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149 La spalla Anatomia funzionale La spalla è costituita funzionalmente da quattro arti- colazioni: sterno-clavicolare, acromion-clavicolare, scapolo-toracica e gleno-omerale. L’ampia escursione di movimento della spalla facilita il posizionamento della mano nello spazio. Questo è la risultante della complementarietà dei movimenti tra l’articolazione scapolo-toracica e la gleno-omerale. Questo movimento congiunto viene definito ritmo scapolo-omerale. Nel passato, i movimenti del cingolo scapolo-omerale erano considerati sempre separatamente; di specifica competenza di ciascuna delle quattro articolazioni che lo compongono. Tuttavia, una suddivisione così fram- mentaria e dispersiva della funzionalità della spalla non è in grado di fornire un’idea precisa e oggettiva della reale situazione funzionale. Infatti, in condizioni fisiolo- giche, tutte le articolazioni del cingolo scapolo-omerale lavorano in sincronia tra loro. La conferma di quanto appena esposto è data dal fatto che, se una patologia coinvolge anche solo una singola articolazione, finisce sempre per produrre rilevanti conseguenze sfavorevoli sulla funzionalità di tutte le restanti articolazioni e quindi di tutto l’arto superiore nel suo complesso. L’intero arto superiore è mantenuto in diretta con- tinuità con il tronco attraverso la piccola articolazione sterno-clavicolare, che consente un movimento limitato, ma che è anche in grado di resistere a carichi importanti. Pertanto, non è infrequente osservare la degenerazione artrosica di questa articolazione, associata alla presenza di osteofiti e alla rilevante tumefazione dei tessuti molli peri-articolari. Sia l’articolazione acromion-clavicolare sia la ster- no-clavicolare sono piccole articolazioni sinoviali carat- terizzate da un limitatissimo ROM e dal frequente coinvolgimento nei processi degenerativi artrosici. Più frequenti e importanti deformità artrosiche si instaurano a livello dell’articolazione acromion-clavicolare; queste ultime determinano rilevanti conseguenze sfavorevoli nel movimento e sull’integrità anatomica della spalla. L’articolazione scapolo-toracica non è rivestita dalla membrana sinoviale. È costituita dalla larga e piatta superficie triangolare della scapola, che si adagia sulla gabbia toracica con l’interposizione di una larga borsa di scorrimento. La stabilità dell’articolazione scapo- lo-toracica è strettamente dipendente dalle inserzioni dei tessuti molli della scapola sul torace. Il piano su cui giace la scapola è antiverso di circa 45° rispetto CAPITOLO 8 Per saperne di più Si invita a fare riferimento al capitolo 2 per una com- plessiva visione della prassi da seguire nell’esecuzione dell’esame obiettivo. Allo scopo di non rendere prolissa la trattazione e per evitare di ripetere per più di una volta le descrizioni anatomiche, la sezione relativa alla palpazione comparirà direttamente dopo la parte relativa all’esame soggettivo, e prima di qualsiasi altra sezione descrittiva dei test funzionali, piuttosto che alla fine di ogni capitolo. La sequenza con cui viene compiuto l’esame obiettivo dovrebbe essere stabilita in base alla personale esperienza, così come in base alla modalità di presentazione clinica del paziente.

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La spalla

Anatomia funzionale

La spalla è costituita funzionalmente da quattro arti-colazioni: sterno-clavicolare, acromion-clavicolare, scapolo-toracica e gleno-omerale.

L’ampia escursione di movimento della spalla facilita il posizionamento della mano nello spazio. Questo è la risultante della complementarietà dei movimenti tra l’articolazione scapolo-toracica e la gleno-omerale. Questo movimento congiunto viene definito ritmo scapolo-omerale.

Nel passato, i movimenti del cingolo scapolo-omerale erano considerati sempre separatamente; di specifica competenza di ciascuna delle quattro articolazioni che lo compongono. Tuttavia, una suddivisione così fram-mentaria e dispersiva della funzionalità della spalla non è in grado di fornire un’idea precisa e oggettiva della reale situazione funzionale. Infatti, in condizioni fisiolo-giche, tutte le articolazioni del cingolo scapolo-omerale lavorano in sincronia tra loro. La conferma di quanto appena esposto è data dal fatto che, se una patologia coinvolge anche solo una singola articolazione, finisce sempre per produrre rilevanti conseguenze sfavorevoli sulla funzionalità di tutte le restanti articolazioni e quindi di tutto l’arto superiore nel suo complesso.

L’intero arto superiore è mantenuto in diretta con-tinuità con il tronco attraverso la piccola articolazione sterno-clavicolare, che consente un movimento limitato, ma che è anche in grado di resistere a carichi importanti. Pertanto, non è infrequente osservare la degenerazione artrosica di questa articolazione, associata alla presenza di osteofiti e alla rilevante tumefazione dei tessuti molli peri-articolari.

Sia l’articolazione acromion-clavicolare sia la ster-no-clavicolare sono piccole articolazioni sinoviali carat-terizzate da un limitatissimo ROM e dal frequente coinvolgimento nei processi degenerativi artrosici. Più frequenti e importanti deformità artrosiche si instaurano a livello dell’articolazione acromion-clavicolare; queste ultime determinano rilevanti conseguenze sfavorevoli nel movimento e sull’integrità anatomica della spalla.

L’articolazione scapolo-toracica non è rivestita dalla membrana sinoviale. È costituita dalla larga e piatta superficie triangolare della scapola, che si adagia sulla gabbia toracica con l’interposizione di una larga borsa di scorrimento. La stabilità dell’articolazione scapo-lo-toracica è strettamente dipendente dalle inserzioni dei tessuti molli della scapola sul torace. Il piano su cui giace la scapola è antiverso di circa 45° rispetto

C A P I TO L O 8

Per saperne d i p iù

Si invita a fare riferimento al capitolo 2 per una com-plessiva visione della prassi da seguire nell’esecuzione dell’esame obiettivo. Allo scopo di non rendere prolissa la trattazione e per evitare di ripetere per più di una volta le descrizioni anatomiche, la sezione relativa alla palpazione comparirà direttamente dopo

la parte relativa all’esame soggettivo, e prima di qualsiasi altra sezione descrittiva dei test funzionali, piuttosto che alla fine di ogni capitolo. La sequenza con cui viene compiuto l’esame obiettivo dovrebbe essere stabilita in base alla personale esperienza, così come in base alla modalità di presentazione clinica del paziente.

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150 La spalla Capitolo 8

al piano mediocoronale del corpo. L’articolazione scapolo-toracica fornisce una supplementare mobi-lità all’articolazione gleno-omerale, che costituisce la spalla propriamente detta.

L’articolazione gleno-omerale è un’enartrosi, tra una sfera (testa omerale) e una cupola poco profonda (la glena). In virtù di questa conformazione, essa gode di un’impressionante libertà di movimento. Tuttavia, questa caratteristica ha un costo, quello di rendere l’articolazione intrinsecamente instabile. La cavità glenoidea è così piana e poco profonda a tal punto che, se la testa omerale non è protetta e stabilizzata dalla componente muscolare, può facilmente scivolare inferiormente, fuori dalla cavità, dando origine a una lussazione di spalla.

Generalmente, questa situazione non si verifica grazie alle strutture anatomiche capsulo-muscolo-legamen-tose periarticolari (Fig. 8.1). Anteriormente troviamo il tendine del muscolo sottoscapolare. Superiormente vi sono i tendini del muscolo sopraspinato e del capo lungo del bicipite. Posteriormente vi sono i tendini dei muscoli sottospinato e piccolo rotondo. Tutti questi circondano la testa omerale, costituendo la cosiddetta cuffia, i cui muscoli sono responsabili della rotazione della testa omerale all’interno della cavità glenoidea.

ClavicolaProcessocoracoideo

Acromion

Muscolodeltoide

Scapola

Articolazionegleno-omerale

Muscolobicipite

Grandepettorale

Muscolotrapezio

Articolazionesterno-clavicolare

Articolazioneacromion-clavicolare

Sterno

Fig. 8.1 - Visione d’insieme della spalla. Si evidenzia l’importanza dei tessuti molli periarticolari nel mantenere in sede la testa sferica dell’omero, con la superficie quasi piatta della cavità glenoidea. Sono anche raffigurate le altre articolazioni della spalla.

Perciò, questi muscoli vengono indicati e identificati come cuffia dei rotatori. La loro principale funzione e finalità è centrare e stabilizzare la testa omerale all’in-terno della cavità glenoidea, creando quindi uno stabile punto di fulcro su cui i muscoli più grandi e potenti della spalla, deltoide e gran pettorale, possono effica-cemente esercitare la loro forza contrattile.

