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2° CORSO PER TECNICI NAZIONALI DELLA FIT CON VALORE DI ALLENATORE DI QUARTO LIVELLO EUROPEO CONI - FIT
Anni 2004/2005
PROJECT WORK
IL SUPPORTO PSICOLOGICO AL GIOCATORE JUNIORES NEL PERCORSO VERSO L’ALTO LIVELLO
Autori: Nicolina Vendemiati, Massimo Ghedin, Marco De Siena
Tutor:
Professore Massimo DI PAOLO
Roma, 8-9 novembre 2005
ABSTRACT
Ormai molti allenatori di tennis ritengono che l’aspetto mentale svolga un ruolo di
primaria importanza per la crescita e l’evoluzione dell’atleta e l’ottimizzazione della
prestazione, ma come si può effettivamente aiutare uno juniores nella sua evoluzione
verso l’alto livello?
Partendo da questa domanda abbiamo cercato di individuare, attraverso una ricerca
bibliografica, i due aspetti che maggiormente influenzano la crescita del giovane atleta
sotto l’aspetto psicologico:
Il primo aspetto è quello strettamente legato alla prestazione, abbiamo quindi
individuato le qualità psichiche che dovrebbero essere presenti nell’aspirante
campione, esponendo anche qualche semplice esercizio che lo aiuti a
svilupparle.
Il secondo aspetto è quello legato alla analisi della comunicazione, come
strumento di relazione tra allenatore ed atleta finalizzato alla ‘crescita’ sia da
un punto di vista tecnico che personale di entrambi i soggetti.
Questa ricerca bibliografica permette al lettore di avere gli strumenti giusti per capire
come questa problematica viene affrontata nei centri di allenamento in Italia dove si
radunano i migliori giocatori juniores. Nella terza parte, infatti, siamo passati sul
‘campo’ ed abbiamo intervistato i coach analizzando come, nella realtà, ‘il supporto
psicologico’ viene interpretato per aiutare il giovane atleta nel suo percorso verso l’alto
livello.
1
SOMMARIO
INTRODUZIONE 3
PARTE PRIMA
Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
Capitolo 1. LA MOTIVAZIONE 6
1.1 La motivazione alla pratica sportiva 6
1.2 La motivazione alla riuscita 7
1.3 La motivazione alla competenza 7
1.4 La teoria dell’attribuzione 8
1.5 Il Goal Setting (la definizione degli obiettivi) 8
Capitolo 2. LA PERSONALITÀ 10
2.1 L’Autoefficacia 10
2.2 L’Ansia 10
Capitolo 3. I PROCESSI DI AUTOREGOLAZIONE ED I LIVELLI DI
ATTIVAZIONE 13
3.1 Livelli di attivazione 13
3.2 Il Rilassamento 15
3.3 L’uso delle immagini mentali e della ripetizione mentale 17
Capitolo 4. L’ATTENZIONE 21
4.1 L’attenzione 21
4.2 Gli stili attentivi 22
4.3 Attenzione e concentrazione 23
4.4 Lo stato di flow 24
2
PARTE SECONDA
Aspetti riguardanti il rapporto allenatore/atleta
Capitolo 1. LA VALUTAZIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA 28
1.1 L’indagine idoneativa 28
1.2 L’indagine attitudinale e funzionale 28
1.3 La comprensione dell’atleta 29
1.4 Gli strumenti testologici 29
1.5 I canali sensoriali 30
Capitolo 2. LA COMUNICAZIONE 32
2.1 I cinque assiomi della comunicazione 33
2.2 Gli stili di comunicazione 35
Capitolo 3. ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE TRA ALLENATORE
ED ALLIEVO 38
3.1 ‘Cosa’ comunichiamo 39
3.2 L’identità: ‘chi’ siamo e con ‘chi’ comunichiamo 40
3.3 ‘Come’ comunichiamo 45
PARTE TERZA
Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento
in Italia
Capitolo 1. LA RICERCA 48
Capitolo 2. RISULTATI DELLA RICERCA 50
Capitolo 3. ANALISI DEI RISULTATI E CONSIDERAZIONI 58
BIBLIOGRAFIA 64
3
Introduzione
In tutti gli sport si assiste ad una continua evoluzione ed il tennis non fa eccezione.
