoli chiamavano la forma aßra¥kh18.

Il passo insiste sulla decorazione delle phialai :forse anche perché ciò ha dato destro di ricordareil gioco di parole di Cratino.

Oltre alla rappresentazione di ba¥lanoi, lephialai, come quelle dedicate dai Nassii a Delo,possono essere karyw¥ tai : cioè, decorate conka¥rya. A questo sostantivo Ateneo dedica unparagrafo (2, 52 b), nel quale è riportata una cita-zione da Eubolos, che equipara fhgov alle ka¥ryaKary¥stia. Fhgov ha il significato di «ghianda»,risultando così sinonimo di ba¥lanov : il qualeultimo sostantivo assume tuttavia una sferasemantica molto più ampia, potendo riferirsi afrutti diversi, come ad esempio «dattero» o anche«castagna», di forma analoga19. Ka¥ryon sembraassumere un significato più ristretto, riferendosialla «noce», oppure alla «nocciola». Ma si è giàaccennato che in Eubolos, riportato da Ateneo (2,52 b), le ka¥rya dell’euboica Karystos paionovalere come sinonimi di fhgoi : così come in altriscrittori attici.

Non sembra, quindi, che i diversi sostantiviricordati dagli Antichi possano avere significatiunivoci : anche se tutti rimandano a frutti diforma allungata e, più o meno, affusolata. L’iden-tificazione con frutti reali sembra limitata alla solaattestazione della ricordata dedica dei Nassii aDelo : in quanto l’associazione delle phialai all’al-bero di palma può indirizzare verso un significatodi «datteri» per gli elementi che ne decoravano lasuperficie.

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Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera460 Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

20. Ferro-Formigli-Pacini-Tossini 2008, p. 65.21. Vickers 1989.22. E. van Hille, Tamiake epigraphe ex Akropoleos, in ArchEph,

1903, c. 139-150 : c. 145, l. 93 I.23. Cfr. ThesGrecaeLing, s. v. fia¥lh.24. Luschey 1939, p. 23.25. Theophr., Hist. Plant. 3, 16.26. F. Durrbach, Inscriptions de Délos. Comptes des hiéropes (nn. 290-

371), Parigi, 1926, in particolare nn. 296, 298.27. Inscrip. Délos, n. 442 A, l. 156. Cfr. DictAntiq, s. v. phiala.28. Gasparri 1970.29. Il particolare si conserva nelle copie rinvenute nel canopo di

Villa Adriana ed in quelle nel Foro di Augusto : Schmidt1973, p. 19-27, tav. 20, a-b : VH 3-4 (da Villa Adriana);p. 13-14, fig. 7-8, 12-13 : AF 9, 11 (dal Foro di Augusto). Gli

esemplari da Villa Adriana sono ambedue copia della Caria-tide D di Atene : Lauter 1976, p. 16 con fig. a p. 12; Scholl1995, p. 200, fig. 14.

30. Un’interpretazione anti persiana della rappresentazione dighiande in queste phialai è argomentata da Vickers 1985,p. 23. Vi si oppone Scholl 1995, p. 202, che ne rialza la data-zione e intende le korai come partecipanti ad un ritofunebre, compiuto con libazioni dalle phialai, in onore diCecrope.

31. P. Leveque, in un intervento in Dakar 1978, p. 191, sugge-risce che la citazione figurata di Negri sia analoga, per signifi-cato, a quella di Amazzoni : ambedue sarebbero simbolidell’incultura e della violenza alle quali si opposero vittorio-samente i Greci durante le invasioni persiane. Cfr. ancheLissarague 1997.

Ma è da notare che, sia nella nostra phiale siain quella conservata a New York (infra, n. 4) sonorappresentati elementi che rimandano ai frutti delfaggio (Fagus silvatica L.) oppure alle nocciole20,che non sembrano essere ricordati dagli Autoriantichi come elementi decorativi di phialai.

Gli inventari dell’Acropoli di Atene21, redattinel corso del V secolo, registrano phialai, talvoltautilizzando il sostantivo xrysı¥v, attestato come si èricordato in Ateneo (11, 502), ma non sembra chesi sia notato se le pareti dei recipienti fossero lisceoppure decorate a sbalzo.

Alla metà del IV secolo risale un inventario22

nel quale si registra una fia¥lh yΩpa¥rgyrovaßkylw¥ th : si tratta di un recipiente argentato,oppure in oro contenente argento23, decorato conla rappresentazione dei frutti del leccio (Quercusilex L.)24. Gli Autori antichi distinguono questifrutti dalle ghiande, pur se ambedue sono utilizzaticome alimentazione di animali : in quantol’a™kylov è di dimensioni minori della ba¥lanov25.L’aggettivo utilizzato nell’epigrafe è, a quanto siconosce, apax : non so se a causa della rarità diuna decorazione del genere, oppure per motividifferenti.

Gli inventari di Delo26, successivi alla metà delIV secolo, ricordano phialai karyw¥ tai, accanto adaltre leıai, cioè a superficie liscia, iscritte comedoni ad Apollo Delio ed alla dea Artemide. In unrendiconto sono registrati introiti e¶k fia¥lhv : sonostati interpretati come derivanti dal canone diaffitto di arredi cultuali, e specialmente di phialai,versato da quei fedeli economicamente non ingrado di acquistarli27.

La donazione che Seleuco Nicatore effettuò alDidymaion di Mileto all’inizio del III secolo era

composta anche da tre phialai in oro, tuttekaryw¥ tai, iscritte ad Agate Tyche, ad Osiride e aLatona rispettivamente28.

Ovviamente, non è più possibile conoscere imodi della decorazione che ornava quei preziosidoni votivi : dai quali si deduce che la decorazionesbalzata a forma di frutti allungati è testimoniataper lungo tempo, con ciò verificandosi unaggancio alla citazione di Cratino, tramandataci daAteneo, che può valere come termine cronologicopost quem.

Da nobili opere di sculture a tutto tondo,come quelle delle Cariatidi poste sulla loggiameridionale dell’Eretteo, possiamo apprenderecome le phialai tenute nella mano destra diqueste fossero decorate da corone, concentricheall’omphalos, composte da ghiande29. Poiché,tuttavia, nessuna fonte letteraria a noi pervenutadescrive le phialai delle Cariatidi ateniesi, nonsiamo in grado di porre in relazione la documen-tazione archeologica con le definizioni che ad essadavano gli scrittori antichi. È possibile,comunque, che le phialai delle Cariatidi del-l’Eretteo possano definirsi balano¥tai30.

Quanto leggiamo in Pausania (1, 33, 3) in rife-rimento alla statua tutta in marmo della Nemesi aRamnunte, opera di Agoracrito da Paro (anche semolti Autori antichi la ritenevano invece opera diFidia), attesta che la dea teneva nella mano destrauna phiale decorata con Etiopi : alcuni interpretiantichi (ai quali il Periegeta non crede, esponendodettagliate controdeduzioni nei paragrafi 4-6) negiustificavano la presenza essendo essi abitantidelle terre poste lungo il fiume Oceano, ritenutopadre di Nemesi31. Della phiale che caratterizzavala scultura nulla ci è conservato, al contrario di

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32. In epoca recente si sono ritrovati solamente frammenti dellabase e del panneggio : Despinis 1970; Despinis 1979.

33. Si hanno attestazioni epigrafiche di phialai e¶ktypoi eaßpoty¥poi, intese come decorate con figurazioni : DictAntiq,s. v. phiala; PW suppl. 7, s. v. fia¥lh. Ma PW, s. v. fia¥lh 1, leintende solamente decorate a rilievo. Cfr., però, infra nt. 41.

34. Richter-Milne 1935, p. 30; Gericke 1970, p. 30-31; p. 100.Hesych., s. v. fia¥lh la assimila ad una ıßatrike¥ pyjiv; phialaid’argento dal peso di 100 dracme, dedicate dagli schiavimanomessi nell’Atene del IV secolo, erano dette fia¥lai

eßjeleyuerikaı : Guarducci 1974, p. 271-272.35. Veyne 1990, con discussione delle precedenti interpreta-

zioni.36. Luschey 1939, p. 22 nt. 13 elenca gli esemplari al suo tempo

noti : quella da Michalkow è databile tra l’età del Bronzo equella del Ferro e mostra una forma del tutto diversa dallanostra, come anche quella dal c.d. «Tesoro dell’Oxus»; einoltre, a p. 89, quella dedicata dai Bacchiadi ad Olimpia, oraa Boston, entro la fine del VII secolo, con iscrizione (Jeffery,1990, p. 131 n. 13).