La cuffia dei rotatori non si estende alla porzione inferiore o ascellare dell’articolazione gleno-omerale. In questa zona, gli unici mezzi di unione tra testa omerale e cavità glenoidea sono i legamenti capsulari, il più resistente dei quali è il legamento gleno-omerale infe-riore. Questo legamento riveste una certa importanza, poiché quando il braccio viene mosso in elevazione, l’abduzione e la rotazione esterna dell’omero vengono limitate dal contatto con il processo acromiale (Fig. 8.2). Quando la diafisi omerale raggiunge l’acromion, si crea un punto di fulcro, che spinge la testa dell’omero fuori dalla cavità glenoidea, se si prosegue con l’abdu-zione forzata del braccio. La testa omerale fuoriesce inferiormente dalla cavità glenoidea, appoggiandosi al legamento gleno-omerale inferiore. Se a causa della notevole e improvvisa sollecitazione in abduzione, o a causa della intrinseca resistenza allo stiramento del legamento, il cui grado variabile di lassità è genetica-mente determinato, si oltrepassa la soglia di resistenza del legamento capsulare inferiore, questo si lacera. Il risultato è una tipica lussazione di spalla antero-infe-riore (Fig. 8.3). La conseguente lesione del legamento gleno-omerale inferiore è irreversibile. Se non si pone rimedio a questa alterata situazione anatomo-funzio-nale, l’articolazione gleno-omerale diviene vulnerabile a ripetuti episodi di instabilità al movimento di ele-vazione e abduzione del braccio oltre il livello della spalla (segno o test dell’apprensione).

Acromion

Legamentogleno-omeraleinferiore

Clavicola

Fig. 8.2 - L’abduzione dell’omero è limitata dall’acromion. Quando, per forze esogene abnormi in abduzione, l’acromion funge da fulcro, la testa dell’omero viene spinta inferiormente contro il legamento gleno-omerale inferiore. La lesione di quest’ultimo causa l’instabilità gleno-omerale.

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151Capitolo 8 La spalla

La porzione superiore della spalla è protetta dall’arco osseo acromion-clavicolare e dal legamento coraco-a-cromiale (Fig. 8.4). Quest’ultimo rappresenta la residua vestigia fibrosa dell’arco osseo coraco-acromiale che si ritrova tipicamente nei quadrupedi. Al di sotto di questo tetto protettivo decorrono la porzione superiore della cuffia dei rotatori, il tendine del sopraspinato, il tendine del capo lungo del bicipite. Quest’ultimo è l’unica componente della cuffia dei rotatori che tra-ziona verso il basso la testa omerale. Quando l’omero si muove, questi tendini scorrono attraverso lo spazio delimitato superiormente dal tetto osteolegamentoso e inferiormente dalla testa omerale (Fig. 8.5). Per ridurre l’attrito a questo livello, è presente un’espansione bur-sale, la borsa sottoacromiale, collocata al di sopra dei tendini e al di sotto del tetto osteolegamentoso.

AcromionClavicola

Lussazione

Legamentogleno-omeraleinferiore

Sterno Scapola

Fig. 8.3 - Lussazione inferiore dell’articolazione gleno-omerale, con compromissione del legamento gleno-omerale inferiore.

Acromion

ClavicolaTestaomerale

Muscolosopraspinato

Tendinedel bicipite

Legamentocoraco-acromiale

Coracoide

Fig. 8.4 - Vista dall’alto della spalla; si evidenziano l’articolazione acromion-clavicolare e il legamento coraco-acromiale sovrastante la testa omerale.

Tendinedel capo lungodel bicipite

Borsasubacromiale

Giunzione mio-tendineadel sopraspinato

Spaziosubacromiale

Legamentocoraco-acromiale

Fig. 8.5 - Lo spazio subacromiale è delimitato superiormente dall’arco osseo acromion-clavicolare e dal legamento coraco- acromiale. Inferiormente è delimitato dalla testa omerale. In questo spazio si trovano la borsa subacromiale e i tendini dei muscoli sopraspinoso e capo lungo del bicipite.

Lo spazio sottoacromiale può essere notevolmente ristretto da osteofiti che si estendono inferiormente dalla clavicola, dall’acromion o dall’articolazione acromion-clavicolare. Lo spazio può anche diventare relativamente ristretto a causa della tumefazione dei tessuti molli contenuti al suo interno (cioè a causa di borsiti e tendiniti). Le tumefazioni e gli edemi a carico dei tessuti molli possono insorgere come conseguenza di traumi acuti o sindromi da cronica ipersollecitazione. In entrambi i casi, il risultato finale è il crearsi di uno spazio insufficiente al libero passaggio e scorrimento della cuffia dei rotatori al di sotto dell’arco coraco-a-cromiale. Tutto ciò produce una dolorosa compressione dei tessuti molli tra il sovrastante tetto osteolegamen-toso e la sottostante testa omerale. Questa condizione anatomo-clinica viene definita sindrome da conflitto, o sindrome da impingement, omero-acromiale. La notevole algia conseguente a questa situazione può portare non solo a una condizione di cronica disabilità, con limitazione funzionale ed erosione progressiva dei tessuti della cuffia dei rotatori, ma anche al tentativo di compensare la perdita di mobilità gleno-omerale con movimenti a livello della scapolo-toracica. Inoltre, il tentativo di compensare la perdita di movimento dell’articolazione gleno-omerale da parte dei muscoli paravertebrali prossimali e dei muscoli della spalla può produrre eccessive sollecitazioni a livello del rachide cervicale.

Quando il tendine del capo lungo del bicipite diventa cronicamente infiammato, sia a causa dell’attrito con la superficie inferiore dell’arco acromiale sia per l’instau-rarsi di una tendinite cronica, si ha un maggior rischio

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152 La spalla Capitolo 8

di lacerazione. Se ciò accade, si ha una compromissione della trazione verso il basso della testa omerale, che tende quindi a risalire e migrare verso la parte supe-riore della glenoide, incrementando la pressione tra la testa omerale e l’arco acromiale. Questa condizione anatomo-clinica impedisce anche il disimpegno della grande tuberosità dell’omero al di sotto dell’acromion durante l’abduzione; il risultato finale è una limitazione della mobilità della spalla. Il conseguente andamento ciclico del dolore, con limitazione antalgica del ROM, produce un peggioramento del quadro clinico di disa-bilità con una complessiva limitazione funzionale a carico di tutto l’arto superiore.

In conclusione, il movimento della spalla è la risul-tante di una complessa interazione funzionale tra più articolazioni e tra svariate strutture muscolo-capsu-lo-legamentose, che devono però essere singolarmente identificate, valutate e apprezzate per la stretta e precisa sinergia con cui lavorano.

Osservazione

Per prima cosa ci si deve soffermare sulla posizione assunta dal paziente, seduto in sala d’attesa; quindi si osserva la posizione di riposo degli arti superiori. Il paziente tiene il braccio rilassato lungo il fianco o lo sostiene e mantiene piegato per protezione? Quanto è sciolto e libero nell’utilizzare gli arti superiori? Il paziente è in grado di estendere il braccio per salutare con una stretta di mano il clinico esaminatore? La sintomatologia algica può modificarsi nel passare da una posizione all’altra, pertanto un’attenta osservazione della mimica facciale del paziente fornisce una più pre-cisa e approfondita idea del livello di dolore presente.

Occorre quindi osservare il paziente mentre si alza per assumere la posizione eretta, valutandone la postura. Si deve porre particolare attenzione alla posizione assunta dalla testa, dal rachide cervicale e da quello toracico con la relativa cifosi. Vanno rilevate l’altezza delle spalle e le loro reciproche posizioni. Una volta che il paziente ha iniziato a deambulare, bisogna osservarne il pen-dolamento alternato delle braccia; l’oscillazione di un braccio può essere assente o limitata per la presenza di dolore o per ridotta escursione articolare. Quando il paziente giunge in sala visita lo si invita a spogliarsi. In questo modo si ha l’occasione di valutare l’agilità e la facilità con cui il paziente utilizza gli arti superiori, ma anche il ritmo di successione dei movimenti. Poi si passa a osservare la simmetria delle strutture ossee, par-tendo frontalmente dalle clavicole; un differente profilo tra le due può essere riscontrato in caso di pregressa

frattura guarita con formazione di callo osseo ipertro-fico. Seguendo l’andamento a S italica delle clavicole si possono reperire le articolazioni acromion-clavico-lari e sterno-clavicolari, che devono trovarsi alla stessa altezza. Posteriormente bisogna osservare le scapole e accertarsi che siano equidistanti dall’asse centrale del rachide, oltre che essere appoggiate a piatto sulla gabbia toracica. Una delle due scapole si presenta più sporgente come nella tipica deformità di Sprengel (ele-vazione congenita della scapola)? È presente un’evidente sublussazione a livello dell’articolazione gleno-omerale? Infine, si devono osservare i profili e le dimensioni dei due muscoli deltoidi, in modo che dal loro raffronto possano emergere eventuali iper- o ipotrofie.

