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Roma. Potrebbero bastare cento giorni di cura prodiana per mettere fuori legge il Cav. “Se i maggiori azionisti dell’Unione (Ds e Margherita) lo lasciassero fare, sicura- mente Romano Prodi saprebbe come risol- vere il conflitto d’interessi di Silvio Berlu- sconi”. E sarebbe una soluzione radicale. Bisogna ripartire da questa insinuazione concessa al Foglio, due giorni fa, da Marco Travaglio. Perché è vero che Massimo D’A- lema, in materia, ha preso quasi subito a cincischiare e, dopo aver minacciato trucu- lento su Panorama (“Berlusconi scelga se vuole fare l’imprenditore o il politico”), si è incartato sul Mattino (“Ceda Mediaset ai propri figli”) e adesso manda a dire – trami- te Stefano Passigli – che il suo era un modo di dire e insomma Berlusconi venda il suo patrimonio oppure subisca la sterilizzazio- ne delle sue azioni. Ed è vero che Piero Fassino, incalzato dal buon senso prima ancora che dai suoi avversari poli- tici, ha concluso davanti alle telecamere: “Certo che Berlusconi può resta- re proprietario di Media- set, purché separi comple- tamente la gestione”. Nel- le parole di Fassino al- meno forma e sostanza tendono a coincidere, an- che se rimangono dettagli da decrittare: chi sceglie l’eventuale gestore, il Cav. o la congregazio- ne per la dottrina della par condicio messa su dall’Unione? Il Prof. non è un dettaglio Non è affatto un dettaglio che alla guida del centrosinistra ci sia Romano Prodi, e che l’uomo maceri da tempo dentro di sé propo- siti punitivi verso il premier. Il Prof bologne- se ha stabilito di fare, se vincerà il 9-10 apri- le, ciò che Travaglio teme non gli riuscirà: re- golare i conti con Berlusconi entro i primi tre mesi e chiudere la stagione dell’anoma- lia. Come? Attraverso due leggi che si tengo- no per mano e formano un cappio intorno al collo dello sconfitto. La prima servirà a de- molire la fragile sistemazione del sistema ra- diotelevisivo che porta la firma di Maurizio Gasparri. Sotto il vestito della liberalizzazio- ne dell’etere dal duopolio, s’avanzerà così il primo colpo contro Mediaset. La seconda leg- ge attacca il cuore del berlusconismo ed è per l’appunto quella sul conflitto d’interessi. “Un problema che riguarda la democrazia e va affrontato”, ha detto ieri Prodi mescolan- do la consueta e impaziente elusivitàa un in- terrogativo retorico: “Perché non dovrebbe essere un problema in Italia quello che è un problema per gli altri paesi?”. Ha detto que- sto alla radio, Prodi, e una settimana fa ave- va citato come modello di riferimento il caso di New York dove, una volta eletto, il sinda- Gerusalemme. Ieri, nel primo giorno di la- voro del nuovo governo di Hamas, tutti avrebbero voluto sapere dove si cercherà il denaro necessario per pagare gli stipendi del mese di marzo: 140 mila dipendenti del- l’Autorità nazionale palestinese sono anco- ra senza compenso e per avere delle rispo- ste si rivolgeranno al neo ministro delle Fi- nanze, Omar Abdel Razeq. Israele ha conge- lato i fondi a gennaio – 10 milioni di dollari – mentre gli Stati Uniti e il Canada hanno ordi- nato ai di- plomatici e ai contrac- tor di inter- rompere qualunque contatto con la nuova lea- dership pa- lestinese. L’esecutivo del premier , Ismail Haniye, fresco di giuramento, però, non è partito con slancio: non accettando le condi- zioni poste al dialogo dalla comunità inter- nazionale – riconoscere Israele, mettere fi- ne al terrorismo, accreditare gli accordi di pace – ha scatenato anche la reazione del Quartetto (Unione europea, Stati Uniti, Rus- sia e Nazioni Unite) che ieri ha formalmen- te minacciato di tagliare gli aiuti al governo di Hamas. Abdel Razeq ha detto di essere “stupito” dalle intimidazioni dell’occidente – che “re- spinge i risultati di un processo democrati- co” – ma sa già come muoversi, non è preoc- cupato: sono mesi che i leader del gruppo islamista si muovono negli stati “amici” a caccia di appoggi politici e finanziari. “Ab- biamo ricevuto segnali positivi dai paesi arabi che continueranno a sostenere i pale- stinesi – spiega al Foglio Razeq, parlando al telefono dalla Cisgiordania – e non ritengo neppure che saranno interrotti i flussi di de- naro provenienti dalle associazioni umani- tarie europee”. Il riferimento è alle ong che operano in Europa, in Canada e negli Stati Uniti che ogni mese versano nelle casse di Hamas il denaro raccolto grazie alla gene- rosità delle comunità musulmane. Razeq è uno che ci sa fare, ha studiato negli Stati Uniti e dice di aver imparato, negli otto an- ni in cui ha conseguito un dottorato in Eco- nomia, all’università dell’Iowa, “il rispetto per gli altri, al di là delle loro idee politiche o ideologiche”. In vena di “politically cor- rect”, Razeq dice di voler raccogliere l’ere- dità di Salam Fayyad, ex ministro delle Fi- nanze dell’Anp, noto in occidente per la sua lunga esperienza alla Banca mondiale. Ma i due sono alquanto diversi. Il neoministro è stato rilasciato appena una settimana fa, do- po venti giorni di prigionia in un carcere israeliano, accusato di atti di terrorismo, e, commentando la scena politica israeliana, lascia trasparire la sua filosofia: “Non vedo differenze tra i partiti, e che siano di destra o di sinistra poco importa”. Come dire: a noi non interessa quale sia la leadership d’I- sraele, tanto non la riconosciamo. Citare insieme islam e cristianesimo In realtà, in un’intervista all’Associated Press, Razeq aveva detto di voler “salvare l’economia palestinese dilaniata dalla cor- ruzione, dalla guerra e cercare una sorta di accordo con Gerusalemme”. Parlando con il Foglio ha aggiunto: “Sarebbe un errore in- terrompere le relazioni economiche con il paese di Olmert, per entrambi”. Ma le con- dizioni per il dialogo sono chiare e, se non sono rispettate, i rubinetti dei finanziamen- ti si chiudono. Stati Uniti e Canada hanno già deciso e il Quartetto è sulla stessa strada, tanto che ieri ha precisato che la minaccia non dev’essere interpretata come una puni- zione per il popolo, poiché “incoraggia il proseguimento dell’assistenza umanitaria per rispondere alle esigenze di base degli abitanti”. Il provvedimento è arrivato nono- stante la posizione assunta dal presidente dell’Anp, Abu Mazen, che aveva espresso il desiderio di “lavorare con Olmert per rag- giungere una pace giusta e globale per il po- polo israeliano e palestinese”. Secondo Razeq c’è anche un problema di fondo. Per l’occidente Hamas è un insieme di fanatici religiosi con un gruppo dirigente né autorevole né credibile, ma non è così, secondo lui: “Noi siamo l’esatto contrario siamo intellettuali e la maggior parte di noi ha studiato in occidente. Un gruppo religio- so sì, ma non estremista o fanatico. A meno che non si considerino estremiste persone che si schierano contro l’occupazione d’I- sraele”. Poi ricorda: “Cristianesimo e islam insegnano a combattere i tiranni e l’occupa- zione, ed è quello che stiamo facendo”. Tan- to che il leader Khaled Meshaal, ieri a Bei- rut, ha detto che la “resistenza armata” va avanti. Per concludere Razeq sottolinea che la legittimazione delle urne è al di sopra delle condizioni dell’occidente : “Siamo sta- ti democraticamente eletti, per il nostro pro- gramma economico, sociale e politico. Rap- presentiamo il popolo palestinese”. IL FOGLIO ANNO XI NUMERO 77 - VENERDÌ 31 MARZO 2006 DIRETTORE GIULIANO FERRARA IL FOGLIO 1 - IL FOGLIO + DVD-ROM (abbinamento facoltativo) 10,90 (1+9,90) quotidiano L ’avvertimento del Quartetto Il ministro delle Finanze di Hamas ci dice perché non teme lo stop agli aiuti Il Canada, come gli Stati Uniti, chiude le relazioni col nuovo governo dell’Anp. “Segnali positivi dai paesi arabi” “Siamo intellettuali” co Michael Bloomberg “ha dovuto dare tutti i suoi interessi a un trust”. La verità è che Bloomberg non ha messo le sue ricchezze, né tutte né in parte, in un blind trust. Se le è te- nute. Primo perché non c’è nessuna legge che gli potesse imporre la vendita forzosa. Secondo perché sarebbe stato “praticamen- te impossibile”, come ha scritto il New York Times l’8 novembre 2001. Gli esperti, infatti, hanno spiegato che un “fondo cieco” non può essere efficace quando il portafoglio consiste di un unico bene: azioni di una so- cietà privata. E’ successo, piuttosto, che il New York City Conflicts of Interest Board (or- gano comunale nominato dallo stesso sinda- co della città), sollecitato dal medesimo Bloomberg, ha stabilito che una piccola quo- ta, davvero piccola, del suo patrimonio (circa 50 milioni di dollari su un totale di 4 miliar- di di dollari) fosse in potenziale conflitto di interesse perché investito in società che for- nivano servizi al Comune. Bloomberg avrebbe po- tuto mettere quei titoli in un blind trust, ma non l’ha fatto, preferendo venderli e dare in benefi- cenza il ricavato. Il suo im- pero finanziario, mediatico e televisivo, è rimasto di sua indiscussa proprietà. Bloomberg si è dimesso da cariche operative e da pre- sidente dell’azienda, pro- prio come Berlusconi, ma è tuttora il mero proprietario della Bloomberg L.P. Un’altra verità è che, mentre Prodi schi- va il nitore dell’agguato a cielo aperto, i suoi assistenti lavorano nelle cave del potere uli- vista affinché il Berlusconi imprenditore di- venti incompatibile perfino con il Berlu- sconi parlamentare. E’ la tendenza Pancho Pardi, dal nome del professore girotondino pronto a scrivere una legge d’iniziativa po- polare per sbarazzarsi del Caimano. Gli as- sistenti prodiani sono quelli della fondazio- ne “Governareper” diretta da Arturo Pari- si, sono gli archeometri dell’eguaglianza in- defettibile che lavorano attorno a Gregorio Gitti, editorialista del Corriere della Sera e interprete di una volontà poco dibattuta: “Si rende improcrastinabile un immediato in- tervento diretto ad ampliare la sfera delle incompatibilità con le cariche parlamenta- ri e di governo, quanto meno con riferimen- to alla titolarità di pacchetti di controllo di società destinatarie di concessioni pubbli- che”. Bastano una fondazione per program- mare e cento giorni per eseguire. Spolvera- to del grigiore accademico, un simile pro- clama equivale alla traduzione politica dei sogni prodiani in materia di televisione e conflitto d’interessi. Una questione di con- venienza, vendetta, temperamento e pulsio- ni sotterranee che rendono perfino grotte- sca l’enumerazione lagnosa delle scarse presenze televisive di Prodi. Lo certifica lui nella seduta di psico-politica con Furio Co- lombo dalla quale ha ricavato il libro elet- torale “Ci sarà un’Italia” (Feltrinelli): “Io riesco a fare conversazioni pacate e com- piute o con tv minori, o con tv straniere o al- la radio. Nella grande televisione italiana il conduttore sistematicamente ti impedisce di esprimere riflessioni pacate e compiute”. E’ un caratteristico meccanismo di autoe- sclusione che genera rancore, come nel- l’umbratile che priva di luce il prossimo. E’ la tigna vendicativa che accreditano a Pro- di i suoi vicini più stretti, atterriti dalla per- malosità capricciosa dell’uomo almeno quanto rimangono affascinati dall’abnega- zione del professionista ambizioso. Da qui trae nutrimento il moralismo punitivo con il quale Prodi promette a Colombo di liberar- si dell’allogeno Berlusconi: “Ci sono due punti di enorme debolezza che costituisco- no l’anomalia italiana. Di questi due punti il primo consiste nell’enorme disparità di ricchezza tra una parte politica e la parte opposta. Questa debolezza, nel nostro pae- se, è ulteriormente aggravata perché non si tratta della ricchezza di un gruppo, ma del- la ricchezza addirittura personale del pre- sidente del Consiglio. Un secondo elemento critico è rappresentato dal fatto che il pre- sidente del Consiglio è padrone della mag- gior parte dei media”. Quella di Tremonti è “delinquenza politica” Questa coscienza infelice di Prodi è un mi- sto di pervicacia, neghittosità e scatti d’ira come quello con il quale ieri ha accusato Giulio Tremonti di “delinquenza politica”. L’ostinazione sta nel non lasciare nulla d’in- tentato fino all’eliminazione dell’avversario. La neghittosità è nel chiaroscuro dei silenzi con i quali il professore avvolge cattive in- tenzioni o brutti presentimenti. Come quelli stanati, sull’International Herald Tribune, da John Vincour. A lui è stata sufficiente la let- tura del programma dell’Unione per convin- cersi che in politica estera il centrosinistra “sceglie il multipolarismo” francese. Ne ha parlato con Filippo Andreatta, consulente del professore, e la complicazione è giunta al misconoscimento di Zapatero e all’elogio del modello tedesco. Fino allo scatto di Prodi: siamo in campagna elettorale, guai a leggere le dichiarazioni politiche con l’occhio da scienziati della politica”. E’ la stessa solu- zione adottata con quelli del Manifesto, dove Rossana Rossanda aspetta da quindici gior- ni che Prodi risponda all’invito di schierarsi nella questione israelo-palestinese. “Non so se risponderà, ma deve anche pensare a non creare inutili polemiche a pochi giorni dal voto”, ha scritto ieri Massimo Pasquali della Fabbrica prodiana per giustificare una rotta che procede in diagonale là dove la linearità rischia d’illuminare altri conflitti non sana- bili per legge. NON E’ CHE PRODI PREPARA LA TRAPPOLA? SI PARLA DI UN PIANO DEI CENTO GIORNI PER FARE A PEZZIIL CAV . IN CASO DI VITTORIA Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO C aro Mauro, ho letto con molto interesse l’articolo critico e ci- vilmente polemico che hai dedicato ieri nel tuo giornale a un appello sulla questione del conflitto di interessi firmato da Pie- ro Ostellino, da Sergio Ricossa e da me. Lasciamo stare le ma- schere del lupo e dell’agnello che ogni politico, compreso Ber- lusconi, indossa e dismette con spregiudicatezza, specie sotto elezioni. L’argomento non riguarda noi ma il premier, che non è l’ispiratore di quel testo anche perché, come sai, ha spesso (non sempre) la simpatica faccia tosta di negare l’esistenza stessa di un conflitto di interessi a lui intestato, aggiungendo che, se c’è, quel conflitto si risolve in un danno per lui. Noi abbiamo scritto l’opposto, e per quanto mi riguarda lo faccio serenamente e pub- blicamente da anni, agnello lupo o elefante, perfino dal tempo in cui lavorai con Berlusconi come ministro nel suo primo go- verno (1994). Lasciamo dunque stare le recriminazioni persona- li o di gruppo e affrontiamo la sostanza oggettiva del problema, come tu fai all’ingrosso, anche se nel dettaglio ti togli lo sfizio di dannarci un poco e ci rimproveri di non essere bravi liberali (per quanto mi riguarda non hai torto: sono un ex comunista, dunque un liberale di risulta e di serie B). Caro direttore, tu incentri le tue tesi su dei numeri, il minu- taggio dedicato dalle varie emittenti ai due schieramenti eletto- rali in campo, e affermi che è in atto un tremendo squilibrio a favore del proprietario di Mediaset e premier in carica. A vrei qualcosina da dire su quei numeri. Prodi è meno presente in tv? Ma tutti sanno, anche per sua ammissione, che è una scelta per- sonale e di staff, una tattica: si sente in vantaggio, non vuole en- trare nella mischia, punta sui faccia a faccia istituzionali e dif- fida dei talk show. Il lamento dunque è ipocrita. Ma i prodiani dell’Unione sono tutte le sere in tv, come e forse più degli altri. Non ho i numeri per dimostrarlo, ma ho come tutti gli occhi per vederlo. Mi sembra incontestabile. Il Tg4 è squilibrato? Sicura- mente. Fede è un ironico fuorilegge del video, ma se il dirim- pettaio Tg3 è dato dai tuoi numeri come perfettamente equili- brato, allora io peso quarantacinque chili e chi lo neghi an- drebbe contro i miei numeri e la loro oggettività (per fortuna ci sono gli occhi). I numeri sono ingannevoli, se mal trattati e usati per dissol- vere ciò che appare nella più solare evidenza. Per esempio: dei numeri come il tasso d’inflazione (basso) e il tasso di disoccupa- zione (basso) voi vi fate beffe, altri parlano di inflazione perce- pita e di disoccupazione percepita. Non si sa dove mettere nel minutaggio le informazioni sull’aviaria, come dice Clemente Mi- mun, direttore del criticato Tg1: in quota An, destra sociale, mi- nistero delle Politiche agricole e forestali? Boh. V ia, lasciamo perdere i trucchetti numerologici e altri esoterismi, diciamo che la par condicio percepita tutto sommato funziona. Nel caso non funzioni, nel caso sia troppo facilmente aggirabile, Dio mio, deb- bo ricordare che quella legge nacque da un’intuizione geniale di Scalfaro, che non è un berlusconoide, e fu varata a maggio- ranza da D’Alema, che è solo un mezzo berluscones (a voler es- sere perfidi con lui). Mi viene sempre molto da ridere quando leggo le maledizioni contro quella legge del tuo Michele Serra, autore di Fabio Fazio frustrato dalle regole e affaticato nell’ag- girarle con ironia, un po’ come fa Fede nel suo Tg. Mi sono sga- nasciato dalle risate quando ho visto Moretti protestare da Fa- zio, mentre la violava con delicatezza in attesa della Littizzetto, contro la legge orwelliana approvata dalla sinistra per imbri- gliare il Caimano. “Vogliamo tutto”, come scriveva Nanni Bale- strini tanti anni fa, è dunque a tutt’oggi la vostra filosofia della vita pubblica? Per cortesia, ho detto la mia sui numeri. Ma i numeri non c’en- trano, caro Mauro. Riguardano la par condicio o equal time, che può essere migliorata in diverse direzioni, compresa quella del- la severità nelle prescrizioni e nelle sanzioni. Il problema che noi abbiamo posto è diverso: è decente la sola idea che gli av- versari del premier promettano o minaccino di escluderlo per legge dalla politica, impedendogli una eventuale rivincita nel se- gno dell’alternanza, a meno che non diventi un politico profes- sionale, con l’obbligo per legge (a maggioranza) di vendere il suo patrimonio industriale? Può un candidato, in una democrazia li- berale, partecipare tranquillo alle elezioni sapendo che gli av- versari, se vincessero, gli toglierebbero per legge la sua identità sociale e politica, impedendogli ogni possibile rivincita? Fassino ci ha dato ragione in diretta tv, da Vespa: ha detto che “Berlusconi può restare padrone di Mediaset, purché separi completamente la gestione”. Prodi è stato elusivo: ha detto che non vuole fare una legge ad hominem bensì tutelare l’Italia e la democrazia, poi ha aggiunto che non sa quale soluzione adotta- re, il che è un po’ poco e un po’ sghembo come risposta a una do- manda semplice. Furio Colombo, che ha presentato Prodi e il suo programma e la sua filosofia di governo in un libro-intervi- sta, ha detto che prima ancora di appendere il cappotto a Mon- tecitorio, se eletto, depositerà “una proposta di legge sul con- flitto di interessi che renda incompatibili la proprietà di mezzi di comunicazione come Mediaset e qualsiasi ruolo di governo”. Risposta chiara, è la linea dell’aut aut: o entri nella nomencla- tura politica e ti spogli delle tue proprietà o sei fuori. A questa domanda cruciale, che ha ottenuto come abbiamo vi- sto risposte diverse (e ci piacerebbe sapere che cosa ne pensi, vi- sto che non sembri voler eludere anche tu il problema) se ne ag- giunge un’altra. Da quando Berlusconi è entrato in politica, rivo- luzionando il sistema che era stato già fatto a brandelli dalle pro- cure, si è forse indebolito il carattere principale di una Repub- blica liberal-democratica, cioè la capacità di garantire l’alter- nanza elettorale di forze diverse alla guida del governo? O non si è decisivamente introdotto, questo nuovo requisito, anche grazie all’opera concreta del proprietario & politico bipolarista e bipo- larizzatore? La risposta la conosci bene anche tu, e riconosci per- fino che Berlusconi vince o perde per la politica, non per la tv, il che fa onore alla tua capacità di analisi e alla tua serenità intel- lettuale. Poi affermi che i fatti, i risultati, non contano, contano solo i principi. Ma i principi dicono che non esiste una competi- zione leale se uno dei competitori minaccia di fare a pezzi l’altro nel caso di una sua sconfitta. Invece i fatti dicono che Berlusco- ni ha vinto, poi ha perso, poi ha rivinto e potrebbe – questa è l’i- potesi di scuola più in voga dalle vostre parti – tornare a perde- re. E allora? Che volete di più dalla vita? Non è meglio tenerci un sistema di alternanza, in cui a decidere sono regole ed elettori, non la ghigliottina della vendetta ad hominem? E’ quella della vendetta, che vuole eliminare il Cav. come competitore politico. Risposta a Ezio Mauro La ghigliottina che pesa sulla sfida elettorale Torna a casa Struzzo Come salvare l’Einaudi dal Caimano. André Schiffrin sogna scrittori e libri di stato L’ idea sarebbe quella di strappare lo Struzzo dalle fauci del Caimano. Di re- stituire l’Einaudi al passato splendore, di renderle qualità e libertà, quindi di sottrar- la alla commerciale e berlusconiana Monda- dori. Come? Ma con una bella fondazione di stato senza fini di lucro, che non abbia cioè il volgare e davvero incomprensibile proble- ma di fare utili, e possa vivere felicemente di denaro pubblico. E’ l’idea del romanzo assi- stito (di qualità, è ovvio), della poesia nazio- nalizzata come lo fu l’Enel (il momento più alto della Prima Repubblica, secondo T oni Negri) della saggistica e magari pure della manualistica socialmente utile. L ’idea che arriva da André Schiffrin, settantunenne ti- tolare della statunitense The New Press, già direttore editoriale della Pantheon Book, che fu fondata nel 1940 da suo padre Jac- ques, fuggito in America dalla Francia nazi- sta dopo essere stato l’ideatore, con André Gide, della Pléiade per Gallimard. Schiffrin junior, che nel 2000 aveva pub- blicato “Editoria senza editori”, è appena tornato in libreria con un pamphlet, “Il con- trollo della parola” (edito come il preceden- te da Bollati Boringhieri, 89 pagine, 12 euro). Il libro è stato presentato ieri in contempo- ranea in quindici librerie di tutta Italia, con potenza di fuoco promozionale adeguata al- la dirompenza della sua proposta centrale. Stabilito una volta per tutte che la dilagante tendenza alla creazione di grandi concen- trazioni editoriali è un male, perché attri- buisce a pochissimi soggetti (spesso cattivi soggetti) il controllo di un “bene pubblico” (pubblico?) qual è il libro, perché non im- maginare, per alcuni marchi europei impor- tanti e prestigiosi (Gallimard in Francia, Suhrkamp in Germania, Einaudi in Italia, tanto per cominciare), un riscatto e una ge- stione a opera delle “fondazioni senza fini di lucro” di cui sopra? Il Leviatano editoriale americano E’ l’uovo di Colombo. Anzi, di Struzzo. Proprio così, “Torna a casa, Struzzo”, titola- va ieri la Stampa, nel dare conto della pen- sata di Schiffrin ma pure delle reazioni sbi- gottite di editori grandi ma anche medi e piccoli. L’unico prevedibilmente entusiasta è, finora, l’editore di Schiffrin, nella perso- na di Francesco Cataluccio, nuovo direttore editoriale di Bollati Boringhieri. Ma anche Stefano Salis, giornalista del padronale So- le 24 Ore, nell’introduzione all’edizione ita- liana del libro ammonisce: “La democrazia presuppone che ci sia un’editoria libera, plurale e non assoggettata al potere politi- co”. Bene, e allora per preservare la libertà dell’editoria che cosa c’è di meglio che affi- dare il giudizio “di qualità” allo stato, evi- dentemente immune da qualsiasi influenza del potere politico? Schiffrin sogna un’oasi protetta e assistita per editori meritevoli, va- gliati e giudicati da un collegio di saggi su- per partes, poeti, critici e romanzieri lau- reati, scelti con apposito concorso, ovvia- mente trasparentissimo e non influenzabi- le… Un incubo, insomma. Nella Russia so- vietica c’era la famosa Casa degli scrittori, tempio del realismo socialista e custode del- l’arte proletaria? Bene, si può pensare a una Casa nazionale degli editori, purché dotati di credenziali che giustifichino adeguati sus- sidi e la pubblicazione a spese del contri- buente di opere indispensabili, certamente di qualità, da salvare doverosamente dall’o- blio. Già li vediamo bivaccare sulle scale della Casa degli editori, così come i lettera- ti falliti su quelle della Casa Herzen di Mo- sca, descritta da Sklovskij e da Bulgakov. Schiffrin elargisce consigli su dimensione europea, a partire dalla Francia, e agita lo spettro della situazione americana, prototi- po del Leviatano editoriale. Dove però, stra- namente, lui opera tranquillo da quindici anni con una società non profit, “grazie al si- stema fiscale americano che ha consentito la formazione di vari tipi di fondazioni, al- cune delle quali hanno deciso di finanziare nuove forme di editoria”. Rievoca minuzio- samente le vicende della tentata fusione Ha- chette-Vivendi e soprattutto lamenta la sca- lata della gloriosa Seuil da parte di Hervé La Martinière (un quasi parvenu che prima, figuriamoci, faceva libri illustrati). Colui, scrive Schiffrin, che durante una trasmis- sione a France Culture, nel 2004, arrivò a so- stenere “che ogni libro doveva dare un pro- fitto”. Un vero cafone. La Giornata * * * In Italia Nel mondo IL PREMIER: UNIRE I MODERATI NEL PARTITO DEL POPOLO IT ALIANO. Al congresso del Partito popolare europeo, Berlusconi ha lanciato un appello ai mode- rati a unirsi in “un movimento che segni la storia politica dell’Italia e sia a immagine e somiglianza del Ppe”. Casini: “Ora pensia- mo a vincere le elezioni”. Fini: “Dov’è la no- vita?”. Follini: “No a un partito populista”. * * * “Su vita e matrimonio non si negozia”. La protezione della vita in ogni suo stadio, la difesa della naturale struttura della fami- glia e il diritto dei genitori a educare i figli sono i tre principi, non negoziabili, che il Papa ha indicato al convegno del Ppe. Poi ha difeso le radici cristiane dell’Europa e ha chiarito che l’intervento della chiesa nel dibattito politico non è un’interferenza. * * * “Questa è delinquenza politica”. Così Pro- di ha definito le affermazioni di T remonti che ha attribuito all’Unione la volontà di imporre aliquote contributive al 25 per cen- to per i lavoratori autonomi. Da Prodi “un’espressione gravissima”, ha replicato Berlusconi. E Fini: “E’ in crisi isterica”. Gli evasori totali nel 2005 sono stati 7.163. Sottratti al fisco 19,4 miliardi. * * * E’ stata accolta la richiesta di asilo politico in Italia presentata da Rahman, il cittadino afghano convertito al cristianesimo. L’uomo ha ringraziato il Papa e il governo italiano. * * * Borsa di Milano. Mibtel: 29.469 (+1,18%). L’euro (1,2029) guadagna 0,0100 sul dollaro. Una tuttora contenuta ma innegabile gioia sta affacciandosi ai nostri cuori, l’impossibile sta diventando possibile, l’impensabile è stato pensato, lo stato confu- sional-elettorale dell’Amor nostro sta per es- sere battuto da una confusione dell’altra parte che solo fino a ieri sembrava da pazzi anche soltanto immaginare. Prodi che dice: vi tasso i Bot, non vi tasso i Bot, invece ve li tasso, però non oggi, li tasserò domani, e vi tasso pure la bicocca, ma solo se è una villa, anzi se sono due, basta che non sia grossa, poi vi tasso l’eredità, anzi non ve la tasso, op- pure ve la tasso, in ogni caso non tutte le ere- dità, ma qualcuna sì, soltanto quelle grasse, comunque non oggi, l’eredità ve la tasso do- mani, diciamocelo, un Prodi che la conta co- sì non si vedeva in giro dai tempi d’oro del- le sedute spiritiche. E Boselli che s’incazza col Papa? E Di Pietro che s’incazza anche lui e che ammonisce il Papa di fare il Papa e basta? E tutti e due che gli dicono che non esistono “valori non negoziabili”? Al Papa? E Di Pietro che non si rende conto che tutto sarà anche negoziabile, però, per valori par- ticolarmente delicati, di scatole da scarpe ce ne vorrebbe minimo un container? LIBERATA JILL CARROLL, LA GIOR- NALISTA AMERICANA RAPITA IN IRAQ. Dopo quasi tre mesi di prigionia è stata ri- lasciata dai sequestratori a Baghdad. “Mi hanno trattata bene”, ha raccontato alla tv irachena. Il presidente Bush si è detto feli- ce e ha ringraziato tutti quelli che si sono impegnati per la liberazione. Due soldati americani sono stati uccisi nel corso di combattimenti in Iraq. * * * Non rinunceremo al programma nucleare e “siamo pronti ad affrontarne le conse- guenze”. Così il ministro degli Esteri ira- niano, Mottaki, ha risposto al documento approvato dal Consiglio di sicurezza che concede trenta giorni all’Iran per rinuncia- re all’arricchimento dell’uranio. La Russia ha invitato Teheran ad “ascoltare” l’Onu. Articolo a pagina tre * * * Il premier israeliano, Ehud Olmert, non ha escluso la possibilità di invitare anche il Likud a far parte del governo. “Gli Stati Uniti non considerano senza valore le opi- nioni israeliane”: così il segretario di stato americano, Rice, ha aperto al piano di con- vergenza previsto da Israele. * * * In Francia è stato approvato il Cpe dal Consiglio costituzionale che ha respinto il ricorso presentato da alcuni deputati so- cialisti. Domani sera si pronuncerà Chirac. * * * E’ stato ucciso l’industriale italiano Sin- doni, rapito in Venezuela martedì scorso. La Giornata è realizzata in collaborazione con Dire Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20,15 OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO L’INVIDIA, ILVOTO, LETASSE UN LIBRO di Helmut Schoeck spiega come questo sentimento alimenti l’i- deologia e il risentimento dell’intel- lettuale verso il ricco (pagina 3)

