065 MER 07-03-01

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La Giornata * * * * * * In Italia Nel mondo Berna. “Questa Europa è un progetto sba- gliato”. A dirlo è Christoph Blocher, il lea- der carismatico della destra populista sviz- zera. La sua interpretazione del voto con il quale domenica scorsa gli svizzeri hanno detto “no” all’immediata apertura di nego- ziati per l’adesione all’Unione europea, è diametralmente opposta a quella che ne dà il governo elvetico. Ma il governo, che pure chiedeva ai cittadini di respingere la pro- posta, appare imbarazzato da questa vitto- ria che ha assunto dimensioni inattese (il 76,7 per cento) e che regala al suo principa- le oppositore la sicurezza di avere in pugno il dissenso popolare anche rispetto ad altre scelte politiche di fondo. Imprenditore di successo, Christoph Blo- cher lavora da una decina d’anni al proget- to dichiarato di indebolire la politica e lo Stato sociale a favore di una maggiore im- portanza dell’economia nel processo deci- sionale. L’avversione all’Europa è uno dei temi centrali del suo programma: la piccola Svizzera, isola di liberismo economico qua- si totale, non può perdere vantaggi e privi- legi lasciandosi affogare passivamente nel mare delle direttive comunitarie. Tuttavia anche resistere e isolarsi ostinatamente può essere controproducente. Di qui la strategia di Blocher e dei potentati economici: resta- re fuori dall’Ue il più a lungo possibile, ne- goziare dall’esterno tutto il negoziabile e trarre da questa situazione il maggior pro- fitto possibile. Naturalmente, trasferire que- sta strategia sul piano politico e diplomati- co, nelle dovute forme e con motivazioni credibili, non è impresa facile. Ma questi so- no problemi del governo. Blocher – che pu- re ha un uomo del suo partito nell’esecutivo federale – si limita a svolgere quel ruolo di censore e di pungolatore che il mondo eco- nomico in modo più o meno tacito gli ha af- fidato. E per ottene- re il con- senso si serve di ar- gomenti un po’ dema- gogici e ul- timativi: l’indipendenza del paese e la tradi- zionale neutralità elvetica sono in pericolo; il processo di apertura del paese (più stra- nieri, più criminalità, più disordine) va fer- mato e perciò l’immigrazione va posta sotto controllo; il nemico interno è la sinistra, che vuole – secondo Blocher – soltanto sperpe- rare il denaro pubblico ed eliminare il se- greto bancario. La proposta, lanciata cinque anni fa dalla sinistra, di aprire subito i ne- goziati di adesione all’Ue, non poteva trova- re il consenso del Consiglio federale (il go- verno), che nel frattempo era riuscito a con- cludere con l’Ue una serie di accordi econo- mici settoriali. Berna preferisce gestire il processo di avvicinamento all’Unione euro- pea con calma, senza farsi travolgere né da- gli entusiasmi della sinistra europeista, né dagli atteggiamenti perentori di Blocher. Il ministro degli Esteri: “Non è un rifiuto” Dopo che l’anno scorso i cittadini aveva- no approvato, con il 67 per cento dei voti, gli accordi economici con l’Ue, gli osservatori si attendevano una consistente quota, sia pur minoritaria, di consensi alla proposta della sinistra. Il governo sperava così di ot- tenere una conferma della sua politica, sen- za offrire troppi argomenti alla protesta del- la destra. Invece, quel 67 per cento che l’an- no scorso era stato interpretato come un “sì” degli svizzeri all’Europa, è di colpo di- ventato un 77 per cento di “no”. Come spie- garlo a Bruxelles? Come far capire ai Quin- dici che la bocciatura di un aspetto formale non va vista come un rifiuto dell’Europa? Da questi interrogativi nasce l’imbarazzo del governo, il cui compito sarebbe stato molto più facile se la proposta fosse stata re- spinta con una quota di “no” di poco supe- riore al 50 per cento. Il ministro degli Este- ri, Joseph Deiss, si è affrettato a dire che la decisione popolare “non rappresenta un ri- fiuto dell’adesione all’Ue, ma conferma la politica d’integrazione europea” del gover- no. Gli ha fatto eco, beffardo, Blocher: “Nes- suno può capire questa dichiarazione del ministro Deiss”. Ma l’inquietudine del Con- siglio federale è ancor più comprensibile perché lo stesso Blocher dice che questo vo- to lo incoraggia a proseguire anche la bat- taglia contro l’adesione all’Onu, sulla quale gli svizzeri dovranno pronunciarsi l’anno prossimo. Se i rapporti con l’Ue sono fonda- mentali dal punto di vista economico, quel- li con l’Onu sono essenziali sul piano politi- co. Il governo vuole togliere la Svizzera da un isolamento che spesso la rende invisa e ne ostacola le relazioni internazionali. Blo- cher vuole invece conservare la situazione attuale il più a lungo possibile: a lui basta che siano ben visti i capitali, l’economia e il mondo degli affari svizzeri. Per lui, la Sviz- zera sarà a lungo “un’isola felice”. L’Europa – dice – sarà pure diventata un grande vil- laggio, ma sarà bello viverci se “tutti gli abi- tanti avranno nelle loro mani le chiavi di ca- sa propria”. Roma. Reduci da “vent’anni di proibizio- nismo e immobilismo” urbanistico-struttu- rale, si dicono arrabbiati, umiliati, delusi. Sono architetti, professori, esperti di piani regolatori, autostrade, sistemi idrici e fer- rovie. Si riuniranno a convegno il 16 marzo, a Roma, per ribadire il loro no alla filosofia del “vietato ricercare e vietato progettare, che qualcuno ha grossolanamente identifi- cato con la tutela dell’ambiente e della so- cietà”. Sotto l’ombrello dell’Osservatorio laico di Giovanni Negri rifletteranno su co- me “modernizzare il paese del non fare”, proprio come i colleghi scienziati. Sotto i soffitti di Palazzo San Macuto si narreranno gli “strani casi” di metrò, valichi, varianti, ponti, dighe e stretti. E si scherzerà sulle boutade che circolano negli ambienti dell’ “integralismo” verde: “Mancano gli incene- ritori? Meno male, così le industrie saranno costrette a produrre meno rifiuti”. A San Macuto verrà presentato un Libro Bianco che si propone di “riaprire il dialogo tra modernità e politica”. Settimane fa, aveva colpito che a protestare contro la politica governativa, ci fosse il principale collabo- ratore di Rosy Bindi, Silvio Garattini. Ora discutono del “mal di pancia” degli urbani- sti storici e rigorissimi sostenitori della “po- litical correctness” nel governo delle città. Marcello Vittorini, docente di urbanisti- ca alla Sapienza, paragona il “balzo in avan- ti dell’Italietta nata dall’unificazione che tra il 1880 e il 1900 realizzò oltre 7.000 chilome- tri di ferrovia, con il chiacchiericcio incon- cludente e presuntuoso che ha accompa- gnato nell’ultimo ventennio la non realizza- zione di opere pubbliche”. Il professor Vit- torini non parla di “grandi opere, quelle che fanno presa sulla pubblica opinione, ma di sistemi complessi. Il ponte sullo stret- to di Messina abbrevierà pure di 20 minuti il collegamento con l’Italia continentale. Però il problema è un altro: a Eboli non si è fermato solo Cristo, ma pure i rapidi. Per av- vicinare la Sicilia basterebbe potenziare la linea Messina-Palermo. Il traffico impazzito dei centri storici è solo un sintomo di un più ampio squilibrio territoriale e per elimi- narlo non si può ‘pianificar facendo’ come Rutelli a Roma. E pensare che Sisto V in cinque anni ha costruito i palazzi Latera- nensi e avviato la bonifica delle paludi pon- tine”. Anche Aurelio Misiti, che tra il 1994 e il 2000 ha presieduto il Consiglio superiore dei lavori pubblici, fa confronti con l’Italia del passato: “Nel decennio 60-70 il nostro paese era all’avanguardia in Europa, sia per l’alta velocità ferroviaria che per il si- stema autostradale. Poi è rimasto indietro”. Meglio l’Italietta di fine Ottocento Per il professor Antonio Tamburrino, che insegna Strutture ambientali alla Sapienza, “l’immobilismo attuale può essere una rea- zione di ripensamento dopo una fase di svi- luppo. Nei secoli scorsi siamo stati degli apripista, l’Italia era uno dei paesi più an- tropizzati. Ora stiamo tirando il fiato. E’ suc- cesso anche all’inizio dell’epoca moderna: un’inversione dopo un momento di grande innovazione. Ma dobbiamo recuperare in fretta un ruolo attivo nella storia del piane- ta. In fondo, anche gli ambientalisti pro- muovono lo sviluppo. Lo chiamano ‘svilup- po sostenibile’, e il sostantivo sviluppo è più importante dell’aggettivo sostenibile. Però i nostri ambientalisti hanno lo sguardo corto. Anch’io amo le lenticchie di Castelluccio e il lardo di Colonnata. Ma non si può progre- dire solo con loro. E poi, anche quelli sono stati inventati”. Tamburrino ha una ricetta, “lo sviluppo armonico. Un progresso che ri- spetta l’ambiente. Ho lavorato come consu- lente del consiglio dei ministri nel 1995. Avevamo offerto dei progetti all’ammini- strazione comunale romana impegnata nel- la preparazione del Giubileo. Non li ha ap- prezzati. Si è fermata alla teoria. Conti- nuerò a proporre un sistema di metropoli- tane automatizzate, senza guidatore. A Ro- ma il metrò è costruito secondo principi del secolo scorso, come un treno che collega campagna e città. C’è l’ostacolo dell’archeo- logia? Basta scendere in profondità. Ho in mente un centro di Roma servito da stazio- ni del metrò, distanti non più di cinque mi- nuti a piedi l’una dall’altra. Un centro libe- ro da motorini, autobus e automobili”. Il ta- lebano verde può stare tranquillo: “In que- sto modo, tra l’altro, si pulisce l’aria”. Il Libro Bianco trabocca di j’accuse sulla “mancata modernizzazione” della Roma giubilare.Tra i vari interventi anche un’in- tervista, del 1999, dell’architetto Massimi- liano Fuksas, che pure dice di aver votato due volte per Rutelli: “A due anni dalla fi- ne del secondo mandato Rutelli spiegano che stanno progettando, mentre il sistema di trasporti in superficie è penoso. Quanto alla trasparenza, è così trasparente che non c’è”. Dissente dalle politiche romane anche Giorgio Muratore, storico dell’architettura, che esorta i futuri gestori dei Beni cultura- li “chiunque essi siano”, a “non fermarsi al- le operazioni di facciata e all’uso strumen- tale dell’architettura contemporanea”. “UN REFERENDUM CONTRO IL FALSO FEDERALISMO”, lo chiede la Casa delle Li- bertà. Dopo un vertice del centrodestra, Gianfranco Fini annuncia che “i leader del- la Casa delle Libertà hanno dato mandato ai loro parlamentari di promuovere un refe- rendum” sul falso federalismo della sinistra (previsto per giovedì mattina il voto del Se- nato). “Anche i presidenti delle Regioni del centrodestra - ha detto Silvio Berlusconi - se- guiranno questa strada”. *** Cassazione sulla Consob: secondo la su- prema corte, l’organo di vigilanza sulla Bor- sa può essere chiamato a risarcire i cittadi- ni che abbiano subìto danni da operazioni su cui è mancata la corretta informazione. *** Liste civetta: Casa delle Libertà d’accordo con Ciampi ma l’intesa deve riguardare tre punti: no alle liste civetta, no a desistenze, no ai ribaltoni. Rutelli: “Se vinco, mi impe- gno a tornare alle urne in caso di un cambio della maggioranza che mi sostiene”. *** Afta: gli agricoltori presidiano la frontiera con la Francia per impedire che in Italia entrino carichi di animali o di carni infette. Il comitato veterinario europeo ha stabi- lito il blocco delle esportazioni degli anima- li tra i paesi Ue (sono previste però alcune deroghe). E’ stato inoltre prolungato fino al 27 marzo l’embargo sugli animali e prodot- to britannici. *** Ruini confermato presidente della Cei per la terza volta consecutiva. E’ la prima volta che un porporato resta al vertice episcopale per 15 anni (un mandato dura cinque anni). *** La legislatura potrebbe chiudersi venerdì, giorno in cui Ciampi dovrebbe firmare il de- creto di scioglimento. Il Senato ha seguito l’esempio della Ca- mera e calendarizzato i lavori parlamentari fino a giovedì. Ieri Palazzo Madama ha ap- provato il pacchetto sicurezza. *** Casa delle Libertà al 53 per cento contro il 40 di Ulivo più Prc. Lo ha detto Berlusconi citando “gli ultimi sondaggi Datamedia”. Berlusconi sulle polemiche del Financial Times di ieri: “Vedo in Bossi un’assoluta moderazione. Un’assoluta moderazione”. *** Presentato il simbolo del Girasole: nella parte alta c’è un sole che ride con la scritta Verdi, di fianco la rosa con la scritta Sdi, sotto la scritta Girasole con il fiore disegna- to dentro la “o”. Francescato e Boselli: “Sarà la lista che farà vincere l’Ulivo”. Dopo lo strappo con Giorgio La Malfa, Luciana Sbarbati ha presentato ieri il mo- vimento Repubblicani europei. Tra le ade- sioni, anche quella di Vittorio Dotti, ex ca- pogruppo di FI alla Camera. *** “Dopo le elezioni, la sinistra si unifichi”. “Comunque vadano le Politiche - dice Wal- ter Veltroni - i riformisti devono dare vita a un nuovo partito e combattere insieme”. *** La mafia gestiva gli appalti dell’Inda (Isti- tuto nazionale del Dramma antico) di Sira- cusa. Quindici arresti, tra cui il direttore del teatro stabile di Catania, Filippo Amoroso. *** Tutti assolti per la sciagura del Pendolino in cui, il 12 gennaio ’97, morirono otto perso- ne. Per il tribunale di Piacenza, i 25 funzio- nari delle FS accusati di omicidio colposo plurimo “non hanno commesso il fatto”. *** E’ morta a 75 anni Luce D’Eramo. Il suo romanzo più celebre: “Deviazione”. *** Borsa di Milano. Mibtel: 27.935 (+1,79%). L’euro (0,9279) perde 0,0026 punti sul dollaro. OGGI ARIEL SHARON PRESENTA IL SUO GOVERNO ALLA KNESSET. Ne fanno parte, oltre al Likud, sei partiti (tra gli altri, laburisti, Shas e immigrati russi). La mag- gioranza ha 70 voti su 120. Il premier: “Stia- mo facendo sforzi enormi per raggiungere la pace, ma la battaglia per la sopravviven- za di Israele non è ancora finita”. Avraham Burg, presidente della Knesset: “Gli israe- liani vogliono dare un’opportunità a Sha- ron, anche quelli che non lo hanno votato”. *** Stati Uniti, la produttività è cresciuta del 2,2 per cento nell’ultimo trimestre del 2000. Meno delle previsioni del governo (2,4), più delle attese degli economisti (2). Il costo del lavoro è invece aumentato del 4,3 per cento (percentuale più alta degli ultimi tre anni). *** Germania: la disoccupazione è salita al 10,1 per cento a febbraio, +0,1 rispetto al mese precedente. Lo dice l’Ufficio del lavoro. *** Il Papa potrebbe andare ad Atene ai primi di maggio. Atteso, ieri sera, l’annuncio del Sinodo greco ortodosso riunito nella capi- tale greca. Isidor Batikha, l’arcivescovo in- caricato di organizzare la visita di Giovanni Paolo II in Siria: “Il Pontefice annuncerà la ritrovata unità tra le Chiese siriane, quella occidentale e quella orientale”. Alessio II, capo della Chiesa ortodossa russa: “Ho avu- to pressioni politiche per invitare il Papa a Mosca, ma non se ne farà nulla finché non risolveremo i contrasti”. *** Il giudice a Napster: “Avete tre giorni per togliere dal sito tutta la musica coperta da diritto d’autore”. Le industrie discografiche dovranno indicare le canzoni vietate. Prima Napster aveva annunciato di aver comin- ciato a mettere i primi blocchi. *** La Cina aumenterà le spese militari del 17,7 per cento. Lo ha annunciato il ministro delle Finanze, Xiang Huaicheng, all’As- semblea nazionale del popolo. Il governo comunista minaccia gli Stati Uniti: “Se ven- derete armi a Taiwan, correrete seri peri- coli”. Pechino nega di aver aiutato Baghdad a ricostruire la difesa antiaerea. *** Argentina, un giudice contro l’amnistia ai militari. Durante un processo per il rapi- mento di una ragazza, il giudice federale Gabriel Cavallo ha giudicato incostituzio- nali due leggi che impediscono l’incrimina- zione degli ufficiali della dittatura. *** Russia, la Duma voterà la sfiducia al go- verno il 14 marzo. Lo ha detto il leader dei comunisti, Ghennadij Zjuganov. Anche il partito di Putin vuole le elezioni anticipate. *** Stati Uniti e Ue contro i ribelli albanesi nel sud della Serbia e in Macedonia: “Van- no isolati”. Anche il premier albanese, Ilir Meta, li ha invitati a lasciare le armi. Il go- verno di Skopje ha chiesto alle Nazioni Uni- te di creare una zona smilitarizzata lungo il confine tra Macedonia e Kosovo. *** Kim Dae Jung a Washington. Il presiden- te sudcoreano incontrerà Bush, Powell e il ministro del Tesoro Paul O’Neill. In agenda: i rapporti con la Corea del Nord e la situa- zione economica in Estremo Oriente. Dick Cheney è uscito dall’ospedale dopo l’operazione al cuore. I medici: “Sta bene”. *** Spagna, arrestati 15 ragazzi dell’Eta. La po- lizia: “Erano della Haila, l’ala giovanile del- l’organizzazione terroristica basca”. *** Ulster, Blair vuole rilanciare i negoziati di pace. Ieri ha chiamato il premier irlandese, Bertie Ahern. I servizi segreti inglesi temo- no nuovi attentati della Real Ira a Londra. Secondo il quotidiano The Indipendent, un inviato di Saddam Hussein sarebbe vo- lato a Londra per riallacciare i rapporti di- plomatici con il governo britannico. *** Afghanistan, i talebani hanno sospeso la demolizione dei Buddha a Bamiyan. “Rico- minciamo domenica, dopo la festa di Eid ul Adha”, hanno detto gli integralisti. La notizia arrivata a Foggy Bottom dal Li- bano è preoccupante. La comunità ebraica americana è in allarme. L’Iran, con gli Hez- bollah, ha organizzato una conferenza sulla “negazione dell’Olocausto” a Beirut. L’uomo scelto dal ministero della Cultura di Teheran per coordinare il convegno è lo storico nega- zionista svizzero Juergen Graf. Il personaggio, direttore di Veritè et justice, è oggi ospite del governo a Teheran. Collabora con Graf, nel progetto libanese, l’americano Mark Weber, direttore dell’Institute for Historical Review, organizzazione negazionista californiana. La conferenza si dovrebbe tenere a Beirut tra il 31 marzo e il 3 aprile. Gli obiettivi dell’incon- tro sono rafforzare la cooperazione fra i pae- si islamici e i negazionisti occidentali. Graf e Weber ogni anno organizzano incontri “nega- zionisti”, ma quello di Beirut è il primo so- stenuto da Hezbollah e Iran. E il primo a svol- gersi in un paese arabo. L’Iran ha già stanzia- to 100 mila dollari e si occuperà della sicu- rezza. L’uomo di Teheran a Beirut incaricato di tutto è Mahdi Taskhiri, addetto culturale e uomo dei servizi. Taskhiri è al servizio del fratello Ali, capo dell’Islamic Culture and Communication Organization, istituzione po- litico-culturale in ottimi rapporti con Graf. Al dibattito beirutiano sono stati invitati due esponenti anti israeliani, Robert Faurisson e Roger Garaudy. Il rapporto fra Graf e gli ira- niani dura da 15 anni, si è intensificato dopo la condanna di Graf in Svizzera a 15 mesi, nel 1998, per “negazione dell’Olocausto”. A metà novembre del 2000 Graf è arrivato a Teheran, ospite di Alì Taskhiri. E dopo di lui l’Iran ha dato rifugio a un suo seguace, lo svizzero Wol- fang Frohlich. Oggi Graf conduce da Teheran le sue attività negazioniste, insegna all’uni- versità, parla all’Iran Broadcasting Company, la radio iraniana. E scrive in favore degli Hezbollah: organizzazione armata libanese strutturata come il partito nazista, che ha adottato persino il saluto hitleriano. L’ex presidente George Bush si fa vedere spesso a Washington. Incontra vecchi amici. La settimana scorsa è venuto in visita privata a Foggy Bottom da Colin Powell, partecipa ai meeting del potente Carlyle group, società di investimenti del suo clan di cui fanno parte James Baker, Frank Carlucci, Robert Grady. E dorme alla Casa Bianca, ospite del figlio. Ora che Dick Cheney è appena uscito dall’o- pedale e dovrà riposarsi, dopo l’operazione di due giorni fa, Bush padre dà consigli a Bu- sh figlio a tempo pieno. Soprattutto su quat- tro dossier: tasse, economia, energia, politica estera (Medio Oriente, Russia, Cina e Giap- pone sono le specializzazioni di Bush sr.). L’ex presidente ha a cuore due paesi: Kuwait e Arabia Saudita. Ma in questi giorni si occupa di Thailandia e Filippine, Cina e Giappone. Bush sr. gode di ottima salute anche se pren- de dosi massicce di Malox per l’acidità di sto- maco. La cucina della Casa Bianca gli prepa- ra minestrine e bistecchine, la dieta di chi soffre di disturbi gastrici. Si chiama Inter service intelligence direc- torate è il servizio segreto del Pakistan, di- retto dal terribile generale Mohmoud Ah- mad. L’Isi ha sostenuto i talebani, li ha rifor- niti di armi e di informazioni utili, ha per- messo che ben 20.000 pakistani si arruolasse- ro tra le truppe di Mohamed Omar, il leader dei Talebani. Le pressioni della passata am- ministrazione Clinton sul governo del gene- rale Pervez Musharraf non hanno avuto l’ef- fetto di interrompere il legame Pakistan-Af- ghanistan. Ma ora la Cia, il Pentagono, la Si- curezza nazionale e Foggy Bottom hanno de- ciso di costringere il Pakistan a scegliere o il consenso delle nazioni civili o i Talebani. La tensione è salita negli ultimi giorni da quan- do i Talebani hanno deciso di distruggere i Buddha di Bamiyan. Tutta l’Asia buddista è indignata. Il regime di Kabul non è mai stato così inviso. E Foggy Bottom ritiene che per il Pakistan sia il momento di scegliere. Se il re- gime dei generali si schiererà, però, con l’Oc- cidente, l’opinione pubblica di Islamabad li condannerà. Qualche settimana fa nel gran- de monastero islamico di Dal-ul-Aloom Haq- qania trecento capi religiosi hanno votato il sostegno ai Talebani e chiesto al governo di continuare a sostenerli. Pena la rivolta fon- damentalista. Roma. Fa discutere. Uno storico comuni- sta e un politologo liberale firmano insieme un appello per riformare la riforma dell’U- niversità varata dal centro sinistra. Luciano Canfora e Angelo Panebianco hanno le stes- se preoccupazioni, condivise da gran parte del mondo accademico. Temono gli effetti perversi della riforma avviata da Luigi Ber- linguer, che invocando gli stardard europei ha introdotto il 3+2, la laurea breve dopo tre anni di corso, e la specializzazione dopo al- tri due, oltreché un nuovo sistema di valu- tazione degli studenti fondato sui cosiddet- ti “crediti formativi”. La riforma doveva aumentare il numero dei laureati e aprire loro il mercato del la- voro? In realtà, dicono i firmatari, la laurea breve rischia di trasformare l’Università in un superliceo, contribuendo alla dequalifi- cazione generale e dando solo l’illusione di una formazione professionale. La riforma prometteva autonomia, flessibilità e inter- disciplinarità? In realtà, per com’è arrivata in porto, pilotata dalla burocrazia ministe- riale, costringe l’università in una “gabbia d’acciaio”, imponendo nor- me uniformi che annullano le differenze e mortificano l’autonomia. Perciò Canfo- ra e Panebianco, auspicano interventi che potrebbero sembrare di dettaglio ma non lo sono. Chiedono che le Facoltà siano libere di organizzare le laure brevi su tre anni o su quattro. “I tre anni - dice Panebianco - magari vanno pure bene per le discipline scientifiche, ma per quelle umanistiche sono una catastro- fe”. E’ d’accordo Gino Amiconi, che insegna Chimica alla facoltà di Medicina e nell’am- bito della Società italiana di biochimica è responsabile dell’innovazione della didatti- ca: “La nostra Facoltà non contempla lau- ree brevi, ma anche a noi il 3+2 pone enor- mi problemi di organizzazione della didat- tica”. E’ d’accordo il prorettore del Politec- nico di Milano, Giampio Bracchi: “Il 3+2 per noi va bene: corrisponde alle esigenze del mondo del lavoro, e consente una ragione- vole selezione, anche se in Italia si trovano sempre scappatoie per aggirare la selezio- ne delle eccellenze”. E d’accordo è pure il preside della Facoltà di Giurisprudenza al- la Sapienza di Roma, Carlo Angelici: “La laurea breve può essere sensata per inge- gneria, dove si può distinguere tra un tecni- co di medio e di alto livello, ma non per chi studia greco antico o diritto. Non possiamo dare una laurea a un giurista che conosce solo il diritto civile, ma non quello penale. Perciò stiamo pensando di dedicare i primi tre anni a tutte le materie fondamentali, e gli altri due alle complementari e alla tesi, che in genere richiede dagli otto ai dodici mesi di lavoro”. La questione dei crediti L’altra richiesta riguarda i crediti forma- tivi, cioè i criteri di valutazione del lavoro degli studenti che sostituiscono i vecchi esa- mi . “La legge, spiega Panebianco, non solo stabilisce che un credito equivale in teoria a 25 ore di lavoro, in aula o a casa, da parte dello studente, il che è come fissare il salario di un metalmeccanico, ma stabilisce pure quanti cre- diti assegnare alle varie di- scipline, secondo un rego- lamento minuzioso che ap- piattisce tutto e annulla le diversità tra i vari corsi di laurea”. Per liberare l’Uni- versità da quest’imposizione dall’alto, Canfora e Panebianco chiedono d’invertire la proporzione tra i crediti attribuiti per leg- ge ai vari corsi di laurea (che oggi supera il 60 per cento del totale) e quelli fissati inve- ce dalle Università. E rivendicano per l’ Università, le Facoltà e i corsi di laurea la libertà di distribuire i crediti autonoma- mente. Sembra un meccanismo oscuro, mentre è un punto nevralgico e molto delicato. “Un credito” - spiega Carlo Angelici - è un crite- rio ideale. Tutt’è vedere come lo si costrui- sce. In America, la nozione di credito non fa riferimento alle ore di lavoro, che non sono verificabili, ma alla differenza dei corsi, che varia a seconda della loro durata o delle ore di lezione. L’importante è che ogni facoltà stabilisca le percentuali dei crediti autono- mamente, perché diverso è il caso di uno studente di ingegneria che segue un esperi- mento in laboratorio e quello di uno stu- dente di giurisprudenza che prepara un’e- sercitazione studiando in biblioteca. Ma si devono rispettare anche standard comuni. E’ evidente che la riforma mira a facilitare la laurea. Un conto è aumentare il numero dei laureati, un altro assicurare la loro qua- lità”. L’appello di Panebianco e Canfora ha investito come una scossa il governo e l’U- niversità. Luciano Guerzoni, sottosegretario al Ministero dell’Università, risponde a mu- so duro che i prof dell’appello vogliono “so- spendere” nei fatti una riforma attesa da tempo, che serve a dare più autonomia (“praticamente illimitata”) alle Facoltà, e che elimina lo scandalo dei laureati ventot- tenni, “fuori dal mercato del lavoro euro- peo”. Chi è per la laurea lunga difende “in- teressi accademici stratificati”. Questo numero è stato chiuso in redazione alle 19,45 La Giornata è realizzata in collaborazione con Chilometri IL FOGLIO ANNO VI NUMERO 65 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 7 MARZO 2001 - L.1500 REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: LARGO CORSIA DEI SERVI 3 - 20122 - MILANO quotidiano TEL 02/771295.1 - SPED. ABB. POST. - 45% - ART. 2 COMMA 20/b LEGGE 662/96 - FIL.MILANO FOGGY BOTTOM Andarsene così, senza dire l’ultima parola non sarebbe stato da lui. Milly Moratti, no Lally, o Ninni, calma, lo so che è maschio, Nanni, ecco Nanni Mo- ratti, pardon, Moretti, sapeva di essere un grande. E perfino noi, goliardi-bastardi per i quali McCarthy è il maggiore critico cine- matografico americano del dopoguerra, stamattina cercheremo di intrufolarci alla prima mondiale de “La stanza del figlio”. Peggio di Muccino, cui la commissione Sa- lamandri, o Giovanna o come cazzo si chia- mava, aveva negato un conto protezione, non poteva. E, come per i complotti dei servizi deviati, anche del “Figlio in una stanza” nessuno aveva saputo una sega. Il buon marketing di una volta. Lui era di si- curo uno psicoanalista di Ancona. La mo- glie, una Morante, aveva scritto “La Storia” (1). E con due così si temeva per la stanza del bambino. Il film, molto di sinistra, ven- ne contestato dagli slavi di Novi Ligure per i quali quel bambino, come in genere i bimbi perbene, doveva essere “genetica- mente predisposto all’assassinio”. 1. Quella era Elsa, questa è Laura. LUCIANO CANFORA P erc hé l’Europa può attendere La Svizzera vuole essere meno sola ma per ora bastano i patti d’affari Il governo era per il “no” al referendum ma ha fatto piccoli passi verso l’Onu e l’Ue. La netta vittoria complica tutto Per Blocher è festa grande Negazionisti a Beirut,paga l’Iran (con gli Hezbollah) Bush sr. va a Washington, per il figlio e la Carlyle. Pakistan e Talebani “La Shoah è una balla” Anche gli urbanisti di sinistra vogliono modernizzare il “paese del non fare” Arch contro OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO DELL’UTRI ALL’UCCIARDONE VOLEVANO DUE ANNI di galera preventiva per un deputato, ma “sen- za prove”. Fine ingloriosa di indagi- ni palermitane (editoriale pagina tre) IL “MOVIMENTO” secondo Lan- franco Pace. Del ’68 italiano non colpisce la violenza, ma che ce ne fu così poca (pagina due) UN ANNO (e molti weekend) dopo, la Francia adora le 35 ore. Tre gior- ni liberi alla settimana hanno cam- biato la società (pagina tre) Un comunista e un liberale contro la riforma dell’Università Governo duro: siete corporativi Prof contro ANGELO PANEBIANCO