Esame clinico soggettivo

Quella gleno-omerale è un’articolazione estremamente elastica, sostenuta da muscoli che le consentono un ampio range di movimento. La spalla non è un’articola-zione in carico, come anca o ginocchio, pertanto è fre-quentemente coinvolta in sindromi da ipersollecitazione reiterata, processi infiammatori e traumi. L’esaminatore deve indagare sulla natura e sulla sede dei sintomi riferiti dal paziente, ma anche sulla loro durata e intensità. Bisogna rilevare un’eventuale irradiazione del dolore al gomito, in quanto ciò potrebbe stare a indicare una sua origine dal rachide cervicale. Va anche annotato l’andamento e il variabile comportamento del dolore durante l’arco della giornata e della notte. Il paziente è in grado di dormire sulla spalla in esame oppure si sveglia nella notte per il dolore che ciò gli causa? Il paziente riesce a dormire in posizione supina comple-tamento disteso? O è obbligato a dormire in posizione semi-seduta su una sedia reclinabile? Tutto ciò fornisce all’esaminatore importanti informazioni riguardanti le reazioni del paziente ai cambiamenti di posizione e alle variazioni di attività e funzionalità locale. In pratica l’obiettivo è quello di identificare eventuali limitazioni funzionali del paziente, che deve essere interrogato sulla sua capacità di utilizzo degli arti superiori nelle quotidiane attività. Il o la paziente è in grado di pet-tinarsi i capelli? Di allacciarsi il reggiseno? Di portare la mano alla bocca per nutrirsi? Di sfilarsi la giacca? Il paziente riesce a raggiungere e afferrare oggetti che si trovano a un’altezza maggiore del livello della spalla? Il paziente pratica regolarmente attività sportive di notevole impegno fisico che potrebbero sollecitare la spalla in modo abnorme? Qual è il lavoro quotidiano del paziente? Quest’ultimo svolge compiti lavorativi che implicano una continua ipersollecitazione della spalla?

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153Capitolo 8 La spalla

Se il paziente riferisce un pregresso trauma, diventerà importante comprenderne il meccanismo. La direzione e intensità della forza applicata e la descrizione dell’at-tività a cui il paziente stava partecipando al momento dell’evento traumatico possono contribuire a meglio comprendere le risultanti conseguenze cliniche e a indi-rizzare precocemente la conduzione dell’esame obiet-tivo nella giusta direzione. L’importanza del dolore, la tumefazione locale e l’impotenza funzionale insorte nell’immediata vicinanza del trauma vanno confron-tate e controllate con particolare attenzione nel loro andamento nel corso delle successive 24 ore. Il paziente riferisce di aver subito pregressi traumi dello stesso tipo o di altro tipo ma sempre alla stessa articolazione scapolo-omerale?

La patologia del paziente deve poi essere correlata all’età, al sesso, alle radici etniche, al morfotipo, alla postura statica e dinamica, al lavoro, alle attività usu-ranti, alle attività sportive ricreative e al livello com-plessivo di attività fisica. Perciò è importante indagare su eventuali cambiamenti nelle quotidiane occupazioni in attività pesanti o inusuali, a cui il paziente potrebbe aver preso recentemente parte.

La localizzazione dei sintomi può fornire all’esa-minatore importanti informazioni sull’eziologia degli stessi. Un dolore localizzato alla porzione laterale della spalla può essere correlato a una patologia radico-lare di C5. Bisogna ricordare che anche l’articolazione temporo-mandibolare e il gomito possono originare un dolore riferito alla spalla. Inoltre, bisogna porre particolare attenzione alla possibilità di dolore riferito da patologie viscerali; in particolare a carico di cuore, colecisti e pancreas. (Far riferimento al Box 2.1, per le tipiche domande da porre al paziente per la conduzione dell’esame obiettivo).

Palpazione superficiale

L’esame obiettivo palpatorio inizia con il paziente in posizione supina. L’esaminatore deve dapprima ricercare e segnalare eventuali zone di soffusione emorragica, depigmentazione, nei cutanei, ferite lacero-contuse o drenanti. Vanno anche evidenziate pregresse cicatrici chirurgiche, nonché le simmetrie dei profili ossei, delle masse muscolari e delle pieghe cutanee. L’esaminatore non deve ricorrere a una presso-palpazione troppo pro-fonda per individuare le zone patologiche di consistenza diminuita o di alterazione dei rapporti tra le strutture anatomiche. È importante attuare una presso-palpazione decisa ma delicata, in quanto ciò migliora l’abilità e la sensibilità palpatoria del clinico. Avendo come base

una buona conoscenza delle strutture anatomiche nel loro intersecarsi su piani diversi, non è più necessa-rio penetrare con la palpazione attraverso i numerosi piani anatomici, al fine di percepire compiutamente le strutture anatomiche più profonde. L’esaminatore deve ricordare che provocare un aumento del dolore del paziente in questa fase dell’esame clinico porta quest’ultimo a opporsi volontariamente alla prosecu-zione dello stesso. Pertanto, si instaurerà una maggiore limitazione di mobilità a scopo antalgico.

La presso-palpazione viene attuata più agevolmente con il paziente in posizione completamente rilassata e decontratta. Sebbene la presso-palpazione possa essere eseguita con il paziente in stazione eretta, per un più facile esame clinico della spalla si preferisce la posizione seduta. Mentre vengono riconosciuti e localizzati i principali punti di repere ossei, si deve porre attenzione a eventuali zone edematose e tumefatte e con termotatto positivo, o meno frequentemente negativo, che vanno considerate affette da processi infiammatori acuti o cronici.

Regione anteriore

Strutture ossee

Incisura soprasternaleStando in piedi di fronte al paziente seduto, l’esamina-tore deve utilizzare il dito medio e l’indice per localizzare l’incisura triangolare tra le due clavicole. Trattasi per l’appunto dell’incisura soprasternale (Fig. 8.6).

Articolazione sterno-clavicolareL’esaminatore deve spostare le sue dita appena supe-riormente e lateralmente rispetto al centro dell’incisura soprasternale, fino a percepire la rima articolare tra lo sterno e la clavicola (Fig. 8.7). Le articolazioni dei due lati vanno esaminate simultaneamente, per raffrontare le reciproche altezze e localizzazioni. Uno spostamento supero-mediale della clavicola può essere indicativo di una lussazione, recente o inveterata, dell’articolazione sterno-clavicolare. L’esaminatore può avere una più efficace sensazione dell’esatta collocazione e stabilità dell’articolazione sterno-clavicolare, facendo sollevare le spalle al paziente durante la palpazione delle stesse; in quanto questa manovra causa un movimento verso l’alto delle clavicole.

ClavicolaL’esaminatore deve poi continuare a spostarsi late-ralmente rispetto all’articolazione sterno-clavicolare, lungo la superficie ossea incurvata antero-superiore della clavicola. La superficie ossea deve risultare liscia

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154 La spalla Capitolo 8

e continua, un’eventuale zona di maggior prominenza ossea, di motilità preternaturale con crepitio interfram-mentario o di dolore lungo il corpo della clavicola può essere indicativa di una frattura recente o pregressa. Inoltre, il muscolo platisma ricopre la superficie delle clavicole dopo aver incrociato il collo verso l’alto con alcuni suoi fasci e può essere palpato chiedendo di contrarre fortemente gli angoli della bocca verso il basso (Fig. 8.8). I linfonodi sopraclavicolari si trovano sulla superficie superiore della clavicola, lateralmente al muscolo sternocleidomastoideo. Un aumento di volume o una diminuita consistenza presso-palpatoria di tipo colliquativo possono far sospettare la presenza di una patologia flogistica e/o neoplastica.

Articolazione acromion-clavicolareL’esaminatore deve continuare la palpazione lateral-mente lungo la clavicola, dalla convessità fino a dove essa diventa concava, e cioè nella sua porzione più laterale, appena medialmente rispetto all’acromion. La linea interarticolare dell’articolazione acromion-clavi-colare diventa palpabile nella zona in cui la clavicola è leggermente sopraelevata dall’acromion (Fig. 8.9). L’esaminatore può avere una migliore percezione della sua localizzazione chiedendo al paziente di estendere

la spalla, durante la palpazione dell’articolazione acro-mion-clavicolare. Anch’essa è soggetta a degenerazione artrosica e crepitio, che possono creare dolorabilità alla palpazione. Un dolore al movimento e una tumefazione con versamento all’interno dell’articolazione possono essere indicativi di una sublussazione dell’articolazione acromion-clavicolare. Nel caso in cui quest’ultima venga severamente interessata da un trauma, generalmente per una caduta diretta sulla spalla, si può verificare una lus-sazione della clavicola, che si mobilizza superiormente e posteriormente. L’articolazione acromion-clavicolare, se lesa, provoca dolore localizzato e non genera dolori riferiti in altre sedi.