Fig. 10 – Phiale da Koul-Oba : particolare esterno. Fig. 11 – Phiale da Koul-Oba : particolare esterno.

quanto si verifica, grazie alle copie romane, per lephialai della Cariatidi poste sulla loggettadell’Eretteo32. La descrizione di Pausania nonautorizza nessuna deduzione a proposito dellarappresentazione di Etiopi, se a figura interaoppure limitata alle protomi33.

L’uso della phiale è prevalente nella fase dellalibazione34, che introduce al sacrificio vero eproprio : così che l’apparente contraddizione costi-tuita dalla raffigurazione di figure divine in atto direggere una phiale (come la Nemesi a Ramnunte)assume il significato, invece, coerente di raffor-zarne e simboleggiarne la natura sacra, in quantoè proprio tramite quel recipiente cultuale chel’uomo si introduce al culto35.

La documentazione archeologica nota, utile alnostro studio, è composta da phialai in oro36 varia-mente decorate a sbalzo : se ne può proporre ilseguente elenco.

1. Solokha : deposta agli inizi del IV secolo.Luschey 1939, p. 112; p. 138 n. 6 (a parete

decorata); p. 142; Bothmer 1962-1863, p. 163; Ordes Scythes 1975, Paris 1975, p. 152 n. 65.

Diam. 21,8 cm; alt. 3 cm; peso 698 gr.Concentriche all’omphalos sono tre corone,

decorate a sbalzo con gruppi, simili fra loro, ripe-tuti più volte, raffiguranti, rispettivamentedall’interno : un leone che atterra un daino; dueleoni che atterrano un cavallo; due leoni che sicibano di un cavallo abbattuto. Fra i gruppi, ilfondo è liscio.

2. Koul-Oba (figg. 10, 11, 12) : deposta entro ilIV secolo.

Minns 1913, p. 204 fig. 99; Luschey 1939,p. 96 n. 11 (con bocciolo di foglie); p. 112;Bothmer 1962-1963, p. 162; Or des Scythes 1975,p. 163-164 n. 94.

Diam. 23 cm; peso 698,55 gr.Attorno all’omphalos è una fascia, delimitata

all’interno da un filo godronato e all’esterno daun kyma a petali, con delfini a sbalzo, ai qualisono intercalati pesci di due forme differenti fraloro. All’esterno di questa fascia sono protomi di

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Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera462 Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

Fig. 12 – Phiale da Koul-Oba : particolare esterno.

Fig. 13 – Phiale da Panagyurischte : esterno.

Fig. 14 – Phiale da Panagyurischte : particolare esterno.

pantera, rivolte all’esterno. La parete è decorataradialmente da elementi a foglia appuntita,contornati all’interno da fascetta sinuosa agranuli. Ogni elemento ha sbalzato un gorgo-neion orrido con serpenti attorti sul capo, dalquale si diparte verso l’esterno un motivo a giralicon palmette frammiste. Fra questi elementi sonosbalzati altri gorgoneia, simili ai precedenti, daiquali si dipartono verso l’esterno motivi a girali,simili ai precedenti, ma di minori dimensioni. Albordo sono sbalzate, fra le estremità deglielementi a foglia, protomi umane caratterizzateda un berretto a punta e da baffi spioventi elunga barba; esse sono contornate da protomianimali (cinghiali?) ai lati delle quali sono api,con testa rivolta all’interno.

Sul labbro sono applicati due anelli in filod’oro.

3. Panagyurishte (figg. 13, 14) : deposta allafine del IV secolo.

Svoboda – Concev 1956, p. 143-146; Tontschev1959, p. 13-14; Venedikov 1961, p. 17; Griffith1974, p. 42; G. von Bulow, Treasures of Thrace,New York, 1987, p. 123; Ancient Gold 1998, p. 148n. 76; Die Thraker 2004, p. 225 n. 233 b.

Diam. 25 cm; alt. 3 cm; peso 845,7 gr.L’omphalos è marginato da una fascia liscia,

all’esterno della quale è una serie di ghiande, all’e-stremità inferiori delle quali è alternato unelemento costituito da puntini sbalzati raccolti in

una sorta di corimbo circolare. La parete è deco-rata da tre corone concentriche formate daprotomi di Negri. Gli spazi fra le protomi delle duefasce più esterne sono riempiti da palmettecontrapposte; quelli della fascia più interna dagirali annodati.

4. Di origine incerta (fig. 15) : New York,Metropolitan Museum of Arts.

Bothmer 1962-1963; Strong 1966, p. 97-99;Bothmer 1984, p. 50 n. 86; Vickers 1984, p. 50,tav. 3a, 4a; Vickers-Gill 1994, p. 43 nt. 80,fig. 2. 4.

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37. Bothmer 1962, p. 166 riporta un’unica misura per ildiametro in cm 22,7 e un’altezza di cm 3,6.

38. Debbo la possibilità di conoscere questo riferimento allacortesia della dr.ssa Maria Paola Guidobaldi.

39. Dubbi sulla pertinenza al «tesoro dell’Oxus» conservato alBritish Museum di questo importante ritrovamento casualesono espressi da Curtis 2004, p. 333-334.

Fig. 15 – Phiale di origine incerta, Metropolitan Museum di New York :esterno.

Diam. 22,4/22,7 cm; alt. 3,7 cm37; peso 747 gr.L’omphalos è marginato da una fascia decorata

con palmette a sbalzo, delimitato all’esterno con ungrosso filo liscio. La parete è decorata con quattrocorone concentriche : la più interna è composta daelementi ovoidali, con apice verso l’interno, asuperficie solcata longitudinalmente, definiti fruttidi faggio («beechnuts»). Le altre tre sono composteda ghiande con scudetto finemente inciso a lineeincrociate oblique, di lunghezza crescente versol’esterno. Tutti gli elementi delle tre corone piùinterne sono contornati da linee a sbalzo; leghiande della corona più esterna sono intervallateda api con il capo all’esterno, dal quale si diparte unbocciolo. Sulla parete esterna, concentrica allacavità dell’omphalos, si ha una fascia liscia, sullaquale sono incise due iscrizioni : una in caratterigreci, la seconda in caratteri punici.

Rientrano nel nostro argomento due ulterioriesemplari, ambedue parzialmente conservati :

I. Marion, tomba 92 : Varsavia, Museo Nazio-nale.

Ohnefalsch-Richter 1893, p. 480; tav. 198, 3;Froehner 1897, p. 18 n. 39, tav. 6, 25 (dai dintornidi Smirne); Luschey 1939, p. 61 n. 2a; p. 75;Bothmer 1962-1963, p. 159-160, fig. 8; Pacek196338.

Si conserva una parte della parete, completa diorlo, che permette di ricostruire un diametro supe-riore di circa 25 cm. La parete, più alta che nelnostro esemplare, è decorata a sbalzo con duecorone concentriche di ghiande, con scudettosolcato obliquamente, fra le quali sono palmette.Più all’interno si conserva poca, ma riconoscibile,parte dello scudetto solcato di una terza corona dighiande. L’orlo, liscio, è svasato : tra questo e leghiande della corona esterna sono incise lineecurve godronate, unite a due a due, con apice allagiunzione.

I dati di contesto della sepoltura indicano unachiusura della tomba entro la fine del VI o l’iniziodel V secolo.

II. Afghanistan : Shigarika, Miho Museum.Pichikyan 1997, p. 352-353, n. 31/197, fig. 16.Si conserva circa un terzo della parete di una

phiale in argento, laminata in oro, decorata asbalzo da tre corone concentriche costituite daelementi definiti «drop»; al centro interno è appli-cata una rosetta circolare. Le superfici sono pesan-temente ricoperte dall’ossidazione del metallomista a sabbia.