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In Italia Nel mondo

Berna. “Questa Europa è un progetto sba-gliato”. A dirlo è Christoph Blocher, il lea-der carismatico della destra populista sviz-zera. La sua interpretazione del voto con ilquale domenica scorsa gli svizzeri hannodetto “no” all’immediata apertura di nego-ziati per l’adesione all’Unione europea, èdiametralmente opposta a quella che ne dàil governo elvetico. Ma il governo, che purechiedeva ai cittadini di respingere la pro-posta, appare imbarazzato da questa vitto-ria che ha assunto dimensioni inattese (il76,7 per cento) e che regala al suo principa-le oppositore la sicurezza di avere in pugnoil dissenso popolare anche rispetto ad altrescelte politiche di fondo.

Imprenditore di successo, Christoph Blo-cher lavora da una decina d’anni al proget-to dichiarato di indebolire la politica e loStato sociale a favore di una maggiore im-portanza dell’economia nel processo deci-sionale. L’avversione all’Europa è uno deitemi centrali del suo programma: la piccolaSvizzera, isola di liberismo economico qua-si totale, non può perdere vantaggi e privi-legi lasciandosi affogare passivamente nelmare delle direttive comunitarie. Tuttaviaanche resistere e isolarsi ostinatamente puòessere controproducente. Di qui la strategiadi Blocher e dei potentati economici: resta-re fuori dall’Ue il più a lungo possibile, ne-goziare dall’esterno tutto il negoziabile etrarre da questa situazione il maggior pro-fitto possibile. Naturalmente, trasferire que-sta strategia sul piano politico e diplomati-co, nelle dovute forme e con motivazionicredibili, non è impresa facile. Ma questi so-no problemi del governo. Blocher – che pu-re ha un uomo del suo partito nell’esecutivofederale – si limita a svolgere quel ruolo dicensore e di pungolatore che il mondo eco-nomico in modo più o meno tacito gli ha af-

fidato. Eper ottene-re il con-senso siserve di ar-gomenti unpo’ dema-gogici e ul-

timativi: l’indipendenza del paese e la tradi-zionale neutralità elvetica sono in pericolo;il processo di apertura del paese (più stra-nieri, più criminalità, più disordine) va fer-mato e perciò l’immigrazione va posta sottocontrollo; il nemico interno è la sinistra, chevuole – secondo Blocher – soltanto sperpe-rare il denaro pubblico ed eliminare il se-greto bancario. La proposta, lanciata cinqueanni fa dalla sinistra, di aprire subito i ne-goziati di adesione all’Ue, non poteva trova-re il consenso del Consiglio federale (il go-verno), che nel frattempo era riuscito a con-cludere con l’Ue una serie di accordi econo-mici settoriali. Berna preferisce gestire ilprocesso di avvicinamento all’Unione euro-pea con calma, senza farsi travolgere né da-gli entusiasmi della sinistra europeista, nédagli atteggiamenti perentori di Blocher.