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Roma. Potrebbero bastare cento giorni dicura prodiana per mettere fuori legge ilCav. “Se i maggiori azionisti dell’Unione (Dse Margherita) lo lasciassero fare, sicura-mente Romano Prodi saprebbe come risol-vere il conflitto d’interessi di Silvio Berlu-sconi”. E sarebbe una soluzione radicale.Bisogna ripartire da questa insinuazioneconcessa al Foglio, due giorni fa, da MarcoTravaglio. Perché è vero che Massimo D’A-lema, in materia, ha preso quasi subito acincischiare e, dopo aver minacciato trucu-lento su Panorama (“Berlusconi scelga sevuole fare l’imprenditore o il politico”), si èincartato sul Mattino (“Ceda Mediaset aipropri figli”) e adesso manda a dire – trami-te Stefano Passigli – che il suo era un mododi dire e insomma Berlusconi venda il suopatrimonio oppure subisca la sterilizzazio-ne delle sue azioni.

Ed è vero che Piero Fassino, incalzato dalbuon senso prima ancorache dai suoi avversari poli-tici, ha concluso davantialle telecamere: “Certoche Berlusconi può resta-re proprietario di Media-set, purché separi comple-tamente la gestione”. Nel-le parole di Fassino al-meno forma e sostanzatendono a coincidere, an-che se rimangono dettaglida decrittare: chi scegliel’eventuale gestore, il Cav. o la congregazio-ne per la dottrina della par condicio messasu dall’Unione?

Il Prof. non è un dettaglioNon è affatto un dettaglio che alla guida

del centrosinistra ci sia Romano Prodi, e chel’uomo maceri da tempo dentro di sé propo-siti punitivi verso il premier. Il Prof bologne-se ha stabilito di fare, se vincerà il 9-10 apri-le, ciò che Travaglio teme non gli riuscirà: re-golare i conti con Berlusconi entro i primitre mesi e chiudere la stagione dell’anoma-lia. Come? Attraverso due leggi che si tengo-no per mano e formano un cappio intorno alcollo dello sconfitto. La prima servirà a de-molire la fragile sistemazione del sistema ra-diotelevisivo che porta la firma di MaurizioGasparri. Sotto il vestito della liberalizzazio-ne dell’etere dal duopolio, s’avanzerà così ilprimo colpo contro Mediaset. La seconda leg-ge attacca il cuore del berlusconismo ed èper l’appunto quella sul conflitto d’interessi.“Un problema che riguarda la democrazia eva affrontato”, ha detto ieri Prodi mescolan-do la consueta e impaziente elusività a un in-terrogativo retorico: “Perché non dovrebbeessere un problema in Italia quello che è unproblema per gli altri paesi?”. Ha detto que-sto alla radio, Prodi, e una settimana fa ave-va citato come modello di riferimento il casodi New York dove, una volta eletto, il sinda-

Gerusalemme. Ieri, nel primo giorno di la-voro del nuovo governo di Hamas, tuttiavrebbero voluto sapere dove si cercherà ildenaro necessario per pagare gli stipendidel mese di marzo: 140 mila dipendenti del-l’Autorità nazionale palestinese sono anco-ra senza compenso e per avere delle rispo-ste si rivolgeranno al neo ministro delle Fi-nanze, Omar Abdel Razeq. Israele ha conge-lato i fondi a gennaio – 10 milioni di dollari

– mentre gliStati Uniti eil Canadahanno ordi-nato ai di-plomatici eai contrac-tor di inter-r o m p e r equalunquecontatto conla nuova lea-dership pa-

lestinese. L’esecutivo del premier , IsmailHaniye, fresco di giuramento, però, non èpartito con slancio: non accettando le condi-zioni poste al dialogo dalla comunità inter-nazionale – riconoscere Israele, mettere fi-ne al terrorismo, accreditare gli accordi dipace – ha scatenato anche la reazione delQuartetto (Unione europea, Stati Uniti, Rus-sia e Nazioni Unite) che ieri ha formalmen-te minacciato di tagliare gli aiuti al governodi Hamas.

Abdel Razeq ha detto di essere “stupito”dalle intimidazioni dell’occidente – che “re-spinge i risultati di un processo democrati-co” – ma sa già come muoversi, non è preoc-cupato: sono mesi che i leader del gruppoislamista si muovono negli stati “amici” acaccia di appoggi politici e finanziari. “Ab-biamo ricevuto segnali positivi dai paesiarabi che continueranno a sostenere i pale-stinesi – spiega al Foglio Razeq, parlando altelefono dalla Cisgiordania – e non ritengoneppure che saranno interrotti i flussi di de-naro provenienti dalle associazioni umani-tarie europee”. Il riferimento è alle ong cheoperano in Europa, in Canada e negli StatiUniti che ogni mese versano nelle casse diHamas il denaro raccolto grazie alla gene-rosità delle comunità musulmane. Razeq èuno che ci sa fare, ha studiato negli StatiUniti e dice di aver imparato, negli otto an-ni in cui ha conseguito un dottorato in Eco-nomia, all’università dell’Iowa, “il rispettoper gli altri, al di là delle loro idee politicheo ideologiche”. In vena di “politically cor-rect”, Razeq dice di voler raccogliere l’ere-dità di Salam Fayyad, ex ministro delle Fi-nanze dell’Anp, noto in occidente per la sualunga esperienza alla Banca mondiale. Ma idue sono alquanto diversi. Il neoministro èstato rilasciato appena una settimana fa, do-po venti giorni di prigionia in un carcereisraeliano, accusato di atti di terrorismo, e,commentando la scena politica israeliana,lascia trasparire la sua filosofia: “Non vedodifferenze tra i partiti, e che siano di destrao di sinistra poco importa”. Come dire: a noinon interessa quale sia la leadership d’I-sraele, tanto non la riconosciamo.

Citare insieme islam e cristianesimoIn realtà, in un’intervista all’Associated

Press, Razeq aveva detto di voler “salvarel’economia palestinese dilaniata dalla cor-ruzione, dalla guerra e cercare una sorta diaccordo con Gerusalemme”. Parlando con ilFoglio ha aggiunto: “Sarebbe un errore in-terrompere le relazioni economiche con ilpaese di Olmert, per entrambi”. Ma le con-dizioni per il dialogo sono chiare e, se nonsono rispettate, i rubinetti dei finanziamen-ti si chiudono. Stati Uniti e Canada hannogià deciso e il Quartetto è sulla stessa strada,tanto che ieri ha precisato che la minaccianon dev’essere interpretata come una puni-zione per il popolo, poiché “incoraggia ilproseguimento dell’assistenza umanitariaper rispondere alle esigenze di base degliabitanti”. Il provvedimento è arrivato nono-stante la posizione assunta dal presidentedell’Anp, Abu Mazen, che aveva espresso ildesiderio di “lavorare con Olmert per rag-giungere una pace giusta e globale per il po-polo israeliano e palestinese”.

Secondo Razeq c’è anche un problema difondo. Per l’occidente Hamas è un insiemedi fanatici religiosi con un gruppo dirigentené autorevole né credibile, ma non è così,secondo lui: “Noi siamo l’esatto contrariosiamo intellettuali e la maggior parte di noiha studiato in occidente. Un gruppo religio-so sì, ma non estremista o fanatico. A menoche non si considerino estremiste personeche si schierano contro l’occupazione d’I-sraele”. Poi ricorda: “Cristianesimo e islaminsegnano a combattere i tiranni e l’occupa-zione, ed è quello che stiamo facendo”. Tan-to che il leader Khaled Meshaal, ieri a Bei-rut, ha detto che la “resistenza armata” vaavanti. Per concludere Razeq sottolinea chela legittimazione delle urne è al di sopradelle condizioni dell’occidente : “Siamo sta-ti democraticamente eletti, per il nostro pro-gramma economico, sociale e politico. Rap-presentiamo il popolo palestinese”.

IL FOGLIOANNO XI NUMERO 77 - VENERDÌ 31 MARZO 2006 DIRETTORE GIULIANO FERRARA IL FOGLIO € 1 - IL FOGLIO + DVD-ROM (abbinamento facoltativo) € 10,90 (1+9,90)

quotidiano

L’avvertimento del QuartettoIl ministro delle Finanzedi Hamas ci dice perchénon teme lo stop agli aiutiIl Canada, come gli Stati Uniti, chiude le

relazioni col nuovo governo dell’Anp.“Segnali positivi dai paesi arabi”

“Siamo intellettuali”

co Michael Bloomberg “ha dovuto dare tuttii suoi interessi a un trust”. La verità è cheBloomberg non ha messo le sue ricchezze, nétutte né in parte, in un blind trust. Se le è te-nute. Primo perché non c’è nessuna leggeche gli potesse imporre la vendita forzosa.Secondo perché sarebbe stato “praticamen-te impossibile”, come ha scritto il New YorkTimes l’8 novembre 2001. Gli esperti, infatti,hanno spiegato che un “fondo cieco” nonpuò essere efficace quando il portafoglioconsiste di un unico bene: azioni di una so-cietà privata. E’ successo, piuttosto, che ilNew York City Conflicts of Interest Board (or-gano comunale nominato dallo stesso sinda-co della città), sollecitato dal medesimoBloomberg, ha stabilito che una piccola quo-ta, davvero piccola, del suo patrimonio (circa50 milioni di dollari su un totale di 4 miliar-di di dollari) fosse in potenziale conflitto diinteresse perché investito in società che for-

nivano servizi al Comune.Bloomberg avrebbe po-tuto mettere quei titoliin un blind trust, ma non

l’ha fatto, preferendovenderli e dare in benefi-

cenza il ricavato. Il suo im-pero finanziario, mediaticoe televisivo, è rimasto disua indiscussa proprietà.Bloomberg si è dimesso dacariche operative e da pre-sidente dell’azienda, pro-

prio come Berlusconi, ma è tuttora il meroproprietario della Bloomberg L.P.

Un’altra verità è che, mentre Prodi schi-va il nitore dell’agguato a cielo aperto, i suoiassistenti lavorano nelle cave del potere uli-vista affinché il Berlusconi imprenditore di-venti incompatibile perfino con il Berlu-sconi parlamentare. E’ la tendenza PanchoPardi, dal nome del professore girotondinopronto a scrivere una legge d’iniziativa po-polare per sbarazzarsi del Caimano. Gli as-sistenti prodiani sono quelli della fondazio-ne “Governareper” diretta da Arturo Pari-si, sono gli archeometri dell’eguaglianza in-defettibile che lavorano attorno a GregorioGitti, editorialista del Corriere della Sera einterprete di una volontà poco dibattuta: “Sirende improcrastinabile un immediato in-tervento diretto ad ampliare la sfera delleincompatibilità con le cariche parlamenta-ri e di governo, quanto meno con riferimen-to alla titolarità di pacchetti di controllo disocietà destinatarie di concessioni pubbli-che”. Bastano una fondazione per program-mare e cento giorni per eseguire. Spolvera-to del grigiore accademico, un simile pro-clama equivale alla traduzione politica deisogni prodiani in materia di televisione econflitto d’interessi. Una questione di con-venienza, vendetta, temperamento e pulsio-ni sotterranee che rendono perfino grotte-sca l’enumerazione lagnosa delle scarse

presenze televisive di Prodi. Lo certifica luinella seduta di psico-politica con Furio Co-lombo dalla quale ha ricavato il libro elet-torale “Ci sarà un’Italia” (Feltrinelli): “Ioriesco a fare conversazioni pacate e com-piute o con tv minori, o con tv straniere o al-la radio. Nella grande televisione italiana ilconduttore sistematicamente ti impediscedi esprimere riflessioni pacate e compiute”.E’ un caratteristico meccanismo di autoe-sclusione che genera rancore, come nel-l’umbratile che priva di luce il prossimo. E’la tigna vendicativa che accreditano a Pro-di i suoi vicini più stretti, atterriti dalla per-malosità capricciosa dell’uomo almenoquanto rimangono affascinati dall’abnega-zione del professionista ambizioso. Da quitrae nutrimento il moralismo punitivo con ilquale Prodi promette a Colombo di liberar-si dell’allogeno Berlusconi: “Ci sono duepunti di enorme debolezza che costituisco-no l’anomalia italiana. Di questi due puntiil primo consiste nell’enorme disparità diricchezza tra una parte politica e la parteopposta. Questa debolezza, nel nostro pae-se, è ulteriormente aggravata perché non sitratta della ricchezza di un gruppo, ma del-la ricchezza addirittura personale del pre-sidente del Consiglio. Un secondo elementocritico è rappresentato dal fatto che il pre-sidente del Consiglio è padrone della mag-gior parte dei media”.

Quella di Tremonti è “delinquenza politica”Questa coscienza infelice di Prodi è un mi-

sto di pervicacia, neghittosità e scatti d’iracome quello con il quale ieri ha accusatoGiulio Tremonti di “delinquenza politica”.L’ostinazione sta nel non lasciare nulla d’in-tentato fino all’eliminazione dell’avversario.La neghittosità è nel chiaroscuro dei silenzicon i quali il professore avvolge cattive in-tenzioni o brutti presentimenti. Come quellistanati, sull’International Herald Tribune, daJohn Vincour. A lui è stata sufficiente la let-tura del programma dell’Unione per convin-cersi che in politica estera il centrosinistra“sceglie il multipolarismo” francese. Ne haparlato con Filippo Andreatta, consulentedel professore, e la complicazione è giunta almisconoscimento di Zapatero e all’elogio delmodello tedesco. Fino allo scatto di Prodi:siamo in campagna elettorale, guai a leggerele dichiarazioni politiche con l’occhio dascienziati della politica”. E’ la stessa solu-zione adottata con quelli del Manifesto, doveRossana Rossanda aspetta da quindici gior-ni che Prodi risponda all’invito di schierarsinella questione israelo-palestinese. “Non sose risponderà, ma deve anche pensare a noncreare inutili polemiche a pochi giorni dalvoto”, ha scritto ieri Massimo Pasquali dellaFabbrica prodiana per giustificare una rottache procede in diagonale là dove la linearitàrischia d’illuminare altri conflitti non sana-bili per legge.