Datata al periodo achemenide.La stato di conservazione non permette di

affermare con sicurezza che le «drops» siano inrealtà ghiande : come induce ad ipotizzare, oalmeno a suggerire, la forma affusolata di talielementi39.

Di stretta attinenza è un esemplare di phiale, adestinazione votiva, in terracotta :

A. Locri Epizefiri, santuario della Mannella.Iacopi 1947, p. 3-8, figg. 1-2; Svoboda-Concev

1956, p. 144 nt. 61, tav. 9, 4; Bothmer 1962-1963,p. 162 fig. 17; Pacek 1963, p. 114 nt. 18, fig. 3-4;Arti di Efesto 2002, p. 199 n. 40.

Diam. 17,9 cm; alt. 4 cm.

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Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera464 Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

40. Unterweg 1995, p. 139 fig. 134; p. 292 n. 258 : da Pitschwari,tomba 110 della seconda metà del V secolo; Bothmer 1984,p. 21 n. 12, di origine incerta; Silver 1977, p. 27 n. 3, diorigine incerta; Traci 1989, p. 182 n. 142/2, da Stojanovo,datata alla metà del IV secolo : Summerer 2003, p. 21-22.

41. Silver 1977, p. 42 n. 12, forse dall’Acarnania, ma senzaomphalos. La phiale in oro dal kurgan di Bratoljubovskijpresso Oltino (Ucraina) è decorata a forte sbalzo con protomidi cavallo : Gold der Steppe 1991, p. 318 n. 120 e.

42. Gericke 1970, p. 31 propone che il rapporto dimensionale traaltezza e diametro diminuisca con il passare del tempo.

43. Bothmer 1984, p. 25 n. 18, di origine incerta, datata al IVsecolo.

44. Traci 1989, p. 234 n. 183/13, da Lovocit, datata tra IV e IIIsecolo; Platz-Horster 2003, p. 224-232 n. 7, tavv. 30-32,

datata entro la fine del IV secolo. Da identificarsi con laforma, usata dai Re persiani, detta w¶ ion in Athen. 11, 503 f?Ne è nota una produzione fittile dipinta da zona apula : DePalma 1989; adde : Riccardi 2008, p. 37 fig. 51.

45. Luschey 1939, p. 132-133.46. Bothmer 1984, p. 24 nn. 16-17, di origine incerta.47. Si osserva che in numerosi pinakes dal santuario della

Mannella sono rappresentate phialai con decorazioniradiali : cfr., ad es., Orsi 1909, p. 413 fig. 6; p. 415 fig. 8;p. 419 fig. 14; p. 420 fig. 16.

48. V. supra, nt. 46.49. Bothmer 1981, p. 196, fig. 1.50. Per un’indimostrabile interpretazione della presenza di

Etiopi : Bourgeois 1978.

All’interno l’omphalos è marginato da unafascia decorata a rilievo da palmette e fiori di loto.Seguono tre corone concentriche : la più interna ècomposta da elementi di forma triangolare, conlati arrotondati, con scudetto a spicchi; la medianada ghiande, con scudetto solcato da linee sololongitudinali; l’esterna da protomi di Negro.

Gli esemplari di phialai in oro qui elencatipresentano due sistemi sintattici della decorazionesbalzata, a prescindere dalla forma di quest’ul-tima.

La phiale da Koul-Oba mostra una decorazioneorganizzata su linee radiali, ponendo l’omphaloscome centro del recipiente.

Una sintassi del genere si trova in phialai conomphalos decorate a sbalzo con costole, datate inepoca arcaica o tardo arcaica40 ed anche in periodopiù recente41.

Organizzata in maniera simile può essereconsiderata la decorazione di ulteriori esemplari,di maggiore altezza42 : le costole si riducono dilunghezza e si ampliano in lobi43, fino a divenireprofonde cavità oblunghe, mentre i recipientimostrano il bordo svasato all’esterno44, non a casodefinite anche «coppe per uova»45.

La phiale da Koul-Oba (supra, n. 2) accantoalla sintassi radiale degli elementi a foglia appun-tita mostra anche attenzione ad un posiziona-mento concentrico dei gorgoneia dei due ordini edelle protomi barbate, poste all’orlo. Quest’ultimoelemento si può confrontare in una coppia diphialai, con orlo rialzato svasato46 : le protomisono a sbalzo sporgente e delimitano superior-mente una zona decorata a foglie allungate,disposte radialmente.

Le phialai da Solokha (supra, n. 1), da Pana-gyurishte (supra, n. 3), di origine incerta (supra,n. 4) e quelle da Marion e dall’Afghanistan (supra,I-II), come la nostra e l’esemplare in terracotta daLocri Epizefiri (supra, A), sono invece decorate consintassi rigidamente concentrica, anche se i diversielementi a sbalzo seguono un ordinamentoradiale. La loro sintassi è organizzata come quellaattestata nelle phialai delle Cariatidi dell’Eretteo47.

Per quanto riguarda gli elementi a sbalzo chedecorano le pareti di phialai, si è già accennato aquelli «a foglie» e «a costole» : modelli che assu-mono sia differenti forme sia modi differenti dicomporsi fra loro.

Gli elementi figurati presenti sulle phialai daSolokha e da Koul-Oba si distinguono da tutti glialtri conosciuti per la loro complessità.

Nella phiale da Solokha i gruppi animalistici sipossono collocare nella tradizione di analoghefigurazioni, attestate fra i prodotti, di varia tipo-logia e in differenti materiali, in uso fra gli Sciti,che si sono proposte essere derivazioni da modelliorientali.

Nella phiale da Koul-Oba, l’elemento princi-pale è rappresentato dai gorgoneia, del tipo«orrido», con tratti arcaici sia nel volto sia nellaconformazione dei serpenti del capo. È probabileuna derivazione da un modello greco di epocaarcaica : ma per le protomi al bordo abbiamo giàrichiamato confronti48, assegnati a produzionelidia49.

La phiale da Panagyurishte presenta protomi diNegri : che rimandano alla descrizione letterariadella decorazione della phiale sorretta dalla statuain marmo della Nemesi a Ramnunte50. Cometuttavia si è già accennato, non ricaviamo da

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51. L’oro 1992, p. 171 n. 136; p. 266 n. 136.52. Luschey 1939, p. 27.

53. Luschey 1939, p. 28.54. Costa 1996.

Pausania se, nella statua, gli Etiopi fossero rappre-sentati a figura intera oppure solamente accennaticon le protomi. Nella phiale in argento daDuvanli51 si hanno quattro gruppi, simili fra loro,raffiguranti un carro trainato da due cavalli algaloppo, sferzati da un guerriero armato. Larappresentazione è qui incisa e dorata, così darisaltare sulla parete in argento : nella statua aRamnunte le figurazioni saranno state, si puòipotizzare, a rilievo, così da rendersi più evidenti,così come si vede nelle repliche romane dellaCariatidi. Ma non si può escludere né che fosseroravvivate dal colore né che fossero state solamentedipinte.

Che, però, l’elemento decorativo più frequenteper le phialai sia costituito da elementi affusolatisembra potersi dedurre sia dalle phialai a NewYork, dalla nostra, dall’esemplare in ceramica daLocri Epizefiri, da quelle da Marion e dall’Af-ghanistan ed, inoltre, dalla ripetuta specificazioneal proposito tramandati dalle fonti letterarie edepigrafiche. Le fonti scritte, almeno per quanto siconosce, paiono concordi nell’indicare decorazionidel genere, salve le incertezze per intenderne ilrapporto con specifici frutti reali, come già notato,mentre non ricordano decorazioni né «a foglie» o«a costole» radiali, registrate negli inventariepigrafici52, né, esplicitamente, a figure intere.Figurazioni, ma prevalentemente pro¥swpa sonoinvece registrate in inventari epigrafici53.

La menzione di «astragali» manca, almomento, di riscontri archeologici (ma cfr. supra,nt. 17); mentre le «drops» dell’esemplare afganonon possono non rimandare alla forma delleghiande.