Il ministro degli Esteri: “Non è un rifiuto”Dopo che l’anno scorso i cittadini aveva-

no approvato, con il 67 per cento dei voti, gliaccordi economici con l’Ue, gli osservatorisi attendevano una consistente quota, siapur minoritaria, di consensi alla propostadella sinistra. Il governo sperava così di ot-tenere una conferma della sua politica, sen-za offrire troppi argomenti alla protesta del-la destra. Invece, quel 67 per cento che l’an-no scorso era stato interpretato come un“sì” degli svizzeri all’Europa, è di colpo di-ventato un 77 per cento di “no”. Come spie-garlo a Bruxelles? Come far capire ai Quin-dici che la bocciatura di un aspetto formalenon va vista come un rifiuto dell’Europa?Da questi interrogativi nasce l’imbarazzodel governo, il cui compito sarebbe statomolto più facile se la proposta fosse stata re-spinta con una quota di “no” di poco supe-riore al 50 per cento. Il ministro degli Este-ri, Joseph Deiss, si è affrettato a dire che ladecisione popolare “non rappresenta un ri-fiuto dell’adesione all’Ue, ma conferma lapolitica d’integrazione europea” del gover-no. Gli ha fatto eco, beffardo, Blocher: “Nes-suno può capire questa dichiarazione delministro Deiss”. Ma l’inquietudine del Con-siglio federale è ancor più comprensibileperché lo stesso Blocher dice che questo vo-to lo incoraggia a proseguire anche la bat-taglia contro l’adesione all’Onu, sulla qualegli svizzeri dovranno pronunciarsi l’annoprossimo. Se i rapporti con l’Ue sono fonda-mentali dal punto di vista economico, quel-li con l’Onu sono essenziali sul piano politi-co. Il governo vuole togliere la Svizzera daun isolamento che spesso la rende invisa ene ostacola le relazioni internazionali. Blo-cher vuole invece conservare la situazioneattuale il più a lungo possibile: a lui bastache siano ben visti i capitali, l’economia e ilmondo degli affari svizzeri. Per lui, la Sviz-zera sarà a lungo “un’isola felice”. L’Europa– dice – sarà pure diventata un grande vil-laggio, ma sarà bello viverci se “tutti gli abi-tanti avranno nelle loro mani le chiavi di ca-sa propria”.

Roma. Reduci da “vent’anni di proibizio-nismo e immobilismo” urbanistico-struttu-rale, si dicono arrabbiati, umiliati, delusi.Sono architetti, professori, esperti di pianiregolatori, autostrade, sistemi idrici e fer-rovie. Si riuniranno a convegno il 16 marzo,a Roma, per ribadire il loro no alla filosofiadel “vietato ricercare e vietato progettare,che qualcuno ha grossolanamente identifi-cato con la tutela dell’ambiente e della so-cietà”. Sotto l’ombrello dell’Osservatoriolaico di Giovanni Negri rifletteranno su co-me “modernizzare il paese del non fare”,proprio come i colleghi scienziati. Sotto isoffitti di Palazzo San Macuto si narrerannogli “strani casi” di metrò, valichi, varianti,ponti, dighe e stretti. E si scherzerà sulleboutade che circolano negli ambienti dell’“integralismo” verde: “Mancano gli incene-ritori? Meno male, così le industrie sarannocostrette a produrre meno rifiuti”. A SanMacuto verrà presentato un Libro Biancoche si propone di “riaprire il dialogo tramodernità e politica”. Settimane fa, avevacolpito che a protestare contro la politicagovernativa, ci fosse il principale collabo-ratore di Rosy Bindi, Silvio Garattini. Oradiscutono del “mal di pancia” degli urbani-sti storici e rigorissimi sostenitori della “po-litical correctness” nel governo delle città.

Marcello Vittorini, docente di urbanisti-ca alla Sapienza, paragona il “balzo in avan-ti dell’Italietta nata dall’unificazione che trail 1880 e il 1900 realizzò oltre 7.000 chilome-tri di ferrovia, con il chiacchiericcio incon-cludente e presuntuoso che ha accompa-gnato nell’ultimo ventennio la non realizza-zione di opere pubbliche”. Il professor Vit-torini non parla di “grandi opere, quelleche fanno presa sulla pubblica opinione,ma di sistemi complessi. Il ponte sullo stret-to di Messina abbrevierà pure di 20 minutiil collegamento con l’Italia continentale.Però il problema è un altro: a Eboli non si èfermato solo Cristo, ma pure i rapidi. Per av-vicinare la Sicilia basterebbe potenziare lalinea Messina-Palermo. Il traffico impazzitodei centri storici è solo un sintomo di un piùampio squilibrio territoriale e per elimi-narlo non si può ‘pianificar facendo’ come

Rutelli a Roma. E pensare che Sisto V incinque anni ha costruito i palazzi Latera-nensi e avviato la bonifica delle paludi pon-tine”. Anche Aurelio Misiti, che tra il 1994 eil 2000 ha presieduto il Consiglio superioredei lavori pubblici, fa confronti con l’Italiadel passato: “Nel decennio 60-70 il nostropaese era all’avanguardia in Europa, siaper l’alta velocità ferroviaria che per il si-stema autostradale. Poi è rimasto indietro”.

Meglio l’Italietta di fine OttocentoPer il professor Antonio Tamburrino, che

insegna Strutture ambientali alla Sapienza,“l’immobilismo attuale può essere una rea-zione di ripensamento dopo una fase di svi-luppo. Nei secoli scorsi siamo stati degliapripista, l’Italia era uno dei paesi più an-tropizzati. Ora stiamo tirando il fiato. E’ suc-cesso anche all’inizio dell’epoca moderna:un’inversione dopo un momento di grandeinnovazione. Ma dobbiamo recuperare infretta un ruolo attivo nella storia del piane-ta. In fondo, anche gli ambientalisti pro-muovono lo sviluppo. Lo chiamano ‘svilup-po sostenibile’, e il sostantivo sviluppo è piùimportante dell’aggettivo sostenibile. Però inostri ambientalisti hanno lo sguardo corto.Anch’io amo le lenticchie di Castelluccio eil lardo di Colonnata. Ma non si può progre-dire solo con loro. E poi, anche quelli sonostati inventati”. Tamburrino ha una ricetta,“lo sviluppo armonico. Un progresso che ri-spetta l’ambiente. Ho lavorato come consu-lente del consiglio dei ministri nel 1995.Avevamo offerto dei progetti all’ammini-strazione comunale romana impegnata nel-la preparazione del Giubileo. Non li ha ap-prezzati. Si è fermata alla teoria. Conti-nuerò a proporre un sistema di metropoli-tane automatizzate, senza guidatore. A Ro-ma il metrò è costruito secondo principi delsecolo scorso, come un treno che collegacampagna e città. C’è l’ostacolo dell’archeo-logia? Basta scendere in profondità. Ho inmente un centro di Roma servito da stazio-ni del metrò, distanti non più di cinque mi-nuti a piedi l’una dall’altra. Un centro libe-ro da motorini, autobus e automobili”. Il ta-lebano verde può stare tranquillo: “In que-sto modo, tra l’altro, si pulisce l’aria”.

Il Libro Bianco trabocca di j’accuse sulla“mancata modernizzazione” della Romagiubilare.Tra i vari interventi anche un’in-tervista, del 1999, dell’architetto Massimi-liano Fuksas, che pure dice di aver votatodue volte per Rutelli: “A due anni dalla fi-ne del secondo mandato Rutelli spieganoche stanno progettando, mentre il sistemadi trasporti in superficie è penoso. Quantoalla trasparenza, è così trasparente che nonc’è”. Dissente dalle politiche romane ancheGiorgio Muratore, storico dell’architettura,che esorta i futuri gestori dei Beni cultura-li “chiunque essi siano”, a “non fermarsi al-le operazioni di facciata e all’uso strumen-tale dell’architettura contemporanea”.

“UN REFERENDUM CONTRO IL FALSOFEDERALISMO”, lo chiede la Casa delle Li-bertà. Dopo un vertice del centrodestra,Gianfranco Fini annuncia che “i leader del-la Casa delle Libertà hanno dato mandato ailoro parlamentari di promuovere un refe-rendum” sul falso federalismo della sinistra(previsto per giovedì mattina il voto del Se-nato). “Anche i presidenti delle Regioni delcentrodestra - ha detto Silvio Berlusconi - se-guiranno questa strada”.

* * *Cassazione sulla Consob: secondo la su-

prema corte, l’organo di vigilanza sulla Bor-sa può essere chiamato a risarcire i cittadi-ni che abbiano subìto danni da operazionisu cui è mancata la corretta informazione.

* * *Liste civetta: Casa delle Libertà d’accordo

con Ciampi ma l’intesa deve riguardare trepunti: no alle liste civetta, no a desistenze,no ai ribaltoni. Rutelli: “Se vinco, mi impe-gno a tornare alle urne in caso di un cambiodella maggioranza che mi sostiene”.

* * *Afta: gli agricoltori presidiano la frontiera

con la Francia per impedire che in Italiaentrino carichi di animali o di carni infette.

Il comitato veterinario europeo ha stabi-lito il blocco delle esportazioni degli anima-li tra i paesi Ue (sono previste però alcunederoghe). E’ stato inoltre prolungato fino al27 marzo l’embargo sugli animali e prodot-to britannici.

* * *Ruini confermato presidente della Cei per

la terza volta consecutiva. E’ la prima voltache un porporato resta al vertice episcopaleper 15 anni (un mandato dura cinque anni).

* * *La legislatura potrebbe chiudersi venerdì,

giorno in cui Ciampi dovrebbe firmare il de-creto di scioglimento.

Il Senato ha seguito l’esempio della Ca-mera e calendarizzato i lavori parlamentarifino a giovedì. Ieri Palazzo Madama ha ap-provato il pacchetto sicurezza.

* * *Casa delle Libertà al 53 per cento contro il

40 di Ulivo più Prc. Lo ha detto Berlusconicitando “gli ultimi sondaggi Datamedia”.

Berlusconi sulle polemiche del FinancialTimes di ieri: “Vedo in Bossi un’assolutamoderazione. Un’assoluta moderazione”.

* * *Presentato il simbolo del Girasole: nella

parte alta c’è un sole che ride con la scrittaVerdi, di fianco la rosa con la scritta Sdi,sotto la scritta Girasole con il fiore disegna-to dentro la “o”. Francescato e Boselli:“Sarà la lista che farà vincere l’Ulivo”.

Dopo lo strappo con Giorgio La Malfa,Luciana Sbarbati ha presentato ieri il mo-vimento Repubblicani europei. Tra le ade-sioni, anche quella di Vittorio Dotti, ex ca-pogruppo di FI alla Camera.

* * *“Dopo le elezioni, la sinistra si unifichi”.

“Comunque vadano le Politiche - dice Wal-ter Veltroni - i riformisti devono dare vita aun nuovo partito e combattere insieme”.

* * *La mafia gestiva gli appalti dell’Inda (Isti-

tuto nazionale del Dramma antico) di Sira-cusa. Quindici arresti, tra cui il direttore delteatro stabile di Catania, Filippo Amoroso.

* * *Tutti assolti per la sciagura del Pendolino

in cui, il 12 gennaio ’97, morirono otto perso-ne. Per il tribunale di Piacenza, i 25 funzio-nari delle FS accusati di omicidio colposoplurimo “non hanno commesso il fatto”.

* * *E’ morta a 75 anni Luce D’Eramo. Il suo

romanzo più celebre: “Deviazione”.

* * *Borsa di Milano. Mibtel: 27.935 (+1,79%).

L’euro (0,9279) perde 0,0026 punti sul dollaro.

OGGI ARIEL SHARON PRESENTA ILSUO GOVERNO ALLA KNESSET. Ne fannoparte, oltre al Likud, sei partiti (tra gli altri,laburisti, Shas e immigrati russi). La mag-gioranza ha 70 voti su 120. Il premier: “Stia-mo facendo sforzi enormi per raggiungerela pace, ma la battaglia per la sopravviven-za di Israele non è ancora finita”. AvrahamBurg, presidente della Knesset: “Gli israe-liani vogliono dare un’opportunità a Sha-ron, anche quelli che non lo hanno votato”.

* * *Stati Uniti, la produttività è cresciuta del

2,2 per cento nell’ultimo trimestre del 2000.Meno delle previsioni del governo (2,4), piùdelle attese degli economisti (2). Il costo dellavoro è invece aumentato del 4,3 per cento(percentuale più alta degli ultimi tre anni).

* * *Germania: la disoccupazione è salita al 10,1

per cento a febbraio, +0,1 rispetto al meseprecedente. Lo dice l’Ufficio del lavoro.

* * *Il Papa potrebbe andare ad Atene ai primi

di maggio. Atteso, ieri sera, l’annuncio delSinodo greco ortodosso riunito nella capi-tale greca. Isidor Batikha, l’arcivescovo in-caricato di organizzare la visita di GiovanniPaolo II in Siria: “Il Pontefice annuncerà laritrovata unità tra le Chiese siriane, quellaoccidentale e quella orientale”. Alessio II,capo della Chiesa ortodossa russa: “Ho avu-to pressioni politiche per invitare il Papa aMosca, ma non se ne farà nulla finché nonrisolveremo i contrasti”.

* * *Il giudice a Napster: “Avete tre giorni per

togliere dal sito tutta la musica coperta dadiritto d’autore”. Le industrie discografichedovranno indicare le canzoni vietate. PrimaNapster aveva annunciato di aver comin-ciato a mettere i primi blocchi.

* * *La Cina aumenterà le spese militari del

17,7 per cento. Lo ha annunciato il ministrodelle Finanze, Xiang Huaicheng, all’As-semblea nazionale del popolo. Il governocomunista minaccia gli Stati Uniti: “Se ven-derete armi a Taiwan, correrete seri peri-coli”. Pechino nega di aver aiutato Baghdada ricostruire la difesa antiaerea.

* * *Argentina, un giudice contro l’amnistia ai

militari. Durante un processo per il rapi-mento di una ragazza, il giudice federaleGabriel Cavallo ha giudicato incostituzio-nali due leggi che impediscono l’incrimina-zione degli ufficiali della dittatura.

* * *Russia, la Duma voterà la sfiducia al go-

verno il 14 marzo. Lo ha detto il leader deicomunisti, Ghennadij Zjuganov. Anche ilpartito di Putin vuole le elezioni anticipate.

* * *Stati Uniti e Ue contro i ribelli albanesi

nel sud della Serbia e in Macedonia: “Van-no isolati”. Anche il premier albanese, IlirMeta, li ha invitati a lasciare le armi. Il go-verno di Skopje ha chiesto alle Nazioni Uni-te di creare una zona smilitarizzata lungo ilconfine tra Macedonia e Kosovo.

* * *Kim Dae Jung a Washington. Il presiden-

te sudcoreano incontrerà Bush, Powell e ilministro del Tesoro Paul O’Neill. In agenda:i rapporti con la Corea del Nord e la situa-zione economica in Estremo Oriente.

Dick Cheney è uscito dall’ospedale dopol’operazione al cuore. I medici: “Sta bene”.

* * *Spagna, arrestati 15 ragazzi dell’Eta. La po-

lizia: “Erano della Haila, l’ala giovanile del-l’organizzazione terroristica basca”.

* * *Ulster, Blair vuole rilanciare i negoziati di

pace. Ieri ha chiamato il premier irlandese,Bertie Ahern. I servizi segreti inglesi temo-no nuovi attentati della Real Ira a Londra.

Secondo il quotidiano The Indipendent,un inviato di Saddam Hussein sarebbe vo-lato a Londra per riallacciare i rapporti di-plomatici con il governo britannico.

* * *Afghanistan, i talebani hanno sospeso la

demolizione dei Buddha a Bamiyan. “Rico-minciamo domenica, dopo la festa di Eid ulAdha”, hanno detto gli integralisti.

La notizia arrivata a Foggy Bottom dal Li-bano è preoccupante. La comunità ebraicaamericana è in allarme. L’Iran, con gli Hez-bollah, ha organizzato una conferenza sulla“negazione dell’Olocausto” a Beirut. L’uomo

scelto dal ministero della Cultura di Teheranper coordinare il convegno è lo storico nega-zionista svizzero Juergen Graf. Il personaggio,direttore di Veritè et justice, è oggi ospite delgoverno a Teheran. Collabora con Graf, nelprogetto libanese, l’americano Mark Weber,direttore dell’Institute for Historical Review,organizzazione negazionista californiana. Laconferenza si dovrebbe tenere a Beirut tra il31 marzo e il 3 aprile. Gli obiettivi dell’incon-tro sono rafforzare la cooperazione fra i pae-si islamici e i negazionisti occidentali. Graf eWeber ogni anno organizzano incontri “nega-zionisti”, ma quello di Beirut è il primo so-stenuto da Hezbollah e Iran. E il primo a svol-gersi in un paese arabo. L’Iran ha già stanzia-to 100 mila dollari e si occuperà della sicu-rezza. L’uomo di Teheran a Beirut incaricatodi tutto è Mahdi Taskhiri, addetto culturale euomo dei servizi. Taskhiri è al servizio delfratello Ali, capo dell’Islamic Culture andCommunication Organization, istituzione po-litico-culturale in ottimi rapporti con Graf. Aldibattito beirutiano sono stati invitati dueesponenti anti israeliani, Robert Faurisson eRoger Garaudy. Il rapporto fra Graf e gli ira-niani dura da 15 anni, si è intensificato dopola condanna di Graf in Svizzera a 15 mesi, nel1998, per “negazione dell’Olocausto”. A metànovembre del 2000 Graf è arrivato a Teheran,ospite di Alì Taskhiri. E dopo di lui l’Iran hadato rifugio a un suo seguace, lo svizzero Wol-fang Frohlich. Oggi Graf conduce da Teheranle sue attività negazioniste, insegna all’uni-versità, parla all’Iran Broadcasting Company,la radio iraniana. E scrive in favore degliHezbollah: organizzazione armata libanesestrutturata come il partito nazista, che haadottato persino il saluto hitleriano.