NON E’ CHE PRODI PREPARA LA TRAPPOLA? SI PARLA DI UN PIANO DEI CENTO GIORNI PER “FARE A PEZZI” IL CAV. IN CASO DI VITTORIA

Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO

Caro Mauro, ho letto con molto interesse l’articolo critico e ci-vilmente polemico che hai dedicato ieri nel tuo giornale a un

appello sulla questione del conflitto di interessi firmato da Pie-ro Ostellino, da Sergio Ricossa e da me. Lasciamo stare le ma-schere del lupo e dell’agnello che ogni politico, compreso Ber-lusconi, indossa e dismette con spregiudicatezza, specie sottoelezioni. L’argomento non riguarda noi ma il premier, che non èl’ispiratore di quel testo anche perché, come sai, ha spesso (nonsempre) la simpatica faccia tosta di negare l’esistenza stessa diun conflitto di interessi a lui intestato, aggiungendo che, se c’è,quel conflitto si risolve in un danno per lui. Noi abbiamo scrittol’opposto, e per quanto mi riguarda lo faccio serenamente e pub-blicamente da anni, agnello lupo o elefante, perfino dal tempoin cui lavorai con Berlusconi come ministro nel suo primo go-verno (1994). Lasciamo dunque stare le recriminazioni persona-li o di gruppo e affrontiamo la sostanza oggettiva del problema,come tu fai all’ingrosso, anche se nel dettaglio ti togli lo sfizio didannarci un poco e ci rimproveri di non essere bravi liberali(per quanto mi riguarda non hai torto: sono un ex comunista,dunque un liberale di risulta e di serie B).

Caro direttore, tu incentri le tue tesi su dei numeri, il minu-taggio dedicato dalle varie emittenti ai due schieramenti eletto-rali in campo, e affermi che è in atto un tremendo squilibrio afavore del proprietario di Mediaset e premier in carica. A vreiqualcosina da dire su quei numeri. Prodi è meno presente in tv?Ma tutti sanno, anche per sua ammissione, che è una scelta per-sonale e di staff, una tattica: si sente in vantaggio, non vuole en-trare nella mischia, punta sui faccia a faccia istituzionali e dif-fida dei talk show. Il lamento dunque è ipocrita. Ma i prodianidell’Unione sono tutte le sere in tv , come e forse più degli altri.Non ho i numeri per dimostrarlo, ma ho come tutti gli occhi pervederlo. Mi sembra incontestabile. Il Tg4 è squilibrato? Sicura-mente. Fede è un ironico fuorilegge del video, ma se il dirim-pettaio Tg3 è dato dai tuoi numeri come perfettamente equili-brato, allora io peso quarantacinque chili e chi lo neghi an-drebbe contro i miei numeri e la loro oggettività (per fortuna cisono gli occhi).

I numeri sono ingannevoli, se mal trattati e usati per dissol-vere ciò che appare nella più solare evidenza. Per esempio: deinumeri come il tasso d’inflazione (basso) e il tasso di disoccupa-zione (basso) voi vi fate beffe, altri parlano di inflazione perce-pita e di disoccupazione percepita. Non si sa dove mettere nelminutaggio le informazioni sull’aviaria, come dice Clemente Mi-mun, direttore del criticato Tg1: in quota An, destra sociale, mi-nistero delle Politiche agricole e forestali? Boh. V ia, lasciamoperdere i trucchetti numerologici e altri esoterismi, diciamo chela par condicio percepita tutto sommato funziona. Nel caso nonfunzioni, nel caso sia troppo facilmente aggirabile, Dio mio, deb-bo ricordare che quella legge nacque da un’intuizione genialedi Scalfaro, che non è un berlusconoide, e fu varata a maggio-ranza da D’Alema, che è solo un mezzo berluscones (a voler es-sere perfidi con lui). Mi viene sempre molto da ridere quandoleggo le maledizioni contro quella legge del tuo Michele Serra,autore di Fabio Fazio frustrato dalle regole e affaticato nell’ag-girarle con ironia, un po’ come fa Fede nel suo Tg. Mi sono sga-

nasciato dalle risate quando ho visto Moretti protestare da Fa-zio, mentre la violava con delicatezza in attesa della Littizzetto,contro la legge orwelliana approvata dalla sinistra per imbri-gliare il Caimano. “Vogliamo tutto”, come scriveva Nanni Bale-strini tanti anni fa, è dunque a tutt’oggi la vostra filosofia dellavita pubblica?

Per cortesia, ho detto la mia sui numeri. Ma i numeri non c’en-trano, caro Mauro. Riguardano la par condicio o equal time, chepuò essere migliorata in diverse direzioni, compresa quella del-la severità nelle prescrizioni e nelle sanzioni. Il problema chenoi abbiamo posto è diverso: è decente la sola idea che gli av-versari del premier promettano o minaccino di escluderlo perlegge dalla politica, impedendogli una eventuale rivincita nel se-gno dell’alternanza, a meno che non diventi un politico profes-sionale, con l’obbligo per legge (a maggioranza) di vendere il suopatrimonio industriale? Può un candidato, in una democrazia li-berale, partecipare tranquillo alle elezioni sapendo che gli av-versari, se vincessero, gli toglierebbero per legge la sua identitàsociale e politica, impedendogli ogni possibile rivincita?

Fassino ci ha dato ragione in diretta tv, da Vespa: ha detto che“Berlusconi può restare padrone di Mediaset, purché separicompletamente la gestione”. Prodi è stato elusivo: ha detto chenon vuole fare una legge ad hominem bensì tutelare l’Italia e lademocrazia, poi ha aggiunto che non sa quale soluzione adotta-re, il che è un po’ poco e un po’ sghembo come risposta a una do-manda semplice. Furio Colombo, che ha presentato Prodi e ilsuo programma e la sua filosofia di governo in un libro-intervi-sta, ha detto che prima ancora di appendere il cappotto a Mon-tecitorio, se eletto, depositerà “una proposta di legge sul con-flitto di interessi che renda incompatibili la proprietà di mezzidi comunicazione come Mediaset e qualsiasi ruolo di governo”.Risposta chiara, è la linea dell’aut aut: o entri nella nomencla-tura politica e ti spogli delle tue proprietà o sei fuori.

A questa domanda cruciale, che ha ottenuto come abbiamo vi-sto risposte diverse (e ci piacerebbe sapere che cosa ne pensi, vi-sto che non sembri voler eludere anche tu il problema) se ne ag-giunge un’altra. Da quando Berlusconi è entrato in politica, rivo-luzionando il sistema che era stato già fatto a brandelli dalle pro-cure, si è forse indebolito il carattere principale di una Repub-blica liberal-democratica, cioè la capacità di garantire l’alter-nanza elettorale di forze diverse alla guida del governo? O non siè decisivamente introdotto, questo nuovo requisito, anche grazieall’opera concreta del proprietario & politico bipolarista e bipo-larizzatore? La risposta la conosci bene anche tu, e riconosci per-fino che Berlusconi vince o perde per la politica, non per la tv, ilche fa onore alla tua capacità di analisi e alla tua serenità intel-lettuale. Poi affermi che i fatti, i risultati, non contano, contanosolo i principi. Ma i principi dicono che non esiste una competi-zione leale se uno dei competitori minaccia di fare a pezzi l’altronel caso di una sua sconfitta. Invece i fatti dicono che Berlusco-ni ha vinto, poi ha perso, poi ha rivinto e potrebbe – questa è l’i-potesi di scuola più in voga dalle vostre parti – tornare a perde-re. E allora? Che volete di più dalla vita? Non è meglio tenerciun sistema di alternanza, in cui a decidere sono regole edelettori, non la ghigliottina della vendetta ad hominem?

E’ quella della vendetta, che vuole eliminare il Cav. come competitore politico. Risposta a Ezio MauroLa ghigliottina che pesa sulla sfida elettorale

Torna a casa StruzzoCome salvare l’Einaudi

dal Caimano. André Schiffrinsogna scrittori e libri di stato

L’idea sarebbe quella di strappare loStruzzo dalle fauci del Caimano. Di re-

stituire l’Einaudi al passato splendore, direnderle qualità e libertà, quindi di sottrar-la alla commerciale e berlusconiana Monda-dori. Come? Ma con una bella fondazione distato senza fini di lucro, che non abbia cioèil volgare e davvero incomprensibile proble-ma di fare utili, e possa vivere felicemente didenaro pubblico. E’ l’idea del romanzo assi-stito (di qualità, è ovvio), della poesia nazio-nalizzata come lo fu l’Enel (il momento piùalto della Prima Repubblica, secondo T oniNegri) della saggistica e magari pure dellamanualistica socialmente utile. L ’idea chearriva da André Schiffrin, settantunenne ti-tolare della statunitense The New Press, giàdirettore editoriale della Pantheon Book,che fu fondata nel 1940 da suo padre Jac-ques, fuggito in America dalla Francia nazi-sta dopo essere stato l’ideatore, con AndréGide, della Pléiade per Gallimard.

Schiffrin junior, che nel 2000 aveva pub-blicato “Editoria senza editori”, è appenatornato in libreria con un pamphlet, “Il con-trollo della parola” (edito come il preceden-te da Bollati Boringhieri, 89 pagine, 12 euro).Il libro è stato presentato ieri in contempo-ranea in quindici librerie di tutta Italia, conpotenza di fuoco promozionale adeguata al-la dirompenza della sua proposta centrale.Stabilito una volta per tutte che la dilagantetendenza alla creazione di grandi concen-trazioni editoriali è un male, perché attri-buisce a pochissimi soggetti (spesso cattivisoggetti) il controllo di un “bene pubblico”(pubblico?) qual è il libro, perché non im-maginare, per alcuni marchi europei impor-tanti e prestigiosi (Gallimard in Francia,Suhrkamp in Germania, Einaudi in Italia,tanto per cominciare), un riscatto e una ge-stione a opera delle “fondazioni senza fini dilucro” di cui sopra?

Il Leviatano editoriale americanoE’ l’uovo di Colombo. Anzi, di Struzzo.

Proprio così, “Torna a casa, Struzzo”, titola-va ieri la Stampa, nel dare conto della pen-sata di Schiffrin ma pure delle reazioni sbi-gottite di editori grandi ma anche medi epiccoli. L’unico prevedibilmente entusiastaè, finora, l’editore di Schiffrin, nella perso-na di Francesco Cataluccio, nuovo direttoreeditoriale di Bollati Boringhieri. Ma ancheStefano Salis, giornalista del padronale So-le 24 Ore, nell’introduzione all’edizione ita-liana del libro ammonisce: “La democraziapresuppone che ci sia un’editoria libera,plurale e non assoggettata al potere politi-co”. Bene, e allora per preservare la libertàdell’editoria che cosa c’è di meglio che affi-dare il giudizio “di qualità” allo stato, evi-dentemente immune da qualsiasi influenzadel potere politico? Schiffrin sogna un’oasiprotetta e assistita per editori meritevoli, va-gliati e giudicati da un collegio di saggi su-per partes, poeti, critici e romanzieri lau-reati, scelti con apposito concorso, ovvia-mente trasparentissimo e non influenzabi-le… Un incubo, insomma. Nella Russia so-vietica c’era la famosa Casa degli scrittori,tempio del realismo socialista e custode del-l’arte proletaria? Bene, si può pensare a unaCasa nazionale degli editori, purché dotatidi credenziali che giustifichino adeguati sus-sidi e la pubblicazione a spese del contri-buente di opere indispensabili, certamentedi qualità, da salvare doverosamente dall’o-blio. Già li vediamo bivaccare sulle scaledella Casa degli editori, così come i lettera-ti falliti su quelle della Casa Herzen di Mo-sca, descritta da Sklovskij e da Bulgakov.

Schiffrin elargisce consigli su dimensioneeuropea, a partire dalla Francia, e agita lospettro della situazione americana, prototi-po del Leviatano editoriale. Dove però, stra-namente, lui opera tranquillo da quindicianni con una società non profit, “grazie al si-stema fiscale americano che ha consentitola formazione di vari tipi di fondazioni, al-cune delle quali hanno deciso di finanziarenuove forme di editoria”. Rievoca minuzio-samente le vicende della tentata fusione Ha-chette-Vivendi e soprattutto lamenta la sca-lata della gloriosa Seuil da parte di HervéLa Martinière (un quasi parvenu che prima,figuriamoci, faceva libri illustrati). Colui,scrive Schiffrin, che durante una trasmis-sione a France Culture, nel 2004, arrivò a so-stenere “che ogni libro doveva dare un pro-fitto”. Un vero cafone.

La Giornata* * *

In Italia

Nel mondo

IL PREMIER: UNIRE I MODERATI NELPARTITO DEL POPOLO IT ALIANO. Alcongresso del Partito popolare europeo,Berlusconi ha lanciato un appello ai mode-rati a unirsi in “un movimento che segni lastoria politica dell’Italia e sia a immagine esomiglianza del Ppe”. Casini: “Ora pensia-mo a vincere le elezioni”. Fini: “Dov’è la no-vita?”. Follini: “No a un partito populista”.

* * *“Su vita e matrimonio non si negozia”. La

protezione della vita in ogni suo stadio, ladifesa della naturale struttura della fami-glia e il diritto dei genitori a educare i figlisono i tre principi, non negoziabili, che ilPapa ha indicato al convegno del Ppe. Poiha difeso le radici cristiane dell’Europa eha chiarito che l’intervento della chiesa neldibattito politico non è un’interferenza.

* * *“Questa è delinquenza politica”. Così Pro-

di ha definito le affermazioni di T remontiche ha attribuito all’Unione la volontà diimporre aliquote contributive al 25 per cen-to per i lavoratori autonomi. Da Prodi“un’espressione gravissima”, ha replicatoBerlusconi. E Fini: “E’ in crisi isterica”.

Gli evasori totali nel 2005 sono stati7.163. Sottratti al fisco 19,4 miliardi.

* * *E’ stata accolta la richiesta di asilo politico

in Italia presentata da Rahman, il cittadinoafghano convertito al cristianesimo. L’uomoha ringraziato il Papa e il governo italiano.

* * *Borsa di Milano. Mibtel: 29.469 (+1,18%).

L’euro (1,2029) guadagna 0,0100 sul dollaro.

Una tuttora contenutama innegabile gioia staaffacciandosi ai nostricuori, l’impossibile stadiventando possibile,l’impensabile è statopensato, lo stato confu-

sional-elettorale dell’Amor nostro sta per es-sere battuto da una confusione dell’altraparte che solo fino a ieri sembrava da pazzianche soltanto immaginare. Prodi che dice:vi tasso i Bot, non vi tasso i Bot, invece ve litasso, però non oggi, li tasserò domani, e vitasso pure la bicocca, ma solo se è una villa,anzi se sono due, basta che non sia grossa,poi vi tasso l’eredità, anzi non ve la tasso, op-pure ve la tasso, in ogni caso non tutte le ere-dità, ma qualcuna sì, soltanto quelle grasse,comunque non oggi, l’eredità ve la tasso do-mani, diciamocelo, un Prodi che la conta co-sì non si vedeva in giro dai tempi d’oro del-le sedute spiritiche. E Boselli che s’incazzacol Papa? E Di Pietro che s’incazza anche luie che ammonisce il Papa di fare il Papa ebasta? E tutti e due che gli dicono che nonesistono “valori non negoziabili”? Al Papa?E Di Pietro che non si rende conto che tuttosarà anche negoziabile, però, per valori par-ticolarmente delicati, di scatole da scarpe cene vorrebbe minimo un container?

LIBERATA JILL CARROLL, LA GIOR-NALISTA AMERICANA RAPITA IN IRAQ.Dopo quasi tre mesi di prigionia è stata ri-lasciata dai sequestratori a Baghdad. “Mihanno trattata bene”, ha raccontato alla tvirachena. Il presidente Bush si è detto feli-ce e ha ringraziato tutti quelli che si sonoimpegnati per la liberazione.

Due soldati americani sono stati uccisinel corso di combattimenti in Iraq.

* * *Non rinunceremo al programma nucleare

e “siamo pronti ad affrontarne le conse-guenze”. Così il ministro degli Esteri ira-niano, Mottaki, ha risposto al documentoapprovato dal Consiglio di sicurezza checoncede trenta giorni all’Iran per rinuncia-re all’arricchimento dell’uranio. La Russiaha invitato Teheran ad “ascoltare” l’Onu.

Articolo a pagina tre* * *

Il premier israeliano, Ehud Olmert, nonha escluso la possibilità di invitare anche ilLikud a far parte del governo. “Gli StatiUniti non considerano senza valore le opi-nioni israeliane”: così il segretario di statoamericano, Rice, ha aperto al piano di con-vergenza previsto da Israele.

* * *In Francia è stato approvato il Cpe dal

Consiglio costituzionale che ha respinto ilricorso presentato da alcuni deputati so-cialisti. Domani sera si pronuncerà Chirac.

* * *E’ stato ucciso l’industriale italiano Sin-

doni, rapito in Venezuela martedì scorso.

La Giornata è realizzata in collaborazione con DireQuesto numero è stato chiuso in redazione alle 20,15

OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO

L’INVIDIA, IL VOTO, LE TASSEUN LIBRO di Helmut Schoeck spiegacome questo sentimento alimenti l’i-deologia e il risentimento dell’intel-lettuale verso il ricco (pagina 3)

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Circola un teorema, che chiamerei “deglisconfitti”, secondo cui l’Italia non è in de-clino, ma più semplicemente soffocata daun establishment definito allo stesso tempo“piccolo” ma così “strapotente” e “pervasi-vo” da vincolare la politica a “condiziona-menti occulti”. Come tutti i teoremi, si basasul nulla. Intanto perché i “poteri forti” diuna volta, piacessero o meno, non esistonopiù, e al loro posto sonosubentrati “poteri debo-li” che al massimo rie-scono a esprimere veti.In secondo luogo, l’impo-verimento dell’establish-ment non è dovuto soloall’inesorabilità del calen-dario, ma anche e soprattuttoalla guerra interna – una sorta di tutti con-tro tutti – che lo ha attraversato per moltianni, prima ancora dell’uscita di scena diEnrico Cuccia e poi per la (impossibile)eredità del suo ruolo e di quello della vec-chia Mediobanca. E poi, non è casuale chei cantori del “teorema” siano o quelleschegge di establishment uscite perdentidai conflitti interni ad esso (per tutti, V in-cenzo Maranghi), o quegli outsider che nonsono stati capaci di fare quella rivoluzioneche avevano promesso e sbandierato (An-tonio D’Amato) o, peggio, quegli outsidertroppo “furbetti” e troppo del “quartieri-no” per farsi classe dirigente (Fiorani, Ri-cucci & co). Infine, per quanto riguarda ilpunto d’intersezione tra affari e politica,oggi non esiste nessuna “saldatura” vin-cente, ma tanti piccoli accrocchi a geome-tria variabile che al massimo sommano de-bolezze. Una conferma viene da quei ban-chieri che una certa pubblicista ha defini-to “rossi”. Ebbene, raramente si è visto chealla vigilia di un ricambio politico ampia-mente pronosticato chi, a torto o a ragione,viene indicato come riferimento dei pros-simi vincitori (Salza, Iozzo, Modiano, Profu-mo, Palenzona, Passera, Bazoli, Mussari,Unipol) si muova in ordine sparso per nondire armati l’un contro l’altro. Insomma, l’u-nica conclusione possibile di tutto questoragionamento è che ciascuno può libera-mente parteggiare per questo o quell’inte-resse, questo o quel personaggio, ma a nes-suno è concesso di spacciare come monetabuona l’idea che esista una cupola banca-rio-finanziario-mediatica politicamenteomogenea capace di dominare il paese. Néa sinistra, né intorno a Berlusconi.

Il caso GeronziMa che si tratti di una frottola assai peri-

colosa lo dimostra un clamoroso caso giu-diziario, quello che riguarda il “potente”Cesare Geronzi. Il presidente di Capitalia,infatti, è stato sospeso dalle sue funzioniper due mesi su richiesta della procura diParma – e la decisione è stata poi riconfer-mata in sede di ricorso dal tribunale di Bo-logna – proprio sulla base del teorema dicui sopra. Il quadro che emerge intorno al“caso Geronzi” è inquietante, e i “garanti-sti” di rito berlusconiano, che tanto si sonospesi per denunciare la deriva giustiziali-sta di certa magistratura e che da qualchetempo sono accanitamente impegnati neldiffondere il teorema dell’establishmentcattivo (per tutti, il mio amico Lodovico Fe-sta con il suo “Guerra per banche”, non ca-sualmente con prefazione di D’Amato) do-vrebbero farsi un bell’esame di coscienza.

Succede, infatti, quello che già qualchesettimana fa avevo denunciato in questospazio: che il principale responsabile delcrack Parmalat, Calisto Tanzi, si sia trave-stito da “pentito” e che per salvare se stes-so, i suoi familiari e il suo futuro – a pro-posito, nessuno si domanda come e di cosavive oggi la famiglia Tanzi? – abbia offertosu un piatto d’argento la testa del “poten-te” da esporre al pubblico ludibrio. Com-prensibile che lo abbia fatto, per carità.Meno, molto meno, è che venga creduto.Basterebbe leggere le parole con cui i giu-dici bolognesi, anziché limitarsi a ciò checompeteva l’appello (confermare o menol’interdizione), hanno scavalcato alla gran-de i loro colleghi siciliani in capacità dicongetturare: “Considerando le vicende dicui Cesare Geronzi si è reso artefice e pro-tagonista nel corso di almeno dieci annidella storia non solo economica ma anchepolitica del nostro paese”. E cosa c’entraquesto giudizio, del tutto opinabile, con ilmerito penale della questione relativa aidue episodi (Ciappazzi e 50 milioni di fi-nanziamento) che vengono “imputati” alpresidente di Capitalia? Ci sono prove do-cumentali o ci si basa solo sulla parola diTanzi? E nel caso, vale più la parola di un“falsificatore di fatture” o di un banchieredi lungo corso? Cosa vuol dire sul pianogiuridico “uomo di incommensurabile po-tenza”? E da cosa discende l’affermazionesecondo cui Geronzi “ha mostrato la più to-tale insensibilità nei confronti del popolodei risparmiatori” (si noti l’evocazione delpopolo, ndr), considerato tra l’altro che Ca-pitalia non ha emesso bond e ha totalmen-te rimborsato i suoi correntisti? Pare di ca-pire che i magistrati abbiano mutuato il fa-moso “non poteva non sapere” nel nuovoteorema del “non poteva non aver deciso”,riconducendo al presidente responsabilitàche eventualmente apparterrebbero ad al-tri livelli decisori della banca. Si tratta diun precedente pericoloso, di cui risulta ab-bia parlato anche Profumo in comitato ese-cutivo dell’Abi, preoccupato che s’inneschiun perverso meccanismo in base al qualeil banchiere è il vero “padrone” delleaziende e dunque è a lui che occorre far ri-salire la responsabilità delle decisioni for-malmente assunte dall’imprenditore, e chea sua volta la responsabilità delle sceltebancarie sia sempre e comunque da ripor-tare in capo al vertice gerarchico. Già, iteoremi si sa dove nascono, ma non si sadove arrivano.