Per quanto riguarda il rapporto cronologicorelativo che lega la documentazione archeologicanota, si osserva come essa sia pertinente ad unafase più recente rispetto alla datazione da asse-gnare alla tradizione letteraria. Saffo è attiva entrol’inizio del VI secolo; Cratino muore entro l’ultimoquarto del V secolo : di certo non ha visto la deco-razione delle phialai tenute dalle Cariatidi del-l’Eretteo, ma forse i loro modelli. Circa la datadella Nemesi a Ramnunte non abbiamo informa-zioni precise : ma è di sicuro precedente a quella

delle Cariatidi. Le deposizioni in tombe di Solokhae di Koul-Oba avvengono entro il IV secolo; ladedica dei Nassii a Delo non è determinata crono-logicamente. Se il dono fosse stato effettuato daltiranno Ligdami ci aspetteremmo che nella tradi-zione figurasse il suo nome; è incerta la datad’inizio del suo dominio, che sembra terminareantro il 52254; l’isola fu conquistata dai Persiani nel490. Pertanto, si può proporre che la dedica siastata votata tra la fine del VI secolo e l’inizio delsuccessivo. D’altronde, non conosciamo la formadelle ka¥rya di quelle phialai, anche se abbiamoipotizzato avessero forma di datteri.

I ritrovamenti archeologici sono, invece, grossomodo in fase con le attestazioni epigrafiche degliinventari di Delo e della donazione di SeleucoNicatore : i quali, anch’essi, non specificano laforma delle decorazioni delle phialai, mentrequelli dell’Acropoli di Atene, tranne che in uncaso, non ricordano l’eventuale decorazione dellephialai votate.

Le phialai da Solokha e da Koul-Oba mostranoun repertorio decorativo del tutto proprio, e diffe-rente da quello documentato nelle restanti sopraelencate, compreso l’esemplare in terracotta,appunto da Locri. Se ne deduce che la produzionedegli esemplari utilizzati dagli Sciti è avvenuta inambienti diversi da quelli nei quali si sonoprodotte le altre phialai, che non sembranodoversi assegnare ad una cronologia troppodistante, se non forse nel caso di quella daSolokha, che pare essere la più antica della classe.Le phialai scitiche si suppone siano state prodottein ambito greco orientale, nel quale erano diffusirecipienti in metalli preziosi.

È difficile sfuggire alla suggestione di collegarele phialai da Panagyurishte, quella a New York, lanostra e quella da Locri Epizefiri ad ambienti diproduzione toreutica ai quali erano note sia leCariatidi dell’Eretteo sia la Nemesi a Ramnunte.

Ma occorre ricordare che la decorazione conka¥rya di phialai era praticata anche in periodoprecedente alla realizzazione di quelle sculture : loattesta Cratino, specificando che si tratta diba¥lanoi, cioè delle stesse ghiande che vediamonelle phialai delle Cariatidi; e, se è nel reale la

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55. Cfr. supra, nt. 30. Se le «drops» della patera afghana (supra,II) fossero state ghiande, si perderebbe uno degli appoggi suiquali Vickers ha argomentato la sua ipotesi.

56. Come accade in una coppa da Paternò : Platz-Horster 2003,p. 211 n. 2, tav. 41, Kat. 2.

collocazione cronologica sopra proposta per ildono dei Nassii a Delo, abbiamo un secondo prece-dente, di poco più recente di quello da Marion.Cratino è di ambiente ateniese, mentre i Nassii delperiodo arcaico partecipano di un diverso ambitoculturale. Inoltre, la forma delle «drops» sbalzatesulla parete della phiale afghana (supra, II)rimanda, come anticipato, alla forma di ghiande :con ciò indicando come, pur su una forma sprov-vista di omphalos, una decorazione del generefosse prodotta da botteghe achemenidi del periodoarcaico.

È forse un caso che le phialai delle Cariatidisiano state ornate con ba¥lanoi, mentre quella dellaNemesi, opera del pario Agorakritos, con Etiopi :la rispettiva produzione deriva da tradizioni cultu-rali differenti fra loro, per quanto formalmentearmonizzate dalla lezione fidiaca.

Si può, quindi, ipotizzare che non sia esistitoun rapporto diretto di dipendenza tra le ba¥lanoidelle phialai delle Cariatidi e quelle delle phialai aNew York e la nostra : essendo generico e diffusoin botteghe differenti fra loro l’elemento che ledecora tutte. Ed altrettanto potrebbe valere per laphiale della Nemesi e quella da Panagyurishte, sela prima recava solamente protomi e non figureintere. L’esemplare in terracotta da Locri Epizefirireca ambedue le forme : facendone dedurre cheesse erano intercambiabili fra loro, valendo sola-mente la loro forma a decorare efficacemente lasuperficie costituita dalla parete del recipiente. Lasua derivazione da una phiale in metallo appareevidente.

Come si è ricordato, è stata proposta unastimolante ipotesi per giustificare la presenza diba¥lanoi nelle phialai delle Cariatidi55 : ma, oltre aquanto controdedotto da Scholl, la stessa decora-zione è documentata da Cratino, di certo primache quelle statue fossero scolpite, così che l’ipotesi,per quanto ben argomentata, non può che rima-nere tale.

Circa la motivazione che ha condotto Agora-kritos a rappresentare Etiopi nella phiale dellaNemesi si è già accennato che Pausania non dàcredito a quella mitologica, non prospettandonetuttavia una propria alternativa : così che il nostro

giudizio al proposito non può che rimaneresospeso, limitandosi a quanto proposto poco soprasulla base della documentazione archeologicalocrese.

Infine, è fin banale ricordare come la nostraconoscenza della realtà produttiva antica di reci-pienti in metalli preziosi (ma anche vili, seppure inminore proporzione) è talmente infinitesimalerispetto all’insieme originario di essa da permet-tere solamente una cautissima prudenza allostudioso moderno. A tale dato quantitativo siaggiunge, sempre con negativa valenza, la assairidotta conoscenza dei luoghi nei quali si sonoeffettuati i ritrovamenti di oggetti del genere giuntifino a noi e, in misura ancora minore, delle rispet-tive situazioni di contesto. Così che tentarne unacritica per cercare di conoscere luoghi ed epoche diproduzione, le rispettive pertinenze culturali e ireciproci rapporti, influssi ed imprestiti, appareessere compito arduo, dai risultati incerti e,comunque, ipotetici.

L’ISCRIZIONE

L’iscrizione è composta da caratteri puntinati,com’è frequente su supporti metallici, preziosima anche vili. Essa è stata praticata con cura,senza procurare rigonfiamenti all’interno incorrispondenza dei punti impressi; risulta benallineata, senza essere stata graffita in prece-denza56 e con regolare spaziatura fra le lettere.Queste ultime presentano le o di minori dimen-sioni rispetto alle altre, delle quali le i, r, y sonodi maggiore altezza.

Tra la formula onomastica iniziale e la nota-zione numerale si ha un intervallo di separazione.

L’intera iscrizione, per la coerenza chemostrano le lettere che la compongono, appareessere stata incisa dalla stessa mano e in un unicomomento : definibile dopo l’inizio del III secolo.

a) La formula onomastica

La prima parte dell’iscrizione contiene unaformula onomastica al caso genitivo : se ne deduceche la phiale è stata proprietà, e quindi successiva-mente dono, del personaggio ricordato.

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57. Lexikon 3 A, 1997, s. v. Da¥marxov.58. Lexikon 3 B, 2000, s. v. Da¥marxov.59. Lexikon 2, 1994; 3 B, 2000; 4, 2005, s. v. Da¥marxov.60. Così preferisce intendere Manganaro 1989, p. 302-304.61. Lexikon 3 A, 1997, s. v. �Axy¥riv.62. Manganaro 1989, p. 302-304.63. Corpus Inscriptionum Iudaicarum 1, Città del Vaticano, 1936,

n. 694; Lexikon 4, 2005, s. v. �Axy¥riov.64. D. M. Lewis, Attic Manumissions, in Hesperia, 28, 1959,

p. 208-238 : p. 231, B l. 207; Manganaro 1989, p. 302-304.

65. Segnano dubbio SEG 39, 1034; Lexikon 3 A, 1997, s. v.Da¥marxov.

66. Lazzarini 1976, p. 62.67. Lazzarini 1976, p. 68-70.68. Lombardo 1982, p. 881-882; Nenci 1995.69. Sul quale cfr. Nenci 1995, p. 4-5.70. Lombardo 1982, p. 884; Polis e Olympieion 1992, p. 269, tab.