Processo acromialeBisogna palpare al di là della porzione laterale dell’ar-ticolazione acromion-clavicolare e individuare la super-ficie larga e piatta dell’acromion, impugnandola tra il dito indice e il pollice (Fig. 8.10).

Grande tuberosità omerale o trochiteLe dita dell’esaminatore devono seguire la porzione più laterale dell’acromion, fino a cadere inferiormente a esso, dove palpano esattamente la grande tuberosità dell’omero o trochite omerale (Fig. 8.11).

Incisurasoprasternale

Fig. 8.6 - Palpazione dell’incisura soprasternale.

Articolazionesterno-clavicolare

Fig. 8.7 - Palpazione dell’articolazione sterno-clavicolare.

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155Capitolo 8 La spalla

Clavicola

Fig. 8.8 - Palpazione della clavicola. Fig. 8.9 - Palpazione dell’articolazione acromion-clavicolare.

Articolazioneacromion-clavicolare

Acromion

Fig. 8.10 - Palpazione del processo acromiale. Fig. 8.11 - Palpazione della grande tuberosità dell’omero.

Grandetuberosità

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Processo coracoideoLe dita vanno spostate in direzione diagonale, infe-ro-medialmente rispetto all’articolazione acromion-cla-vicolare. L’esaminatore deve posizionare il suo dito medio delicatamente, ma profondamente, nel triangolo deltoideo pettorale, fino a localizzare e identificare la protuberanza ossea del processo coracoideo, che è generalmente di consistenza elastica alla presso-pal-pazione (Fig. 8.12). Sul processo coracoideo prendono inserzione il muscolo piccolo pettorale, il coracobra-chiale e il tendine del capo corto del muscolo bicipite.

Solco bicipitaleBisogna posizionare gli arti superiori del paziente in modo che l’avambraccio sia in posizione intermedia tra pronazione e supinazione con l’arto superiore in posi-zione neutra tra intra- ed extrarotazione. L’esaminatore deve spostare le dita lateralmente rispetto al processo coracoideo, sulla piccola tuberosità dell’omero fino a giungere nel solco bicipitale. Il solco risulta di difficile palpazione nel caso in cui il paziente abbia un deltoide ipertrofico e molto sviluppato. Può essere utile loca-lizzare e identificare gli epicondili mediale e laterale dell’omero, per essere sicuri della loro localizzazione su un comune piano frontale. Tracciando una linea retta verso l’alto dal punto di mezzo tra i due condili, diventa agevole identificare il solco bicipitale. Nel solco ritroviamo il tendine del capo lungo del bicipite e la sua

Processocoracoideo

Fig. 8.12 - Palpazione del processo coracoideo.

Piccolatuberosità

Tendinedel bicipite

Grandetuberosità

Solcobicipitale

guaina di rivestimento sinoviale, pertanto esso risulta di consistenza morbido-elastica alla presso-palpazione. Se a questo punto l’esaminatore chiede al paziente di intraruotare il braccio può percepire il rotolamento del suo dito, poggiato nel solco, al di fuori dello stesso, fino a trovarsi esattamente sulla grande tuberosità omerale o trochite (Fig. 8.13).

Tessuti molli

Muscolo sternocleidomastoideoPer rendere più agevole la presso-palpazione del muscolo sternocleidomastoideo bisogna far inclinare il collo del paziente verso il lato che si sta esaminando e contemporaneamente farlo ruotare dal lato opposto. Questa posizione rende il muscolo più prominente e perciò più facilmente individuabile. Si deve poi palpare l’inserzione distale del muscolo sul manubrio sternale e sulla porzione mediale della clavicola, per poi seguirne il decorso in direzione supero-laterale fino all’inser-zione prossimale sul processo mastoideo. Il muscolo sternocleidomastoideo costituisce il margine anteriore del triangolo posteriore del collo ed è un utile punto di repere per la palpazione di eventuali linfonodi di volume aumentato (Fig. 8.14).

Fig. 8.13 - Posizione del solco bicipitale.

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157Capitolo 8 La spalla

Muscolo trapezioL’esaminatore deve stare in piedi alle spalle del paziente seduto. Alterazioni nel profilo e nella massa volume-trica del muscolo possono facilmente essere apprezzate osservando il paziente prima di procedere alla pres-so-palpazione. Per permettere la palpazione delle fibre superiori del trapezio, bisogna consentire alle dita di spostarsi lateralmente e inferiormente, dalla protube-ranza occipitale esterna al terzo laterale della clavicola. Il muscolo è una lamina appiattita, ma può assumere una struttura cordoniforme a causa della rotazione reciproca delle fibre tra di loro. Questo muscolo è gene-ralmente di consistenza soffice alla presso-palpazione, ma diventa molto spesso teso a seguito di traumi e contratture conseguenti. Il muscolo può essere palpato utilizzando il pollice per la porzione posteriore del muscolo, e l’indice o il medio per la parte più anteriore dello stesso. Le fibre inferiori del trapezio hanno un decorso che va dall’inserzione della spina della scapola ai processi spinosi delle vertebre toraciche più basse, il tutto seguendo una direzione mediale e distale. Le fibre possono essere rese più prominenti ed evidenti chiedendo al paziente di eseguire una depressione sca-polare. Le fibre intermedie del trapezio possono essere palpate dal processo acromiale ai processi spinosi della settima vertebra cervicale e delle prime toraciche. Il muscolo può essere reso più evidente e prominente chiedendo al paziente di addurre la scapola (Fig. 8.15).

Muscolosternocleidomastoideo

Fig. 8.14 - Palpazione del muscolo sternocleidomastoideo.

Muscolo grande pettoraleIl muscolo grande pettorale è localizzato sulla superficie anteriore del cingolo scapolo-omerale. Questo muscolo è palpabile dalla sua inserzione sulla porzione sternale della clavicola, lungo lo sterno a livello della sesta-set-tima costa, fino alla sua inserzione laterale sulla cresta della grande tuberosità dell’omero. Il grande pettorale costituisce la porzione inferiore del solco deltoideo pettorale, dove giace in stretta vicinanza al muscolo deltoide. Inoltre, questo muscolo dà origine alla parete anteriore del cavo ascellare (Fig. 8.16).

Muscolo deltoideIl deltoide ha le sue inserzioni prossimali sul terzo laterale della clavicola, sull’acromion e sulla spina della scapola. Le fibre del muscolo convergono poi in un’unica inserzione sulla tuberosità deltoidea dell’o-mero. Il deltoide è costituito da una massa musco-lare arrotondata di notevole volume che dà origine al profilo della spalla (Fig. 8.17). L’atrofia di questo muscolo può essere causata da un evento traumatico a carico dei tronchi più prossimali del plesso brachiale o del nervo ascellare, come complicanza di fratture o lussazioni della testa omerale. L’esame obiettivo deve iniziare con l’esaminatore in piedi di fronte al paziente; si inizia spostando la mano dalla clavicola in direzione

Trapezioinferiore

Trapeziomedio

Trapeziosuperiore

Fig. 8.15 - Palpazione del muscolo trapezio.

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infero-laterale, fino a percepire il ventre del muscolo. Bisogna ricordare che le fibre anteriori del deltoide sono superficiali rispetto al solco bicipitale, rendendo difficile la distinzione presso-palpatoria tra la consi-stenza del muscolo e quella delle strutture sottostanti, contenute nel solco stesso. Si continua la palpazione seguendo le fibre intermedie del muscolo dall’acromion alla tuberosità deltoidea. Questo stesso gruppo di fibre ricopre la borsa sottodeltoidea. Se il paziente presenta una borsite, occorre esaminare attentamente la zona per distinguere i tessuti molli coinvolti. Una neoplasia, una massa diaframmatica o un’ischemia cardiaca possono causare un dolore riferito al muscolo deltoide.

Muscolo bicipiteL’esaminatore, in piedi di fronte al paziente seduto, deve iniziare a palpare il solco bicipitale come descritto precedentemente. Seguendo il tendine del capo lungo del bicipite distalmente lungo il suo decorso nel solco bicipitale, si giunge a palparne il graduale passaggio nel ventre muscolare. Una dolorabilità alla palpazione del tendine bicipitale in questa zona può essere indicativa di una tenosinovite a suo carico. Sempre a livello del solco si possono evidenziare delle sublussazioni o delle lussazioni complete del tendine del capo lungo del bicipite. Il tendine del capo corto del bicipite è invece

Grandepettorale

Solcodeltoideopettorale Deltoide

Fig. 8.16 - Palpazione del muscolo grande pettorale.