Enrico Cisnetto

ANNO XI NUMERO 77 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

Nel tentativo di costruire un programma fi-scale credibile da sottoporre agli elettori, la clas-se dirigente del centrosinistra si è imbattuta inun vecchio gadget culturale: utilizzare antago-nisticamente come simbolo della battaglia po-litica la ricchezza. Man mano che l’opinionepubblica manifesta contrarietà alla reintrodu-zione delle tasse di successione e all’innalza-mento del prelievo sulle rendite finanziarie, ileader unionisti arretrano le soglie di applica-zione, ma si accaniscono sul principio: sarannocolpiti solo i grandi patrimoni, le grandi fortu-ne, i ricchi. E’ un riflesso dell’egalitarismo, dacui può nascere l’invidia sociale. In questi gior-ni, liberilibri, la casa editrice di Macerata spe-cializzata in raffinate operazioni di cultura li-berale, ristampa un libro considerato fonda-mentale sul tema: “L ’invidia e la società” diHelmut Schoeck. Sociologo austriaco, morto asettant’anni nel 1993, Schoeck pubblicò questolavoro per la prima volta nel 1966 appena rien-trato in Europa da un lungo soggiorno ameri-cano durato quindici anni, e vi rimise le maninel 1971. In Italia fu pubblicato da Rusconi nel1974, e poi dimenticato. Come racconta nellaprefazione lo scopritore italiano di Schoeck,Quirino Principe, “L’invidia e la società” fu ac-colto dalla più assoluta freddezza dell’establi-shment culturale – progressisti, destra liberale,cattolici. Fu snobbato e la storia dell’invidia sichiuse lì. Oggi torna terribilmente di moda,quasi richiamato in campo dal dibattito sulletasse e dallo spirito vendicativo espresso contro

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l’idea stessa della ricchezza personale. Nei pros-simi giorni proveremo a raccontare questo libro.Oggi pubblichiamo un breve paragrafo, sull’in-vidia nella politica, in cui compaiono proprio le“punitive taxes”, come la tassa di successione, eil ruolo attivo delle élite nel processo di sfrutta-mento politico dell’invidia, che è un sentimentodi vicinanza: si manifesta tra individui e ceticonfinanti, “perché è difficile – scrive Schoeck –che l’elettore medio provi un’invidia concretaper i redditi molto consistenti”.

Considerazioni sulla tipologiadell’invidia nella politica

L’incidenza dell’invidia è riconoscibile,per esempio, quando nei settori sia pri-

vato sia pubblico – è il caso del legislatore –vengono lasciati cadere provvedimenti dipolitica economica di per sé sensati, e a lun-ga scadenza chiaramente utili alla comunità,per un vago timore dell’invidia e delle resi-stenze di coloro che in un primo tempo,mentre altri ne avrebbero beneficio, subi-rebbero da tali provvedimenti una perdita ouna mancanza di guadagno. La politica de-gli alloggi dei vari stati fornisce al riguardomolti esempi.

Osserviamo come non si ami tanto parla-re dell’intervento dell’invidia nei provvedi-menti e nelle tassazioni che gli anglosassonichiamano punitive taxes, cioè tasse e dispo-sizioni punitive, vendicative e confiscatorie:è il caso delle tasse sul reddito e sulle suc-

cessioni e di altre tasse affini.In questi casi, in nome di un’uguaglianza

irraggiungibile, il legislatore tende a tassa-re con sproporzionata pesantezza i pochiche per qualche motivo, anche se ricono-sciuto legittimo, sono economicamente mol-to più fortunati o favoriti della maggioranza.A questo riguardo, la ricerca sociologica em-pirica ha dimostrato che ci troviamo in pre-senza dell’egualitarismo di ristrette cerchieintellettuali, perché è difficile che l’elettoremedio provi un’invidia concreta per i reddi-ti molto consistenti.

Quando facciamo politica, in genere fac-ciamo assai poca attenzione alle speculazio-ni che vengono fatte su una cattiva coscien-za latente e sul sentimento di colpa di quel-le persone o di quei gruppi economici che inqualche modo si elevano al di sopra dellamedia. Il che significa che il legislatore adot-ta misure di politica economica o finanzia-ria dettate non tanto dalla provata esistenza,negli strati più poveri della popolazione, disentimenti di invidia socialmente pericolo-si, quanto dalla volontà di sfruttare i senti-menti d’invidia irrazionali: bisogna pur farequalcosa, perché a qualcuno è utile. Non cisi pone però la domanda se i supposti privi-legiati possano effettivamente godere le uti-li ripercussioni dell’azione. In questa pro-spettiva, bisognerebbe avere il coraggio distudiare l’isteria che spinge i parlamentariall’approvazione di leggi dettate da scopi

L A ’ D O V E L ’ I N V I D I A N A S C E E A L I M E N T A L ’ I D E O L O G I A / 2

Il potente ha bisogno degli intellettuali, il ricco ne subisce il risentimentoNel 1954 la Mont Pèlerin Society, il cena-

colo liberale fondato da Friedrich A.von Hayek, dedicò al pregiudizio anticapi-talista degli storici e degli altri intellettualiuna tavola rotonda cui presero parte impor-tanti studiosi dell’epoca. Bertrand de Jou-venel suggerì che l’ostilità dell’intellettualeper l’imprenditore deriva dal fatto che ilprimo lega le sue fortune alla convinzioneche il cliente ha sempre ragione e quindideve essere accontentato. Il secondo conce-pisce se stesso come un uomo al di sopradelle masse: il suo compito è avere ragione,checché ne pensino i consumatori. In fondo,egli rimpiange un mondo nel quale era ve-nerato come portatore di un punto di vistaprivilegiato sul mondo: il suo interlocutoreera il sovrano, che da lui pretendeva sologiustificazioni per il suo potere. Il rapportoera mutuamente vantaggioso e, in alcuni ca-si, addirittura era l’intellettuale a muoverela mano del re: il modello è il cardinale Ri-chelieu. Con l’avanzata della società apertatutto questo è venuto meno. Chi vince lascommessa del mercato trae legittimazionedalla bontà dei suoi prodotti, non dall’abi-lità retorica del suo consigliere. In terminipiù brutali, il potente ha bisogno dell’intel-lettuale: il ricco, no.

Per Joseph Schumpeter la guerriglia con-tro il denaro-sterco-del-demonio è divenu-ta guerra senza quartiere con la nascita diuna sorta di sottoproletariato intellettuale,composto da individui “psicologicamenteinadatti alle occupazioni manuali senza al-

lo stesso tempo aver necessariamente i re-quisiti per svolgere un lavoro professiona-le”. Tale condizione precaria produce in-soddisfazione e “lo scontento conduce al ri-sentimento” che “spesso si razionalizza incritica sociale”. Che dire però di quegli in-tellettuali che, pur avendo successo, non

fanno marcia indietro rispetto alla bontàdel far soldi? Ludwig von Mises ritiene cheil disprezzo per l’accumulazione di ricchez-za possa essere compreso guardando all’in-vidia che essi provano nei confronti di chi aloro giudizio è stato ingiustamente premia-to dalla sorte. L’invidia, che sant’Agostino

giudicava “il peccato diabolico per eccel-lenza”, è socialmente devastante perchél’erba più verde sta nel prato del vicino, nonnei giardini di Versailles. Così, l’invidiososcavalca di notte lo steccato per calpestarei fiori del suo prossimo. E l’intellettuale nonpuò tollerare, come ha detto il presidentedel Ludwig von Mises Institute di Auburn(Alabama) Lew Rockwell “che il capitali-smo consenta a chi a scuola era un asino didiventare miliardario mentre lui lavora co-me un matto per ottenere un modesto au-mento del suo stipendio”.

L’invidia per le fortune altrui spiega mol-to, ma non tutto, della pervasiva mentalitàanticapitalistica. Helmut Schoeck raffinal’argomento mostrando come la “primitivaidea che vi debba essere un nesso causale”per cui “la prosperità dell’altro debba es-sere a mio svantaggio” si rovescia in un“senso di colpa primitivo, pre-religioso, ir-razionale”: ogni individuo, invidioso di chiha più di lui, cerca altrettanto disperata-mente di sfuggire all’invidia altrui. Gli in-tellettuali, dunque, tentano di evitare l’in-vidia altrui aderendo a ogni forma di egali-tarismo: una teoria che è peraltro compati-bile col risentimento verso chi, pur essen-do ai loro occhi meno dotato, ha avuto dal-la vita di più. In una società di eguali, il cu-stode della saggezza è più uguale degli al-tri. Per Ralph Raico, professore di storiaeuropea presso la New York State Univer-sity, l’intellettuale è essenzialmente “unmandarino abituato a vivere grazie a una

fonte sicura di reddito, solitamente le tas-se. Perciò egli raramente troverà possibilecapire o apprezzare il modo di vivere deicapitalisti, degli imprenditori, degli specu-latori e dei mercanti”. Gli intellettuali pen-sano se stessi come la crema della società,ma guardandosi intorno vedono che moltiuomini d’affari, attori, comici e sportivi gua-dagnano più di loro. L ’unica risposta coe-rente con la premessa è che il mercato è in-trinsecamente iniquo, perché genera unadistribuzione delle ricchezze ingiusta.

Eppure in questa maniera gli intellettua-li, che pretendono di saper leggere l’essenzadel mondo, svolgono un ruolo profondamen-te antisociale. La ricchezza, perfino il lussopiù sfrenato, assolve una triplice funzione.In primo luogo, valorizza la creatività: in as-senza di un premio, la ricerca di soluzioniinnovative sarebbe disincentivata. Seconda-riamente, i ricchi sono grandi consumatori,e quindi le loro stravaganze creano oppor-tunità di lavoro. Infine, e ancora più impor-tante, il lusso innesca una tensione verso l’i-mitazione: chi è rimasto indietro vuole po-tersi permettere domani ciò che oggi èesclusiva di pochi membri del jet set.

Gli intellettuali possono recitare e recita-no una parte fondamentale nella società, mase cedono all’invidia più rancorosa rischia-no di causare danni enormi. In fin dei conti,arginare l’invidia non è così difficile: bastainteriorizzare lo slogan che fece la fortuna diBill Clinton. It’s the economy, stupid.

Carlo Stagnaro

T R E P O S I Z I O N I D I V E R S E A N C H E S U L L A L E G G E B I A G I

Tasse sui Bot:“forse”(Rutelli),“nel lungo periodo”(Prodi),“subito”(Rifondazione) Roma. “Forse, e sottolineo forse, potrà es-

serci un’armonizzazione”. I “forse” scanditiieri dal presidente della Margherita, Fran-cesco Rutelli, sull’armonizzazione al 20 percento delle aliquote sui rendimenti dei ri-sparmi, sono uno degli esempi della discus-sione ancora in corso nell’Unione sulle pro-poste in materia tributaria. Quello che perRutelli è in “forse”, da ieri è “un obiettivodi lungo periodo per Bot e Cct” per Roma-no Prodi che ha dichiarato: “Non ho dettoche li porteremo subito da 12,5 per cento al20 per cento ma c’è un obiettivo di lungo pe-riodo che è l’equiparazione delle rendite fi-nanziarie”. L ’obiettivo di lungo periodorientra tutt’ora, però, in una delle misure acopertura del taglio di cinque punti di cu-neo fiscale sul lavoro annunciato da Prodiper i primi cento giorni. Tanto che il leaderdell’Unione ha stimato che “da plusvalenzeo capital gain ricaveremo un quinto delle ri-sorse”. Dice al Foglio il responsabile eco-nomia di Rifondazione comunista, PaoloFerrero: “Non è un obiettivo di lungo pe-riodo, per noi deve partire subito, seppurein modo graduale sulle nuove emissioni deititoli di stato e con una franchigia per i pic-coli investimenti sui quali l’aliquota resterà

del 12,5 per cento”. Anche sulla manovracardine del programma fiscale, ossia il ta-glio di cinque punti del cuneo fiscale sul la-voro, iniziano a sorgere riflessioni. Comequella che ha messo nero su bianco sull’U-nità Ferdinando T argetti, economista, exparlamentare diessino. T argetti, che hacoordinato la commissione Sviluppo econo-mico che ha elaborato la prima bozza delprogramma economico dell’Unione in vistadelle elezioni del 9 e 10 aprile, ha scritto:“Personalmente non sono mai stato convin-to della opportunità di una riduzione delcuneo fiscale, che equivale a una riduzionedel costo del lavoro insufficiente nel con-trastare la concorrenza cinese e inutile peraumentare la dinamica della produttività”.Infatti nel testo conclusivo del gruppo di la-voro coordinato da Targetti la proposta suitagli al cuneo fiscale non era stata inserita.Stessa scelta compiuta dall’altro tavolo eco-nomico dell’Unione, quello sulla Finanzapubblica coordinato da Linda Lanzillottadella Margherita. Secondo un’opinione mol-to accreditata, sarebbe stato l’ex ministrodel Lavoro, Tiziano Treu, a convincere suc-cessivamente Prodi a lanciare la proposta.Nel centrosinistra si approfondisce anche

un aspetto non secondario legato alla ridu-zione di cinque punti del cuneo. La doman-da sulla quale si sta avviando un dibattito èla seguente: chi beneficerà del taglio, azien-de o lavoratori? Rifondazione comunista hale idee chiare: “Noi proponiamo – spiegaFerrero – che il taglio dei cinque punti va-da in larga parte ai lavoratori, diciamo

quattro punti, e solo un quinto alle impre-se. Si realizzerebbe così una redistribuzio-ne delle risorse ai salari per oltre 60 euro almese”. Su questo tema Rutelli annunciache l’entità del denaro che andrà ai lavora-tori e alle aziende sarà definito da un ac-cordo tra le parti sociali.

Una soluzione simile a quella propostaieri da Piero Fassino riguardo la soglia oltrela quale reintrodurre la tassa di successio-ne: “Questa cosa va discussa con dei tecniciattorno a un tavolo. Non mi metto a fare ci-fre perché non mi pare giusto se non si èprecisi”. Sull’indicazione di Bertinotti, cheha indicato una soglia di 180.000 euro, Fas-sino chiosa: “Ha fatto una semplificazione”.

Ieri l’Unione è ritornata anche sulla fles-sibilità del lavoro, per commentare le paro-le del presidente della Confindustria, LucaCordero di Montezemolo (“La Biagi deve es-sere completata con una riforma degli am-mortizzatori sociali, ma non modificata. Suquesto tema aspettiamo risposte più chiaredal centrosinistra”). Ecco le risposte. PieroFassino, segretario Ds: “La Confindustria hapiù volte sollecitato di integrare la leggeBiagi con una riforma degli ammortizzatori,ed è quello che vogliamo fare”. Fabio Mus-si della sinistra Ds: “Sulla legge 30 Monte-zemolo ha torto. La legge Maroni non deveessere integrata ma radicalmente cambiata,come risulta dal programma dell’Unione”.Cesare Damiano, responsabile lavoro Ds:“La legge 30 va cambiata radicalmente evanno cancellate le forme di lavoro più pre-carizzanti come il lavoro a chiamata”.

U N P O ’ D I C H I A R E Z Z A S U L C O S T O D E L L A V O R O

L’ossessione un po’ strabica del cuneo fiscale (l’ennesimo alibi)Milano. Per recuperare competitività le

imprese chiedono con insistenza la riduzio-ne del costo del lavoro. Confindustria haavanzato la richiesta del taglio di 10 puntidel cuneo fiscale. Entrambi gli schieramen-ti lavorano in questa direzione: il centrosi-nistra ha promesso una riduzione di 5 punti,il centrodestra di 3. Ieri il Sole 24 Ore ha cal-colato l’impatto reale di un calo di 5 punti suuno stipendio lordo annuo di 20.000 euro, ri-partito al 50 per cento fra l’azienda e il lavo-ratore. Per quest’ultimo l’aumento nella bu-sta paga finale è di 26 euro al mese. Il ri-sparmio netto per l’impresa è di 356 euro:l’1,78 per cento dei costi complessivi lordi.

Al di là delle effettive ricadute di un sin-golo provvedimento, non è semplice discer-nere il complesso legame che esiste fra com-petitività, produttività e costo del lavoro, ri-tenuto un peso insopportabile dagli impren-ditori. Secondo l’Ocse, dal 1995 in poi, il no-stro paese ha sofferto di un calo annuo me-dio della produttività totale pari allo 0,3 percento. Sul fronte del costo complessivo dellavoro, invece, una elaborazione di R&S,

l’ufficio studi di Mediobanca, calcola chenelle principali società italiane nel 2004 es-so è stato pari al 47,5 per cento del valore ag-giunto; dieci anni prima era il 55 per cento.Quindi, in flessione. Sorprendente il raf-fronto europeo: il costo medio unitario diogni addetto nei grandi gruppi industrialiitaliani è di 38.000 euro, in Germania è di55.200 euro. Negli stati scandinavi è com-preso fra 46.000 e 47.000 euro.

“Lo scenario è articolato e sfumato – os-serva Giampaolo Vitali, ricercatore del Ce-ris, il ramo di economia industriale del Cnr– il costo del lavoro è senz’altro importante,ma non è l’unico elemento a bloccare lo svi-luppo italiano”. In particolare, appare sem-pre più centrale il tema della capacità di in-corporare con massicce dosi di innovazionenuovo valore aggiunto nei prodotti e nei ser-vizi. Oggi la cosiddetta innovazione incre-mentale di processo, principale leva dell’e-conomia italiana dagli anni 50, non bastapiù. E l’innovazione di prodotto meno raffi-nata rischia di diventare un’arma spuntata acausa dell’Asia. Infine, la concorrenza sul

prezzo può trasformarsi, per le piccole e me-die imprese, in una strada senza uscita, dalmomento che i produttori asiatici possonocontare su un costo del lavoro che, anchenelle mansioni più sofisticate, è di almenoquattro volte inferiore. “Per i settori piùesposti a questa concorrenza – precisa Vita-li – l’eventuale riduzione del cuneo fiscalenon colmerà il gap con Cina, Corea e India”.

Una metamorfosi ardua, per il sesto pae-se più industrializzato al mondo che ilWorld Economic Forum colloca al quaran-taduesimo posto nella classifica interna-zionale sulle tecnologie della comunicazio-ne e dell’informazione. E che, oltre al pro-blema delle infrastrutture tecnologiche, de-ve gestire un altro spinoso dossier: il capi-tale umano. “Nelle nuove tecnologie comenei comparti classici – dice Roberto Perot-ti, docente di Economia politica all’Univer-sità Bocconi di Milano – si tratta di una ri-sorsa essenziale. Oggi servono nuove politi-che per l’educazione. Anche se dispieghe-ranno soltanto nel lungo periodo i loro ef-fetti su imprese e società”.

Tuttavia il deficit italiano di competiti-vità non può non essere collocato nel piùampio cambiamento degli equilibri geoe-conomici. “Il costo del lavoro – dice Ric-cardo Viale, amministratore delegato dellafondazione Cotec per la diffusione dell’in-novazione tecnologica – è senz’altro un pro-blema, tanto più in una realtà dove si lavo-ra meno che altrove”. Il minore tempo pas-sato in ufficio, per esempio rispetto al mo-dello americano, è una questione tipica-mente continentale: fatte 100 le ore di lavo-ro procapite negli Stati Uniti, la Germaniaè a 75, la Francia a 68 e l’Italia a 64. Ma que-sto gap fa il paio con un altro più generalefenomeno. “Oggi – avverte Viale – è l’interaEuropa a trovarsi in un guado: le piccoleimprese di Italia, Francia, Spagna e Porto-gallo devono compiere un salto tecnologicose non vogliono essere annichilite dallaconcorrenza internazionale”. Da qui la ne-cessità di una politica industriale a livellocomunitario che non privilegi la grande ri-cerca, ma favorisca l’innovazione diffusa.

Paolo Bricco

chiaramente elettorali, cosa che io credonon sia dovuta esclusivamente alla cacciafreddamente calcolata di voti, ma per alcu-ni serva anche come sgravio di coscienza.

Le cose si complicano quando si tratta diiniziative legislative a favore di gruppi chegodono tradizionalmente di una simpatiapregiudiziale, anche se ormai da tempo nonvivono più in condizioni disagiate. Tale puòessere il caso di quei gruppi che, avendo inpassato dato molto consapevolmente via li-bera alla loro invidia, seppero costruirsi unaposizione politica determinante sul senso dicolpa e di imbarazzo degli altri, provocatodalla loro stessa invidia. Ne abbiamo unbuon esempio negli agricoltori e nei sinda-cati statunitensi, nonché nella marina mer-cantile norvegese, che dopo il 1945 furonoesentati da certe leggi contro i consumi vo-luttuari. Può darsi benissimo che in princi-pio i contadini e gli operai nutrissero una le-gittima invidia dovuta a un senso di ribel-lione. Ma come si giustifica la sua istituzio-nalizzazione, tanto da diventare un tabù po-litico? Pensiamo che l’analisi dei rapporti dipotere politico debba essere completata conun’analisi motivazionale. Forse quando dob-biamo decidere se votare contro un tratta-mento di favore nei confronti dei contadinisiamo soggetti alla stessa inibizione che cicoglie quando vogliamo gettare via una pa-gnotta di pane ormai vecchio.

da Helmut Schoeck, “L’invidia e la società”

L’invidia fa ingresso in campagna elettorale e chiede più tasseIl teorema del troppo poteredell’establishment che non c’èLo agita soprattutto chi è uscito perdentedai conflitti economico-finanziari

Tre palle, un soldo

Sono andato a Luzza-ra, nella bassa reg-

giana. Cioè il paeseche ha dato i natali aCesare Zavattini, alquale ha intitolato unmuseo della pittura

naïf – Luciano Ligabue è nato a pochi chilo-metri di distanza, a Correggio. Cioè un pae-se qualunque, acquattato sotto gli argini delPo, e con una storia qualunque – una batta-glia vinta dal principe Eugenio di Savoia,una Resistenza con i suoi martiri – e un pas-sato prossimo qualunque: la fine del mondocontadino, lo spopolamento, la tenuta del-l’industria manifatturiera, l’immigrazione.Ci sono andato per una sola ragione. E’ illuogo d’Italia nelle cui scuole la percentua-le di ragazzi stranieri è più alta: sfiora il 35per cento. Come mai? E’ presto detto, scar-tabellando le tabelle demografiche. Nel1921 Luzzara toccò il massimo di abitanti,oltre diecimila. Il dopoguerra è stata la sto-ria della fine del mondo contadino, della fu-ga in città, e del minimo storico: meno di ot-tomila abitanti. Da allora, Luzzara risale,ma risale grazie agli indiani, ai marocchini,agli albanesi. Degli 8927 abitanti di oggi, il15,7 per cento sono immigrati. Famiglie nu-merose, tanto numerose quanto quelle lo-cali sono risicate, mononucleari, anziane. Edunque nelle scuole gli stranieri sono il 35per cento. Come a dire che il futuro dell’I-talia, del paese che dal 2014 conterà per laprima volta una popolazione in calo, e chetra venti anni potrebbe contare su una per-centuale di stranieri moltiplicata in assolu-to e in relazione a una popolazione italianaanziana, quel futuro qui è sotto gli occhi, aportata di mano. A percorrere il corridoiodella scuola media di Luzzara, nell’ora di ri-creazione, sembra di attraversare una pub-blicità di Benetton. E nelle aule il tricolore– c’è anche la multicolore bandiera dellapace, tranquilli – mette tenerezza. Così co-me l’italiano compitato nei laboratori lin-guistici da ragazzini che sono arrivati in Ita-lia senza conoscere una parola e che, nelcaso dei sikh, inalberano come un segno divistosa diversità una conocchia in testa.Sentirli imparare l’italiano mette allegria.Allora qual è il problema? Il problema èche tutto questo costa, costa energie e soldi.Costa insegnanti di sostegno, costa psicolo-gi, costa ore in più, costa la fatica degli in-segnanti di non attardare il programma deibambini italiani, senza far perdere terrenoagli altri. Quanto alle energie, sembra che aLuzzara ne abbiano, sotto la guida di un di-rigente scolastico, Renato Ferrari, che or-mai viene invitato a ogni convegno sul tema,perché guida un luogo di trincea avanzata.Energie che non perdono tempo nel multi-culturalismo: nessuna rinuncia al presepe oai canti di Natale – e del resto qui c’è unasana abitudine al comunismo pragmatico,alla convivenza indolore con il sacro – e almassimo una preghiera interreligiosa a fineanno, anche se l’Imam invitato non si è pre-sentato. Nessun problema nelle recite diNatale: i papà immigrati riprendevano lascena con le loro telecamerine più solertidei papà italiani. Nessun problema nell’ali-mentazione, anche se molti bambini immi-grati preferiscono portarsi il panino, ma èsolo per risparmiare. Il problema è, alla fi-ne, che tutto questo, che è lavoro inelimina-bile se si punta a costruire dei nuovi citta-dini, costa. Un po’ paga lo stato un po’ la Re-gione, un po’ il Provveditorato e un po’ il Co-mune, ma le casse piangono, e perfino or-ganizzare dei corsi d’italiano per i genitori,per gli adulti è una sfida proibitiva.