20, l. 2.71. Manganaro 1990, p. 404.72. Zontschev 1959, p. 14; Griffiths 1974, tav. 1, b.

È incerto se si ha ricordo di un nome proprio edi un patronimico, oppure di un solo antroponimopreceduto dalla menzione della magistratura rico-perta.

La prima parola che si distingue è Da¥marxoy(gen.) : è intesa come antroponimo in Sicilia occi-dentale e Siracusa57; in Grecia centrale e in Tessa-glia58. Alla ionica, è attestato ad Atene, Beozia,ancora in Tessaglia, nel Bosforo Cimmerio e inMacedonia59.

D’altro canto, è ben nota la magistratura delda¥ /h¥marxov60.

La seconda parola è �Axy¥riov (gen.) : è incertose il nominativo sia stato �Axy¥riv61, oppure�Axy¥riov62. Quest’ultima forma è attestata inun’iscrizione dedicatoria di una sinagoga di Stobi,forse del 165 d.C. : è stato proposto essereadnomen, forse di origine ebraica, di Tibe¥riovPolyxa¥rmov, costruttore della sinagoga stessa63. UnAxyriwn è elencato come manomesso ad Atene64 :il suo antroponimo è fatto derivare da a¶xyron (=paglia).

La rarità di questo antroponimo e l’incertezzacirca la sua esatta conformazione rendono difficol-toso intendere appieno la formula onomasticaiscritta sulla nostra phiale.

Fra le due parole che la compongono, sola-mente la seconda è di sicuro un antroponimo, perquanto raro; la prima non permette alcuna sicu-rezza d’interpretazione65.

Per le formule delle iscrizioni di dedica delnostro periodo cronologico manca l’analisi criticacompiuta per quelle del periodo arcaico : così chenon si può valutare se le formulazioni, epigrafica-mente attestate, di epoca precedente possanoconsiderarsi valide anche in prosieguo di tempo.Nelle dediche arcaiche menzioni del patronimicodel dedicante si riscontrano «non di rado»66,mentre «non molto numerose» sono quelle rela-

tive alla «condizione politica»67 del dedicantestesso.

Ammesso che il sistema formulare arcaico siarimasto valido anche in tempo successivo, comeappare probabile stante il conservatorismo dei testidi dedica, la documentazione epigrafica di epocaarcaica offrirebbe probabilità ad intendere la primaparola della nostra iscrizione come nome propriodi un individuo con il patronimico �Axy¥riov.

b) La notazione numerale

I tre estremi caratteri a destra dell’iscrizione siintendono come notazione numerale : sono prece-duti dal sostantivo xrysoı, il significato del quale èin diretto collegamento con la materia con la qualeè costituita la phiale. Si tornerà in seguito suquesto sostantivo.

La notazione numerale segue il sistema acrofo-nico pseudoascendente68, proprio della Sicilia occi-dentale. La lettura che è stata finora proposta dellanotazione la intende equivalente al numero 115.

I due segni estremi a destra, con elementotondeggiante in basso, possono essere ricondottiad un D con apice rettilineo verticale superiore69;quello a sinistra di essi è chiaramente un P.

Un segno del tutto analogo ai due estremi didestra è presente in una tavola dell’archivio diZeus Olimpio a Locri70, con il valore di 10.

Il primo segno da destra è simile al secondo :salvo avere una sbarretta orizzontale nel settorecircolare intesa con valore di moltiplicazione71.Analogo espediente per intendere multipli è utiliz-zato nella seconda lettera da sinistra dell’iscrizioneponderale incisa sulla phiale da Panagyurishte72 :questa è una P con linea obliqua superioreinterna, che rende il significato di 50. Tuttavia, indocumenti epigrafici sicelioti analoghe sbarrettenon paiono attestate, se non nel caso della tabellaV da Entella, reso dubbio dall’impossibilità di un

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73. Lombardo 1982, p. 884.74. Manganaro 1990 a, p. 412.75. Un esemplare con peso di gr 8,79 è ritenuto provenire da

Morgantina : Manganaro 1990 a.76. Healty 1986 : indica un peso di gr 8,42 uguale a quello del

darico persiano.77. Manganaro 1990, p. 404.

78. Vickers 1989, p. 254-255.79. Vickers 1984.80. Segrè 1928, p. 261.81. Anche nell’iscrizione punica della phiale a New York sarebbe

inciso un numero corrispondente al doppio degli standardutilizzati : cfr. infra ntt. 90-91.

controllo autoptico e comunque di incerto signifi-cato73.

Stante la successione dei segni, le considera-zioni fin qui espresse autorizzano a confermare ilvalore di 115 per la notazione numerale, già accet-tata nella bibliografia riferita alla nostra phiale.

Come di consueto, il numero è da riferirsi alpeso della phiale sulla quale è inciso : e lo standardutilizzato è rappresentato dal sostantivo xrysoı,con il quale si indicano stateri74.

Sono noti stateri di pesi diversi fra loro : varia-bile, per di più, nella successione delle rispettiveemissioni, come si rappresenta nella tabella 1.

Tabella 1

Emittente Peso in gr Bibl.

Filippo II e Ales-sandro III di Mace-donia

8,54 Manganaro 1989

Filippo II e Ales-sandro III di Mace-donia

8,7375 Manganaro 1990 a,p. 410

Seleucidi 8,60 Segrè 1928, p. 283

Persia (darico) 8,54 Manganaro 1990, p. 404

Persia (darico) 8,44/8,46 Vickers 1989, p. 254-255

Persia (darico) 8,40 Vickers 1984

Taranto 8,70 Guzzetta 1992, p. 138

Lampsaco 8,50/8,62 M. Thompson, Alexan-der’s Drachm Mints II :Lampsacus and Abydos,

New York 1991

L’oscillazione del peso delle emissioni, tuttecomunque pressappoco corrispondenti fra loro,equivalente ai variati pareri espressi nellamoderna bibliografia76, e la sicura, anche se nonquantificabile, differenza tra il peso originale equello attuale della nostra phiale sono elementi i

quali, uniti alla ovvia disparità di efficienza tra latecnologia di misurazione antica e quellamoderna, rendono del tutto incerta l’identifica-zione dello standard adoperato.

A puro scopo illustrativo, si propone laseguente tabella 2, con l’esplicitazione dei rapportitra il peso attuale della phiale, corrispondente agr 982,40 che risulta essere il maggiore fra tuttiquelli finora noti, e quelli della tabella 1, così da farrisultare quanti di quei diversi stateri vi potrebberocorrispondere.

Tabella 2

Stateri Peso in gr Media evt.qui utilizzata Unità

Filippo II e Alessandro IIIdi Macedonia

8,54 – – – – 115,03

Filippo II e Alessandro IIIdi Macedonia

8,73/8,79 8,76 112,4

Seleucidi 8,60 – – – – 114,23

Persia (darico) 8,5477 – – – – 115,03

Persia (darico) 8 , 4 4 /8,4678

8,45 116,26

Persia (darico) 8,4079 – – – – 116,95

Taranto 8,70 – – – – 112,91

Lampsaco 1 8,50 – – – – 115,57

Lampsaco 2 8,62 – – – – 113,96

Lampsaco media – – – – 8,56 114,57

È da aggiungere lo statere d’oro emesso daTolomeo Sotere, noto come trı¥xryson, digr 17,8580 : ove fosse stato usato questo standard,ne risulterebbero 55,03 unità, corrispondenti apoco meno della metà del numero inciso81.

Come risulta dalla tabella 2, i valori sono quasiequivalenti fra loro e possono essere ritenuti tutticoerenti sia con l’indicazione incisa sia con il pesoattuale della phiale, tenendo in conto le considera-

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82. Cfr. in particolare per una convincente identificazione delsistema metrologico ateniese nei pesi degli oggetti preziosiregistrati negli inventari dell’Acropoli : Martinelli 1997;Martinelli 1999.