L’ex presidente George Bush si fa vederespesso a Washington. Incontra vecchi amici.La settimana scorsa è venuto in visita privataa Foggy Bottom da Colin Powell, partecipa aimeeting del potente Carlyle group, società diinvestimenti del suo clan di cui fanno parteJames Baker, Frank Carlucci, Robert Grady.E dorme alla Casa Bianca, ospite del figlio.Ora che Dick Cheney è appena uscito dall’o-pedale e dovrà riposarsi, dopo l’operazionedi due giorni fa, Bush padre dà consigli a Bu-sh figlio a tempo pieno. Soprattutto su quat-tro dossier: tasse, economia, energia, politicaestera (Medio Oriente, Russia, Cina e Giap-pone sono le specializzazioni di Bush sr.). L’expresidente ha a cuore due paesi: Kuwait eArabia Saudita. Ma in questi giorni si occupadi Thailandia e Filippine, Cina e Giappone.Bush sr. gode di ottima salute anche se pren-de dosi massicce di Malox per l’acidità di sto-maco. La cucina della Casa Bianca gli prepa-ra minestrine e bistecchine, la dieta di chisoffre di disturbi gastrici.

Si chiama Inter service intelligence direc-torate è il servizio segreto del Pakistan, di-retto dal terribile generale Mohmoud Ah-mad. L’Isi ha sostenuto i talebani, li ha rifor-niti di armi e di informazioni utili, ha per-messo che ben 20.000 pakistani si arruolasse-ro tra le truppe di Mohamed Omar, il leaderdei Talebani. Le pressioni della passata am-ministrazione Clinton sul governo del gene-rale Pervez Musharraf non hanno avuto l’ef-fetto di interrompere il legame Pakistan-Af-ghanistan. Ma ora la Cia, il Pentagono, la Si-curezza nazionale e Foggy Bottom hanno de-ciso di costringere il Pakistan a scegliere o ilconsenso delle nazioni civili o i Talebani. Latensione è salita negli ultimi giorni da quan-do i Talebani hanno deciso di distruggere iBuddha di Bamiyan. Tutta l’Asia buddista èindignata. Il regime di Kabul non è mai statocosì inviso. E Foggy Bottom ritiene che per ilPakistan sia il momento di scegliere. Se il re-gime dei generali si schiererà, però, con l’Oc-cidente, l’opinione pubblica di Islamabad licondannerà. Qualche settimana fa nel gran-de monastero islamico di Dal-ul-Aloom Haq-qania trecento capi religiosi hanno votato ilsostegno ai Talebani e chiesto al governo dicontinuare a sostenerli. Pena la rivolta fon-damentalista.

Roma. Fa discutere. Uno storico comuni-sta e un politologo liberale firmano insiemeun appello per riformare la riforma dell’U-niversità varata dal centro sinistra. LucianoCanfora e Angelo Panebianco hanno le stes-se preoccupazioni, condivise da gran partedel mondo accademico. Temono gli effettiperversi della riforma avviata da Luigi Ber-linguer, che invocando gli stardard europeiha introdotto il 3+2, la laurea breve dopo treanni di corso, e la specializzazione dopo al-tri due, oltreché un nuovo sistema di valu-tazione degli studenti fondato sui cosiddet-ti “crediti formativi”.

La riforma doveva aumentare il numerodei laureati e aprire loro il mercato del la-voro? In realtà, dicono i firmatari, la laureabreve rischia di trasformare l’Università inun superliceo, contribuendo alla dequalifi-cazione generale e dando solo l’illusione diuna formazione professionale. La riformaprometteva autonomia, flessibilità e inter-disciplinarità? In realtà, per com’è arrivatain porto, pilotata dalla burocrazia ministe-riale, costringe l’università in una “gabbiad’acciaio”, imponendo nor-me uniformi che annullanole differenze e mortificanol’autonomia. Perciò Canfo-ra e Panebianco, auspicanointerventi che potrebberosembrare di dettaglio manon lo sono.

Chiedono che le Facoltàsiano libere di organizzarele laure brevi su tre anni osu quattro. “I tre anni - dicePanebianco - magari vannopure bene per le discipline scientifiche, maper quelle umanistiche sono una catastro-fe”. E’ d’accordo Gino Amiconi, che insegnaChimica alla facoltà di Medicina e nell’am-bito della Società italiana di biochimica èresponsabile dell’innovazione della didatti-ca: “La nostra Facoltà non contempla lau-ree brevi, ma anche a noi il 3+2 pone enor-mi problemi di organizzazione della didat-tica”. E’ d’accordo il prorettore del Politec-nico di Milano, Giampio Bracchi: “Il 3+2 pernoi va bene: corrisponde alle esigenze delmondo del lavoro, e consente una ragione-vole selezione, anche se in Italia si trovanosempre scappatoie per aggirare la selezio-ne delle eccellenze”. E d’accordo è pure ilpreside della Facoltà di Giurisprudenza al-la Sapienza di Roma, Carlo Angelici: “Lalaurea breve può essere sensata per inge-gneria, dove si può distinguere tra un tecni-co di medio e di alto livello, ma non per chistudia greco antico o diritto. Non possiamodare una laurea a un giurista che conoscesolo il diritto civile, ma non quello penale.Perciò stiamo pensando di dedicare i primitre anni a tutte le materie fondamentali, egli altri due alle complementari e alla tesi,che in genere richiede dagli otto ai dodicimesi di lavoro”.

La questione dei creditiL’altra richiesta riguarda i crediti forma-

tivi, cioè i criteri di valutazione del lavorodegli studenti che sostituiscono i vecchi esa-mi . “La legge, spiega Panebianco, non solo

stabilisce che un creditoequivale in teoria a 25 oredi lavoro, in aula o a casa,da parte dello studente, ilche è come fissare il salariodi un metalmeccanico, mastabilisce pure quanti cre-diti assegnare alle varie di-scipline, secondo un rego-lamento minuzioso che ap-piattisce tutto e annulla lediversità tra i vari corsi dilaurea”. Per liberare l’Uni-

versità da quest’imposizione dall’alto,Canfora e Panebianco chiedono d’invertirela proporzione tra i crediti attribuiti per leg-ge ai vari corsi di laurea (che oggi supera il60 per cento del totale) e quelli fissati inve-ce dalle Università. E rivendicano per l’Università, le Facoltà e i corsi di laurea lalibertà di distribuire i crediti autonoma-mente.

Sembra un meccanismo oscuro, mentre èun punto nevralgico e molto delicato. “Uncredito” - spiega Carlo Angelici - è un crite-rio ideale. Tutt’è vedere come lo si costrui-sce. In America, la nozione di credito non fariferimento alle ore di lavoro, che non sonoverificabili, ma alla differenza dei corsi, chevaria a seconda della loro durata o delle oredi lezione. L’importante è che ogni facoltàstabilisca le percentuali dei crediti autono-mamente, perché diverso è il caso di unostudente di ingegneria che segue un esperi-mento in laboratorio e quello di uno stu-dente di giurisprudenza che prepara un’e-sercitazione studiando in biblioteca. Ma sidevono rispettare anche standard comuni.E’ evidente che la riforma mira a facilitarela laurea. Un conto è aumentare il numerodei laureati, un altro assicurare la loro qua-lità”. L’appello di Panebianco e Canfora hainvestito come una scossa il governo e l’U-niversità. Luciano Guerzoni, sottosegretarioal Ministero dell’Università, risponde a mu-so duro che i prof dell’appello vogliono “so-spendere” nei fatti una riforma attesa datempo, che serve a dare più autonomia(“praticamente illimitata”) alle Facoltà, eche elimina lo scandalo dei laureati ventot-tenni, “fuori dal mercato del lavoro euro-peo”. Chi è per la laurea lunga difende “in-teressi accademici stratificati”.

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 19,45

La Giornata è realizzata in collaborazione con Chilometri

IL FOGLIOANNO VI NUMERO 65 DIRETTORE GIULIANO FERRARA MERCOLEDÌ 7 MARZO 2001 - L.1500

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: LARGO CORSIA DEI SERVI 3 - 20122 - MILANO quotidiano TEL 02/771295.1 - SPED. ABB. POST. - 45% - ART. 2 COMMA 20/b LEGGE 662/96 - FIL. MILANO

FOGGY BOTTOM

Andarsene così, senzadire l’ultima parolanon sarebbe stato dalui. Milly Moratti, noLally, o Ninni, calma,lo so che è maschio,Nanni, ecco Nanni Mo-ratti, pardon, Moretti,sapeva di essere ungrande. E perfino noi,goliardi-bastardi per i

quali McCarthy è il maggiore critico cine-matografico americano del dopoguerra,stamattina cercheremo di intrufolarci allaprima mondiale de “La stanza del figlio”.Peggio di Muccino, cui la commissione Sa-lamandri, o Giovanna o come cazzo si chia-mava, aveva negato un conto protezione,non poteva. E, come per i complotti deiservizi deviati, anche del “Figlio in unastanza” nessuno aveva saputo una sega. Ilbuon marketing di una volta. Lui era di si-curo uno psicoanalista di Ancona. La mo-glie, una Morante, aveva scritto “La Storia”(1). E con due così si temeva per la stanzadel bambino. Il film, molto di sinistra, ven-ne contestato dagli slavi di Novi Ligure peri quali quel bambino, come in genere ibimbi perbene, doveva essere “genetica-mente predisposto all’assassinio”.

1. Quella era Elsa, questa è Laura.

LUCIANO CANFORA

Perché l’Europa può attendereLa Svizzera vuole esseremeno sola ma per orabastano i patti d’affariIl governo era per il “no” al referendum

ma ha fatto piccoli passi verso l’Onue l’Ue. La netta vittoria complica tutto

Per Blocher è festa grande

Negazionisti a Beirut, pagal’Iran (con gli Hezbollah)Bush sr. va a Washington, per il figlio

e la Carlyle. Pakistan e Talebani

“La Shoah è una balla”

Anche gli urbanisti di sinistravogliono modernizzare il “paese del non fare”

Arch contro OGGI NEL FOGLIO QUOTIDIANO

DELL’UTRIALL’UCCIARDONE

VOLEVANO DUE ANNI di galerapreventiva per un deputato, ma “sen-za prove”. Fine ingloriosa di indagi-ni palermitane (editoriale pagina tre)

IL “MOVIMENTO” secondo Lan-franco Pace. Del ’68 italiano noncolpisce la violenza, ma che ce nefu così poca (pagina due)

UN ANNO (e molti weekend) dopo,la Francia adora le 35 ore. Tre gior-ni liberi alla settimana hanno cam-biato la società (pagina tre)

Un comunista e un liberalecontro la riforma dell’UniversitàGoverno duro: siete corporativi

Prof contro

ANGELO PANEBIANCO

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“Oggi pomeriggio ho dormito per dueore nella Biblioteca della Camera dei Co-muni! Un profondo sonno parlamenta-re. Non c’è dormita paragonabile: so-stanziosa, profonda, e colpevole” (Henry“Chips” Channon, 1939).

Cercasi. L’onorevole Sandra Fei (An) vor-rebbe distrarsi un po’ dalla noia di fine legi-slatura, e al riguardo dichiara: “In questomomento ci vorrebbe un fidanzato. Magari!Sarebbe un bel diversivo. Il mio fidanzatoideale deve essere attivo, simpatico, genero-so, economicamente dotato, un po’ interna-zionale, capace di esprimere le proprie emo-zioni, sostanzialmente di bell’aspetto, senzacomplessi inibitori, libero in tutti i sensi, ma-gro, e dal metro e ottanta in su”.

Controsanremo. L’onorevole Antonio Mar-tusciello (FI) ha seguito il recente ciclo dellesinfonie di Beethoven organizzato dall’Acca-demia di Santa Cecilia, e Paolo Isotta, il pre-stigioso critico musicale del Corriere dellaSera, ha detto che, nell’elezione del sindacodi Napoli, voterà per lui. L’onorevole, inoltre,esprime la classifica della sua musica prefe-rita: “Primo Beethoven, seconda Enya, terzoGianni Morandi”.

Comunisti tostati. Il centrosinistra è anda-to al voto a Montecitorio sul federalismo conla certezza di spuntarla. Il segretario del Pd-ci, onorevole Oliviero Diliberto, rileva infat-ti che il conteggio dei voti a favore, questavolta, è stato effettuato “mica da Arturo Pa-risi, bensì dalla compagna Elena Montecchi,una comunista emiliana di quelle toste”.

Prato zoologico. L’onorevole Cristina Ma-tranga (FI) è andata negli Usa, per lavoro, madopo due giorni è tornata: “Mi sono procura-ta uno strappo alla schiena durante il fitnessa New York, ma ora sono di nuovo in fiore ela leonessa che è in me ruggisce”.

Sprezzo del pericolo. Il vicepresidente del-la Camera, onorevole Carlo Giovanardi (Ccd)la scorsa settimana è rimasto senza benzinasull’autostrada Modena-Parma. Prontamen-te intervenute, con apposita lattina, le forzedell’ordine.

Bel fumo. Alcuni suggerimenti dell’onore-vole Giovanni Meloni (Pdci) a chi fuma la pi-pa: “E’ sempre necessario tenere presenteuna proporzione scientifica: per ogni mezzagiornata di fumo bisogna far riposare lo stru-mento per una settimana. Quanto alle mi-scele, chi vuole fare da sé può utilizzare uncognac molto secco, stagionato, da aggiunge-re oculatamente al tabacco in modo che di-stribuisca con equilibrio la sua fragranza.L’importante è comunque preparare misce-le diverse, perché a seconda delle situazionisi deve poter disporre di un sapore diverso.Una miscela leggera e aromatica è preferi-bile al mattino, mentre una più pesante e so-stanziosa, di una certa soddisfazione, va be-ne dopo cena e per il giorno delle elezioni”.

Sportivo. L’onorevole Emilio Delbono, can-didato a Brescia per il Ppi, guarda sportiva-mente ai possibili esiti elettorali, e infatti aMontecitorio si è accomiatato con simpatiada alcuni amici del centrodestra: “Volevo sa-lutarti – ha detto – visto come stanno andan-do le cose, non so se ci rivedremo nella pros-sima legislatura”.

Francesco Storace: la mia vita (4). Il presi-dente della Regione Lazio, onorevole Fran-cesco Storace, a causa della “caccia all’uo-mo”, fu costretto, a cambiare scuola per iscri-versi al San Leone Magno, dove riuscì a en-trare grazie a una raccomandazione dell’expresidente del Consiglio Giuseppe Pella: “Irossi – chiarisce - mi avevano cacciato dalXXIII liceo, ma una volta entrato al San Leo-ne, una scuola privata selezionatissima, mivolevano cacciare i preti: ero troppo casini-sta. Lì, il mio insegnante di filosofia eraAlexander Langer, e in classe ero con IvanaDella Portella, che poi è diventata consiglie-re comunale dei Ds. Una bella ragazza, di cuimi ero anche innamorato. In italiano e mate-matica, le mie materie forti, prendevo sem-pre intorno all’otto, mentre non sopportavofisica e inglese. Ma la materia più ostica, perme, era disegno, tanto che in primo liceo fuianche rimandato, da un professore fijo de’na mignotta che mi fece la guerra e, per unasola materia, per di più come quella, mi ro-vinò l’estate: mio padre mi fece fare tuttoagosto le ripetizioni. Se ci ripenso mi vienedi nuovo il nervoso”. (continua)

Antonello Capurso

ANNO VI NUMERO 65 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 MARZO 2001

Roma. La prima transumanza è stata quel-la di Pierluigi Celli. Fatta alla Celli, e cioèandandosene. Ed è finita lì. Non senza avercelebrato gli errori come se fossero grandez-ze, rimirando da lontano le macerie fumantidella tv di Stato dove la transumanza, il pel-legrinaggio dello stato in loco per lo stare inauge, è la regola eterna dell’adattamento,dell’allerta rispetto all’aria che tira.

Celli se n’è andato lasciando soli soletti isuoi, da Andrea Giampaoli, direttore delladivisione due, alla bella vip Federica Pani-cucci, già celebrata nemica di Marina La Ro-sa, quella di GF. La storia di Celli di oggi è lastoria del vuoto che ha lasciato, soprattuttoadesso che nessuno più chiama Totò Cardi-nale e tanti di quelli che hanno raccolto fir-me per Beppe Giulietti si preparano a fare“sorpassi a destra”. Avvicinamenti vengonoregistrati in area movimentista: la bella e fa-scinosa Carmen Lasorella – ribattezzata inomaggio allo sfortunato Sanremo “bentivo-gliocarmelina” – celebrante a suo tempo l’U-livo, ha già dato prova di tollerante dialogo adestra. Perfino Mariolina Sattanino, che co-me signora chic è ricca di suo in sinisteritas,vanta credenziali di nulla osta per il futuri-bile nuovo corso. Assolutamente dada inve-ce è la posizione della superba RosannaCancellieri, il primo topless di Mastino aFregene, la “donna che credeva di essere Ri-ta Hayworth”. Dopo aver pianto calde lacri-me davanti al baffo di Occhetto, è andata adapplaudire il Cav. tra le Azzurre di Milano.