Una lezione? Se vogliamo parlare di ac-coglienza che non sia ipocrita, e alla qualenon segua il disinteresse, dobbiamo mette-re mano al portafoglio. Per gli adulti è piùdifficile. Siamo andati in Municipio, sotto lostemma che inalbera la gloria locale, il luc-cio, pesce predatore scomparso dal Po e so-stituito da storioni e pesci siluro d’importa-zione. Il sindaco Stefano Donelli – centrosi-nistra, obviously, ma non cieco –- rispondecon franchezza a una domanda. Se invece diessere il sindaco fosse il direttore del motelLuzzara, che luce accenderebbe sull’inse-gna: “Vacancy”, in verde, o “No vacancy” inrosso? “Ci metterei ‘completo’, fosse soloper servire meglio gli ospiti che già ci sono”.

Bollywood, mica il neorealismoUna comunità di 1398 stranieri non è fa-

cile da integrare con 7529 italiani. Più dif-ficile ancora quando gli stranieri sono di33 etnie diverse. Più difficile ancora quan-do gli italiani sono gente che cinquant’an-ni fa viveva in modo non troppo diverso da-gli immigrati, ma che ha visto in mezzo se-colo cambi vertiginosi, che ne hanno scos-so l’identità e la cultura, biciclette e tabar-ri, Resistenza e san Giorgio santo patrono.Più difficile ancora quando l’idea di unacrisi nel manifatturiero non può esserescartata a priori, e con essa la domanda:che cosa faremo di loro, cosa faranno? In-somma, a Luzzara, senza droga e microcri-minalità, senza moschee d’assalto e brivi-di, il tetto è stato toccato. La buona volontàoltre non può andare. Il futuro? Se quellodell’Italia è stato detto, quello di Luzzara ècosì incerto che il sindaco si appella ainuovi luzzaresi, agli indiani e ai macedoni,ai marocchini e ai tunisini perché ancheloro si rendano conto che il tetto è statotoccato ed è anche loro interesse, comenuovi luzzaresi, non sfondarlo. Gli stru-menti per far sì che non piova in casa? Ilsindaco si oppone a ogni progetto di nuovecase popolari, e invita a rispettare – sottoforma di norma igienica, ma in realtà è unostrumento di controllo delle nuove cittadi-nanze – i limiti di affollamento per i localiabitativi. Strumenti poveri? Non c’è altro,se non la constatazione che il principalenegozio di video, sulla strada principale,non noleggia neorealismo, ma Bollywood.

Toni Capuozzo

Motel Luzzara

Il paese con il più alto numero distudenti stranieri è al completo.

Tra vent’anni lo sarà anche l’Italia

Dammi la pazienza diGiobbe, aiutami a rassegnar-mi di non essere Giovannino Guareschi. Percercare ispirazione, o a dirla tutta per tro-vare qualcosa da scopiazzare, sono andatoa riguardarmi il Candido del 1948. Guare-schi era un genio e in quella campagnaelettorale si superò, coniando espressioniche reggono a sessant’anni di distanza: tri-nariciuti, contrordine compagni, versare ilcervello all’ammasso… Ancora attuale an-che il testo di un riquadro 6 centimetri per6: “CRETINO. Talloncino da ritagliare e daconservare. Il 19 aprile chi non avrà votatopotrà appiccicarselo sulla fronte”.

PREGHIERAdi Camillo Langone

OCCHIAIE DI RIGUARDO

Merc., a Tg5, approf.servizio su lombosciatalg.ed eroismo che richiede.Present. anche “Il grandelibro del mal di schiena”.Chiedere a Dott. se possibile servizio sulriflessologo dei piedi.

AGENDA ROSSELLAIl piede in due scarpe

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EEDDIITTOORRIIAALLII

ANNO XI NUMERO 77 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

Berlino. Per l’ex cancelliere tedescoGerhard Schröder è stata una settimana in-tensa quella appena trascorsa in Russia ecoronata ieri dalla sua elezione a presiden-te del consiglio di sorveglianza della Negp,il consorzio che sovrintende la costruzionedel gasdotto del Mar Baltico, e di cui fannoparte Gazprom le tedesche E.on/Ruhrgas,Basf e Dresdner. Sempre ieri è stato elettoamministratore della società, con sede inSvizzera, Matthias Warnig, direttore dellaconsociata russa di Dresdner Bank, chiac-chierato perché amico di Putin ed ex agen-te della Ddr. Ma Schröder non si è limitatoad accettare la nomina (peraltro scontata,Gazprom, che la caldeggiava, ha il 51 percento delle azioni) e il relativo compenso,250 mila euro l’anno. Prima ha fatto una vi-sita “informale” a Jamal-Nenzen, la regioneautonoma della Siberia settentrionale dovesi trovano diversi giacimenti di gas. Peròmentre Schröder si trovava nell’estremonord del paese, a Mosca i giornali sembra-

conto della banca Rothschild”, così il quo-tidiano Njesavissimaja Gazeta. In effetti, giàla settimana scorsa era trapelata la notiziache l’istituto gli aveva fatto una proposta dicollaborazione. Questa volta a prendere po-sizione è stato Alexis T schudnovski, il di-rettore della Rothschild in Russia. La noto-rietà di Schröder nel paese, i suoi numero-si rapporti personali – così il banchiere – lorenderebbero l’intermediaro ideale per ini-ziative finanziarie. Conoscenze e contattiper i quali era stato scelto già immediata-mente dopo il suo addio al Bundeskanzle-ramt (governo) dal gruppo editoriale svizze-ro Ringier, intenzionato a espandersi pro-prio nell’est Europa e in Russia. E sono sta-ti probabilmente proprio questi contatti aspingere il capogruppo parlamentare deiverdi a Strasburgo, Daniel Cohn-Bendit, aproporre all’indomani delle elezioni bielo-russe Schröder come commissario specialeUe per la Bielorussia. Il pallino dell’ex can-celliere è però da sempre il settore energe-

tico, tanto che la Zeit in dicembre, quandosi era saputo dell’incarico di Schröder allaNegp, aveva titolato: “La gas connection”.

In effetti a seguire la ricostruzione fattadal settimanale dello sviluppo del settoreenergetico tedesco a partire dal 1998, annodella sua liberalizzazione e dell’elezione diSchröder a cancelliere, sembra profilarsiuna sorta di merchant bank all’interno delKanzleramt. Già nel 1999 Schröder avevadetto che voleva un global player nel setto-re, capace di imporsi a livello internaziona-le e garantire rifornimenti stabili alla Ger-mania. Tempo dopo c’è stata la fusione sto-rica tra E.on (elettricità) e Ruhrgas (gas).Inoltre l’ex ministro dell’Economia WernerMüller guida dal 2004 la Rag, una consocia-ta della E.on; sempre nello stesso anno l’exsegretario di stato Alfred Tacke ha assuntodal direzione della Steag, a sua volta legataalla Rag; infine Burckhard Bergmann, capodella Ruhrgas, è ora anche nel consiglio diamministrazione di Gazprom.

vanno fare a gara nel fornire indiscrezionisu suoi ulteriori incarichi e compiti. Così ilquotidiano Kommersant parlava dell’inten-zione di Schröder di creare una lobby tede-sca per migliorare l’immagine che i mediain Germania hanno della Russia e per invo-gliare gli imprenditori ad avviare progettidi cooperazione simili a quello del gasdot-to. Al finanziamento della lobby avrebberodovuto pensare esclusivamente gli impren-ditori russi. Il progetto non sembra aver en-tusiasmato l’associazione degli imprendito-ri tedeschi, tanto che uno dei suoi respon-sabili, Klaus Mangold, ha detto al quotidia-no: “Se una lobby del genere si costituisse,dovrebbe essere finanziata anche da partetedesca, altrimenti intaccherebbe la nostraindipendenza”. E’ stato poi l’ex cancellierestesso a smentire queste voci. Quello che luivorrebbe è semmai un think tank tedesco-russo. Alle indiscrezioni su questa fanto-matica lobby si sono poi aggiunte quelle chevolevano Schröder anche “in missione per

Likud ed è diventato uno dei suoi amici piùcari, non soltanto perché ha contribuito ne-gli anni Sessanta alla cattura del generalenazista Adolf Eichmann, non soltanto per-

ché è stato uno dei leader del Mossad piùcarismatici che si ricordi, non soltanto per-ché per dieci anni è stato il principale con-sigliere di antiterrorismo dei governi israe-

liani, ma anche e soprattutto perché lui fucolui che assoldò Jonathan Pollard, cioèl’uomo dello scandalo delle spie tra Israelee Stati Uniti. Erano gli anni Ottanta. Metàdegli anni Ottanta. Pollard lavorava all’A-merican Naval Intelligence e a un certo pun-to del 1983 venne a sapere notizie decisive

per il futuro della sicurezza di Israele. Di re-ligione ebraica, Pollard era nato e cresciutonegli Stati Uniti e aveva sempre avuto unapassione per le spie e i servizi segreti. Quan-

do si accorse di avere tra le mani informa-zioni importanti andò dai suoi superiori,chiedendo se non fosse il caso di informareil governo israeliano. La risposta fu negati-va. E Pollard ci pensò da solo a prendere icontatti con Gerusalemme. Sulla sua stradaincontrò Rafi Eitan, direttore dell’agenziadel Mossad chiamata Lakam, allora – laGuerra fredda era lì lì per finire, ma nessu-no lo sapeva – era dedicato ad acquisire tec-nologia e materiali per il programma nu-cleare e di difesa di Israele.

Per un anno e mezzo, grazie anche adAviem Sela, che lavorava nell’Air ForceOperations, e all’attaché dell’ambasciataisraeliana a W ashington, Eitan raccolseinformazioni da Pollard: fotografie satellita-ri, dati sui sistemi missilistici dei paesi ara-bi, note sullo stato dell’arte degli armamen-ti. “Una tentazione” cui non si poteva resi-stere, ha detto il leader del Partito dei pen-sionati. Che, in una lunga intervista a YediotAharonot, rilasciata all’inizio di febbraio, siè assunto la responsabilità di tutto: “Fu unamia decisione, mia soltanto. Decisi di pren-dermi dei rischi, che conoscevo, anche senon immaginavo che le cose sarebbero arri-vate fino a questo punto. Corri sempre un ri-schio quando usi qualsiasi agente”. Nel 1985Pollard si trovò uno dell’Fbi ad aspettarloinvece che il solito contatto del Mossad.Scappò all’ambasciata israeliana con la mo-glie Anna e cercò rifugio. Durò poco. Cattu-

Gerusalemme. Gli occhiali sono troppograndi, coprono gli occhi che da duri sonodiventati vispi. Furbi lo sono sempre stati,altrimenti Rafi Eitan oggi non sarebbe quel-lo che è: un grande vecchio dell’intelligenceisraeliana. E molto di più. Al momento è lasorpresa delle elezioni israeliane. Guida ilPartito dei pensionati, ha ottenuto sette seg-gi nella Knesset ed è già corteggiato a destrae a manca per costruire una coalizione. Malui ci va calmo, ricorda che “c’è tempo finoal 17 aprile” e sornione aggiunge: “Noi sia-mo vecchietti, ci muoviamo lentamente”.

Al Foglio ha detto di voler prima vedereche governo andrà a formare Ehud Olmert,vincitore delle elezioni con Kadima, “cosìpoi decideremo se raggiungerlo o sostener-lo da fuori”, precisa. Anche se ha già un’am-bizione, Eitan: “Voglio istituire il ministerodelle Pensioni, che oggi non c’è, e diriger-lo”, dice. Il successo nelle urne del suo par-tito è stato inaspettato, ma il leader è lestonello sfruttare il momento magico: “I gran-di partiti fanno spesso promesse che nonmantengono, noi agiremo, non faremo sol-tanto promesse”. Quel che più lo rende fie-ro sono i voti dei giovani, che, secondo le sti-me demografiche, avrebbero contribuito al40 per cento ai sette seggi conquistati dalmovimento. “Le persone anziane sono inbuona fede – spiega Eitan – hanno fatto car-riera, sono serie”, e i giovani amano fidarsidi loro. I ragazzi che assediano la sede delpartito con magliette con scritto “Save ourgrandpa”, salvate i nostri nonni, non sannoneanche chi sia Rafi Eitan. Un giornalistadel Jerusalem Post si è aggirato tra loro la-sciando cadere dei nomi, tipo Jonathan Pol-lard o Casper Weinberger, ma ha ottenuto inrisposta dei gran “chi?”.

Eppure Rafi Eitan è un pezzo di storia d’I-sraele. Non soltanto perché è nato nel 1924e ne ha viste di tutti i colori, non soltantoperché era dentro al Mapai, l’antenato delPartito laburista di oggi, e poi ha conosciutoAriel Sharon mentre stava costituendo il

Questa è la storia di “Rafi il puzzone”, spione e amico di Arik

Schröder raccoglie i frutti della merchant bank Kanzleramt

Roma. C’è chi lo chiama “approccio gra-duale” e saluta trionfante la nuova stagionedella diplomazia multilaterale dove domi-nano il dialogo, la coesione transatlantica eil ruolo delle istituzioni internazionali. Do-po tre anni di sterili negoziati quest’ineditacomunione d’intenti ha infine permesso alConsiglio di sicurezza di mettere le mani suldossier nucleare iraniano e di condannarlo.Ci sono volute tre settimane, ma il monito èstato partorito. Non una risoluzione e so-prattutto non una risoluzione “chapter se-ven”, che potrebbe preparare il terreno aeventuali misure punitive, ma una “dichia-razione presidenziale” in cui si avverteTeheran che ha 30 giorni di tempo per con-gelare il suo programma nucleare e firmareil protocollo separato del T rattato di nonproliferazione. In caso contrario, niente, omeglio, niente di drammatico, un altro mo-nito dell’Agenzia atomica e altri incontri alvertice in cui brillerà il prudente direttoredell’agenzia Mohammed ElBaradei. Non ab-

viltà occidentale al tramonto”. Taheri è pes-simista, pensa che il sostanziale immobili-smo della comunità internazionale farà pre-cipitare la situazione perché i fondamenta-listi vogliono lo scontro. “Persino il partitodei pragmatici, che ruotano attorno all’expresidente Hashemi Rafsanjani e, per moti-vi di portafoglio, vuole un accomodamentocon gli Stati Uniti, auspicava una risoluzio-ne dura per mettere alle strette l’Ammini-strazione Ahmadinejad e invece ha persoancora, e i falchi non si fermeranno”, dice.

Nella regione, secondo T aheri, l’effettodell’immobilismo internazionale sarà un’i-nevitabile corsa agli armamenti: “L’ArabiaSaudita e il Pakistan si stanno già muovendoin questa direzione. Seguirà l’Egitto”, pro-nostica. L’autorità dell’Onu uscirà a pezzidalla gestione del dossier iraniano e il V ec-chio continente non avrà miglior fortuna.“L’Europa continuerà a non contare, perchénon manda messaggi chiari. Da un lato dicedi non volere un Iran con la bomba, dall’al-

tro non fa niente per impedirlo. Gli europeinon sono certo i giocatori principali. I fon-damentalisti addirittura li prendono in giro,Ahmadinejad, li chiama spesso ‘nani’”.

Taheri è critico anche nei confronti degliStati Uniti. “Ci sono tante Americhe – dice –una ha aperto al dialogo a proposito dell’I-raq, l’altra ha fatto un passo indietro. Uncondominio Washington-Teheran per la ge-stione dell’Iraq, oltre che esaltare le ambi-zioni dei falchi che già parlano di un Iranche si affaccia al Mediterraneo, sarebbe de-leterio per le dinamiche regionali, inaccet-tabile per esempio per la T urchia. Ora Wa-shington sembra aver cambiato idea, maquesti segnali hanno fatto pensare a T ehe-ran di essere sulla strada giusta”. Russia eCina, invece, hanno buoni motivi per nonmettere i bastoni tra le ruote a T eheran:“Mentre gli scienziati iraniani lavorano apieno regime, i protagonisti della politica in-ternazionale scelgono di non scegliere e an-che questa, purtroppo, è una scelta”.

bastanza da far perdere i sonni alla mullah-crazia di Teheran. Proprio mentre a Berlinoi cinque membri permanenti (più la Germa-nia) festeggiavano il sofferto accordo sul te-sto, mentre il segretario di stato americano,Condoleezza Rice, metteva in risalto l’unitàdella comunità internazionale e il ministrodegli Esteri tedesco, Frank-W alter Stein-meier, sentenziava che l’Iran “deve fare unascelta tra l’isolamento prodotto dall’arric-chimento dell’uranio e un ritorno al nego-ziato”, l’ambasciatore iraniano all’Aiea, AliAshgar Soltanieh, non perdeva tempo nel ri-badire che “la sospensione è da escludere”.

Questo morbido attendismo rafforza e in-coraggia i peggiori propositi dei falchi. “Leloro sono provocazioni a costo zero. La co-munità internazionale danza intorno ai pro-blemi senza conseguenze – dice al Foglio ilgiornalista iraniano Amir T aheri – e così ifalchi non hanno motivo di cambiare politi-ca, anzi. Il presidente, Mahmoud Ahmadi-nejad, può vantarsi di aver umiliato la ci-

Taheri ci spiega che sul nucleare i mullah pensano di aver vinto

Da agente del Mossad cadde in una fogna, assoldò un americano (oraall’ergastolo) e scoprì segreti militari. Super esperto anti terrore, un giorno èandato da Sharon: “C’è un gruppo di anziani che vuole fare politica”. Ne ènato un partito che ha ottenuto sette seggi. Mira al ministero delle Pensioni

rato. Un processo lo condannò all’ergastolo.In Israele Pollard è una figura controver-

sa. Molti organizzano di tanto in tanto mani-festazioni per la sua liberazione e lo stessoEitan ha detto di avere a cuore l’uscita dalcarcere di Pollard. Ma gli americani la ve-dono in un altro modo, anche perché CasperWeinberger, segretario alla Difesa quandoscoppiò lo scandalo, tra le accuse presentònon soltanto l’attività di spionaggio, ma an-che quella di aver fatto scoprire altre 11 spiealla Russia. Questo Eitan l’ha smentito. E’“una sfrontata bugia – ha detto – Tutto quel-lo che Pollard ci ha fatto sapere è rimastonegli ambienti dell’intelligence, non è maiuscito”. Tra queste informazioni c’erano ipiani missilistici di Saddam contro Israele.

Sharon non si è mai esposto troppo perfar uscire dal carcere Pollard. Anzi, sembrache tutte le volte che è andato a Washingtonabbia avuto in tasca una lettera o una peti-zione in favore dell’ergastolano, ma non l’ab-bia tirata fuori. Il suo amico Eitan – che Sha-ron ha sempre chiamato “stinky Rafi”, Rafiil puzzone, perché in un’operazione era fi-nito in una fogna – è considerato dalle auto-rità americane un “unindicted co-conspira-tor”, uno che non è finito in galera ma cheha cospirato contro gli Stati Uniti. Secondomolte fonti, Eitan non può entrare in terri-torio americano, altrimenti può essere sog-getto a interrogatorio. Gira voce che lui siaandato in America più volte sotto falso no-me. L’amico Sharon l’ha sempre difeso e, in-volontariamente, è stato lui a lanciare Eitannella vita politica. “Un gruppo di pensiona-ti è venuto da me chiedendo rappresentan-za politica – ci ha raccontato Eitan – Io li hopresentati ad Arik, per portarli in Kadima”.Poi la malattia ha portato via Sharon ed Ei-tan è diventato il leader di un partito da set-te seggi, quattro in meno del Likud, per in-tenderci. E, per quelle strane chimiche cheregolano il mondo, nella notte del successo,dall’altra parte dell’Atlantico, il “nemico”Casper s’addormentava per sempre.

E’ LA SORPRESA DEL VOTO IN ISRAELE, COI PENSIONATI SOSTERRÀ OLMERT, MA CON CALMA: “NOI VECCHIETTI ANDIAMO LENTI”

Montezemolo e la legge Biagi

Nel giorno in cui, da sinistra, Alfon-so Pecoraro Scanio e Oliviero Dili-

berto rimettono in questione la leggeBiagi e l’alta velocità, e da destra Cle-mente Mastella riprende a scazzottarsicon il laicismo della Rosa nel pugno,capita perfino che Romano Prodi diadel matto a un radioascoltatore che glicontava i giorni di sopravvivenza allaguida di un nascituro governo di cen-trosinistra. Di una maggioranza che siannuncia tremolante al battesimo es’immagina moribonda alla prima Fi-nanziaria. In linea teorica le liti pre-elettorali fra semiconsanguinei nonfanno notizia. Nulla aggiungono, poi, enulla sottraggono al decorso di un bi-polarismo in crisi respiratoria dacchéla farmacopea proporzionale s’è impa-dronita del troppo giovane paziente. E’anche probabile che una vittoria nelleurne, confortata dalla larga disponibi-lità di poteri politici e collaterali da di-vidersi secondo consuetudine, possarinforzare per qualche mese la coesio-ne della squadra prodiana. E tuttavianon occorrono doti di chiaroveggenzaper prefigurare la possibilità della cri-si. Prodi lo sa ed è nervoso, impaziente,determinato a realizzare subito le pre-messe per esorcizzare alcune sue os-sessioni. La prima delle quali è il Cav.