83. Vickers 1984.84. Vickers 1984, p. 50.85. Venedikov 1961, p. 22 invece intende il peso come corri-

spondente a 100 stateri lampsaceni.86. Bothmer 1962, p. 155, 157 : da tale ricostruzione, non moti-

vata se non per verosimiglianza, l’A. ricava uno standard digr 4,2, come risultato della divisione dell’ipotizzato pesooriginario per 180.

87. Vickers 1984, p. 50 ricostruisce un peso originario di gr 756,corrispondente a 90 darici di gr 8,40.

88. Segrè 1928, p. 260.89. Lipinski 1993, p. 98.90. Vickers 1989; Lipinski 1993, p. 101.91. Cfr. supra, nt. 81.

zioni limitative poco sopra avanzate. Ove non sitratti di numerologia fantasiosa, si può notare, unavolta di più, come i diversi sistemi metrologiciantichi permettevano valutazioni di conguaglio82.

Appare, quindi, impossibile definire a qualeambito metrologico abbia fatto riferimento labottega di toreuti che ha prodotto la nostra phiale,oppure il responsabile del «tesoro» votivo che l’hainventariata, al di là di ritenerli, come è fin banaledire, partecipi della generale cultura produttiva delprimo ellenismo mediterraneo.

Per quanto riguarda le altre phialai d’oro,Vickers ha compiuto studi al proposito, argomen-tando sulla citazione letteraria a proposito dellaphiale d’oro donata al padre dell’ateniese Demusdal Gran Re di Persia all’inizio del IV secolo83 : neha proposto un valore di 100 darici dal peso dicirca gr 8,40. Lo stesso standard di peso lo studiosoinglese riconosce, in diversi multipli, per phialaid’oro registrate negli inventari di Delo84 e perquella da Panagyurishte85.

Si può aggiungere che la phiale da Solokha,con peso di gr 865,80, corrisponde a 103,07 unitàdi gr 8,40 : con ciò indiziando un valore mediodiffuso per tal genere di recipienti in oro.

Mentre quella da Koul-Oba, con peso digr. 698, corrisponde solamente ad 83 unità digr 8,40, ammesso che quest’ultimo valore sia statousato come standard.

La nostra phiale, in quanto rapportata ad unmaggior numero di unità come registra l’iscrizioneche vi è stata apposta, si differenzia dal modello di100 standard proposto da Vickers.

Di peso minore è la phiale conservata a NewYork, per quanto quasi del tutto corrispondentealla nostra nella decorazione. Il suo attuale peso èdi gr 747 : sul fondo esterno il graffito in caratteripunici è stato inteso come indicazione del numero18086, corrispondente quindi a 90 × 287.

Se si fa riferimento alla dracma tolemaica digr 4,2888 e se ne moltiplica il peso per 180 risultanogr 756,00 : cioè il peso ricostruito come originario.

Ma il graffito punico è da leggersi, conmaggiore sicurezza, con valore di 14089 : in questocaso, l’unità alla base del peso attuale della phialerisulta di gr 5,33.

Lipinski, come già Vickers e von Bothmer, rico-struisce un peso originario della phiale di gr 756 :con tale valore, e avendo voluto intendere ilsostantivo punico zuz, con significato di «mezzosiclo», dalla singola lettera zayn incisa, ne fa conse-guire che il peso (ricostruito) della phiale corri-sponde a 70 sicli di gr 10,8 : tale standard appareben attestato90. Ma rimane da capire il motivo peril quale è stato inciso un numero corrispondente aldoppio degli standard utilizzati91.

Il rapporto tra il peso della nostra phiale equello della phiale a New York, tanto simili fraloro per decorazione, è di poco più di 1/10 di meno(per l’esattezza : 13%). Il rapporto tra quelle daSolokha e da Koul-Oba è di poco inferiore, corri-spondendo al 12,40% : ma queste ultimemostrano evidenti differenze nella sintassi decora-tiva, come si è già accennato.

La registrazione incisa del peso della phiale,oltre a quella della formula onomastica in casogenitivo, indica che il prezioso recipiente è statovotato, com’era diffuso costume, in un santuario,descrivendola dettagliatamente nel rispettivoinventario.

LA RICOSTRUZIONE DEL CONTESTO

DI PRODUZIONE, D’USO E DI RITROVAMENTO

L’analisi che si è fin qui proposta non hafornito elementi sicuri per intendere l’ambientenel quale la nostra phiale è stata prodotta entro lafine del IV o l’inizio del secolo successivo. L’iscri-zione, oltre all’uso della parlata dorica e delsistema numerale acrofonico pseudoascendente,non offre altri indizi illuminanti : anche a causa siadell’incertezza circa la prima parola sia della raritàdell’antroponimo �Axy¥riv/�Axy¥riov.

Se intendiamo la prima parola come nome

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92. Guzzo 2002, p. 31 e ntt. 44, 46.93. Cfr. supra, nt. 46.

proprio, la sua diffusione è molto ampia : cosìcome lo è se, invece, preferiamo ricostruire che�Axy¥riv/�Axy¥riov abbia ricoperto la demarchia.

La parlata dorica permette una delimitazioneall’interno del mondo greco : escludendo chel’incisore dell’iscrizione sia stato d’Asia Minore, adesempio. Altrettanto vale per il sistema numeraleadoperato, che si restringe ad alcune zone dellaSicilia92. Ma, appunto, l’incisore, non il toreuta cheha prodotto la phiale : la quale può essere giuntain un ambiente dorico provenendo da tutt’altroambiente.

Anche per quanto riguarda il peso del reci-piente non sembra che esso possa indicare inmaniera univoca la zona di produzione, stanti ladiffusione di standard analoghi fra loro e la sicuradifferenza tra il peso attuale della phiale e quellooriginario.

A questo proposito appare del tutto ingiustifi-cato proporre una ricostruzione del peso origi-nario : si può facilmente intendere come gli Autoriche hanno compiuto un tale esercizio aritmeticosiano partiti dalla propria preferenza per un deter-minato standard, aggiungendo quell’integrazione,causata dall’usura dovuta al tempo ed all’impiego,al peso attuale necessaria per raggiungere unvalore «tondo», che giustificasse la scelta,compiuta a monte, proprio di quello standard.

Come per i nomi propri, o quello della magi-stratura, anche l’identificazione dell’unità dimisura utilizzata per il peso della nostra phialenon permette indizi direzionati utili a delimitarel’ambito di produzione.

La decorazione a sbalzo della nostra phialetrova un preciso e dettagliato riscontro in quellaattualmente conservata a New York : non sola-mente per la presenza di ghiande e di altrielementi ovoidali (frutti di faggio), ma anche perquella di api, intervallate alle ghiande della coronapiù esterna, poste in uguale posizione. Quest’ul-timo particolare potrebbe rafforzare l’ipotesi dellapertinenza delle due phialai ad uno stessoambiente produttivo, in quanto nella phiale daKoul-Oba le api, ugualmente intercalate alleprotomi della corona più esterna, sono poste indirezione inversa.

Tale ipotizzato ambiente era partecipe di unadiffusa cultura decorativa, caratterizzata dall’uso dielementi affusolati a sbalzo come decorazioni dellepareti di phialai : decorazione che si è visto esserediffusa nello spazio e nel tempo.

A questa morfologia abituale e tradizionaleAgorakritos (o Fidia) apportò una variante nontanto morfologica e figurativa, quanto contenuti-stica : forse, riprendendola dalla più anticapresenza di protomi umane sbalzate sul bordo dicoppe di produzione asianica93. Si è visto essereincerto, per noi, il motivo che portò lo scultore araffigurare Etiopi, mentre la nostra attuale cono-scenza, pur ridotta quantitativamente e non suffi-ciente a ricostruire un dettagliato sviluppo,diacronico e culturale, della produzione di phialaiin metalli preziosi, sembra farci preferire l’inter-pretazione che quegli Etiopi fossero limitati alleprotomi.

Ad appoggio di questa interpretazione, più chela phiale da Panagyurishte, sembra essere quellafittile dal deposito votivo della Mannella di LocriEpizefiri : nella quale ghiande e protomi di Negriassolvono lo stesso compito, variando figurativa-mente fra loro, così come accade per le ghiandemiste ai frutti di faggio nella nostra e nella phiale aNew York.