Fig. 8.17 - Palpazione del muscolo deltoide.

palpabile alla sua inserzione sul processo coracoideo, come già precedentemente descritto. Il ventre muscolare del bicipite risulta più prominente ed evidente quando si chiede al paziente di flettere il gomito. Le porzioni distali del ventre muscolare e del tendine bicipitale possono essere palpate a livello dell’inserzione di quest’ultimo sulla tuberosità bicipitale del radio. Naturalmente ci si deve accertare dell’assenza di soluzioni di continuo tra fibre muscolari e tendinee distali (Fig. 8.18). Se si evidenzia una grande e abnorme protrusione muscolare alla porzione antero-distale dell’omero con una conca-vità al di sopra di essa, bisogna sospettare una lacera-zione completa del tendine del capo lungo del bicipite. Per contro, una sublussazione del tendine bicipitale, secondaria a una lacerazione con interruzione completa del legamento trasverso omerale, produce il quadro della cosiddetta spalla a scatto o spalla schioccante.

Regione posteriore

Strutture ossee

Spina della scapolaSi inizia a palpare la porzione posteriore dell’acromion, medialmente lungo la cresta della spina della scapola, dove questa inizia ad assumere un aspetto affusolato a livello del margine mediale. La spina della scapola è localizzata a livello del processo spinoso della terza

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vertebra toracica (Fig. 8.19). La spina della scapola separa la fossa sopraspinata da quella infraspinata e fornisce inserzioni rispettivamente ai muscoli sovra-spinato e sottospinato.

Margine mediale o vertebrale della scapolaL’esaminatore deve spostare le sue dita superiormente rispetto al margine mediale della spina della scapola, fino a identificarne l’angolo superiore che si ritrova a livello della seconda vertebra toracica. Questa zona fornisce inserzione al muscolo elevatore della scapola ed è generalmente di consistenza soffice alla presso-pal-pazione. Inoltre, è un’area frequentemente colpita da algie riferite a partenza dal rachide cervicale. Bisogna poi proseguire distalmente lungo il margine mediale, verificando che questo si adagi a piatto sulla sottostante gabbia toracica. Se il bordo mediale è sollevato o alato rispetto alla gabbia toracica, ciò può essere indicativo di una lesione a carico del nervo toracico lungo. Quindi si esamina l’inserzione del muscolo gran romboide lungo tutta la lunghezza del suo margine mediale, dal rachide all’angolo inferiore della scapola. Quest’ultimo è localizzato a livello della settima vertebra toracica e fornisce inserzioni ai muscoli gran dorsale e dentato anteriore (Fig. 8.20).

Tendine delcapo lungodel bicipite

Tendine delcapo brevedel bicipite

Aponeurosidel bicipite

Fig. 8.18 - Palpazione del muscolo bicipite.

T3Spina dellascapola

Fig. 8.19 - Palpazione della spina della scapola.

T2

T7

Fig. 8.20 - Palpazione del margine mediale della scapola.

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160 La spalla Capitolo 8

Margine laterale della scapolaL’esaminatore deve continuare la palpazione superior-mente e lateralmente rispetto all’angolo inferiore della scapola, lungo il margine laterale di quest’ultima. Il margine laterale è meno identificabile e rilevato rispetto a quello mediale a causa delle inserzioni muscolari del sottoscapolare, anteriormente, e del grande e pic-colo rotondo, posteriormente. Inoltre si può palpare l’inserzione del capo lungo del tricipite sul tubercolo infraglenoideo, che si trova a livello della porzione superiore del margine laterale della scapola (Fig. 8.21).

Tessuti molli

Muscoli grande e piccolo romboideIl muscolo grande romboide origina dai processi spi-nosi delle vertebre da T2 a T5 e prende inserzione sul margine mediale della scapola, tra la spina e l’angolo inferiore. Il muscolo piccolo romboide parte dal lega-mento nucale e dai processi spinosi di C7 e T1, per dirigersi verso il margine mediale della scapola, alla radice della spina. L’esaminatore deve stare in piedi alle spalle del paziente seduto; questi due muscoli pos-sono essere localizzati e individuati presso il margine vertebrale della scapola. I due romboidi diventano più

Margine lateraledella scapola

Angolo inferioredella scapola

Fig. 8.21 - Palpazione del margine laterale della scapola.

facilmente evidenziabili e palpabili chiedendo al paziente di portare la mano omolaterale dietro la schiena e di addurre la scapola (Fig. 8.22).

Muscolo gran dorsaleIl muscolo gran dorsale prende inserzione distalmente sui processi spinosi da T6 a T12, sulle ultime tre o quattro coste, sulla fascia toracolombare, sulla cresta iliaca e sull’angolo inferiore della scapola, per poi convergere prossimalmente sul solco bicipitale. La presso-palpazione della porzione superiore del muscolo verrà descritta nel paragrafo sulla faccia posteriore del cavo ascellare. Facendo scivolare la mano che palpa, lungo il ventre muscolare in direzione infero-mediale, si raggiunge infine la cresta iliaca. Più ci si sposta verso il basso e più dif-ficoltosa risulta la differenziazione delle fibre di questo muscolo dai piani anatomici sottostanti (Fig. 8.23).

Regione mediale

Tessuti molli

Cavo ascellareIl cavo ascellare è stato precedentemente descritto come una struttura piramidale a base pentagonale delimitata: dal grande e dal piccolo pettorale anteriormente, dal

Muscoliromboidi

Fig. 8.22 - Palpazione dei muscoli grande e piccolo romboide.

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sottoscapolare, gran dorsale e grande rotondo poste-riormente, dalle prime quattro coste con i loro muscoli intercostali ricoperti dal dentato anteriore medialmente e dalla porzione prossimale dell’omero lateralmente. Lo spazio compreso tra il margine più esterno della prima costa, il margine superiore della scapola e la porzione posteriore della clavicola determinano e individuano l’apice della piramide ascellare. La fascia muscolare ascellare e la cute sovrastante ne formano la base. Per l’esame obiettivo del cavo ascellare, l’esaminatore deve stare in piedi di fronte al paziente seduto. Bisogna sostenere in abduzione l’arto superiore del paziente, sorreggendolo dall’avambraccio con il gomito flesso. Con l’altra mano si procede a una presso-palpazione delicata ma ferma e decisa, tenendo presente che questa zona è molto delicata e sensibile al solletico. Il cavo ascellare riveste un importante significato clinico-fun-zionale, in quanto dà passaggio al plesso brachiale, all’arteria e alla vena ascellare.

Si deve consentire alle dita di palpare la parete ante-riore del cavo ascellare, tenendo il grande pettorale tra il pollice, l’indice e il medio. Quindi ci si sposta verso la porzione mediale dell’ascella per palpare la parete delimitata dalle coste e dal muscolo dentato anteriore. Spostandosi prossimalmente verso l’apice del cavo ascellare, si può delicatamente spingere verso il basso

Fig. 8.23 - Palpazione del muscolo gran dorsale.i tessuti superficiali, in modo da farli scivolare sulla gabbia toracica. Tutto ciò permette l’individuazione dei linfonodi ascellari, che generalmente, nel soggetto adulto in buona salute, non sono palpabili. Se si trovano dei linfonodi palpabili, ciò va segnalato, in quanto potrebbero essere indicativi di processi infiammatori, infettivi o neoplastici in atto. Proseguendo lateralmente la presso-palpazione, si può distalmente percepire il polso dell’arteria brachiale; il tutto esercitando una pressione contro la porzione prossimale dell’omero, tra i muscoli bicipite e tricipite. Quindi si prosegue con la presso-palpazione della parete posteriore, afferrando il muscolo gran dorsale tra il pollice, l’indice e il medio. Nel palpare le strutture muscolari si deve porre par-ticolare attenzione al loro trofismo, evidenziando e segnalando eventuali asimmetrie tra i due lati (Fig. 8.24).

Muscolo dentato anterioreLa descrizione della presso-palpazione di questo muscolo è stata già fatta nei precedenti paragrafi sul cavo ascellare. Il muscolo dentato anteriore è comunque importante, in quanto mantiene il margine mediale della scapola aderente alla gabbia toracica (Fig. 8.25). La debolezza o una denervazione di questo muscolo possono originare il quadro clinico della cosiddetta scapola alata (vedi paragrafo relativo alle possibili deviazioni dalla norma, Punto di osservazione poste-riore, capitolo 2; vedi Fig. 2.8).

Arteria brachiale

Linfonodi ascellari

Fig. 8.24 - Palpazione del cavo ascellare.

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162 La spalla Capitolo 8

Linfonodi ascellari

Muscolodentatoanteriore

Fig. 8.25 - Palpazione del muscolo dentato anteriore.