Nella fabbrica del potere ulivista esi-ste un progetto di eliminazione dell’a-nomalia berlusconiana. Un piano di cuiè lecito dire non più in forma dubitati-va, come è stato fatto dagli osservatori,né in forma ottativa come avviene neicuori militanti. L’obiettivo di Prodi è farvotare all’eventuale propria maggioran-za, entro cento giorni, cioè tre mesi espiccioli, cioè molto prima di qualsiasiFinanziaria scivolosa, una legge che im-pedisca al capo dell’opposizione e pa-drone di Mediaset di candidarsi alla ri-vincita. I tecnocrati dell’Unione sonogià al lavoro, la chiameranno regola-mentazione del conflitto d’interessi, main concreto questa nuova norma obbli-gherà il Cav. a scegliere se farsi espro-priare dell’azienda, con la sottintesacertezza di non poterla affidare ai fami-gliari, oppure a rinunciare ai propri di-ritti di cittadino candidabile al Parla-mento. Tolto di mezzo Berlusconi, si eli-mina con lui un’eccezione democratica-mente legittimata da quattro appunta-menti elettorali, e la minaccia che que-sta si ripresenti prima o dopo la sca-denza del quinquennio di legislatura.Serve altro per capire che ad aprile nonsi voterà come nelle altre occasioni?Stavolta si sceglie pure se uno dei pos-sibili vincitori possa cancellare il vinto.

Il segretario per il commercio degliStati Uniti Carlo Gutierrez, in una riu-

nione di industriali americani, ha lan-ciato un duro avvertimento alla Cina, di-cendo che i suoi comportamenti scor-retti potrebbero suscitare negli Usa unaondata di protezionismo che sarebbeestremamente dannosa per l’economiacinese. Innanzitutto Washington si duo-le che la flessibilità del cambio del re-mimbi, enunciata con grande enfasi,non sia stata sostanzialmente attuata: sistima che la sottovalutazione del re-mimbi col dollaro sia attorno al 30-40per cento. Gutierrez poi se la prendecon le barriere doganali cinesi all’im-portazione, come quelle per le compo-nenti di auto. Un terzo capitolo riguar-da le barriere e le distorsioni alla con-correnza sul mercato cinese dovute allesovvenzioni alle imprese pubbliche ealle clausole di privilegio per le forni-ture a enti pubblici (in Cina tutt’ora piùdi metà dell’economia). Quarto, ma nonultimo argomento di doglianza di Gu-tierrez, la mancata protezione della pro-prietà intellettuale. Il ministro del com-mercio americano ha espresso la suaprotesta in forma di minaccia: se la Ci-

na non cambierà rotta, ciò potrà avereeffetti devastanti per la sua economia.Se, per esempio, continuerà a tenerel’attuale cambio artificioso, il parla-mento Usa potrebbe adottare norme dirappresaglia alle importazioni di pro-dotti cinesi motivate dalla slealtà com-merciale conseguente alla manipola-zione del cambio della moneta. E Gu-tierrez aggiunge che se è vero che le re-strizioni al commercio cinese potrebbe-ro danneggiare l’economia Usa, facendosalire certi prezzi al consumo, il dannoper i cinesi sarebbe ancora maggiore.Bisogna notare che queste frasi minac-ciose sono pronunciate a poche setti-mane dalla visita a Washington del pre-sidente cinese Hu Jintao. I cinesi natu-ralmente protestano. In Italia si giudicaincauto un uomo di governo occidenta-le che, con le sue dichiarazioni, suscitigrandi proteste cinesi, dato l’interessereciproco allo sviluppo di buoni rap-porti economici. Ma per realizzare buo-ni risultati nel commercio non bisognaessere sistematicamente remissivi esorridenti. Ed è quello che pensa W a-shington, che ottiene successi maggioridi quelli europei.

Il pluripresidente (di Confindustria,Fiat, Ferrari, Fieg eccetera) Luca

Cordero di Montezemolo comincia adaccorgersi che le rose dell’Unionehanno molte spine. Sembra che soloora si sia reso conto che il centrosini-stra avversa la flessibilità del mercatodel lavoro e intende modificare radi-calmente (secondo Romano Prodi) oaddirittura abrogare del tutto (secondoFausto Bertinotti, Oliviero Diliberto ela Cgil) la legge Biagi. Si vede chequando l’Italia era percorsa da colos-sali manifestazioni che contestavanoquella legge, Montezemolo si era di-stratto. In questi giorni, però, duranteun viaggio in Brasile, ha avuto modo dicolmare questa lacuna informativa, haallora alzato la mano e chiesto lumi:“La legge Biagi deve essere completa-ta con una riforma degli ammortizza-tori sociali, ha detto, ma non modifica-ta. Su questo tema aspettiamo rispostepiù chiare dal centrosinistra”.

Se il professor Prodi si spiegherà suquesto argomento con la stessa chia-rezza con cui ha risposto a chi gli chie-

deva dove intende prendere le risorseper abbattere il cuneo fiscale, Monte-zemolo può mettersi il cuore in pace.Prima delle elezioni ognuno dice lasua, dopo conteranno i rapporti di for-za e nel centrosinistra i detrattori del-la legge Biagi sono la stragrande mag-gioranza. Non vorremmo che la spe-ranza di Montezemolo si appuntasse aun’unica correzione: un codicillo checonsenta alla Fiat di utilizzare ad libi-tum la mobilità lunga. Il presidente diConfindustria (non solo lui in verità)cerca di cancellare quello che non glipiace. Così ha cercato di far spariredalla memoria l’assemblea di Vicenza,persino intimando agli associati di nonparlarne più. Però gli interessi degliimprenditori non coincidono con quel-li della Fiat, e anche dopo Vicenza, conogni probabilità, hanno trovato mododi farsi sentire da Montezemolo. Cosìha difeso qualche riforma del centro-destra (oltre alla riforma Biagi, quelledella scuola e del regime fallimentare)arrivando a chiedere spiegazioni aProdi. Auguri.

La diplomazia della franchezza

Guai al vinto

Alla vigilia della visita di Hu Jintao, Bush chiede alla Cina meno protezionismo

Se il Cav. perderà, potrà continuare a fare politica? Prodi non risponde

Il capo di Confindustria la difende e chiede rassicurazioni a Prodi. Auguri

Era prefetto al prestigioso istituto Gon-zaga. Zona Centrale, famiglie della

buona borghesia milanese. C’era statomandato dal cardinale Ildefonso Schu-ster, impressionato dalla sua capacità dieducare i giovani, un talento fondato sul-la certezza che il cristianesimo è una fon-te di letizia, che niente teme della vita matutto abbraccia e valorizza (per questo,per poter incontrare i ragazzi lì dove sitrovavano, si era anche fatto nominarecappellano dei Balilla). Nel giro di pochianni aveva suscitato intorno a sé un movi-mento sbalorditivo: non solo gli studenti,a cui insegnava a scoprire Cristo nei ver-si di Dante e di Leopardi, nelle musichedi Bach e di Beethoven, nelle arrampica-te sui monti e nella condivisione della vi-ta dei più poveri; ma anche le mamme e ipapà, coinvolti nelle attività culturali e so-prattutto di carità che continuamentemetteva in piedi.

Ma quando scoppia la guerra, don Car-lo Gnocchi decide che il suo posto è alfronte. “Vorrei pregarvi di tutto cuore dinon imboscarmi” scrive all’Ordinario mi-litare, in un momento in cui tanti chiedo-no esattamente il contrario. Prima suimonti della Grecia, ad assistere moribon-di e condannati a morte. Poi, quando ilfronte greco si stabilizza, insiste per esse-re mandato in Russia. E’ cappellano del-la Tridentina quando la divisione vieneaccerchiata nell’ansa del Don, marcia inmezzo ai suoi alpini in ritirata, è con loro

mentre spezzano l’assedio a Nikolajewka.Chiude decine di occhi, senza perdere lacertezza che Cristo è anche in quell’infer-no l’unica speranza degli uomini. Sul tre-no che riporta i pochi superstiti un solda-to – l’ennesimo – gli muore fra le braccia.“Il mio bambino lo raccomando a lei, si-gnor cappellano”, fa in tempo a mormo-rargli. Quella richiesta non gli uscirà piùdalle orecchie.

Tornato a Milano, prende parte alla Re-sistenza; poi dopo il 25 aprile collabora amettere in salvo i fascisti perseguitati. Ungiorno in viale Argonne si imbatte in unbambino senza gambe. E’ orfano, vive conla nonna di ottantacinque anni: sarà il pri-mo ospite del reparto infantile dell’Istitu-to Invalidi di guerra di cui il sacerdote èdirettore. Da quel momento la vocazionedi don Gnocchi è chiara: i mutilati e gli or-fani, i relitti che la tempesta bellica ha la-sciato dietro di sé: “La guerra è finita, maper le sue vittime la guerra comincia”.

In un attimo, l’impresa gli esplode frale mani, i bisogni crescono vertiginosa-mente. Lui comincia a bussare a tutte leporte. Tra i maggiori benefattori GiovanniFalck e Wally Toscanini. Schuster guardacon qualche preoccupazione questo preteirrequieto. Lo nomina assistente spiritua-le dell’Università Cattolica; ma don Carloè tutto preso dai suoi piccoli invalidi. Nel1948 riesce a farsi ricevere con loro da PioXII, poi dal presidente della Repubblica,Luigi Einaudi: tutta la stampa ne parla,l’Italia scopre la tragedia dei “mutilatini”.De Gasperi lo nomina consulente del go-verno. La sua Fondazione Pro Juventutecomincia a ricevere sostanziosi contribu-ti. Con i denari vengono le polemiche; luise ne infischia, e rilancia. Carità e ricove-ro non bastano, “la compassione lacrime-vole è peggio delle bombe”. Occorronoriabilitazione e formazione professionalead hoc, perché ciascuno possa ritrovareuna vita il più possibile dignitosa e auto-noma (intanto ai mutilati si aggiungono ipoliomielitici).

L’ospedale che apre a Parma è all’a-vanguardia in Italia nelle tecniche riabi-litative. Il 22 settembre 1955, alla presen-za del Capo dello stato Giovanni Gronchi,viene posta la prima pietra del nuovoCentro Pilota di Milano. Meno di sei mesidopo don Carlo rende l’anima a Dio. Hafatto in tempo, sfidando la legge italianadell’epoca, a donare le cornee per ridarela vista a due dei suoi ragazzi.

LLIIBBRRIIStefano Zurlo

L’ARDIMENTO202 pp. Rizzoli, euro 9.20

OGGI – Nord: passaggi nuvolosi al mat-tino, velato nel pomeriggio. Temperatu-ra in aumento. Centro: qualche banconuvoloso basso sulle regioni tirreniche,specie nelle vallate fluviali e lungo lecoste; altrove abbastanza soleggiato.Sud: giornata prevalentemente soleg-giata, con leggere velature di passaggiosulla Sicilia e qualche nube bassa sullacosta campana.DOMANI – Nord: inizialmente cielo ve-lato, ma con nubi in rapido aumento erischio di acquazzoni o temporali dallatarda mattinata, specie a nord del Po.Centro: nubi dense in formazione sul-l’Appennino T oscano e Marchigianocon isolati temporali non esclusi, cielovelato altrove. Sud: banco nuvoloso fraMolise e Puglia al primo mattino, poibel tempo su tutte le regioni.

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chiunque altro di stare al governo alle inaccet-tabili condizioni di cui Berlusconi ha goduto.Cioè di poter fare il premier disponendo di po-teri economici e mediatici di tali dimensioni darisultare manifestamente incompatibili con re-sponsabilità di governo. Una situazione senzaparagoni al mondo e in contrasto con i più ele-mentari canoni della democrazia liberale. Népiù né meno di questo. E’ un preciso dovere cuinon possiamo sottrarci. Un peccato di omissio-ne dei governi dell’Ulivo che ancora oggi ci con-testano sostenitori e avversari. Sostenere, comefa Il Foglio, che l’anomalia c’è, ma essa non in-tacca la natura liberaldemocratica del nostrosistema e che ora ce la dobbiamo tenere, è tesiche non mi convince. Così mi sono espresso ie-ri, lo riconosco, un po’ sbrigativamente. Se melo consente, provo ora a spiegarmi meglio, iso-lando motivi di consenso e di dissenso rispettoal suo punto di vista. Naturalmente apprezzo econdivido il suo onesto riconoscimento che ilproblema esiste, che la legge Frattini non lo harisolto, semplicemente legalizzando un macro-scopico conflitto di interessi. Così pure non hodifficoltà a sottoscrivere la tesi del Berlusconi“innovatore politico”, decisivo nel propiziare bi-polarismo e democrazia dell’alternanza che giu-dico un prezioso guadagno. Ma qui comincia ildissenso. Primo: non tutte le innovazioni da luiintrodotte sono di segno positivo. Il suo populi-smo, il suo leaderismo, la pratica della dittatu-ra della maggioranza, l’interpretazione assolu-tistica della democrazia di investitura hannocontribuito a gettare discredito proprio sulle no-vità buone del bipolarismo e della democraziadell’alternanza, alimentando regressioni no-stalgiche verso un malinteso proporzionalismoforiero di frammentazione e instabilità di cui lalegge elettorale “porcata” (Calderoli) è espres-sione e strumento. Secondo: il conflitto di inte-ressi intacca eccome i capisaldi di una demo-crazia liberale. Lo ha spiegato da par suo Nor-berto Bobbio con la sua critica serrata al parti-to-azienda e al vulnus inferto al principio-car-dine della divisione dei poteri reali oltre che for-mali (potere politico, economico e mediatico).Terzo: davvero non riesco a sottoscrivere la lo-gica secondo la quale ad anomalia si debba ri-spondere con anomalia. Ammesso e non con-cesso che il collasso del vecchio sistema politicosia stato prodotto da Mani pulite (non ha con-tato di più la caduta del muro di Berlino?), per-ché mai dovremmo sommare a tale anomaliail conflitto di interessi? Infine, è fuori discussio-ne che la “par condicio” sia regola un po’ arti-ficiosa, ma spero Lei convenga che essa è figliaappunto dell’irrisolto conflitto di interessi, del-l’assetto vistosamente patologico del nostro si-stema informativo. Dunque, la par condicio, èun esile cerotto applicato a una frattura. Con-fesso che non mi convince la soluzione prospet-tata da Fassino di un blind trust, sia esso vi-gente o no negli Usa. Eminenti giuristi hannoefficacemente spiegato che essa è soluzione effi-cace quando si ha a che fare con beni mobili,non così quando si tratta di aziende, tanto piùse operanti nel campo dell’informazione. Inquel caso, il “fondo”, per definizione, non puòessere “cieco”. E’ certo difficile prospettare so-luzioni tecnico-giuridiche persuasive ed effica-ci. Ma se, in ipotesi, Berlusconi dovesse esserecostretto a scegliere tra le sue aziende e l’attivitàpolitica sarebbe una bestemmia e un dramma?Davvero Berlusconi non è surrogabile da altriquale leader e federatore di un altro centrode-stra? Non potrebbe essere invece un’opportu-nità perché la democrazia italiana si emancipida un leader che pure innovatore lo è stato mache francamente mi pare non lo sia più? Mi erasembrato che qualche mese fa Lei stesso, muo-vendo dall’idea che quella spinta innovatrice sifosse dissolta, avesse consigliato al Cavaliere uncongedo non umiliante, non all’altezza del suocontroverso ma indiscusso protagonismo. Maforse avevo capito male.

Franco Monaco, deputato della Margherita

Aveva capito bene. Ma che c’entrano lemie idee, che sotto elezioni si confrontanocome le sue con la necessità di punire elet-toralmente il peggiore, con la questione difondo che abbiamo posto nell’appello?Chiunque può pensare che B. o P. debbanoandare a casa, vincano o perdano,ma non per legge.

Al direttore - Prodi si lamenta: la Cdl mentesul nostro programma. E io che ci sto a fare?

Maurizio Crippa

Al direttore - Christian Rocca nella sua let-tera al Foglio di ieri le scrive che “gli piacereb-be che i radicali avessero il coraggio di difende-re le loro idee senza trucchetti”, di fianco v’èun’altra lettera a firma Massimo T eodori chespiega come il paese diventa sempre più laicodocumentando con cifre una realtà socialesempre meno confessionale e sempre più prote-sa ai Pacs, al matrimonio civile, al calo delle vo-cazioni, ecc. Bene, lei titola la sua lettera conun bel ‘Teodori ha scoperto che la gente fa unavita di merda, e se ne compiace’. Mi pare cheRocca più che dei radicali e dei trucchetti si do-vrebbe occupare di lei e della sua dissociazione

dalla realtà, vissuta contro se stesso. Con l’af-fetto di sempre, il suo rosapugnone.

Sergio Rovasio, Roma

Sì, è il famoso motto di Pannella: “Chi nonè con me è contro di sé”. Dài Sergio, non per-dere nella battaglia il gusto delle sfumature,non fare anche tu una vita di merda. Doma-ni nella battaglia pensa a me.

Al direttore - Quale sarebbe il collega profes-sore che secondo il ministro Gianfranco Micci-chè avremmo attaccato nel “Diario di due eco-nomisti” del 25 marzo? E quali sarebbero i mo-tivi accademici del presunto attacco? Se si rife-risce a Fabrizio Barca, noi ne ignoriamo i rap-porti con l’università e immaginiamo che, oc-cupandosi di altro, sia estraneo a intrighi acca-

demici. In ogni modo, l’essere o meno professo-ri è del tutto irrilevante. Le beghe accademichesono tra le cose più noiose che esistono e noi pre-feriamo altri passatempi. Per questo ci dispiaceche, ossessionato dai professori, Gianfranco Mic-cichè non sia entrato nel merito delle questioniche avevamo sollevato nel “Diario”, ossia che la“politica per il Mezzogiorno” esibisce una straor-

dinaria continuità tra passato (centrosinistra) epresente (centrodestra), che essa è stata falli-mentare e che delle opzioni alternative si discu-te solo a sinistra. In ogni caso, anche se non necondividiamo le idee, Fabrizio Barca ci sta sim-patico e l’ironia del “Diario” non era destinataa lui. La sua lettera conferma che questa sim-patia è giustificata. Solo gli vorremmo far nota-re che al ritmo con cui egli rivendica si stia ri-ducendo il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, ci vorrebbero altri 140 anni per pareggia-re il reddito pro-capite tra le due aree!

Ernesto Felli e Giovanni Tria

PS. Il ministro se la prende anche con i “trop-pi illustri professori sedicenti meridionalisti”.Qui il ministro sbaglia, “avere realmente a cuo-re le sorti del nostro Mezzogiorno”, come scrive,

significa secondo noi non essere “meridionali-sti”, né sedicenti né autentici.

Al direttore - Lei ha ragione a sostenere chela mia opinione circa la linea da seguire in te-ma di regolazione dei conflitti di interesse nonera adeguatamente esplicita e argomentata.Del resto, l’avevo affidata a una estemporaneae laconica dichiarazione, che suonava più o me-no così: se vincerà, l’Unione dovrà dare provadi rigore e spirito equanime, varando regole an-titrust e disciplina del conflitto di interessi al ri-paro da opposte tentazioni. Né rappresaglia, nésconti. Ci deve guidare la seguente massima:agire come se Berlusconi non ci fosse, ma istrui-ti dal suo caso. Non animati dall’obiettivo diinibirgli l’attività politica, ma determinati a in-trodurre regole che impediscano a lui come a

Il famoso motto di Pannella: “Chi non è con me è contro di sé”. Ma con noi non attacca

Caldo in arrivo. Milioni di ombelichi anudo in giro per le città. Fuggire in Ara-bia Saudita. C’è un ottimo resort sulGolfo ad al Khobar. Donne coperteanche in piscina.

Alta Società

ANNO XI NUMERO 77 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

Una balla sesquipe-dale. E dunque, asentire tante delle

parole in libertà della campagna elettora-le, tutto starebbe nella lotta all’evasione fi-scale. Aumentare il prelievo fiscale sui Bot,ma nemmeno per idea! Fargliela pagareagli italiani che sono proprietari di una ca-sa, ma starete scherzando! Aumentare lealiquote Irpef, l’addizionale regionale, l’ad-dizionale comunale, ma per chi ci stateprendendo! Amputare i patrimoni tra-smessi in eredità, ma non bestemmiate,semmai solo quelli di chi lascia in ereditàla Reggia di V ersailles! Mandarli in pen-sione di vecchiaia un mese o una settima-na dopo i 65 anni, ma non se ne parla nem-meno! Far pagare il ticket per contenere il“profondo rosso” della spesa sanitaria, nondovete dirlo né pensarlo! Basta e strabastala lotta all’evasione fiscale, quel 30 o 40 percento del prodotto nazionale lordo immu-ne dal prelievo fiscale. Basta e strabastafar pagare le tasse (e dunque amputare illoro reddito di una cosuccia tipo il 30 percento) ai liberi professionisti, ai tecnici delcomputer e della televisione, alle impreseedili, agli idraulici, ai galleristi d’arte. Unodi loro, il famoso Gian Enzo Sperone, hadetto di recente che ha una galleria a NewYork dove il 95 per cento delle entrate so-no limpide e fatturate, in Italia niente oquasi. All’indomani della vittoria elettora-le della sinistra ci sarà un Immenso Con-trollo, un Formidabile Occhio, e ogni idrau-lico, ogni libero professionista, ogni putta-na pagheranno le loro tasse fino all’ultimoeuro. Come accade a quelli che vengonobeccati per evasione totale, gente che nonha pagato milioni e milioni di euro. Sapetein quei casi pur così portentosi, quanto re-cupera ogni volta lo stato? Nemmeno il die-ci per cento. Campa cavallo.

UFFA!di Giampiero Mughini

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“Morale. Così va il mondo. Chi vuolessere persona retta, dovrà soffrire,quando qualcuno vorrà trovare adogni costo un pretesto di lite. La vio-lenza viene prima della giustizia.Quando si vuole dare un calcio al ca-ne, quello ha mangiato anche il cuoio.Quando lo vuole il lupo l’agnello hasempre torto.” (Esopo, “Il lupo e l’a-gnello).

Dorian Grey. L’onorevole Marco Follini(Udc) rivela: “Io a quattordici anni ero de-mocristiano”.

Essere. Il sottosegretario all’Interno, se-natore Antonio Solina D’Alì (FI), rivela:“Senza barba sono brutto”. Il senatoreMauro Cutrufo (Dc per le autonomie), in-vece sottolinea: “Sono fiero della miaidentità”.