Infatti, insieme alla tecnologia dei materiali degli attrezzi, divenuti sempre più potenti,
anche il gioco si è trasformato divenendo più muscolare e ponendo l’accento sulla
preparazione fisica, che è entrata a pieno titolo nei fondamenti di questa disciplina.
Tuttavia, appena 20 anni fa, la figura del preparatore fisico suscitava molti dubbi ed ha
dovuto superare numerose barriere per potersi affermare.
Noi riteniamo che oggi nel tennis la preparazione psicologica si trovi in una fase in cui
superato lo scetticismo, si sente la necessità di una maggiore conoscenza per affrontare
meglio l’argomento, può quindi, essere utile agli allenatori esplorare questo mondo
anche da più punti di vista.
La preparazione psicologica è per molti aspetti necessaria quanto e forse più di quella
fisica sia perché garantisce non solo l’atleta ma anche l’uomo sia perché il pieno utilizzo
delle potenzialità atletiche è subordinato alla forma psicologica.
La preparazione mentale non ha, tuttavia, come obiettivo il risultato, ma la creazione di
condizioni psicologiche ideali che supportino il conseguimento del risultato stesso.
I metodi psicologici di allenamento riguardano:
Il miglioramento del ristabilimento e della capacità di prestazione fisica;
Il miglioramento del processo di apprendimento della tecnica;
L’eliminazione dei fattori di disturbo che influiscono negativamente sulla
capacità di prestazione sportiva.
Abbiamo ritenuto opportuno, nella prima parte, fare una presentazione delle abilità
psicologiche e le loro relative applicazioni nello specifico.
Nella seconda parte, abbiamo analizzato gli aspetti riguardanti il rapporto allenatore
atleta; siamo partiti dall’importanza che la valutazione psicologica svolge affinché ogni
maestro possa meglio conoscere il proprio giovane atleta e poter così intraprendere un
giusto percorso nella sua evoluzione psicologica. Abbiamo poi studiato gli aspetti più
importanti della comunicazione; perché comunicare, interagire, saper costruire e
mantenere dei rapporti interpersonali risulta essere un requisito sostanziale tra le
competenze che ogni operatore sportivo deve possedere. Se poi la comunicazione è
4
rivolta a giovani atleti, non è solo uno strumento di relazione, ma anche e soprattutto, un
processo finalizzato alla sua evoluzione tecnica e personale.
Con la terza parte entriamo nel vivo del project work, abbiamo intervistato i
responsabili dei centri agonistici in Italia in cui si allenano e si sono allenati molti junior
di alto livello. Il nostro scopo era, attraverso dei questionari aperti, capire come
interpretano ‘il supporto psicologico al giocatore juniores’ i maestri che maggiormente
sono coinvolti nell’evoluzione del giovane verso l’alta prestazione, come ci lavorano e
con che risultati. Questo, che è il cuore di tutto il lavoro, lo abbiamo collocato come
ultima parte perché per poterla comprendere appieno abbiamo ritenuto necessaria una
conoscenza di base di tutto ciò che in un modo o nell’altro abbiamo analizzato. Le
conclusioni sono degli spunti operativi che abbiamo tratto dall’esperienza dei centri di
allenamento visitati, e delle nostre personali considerazioni maturate dopo questo lungo
viaggio attraverso le svariate interpretazioni sul supporto psicologico nelle quali ci
siamo imbattuti.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
6
Capitolo 1 LA MOTIVAZIONE
L’interesse per la motivazione nasce dall’esigenza di dare delle risposte concrete in
campo applicativo soprattutto agli allenatori, riguardo ciò che spinge gli atleti a
competere. Parlare di motivazione significa anche poter comprendere il fenomeno
dell’abbandono sportivo, valutare l’influenza che essa ha sull’apprendimento e la
prestazione, esaminare le spinte derivanti dalla motivazione intrinseca ed estrinseca,
esplorare i processi attributivi e la tecnica del goal setting.
1.1 La motivazione alla pratica sportiva
Alcune ricerche fatte (Gould 1982) hanno evidenziato che la motivazione alla pratica
sportiva non nasce solo dalla necessità di competere ma anche da esigenze sociali e di
spesa energetica.