M I N I M A I M M O R A L I A

Ma siccome non di sole dive è fatta la vita,ma di retrovie del comando, qui si registranoquelle disponibilità che delle rivoluzioni fan-no l’automatismo di regime. Non siamo ai li-velli del ’94, quando da Francesco Storace ciandavano mostrando le foto dei nonni in ca-micia nera, ma le professioni di sincero anti-comunismo si sprecano. Roberto Di Russo, excapo del personale, presidente di Raitrade,quasi quasi si butta a destra. Giancarlo Leo-ne, già alfiere della stagione di Enzo Sicilia-no, definito a suo tempo “il manganello diIseppi”, quasi quasi si butta a destra. RubensEsposito, il direttore degli affari legali, quasiquasi si butta a destra. Il celliano Piero Gaf-furi, capo della divisione produzione, quasiquasi si butta a destra. Maurizio Beretta, di-rettore di Rai Uno, è un “cattolico di PadrePio” e perciò a destra è bello che buttato.Però ha ragione Piero Vigorelli: “Io l’ho det-to a Berlusconi” – dice agli amici lo straordi-nario cronista – “bisogna lasciare la Rai cosìcom’è, tanto si aggiusta da sola rispetto al go-verno che arriva, piuttosto è urgente ripulireMediaset”. La Rai, come postazione giornali-stica, come azienda del racconto italiano, siaggiusta da sé, si conforma alle forme del po-tere. E’ il tempio celeste del pesceinbarili-smo. Quando nel 1994 il Polo vinse le elezio-ni, la certificazione dell’avvenuto trauma peril Cavallo di via Mazzini si concretizzò lungoil bancone del Caffè Giolitti. Lì, a prendere ilcaffè con un cronista, c’era Italo Bocchino,che allora era solo il cronista parlamentare

del Secolo d’Italia (mai filato di pezza da nes-suno). Bocchino dice al suo amico: “Adesso tifaccio vedere qual è la vita del vincitore”. C’e-ra lì Francesco Pionati, demitiano storicodella Rai, compare di battesimo di NicolaMancino (nei giorni del ribaltone di Mastella,infatti, Pionati rassicurava il centrosinistramostrando la foto della cerimonia), ma ancheprossimo candidato del Ccd. Bocchino lochiama: “Pionati!”. Fu una magia. Quello, chefino a un giorno prima non lo considerava tragli umani affanni, si precipita affettuoso al

I L “ M O V I M E N T O ” S E C O N D O L A N F R A N C O P A C E

Del ’68 italiano non colpisce la violenza, ma che ce ne fu così pocaQue-reste-t-il del Sessantotto e dintorni? A

leggere le cronache recenti, una foto in-giallita, del 1973, in cui si vede un piccolettoaccanirsi con un bastone su un poliziotto indivisa. E qualche frase tratta da un libro al-lora in voga, “Le grand Bazar” (1975), in cui siinneggia alla libertà sessuale dei bambini ealle pratiche trasgressive nei nidi d’infanziaantiautoritari e autogestiti. Come in un logo-ro copione, sono stati ex terroristi, pentiti eno, i loro eredi, fra cui spicca Bettina Röhl, fi-glia della scomparsa Ulrike Meinhof, uno deileader della Baader-Meinhof, a rilanciarel’annoso dibattito sul Sessantotto e dintorni,rispolverando così il lontano passato di Jo-schka Fischer e Daniel Cohn-Bendit. Con l’o-biettivo di mostrare, come ha scritto la Röhl

nel suo sito Internet, che tipo di uomini fos-sero. Fischer e Cohn-Bendit si sono difesi nel-l’unico modo consentito dal loro status di po-litico di successo: chiedendo scusa e rimet-tendosi alla clemenza di chi giudica. I loro av-versari, dall’Inghilterra alla Francia alla Ger-mania, non demordono, puntando alle dimis-sioni di Fischer dal governo tedesco.

Questa forzosa rivisitazione esogena delSessantotto sta rimbalzando seppur stanca-mente anche in Italia. Dove però non si pre-senta con l’immediatezza di una battaglia po-litica di oggi sia pure combattuta nella mel-ma. Ma assume tutt’altro significato. Ovvia-mente obliquo, come servisse a inverare re-centi abbandoni e nuove ideologie d’accatto.Di fatto nessuno vuole sapere cosa accaddeveramente in quel 1968 già rottamato. Se lanostra scoperta del corpo fu non solo vitalema anche incerta e goffa, se si consumaronosolo belle avventure di una notte o anchelunghi e tormentati apprendistati d’amore.Se ebbe ragione il noto linguista, oggi mini-stro, quando scrisse che la sola novità fu l’u-so del sostantivo “cazzo” come genericorafforzativo retorico. O Pier Paolo Pasoliniche annotava diligentemente in pacchetti dacinque, gli “ a monte… a valle, nella misura

in cui” che si schiantavano al suolo di fumo-se assemblee. Nessuno vuole sapere se “Az-zurro” fu davvero la canzone culto di quel-l’anno. Se i selvaggi furono una sparuta mi-noranza, i pochi che si ritrovarono al Bran-caccio per uno storico concerto di Jimi Hen-drix. E quelli ancor meno numerosi che rup-pero con il Pci fin dai giorni dei “Sovversivi”,lo straordinario avviso di tempesta lanciatodai fratelli Taviani, con i funerali di PalmiroTogliatti sullo sfondo.

No, non è questo di cui oggi si vuole la ri-visitazione. Né del vitalismo, dell’onnipoten-za, dello scadente dannunzianesimo di mas-sa, di cui ha scritto una bella penna di unoche pure è parente stretto. Per tutto questosiamo già stati condannati, in tempo e in or-dine. Dalla Chiesa, per aver messo in crisi lafamiglia, il matrimonio, la procreazione. Da-gli industriali per aver distrutto l’ordine pro-duttivo e il lavoro. Dagli accademici e dagliintellettuali per aver svuotato la scuola e lacultura. Dai tribunali per reati vari. E last butnot least da Claudio Martelli per l’insiemedella nostra opera. Al punto che dovremmocoltivare l’autoassoluzione, l’indulgenza ver-so noi stessi come diritto inalienabile alla so-pravvivenza.

Non credo nemmeno che vogliano saperedavvero cosa pensavamo allora o pensiamooggi del “Grand Bazar”, delle tormentateesperienze delle Comuni I e II di Berlino, del-le teorie di Wilhelm Reich, David Cooper eMargaret Mead, dell’impossibile educazionesenza tabù, senza traumi, senza proibizioni.La rivolta contro l’autoritarismo, inteso comeeccesso, deriva arrogante del principio d’au-

torità, fu un detonatore importante del movi-mento ma si perse rapidamente nelle brume.Formati alla scuola del partito comunista, lamaggioranza di noi avrebbe acconsentito a ri-conoscere un principio d’autorità e volentie-ri dialogato con padri severi ma autorevoli,come fece il movimento francese. Il problemaè che da quelle parti tra i Lévi-Strauss, La-can, Foucault, Sartre c’era ampia scelta. Noi

avemmo a che fare con i cinici, i tromboni e isoliti opportunisti, i maestri dell’ammicca-mento fasullo che saltellavano intorno ai cor-tei gridando “Mosca, Pechino un sol destino”.

Purtroppo mi punge vaghezza che solo in-teressi quel banale cliché del 1973. Che sichieda ai sessantottardi di bruciarlo simboli-camente per sotterrare definitivamente laforma stessa, l’archetipo di ogni rivolta possi-bile. Perché altro la foto non contiene. Unostorico che riconsidera gli avvenimenti soloalla luce di nuove fonti e di nuove testimo-nianze, non la terrebbe nemmeno in archivio,

se non come prova dell’esotica entrata in so-cietà di un futuro vicecancelliere. Foto di gio-vani e meno giovani che non solo inneggiaro-no alla violenza ma la praticarono fino alleultime, tragiche conseguenze ne esistono amigliaia. E neanche a dire che quella sottoaccusa rievochi gli anni di piombo o l’autun-no tedesco. Nulla a che vedere per esempiocon quella in cui si vede un giovane solo, alcentro di una strada di Milano, con il passa-montagna calato, le braccia tese in avanti,una pistola in pugno. Quindi quello che sivuole condannare nel caso di Fischer è il ge-sto in sé. Condanna legale perché è ovvio chela legge punisca chi usi un bastone, lanci unsasso contro le forze dell’ordine. Ma anchecondanna morale. Ma non sempre la sanzio-ne legale equivale a sanzione morale. Dare ericevere colpi fa parte indifferentemente delmestiere del poliziotto e del rivoltoso. Il pri-mo ha dalla sua il consenso della maggioran-za, in nome della quale detiene il monopoliodella violenza legittima. Il secondo ha dallasua il diritto delle minoranze, altrettanto va-lido moralmente. Negarlo, è dire no alla ten-

tazione di dire no, è vietato di vietare di vie-tare. Come dire, l’ultima abiura. Che non so-lo è decentemente impossibile ma rischia an-che di essere stupida.

Il Sessantotto francese fu potente. Mise unpaese in bilico, un regime in ginocchio.Svuotò i palazzi del potere, obbligò un vec-chio generale a mendicare aiuti dai suoi ne-mici di sempre. Fu molto violento e non ci fu-

rono morti. Il Sessantotto italiano, almenoquello stricto sensu che va dall’autunno del1967 al successivo, fu invece sostanzialmentemoderato, non disdegnò d’incontrare i retto-ri e per l’essenziale si limitò a battersi con-tro la riforma Gui. Fu anche poco violento.Per caso, non per scelta perché non ci fu nes-sun dibattito in materia. Il solo che si aggira-va per i luoghi predicando non-violenza eraun alieno e si chiamava Marco Pannella. L’u-so della violenza, a parte comprensibili pau-re, tutti lo condividevano. Gli antiautoritari,i cattolici che ce l’avevano con la “scuola di

classe due volte”, quelli che si battevanocontro la guerra nel Vietnam e l’imperiali-smo americano. Persino le donne, che comedirà stupendamente Lidia Ravera in fondovolevano solo che non si pensasse più a lorocome all’“umida fessura d’amore”, furonotutt’altro che non violente. E di questo co-mune, barbarico denominatore portaronoqualcosa anche nel loro movimento. Perchédove c’è voglia di separatezza, d’identità, ine-vitabilmente cova la violenza. Ci apparvedunque talmente naturale la violenza che al-trettanto naturalmente la provocammo. Chea Valle Giulia fossimo stati caricati selvag-giamente da una brutale polizia, come scris-sero a titoli cubitali i giornali del pomeriggioe della sinistra, è una delle tante panzaneche si tramandano allegramente di padre infiglio. Lo scontro fu voluto e preparato findalla sera prima. Accanto a noi, con noi an-che gruppetti di fascisti, nazi-maosti. Un’orascarsa di lanci di sassi e qualche carica con-tro la polizia. Cosa anche questa modesta mache ebbe grande impatto.

E’ questo il punto zero che bisogna cancel-

La versione di Fabio

Barney è un magnifico esempiodi narrazione dissipata e di

impossibilità del desiderio puro

Gossip

Affidato alla Montecchiil pallottoliere dell’Ulivo

non fa cilecca

lare? Il primo fuoco da cui prendere le di-stanze, l’origine del diciannovismo contro cuisi lancerà con toni apocalittici Enrico Ber-linguer, l’avvisaglia degli anni di piombo? E’innegabile che la violenza crebbe in pocotempo in modo esponenziale. Si dice oggi chemolti ebbero la sensazione di ritrovarsi comein un tunnel buio, di fronte a uno Stato mo-struoso capace di deviare i propri apparati epianificare il terrore. Ma anche chi manten-ne la mente fredda, non credette mai alla fa-cile demagogia delle bombe di Stato, ai com-missari che buttavano gli anarchici dalla fi-nestra, non si domandò mai se rinunciare omeno all’uso della violenza. Non per prome-teica onnipotenza ma semmai per l’altrui im-potenza, per l’inesistenza di una sponda rifor-

mista degna del nome. Quando si chiede tan-to senza ottenere nulla, è normale che ognu-no resti sulle sue e che il gioco s’incattivisca.In fondo la guerra civile è spesso una riformamancata. La Francia di Giscard d’Estaing ar-restò l’onda lunga del suo Sessantotto gra-ziando d’ufficio i violenti e cambiando il vol-to del paese. In Italia, pure chi incarnava atorto o a ragione grandi speranze di cambia-mento preferì il compromesso con il regimeesistente. Non ci si poteva dunque stupire néallora né oggi della piega presa dagli avveni-menti. Come scrisse all’epoca lo storico Fer-nard Braudel “quel che colpisce dell’Italianon è che ci sia la violenza ma che ce ne siacosì poca”.

Più o meno in quegli anni, negli aborritiStati Uniti, i minatori degli Appalachi face-vano picchetti di sciopero con i winchester esi scontravano con la milizia privata dellaPinkerton. Non risulta che a Washingtonqualcuno abbia gridato alla democrazia inpericolo. Eldridge Cleaver e le pantere nereerano soliti fare conferenze stampa in televi-sione armati di kalashnikov. Molti furono uc-cisi, altri finirono in carcere o si rifugiaronoall’estero. Poi tornarono a casa. Non risultache qualcuno gli abbia chiesto di rivedere il

loro passato. La democrazia è un insieme diforme in movimento: per questo sa digerire,incanalare anche le forme più esasperate dirivolta. E nell’assimilazione, nella riduzionedel conflitto si rigenera. Pensavo allora epenso ancora oggi che esorcizzare la violenzasia il peggiore atto di sfiducia nei confrontidella democrazia.

Vero è che la sinistra italiana ha sempreconsiderato fragile e incerta la sua acquisi-zione. Negli anni Sessanta e Settanta i diri-genti del Pci mettevano discretamente inguardia, una domenica sì e l’altra pure, dalcolpo di Stato imminente. Enrico Berlinguertraumatizzato dalla fine del governo frontistadi Salvador Allende in Cile affermò che l’I-talia non si poteva governare con il 51 percento dei voti. I loro eredi li seguono a ruota,il tragico in meno, il ridicolo in più. Un vice-premier è riuscito tempo fa a dire che quan-do si fischia un primo ministro, “la democra-zia è in pericolo”. Se ne vanno ormai a spas-so sull’ascissa del tempo, i post-comunisti.Risalgono a prima di Marx, di Nietzsche, diFreud, a prima di tutto, cercando la sorgen-te dei buoni e corretti sentimenti. All’indo-mani della caduta del muro di Berlino, ungiornale pubblicò un grande articolo sull’at-tualità e l’importanza di Karl Marx: era ilWall Street Journal. Nell’Ultimo bacio di Ga-briele Muccino, film culto per trentenni nel-l’Italia post-comunista, si dice che “la vera ri-voluzione è la normalità”. Ecco, a ciascuno ilsuo. Lasciate a noi il Sessantotto e dintorni.E a tutti una libertà fondamentale e piace-vole: quella di sbagliare. (2. continua)

Lanfranco Pace

grido di “Maestro!”. Ha ragione Vigorelli, inRai si aggiusta tutto automaticamente, senzaneppure fare affidamento alla laboriosa pa-zienza di Paolo Romani (FI) che ascolta tuttele lamentazioni dei prenotandi perché tutto,poi, si risolve nell’automatismo del centri-smo. Francesca Grimaldi, televolto del Tg1,antemarcia di An nel ’94, durante tutto ildramma dei ribaltoni, grazie ai consigli diamici avveduti come Enrico Messina, avevaavviato un’amicizia con il Ppi prontamente ri-virata ai vecchi lidi, però su Forza Italia. L’an-tico quirinalista Fabrizio Ferragni ricono-sciuto come uomo di Mancino (e di Oscar Lui-gi Scalfaro), ha già dato la sua simpatia adAntonio Tajani. Franco Scaglia, vicedirettoredi Rai International, mastelliano di obbe-dienza cardinaliana, promoter di Totò (di cuinessuno sapeva che fosse candidato in Lazioalle Regionali), oggi è il braccio destro di Ga-briella Carlucci. A Massimo Gigotti, già an-dreottiano, amico di Mastella in età Udeur, siattribuisce una battuta fatta a un povero di-rettore ds doc, il giorno dopo la vittoria di Sto-race: “Che bella legnata che vi abbiamo da-to!”. E automatismo s’impone, perfino nelleaperture di credito. Lilli Gruber che pure erastata l’animatrice della campagna “abbonatoalza la voce”, intervistata dal Monde, ha det-to: “Non si può immaginare che Berlusconi,possa ispirare un governo dove alla Rai le lo-giche di appartenenza prevalgano sulle logi-che professionali”. Ha ragione Vigorelli. E’più urgente aggiustare Mediaset. P. But.