Cuffiadei rotatori

Borsasottoacromiale

Fig. 8.26 - Palpazione dei muscoli della cuffia dei rotatori.

Regione lateraleTessuti molli

Cuffia dei rotatoriQuando il paziente mantiene il braccio esteso lungo il fianco, i tendini della cuffia dei rotatori rimangono al di sotto dell’arco acromiale, in corrispondenza del loro punto di inserzione sulla grande tuberosità dell’omero. Questi tendini, in riferimento ai rispettivi muscoli, sono anche identificabili con la mnemonica sigla SIR, in rap-porto all’ordine con cui prendono inserzione in direzione antero-posteriore. L’ordine è il seguente: sopraspinato, infraspinato, piccolo rotondo. Il quarto muscolo compo-nente la cuffia dei rotatori è il sottoscapolare che non è palpabile in questa posizione. Per ottenere un più facile e agevole accesso ai tendini della cuffia dei rotatori, si deve chiedere al paziente di portare il braccio dietro la schiena in rotazione interna ed estensione (Fig. 8.26). Diviene così agevole individuare i tendini come un’unica struttura anatomica a copertura della porzione ante-riore della grande tuberosità omerale. In presenza di un processo infiammatorio locale, la presso-palpazione dei tendini della cuffia dei rotatori risulta molto dolorosa.

Cyriax (1984) ha descritto la seguente metodologia più specifica per la presso-palpazione dei singoli tendini della cuffia. Per localizzare e individuare il tendine del

sopraspinato, si deve far flettere a 90° il gomito del paziente e posizionarne l’avambraccio dietro la schiena. Quindi bisogna chiedere al paziente di sdraiarsi sul

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163Capitolo 8 La spalla

lettino poggiandosi sul gomito flesso, praticamente in posizione semi-seduta. Questa configurazione fissa il braccio in adduzione e rotazione interna. Il tendine può essere localizzato e identificato palpando il pro-cesso coracoideo e allontanandosi da quest’ultimo in direzione laterale verso la grande tuberosità, al di sotto del bordo sporgente dell’acromion (Fig. 8.27).

Per identificare e palpare il tendine del muscolo infraspinato, il paziente deve sostenersi e puntellarsi da solo sui gomiti flessi, quindi deve aggrapparsi con le mani al bordo esterno del lettino d’esame per mantenere il braccio in rotazione esterna. Per valutare entrambi i lati il paziente deve spostare il peso prima su di un braccio solo, poi sul controlaterale in modo alternato. La sollecitazione della forza peso del tronco accentua la prominenza e la scopertura, rispetto all’acromion soprastante, della grande tuberosità omerale. La com-binazione di flessione, adduzione e rotazione esterna provoca una lateralizzazione della grande tuberosità. Spostandosi lateralmente lungo la spina della scapola, si può infine palpare il tendine dell’infraspinato in corrispondenza della testa omerale (Fig. 8.28).

Borsa sottoacromiale o sotto-deltoideaLa borsa sottoacromiale è localizzata tra il deltoide e la capsula articolare della spalla; ha forma allungata al di sotto dell’acromion e del legamento coraco-a-cromiale. Questa borsa non è in comunicazione con l’articolazione della spalla, ma può facilmente e fre-quentemente infiammarsi e rimanere pizzicata sotto il bordo dell’acromion, a causa della sua posizione ana-tomica, contribuendo al quadro clinico della cosiddetta sindrome da impingement. Se infiammata è dolorabile

Sopraspinato

Fig. 8.27 - Palpazione del tendine del sopraspinato.

alla presso-palpazione, ma può anche risultare più con-sistente e notevolmente inspessita al cronicizzarsi degli episodi infiammatori. La borsa sottoacromiale è più agevolmente palpabile se fatta scorrere anteriormente al di sotto dell’acromion, facendo estendere e intra-ruotare la spalla del paziente (Fig. 8.29).

Fig. 8.28 - Palpazione del tendine dell’infraspinato.

Borsa sottoacromiale

Fig. 8.29 - Palpazione della borsa sottoacromiale.

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164 La spalla Capitolo 8

Trigger point della spalla

Il dolore miofasciale a livello del cingolo scapolare è estremamente frequente, soprattutto in alcune catego-rie di pazienti, come sportivi o lavoratori manuali, a causa delle ipersollecitazioni funzionali continuative e reiterate che si verificano durante lo svolgimento delle quotidiane attività lavorative. La stimolazione dei trigger point della regione anatomica della spalla può simulare una sintomatologia con caratteristiche simili a una radicolopatia cervicale o a un attacco anginoso.

Le più comuni e frequenti localizzazioni di dolore riferito a seguito della stimolazione dei trigger point nel contesto dei muscoli elevatore della scapola, sopraspi-nato, infraspinato, deltoide, sottoscapolare, romboide grande e piccolo e gran pettorale sono illustrate nelle figure da 8.30 a 8.36.

Valutazione della mobilità attiva

La valutazione clinica della motilità può essere attuata sia facendo eseguire al paziente specifici e singoli movi-menti, sia considerando la funzionalità globale data dalla combinazione dei vari movimenti. Il paziente può

eseguire i seguenti movimenti: flessione ed estensione nel piano assiale trasversale; abduzione e adduzione nel piano assiale sagittale; rotazione interna ed esterna nel piano assiale longitudinale. Queste manovre funzionali devono essere eseguite in rapida successione, in quanto permettono di rendere più libera e fluida la motilità articolare. Se la completa escursione articolare è total-mente libera dall’insorgenza di dolore, si può ipersol-lecitare l’articolazione un poco oltre il limite estremo del ROM, al fine di renderla più flessibile. In ogni caso, l’esaminatore deve essere consapevole del fatto che un’ipersollecitazione in extrarotazione potrebbe causare la lussazione anteriore di una spalla già pre-cedentemente instabile. Naturalmente, se il paziente riferisce l’insorgenza di dolore durante l’esecuzione di qualcuno di questi movimenti, l’esaminatore deve cercare di capire se l’algia ha origine da patologie a carico di strutture anatomiche contrattili o non con-trattili. È importante fare ciò ricorrendo all’esecuzione di manovre di valutazione della mobilità sia passiva sia contro resistenza.

Il paziente può indifferentemente restare seduto o mantenere la stazione eretta; inoltre deve ripetere più volte l’esecuzione dei movimenti, in modo che

Elevatoredella scapola

Fig. 8.30 - Trigger point nel contesto del muscolo elevatore della scapola; con illustrazione delle più comuni zone di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

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165Capitolo 8 La spalla

Sopraspinato

Fig. 8.31 - Trigger point nel contesto del muscolo sopraspinato; con illustrazione delle più comuni zone di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

l’esaminatore possa osservarli sia standovi di fronte sia alle spalle. Si parte con il paziente ad arti superiori estesi lungo i fianchi, quindi bisogna chiedergli di abdurre entrambe le braccia oltre i 90° con i palmi delle mani rivolti verso il pavimento. Poi si invita il paziente a extraruotare entrambe le braccia, portando i palmi delle mani al di sopra della testa (Fig. 8.37). In questo modo si raggiunge la completa escursione articolare in flessione e abduzione. Occorre osservare la simmetria complessiva del movimento eseguito dal paziente e l’at-tuale range di escursione articolare possibile. Il paziente presenta un cosiddetto arco doloroso (Cyriax, 1984), cioè un arco di movimento libero da dolore prima e dopo la porzione di mobilità dolorosa, secondaria a una borsite o una tendinite? Il clinico deve considerare se il braccio dominante del paziente può presentare delle limitazioni funzionali più importanti del controlaterale nelle attività della vita quotidiana (ADL, Activities of Daily Living). Il paziente mobilizza di buon grado e liberamente la spalla, oppure è limitato e spaventato dalla sensazione di eventuale instabilità articolare? Posizionandosi alle spalle del paziente bisogna osservare il movimento della scapola; è sollevata o alata rispetto alla gabbia toracica? L’esaminatore deve identificare e fissare con il proprio pollice l’angolo inferiore della

scapola e osservare l’eventuale rotazione verso l’alto. Quindi si passa a rilevare il ritmo scapolo-omerale, la cui inversione o sovvertimento potrebbe essere indice di un’importante patologia limitante la funzionalità della spalla, come nel caso di una capsulite adesiva, o di una lacerazione completa della cuffia dei rotatori. Ponendosi frontalmente al paziente, si può osservare la simmetria e il movimento delle articolazioni ster-no-clavicolare e acromion-clavicolare. Posizionandosi di lato al paziente, si deve rilevare un suo eventuale tentativo di compenso estendendo il rachide, in quanto ciò potrebbe far sembrare più ampio di quello che è in realtà il range di escursione articolare della spalla.