Purtroppo, la non scarsa menzione di phialaidecorate a sbalzo nei diversi inventari templarinon permette identificazioni delle rispettive deco-razioni, oltre al sapere che esse erano state bala-no¥toi : specificazione che reputiamo di significatogenerico, ad esempio tale da non permetterci didistinguere fra ghiande e frutti di faggio. Pur così,mancano, a quanto sembra di conoscere,menzioni (che ci attenderemmo, essendo registratiesemplari a superficie liscia) di figurazioni figurate,sia ridotte a protomi sia di gruppi, come nellaphiale da Solokha.

Tanto da proporre, sia pure con ogni cautela,che quest’ultima sia stata prodotta a seguito di unaprecisa commessa, originatasi in un ambienteculturale d’uso nel quale decorazioni del generefossero preferite a quelle costituite solamente daba¥lanoi in genere.

E la varietà decorativa di phialai figurate in

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94. Minns 1913, p. 232 fig. 137; Tsetskhladze 1994 : la phiale,datata al V secolo, è iscritta (cfr. Jeffery 1990, p. 373 n. 72),così che è possibile ricostruire come essa fosse stata dedicatanel santuario di Apollo a Fasi, dal quale è stata successiva-mente asportata, in un’occasione bellica non determinabile,così da essere poi deposta nella tomba di I secolo nella qualeè stata ritrovata; cfr. anche Treister 2005, p. 239-241. Per glielementi figurati separati fra loro che decorano la superficiecfr. Ancient Gold 1998, p. 153 n. 81, phiale dal tesoro diRogozen decorata con bucrani separati fra loro.

95. Bothmer 1962, p. 158 fig. 5; Bothmer 1984, n. 86.96. Tutti più recenti paiono essere i ritrovamenti di gruppi costi-

tuiti da arnesi toreutici : Treister 2001, p. 253-273 (Galjub);p. 274-279 (Herakleia di Lucania), p. 280-296 (antica Daors,odierna Osanici = Pfrommer 1990, p. 246, FK 86). Di epocaarcaica, invece, sono quelli da Berezan : Solovyov – Treister

2004, e quelli, senza precisa provenienza, dalla Lidia :Özgen-Özturk 1996, p. 211-230, nn. 188-219. Non è chiarolo scopo della matrice in gesso di testa di Negro daMemphis : Cheshire 1996, p. 30-31 n. 4, figg. 15-16.

97. Cfr. supra nt. 44. Già Creso avrebbe dedicato a Delfi unaphiale d’oro : Plut., Sol. 4, 5. Cfr. anche Hdt. 9, 80 circa lacomposizione del bottino conquistato dagli Spartani a dannodei Persiani dopo la battaglia di Platea.

98. Ad esempio, la phiale d’oro donata al padre dell’atenieseDemus dal Gran Re di Persia : cfr. Vickers 1984. Cfr. supra,nt. 83. Il «dono» di coppe in metallo prezioso è anticaconsuetudine orientale : Zaccagnini 1979.

99. Cfr. supra, nt. 94; per altri esempi : Kallipolits – Feytmans,1948-1949; Nylander 1968; Rocco 1995; Guzzo 2002.

100. Pfrommer 1982; Pfrommer 1983; Pfrommer 1987; Pfrommer1990; Platz-Horster 2003, p. 235-237.

metalli preziosi è attestata : anche se la casualitàdella nostra attuale conoscenza sembra restrin-gerla nelle zone periferiche orientali, come nelcaso della phiale, ritrovata in contesto funerarionel kurgan Zubovskii, nel Caucaso settentrionale,in origine votata all’Apollo Hegemon di Fasi nellaColchide94. Questo recipiente si caratterizza,rispetto agli altri analoghi esemplari superstiti, perla separazione fra loro delle figurazioni sbalzatesulla parete, consistenti in protomi di cervidi, e perl’unicum, finora, costituito dalla rappresentazionedi serpente avvolto all’omphalos. Anche sequest’ultimo particolare è facilmente spiegabilecon l’originale scopo votivo, ad Apollo!, del reci-piente rimane il fatto che il toreuta ha saputovariare lo schema più abituale, almeno per quantonoi oggi possiamo ritenere, specificandone glielementi compositivi per renderli più coerenti alladestinazione del suo prodotto : in questo caso,chiaramente su commissione.

Se quanto argomentato corrisponde alla realtàantica, possiamo credere che le phialai in metallipreziosi siano state realizzate su commesse. Lequali, tuttavia, possono essere divise in due ampiecategorie : una composta da ordini specifici (comenel caso della phiale votiva di Fasi); una secondapiù generica, ornata da ka¥rya e ba¥lanoi.

Per ambedue le categorie possiamo ulterior-mente ipotizzare che comprendessero, ovvia-mente, varianti : per la prima, rappresentazionipiù generiche, come quelle della phiale daSolokha, e, forse, da Koul-Oba, coerenti alla piùgenerale cultura figurativa dell’ambiente d’uso, enon invece specifico come nel caso di un voto adApollo; per la seconda, per quanto riguarda laforma degli elementi a sbalzo, sempre con analogoprofilo affusolato, ma variabili sia all’interno di

una comune pertinenza al regno vegetale siainvece raffiguranti protomi. Inoltre, si possonoavere altri elementi aggiunti, come si verificaall’intorno dell’omphalos nella phiale a NewYork95.

Per quanto riguarda gli ambienti di produzionenon possediamo elementi sicuri di giudizio96. Leessenziali condizioni necessarie ad ospitare produ-zioni del genere consistono, oltre che nella tradi-zione toreutica, anche nella disponibilità delmetallo prezioso e nella continuità di commesse.

Queste tre condizioni paiono concentrarsi inambienti orientali e d’Asia Minore : nelle qualil’uso di recipienti in metalli preziosi, in specie oro,risale nel tempo e fa parte di un attestato cerimo-niale della corte persiana97. La disponibilità econo-mica necessaria per effettuare commesse delgenere è propria, sia nella diacronia sia nella distri-buzione geografica, di varie sedi : e a tale variabi-lità, si aggiungano, come ulteriori elementi diincertezza, sia i doni98 sia i bottini99 : così chedall’analisi dei luoghi di ritrovamento finora notinon si può dedurre quelli di produzione, se non informa mediata e largamente ipotetica.

Dalla fine del IV secolo la frammentazionepolitica dei regni dei Diadochi ha di certo portatoad aumentare gli ambienti di corte, e quindi leipotizzabili potenzialità di produzione di recipientiin metalli preziosi di varie forme, oltre che diornamenti personali, altrettanto preziosi : ma glistudi finora compiuti al riguardo hanno messo inevidenza le somiglianze reciproche dei prodottinoti, pur lasciando incerti sull’identificazione del-l’ambiente nel quale specifici particolari siano statielaborati, o addirittura inventati, e sulla direzionee la diacronia degli influssi e degli imprestiti100. Lecorti tolemaica, seleucida, pergamena e quella

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Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera472 Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

101. Lippolis 2002, 120-121. Il trionfo di Fabio Massimo suTaranto nel 209 fu magnificato anche per la grande quantitàdi vasellame prezioso conquistato : Liv. 27, 16, 7.

102. È legittimo supporre che fra «gli ingenti tesori» (Plut., Marc.19) che costituivano il bottino razziato dopo la conquista del-la città da parte di Marcello nel 212 fossero anche recipientidi metallo prezioso. L’attività di una bottega toreutica si puòdedurre dall’aneddoto relativo alla indagine compiuta daArchimede allo scopo di definire la proporzione di oro e diargento nella corona che Ierone di Siracusa aveva commis-

sionato : Vitruv. 9, praef. 9.103. Guzzo 1998, 27-28.104. Guzzo 2002.105. Platz-Horster 2003, p. 235.106. De Simone 2003.107. Williams 1988.108. Pfrommer 1987, p. 152-153, tav. 16-17, KTK 13-15.109. Pfrommer 1987, p. 160-167.110. Bothmer 1962, p. 158 fig. 5.

macedone, anche per la rispettiva incidenza poli-tica oltre che per il trapasso, o l’acquisizione, diprecedenti tradizioni culturali e produttive,sembrano essere state le principali sedi propulsivedi produzioni, utilitarie, votive, ad uso personale,oltrechè di rappresentanza, in metalli preziosi.