Volendo esprimere il “sugo della storia”,Mike Panofsky sintetizza, pur dissocian-

dosi da una visione del mondo così negativa,il credo del padre Barney: “La vita è assurdae nessuno di noi, in pratica, capisce gli altri”.Proprio perché gli appariva assurda, Barneyha tentato di spiegare la propria vita raccon-tandola. Fare letteratura significa ordinare ilmondo, “mettere a fuoco la realtà anche a co-sto di alterarla” per riuscire a capirla, “spe-rando di dare un senso al mio incomprensi-bile passato”. Ma il rapporto tra ciò che ac-cade e ciò che si scrive è molto più complica-to di quello che sembra. Così la narrazione diBarney, per non tradire il caos della vita, ri-fiuta di incanalarlo in un racconto rigida-mente cronologico e di mortificarlo in unastruttura razionale, dalla quale i nessi cau-sa/effetto sgorghino naturali e necessari a fu-gare ogni ambiguità degli eventi o delle psi-cologie. “Cerco di mettere ordine nella miavita buttandola tutta all’aria”, dichiara Bar-

ney, e, almeno su questo,non mente. Fra i continuisalti temporali che com-pongono il suo raccontoc’è spazio soprattutto perle divagazioni e le digres-sioni, ma Barney rivendicail diritto di andare fuori te-ma, perché una “vita dissi-pata” non può essere rac-contata se non dissipando

la narrazione. La propria esistenza appare aBarney come una fiction della Totally Unne-cessary Productions e, mentre rivede e riav-volge “il filmino”, cerca di “tagliare – e inqualche caso di rigirare – tutte le scene chenon erano venute bene”. Barney ammetteche le biografie sono scritte spesso da “per-sone mediocri che godono a mettere i geni incattiva luce”, ma si entusiasma ogni volta chelegge “che questo o quel presunto grande inrealtà era una vera merda”. Così, la decisio-ne di scrivere prende le mosse non tanto dal-la volontà di esaltare se stesso quanto daquella di distruggere gli altri: la letteraturanon è quindi che resa dei conti, costruzionedi parole che fungono da surrogato della ven-detta (“io parlo parlo, ma di grinta non ne homai avuta”). Bersaglio principale: l’odiatissi-mo Terry McIver.

Mentre le note di Mike cercano con pigno-leria di correggere gli errori del testo e di giu-stificare ogni aporia, la dichiarazione di fal-sità è orgogliosamente proclamata da Barneye per di più estesa a tutta la letteratura: “Nonso raccontare una storia senza distorcerla.Per dirla tutta, sono un contaballe nato. Madel resto cos’altro è uno scrittore, anche se al-le prime armi come me?”. E se deve ricavareuna morale, tesse l’elogio della bugia: “In tut-ti gli anni sprecati a invecchiare mi sono sal-vato da tante situazioni difficili grazie a un si-stema di bugie piccole, grandi e medie. Maidire la verità. Anche se ti colgono sul fatto,negare, negare sempre. La prima volta che hodetto la verità sono stato accusato di omici-dio, la seconda ci ho rimesso la felicità”. Lacondizione umana è condannata all’inestri-cabile compresenza di vero e falso, di auten-ticità e imitazione, di spontaneità e copiatu-ra, di istinto calcolato e fiction necessaria.Barney afferma che la sua tarda decisione discrivere viola un giuramento solenne; e il fi-glio Mike precisa che “questo, come gran par-te di ciò che avrebbe scritto, non era del tut-to vero”, perché fra le sue carte si sono trova-ti vari abbozzi di racconti. Dunque, “la ver-sione di Barney” non è vera né falsa: sempli-cemente “non è del tutto vera”. Barney nonimita nessuno, ma copia tutti. Alcuni esempi:il soggetto del film sul Titanic proposto aShelley (pag. 271) è il primo capitolo del ro-manzo abbozzato da Boogie (pag. 22); il saggiosul “Racconto di due città” premiato con ilmassimo dei voti da Mrs Ogilvy è “preso paripari, giusto cambiando qualche frase, da unlibro di Granville Hicks” (pag. 26); la defini-zione di McCarthy come il più grande criticocinematografico del dopoguerra (pag. 284) èrubata a Boogie (pag. 55), così come la battu-ta sulla piscina di Kafka e la citazione deiversi di William Butler Yeats (pagg. 285/56).Dice Terry McIver: “Se vuoi sapere cosa pen-sava Boogie ieri, ascolta Barney oggi”. Quan-do Barney sorprende la Seconda Signora Pa-nofsky in flagrante adulterio, si compiace diessersi nutrito di “montagne di sceneggiatu-re di quart’ordine”: “Frugai nella memoria,cercando di recuperare qualcuna delle peg-giori. ‘Tu… tu mi hai tradito!’ ”(pag. 342).

La mimesi delle arguzie della conversazioneIl romanzo di Richler meriterebbe un ca-

pitolo del bel saggio di René Girard “Menzo-gna romantica e verità romanzesca” (Bom-piani), sulle mediazioni del desiderio nellaletteratura e nella vita: analizzando Cervan-tes e Stendhal, Proust e Dostoevskij, Girardteorizza l’impossibilità del desiderio puro, di-retto e tenta di smascherarne la strutturatriangolare: non mireremmo tanto a possede-re l’oggetto del desiderio, quanto a sostituir-ci a colui che a sua volta sembra desiderarlo.In un mondo senza Dio, sostiene Girard, gliuomini sono diventati dèi gli uni per gli altrie la dinamica dei nostri sentimenti è domi-nata dalla volontà di modellare l’esistenza suun mediatore, nei confronti del quale si pro-va un misto di ammirazione, concorrenza, av-versione e invidia. Incalzato dall’Alzheimer,ormai privo anche del suo idolo polemico, ildefunto McIver, Barney all’ennesima doman-da sulla sua colpevolezza per l’assassinio diBoogie, risponde: “Penso di no, ma a voltenon ne sono più così sicuro”. Non lo convin-ce neppure la frase attribuita da Boogie alpoeta Heine e in realtà tratta dal finale di“Monsieur Verdoux” di Charlie Chaplin: “Diomi perdonerà, è il suo mestiere”. Nella conti-nua circolazione di battute da una bocca al-l’altra, nella mimesi perenne delle arguziedella conversazione, che costituisce gran par-te del fascino del romanzo, Mike e Saul Pa-nofsky sembrano aver ereditato da papà Bar-ney almeno le immortali imprecazioni: “Caz-zo, cazzo e cazzo”, “Merda, merda e merda”.

Fabio Canessa

Il Cav. non dovrà darsi pena, la Rai transumerà da sé

Gentile Mina, ho letto con spe-ciale attenzione l’ultima punta-ta della sua rubrica sulla Stam-

pa, “Macché festa delle donne”. Fra le ri-produzioni speculari dell’immaginario ma-schile cui l’eterogenesi dei fini rischia diportare le aspirazioni femministe, lei cita dipassaggio anche il servizio militare. Appar-tenendo a un genere impegnato da parec-chie migliaia di anni a giocare ai soldatini –se non militare, militante – seppure da untentato congedo, ho diffidato fortemente del-le obiezioni, specialmente provenienti dauomini, al diritto delle donne di accesso al-le forze armate. La permanenza del divietomi sembrava evidentemente perpetuare unpregiudizio e limitare la libertà personale

delle donne. Viceversa, la sua abolizione misembrava dare alle donne, col diritto di fareil soldato, la libertà di scegliere di non farlo,e comunque di non farlo nei modi più tradi-zionalmente maschili. (Per esempio, che leforze armate internazionali in luoghi dellaterra in cui si conduce una guerra quotidia-na contro le donne comprendano un nume-ro alto e autorevole di donne è molto impor-tante, no?) Mi pare che dovrebbe essere co-sì per ogni attività umana. L’altroieri sonostate diffuse le cifre aggiornate sulla cadutaprecipitosa delle vocazioni femminili al ser-vizio militare, rispetto al primo anno. Questaforse è una buona notizia, appena incrinatadalla dichiarazione delle autorità secondocui comunque le donne militari sono, comein ogni campo, “le più motivate e le più ag-gressive”. Molti affezionati saluti.

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

Sul notiziario del ministero delTesoro si chiedono: “L’Euro a Cuneo, ache punto siamo?”. A che punto devonoessere? Uomini di mondo sono. Fanno igavettoni con l’Euro.

IL RIEMPITIVOdi Pietrangelo Buttafuoco

OGGI – Nuvoloso sulle regioni nord-occi-dentali, parzialmente nuvoloso sul restodel nord. Centro: nuvoloso con locali piog-ge sulla Toscana. Poco nuvoloso al sud.DOMANI – Molto nuvoloso al nord conpiogge localmente intense. Nuvoloso alcentro con piogge. Parzialmente nuvolosoal sud, tendenza ad aumento delle nubi.

IL FOGLIO quotidianoORGANO DELLA CONVENZIONE PER LA GIUSTIZIA

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REDAZIONE: DANIELE BELLASIO, BEPPE BENVENUTO,UBALDO CASOTTO (VICEDIRETTORE),

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SERGIO SCALPELLI, LUCA COLASANTODIRETTORE GENERALE: MICHELE BURACCHIO

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ISSN 1128 - 6164

Avremmo dialogato con padrianche severi, ci scontrammo concinici, tromboni, opportunisti emaestri dell’ammiccamento

Dare e ricevere colpi fa parteindifferentemente del mestiere delpoliziotto e del rivoltoso. Hannoentrambi giustificazione morale

La Francia arrestò l’onda lungadel suo ’68 graziando d’ufficio iviolenti. Esorcizzare la violenza èatto di sfiducia nella democrazia

La leggenda di Valle Giulia diceche rispondemmo alle cariche diuna polizia brutale. Non fu così,lo scontro fu preparato e cercato

“POI CREBBE IN MODO ESPONENZIALE, MA IN ITALIA NON CI FU UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA COME SOSTENNE IL PCI”

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EDITORIALI

ANNO VI NUMERO 65 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 MARZO 2001

Roma. “Lasciateci discutere ed evitiamo ilbis del part time”. E’ questo il comune sentireche univa ieri diciassette diverse organizza-zioni di datori di lavoro, a cominciare da Con-findustria, e anche i sindacati Cisl e Uil chel’altroieri hanno deciso di rimanere al tavolonegoziale sul “tempo determinato”, mentre laCgil rompeva. Opposta, ovviamente, la richie-sta della confederazione di Sergio Cofferati,che chiede invece al ministro del Lavoro Ce-sare Salvi di procedere autonomamente a undecreto che recepisca la direttiva comunitariadi cui si sta trattando. E di farlo in fretta, na-turalmente, prima dello scioglimento delle Ca-mere e della fase in cui il governo resterà incarica solo per “l’ordinaria amministrazione”.A mezzogiorno di ieri, l’entourage di GiulianoAmato assicurava che il presidente del Consi-glio ancora non aveva avuto modo di occupar-si della questione. Notizia che trovava confer-ma nell’imbarazzo di Salvi. Ma è sicuro chenelle ore successive sul tavolo del presidentedel Consiglio il problema si è aperto. Bissareanche sul “tempo determinato” il decreto concui il 23 febbraio scorso il governo ha deciso

E non sposare, infine, la posizione della Cgil,secondo cui nei contratti bisogna anche stabi-lire le “causali”, i casi in cui le aziende posso-no o non possono ricorrere al tempo determi-nato. Contrattare centralmente la casistica delricorso al tempo determinato significa infattiimbrigliare il suo utilizzo. Su questo la Cislpensa che la flessibilità andrebbe incoraggia-ta (i contratti a tempo determinato risultanoraddoppiati negli ultimi sette anni, attual-mente superano il milione e seicentomilaunità) e solo così poi si potrà contrattare me-glio, ma a livello aziendale e territoriale, nonnazionale. E Pezzotta ha bisogno di insisteresu questa linea, per renderla operativa un do-mani che, dalle urne, la situazione politica ri-sultasse modificata rispetto all’attuale. Anchela Uil, marcando un altro passo dal rigido al-lineamento alla Cgil tenuto ai tempi di PietroLarizza, si è incaricata di tenere aperta la trat-tativa, invitando Confindustria a riflettere sul-la sua ultima proposta secondo cui sotto i 12mesi non c’è tetto che valga nel contratto e leaziende sono libere. Tutti tranne la Cgil si so-no rivolti al governo invitandolo a evitare un

intervento autoritativo: per recepire la diretti-va c’è tempo sino a luglio prossimo. E la trat-tativa va considerata ancora aperta. “Aperta?Non mi risulta”, ha però detto nel pomeriggioSalvi, facendo trasalire Confindustria. “In fon-do, si tratta solo di esprimere un parere al go-verno”, ricorda Angeletti invitando Cofferati anon forzare i toni. Ma alla Cgil il segretarioconfederale Giuseppe Casadio esclude che or-mai si possa tornare indietro: “Quello che pernoi non si discute è che la direttiva fissa ilprincipio del non regresso, cioè che il tempodeterminato non deve avere meno garanzie ri-spetto al tempo indeterminato. Se, invece, fos-se fuori dai contratti di settore, come vuoleConfindustria, sarebbe così. Può cambiare ilgoverno o no, ma la nostra firma sotto una di-minuzione delle garanzie contrattuali non lamettiamo”. Queste prove tecniche di accordiseparati, pensano in Cgil, potrebbero costarecare a Cisl e Uil nelle consultazioni tra i lavo-ratori. E se prefigurassero un appeasementverso un governo di centrodestra, tanto peggio,aggiungono a corso d’Italia: di sicuro Cofferatinon giocherà quella partita.

(quasi alla scadenza dei tempi concessi all’e-secutivo) le modifiche al recepimento della di-rettiva sul part time, sarebbe una forzatura al-la quale Amato pare non prestarsi. Un contoera infatti dare un segnale della posizione delgoverno nell’avvicinarsi della campagna elet-torale: sul part time il governo ha sostanzial-mente recepito le richieste della Cgil, facendointendere a Confindustria che il muro contromuro non pagava. Altro è fare di quel segnaleuna vera e propria linea programmatica, san-cendo che Palazzo Chigi fa proprie sempre ecomunque le richieste di Cofferati.

A impedirlo, questa volta, è l’atteggiamentoassunto, prima che da Confindustria, da Cisl eUil. Dopo l’incontro del 26 febbraio le istru-zioni che Raffaele Bonanno e Fabio Canapa, isegretari confederali di Cisl e Uil che hannoseguito la trattativa, avevano ricevuto da Savi-no Pezzotta e Luigi Angeletti erano state chia-re. Sull’ipotesi di durata del contratto a tempodeterminato (36 mesi con una sola proroga) di-chiararsi soddisfatti. Insistere invece sul rin-vio ai contratti nazionali di settore, dei tettipercentuali di utilizzo del tempo determinato.

la grande distribuzione, che con le organiz-zazioni politiche degli imprenditori, il Cnpfprima e il Medef dopo, ha cercato di opporsialla RTT, la Réduction du temps de travail.In verità il gioco politico classico tra la de-stra e la sinistra c’entra molto poco. C’entra-no semmai la cecità delle varie corporazionipadronali ma anche sindacali e non da ulti-me quelle dei cosiddetti esperti. E’ Gilles de

Robien, ministro liberale del governo Juppé,a introdurre a metà degli anni Novanta leprime forme di flessibilità apportando la suacauzione alle prime timide aperture in ma-teria d’orario. Lo fa malgrado e contro gli im-prenditori, che poi insorgeranno quando lasocialista Aubry deciderà di fare il gran col-po della legge. Anche gli economisti di tutte

le scuole farfugliano. I liberali criticanoapertamente, neo-keynesiani e socialisti lofanno in privato. Tutti d’accordo comunquea considerare un’emerita sciocchezza le 35ore. Imprenditori, economisti e opinionistisulla stampa commettono tutti lo stesso er-rore esponendo argomenti puramente eco-nomici. Nessuno pensa all’uovo di Colombo:che lavorare solo quattro giorni alla settima-na e averne tre liberi avrebbe finito per cam-biato la vita quotidiana, le abitudini, la cul-tura stessa di tutto un paese.

Così a un anno dall’entrata in vigore dellalegge, tutti sembrano infischiarsene dei giu-dizi ovviamente circospetti, dei primi bilan-ci controversi, degli effetti reali sull’occupa-zione e sulla riorganizzazione del lavoro chela forte crescita dell’economia finora ha ma-scherato e che forse non saranno rose e fio-ri. A scorrere sondaggi e studi d’opinione,per due francesi su tre le 35 ore hanno il ca-rattere sacro del diritto acquisito. Indietronon si tornerà, dicono. Nemmeno per tempidi crisi. E’ dubbio che la stessa Aubry abbiacolto la portata esatta del fenomeno e deciso

consapevolmente di cavalcare la tigre. Anziè vero il contrario. “Lei voleva semplice-mente fare una cosa di sinistra. E cosa c’è dipiù di sinistra che lo scontro frontale con ilpadronato su un tema come la riduzione del-l’orario di lavoro?” spiega Henri Vacquin,consulente di molte grandi imprese nonchédi “madame le ministre” all’epoca della ste-sura della legge. Martine fu inconsapevole,

dunque. Ma ha ottenuto dal popolo di sini-stra un’apertura di credito illimitato. Per tut-ti è ormai in via di beatificazione, sainte Mar-tine, il Léon Blum di questo secolo.