Alcuni clinici preferiscono far eseguire al paziente l’abduzione in un piano neutrale o nel piano della sca-pola, cioè con un’approssimativa adduzione nel piano orizzontale di circa 30°-45° (flessione). Questo piano di movimento spaziale è meno doloroso per il paziente ed è quello più funzionale per l’esecuzione dei movimenti, oltre a essere quello in cui la capsula articolare è meno sollecitata e stirata, rendendo complessivamente più agevole l’attuazione dei movimenti (Fig. 8.38).

Si procede facendo abdurre la spalla del paziente a 90°, con il gomito omolaterale flesso a 90°; in questa posizione la mano deve incrociare il torace, per poi

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166 La spalla Capitolo 8

A

B

Infraspinato

Fig. 8.32 - Trigger point nel contesto del muscolo infraspinato; con illustrazione delle più comuni zone di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

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167Capitolo 8 La spalla

A

B

C

Deltoide

Fig. 8.33 - Trigger point nel contesto del muscolo deltoide; con illustrazione delle più comuni zone di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

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168 La spalla Capitolo 8

Sottoscapolare

Fig. 8.34 - Trigger point nel contesto del muscolo sottoscapolare. Sono evidenziate le zone più comuni di dolore riferito. (Modificato da Travell e Rinzler, 1952.)

Grande e piccolo romboide

Fig. 8.35 - Trigger point nel contesto dei muscoli romboidi. Sono evidenziate le zone più comuni di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

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169Capitolo 8 La spalla

Piccolo pettorale

Grande pettorale

Piccolo pettorale

Grande pettorale

C

B

A

Fig. 8.36 - Trigger point nel contesto dei muscoli pettorali. Sono evidenziate le zone più comuni di dolore riferito. (Tratto da Travell e Rinzler, 1952.)

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170 La spalla Capitolo 8

raggiungere e toccare l’acromion controlaterale. Questa manovra serve a valutare l’adduzione nel piano oriz-zontale, o flessione crociata. In un passo successivo, il paziente deve portare il braccio in estensione, man-tenendo però i 90° di abduzione. Si valuta in questo modo l’abduzione orizzontale, o estensione crociata (Fig. 8.39).

Una complessiva valutazione della funzionalità arti-colare, risultante dalla combinazione di più singoli movimenti, può abbreviare la durata dell’esame obiet-tivo. Tuttavia, l’esaminatore deve sapere che testando

Abduzione

Flessione

Fig. 8.37 - Valutazione della motilità della spalla in abduzione e flessione.

30°

Fig. 8.38 - Valutazione della motilità della spalla in flessione nel piano della scapola.

Fig. 8.39 - Valutazione della motilità della spalla in adduzione e abduzione nel piano orizzontale.

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171Capitolo 8 La spalla

e valutando simultaneamente più movimenti risulta più difficile risalire alla singola causa che realmente provoca la globale limitazione funzionale. Il test più efficace nel fornire la maggior parte delle informazioni utili per la funzionalità della spalla è quello di Apley, o del grattarsi la schiena (Magee, 2008). Bisogna chie-dere al paziente di portare la mano dietro la testa e di raggiungere il margine superiore della scapola contro-laterale; questo movimento è la risultante di abduzione ed extrarotazione della spalla. Nella seconda fase del test, si chiede al paziente di portare l’altra mano dietro la schiena, innalzandola fino a toccare l’angolo infe-riore della scapola controlaterale. Questo movimento nasce dalla combinazione di adduzione e intrarotazione della spalla. Quindi il paziente deve invertire il lato di esecuzione dei movimenti, per osservarne la reciproca integrità funzionale (Fig. 8.40).

Valutazione della mobilità passiva

La valutazione della mobilità passiva può essere suddivisa in due principali componenti: movimenti fisiologici, nei tre piani cardinali, che sono gli stessi descritti nel paragrafo della motilità; movimenti arti-colari accessori, che originano dal grado variabile di stabilità articolare capsulo-legamentosa. Attraverso

Fig. 8.40 - Valutazione della motilità attraverso il test di Apley, o del grattarsi la schiena.

l’esecuzione di queste manovre passive si può stabilire un’eventuale eziologia capsulo-legamentosa della pato-logia del paziente, quindi a carico delle strutture non contrattili. Infatti strutture anatomiche quali legamenti, capsula articolare, fascia muscolare, borse, dura madre e radici nervose vengono stirate e sollecitate ai gradi del ROM (Cyriax, 1984). Al fine corsa di ogni movimento fisiologico passivo, l’esaminatore deve percepire una sensazione di arresto e classificarla come normale o patologica. Una volta identificata e quantificata la limitazione della mobilità articolare, bisogna chiedersi se è o meno compatibile con un quadro di retrazione capsulare. A livello della spalla, la retrazione capsulare interessa e limita soprattutto i movimenti di rotazione e abduzione (Kaltenborn, 2011).

Movimenti fisiologici

L’esaminatore deve quantificare l’ampiezza delle escur-sioni articolari presenti in tutti i piani dello spazio. Ogni movimento è misurato a partire dalla posizione anatomica neutra di partenza, che è quella con arto superiore adagiato ed esteso parallelamente al tronco, con spalla a 0° di flesso-estensione, gomito esteso e pollice orientato anteriormente (Kaltenborn, 2011). Il paziente deve stare completamente rilassato, per con-sentire al clinico un’agevole esecuzione delle manovre di valutazione dei movimenti fisiologici. Tutto ciò può essere eseguito con il paziente seduto, ma anche in posizione supina o prona, poiché queste due ultime posture offrono una maggiore stabilità, in quanto il tronco del paziente è saldamente poggiato sul lettino.

Flessione

Bisogna posizionare il paziente supino con le anche e le ginocchia flesse a 90° per appianare la lordosi lombare, con la spalla in posizione anatomica neu-tra di partenza. L’esaminatore colloca una mano sul margine laterale della scapola per stabilizzarla, quindi valuta accuratamente il movimento a livello dell’arti-colazione gleno-omerale. Volendo osservare il movi-mento globale della spalla, non intesa unicamente come articolazione gleno-omerale, si deve appoggiare una mano sulla porzione laterale della gabbia toracica per fissare e stabilizzare il torace ed evitare l’iperestensione compensatoria del rachide. Ponendosi frontalmente rispetto al lato in esame del paziente, il clinico deve stabilizzare sia la scapola sia il torace con la mano sinistra. Con la mano destra afferra la parte distale dell’avambraccio del paziente, appena prossimalmente

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rispetto all’articolazione del polso, e mobilizza l’arto superiore sollevandolo verso l’alto. Quando si inizia a percepirne il movimento a livello della scapola, l’e-saminatore si accorge di aver raggiunto il limite del ROM dell’articolazione gleno-omerale. Continuando a mobilizzare l’arto superiore verso l’alto, fino a percepire una completa sensazione di arresto, si può valutare l’arco completo di utilità funzionale della spalla nel suo complesso, dovuto al sommarsi dei movimenti delle articolazioni: gleno-omerale; scapolo-toracica; acromion-clavicolare e sterno-clavicolare. La fisiologica sensazione di arresto in massima flessione dell’articola-zione gleno-omerale è improvvisa e ferma (Magee, 2008; Kaltenborn, 2011). È praticamente un arresto di tipo legamentoso, provocato dalla messa in tensione della parte posteriore della capsula articolare, dei muscoli e legamenti. Anche la fisiologica sensazione di arresto del complesso funzionale della spalla è improvvisa e ferma; è anch’essa di tipo legamentoso, ma dovuta alla tensione generata dal muscolo gran dorsale. Il normale range di escursione articolare del complesso funzionale della spalla in flessione va da 0° a 180° (Fig. 8.41) (American Academy of Orthopedic Surgeons, 1965).

Estensione

Occorre posizionare il paziente prono con testa e rachide cervicale in posizione neutra e la spalla in posizione anatomica, senza alcun cuscino o rialzo al di sotto della testa. Il gomito deve stare leggermente flesso, in modo da far rilasciare il capo lungo del bicipite brachiale,

per evitare ulteriori limitazioni del ROM in estensione. L’esaminatore colloca una mano sulla porzione supe-ro-posteriore della scapola per stabilizzarla, quindi valuta accuratamente il movimento a livello dell’ar-ticolazione gleno-omerale. Per osservare la mobilità di tutto il complesso funzionale della spalla, si deve appoggiare una mano sulla parte laterale della gabbia toracica per fissare e stabilizzare il torace ed evitare l’iperestensione compensatoria del rachide. Ponendosi frontalmente rispetto al lato in esame del paziente, l’e-saminatore deve stabilizzare sia la scapola sia il torace, con la mano destra. Bisogna posizionare l’altra mano a livello della porzione anteriore del gomito, quindi sollevare tutto l’arto superiore verso il soffitto. La fisio-logica sensazione di arresto in massima estensione è improvvisa e ferma, praticamente di tipo legamentoso, provocata dalla messa in tensione dei muscoli grande pettorale e dentato anteriore. Il fisiologico ROM in estensione va da 0° a 60° (Fig. 8.42) (American Academy of Orthopedic Surgeons, 1965).