Essere mammiferi. Giancarlo Gentilini,vicesindaco leghista di T reviso, osserva:“Io sono un leone e chi tocca la Lega losbrano”.

Questa pazza geografia. Il segretario del-la Democrazia cristiana per le autonomie,onorevole Gianfranco Rotondi, rileva che“quello che oggi pensa Milano domani lopensa l’Italia”, e osserva: “Stento a farmicapire in Sicilia, ma in Lombardia mi ca-piscono benissimo, anche se parlo in na-poletano”.

Le calze. L’onorevole Daniela Santanchè(An) dichiara: “Una volta, in inverno, arri-vai senza calze in aula. Feci scalpore maora, per rispetto istituzionale, le indossoanche il primo agosto. Abbiamo dei dove-ri, e poi la forma è sostanza, quindi nientegambaletti né calzettoni né calze a rete,che sonofuori posto.Dimmi checalze hai eti dirò chisei. Ricordia-moci di NildeJotti, che nelsuo rigore ave-va sempre lecalze color na-turale”.

Buglio genti-luomo. L’onorevole Salvatore Buglio, nonricandidato nelle liste ds, dichiara: “Quan-do gli avversari fanno una cosa buona, perme è giusto sottolinearlo. Ad esempio con-sidero un bravo ministro Roberto Maroni”.

Regionalismo. Il leader dell’Mpa, Raf-faele Lombardo, chiarisce: “Non ci piaceGaribaldi. Noi dobbiamo rivalutare i nostribriganti”.

Bonaiuti alla menta. Il sottosegretario al-la presidenza del Consiglio, onorevole Pao-lo Bonaiuti (FI), ricorda la recente visitanegli Stati Uniti: “A Washington eravamoospitati alla Blair House, una magione ac-cogliente dove ogni mattino veniva prepa-rato un gigantesco buffet, una prima cola-zione sibaritica, con uova di ogni tipo, sal-siccione, formaggi, pancetta e filetti mi-gnon, fatto che mi provocava una granderabbia perché io la mattina bevo solo uncaffè o, al massimo, due fette biscottate conun velo di marmellata dietetica. E nel po-chissimo tempo libero a disposizione hoanche potuto comprare dieci pacchetti difoglietti di menta, le listerine, quasi intro-vabili in Italia”.

Grillini e la torta speciale. L’onorevoleFranco Grillini (Ds) rivela: “L’unica voltache ho provato a farmi uno spinello, a casadi amici, non mi è piaciuto affatto, e quel-la stessa sera, un po’ particolare, ho anchemangiato una torta alla marijuana. Erapessima. Ma che c’avete messo in questatorta, dicevo io… era proprio cattiva. Cosìda quel giorno ho lasciato perdere”.

Constatazioni leghiste. L’ex ministro ono-revole Roberto Calderoli (Lega), giunto aSarzana, vicino La Spezia, dichiara: “Alleotto di sera qui sotto in strada non c’è nes-suno, perché il comunista a quest’ora met-te le gambe sotto il tavolo, non fa la rivolu-zione ma mangia”.

Leghista moderato. Il presidente dei se-natori di Alleanza nazionale, DomenicoNania, dichiara: “Roberto Calderoli è unmoderato”.

Muti. L’onorevole Gerardo Bianco (Mar-gherita) dichiara: “Mi astengo da ogni di-chiarazione: non posso dire ciò che voglio,e non voglio dire ciò che posso”.

Cotti. L’onorevole Arturo Parisi (Mar-gherita) rileva: “Siamo dentro una pentolache bolle”.

Antonello Capurso

ANNO XI NUMERO 77 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

Roma. I francesi si premono di colpol’indice sulle labbra e aggrottano le ciglia,per dirti che da quel momento in poi nonintendono per nessun motivo parlare conte, perché lui sta per salire sul palco. I nonfrancesi si mettono tutti le cuffie della tra-duzione simultanea, le ragazze del serviziodi rappresentanza si passano la mano neicapelli. Sarà che quando sale il ministrodell’Interno francese, Nicolas Sarkozy, so-no passate soltanto un paio d’ore dall’in-tervento di Clemente Mastella, fischiato, ene uscirebbe corroborata la statura politi-ca di chiunque. Ma quando Sarko inizia aparlare dal podio del congresso del Parti-to popolare europeo, cui ha fatto una ra-pida puntata come invitato, l’effetto gene-rale è quello di un brivido che passa nellaschiena degli ascoltatori. Di un uomo così,è il pensiero che corre in sala, è meglionon essere mai l’avversario elettorale, al-meno non in questa vita politica. Anche seSarkozy si schermisce quando fa gli augu-ri a tutte le forze del centrodestra italianoa nome dell’Ump, di cui ambisce a diven-tare il prossimo candidato all’Eliseo. “Gliauguro ogni fortuna – ha detto ridendoverso il presidente del Consiglio, SilvioBerlusconi – Ma le elezioni non sono maifacili, conosco quelle in Francia e soquanto sono difficili”.

Quando la corsa all’Eliseo inizierà sulserio, allora il rivale predestinato, il pre-mier Dominique de Villepin, ricorderà ilperiodo in cui tre milioni di francesi scen-devano nelle piazze di tutto il paese perprotestare contro il Cpe – e quindi ancheper costringerlo alle dimissioni – quello

stesso periodo in cui il virus della chikun-gunya imperversava e metteva in ginocchio22 mila abitanti francesi dell’isola tropica-le della Riunione, obbligandolo a schiera-re precipitosamente le forze armate percontenere il contagio, come un’età dell’oroin cui le cose andavano generosamente be-ne e i problemi erano di poco conto.

Sarko è piccolo, anche se scendendo dalpalco ti sposta con una mano, cammina conla stessa rilassatezza vigile del pugile in ac-cappatoio. Poi sale su, e inizia a parlare. Si

sgranchisce definendo in un paio di passiil perimetro delle cose in cui crede ferma-mente. “Tra liberismo e socialismo non hopaura di dire che scelgo il liberismo. Dob-biamo aprirci alla concorrenza con gli al-tri paesi, ma abbiamo bisogno di recipro-cità. Noi dobbiamo aprire le nostre portequando gli altri paesi sono pronti ad apri-re le loro”. Al netto dell’effetto dopo Ma-stella, quando inizia a rivolgersi al pubbli-co, gli esperti di comunicazione elettoraleche sono presenti – per seguire i loro clien-

Un epitaffio per la Spagna con le parole dolci di ZapateroIn Spagna, dopo la vittoria del partito so-

cialista alle elezioni del 2004, il partitopopolare e il suo segretario Mariano Rajoysono sembrati come schiacciati dal ritmospasmodico imposto da José Luis Rodrí-guez Zapatero alla vita politica madrilena.Prima il fulminante ritiro dall’Iraq e un ra-dicale riposizionamento della Spagna nelconcerto internazionale delle nazioni deldopo 11 settembre, poi il matrimonio e l’a-dozione per coppie omosessuali e infineuna modifica sostanziale delle strategieportate avanti dalla Spagna democraticaper confrontarsi e accogliere i nazionali-smi catalano e basco, finora mantenutenella cornice della Costituzione del 1978.

Zapatero ha consentito l’avvio di un pro-cesso accelerato che ha modificato radi-calmente le condizioni dell’appartenenzaalla Spagna della Catalogna, dove d’ora inavanti saranno in vigore dei codici penale,civile e amministrativo separati e il “T ri-bunal supremo” non avrà giurisdizione.Parallelamente egli ha avviato contatti conla banda terrorista Eta che segnano unasvolta culturale nella visione del problemadel terrorismo basco acquisita negli ultimianni. In tal senso è stato letto da molti os-servatori il fatto che l’annuncio del cessa-te il fuoco da parte di Eta sia avvenuto al-l’indomani dall’approvazione nella com-missione costituzionale della Camera deideputati del nuovo statuto catalano. Lostesso leader nazionalista catalano CarodRovira si vanta del fatto che il suo collo-quio con i terroristi, prima delle elezioni,alla ricerca di una condivisione di obietti-vi sia stato il primo passo del processo.

Al contrario, il patto antiterrorista fir-mato nella legislatura precedente era ser-vito a sottolineare che il problema delterrorismo dell’Eta doveva essere separa-to dalle aspirazioni del nazionalismo de-mocratico e quindi richiedeva una strate-gia separata. Aznar infatti aveva esplici-tamente collegato la lotta contro l’Eta al-la lotta globale contro il terrorismo. Nonè difficile scorgere come questa svoltaaffondi le sue radici sul piano simboliconella lettura dell’attentato dell’11 marzoad Atocha.

Dialogo, pace, alleanza di civiltàTutte queste iniziative sono state avvol-

te da una retorica dolciastra piena di bel-le parole (dialogo, pace, alleanza di civiltà),all’inizio giudicate dagli avversari politicidi Zapatero come infantili e inoffensive. Inrealtà, il discorso zapaterista mostra chia-ramente il filo rosso che accomuna le suevarie iniziative e si è anche rivelato assaiefficace per far passare un nuovo modellodi convivenza e di persona. Al riguardo èilluminante l’analisi pubblicata recente-mente dalla Fondazione di Aznar, la FAES(Fundación para el análisis y los estudios

sociales), sotto il titolo “El fraude del bue-nismo” (La truffa del buonismo) e curatadallo scrittore Valentí Puig. La parola buo-nismo sta a indicare le parole e i gesti (“li-sciare la schiena ad alleati e avversari”,come scrive Puig) che compongono il di-scorso di Zapatero, ossia quel vago senti-mentalismo da “I care” (mi preoccupa,m’inquieta) che apparentemente vuole so-stituire alle passioni politiche violente unatteggiamento (“talante” è la parola amatada Zapatero) più tranquillo, più morbido ealla ricerca di compromessi. Una riflessio-ne sui diversi piani dell’azione politica delgoverno (la scuola, la politica estera, il di-ritto) permette invece di delineare i trattidi un progetto paradossalmente massima-lista e illiberale. Sotto le sembianze del pa-ternalismo bonario, infatti, il buonismo“porta con sé un incremento dell’abban-dono del cittadino allo stato, come combi-nazione di inerzie e di fiducie non contra-state”: poiché siamo tutti buoni (e il male ècomunque esterno a noi), il conflitto puòessere eliminato dalla vita sociale e quin-di il cittadino non deve rimanere all’erta,anzi diventa come un Peter Pan tutt’al piùcon un capitan Uncino che bene o male èstato messo all’angolo.

Il dialogo è la terapia buonista postso-cialista contro la società liberal-democra-tica capitalista, in contrasto con la terapiad’urto (la liquidazione del sistema) un tem-po proposta dal vecchio comunismo e oggiriproposta dal movimento no global, daidisobbedienti. L ’unico modo di lottarecontro quest’insidiosa forma di ipnosi, sot-tolinea Miquel Porta, è sostenere che l’in-tesa (ossia lo scopo del dialogo) non sem-pre è possibile e desiderabile, e che esistee può anche essere un dovere l’“intolle-ranza giusta”.

Il collegamento fra buonismo-dialoghi-smo e relativismo dei valori è esplorato lu-cidamente da Fiorentino Portero, segreta-rio del GEES (Gruppo de estudios estraté-gicos), che mette a nudo il buonismo inter-nazionalista dell’alleanza delle civiltà, e daAndrés Ollero, professore dell’universitàRey Juan Carlos, che esamina il buonismogiuridico, ossia la “concessione” di dirittiin mancanza di fondamenti oggettivi. Olle-ro parla del “derecho a lo torcido” (the ri-ght to do wrong), ricordando che questaidea spiega la convinzione generale chel’aborto in Spagna sia un diritto, mentre es-so continua a essere un delitto a termini dilegge, esente da sanzioni penali in deter-minate circostanze.

Colpisce in queste riflessioni un inedi-to interesse fra i conservatori per l’aspet-to culturale della battaglia politica in cor-so. La FAES, ancora molto incentrata sul-la politica economica e sulla struttura del-le relazioni internazionali, sta producen-do sempre più studi sulla tradizione poli-

tica, sulla storia e sull’identità culturaledella Spagna. La politica di Aznar ha avu-to il suo punto forte nell’economia, mentreha ceduto al pensiero unico del dialoghi-smo sugli aspetti dell’azione politica (iPacs, la fecondazione assistita) dov’eranoin gioco dei valori. Eppure la sua prolun-gata permanenza al potere poteva essereun’occasione per rompere con questo pen-siero e ricostruire i ponti con una tradi-zione liberal-conservatrice la cui reputa-zione è stata distrutta dalla storiografia disinistra – alla quale appartenne Cánovasdel Castillo, la cui eredità Aznar sta riva-lutando – e che oggettivamente è stata in-terrotta in Spagna dalla dittatura franchi-sta. L’occasione è stata mancata e ciò spie-ga perché Aznar non sia riuscito ha crea-

re una lettura di respiro profondo dellesue scelte sul piano internazionale dopol’11 settembre nemmeno tra i suoi eletto-ri. In mancanza di questa visione la trage-dia dell’11 marzo lo ha isolato fortementepersino tra i suoi sostenitori.

L’errore strategico del governo AznarPuò contribuire a spiegare questo grave

errore strategico del governo di Aznar il ri-cordare che l’opinione pubblica spagnola,segnata dall’esperienza della guerra civile,ha ancora paura di guardare a viso aperto– sia pur nel confronto democratico – le dif-ferenze sul piano delle idee, ha paura del-l’intolleranza giusta. A tal punto che nonsoltanto è ciecamente contro la guerra(senza se e senza ma) ma non sembra nem-meno pronta alle battaglie culturali.

Infatti, se dal pensatoio di Aznar tor-niamo alla politica reale del partito popo-lare, è evidente che, in questi due anni,Rajoy e i suoi non hanno saputo opporrealla strategia buonista di Zapatero altroche una chiusura opaca, invece di smon-tarla e di provare a confrontarsi con ilcontenuto vero delle varie iniziative delgoverno, senza paura della fratturaprofonda che si è aperta a partire dall’11

Colonna ruffiana

L’adolescenza dc di FolliniL’identità fiera di Cutrufo

Rotondi napoletano “milanese”

Da qualche settimana circola su internetuno strepitoso filmato. Nel video s’in-

scena la bizzarra ipotesi che l’ideazione delpackaging dell’iPod Apple venga affidata al

marketing della rivale Microsoft. Così, inmano agli uomini di Bill Gates, la confezio-ne dell’iPod – dominata dal bianco candi-do, da poche essenziali informazioni, da fo-to in bianco e nero e da nessun’altro mar-chio che non sia la mela morsicata – vieneletteralmente invasa da simboli di copyri-ght, da mille brand e istruzioni superflue,trasformandola in un delirio semantico.

Questo breve filmato – peraltro creato daun dipendente Microsoft – spiega, meglio diqualsiasi altra analisi comparata di mana-gement, la differenza sostanziale nel mododi intendere il marketing delle due aziendeinformatica. Del resto il package non rap-presenta più il semplice imballaggio delprodotto, ma è diventato un vero e proprio“media” di fondamentale importanza: l’uni-co che comunica direttamente dallo scaffa-le, cioè il luogo dove realmente il consuma-tore sceglie cosa acquistare. Se prima l’in-volucro serviva semplicemente a far arriva-re un oggetto nel modo più pratico fino allemani dell’acquirente, oggi la “scatola” di-venta fondamentale nell’acquisto, quasiquanto l’oggetto e addirittura può diventareessa stessa il vero e proprio oggetto, l’es-senza del brand. I casi sono molti e coinvol-gono ogni categoria merceologica: dalla sen-suale bottiglietta di vetro della Coca-Colaalle scatole di latta dei biscotti Mellin (usa-ti poi da Elio Fiorucci negli anni Ottanta co-me confezione per le proprie t-shirts), dal-l’involucro “testuale” dei Baci Perugina al-l’utile manico dell’appretto Merito.

Involucro estremoOltre all’aspetto funzionale, il package

deve privilegiare anche l’aspetto simbolico,estetico e, soprattutto, polisensoriale chepermette di coinvolgere non solo la dimen-sione visiva ma anche quella tattile, uditivae olfattiva. In questo senso le confezioni deiprofumi riescono perfettamente a comuni-care, attraverso le forme e i materiali usati,l’essenza e l’immaginario che il produttoredel profumo ha voluto evocare.

Da qualche tempo, assieme alla compo-nente estetica del packaging, sta emergen-do anche quella etica, legata cioè a concet-ti di sicurezza, responsabilità e sensibilitànei confronti dell’ambiente e della salute:con il crescere della consapevolezza deiproblemi ambientali, sono risultate inutilile enormi confezioni di materiale non rici-clabile, e così le aziende hanno preferitoutilizzare package più piccoli, biodegrada-bili, riciclabili o riutilizzabili. La tendenzaal riutilizzo non è nuova – basti pensare al-le sopraccitate scatole di latta oppure aibicchieri della Nutella – ma, accanto a que-sta, per un’esasperazione del concetto del“packaging no frills” (confezione senza fron-zoli) è presente oggi sul mercato anche unasorta di sottovalutazione del pack stesso:per esempio gli imballi della catena giap-ponese Muji importati in occidente sonoscritti con gli ideogrammi, quasi a negare laminima componente di comunicazione.

Dall’ultima conferenza sul packaging or-ganizzata da Somedia è infine emersa unanuova direzione evolutiva sostanzialmentecontraria a quella del “no frills”, ovvero latendenza a una esasperata “materializza-zione del pack”. Nell’ambito dei servizi im-materiali e dell’economia digitale, peresempio, esistono prodotti che hanno ri-chiesto un packaging al di là del bisognofunzionale, basti pensare ai grossi pack cu-bici – volutamente inutili – degli abbona-menti Adsl che contengono solo un cd, unapresa telefonica e uno scarno libretto delleistruzioni. Dall’altra parte esistono dei packche offrono un ulteriore valore aggiunto alprodotto, si pensi alla rivista letteraria Mc-Sweeney, ideata da un gruppo di intellet-tuali che ruotano intorno allo scrittore Da-ve Eggers, che ogni bimestre esce sempre informati creativi (carta da imballaggio, gom-ma gonfiabile eccetera). Si pensa che in fu-turo il packaging dovrà sempre più mante-nere l’autonomia rispetto al prodotto, e pun-tare a un allungamento del suo ciclo di vitaattraverso l’impiego in utilizzi alternativi.

Un esempio-limite: la ecobara, radicaleprototipo di packaging – il nostro ultimo edefinitivo packaging – costruito con mate-riali biodegradabili che scompare non ap-pena svolta la sua funzione primaria.

Michele Boroni

Consigli a Lapo

L’arte del packaging ovvero comefare della confezione l’elemento(più) importante del prodottomarzo con il Partito socialista. Sui giorna-

li spagnoli degli ultimi mesi si è levato uncoro unanime di critiche alla mancanza didialogo fra governo e opposizione, cheportava acqua al mulino di Zapatero poi-ché sembrava una conferma di quella suainsistenza nel “talante” come chiave perla soluzione dei problemi, e riservava im-plicitamente al povero Rajoy il ruolo delcattivo fratello che non vuole stringere lamano che gli viene tesa. Quindi la visita diRajoy al Palazzo della Moncloa, sede delpresidente del governo, a pochi giorni dalcomunicato dell’Eta, è stata salutata suigiornali come una grande svolta cheaprirà la via del “dialogo” anche tra Rajoye Zapatero, amplificando così l’esultanzaper l’annuncio dell’Eta.

Un bivio drammatico e una speranzaRajoy è sembrato in effetti di nuovo tra-

volto dagli eventi: come non accettare l’in-vito di Zapatero ad affiancarlo negli sfor-zi per farla finita con le morti che insan-guinano la Spagna da quarant’anni? An-cora una volta il copione e la retorica so-no stati quelli dettati da Zapatero, l’“an-gelo buono” che veglia sulla Spagna e chedirige tutti i suoi sforzi volti a ottenereche, nel paese e nel mondo, tutti si voglia-no bene e siano felici. La sua benevolenzanei confronti di Rajoy si è espressa nelladecisione di partecipare personalmenteassieme al leader popolare alla conferen-za stampa che ha chiuso l’incontro. Rajoyè tornato a casa avendo ribadito le posi-zioni del suo partito di rifiuto di ogni con-cessione all’Eta e di ogni sospensione del-lo stato di diritto e della legislazione vi-gente nei confronti dell’Eta, ma avendo in-cassato pure il rifiuto del presidente delgoverno a far riferimento al patto costitu-zionale contro il terrorismo. Non a casonella lettera aperta di Francisco José Al-caraz (presidente dell’Associazione vitti-me del terrorismo) si sottolinea l’uso del-l’espressione “processo di pace” e dellaparola “incidenti” per definire gli atten-tati e il mancato utilizzo del termine “as-sassini”. “Non ricordo quando ha chiama-to per l’ultima volta assassini i terroristidella banda Eta”, scrive Alcaraz, parentedi tre dei morti nell’attentato di Zaragozadell’11 dicembre 1987, nel quale morironoundici persone fra cui cinque bambini.Per la verità, sia la sua Associazione siaIniciativa ciudadana Basta Ya hanno de-nunciato il distacco dalle premesse con-divise del Pacto Antiterrorista che si de-sume dai comunicati dell’Eta e dalle di-chiarazioni di Zapatero.

La società spagnola si trova a un biviocosì drammatico che forse renderà possi-bile liberarsi dell’efficacissima ragnateladi parole costruita da Zapatero.

Ana Millán Gasca

ti in tempi di legislative italiane incom-benti – lo guardano come gli affezionatidell’ippodromo di Tor di Valle guardereb-bero arrivare Varenne in pista. “Osservalo,ha i raggi laser negli occhi”, mormora l’a-nonimo, che tale vuole restare per evitareil gioco dei confronti impietosi.

A Monte Mario, dopo Mastella (fischiato)“L’Europa – ha detto Sarkozy – ha bisogno

di essere rilanciata. Ci sono molte cose sucui lavorare: dobbiamo creare una politicadell’immigrazione comune, una politica del-l’energia comune, una politica comune an-che sull’ambiente. Su questi temi dobbiamodare risposte a tutti i cittadini europei”.“Credo che questa – aveva detto arrivandoai lavori del congresso – sia un’ottima occa-sione per vedere che cosa succede in Euro-pa – per rafforzare i rapporti di amicizia perrilanciare l’Europa. Sono molto contento diincontrare il cancelliere tedesco, AngelaMerkel”. Mentre è sul podio e parla di po-litiche comuni si rivolge alla sua destra, do-ve sono seduti Berlusconi, insieme conMerkel e il presidente della Commissioneeuropea, Josè Manuel Barroso. Il suo inter-vento è il più breve. Il più ascoltato. Poi, sic-come un congresso a Monte Mario del Par-tito popolare europeo con i video celebrati-vi in bianco e nero e il demi-monde politicoche esce nei corridoi a cicalare non è l’am-biente dabbene per il primo candidato “al-l’americana” all’Eliseo, Sarko cammina alarghi passi fino alla macchina, legge il cen-tesimo appunto, fissa con i laser fuori dal fi-nestrino e scompare.