A prescindere dalla età, dallo sport praticato e dalla cultura, le motivazioni basilari
emerse riguardano ‘l’eccellenza’ (esprimere le proprie abilità sportive) ‘lo stress’
(affrontare situazioni eccitanti per tentare di superarle) e ‘l’affiliazione’ (il fare
amicizia). E’ interessante notare che quest’ultima è molto significativa anche nelle
discipline individuali. Ulteriore motivazione basilare particolarmente sentita dagli adulti
è infine il mantenimento di una buona forma fisica.
Se parliamo di motivazione alla pratica sportiva non si può non accennare
all’abbandono. Esso nasce spesso dall’ insoddisfazione dei bisogni che inizialmente
avevano spinto ad intraprendere quella determinata attività. La noia legata alla
ripetitività degli allenamenti rappresenta uno dei fattori che più influenza la scelta di
abbandonare l’attività sportiva. Nel caso di atleti più competitivi, subentra anche la
mancanza o l’affievolirsi di quelli stimoli che inducevano il giocatore a sottoporsi anche
a grandi sacrifici pur di ottenere i risultati sperati. Più in dettaglio i più giovani lasciano
lo sport per problemi connessi al rapporto con l’allenatore, per mancanza di
divertimento e per un eccessiva enfasi posta sugli aspetti competitivi, mentre per gli
adolescenti la causa è determinata dall’emergere di altri interessi e in un secondo
momento dall’esigenza di entrare nel mondo del lavoro.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
7
1.2 La motivazione alla riuscita
La motivazione alla riuscita può essere intesa come la spinta che sostiene l’atleta nel suo
tentativo di raggiungere l’obiettivo. A questo proposito si è visto che i giocatori che
manifestano:
un elevato desiderio di successo ed una scarsa paura dell’ insuccesso presentano
un più elevato livello di abilità durante la competizione;
quelli che esprimono un basso desiderio di successo ed un’alta paura
dell’insuccesso presentano più abilità durante l’ allenamento;
coloro che hanno uno scarso desiderio di successo e scarsa paura dell’insuccesso
forniscono prestazioni di livello inferiore;
il desiderio di successo e la paura dell’insuccesso, infine, permettono comunque
buone prestazioni dal momento in cui si impara a gestire e sfruttare l’ansia.
1.3 La motivazione alla competenza
La motivazione alla competenza ha un ruolo fondamentale sulle prestazioni. Importante
è soprattutto la ‘percezione di competenza’ che è influenzata dagli agenti socializzanti.
Nei bambini di sei anni il giudizio sulla prestazione è completamente dipendente dal
sistema di approvazione sociale, mentre il risultato oggettivo non ha alcuna rilevanza .
I bambini di dieci anni, invece, fanno riferimento ai loro successi oggettivi per
formulare dei giudizi personali e valutano gli insuccessi a partire dal feed-back
propostogli dagli adulti. Diventa così importante che sin dalla prima infanzia i bambini
ricevano dei rinforzi positivi dagli adulti in modo da sentirsi stimolati nel proseguire i
loro tentativi di padronanza. Tali rinforzi sono quelli che incoraggiano e forniscono
istruzioni tecniche specifiche su come migliorarsi. Al contrario i rinforzi generali
stimolano l’affermarsi di una ridotta percezione di competenza.
In questo contesto assume molta importanza la motivazione intrinseca ed estrinseca. La
prima stimola quei comportamenti che permettono di sentirsi competenti e
autodeterminanti nei confronti dell’ambiente circostante. Si apprende per il piacere di
conoscere e non per ricevere lodi dall’insegnante. Quindi, ad esempio, compiere un
azione per ricevere un premio (motivazione estrinseca) incide negativamente sulla
motivazione intrinseca che è volta invece verso l’autonomia e l’autodeterminazione.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
8
Un allenatore non dovrebbe servirsi di rinforzi che dall’atleta possono essere percepiti
come più importanti della stessa partecipazione sportiva.
I giovani che si attribuiscono la responsabilità delle proprie azioni sono motivati a
manifestare le loro abilità e nel contempo a utilizzare le informazioni esterne per
migliorare la loro competenza e richiedono feed-back che sviluppino ulteriormente tale
controllo interno.