Abduzione

Si deve posizionare il paziente supino con la spalla in posizione anatomica neutra. Il gomito deve essere esteso per evitare limitazioni di mobilità dovute alla tensione generata dal capo lungo del tricipite. L’esaminatore posiziona una mano sul margine laterale della scapola per stabilizzarla, quindi valuta accuratamente il movi-mento a livello dell’articolazione gleno-omerale. Per osservare la mobilità di tutto il complesso funzionale

Fig. 8.41 - Valutazione della mobilità passiva della spalla in flessione.

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della spalla, si deve collocare una mano sulla parte laterale della gabbia toracica per fissare e stabilizzare il torace ed evitare una inclinazione compensatoria del rachide. Ponendosi frontalmente rispetto al lato in esame del paziente, l’esaminatore deve stabilizzare sia la scapola sia il torace con la mano sinistra. L’altra mano deve afferrare la porzione distale del braccio del paziente, appena prossimalmente rispetto all’articola-zione del gomito, e mobilizzare l’intero arto superiore verso l’esterno. Occorre ruotare l’omero lateralmente prima di raggiungere i 90° di abduzione, per consen-tire alla grande tuberosità omerale di scivolare più agevolmente al di sotto dell’acromion per evitare il cosiddetto conflitto tra le due strutture. Quando si inizia a percepire il movimento a livello della scapola, l’esaminatore avverte di aver raggiunto il limite del ROM dell’articolazione gleno-omerale. Continuando a mobilizzare l’arto superiore verso l’esterno, fino a perce-pire una completa sensazione di arresto, si può valutare l’arco completo di movimento della spalla intesa come complesso di più articolazioni sinergiche e adiacenti. La fisiologica sensazione di arresto in massima abduzione dell’articolazione gleno-omerale è improvvisa e ferma (Magee, 2008; Kaltenborn, 2011). È praticamente un arresto di tipo legamentoso, provocato dalla messa in tensione della parte inferiore della capsula e delle strutture muscolo-legamentose anteriori e posteriori. Anche la fisiologica sensazione di arresto del complesso funzionale della spalla è improvvisa e ferma, cioè di tipo legamentoso, ma è generata dalle tensioni dei muscoli della regione anatomica posteriore. Il normale range di escursione articolare in abduzione del complesso funzionale della spalla va da 0° a 180° (Fig. 8.43) (American Academy of Orthopedic Surgeons, 1965).

Rotazione interna o intrarotazione

Occorre posizionare il paziente supino con anche e ginocchia flesse a 90° per appianare la lordosi lombare. La spalla è mantenuta a 90° di abduzione, con l’avam-braccio in posizione neutra, tra pronazione e supina-zione, formante un angolo retto con il piano d’appoggio del lettino. Il palmo della mano deve guardare verso il basso. Si deve sostenere il gomito con un piccolo telo ripiegato, al fine di non estendere completamente la spalla. Quindi l’esaminatore stabilizza il gomito per mantenere i 90° di abduzione durante la fase iniziale del movimento. Procedendo verso la parte finale del movimento, occorre stabilizzare la scapola posizionando una mano sull’acromion, per prevenirne l’inclinazione anteriore. Per osservare la mobilità di tutto il complesso funzionale della spalla, si deve appoggiare una mano sulla porzione anteriore della gabbia toracica, appena medialmente rispetto alla spalla, per fissare e stabi-lizzare il torace ed evitare la flessione compensatoria del rachide. Ponendosi frontalmente rispetto al lato in esame del paziente, l’esaminatore deve stabilizzare sia la scapola sia il torace con la mano destra. Si procede, quindi, afferrando la porzione distale dell’avambraccio del paziente, appena prossimalmente rispetto all’artico-lazione del polso, e mobilizzando tutto l’arto superiore in modo che il palmo della mano si mobilizzi verso il piano del lettino. Quando l’esaminatore percepisce la sensazione iniziale di movimento della scapola, sa di aver raggiunto il limite estremo del ROM in intraro-tazione dell’articolazione gleno-omerale. Continuando a mobilizzare l’arto superiore in intrarotazione, fino a percepire una completa sensazione di arresto, si può valutare l’arco completo di movimento fisiologico della

Fig. 8.42 - Valutazione della mobilità passiva della spalla in estensione.

Fig. 8.43 - Valutazione della mobilità passiva della spalla in abduzione.

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spalla intesa come complesso di più articolazioni siner-giche e adiacenti. La fisiologica sensazione di arresto in massima intrarotazione dell’articolazione gleno-ome-rale è improvvisa e ferma (Magee, 2008; Kaltenborn, 2011). È praticamente un arresto di tipo legamentoso, causato dalla messa in tensione della parte posteriore della capsula e delle strutture muscolo-legamentose. Anche la fisiologica sensazione di arresto del complesso funzionale della spalla è improvvisa e ferma, cioè di tipo legamentoso, ed è dovuta alla tensione dei muscoli della regione anatomica posteriore. Il normale range di escursione articolare in intrarotazione del complesso funzionale della spalla va da 0° a circa 70° (Fig. 8.44) (American Academy of Orthopedic Surgeons, 1965).

Rotazione esterna o extrarotazione

La valutazione della rotazione esterna va eseguita ponendo il paziente nella stessa posizione precedente-mente descritta per l’intrarotazione. L’esaminatore deve impugnare la parte distale dell’avambraccio del paziente, appena prossimalmente rispetto all’articolazione del polso e mobilizzare tutto l’arto superiore in modo che il dorso della mano si muova verso il piano del lettino. Quando inizia a percepire la sensazione di movimento a livello della scapola, l’esaminatore capisce di aver

raggiunto il limite estremo in extrarotazione dell’arti-colazione gleno-omerale. Continuando a mobilizzare l’arto superiore in extrarotazione, fino a percepire una completa sensazione di arresto, si può valutare l’arco completo di utilità funzionale della spalla intesa come complesso di più articolazioni sinergiche e adiacenti. La fisiologica sensazione di arresto in massima extrarota-zione dell’articolazione gleno-omerale è improvvisa e ferma. È praticamente un arresto di tipo legamentoso (Magee, 2008; Kaltenborn, 2011), causato dalla messa in tensione della parte anteriore della capsula e delle strutture muscolo-legamentose. Anche la fisiologica sensazione di arresto del complesso funzionale della spalla è improvvisa e ferma, cioè di tipo legamentoso, ma è generata dalle tensioni dei muscoli della regione anteriore. Il fisiologico range di escursione articolare in extrarotazione del complesso funzionale della spalla va da 0° a circa 90° (Fig. 8.45) (American Academy of Orthopedic Surgeons, 1965).

Valutazione della mobilità attraverso l’esecuzione dei movimenti accessori

La valutazione della mobilità attraverso l’esecuzione di movimenti accessori fornisce ulteriori informazioni

Fig. 8.44 - Valutazione della mobilità passiva della spalla in rotazione interna o intrarotazione.

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sul grado di lassità dell’articolazione in questione. Il paziente deve stare completamente rilassato e a suo agio, per consentire al clinico di muovere liberamente l’articolazione e ricavarne utili elementi clinici. Bisogna partire con l’articolazione in posizione neutra di mas-simo rilassamento, in modo da consentire il più ampio grado di libertà di movimento in tutti i piani dello spa-zio. La posizione neutra di riposo della spalla è quella in abduzione di circa 55° con contemporanea adduzione di circa 30° nel piano orizzontale (Kaltenborn, 2011).

Trazione o distrazione laterale

Posizionare il paziente supino con la spalla in posizione neutra di riposo e gomito in flessione. L’esaminatore è in piedi, di lato al lettino d’esame, con il proprio corpo rivolto e ruotato verso il paziente. Deve collocare una mano sull’acromion e sulla porzione supero-posteriore della scapola, per stabilizzarla. Poi riposiziona la mano sulla porzione supero-mediale dell’omero. A questo punto occorre sospingere l’omero (lateralmente), come per allontanarlo dal corpo del paziente, fino a vincere le forze di coesione elastica dell’articolazione. Tutto ciò produce una forza di trazione laterale, con un tem-poraneo allontanamento della testa dell’omero dalla cavità glenoidea (Fig. 8.46).

Fig. 8.45 - Valutazione della mobilità passiva della spalla in rotazione esterna.

Fig. 8.46 - Valutazione della mobilità della spalla in distrazione laterale o trazione.

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