Daniele Raineri

A due passi da Sarkozy, seduttore politico con il laser negli occhi

ETA, NAZIONALISMI E NUOVI DIRITTI: LA TRUFFA DEL BUONISMO CIUDADANO È EFFICACE E PERICOLOSA. MA IL PPE NON SI SVEGLIA

MARKETING CREATIVO

Oggi quattro pignolerie veloci veloci.Prima: non si può, come ha fatto Ser-

gio Romano sul Corriere della Sera digiovedì 23 marzo rispondendo a un letto-

re, parlare della “Dottrina Monroe” sen-za neppure nominare John QuincyAdams, all’epoca segretario di stato e ve-ro ispiratore della stessa.

Seconda: non è possibile, come ha fat-to Omero Ciai sulla Repubblica di saba-to 25 marzo trattando del libro “L’Argen-tina non vuole più piangere” del giorna-lista Italo Moretti, scrivere che l’or oracitato titolo “fa il verso al famoso hit delfilm su Evita ‘Don’t cry for me Argenti-na’” visto che non alla pellicola di AlanParker, del 1996, si doveva nel caso fareriferimento ma al precedente (1978) mu-sical di Tim Rice e Andrew Lloyd W eb-

ber del quale il celeberrimo brano è ilpezzo più noto.

Terza: non si può chiedere, come hafatto Amadeus nel quiz televisivo “L’ere-dità” andato in onda venerdì 24 marzo:“Quale tra questi quattro campioni ita-liani non detiene il record, appunto ita-liano, della sua specialità” e includeretra i quattro Gelindo Bordin. Come san-no anche i sassi, infatti, considerata la di-versità dei percorsi (più o meno salite,discese, curve, rettilinei…), non esiste unrecord mondiale, europeo, asiatico, ita-liano… per la maratona ma al riguardosi parla di “migliore prestazione”.

Quarta: non è possibile affermare (co-me fa la Repubblica, nelle pagine sporti-ve, sabato 25 marzo, in una didascalia)che Gino Bartali è nato a Firenze quando,come tutti sanno, è nativo di Ponte a Ema.

Mauro della Porta Raffo

Un appunto per Amadeus sulla maratona

PIGNOLERIE

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ANNO XI NUMERO 77 - PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

Milano. “Che cosa ha da dire in propositola destra, visto che l’anomalia è evidente edè un problema della democrazia, non dellasinistra? Che proposta hanno gli intellettua-li preoccupati solo dell’inesistente ‘espro-prio’?”. Domande cruciali per il direttore diRepubblica Ezio Mauro. Il tema natural-mente è il conflitto d’interessi; naturalmen-te “gli intellettuali preoccupati solo dell’i-nesistente ‘esproprio’?” sono Giuliano Fer-rara, Piero Ostellino e Sergio Ricossa, chemartedì hanno co-firmato sul Foglio un “Ap-pello a Prodi” in cui si chiede al candidatounionista di dichiararsi contro ogni futuraipotesi legislativa intesa a impedire a Ber-lusconi di proseguire l’attività politica, inforza del suo conflitto d’interessi. La rispo-sta di Romano Prodi non è ancora pervenu-

ta. In compenso è arrivato, ieri, l’editorialedi Ezio Mauro, che le risposte le chiede in-vece ai firmatari dell’appello liberale.

Professor Ricossa, che cosa si può rispon-dere alle domande che vi vengono poste daldirettore di Repubblica? “Innanzitutto miprovoca una grande tristezza che il direttoredi un grande giornale dimostri di avere cosìtanta paura della libertà di espressione, epiù ancora abbia così poca stima dell’intel-ligenza e della capacità di scegliere da par-te degli italiani, dei lettori, di quello che unavolta si chiamava ‘il popolo’”. Ciò detto, laprima e unica risposta da dare, secondo Ri-cossa, è quella classica di una visione libe-rale: “Una democrazia è tale perché con-sente ai cittadini, a tutti, di esprimersi. Eperché presuppone che tutti non solo abbia-

no il diritto di farlo, ma anche la capacità difarlo attraverso tutti i mezzi di comunicazio-ne e pure di valutare i messaggi che da talimezzi giungono. Non ci sono alternative. An-zi, l’unica alternativa è quella di istituire un‘governo dei saggi’, dei sapienti, dei censoriche decidano che cosa debba essere detto alpopolo, e che cosa no”. Su questa obiezione,Ezio Mauro ha messo le mani avanti: scriveinfatti che il conflitto di interessi “non è unproblema giacobino, ma una questione libe-rale”. Come risponde? “Di nuovo, l’unicascelta liberale è la libertà di espressione edi decisione. L’atteggiamento di Mauro e dichi la pensa come lui non è dettato solo dal-l’opposizione a Berlusconi, ma da una man-canza di fiducia di fondo nella democrazia,e nel metodo democratico e liberale”.

Dicono però che l’Italia è l’unico paese almondo dove esiste una simile concentrazio-ne di potere politico ed economico-mediati-co, e che si tratta di un problema strutturale.Nel vostro appello lo riconoscete anche voi,ammettendo che non è facile trovare solu-zioni adeguate. “A parte il fatto che bisogne-rebbe forse approfondire maggiormentequesta faccenda dell’‘unico paese al mondo’,io ritengo che in Italia, come altrove, esisteuna pluralità di fonti di informazione, a par-tire dal giornale diretto da Ezio Mauro, per-fettamente in grado di garantire ai cittadinila facoltà di scelta indipendente”. SostieneMauro che il punto vero è la “questione diprincipio”: in una competizione politica, par-tire con un maggiore vantaggio di accesso aimedia è già snaturare la gara, soprattutto og-

gi che la televisione ha completamente so-stituito il confronto diretto. “Al contrario, inogni società il conflitto di interessi, il conflit-to tra interessi differenti, è uno stimolo e unodei motori non solo dell’economia, ma pro-prio della democrazia. E’ mettere il bavaglioche blocca la democrazia, il conflitto di inte-ressi non è un problema in una società chenon teme la democrazia. Ripeto: è una que-stione di fondo, di cultura politica liberale,che qualche esponente di un certo schiera-mento non ha ancora assimilato”. A proposi-to: lei ritiene che, in caso di vittoria del cen-trosinistra, questa volta si possa giungeredavvero a una legislazione tanto illiberalecome quella da voi denunciata? “Questa vol-ta potrebbe essere più forte la componentedel radicalismo. Il rischio c’è”.

“Chi agita il conflitto di interessi non ha fiducia nella democrazia”.Ricossa vs Mauro Arriva l’afghano

Cambiare fede? Rispondono gliitaliani seguaci del Profeta e i

pochi immigrati non più islamici

Milano. L’arrivo in Italia di Abdul Rah-man, il cittadino afghano convertito al cri-stianesimo che rischiava di essere condan-nato a morte nel suo paese, apparentemen-te non sembra aver scosso la coscienza de-gli italiani, convertiti all’islam. Diecimilapersone circa che sono “tornate” ad Allahperché Maometto sul punto è stato chiaro:tutti gli uomini nascono musulmani e quin-di è solo questione di tempo. Eppure, da-vanti alla vicenda di Rahman, i volti italia-ni dell’islam parlano di sostegno della li-bertà religiosa, del libero arbitrio davantia Dio e della necessità di contestualizzarel’hadith del profeta che prevedeva l’omici-dio in tre casi: fornicazione, omicidio e la“murtad”, l’apostasia. Hamza Piccardo, se-gretario dell’Ucoii, insiste sul fatto che aitempi di Maometto le condanne a morteper apostasia furono previste per quelletribù che si ribellarono all’autorità dei Ca-liffi e vanno associate alle guerre dell’epo-ca. E dice che chi abbandona la ummah sela deve vedere con Dio, non con gli uomini.Così la pensa anche Patrizia Khadija dalMonte, che ha scritto il libro autobiografico“Storia di una veneta musulmana” (pubbli-cata dalla casa editrice dell’Ucoii, al Hik-ma), che era cristiana praticante e dice: “E’inconcepibile voler punire la persona nel-l’espressione della sua libertà religiosa, so-prattutto per noi musulmani occidentaliche siamo cresciuti in una società basatasul rispetto delle libertà individuali”.

E’ difficile sapere se le loro parole sianodettate dalla prudenza politica o dipenda-no dalla necessità di giusticare il loro “tra-dimento” dogmatico. Anche perché duran-te le nostre inchieste sul tema abbiamo in-contrato numerosi italiani “tornati” all’i-slam. Tutti convinti che il cristianesimo èuna menzogna e che Maometto rappresen-ta l’ultimo sigillo della profezia. Così comeabbiamo visto più di una volta imam e lea-der religiosi sussultare davanti all’even-tualità di tradire l’islam per il cristianesi-mo ed esclamare: “E’ un peccato grave cheviene punito con la morte”. E infatti OmarCamilletti, convertito annoverato tra i mu-sulmani liberali, spiega al Foglio che non sipuò far finta di niente, giocare con le paro-le e negare le prescrizioni del Corano: “Inuno stato islamico l’apostasia è un peccato,sanzionabile con la morte”, dice. “Il pro-blema è un altro: bisogna aprire un dibatti-to all’interno delle comunità musulmaneeuropee e interrogarsi sulla necessità di ag-giornare il messaggio del Corano. Sia sul di-vieto di cambiare religione sia su quello disposare una musulmana per un cristiano osu quale educazione si debba trasmettereai propri figli in occidente”.

Il timore di essere riconosciutiAltra cosa invece è la percezione dei

convertiti di segno opposto, “i catecumeniprovenienti dall’islam”, che hanno sposatola fede cristiana. Poche centinaia di citta-dini arabi, che vivono in Italia, hanno pau-ra di rivelarsi e vanno in chiesa di nascosto.Timorosi di essere riconosciuti dai loro fra-telli musulmani perché sanno che potreb-bero essere colpiti da una fatwa e sannoche per loro la morte sociale, decretata dal-la comunità di appartenenza, è irreversibi-le. Come sostiene Hamid Laabidi, cittadinoitaliano immigrato da Rabat che nei giorniscorsi ha deciso di uscire allo scoperto e ri-velare la propria conversione. Una sceltadecisa a metà degli anni 90 per ribellarsi alfondamentalismo diffuso all’interno dellasua comunità di provenienza. “Per i musul-mani che si convertono, tradire la propriareligione è come tradire la patria”, dice alFoglio. “Non comprendono il valore dellalibertà individuale e risentono della pres-sione ricevuta nei loro paesi di origine”.Ecco perché, quando ha abbandonato l’i-slam, alcuni fratelli che frequentavano lamoschea di Varese gli fecero sapere che sa-rebbe stato punito, anche se poi non è maisuccesso niente. Ed ecco perché oggi, da-vanti al suo “atto di coraggio”, lo hannochiamato in tanti, tutti musulmani conver-titi, per dirgli “bravo, vai avanti, ma noipreferiamo stare a guardare, se non ti suc-cede niente, allora magari un giorno anchenoi…”. Hamid pensa però che ora le cosepotrebbero cambiare e infatti vuole addi-rittura aprire un sito web per dare ospita-lità a tutti gli ex musulmani che come luihanno cambiato fede perché erano stanchi,ci dice, di sottostare ai dogmi inconfutabilidel Corano insegnato dai fondamentalisti.Come Abdul Rahman, che davanti alle te-lecamere ieri ha detto di aver scelto la Bib-bia all’età di sedici anni “per il suo mes-saggio di amore” e di “temere per la sua vi-ta e per quella dei suoi figli”.

Cristina Giudici

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Ci sono grandi novità nella ricostruzionedella cultura europea delle origini. Dal-

la scienza archeologica al new age attra-verso Internet e l’esoterismo. D’ora innanzila luce non sorgerà più in oriente ma in oc-cidente. A quanto pare, l’Europa a norddelle Alpi intende attribuirsi l’origine del-la civiltà finora concessa all’oriente e alMediterraneo. E’ stata inventata anche laformula: non ex oriente lux ma ex occiden-te lux. Come dire che l’Europa danubianaha prodotto l’alba, il meriggio e il tramontodella cultura. Insomma l’alfa e l’omega. Mastiamo ai fatti. Il 24 febbraio scorso è statoinaugurato a Roma il “Museo virtuale delleradici europee”, che raccoglie le testimo-nianze sul più lontano passato del conti-nente, conservate in sette importanti museid’Europa e le rende disponibili in rete al si-to www.europeanvirtualmuseum.it. Le isti-tuzioni che partecipano all’iniziativa sono:il museo nazionale preistorico etnografico“L. Pigorini” di Roma, il museo di preisto-ria di Berlino, il museo nazionale di storiarumena di Bucarest, il museo archeologiconazionale di Atene, il museo di storia di Bu-dapest, il museo nazionale di storia di Sofiae il museo di storia naturale di Vienna.

Una prima osservazione salta agli occhi:a parte Berlino, Roma e Atene, tutti gli al-tri musei si trovano nell’area centro-orien-tale dell’Europa, lungo l’asse attraversatodal fiume Danubio. Sarebbe dunque pro-prio in quest’area che andrebbero ricerca-te le più antiche “radici europee”. Comeafferma Marco Merlini, coordinatore delprogetto, “l’Est è il cuore dell’Europa”. Sitratta di vedere se Merlini è davvero la “te-sta” giusta per trovare il cuore del nostrocontinente. A quanto si sa collabora aqualche rivista sospesa tra la fantascienzae l’archeologia (Hera) e può vantare titoliche gli derivano, tautologicamente, dallamedesima iniziativa che coordina. La com-binazione suscita una certa curiosità e an-che il desiderio di fare un tuffo in questomuseo virtuale per scoprire, al di là dell’e-redità greca, romana e giudaico-cristiana omagari celtica, le nostre vere e più profon-de radici. Il museo virtuale presenta unaserie di oggetti databili dal 40.000 al 2.000a.C.; si tratta per lo più di manufatti di pic-cole dimensioni, come figurine animali eumane, vasi, amuleti, utensili, armi egioielli. Molti di questi oggetti sono già bennoti a chiunque si interessi di preistoria.Spiccano in particolare le panciute sta-tuette delle “Veneri” steatopigie (come lacelebre Venere di Willendorf, circa 20.000a.C.), che attestano la presenza in tutta Eu-ropa di un culto della dea madre. Protago-nista di questo museo è comunque la co-siddetta “civiltà danubiana”, fiorita a par-

struire oggi a freddo un mito preistoricosembrerebbe impossibile, e in ogni caso ri-dicolo perché infondato e lanciato verso lacostruzione artificiale di un’identità chedovrebbe prescindere dalla tradizione oaddirittura ribaltare ciò che ne sappiamocon certezza. Ci voleva Internet, con la suavocazione all’approssimazione culturale ela sua resistenza a ogni selettività, compre-sa l’incapacità di filtrare e distinguere, perprodurre sotto gli spietati riflettori dellascienza il miracolo di un mito creato exnihilo.

Il senso di quest’iniziativa, che sembrastare a metà tra il serio e il faceto, e allaquale Repubblica ha dedicato un’interapagina il 22 febbraio scorso, lascia per-plessi. Da un lato, appartiene in qualchemodo al filone new age nella sua misti-cheggiante visione di una pacifica societàoriginaria che si fondava sul culto dellagrande madre, che usava la scrittura percomunicare con gli dèi e che non era te-nuta insieme, a differenza dei dispotici im-peri dell’antico oriente, da un potente Sta-to monarchico, ma si organizzava su unarete di villaggi rurali in rapporto di reci-proco sostegno. Dall’altro, sembra circon-data da un alone di serietà, godendo del-l’adesione di importanti musei europei esoprattutto dell’appoggio e dei finanzia-menti dell’Ue (e indirettamente del comu-ne di Roma). A me pare che, consapevol-mente o meno, quest’iniziativa inauguri unrevisionismo preistorico, che sembra dareil cambio a quello storico. L’identificazio-ne con la “civiltà danubiana” è forse un in-dizio per tentare una spiegazione. L’Euro-pa sembra continuamente alla ricerca diradici. Screditato fortunatamente il mitodell’eredità ariana indoeuropea, appan-nato quello della res publica romana, fie-volmente praticato quello della culturagreca, si cerca di consolidare le radici giu-daico-cristiane piantandole in un sostratopreistorico centrato sul Danubio. L’Europaè alla ricerca di radici perché, paradossal-mente, non sa ricordare. O meglio, ricordama non ha memoria culturale, perché con-suma i propri ricordi come un alcolista lavodka, sborniandosi di notte e risveglian-dosi al mattino senza memoria. In questosenso è l’opposto dell’antico Israele, il cuipopolo si è costituito e perpetuato sottol’imperativo del shamor we-zaqor “Con-serva e Ricorda”.

Abbiamo bisogno di molte cose per affi-nare la nostra consapevolezza della storiaeuropea e della nostra identità culturale,ma è dubbio che ci possano servire museivirtuali e interpretazioni esoteriche del-l’archeologia e dell’antropologia.

Aldo Piccato

tire dall’ottavo millen-nio a.C. nel sudest del-l’Europa. Si tratta diuna tipica civiltà neo-litica fondata sull’agri-coltura e su un’urba-nizzazione limitata aivillaggi, non priva diprofondi agganci conle culture neolitichedel vicino oriente econ quelle dell’Europaoccidentale e setten-trionale. Questa civiltàdanubiana si identifi-ca in parte con il con-cetto di “Old Europe”coniato da Marija Gim-butas, la celebre stu-diosa autrice di “Il lin-guaggio della dea”. Sideve appunto allaGimbutas la valorizza-zione dei reperti ar-cheologici danubiani ela ricostruzione di unacomplessa civiltà old-european fondata sulculto matriarcale delladea madre e su unapacifica convivenza travillaggi legati dallemedesime credenze.Purtroppo le scopertedella Gimbutas, unavolta “riscoperte” daicultori dei movimentineopagani e dall’Ar-cheomythology, hannoprodotto favole e oggipersino un museo virtuale. Non che l’ar-cheologia applicata allo studio della mito-logia sia in sé priva di legittimità scientifi-ca, ma bisogna distinguere tra l’archeolo-gia che studia i miti antichi e i mitomani

moderni che abusano dell’archeologia persuffragare le loro invenzioni.

Il vero gioiello del museo sono i docu-menti che recano iscrizioni nella cosiddet-ta “scrittura del Danubio”. Si tratterebbe,secondo H. Haarmann, di una vera e pro-pria scrittura sorta almeno duemila anniprima di quella cuneiforme in Mesopota-mia e di quella geroglifica in Egitto. Questo

scrittura nella storia europea? Ebbene, èscomparsa senza lasciare traccia, almenosulla superficie della terra. In Europa, lo sivoglia o no, la scrittura è stata introdotta daigreci, i quali l’avevano imparata dai feniciche, a loro volta, erano gli eredi di una lun-ga tradizione dell’area siropalestinese, do-ve nel secondo millennio a.C. era stata in-ventata la scrittura alfabetica.

Un discorso analogo vale anche per ilculto della dea madre. Si tratta, come bennoto, di una venerazione pressoché univer-sale. La presenza di un culto di questo tiponon distingue però l’area danubiana e l’Eu-ropa dal resto del mondo. Secondo Haar-mann persino la popolarità della VergineMaria nella cultura religiosa europea sa-rebbe dovuta al persistere del culto del-l’antica dea madre. Il che, naturalmente, èvero, ma non significa nulla, o almeno nondal punto di vista delle “radici europee”.Per di più, la stessa figura della V ergineMaria ha antecedenti molto più diretti in

altre dee madri delmondo mediterraneoantico, come Cibele eIside, che nell’Asinod’Oro di Apuleio vieneadorata con una pre-ghiera che ricorda l’A-ve Maria e che è co-munque rappresentatacon un manto celestestellato identico aquello della Madonnadi Cimabue.Viene da domandarsi,a questo proposito, co-me si possa ridurre co-sì sfacciatamente unconcetto universale aun particolare e conquale coraggio si possadefinire con tanta me-ticolosità un confine(geografico, linguistico,culturale) dell’Europagià nel 12.000 a.C. Inrealtà, basta leggere“Il Ramo d’oro” di Ja-mes G. Frazer per rico-noscere le innumere-voli trame che unisco-no la mitologia e la tra-dizione popolare euro-pea con quelle di tuttoil resto del mondo, dal-l’Africa, all’America eall’Australia. Quando si parla di ra-dici e di identità siparla inevitabilmentedi memoria o, più pre-

cisamente, di memoria culturale, ossia me-moria collettiva di particolari eventi chefondano l’identità di un gruppo. T ale è, adesempio, la memoria dell’esodo dall’Egittoper gli ebrei, che appunto nel ricordo di

questo evento hanno costruito la propriaidentità di popolo. E poco importa che que-sti “eventi” siano storici o più o menoaffondati nel mito. Ciò che conta è il signi-ficato che gli viene attribuito nel ricordo.Della grande cultura danubiana non ab-biamo, ahimé!, nessuna memoria culturale.Ne abbiamo tuttalpiù una memoria ar-cheologica. Ma è una cosa ben diversa. Co-

Haarmann presiede la sezione europea del-l’Institute of Archaeomythology con sede aSebastopol, in California, non lontano dun-que da Las V egas, dove è più facile inter-pretare lingue ancora sconosciute grazie aun’incontenibile fantasia spettacolare. Lascrittura cui si riferisce Haarmann sarebbestata inoltre inventata e utilizzata, a suo giu-dizio, non per meri scopi amministrativi eburocratici ma per comunicare direttamen-te con gli dèi. Il problema, purtroppo, è chenon è stata ancora decifrata e che, a causadella estrema brevità delle iscrizioni con-servate, probabilmente non lo sarà mai. Ese anche un giorno lo fosse, è ben difficileche si scoprirebbero grandi e arcane veritàsul nostro passato e le nostre radici euro-pee. Infatti, che cosa sarà mai stato scrittocon questi caratteri? Non lo sappiamo, mala stessa brevità delle iscrizioni ci permettedi dire che non potrebbero rivelarci moltopiù di qualche nome di oggetti o di divinità.Ma c’è dell’altro: che fine ha fatto questa

MUSEO VIRTUALE D’EUROPAE se fossimo nati dal Danubio? Un’ipotesi che si è fatta “reperto”

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ANNO XI NUMERO 77 - PAG III IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 31 MARZO 2006

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Non sappiamo ricordare. Forseper questo siamo affascinati dalleinterpretazioni un po’ esoterichedell’antropologia e dell’archeologia

Si tratta di un sito internet cheraccoglie testimonianze (maanche favole) su unafantomatica civiltà delle origini