1.4 La teoria dell’ attribuzione
Normalmente ogni individuo interpreta ciò che avviene in termini di relazioni causali;
conseguentemente il comportamento è frutto sia di fattori interni come l’abilità e
l’impegno, che sono elementi stabili, sia di fattori esterni come la difficoltà del compito
e la fortuna, che sono elementi instabili. Esistono persone che attribuiscono maggior
importanza agli aspetti interni ed altre a quelli esterni. Questo influenza la strutturazione
dell’autostima e della fiducia in sé che cresce quando si raggiungono gli obiettivi per
fattori stabili. Un altro aspetto importante riguarda le differenze attributive a seconda se
si da la priorità al risultato oggettivo di una prestazione o alla propria percezione del
risultato. Infatti non sempre c’è concordanza tra risultato assoluto e grado di
soddisfazione personale. Non sempre dei successi sono sufficienti ad impedire ad
esempio l’abbandono di un attività se non c’è di pari passo un acquisizione di abilità.
1.5 Il goal setting - (la definizione degli obiettivi)
Per obiettivo si intende qualcosa che si vuole consapevolmente raggiungere ed ha due
caratteristiche: direzione o contenuto e qualità o intensità.
Alcuni studiosi (Locke e Latham 1985) hanno proposto dieci ipotesi relative al
funzionamento del goal setting in ambito sportivo:
1. Obiettivi specifici regolano l’azione in modo più preciso di obiettivi generali;
2. In relazione a obiettivi quantitativi specifici, più elevato è l’obiettivo, migliore
sarà la prestazione, fermo restando un livello adeguato di abilità ed impegno;
3. Obiettivi specifici e difficili miglioreranno maggiormente la prestazione, rispetto
a obiettivi del tipo fai-del-tuo-meglio o a non obiettivi;
4. La formulazione di obiettivi a breve termine e a lungo termine migliora
maggiormente la prestazione, rispetto alla sola formulazione di obiettivi a breve
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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termine;
5. Gli obiettivi agiscono sulla prestazione guidando l’attività, mobilizzando
l’impegno, aumentando la persistenza e motivando alla ricerca di strategie
appropriate al compito;
6. La definizione degli obiettivi è efficace solo in presenza di feed-back che
evidenzino i progressi compiuti nella direzione del raggiungimento degli
obiettivi;
7. Obiettivi difficili richiedono un notevole impegno, che determina prestazioni
migliori;
8. L’impegno può essere ottenuto chiedendo all’atleta di accettare l’obiettivo,
mostrando sostegno, permettendogli la partecipazione alla scelta degli obiettivi,
dell’allenamento, degli incentivi e dei premi;
9. Il raggiungimento degli obiettivi è favorito dalla determinazione di un piano di
azione o strategia, specialmente quando il compito è complesso o a lungo
termine;
10. La competizione migliorerà la prestazione sino al grado in cui sarà necessario
stabilire obiettivi più elevati e/o aumentare l’impegno.
Questa tecnica si può sviluppare con obiettivi di allenamento, obiettivi di gruppo o
individuali, obiettivi durante la competizione e obiettivi per migliorare la fiducia in se.
Inoltre dovendo essere gli obiettivi moderatamente difficili è importante che si sia
convinti di potercela fare (autoefficacia).
Su questa base gli individui si distinguono come:
Orientati al compito o alla prestazione (si impegnano sia in allenamento sia in
gara, cercano obiettivi difficili e sono auto-referenziati);
Orientati al risultato e al successo (vincono spesso, si impegnano maggiormente
in gara, cercano obiettivi medi, il successo è un fatto sociale);
Orientati al risultato e all’insuccesso (perdono spesso, temono la gara che ha
risvolti sociali, vivono i loro successi come fortunati e gli insuccessi come scarsa
abilità, ansiosi e destinati all’abbandono).
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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Capitolo 2 LA PERSONALITÀ
In psicologia dello sport lo studio della personalità ha avuto il compito di studiare il
comportamento degli atleti al fine di fornire delle previsioni sulla qualità delle loro
performance future. Tuttavia le ricerche che si sono servite del modello di tratti di
personalità non hanno permesso di formulare predizioni attendibili.
Quello che invece è stato fatto è valutare specifiche situazioni psicologiche all’interno
di situazioni sportive, quindi non considerare il giocatore di per sé stesso ma in rapporto
a come interagisce con la situazione (approccio interazionista).