La pensano sicuramente così anche Pippo,Pluto e Paperino: a EuroDisney entrate e fat-turato sono aumentati in modo sostanziosograzie ai residenti in provincia. Anche Aste-rix e assimilati vanno alla grande. E tuttiaspettano che santa Martina arrivi anche ne-gli altri paesi europei. Sentiti ringraziamen-ti anche dall’industria alberghiera. Qualchecatena, leader nella gamma intermedia, hacominciato addirittura a costruire alberghiall’estero, soprattutto nei paesi dell’est, sulmodello di quanto già esiste in Francia. Pro-prio come McDonald’s che affidò la propriafortuna al turismo di massa dei giovani ame-ricani. Dicono che ci si senta meno spaesati,più rassicurati se a Praga o a Budapest si ri-trova la stessa stanza “tre stelle” che in pa-tria, con l’interruttore della luce in alto a de-stra.

Gli studi delle compagnie turisticheSecondo uno studio della compagnia turi-

stico-alberghiera Frantour, il fenomeno del-le vacanze corte ha cominciato ad affacciar-si fin dal 1981, con il passaggio da 40 a 39 oree l’introduzione di una quinta settimana diferie pagate e con i primi treni ad alta velo-cità. Ha conosciuto un’accelerazione con lacaduta del muro di Berlino per poi stagnareall’inizio degli anni Novanta, malgrado la de-regulation del trasporto aereo. E’ poi dimi-nuito prima di riesplodere dal 1997 in poi,proprio con le prime applicazioni delle 35ore, passando da 80 milioni a più di 120. Lacurva sembra stabilmente rivolta verso l’al-to, con una progressione quasi esponenziale.In un altro studio fatto da Touriscopie, os-servatorio statistico del turismo in regioneparigina, si prevedono infatti amplissimimargini di crescita perché come è ovvio a be-neficiare di più in proporzione della ridu-zione del tempo di lavoro è stata l’industriadel tempo libero di prossimità: cinema, li-brerie, negozi di dischi, concerti, sale di gin-nastica, beauty farm. La maggioranza dei cin-que milioni di salariati già entrati nell’eradelle 35 ore preferisce per ora consacrare ilnuovo tempo libero al proprio benessere fi-sico e psichico. E si attende sempre l’entratain pista del pubblico impiego, dove si comin-cia solo ora a negoziare i contratti di settore.

Parigi. Altro che web e sbronze da reti vir-tuali e planetarie. Per almeno un paio di mi-lioni di francesi la parola magica del pre-sente, che lascia intravvedere un futuro ad-dirittura radioso, è wep: ovvero “week endprolungato”. Dal primo gennaio 2000 daquando cioè sono entrate in vigore le leggiche portano il nome dell’ex ministro del La-voro Martine Aubry e che obbligano le im-prese a scadenze differenti a ridurre il tem-po di lavoro (RTT) da 39 a 35 ore la settima-na, non si sono mai visti per strada tanti ab-bronzati in pieno inverno. E può accadereper esempio che persino un’impresa dellanew-economy ci metta un mese a organizza-re una riunione fra i suoi quadri dirigentisparsi tra Parigi e Marsiglia. Non c’è lavora-tore dipendente, quadro dirigente che nonabbia preso carta e penna, i più “branchés”matita elettronica e palmare, e non abbiacompilato il suo planning annuale di wep ef-fettuando con largo anticipo il suo bravo cor-redo di prenotazioni. Un calendario tutto indestrezza che sfrutta al meglio le festività delSignore, le settimane di ferie per così direnormali diventate cinque dal primo setten-nato di François Mitterrand e ora questi 22giorni lavorativi supplementari da recupe-rare ogni anno, “o baba dell’Aubry”. E si vo-la così in massa verso destinazioni esotichee verso le principali città d’Europa. Tre gior-ni-due notti la formula che va per la maggio-re. Le mete, Marrakech, Malta, Djerba, il Cai-ro a-portare-al-mare-le-chiappe-chiare. Lon-dra per-i-saldi-che-fanno-chic, Amsterdamper la mostra-che-se-te-la-perdi-non-sei-nes-suno, Berlino, Bruxelles, Bruges che-fanno-tendenza, Roma,Venezia, Firenze, Barcello-na, Siviglia il-classico-che-si-porta-sempre. Epoi Praga, Budapest, Mosca, San Pietrobur-go: nulla di tutto ciò che è a meno di quattroore di volo viene risparmiato dal vorace wep-master.

Senza contare i numerosi forzati pronti afarsi un’endovena Parigi-Pechino con per-nottamento di tre notti tra città proibite egrandi muraglie, per soli tremila franchi, me-no di un milione di lire, tutto compreso. I touroperator sono sommersi di richieste e nonsanno più cosa inventare. I prezzi ovviamen-te sono in caduta libera. Le agenzie di viaggiofanno proposte ancora più allettanti se presein martingala, come le scommesse sui caval-li. Un must il pacchetto con dentro Pasqua,Primo maggio, Ascensione e Pentecoste.

“Non abbiamo capito un tubo”La vacanza lunga, continua e per lo più se-

dentaria dei padri, la villeggiatura, appartie-ne al passato. Il presente, il futuro sono ilmordi e fuggi di chi non ci tiene particolar-mente a conoscere per davvero i luoghi chevisita e forse nemmeno vuole riposarsi. L’es-senziale è nella rottura del ritmo, nell’anda-re e tornare. Così va il mondo, dalla storicasolennità delle prime “ferie pagate” al con-sumo nevrotico e onnivoro di un tempo libe-rato che forse nessuno ha veramente riven-dicato.

“Dobbiamo fare mea culpa per non avercicapito un tubo e riconoscere che la Aubry hagiocato la partita alla grande” dice un diret-tore delle Risorse umane di un’impresa del-

Un anno (e molti weekend) dopo, la Francia adora le 35 ore

Prove generali di accordi separati, ma la Cgil fa ancora paura

Si lavora 4 giorni e poi è Wep-mania. Guai a chi tocca il finesettimana prolungato. Tutti se ne infischiano dei primi bilancicontroversi. Il boom di prenotazioni turistiche. Un problema per leimprese piccole. Una cosa “molto di sinistra” fatta da Martine Aubry

C’è però già un rovescio della medagliache allarma non poco i sindacati. Il passag-gio alle 35 ore previsto per il 2002 per le mi-gliaia di piccole imprese con meno di ventidipendenti non sarà né rose né fiori. Perl’ovvia ragione che una cosa è ridurre l’ora-rio alla Renault, un’altra è farlo in un gran-de garage o in un grande concessionario.Accanto alle imprese in cui il tempo ridot-to è cumulabile e spendibile sull’anno, cisaranno, com’è già il caso in alcune medieimprese, le politiche le più disparate. Chiridurrà di un giorno o due al mese, chi dimezza giornata a settimana. O peggio anco-ra giorno per giorno, quella in cui si perdeogni possibile beneficio. Molti contratti han-no disatteso le attese, creando frustrazione.Il lavoro dipendente è di fatto spaccato indue grossi tronconi: da una parte chi vivenei settori d’avvenire, nelle imprese piùperformanti e configura l’aristocrazia di do-mani, con il tempo di lavoro alla carta, lamassima elasticità tra lavoro e tempo libe-ro, la partecipazione, le stock option e i be-nefit vari. Dall’altra, chi non ha nulla di tut-to questo.

Il tempo funge da stimoloNon si lamentano in generale cali di pro-

duttività, anzi. Il tempo libero funge per orada stimolo per compiere in quattro giorniciò che prima si faceva in cinque. Anche senei luoghi di lavoro si avverte una maggiorepressione e c’è chi comincia a parlare distress. “La RTT doveva anche spingere acambiamenti dell’organizzazione del lavoro,ma questo è accaduto solo in parte minima,quindi è logico che il salariato si senta dipiù sotto pressione” spiega Henri Vacquin.Le 35 ore non sono affatto la leva miracolo-sa in cui sperava forse parte della sinistraper cambiare l’impresa e il lavoro. Valgonoinvece per quello che rappresentano nellaloro immediatezza: tempo liberato, migliorequalità della vita, più nomadismo, più gran-de apertura sul mondo. C’è già qualche im-prenditore che pensa che si possa e si deb-ba andare più lontano. Le 32 ore sono tutt’al-tro che un miraggio e in qualche impresa dipunta contratti in tal senso sono già stati fir-mati. Economisti di grido parlano di nuovaprossima era in cui il tempo di lavoro sarànegoziato da ciascuno individualmente. Al-tri ipotizzano che si lavori meno abolendoanche il limite dell’età pensionistica. I sin-dacati frenano e dicono la riduzione deltempo di lavoro non è più all’ordine delgiorno. Elisabeth Guigou che ha preso il po-sto della Aubry al ministero del Lavoro diceche intende vigilare alla corretta applica-zione delle leggi esistenti. Quanto a MartineAubry, dimessasi dal governo per parteci-pare alle elezioni comunali e diventare sin-daco di Lilla, si vede in riserva della Re-pubblica: è quasi certo che in caso di vitto-ria di Lionel Jospin alle presidenziali delprossimo anno, sarà lei il nuovo primo mi-nistro. E forse con una legislatura completadavanti a sé penserà pure di potere fare ilbis e passare appunto alle 32 ore, ciclo eco-nomico permettendo. In ogni caso mai comeora, “lavorare meno, lavorare tutti”, l’utopiad’antan sembra entrata nel senso comune.

GLI ESPERTI AVEVANO PRONOSTICATO DISASTRI, E INVECE TRE GIORNI LIBERI A SETTIMANA HANNO CAMBIATO LA SOCIETÀ

Un’Europa invadente

Due anni fa, mese più mese meno, ildeputato Marcello Dell’Utri stava

per finire all’Ucciardone. Come ricordaun sardonico Lino Jannuzzi nel prossi-mo numero di Panorama, il gip paler-mitano Gioacchino Scaduto, già pubbli-co ministero, aveva chiesto per lui allaCamera le manette immediate e la tra-duzione in carcere. Sul deputato si in-dagava, in base a denunce e propala-zioni di pentiti vari, per i reati di estor-sione e calunnia, con il contorno deci-sivo di un traffico di stupefacenti mul-tilaterale (da Milano a Caracas). Che vo-lete, senza una quintalata di cocainauna vecchia ipotesi di estorsione, tiratafuori a nove anni data dal fatto, e unaparadossale accusa di calunnia a ungruppo di pentiti non avrebbero fattomolta strada. Ora è successo che, se-condo il gip Scaduto, non solo Palermoè incompetente a giudicare Dell’Utriper estorsione ma, tanto per abbonda-re, “non ci sono elementi idonei a per-severare nell’accusa” a proposito dellacocaina. Archiviazione. In due anni aPalermo si sono resi conto che il depu-tato non è un pusher e che la fantasticarivelazione dell’ennesimo pentito erauna gran bufala. Certo, investigatori egiudice per le indagini preliminariavrebbero lavorato meglio con Dell’U-tri in galera, se una maggioranza di un-dici deputati non gli avesse impedito ditradurcelo il 13 aprile del ’99, tra gli

strepiti e l’agitar di pendagli da forcadella sinistra post garantista, e ora l’o-norevole sarebbe stato liberato conmille scuse dopo una vacanza da pri-gioniero lunga quasi come quella diBruno Contrada. Ma è andata così. E alcapogruppo dei Ds, Fabio Mussi, checapitanò le truppe giustizialiste e ma-sticò amaro dopo il verdetto pro Del-l’Utri, è oggi risparmiata l’onta di rive-dere in aula per gli ultimi giorni dellalegislatura quell’avanzo di galera, e do-verlo guardare negli occhi.

Molti italiani e alcuni osservatori in-ternazionali in questi due anni devonoaver pensato che i colletti bianchi inItalia se la cavano sempre, perché canenon mangia cane e i deputati non si la-sciano arrestare, considerandosi piùuguali degli altri cittadini. Forse qual-che dubbio sarà serpeggiato dopo legrandi assoluzioni degli Andreotti, deiCarnevale e dei Musotto. Qualcunoavrà riflettuto, dopo il varo delle normesul giusto processo e la riforma dellafolle legislazione sui pentiti che avevaconsentito l’avvilimento della giustiziapenale e la sua trasformazione in unaben calcolata caccia alle streghe. La fi-ne ingloriosa delle indagini per spacciocontro un deputato dell’opposizione,che sulla base di “elementi inidonei”avrebbe dovuto farsi un paio d’anni diprigione, servirà a completare la rifles-sione.

Deutsche Bank sta trattando con Axa,la maggiore compagnia di assicura-

zione francese e una delle tre grandi eu-ropee, per un’intesa sul mercato delbancassurance continentale. Axa giàcontrolla Axa Colonia, la quarta compa-gnia tedesca, e dovrebbe acquistareDeutscher Herold, sussidiaria della Dbnelle assicurazioni. Ovviamente la di-sponibilità di un importante partnerbancario aiuterebbe molto Axa nella di-stribuzione dei suoi prodotti nel merca-to della Germania, in crescita per la cri-si del sistema pensionistico pubblico ela conseguente esigenza di assicurazio-ni integrative private. La compagniafrancese, poi, avrebbe accesso a Deut-sche Bank 24, la rete operativa on linedel colosso bancario tedesco. D’altraparte, in cambio, l’istituto di Francofor-te avrebbe accesso al mercato creditiziofrancese, dove Axa ha acquistato la Ban-que Worms che ha stretti legami con al-tri istituti, ma nessuno di rilievo conti-nentale. Axa e Db, infine, presenti, intante parti dell’Europa, rafforzerebberoun po’ ovunque le loro reti.

La nuova ipotesi di alleanza sconvol-ge i precedenti scenari per lo più basati

su matrimoni tra “campioni nazionali”.Certo vi sono problemi non semplici darisolvere. Né va scordato che tutte le ul-time mosse “strategiche” di Db sono fal-lite. Non è facile, innanzi tutto, mettereassieme culture finanziarie diverse co-me la francese e la tedesca e superare lecomplicazioni linguistiche, elementonon secondario delle difficoltà prevedi-bili. Vi saranno, poi, le contromosse diAllianz, azionista di Db e socio di riferi-mento di Dresdner Bank, che aveva cer-cato di realizzare una fusione fra le duegrandi banche tedesche. L’operazionefallì, ma Allianz ha ancora molte pedineda muovere. Anche le Generali d’altraparte non potranno stare ferme, al di làdel rapporto già solido con la tedescaCommerzbank. I colossi finanziari e in-dustriali europei, dopo avere cercatospazio negli Stati Uniti, ora si rivolgonomaggiormente al proprio continente do-ve sembra sia iniziato un nuovo ciclo dicrescita. Questa scelta ha una consisten-te valenza positiva per un mercato euro-peo unificato, nel quale la concorrenzatra le grandi compagnie si svolga, comenegli Stati Uniti, su scala interstatale. Ei primi interessati sono i consumatori.

Come fa notare il Wall Street Journal,l’esito pesantemente negativo del re-

ferendum svizzero sull’accelerazionedell’ingresso della Confederazione elve-tica nell’Unione europea è stato causatoanche dalla sensazione che le istituzionie gli Stati che ne fanno parte eccedano inarroganza. Non c’è problema mondiale,dai reati commessi da Augusto Pinochetalla pena di morte negli Stati Uniti, incui non abbia tentato (peraltro con scar-so successo) di ingerirsi. Quel che piùpreoccupa, secondo il quotidiano ameri-cano, è la volontà di interferire con gli af-fari interni dei singoli paesi.

Pesa la dichiarazione del Parlamentofrancese: l’Assemblée Nationale dà dei“predatori” ai banchieri svizzeri che di-fendono la riservatezza dei conti dei loroclienti, magari prendendosi qualche li-cenza ai limiti della legalità; ma anchel’eccessiva enfasi retorica attorno al-l’Austria o le lezioncine a Dublino, perquanto gli irlandesi si mostrino un po’ di-scoli sull’inflazione, non aiutano. Per nonparlare delle recenti dichiarazioni stopand go del ministro degli Esteri belgaostile a un cambiamento di maggioranza

in Italia. La Svizzera è paese largamenteintegrato nell’economia mondiale, ospi-ta da decenni organismi e conferenze in-ternazionali, ma è anche gelosa delle suetradizioni neutraliste (sorrette da unaspesa militare piuttosto cospicua), dellesue particolarità cantonali e delle suericchezze bancarie. Ha una naturale dif-fidenza verso forme di potere difficili dacontrollare, specialmente se esprimonovelleità di protagonismo che finisconocon l’interferire nella vita delle comu-nità locali o nazionali. Bruxelles ha ri-sposto al referendum elvetico con un’al-zata di spalle, negando l’evidenza, cioèche il 77 per cento degli svizzeri ha dettodi no all’Europa. Eppure già da un’altrapiccola nazione fiera della propria auto-nomia come la Danimarca era venuto unsegnale sull’euro. Guardando dall’alto inbasso le piccole nazioni, già si è favorital’ascesa di Joerg Haider e dei movimen-ti antieuropei nei paesi scandinavi e nelBelgio. Intanto gli svizzeri continuano amangiarsi i loro bovini e a proteggersiegregiamente dall’afta epizootica, e nondebbono sorbirsi le prediche degli im-potenti ministri agricoli europei.