In questo quadro, il ruolo svolto dai centriprincipali di Magna Grecia e di Sicilia, comeTaranto101 e Siracusa102, sembra essere stato collate-rale a quello, che possiamo ritenere dominante,delle corti nate all’interno dell’impero di Ales-sandro. Anche in altre città di Magna Greciasappiamo si avessero recipienti preziosi, difunzione cultuale : Neapolis si offrì di rimpinguarel’erario della Repubblica ai tempi di Canne con ildono di quaranta patere d’oro; altrettanto offri-rono i coloni latini di Paestum103.

L’iscrizione punica incisa sul fondo esternodella phiale a New York ne indica un uso, nonsappiamo se ultimo nel tempo, entro un ambitoculturale che comprende anche parte della Sicilia;il tesoro di argenteria con provenienza rivendicataa Morgantina, pur se composito nella sua consi-stenza104, documenta della frequenza, in diversiambienti culturali dell’isola, dell’uso di recipientied arredi preziosi. Altrettanto variata nella suacomposizione è l’argenteria sepolta entro il IIIsecolo a Paternò105, di successiva proprietà dipersonaggi italici106, che potrebbero esser statimercenari. La totalità dei ritrovamenti finora effet-tuati nell’isola, per quanto sprovvisti di dati dicontesto, sembra con verosimiglianza costituireinsiemi composti da disparate acquisizioni e nonda commesse unitarie e coerenti. Se ne deduce chegli oggetti non provengono nei luoghi di ritrova-mento direttamente dagli ambienti di produzione,ma sono stati sottratti ai rispettivi, precedentiproprietari. Dove risiedessero, e chi fossero questiè fin ozioso chiederselo : considerando la fasestorica durante la quale assistiamo alle più ampie

mobilità di uomini e di cose, motivate nellamaniera più varia.

La notazione numerale acrofonica pseudoa-scendente sulla nostra phiale assicura che essa èstata incisa in Sicilia in un momento, non defini-bile, del suo uso.

I modelli decorativi presenti in alcune phialaid’oro non sembrano permettere di restringere laricerca della rispettiva localizzazione produttiva; indiversa categoria di prodotti preziosi si è solida-mente argomentata la loro diffusione geograficad’uso : derivante da un artigiano itinerante107,oppure da comune riferimento agli stessi schemida parte di botteghe differenti fra loro.

Nella nostra phiale le palmette a rilievo sullafascia interna contigua all’omphalos, come i giraliincisi all’esterno, rientrano in schemi consueti ediffusi, dei quali è del tutto incerto, come si è antici-pato, tentare di identificare il protos euretes.L’avvolgimento triplice che stringe le linee interca-late alle ghiande nella terza corona può rimandaread analogo motivo documentato in phialaid’argento da Tuch el-Karamus108, di periodo ache-menide pre-ellenistico. Ma la resa stilistica mostrauna secchezza di tratto del tutto differente daquanto si vede nel nostro esemplare : anche se altriprodotti toreutici documentano di stretti rapportifra Alessandria e Taranto109, tuttavia consistenti inimportazioni dalla prima alla seconda, per essere inquest’ultima utilizzati come necessari arredi aservizio di culti di origine egiziana.

La fascia interna intorno all’omphalos dellaphiale a New York è decorata da palmetteracchiuse in una linea semicircolare, con estremitàinferiori ripiegate all’interno110; la fascia esternaall’omphalos è liscia. La forma delle palmette sipuò confrontare con quella analoga della phialefittile dal deposito votivo della Mannella a LocriEpizefiri, non tuttavia marginata da alcunelemento rialzato.

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111. Guzzo 2002, p. 31 e ntt. 45, 47 con bibl. prec.112. Cfr. supra nt. 94.113. È alla generosità di Francesca Spatafora e di Stefano Vassallo

che debbo l’opportunità di aver potuto studiare questo

reperto : a loro va tutta la mia gratitudine. Ringrazio MariaGiulia Amadasi, Annalisa Polosa, Serena Querzoli, MalcolmBell, Carlo Gasparri e Nicola Parise per preziosi consigli esuggerimenti.

Ulteriore differenza in queste decorazioniaccessorie fra questa phiale e la nostra è costituitadal fatto che il grosso filo che margina la fasciadecorata interna è liscio, mentre quello dellanostra è godronato.

Analogo tra le due phialai in oro è il tripliceavvolgimento che stringe le linee intercalate fra leghiande nella terza corona : ma si è visto come essosia attestato in prodotti alessandrini, e quindi puòessere stato imitato da botteghe diverse fra loro.

Oltre alle incertezze derivanti dall’analisi deimotivi decorativi, si è anticipato come il ridottonumero di recipienti preziosi coerenti con lanostra phiale renda del tutto inaffidabili associa-zioni produttive. Si crede sia soltanto giustificatoquanto proposto poco più sopra circa i pochi colle-gamenti che si è stati in grado di cogliere : inquanto l’esemplare ceramico è da ritenersi calco diun recipiente metallico, per noi perduto.

La produzione della nostra phiale può essereavvenuta in uno dei centri principali del mondoellenistico, entro il IV secolo : forse lo stesso dalquale proviene la phiale ora a New York.

Circa l’ambiente d’uso più recente, da assu-mersi corrispondente a quello di seppellimento, lanostra conoscenza si limita a quanto è risultatodalle indagini giudiziarie compiute : cioè all’identi-ficazione del comune moderno, ma non a quelladei collegamenti del contesto antico.

Tra la produzione ed il seppellimento, la phialeè stata (anche) di proprietà del dorico figlio di�Axy¥riv/�Axy¥riov, all’interno di una società nonpiù identificabile entro le zone occidentali esettentrionali della Sicilia.

L’iscrizione, pur nella sua stringatezza, docu-menta della compilazione di un inventario : quasisicuramente in un contesto templare, del qualeperò non è fornita alcuna indicazione circa la divi-nità titolare e la localizzazione : che possiamotuttavia dedurre sia stata lì dove si utilizzava ilsistema numerale acrofonico pseudoascendente111.

L’accuratezza e la posizione evidente dell’iscri-zione indicano che si desiderava che essa fosse benleggibile : e, di conseguenza, rendere noto aidevoti il pio dono compiuto da Ah¥marxov, di certopersonaggio dominante di quella società, anche senon necessariamente investito di una caricapubblica. La mancata conoscenza dei dati di ritro-vamento ci impedisce di conoscere se la phiale ètornata alla luce all’interno del deposito votivo, oin diverso contesto, come pure è altrove docu-mentato per doni votivi112. Ove sia reale quantoappena ipotizzato, Ah¥marxov è stato uno deiproprietari della phiale, e non necessariamentel’ultimo prima della divinità titolare del tesoroall’interno del quale è stata inventariata, comedimostra l’iscrizione.

Che quest’ultima abbia avuto, come appenaanticipato, un carattere «pubblico» si ricava econtrario dalla cursorietà e dalla posizione in settorinon evidenti dei graffiti, ma anche delle notazionipuntinate, che registrano sia i proprietari sia i pesidi altri recipienti in metalli preziosi. Come si veri-fica nella phiale a New York : anch’essa sembraessere passata da una mano all’altra, a giudicaredalle diverse lingue che esprimono i graffiti su diessa incisi.

Poiché il luogo di ritrovamento della nostraphiale è stato dalle indagini giudiziarie accertatoessere il territorio di Caltavuturo, si è spinti adipotizzare che anche quella a New York, simile percostruzione generale pur se differente in partico-lari, provenga dalla stessa località oppure, generi-camente, dalla Sicilia : nella quale è documentatala diffusione sia del greco sia del punico.

Ma non sembra motivato spingersi oltre con leipotesi : così che ci si limita a deprecare, ancorauna volta, quanto comportamenti illegittimi, econseguenti cinici commerci, danneggino, limitan-dola, la ricerca storica e la conoscenza dell’Anti-chità113.

Pier Giovanni GUZZO

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Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera474 Pier Giovanni GUZZO, Francesca SPATAFORA e Stefano VASSALLO

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