Assicurazioni franco-tedesche

Dell’Utri all’Ucciardone

Un accordo tra Axa e Deutsche Bank può scuotere il Vecchio Continente

Volevano due anni di galera preventiva per un deputato, ma “senza prove”

L’Unione sempre più accentratrice spaventa tutti, specie gli svizzeri

L’editoria è piena di aneddoti edifican-ti, ma la storiella su Enrico dall’Oglio

merita di essere raccontata. Un giorno, ilpadre padrone della Corbaccio è rintana-to in ufficio e ha da poco terminato di “farbaruffa con un famelico scrittore”, al qua-le ha staccato un assegno di 30 mila fran-chi, come anticipo per un libro. Davanti glisi para un giovanotto con un manoscrittosulla contessa Castiglione. “Castiglione?Mai sentita nominare...”, sbotta l’editore.Ma fiutando l’affare accetta lo scartafac-cio, pregando l’insolente autore di atten-dere nel salottino. In un’ora legge il ma-noscritto e decide all’istante di pubblicar-lo. Così nasce “L’imperatrice senza impe-ro”, un successo firmato dal giovane avvo-cato-storico Mario Mazzuchelli che avreb-be poi replicato con le biografie di Robe-spierre e Caterina di Russia, e in seguitosarebbe divenuto una delle colonne por-tanti della casa editrice milanese.

Non era raro, peraltro, che dall’Oglioagisse con tanto impeto. “Alto e magro,una selva di capelli neri, mani lunghe enervosissime, pallido di un pallore che gliocchi brillanti accentuavano... estrema-mente sensibile, disordinato e volubile”,come lui stesso si definisce. Enrico fa par-te della schiera di editori che, a partiredagli anni Venti, seppero rivitalizzare,spesso in contrasto con le restrizioni delregime, il mercato librario. Uomini di cul-tura, più che semplici imprenditori.

Il saggio di Ada Gigli Marchetti inqua-

dra sulla base di una ricca documentazio-ne inedita le vicende delle edizioni Cor-baccio partendo proprio dalla biografiadel suo proprietario. Figlio di un profes-sore di liceo, Enrico dall’Oglio nasce aImola nel 1900. Rimasto presto orfano dipadre, trascorre un’infanzia travagliata.Nel 1913 consegue la licenza tecnica alcollegio Calchi Taeggi di Milano, sebbenegià l’anno precedente fosse stato assuntocome fattorino, a 40 lire mensili, nella So-cietà editrice libraria. La strada in praticaè segnata. Non a caso nel 1919, tornato dal-la guerra, trova di nuovo impiego in unacasa editrice, la Modernissima, che gliapre il mondo delle belle lettere. E pocodopo, nell’ottobre del 1923, è già pronto aspiccare il grande salto, acquistando conun socio lo Studio editoriale Corbaccio.

Enrico si getta a capofitto nel mestiereche sta “tra il mercantile e l’artistico” in-terpretando alla perfezione il ruolo “dioperaio dell’intelligenza altrui”. Il primo

anno edita 17 titoli, proponendo tre colla-ne a sfondo politico. Fin dall’inizio, i testiscelti (come “La democrazia dopo il 6 apri-le 1924” del leader dei liberali aventinia-ni, Giovanni Amendola) hanno obiettivianche politici. Intendono salvare quel po’di opposizione possibile dai diktat dell’or-mai vincente cultura fascista. In linea conquesta impostazione la decisione di affi-dare la carica di direttore a Gerolamo Laz-zeri, un critico letterario dai trascorsi so-cialisteggianti.

Nell’agosto 1924, non senza un certa te-merarietà, Corbaccio pubblica una rac-colta di scritti di Giacomo Matteotti, da po-co assassinato. E prevede in catalogo,“Ilfascismo senza mito” di Antonio Pescaz-zoli, che però viene sequestrato. E’ la pri-ma avvisaglia del nuovo clima. Pur modi-ficando la linea editoriale e dedicandosimaggiormente alla letteratura di svago,dall’Oglio sarà infatti costantemente guar-dato di traverso per i suoi precedenti an-tifascisti. Proclamata Salò, alla fine del1943 pensa bene di prendere il largo. Esu-le in Svizzera, sopravvive grazie all’aiutodi alcuni amici, tra i quali Arnoldo Mon-dadori. Negli anni precedenti la Corbac-cio avevano contribuito a far conoscere algrande pubblico autori come Alberto Mo-ravia, Italo Svevo, Achille Campanile,Louis-Ferdinand Céline, John Dos Passos,Aldous Huxley, Thomas Mann, ArthurSchnitzler, David H. Lawrence, Jerome K.Jerome. Scusate se è poco.

LIBRIAda Gigli Marchetti

LE EDIZIONI CORBACCIO186 pp. F. Angeli, Lire 30.000

7 MARZO 1951

Scoperti depositi di armi sulle alture neipressi di Genova. Erano nascoste vicino adue forti abbandonati e nel rifugio antiae-reo di uno stabilimento industriale. Si trat-ta di un mortaio, varie mitragliatrici, decinedi fucili mitragliatori, centinaia di mo-schetti, munizioni e bombe a mano. Il mini-stero dell’Interno sostiene che sono arminascoste da formazioni paramilitari del Pci.

Assassinato il premier iraniano, Ali Raz-mara, 49 anni, mentre a Teheran entrava inuna moschea. L’omicida è un fanatico mu-sulmano. Razmara era apprezzato in Occi-dente per la sua capacità di opporsi all’Ursse alle correnti estremiste dell’Islam.

Esce in Italia il Grande Gatsby con la tra-duzione di Fernanda Pivano e EugenioMontale, proclama Francis Scott Fitzgerald,morto a 44 anni nel 1940, “campione dellagenerazione perduta”. Ciò che colpisce dipiù il critico e poeta italiano è la capacità digiudizio morale di Scott Fitzgerald, consi-derata elemento determinante che garanti-sce la solidità della sua opera e la distingueda quella di un altro esponente della toastgeneration, Ernest Hemingway.

Scompare Giuseppe Lipparini, poeta escrittore bolognese, noto a generazioni di li-ceali soprattutto per le sue traduzioni dallatino, considerate il più prezioso supportoa interrogazioni e versioni scritte.

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ANNO VI NUMERO 65 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO MERCOLEDÌ 7 MARZO 2001

Roma. Si votò in Italia nel 1924 con laLegge Acerbo, che dava i due terzi dei seg-gi alla lista che avesse ottenuto la maggio-ranza anche solo relativa, e il resto alle al-tre in proporzione ai voti. Come tutti sanno,vinse il “Listone” Fascista aperto a liberali,cattolici e indipendenti in genere, pren-dendosi 356 deputati. In quell’occasione fupresentata una lista fascista “bis” di puri eduri, limitata alle quattro circoscrizioni dimaggior forza elettorale del movimentomussoliniano: Toscana, Lazio-Umbria,Abruzzi e Puglie. Così, il duce incamerò 18deputati in più, sottraendoli ai 179 riservatiall’opposizione.

In Colombia, invece, si votò il 9 dicembre1990 per l’elezione di un’Assemblea costi-tuente, con quel tipo di metodo elettorale chegli esperti chiamano “d’Hondt”, ed in cui lecifre elettorali delle liste sono divise per 1,per 2, per 3, eccetera, e poi messe in fila finoa riempire i seggi da assegnare. Il Partito Li-berale, il principale del paese, non presentòuna lista, ma 36. Nel complesso questa ope-razione “alveare” fruttò ai liberali il 28 percento dei voti, contro il 26,75 dell’effimerofronte nuovista guidato dagli ex-guerriglieridell’M-19, e il 26,34 delle due liste conserva-trici. In seggi, finì con 23 liberali, 20 conser-vatori e 19 dell’M-19, sui 70 eletti.

Insomma, dimmi che sistema elettoralehai, e ti dirò che tipo di liste civetta si pos-sono fare. Ma, ovviamente, più è pasticciatopiù possibilità ci sono. Il Mattarellum, comeè noto, nacque dalla curiosa operazione deltradurre un referendum elettorale unino-minale all’inglese tenendo presente la leg-ge elettorale tedesca. In Germania, infatti,l’elettore ha a disposizione due schede: unaper eleggere metà dei deputati in collegiuninominali all’inglese, e la seconda pereleggere l’altra metà su liste regionali. Il ri-sultato finale è proporzionale ai voti di lista.

Il Mattarellum ha aumentato la quotauninominale ai due terzi, stabilendo la so-glia di sbarramento al 4 per cento. Con lastessa logica ha permesso alle differenti li-ste proporzionali di apparentarsi tra di loroper i candidati uninominali, ma ha poi in-ventato lo scorporo dei voti. Che funzionacosì: al Senato lo scorporo è totale e vengo-no sottratti ai voti validi per i seggi asse-gnati col proporzionale un numero pari atutti i voti ottenuti dal candidato eletto. Al-la Camera è invece scorporo parziale: si to-glie il numero minimo di voti necessarioper la vittoria nel collegio uninominale, ov-vero quelli del secondo classificato, piùuno. Il tutto per tutelare le minoranze. E seal candidato uninominale si collegano piùliste, lo scorporo viene diviso tra i voti otte-nuti da ciascuna lista.

Gli inghippi sono due. Primo: la dichiara-zione di collegamento è puramente arbitra-ria. Secondo: quando una lista non arriva al-la soglia di sbarramento, i voti uninominaliad essa collegati vengono letteralmente “ri-succhiati”, senza più disturbare la riparti-zione. Liste civetta per aggirare lo scorporofurono annunciate nel 1993 dal leghista Spe-roni, senza che però alle elezioni del 1994 leminacce si concretizzassero. Ma al voto del1996 fu l’Ulivo a scatenarsi. Una prima listacivetta, sia pure dalle illustri ascendenze, fuquella del Partito Sardo d’Azione, di cui eralargamente scontato che non sarebbe riu-scito ad arrivare al 4 per cento su base na-zionale. Infatti, si fermò allo 0,1 per cento,ma ad essa vennero collegati tutti e 8 i can-didati dell’Ulivo in Sardegna, “salvando”così del tutto dallo scorporo il voto propor-zionale nell’Isola per i partiti nazionali del-l’Ulivo, e mettendo a rischio l’elezione del-lo stesso capogruppo forzista Pisanu. Traquesti 8 eletti uninominali “sardisti” c’eraanche Antonello Soro, poi capogruppo delPpi. Da seconda lista civetta “di lusso” fe-cero poi i Verdi, anch’essi a quoziente pro-blematico. Infatti si fermarono al 2,5 percento, ma per portare a 33 la loro aliquotadi candidati uninominali furono collegati alSole che Ride almeno 12 candidati “di altraarea”. Tra questi, l’ex Pri Giorgio Bogi, poifinito nei Ds, e l’ex Pli Federico Orlando,poi nell’Asinello. Infine, ben 138 candidativennero “scaricati” sulla lista del Ppi, con-tro i 39 della Lista Dini e i 209 del Pds, mal-grado un rapporto di forze effettivo che alvoto proporzionale venne poi misurato in6,81 per cento, 4,34 e 21,06. E i rispettivi elet-ti proporzionali furono infatti appena 4 delPpi, contro 8 della Lista Dini, che aveva pre-so meno voti, e i 26 del Pds. Insomma i po-polari si “sacrificarono” per il bene dellacausa. Ovviamente, dietro congruo compen-so nell’uninominale. In totale, su 445 colle-gi uninominali alla Camera solo in 26 l’Uli-vo stabilì quei “collegamenti plurimi” che,nello spirito della legge, avrebbero dovutoessere quelli normali. Così, l’Ulivo rosicchiòquella decina di seggi in più.

Un pressante appello contro le liste ci-vetta fu lanciato da Cdu e Ccd il 28 febbraio1996, una chiamata a Oscar Luigi Scalfarovenne da Ignazio La Russa l’8 marzo 1996,una denuncia di Silvio Berlusconi su quelche stava accadendo in Sardegna venne il17 marzo 1996. A quei richiami, l’Ulivo harisposto. Nel 2001.

Ieri non c’era San Remo.Allora ho guardato San

Toro. E di nuovo ho fatto una cosa di sini-stra. Baci perugina a Maria Cuffaro.

Dj & Dsdi Pierluigi Diaco

Quattro signori pranzano all’Alibi clubdi Washington. Brindano e parlano pocodi economia e molto di donne. Sono natitutti nello stesso giorno, il 6 marzo. SonoAlan Greenspan, William Webster, TomFoley e Kit Bond. Greenspan fa 75anni, ma non li dimostra.

Alta Società

Mattarellum raggiratoVerdi e sardisti, le liste civetta del

centrosinista nel ’96. Che cosa sonoe perché conviene presentarleSignor direttore - Così il veneziano Cacciari ha

commentato la candidatura di Sandro Anto-niazzi a sindaco milanese del centro sinistra: “Perla frenesia si è arrivati alla soluzione peggiore,amen”. Frenesia? Lunga un anno? E per una so-luzione pacata di quanti anni aveva bisognoCacciari? Faccia lui, ma poi non si lamenti ognidue per tre che Venezia si spopola, amen.

Andrea Marcenaro

Signor direttore - Un esempio di pragmatismo,anche in tema di conflitto di interesse, viene da-gli Stati Uniti. Il nuovo segretario al Tesoro, PaulO’Neill, ha deciso di conservare le azioni da luipossedute in Alcoa, di cui era presidente primadella nomina nel nuovo governo. “Non parteci-però alle decisioni del governo riguardanti Al-

coa” ha dichiarato, minimizzando le preoccupa-zioni su un potenziale conflitto di interesse. La de-cisione è stata approvata dall’Ufficio di Etica delgoverno federale e non ha suscitato alcun cla-more negli ambienti politici. Potremo mai spera-re altrettanto anche noi in Italia?

Eus Tortorelli, Washington

Si legge che Giovanni Sartori sta per im-barcarsi con Massimo D’Alema: gli porterànotizie dall’America?

Signor direttore - Grazie per avere insistito conuna battage così pressante tanto d’avermi in pra-tica costretto a comperare la “Barney’s Version”.Ottimo libro, tuttavia non mi sembra poi quellabibbia del “politically uncorrect”, quanto piutto-

sto una sorta di romanzo picaresco ambientatonella terza età (ma a 67 – 70 anni, nel Nord Ame-rica, si è davvero così decaduti come Barney e isuoi amici? Meglio rivalutare la dieta mediterra-nea). Stupisce, invece, che i simpatici ossessi chea Roma chiamavano “Barney” uno stupito Mor-decai Richler, squadernandogli in faccia la gi-gantografia pubblicata sul suo giornale, non sisiano avveduti che, in realtà, avevano di fronteTerry McIver in carne e ossa, con tanto di spon-sorizzazione del “Canadian Council for the Arts”e la legittima ambizione nel cassetto di venire co-ronato dal premio Nobel. Gli auguro di emularepresto Dario Fo, abbandonando l’imbarazzantecompagnia dei Borges e dei Proust. Ne ha le qua-lità: appartiene a una minoranza, è di sinistra eanche un buon scrittore. Lo aiuteranno più le

prime due che la terza. Mazel tov, Mordecai.Klaus Berger, Trento

Buon lettore e mal pensante.

Signor direttore - Interessante e opportuna lariflessione che state conducendo sull’abolizionedell’imposta di successione. Ad adiuvandum (seserve), ricordo quanto sostiene al riguardo il pre-mio Nobel per l’Economia Gary Becker, il qualeha smontato l’argomento secondo il quale l’im-posta sarebbe uno strumento “redistributivo” cheavvicinerebbe le posizioni di partenza di ricchi epoveri. Per Becker è “la trasmissione del capita-le umano all’interno delle famiglie la fonte piùimportante di ineguaglianza d’opportunità”; per-ciò egli propone di non insistere con l’imposta di

successione che (negli Stati Uniti) alimenta soloi ricchi studi fiscali che studiano come eluderla.

Salvatore Carrubba, Milano

Signor direttore - Il WSJ di qualche giorno faha riportato la notizia dell’operazione Eni in Ka-zakistan. Il Foglio ha messo in risalto come il“miracolo Eni” si scopre solo se “i giornalisti stra-nieri ne parlano”. Carlo Rossella, direttore di Pa-norama, ha scritto rivendicando la paternità del-la notizia, sei pagine di scoop sul numero dellasettimana scorsa. Volendo sottilizzare sulla pri-mogenitura di questa informazione, il VeLino del13 febbraio riportava la primizia sotto il titolo“Eni numero uno negli Urali”. Così, tanto per in-serirci nella goduria dell’incesto…

Roberto Chiodi

Una notiziola americana per Sartori (che s’imbarca, pare, con D’Alema)