2.1 L’ autoefficacia
L’autoefficacia è la fiducia che una persona ripone nella propria capacità di affrontare
un compito specifico. Un atleta, ad esempio, pur essendo in grado di fare un
determinato esercizio può non riuscirci se pensa di non essere in grado di farlo.
L’autoefficacia si sviluppa con :
l’esecuzione di prestazioni positive;
esperienze vicarie (esempi di individui che si impegnano invece di esperti che
riescono facilmente);
persuasioni verbali (meno utili);
attivazione fisiologica ed emotiva.
La percezione di competenza permette così di predire il comportamento che verrà
attuato ed una buona autoefficacia permetterà la riduzione dell’ansia e, in generale, un
proseguimento dell’attività grazie anche al raggiungimento di obiettivi predeterminati
(goal setting).
2.2 L’ansia
L’ansia è uno stato psicologico in cui c’è una condizione di agitazione individuale
caratterizzata da timore, nervosismo, preoccupazione o panico. Essa è spesso correlata
al concetto di stress che di per se è una risposta adattativa dell’organismo. Gli stress
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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sono scatenati da stimoli specifici detti ‘stressor’ che possono essere di natura fisica,
psicologica o sociale. Nello sport abbiamo:
stress esterni (dovuti ad ambienti, temperature, fuso orario, ecc.);
stress da prestazione (eccessiva pressione psicologica, monotonia e ripetitività
degli allenamenti, insuccessi, ecc.);
stress sociali (conflitti con allenatori, compagni, dirigenti, genitori, scuola,
mancanza di amici, ecc.).
Lo stress, quindi, non come semplice stimolo o risposta ma derivante dalla percezione
soggettiva della situazione e dalla rilevanza che le conseguenze hanno per l’individuo.
Si distinguono due forme di ansia. L’ansia di stato che può essere considerata una
situazione di stress psicologico e l’ansia di tratto che è una disposizione relativamente
stabile dell’individuo a rispondere anche a stimoli non oggettivamente pericolosi con
elevati livelli di ansia di stato.
In situazioni di ansia, da un punto di vista fisiologico, si può notare:
aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa;
incremento degli atti respiratori;
secchezza della bocca;
dilatazione delle pupille;
aumento della sudorazione;
eccessivo tono muscolare.
La sintomatologia che investe la sfera psichica può essere così riassunta:
coazione del pensiero;
irrequietezza e l’abilità emotiva ed affettiva;
irritabilità;
incapacità a concentrarsi ed inefficacia dei processi percettivi.
Un eccesso d’ansia porta ad avere dei comportamenti in partita contrari a quelli voluti:
fretta esagerata ed imprecisione nel gioco;
eccessiva aggressività a discapito della riflessione;
mancanza di scioltezza dovuta ad un eccessiva contrazione muscolare;
perdita dell’autocontrollo;
eccessivo timore della sconfitta con tutti i sentimenti negativi legati al
pessimismo.
Interessante è anche la distinzione tra ansia somatica (fisiologica) e ansia cognitiva
(sotto forma di pensiero negativo). Queste due forme di ansia, pur essendo
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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concettualmente indipendenti, in situazioni stressanti possono variare in modo analogo.
Infine, risulta intuitivo che l’estremo che rappresenta l’assenza di ansia è fortemente
legato alla fiducia in sé.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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Capitolo 3 PROCESSI DI AUTOREGOLAZIONE
E LIVELLI DI ATTIVAZIONE
3.1 L’attivazione
L’attivazione o energia psicologica, può essere rappresentata come quello stato
fisiologico di allerta e prontezza dominato da vigore, vitalità e intensità. L’attivazione
comprende condizioni molto diverse tra loro che vanno da un estremo in cui dominano i
processi di recupero (sonno profondo o rilassamento) a quello opposto in cui sono
prevalenti i processi di consumo e di mobilizzazione di energia individuale.
Per spiegare la relazione tra attivazione, processi di autoregolazione e prestazione sono
state proposte tre differenti teorie.
La più nota è quella relativa al modello della ‘U rovesciata’: questa sostiene che la
prestazione è favorita da un grado di attivazione ottimale, al di sopra e al di sotto del
quale la prestazione risulterebbe deteriorata (figura 1).
figura 1: grafico della ‘U rovesciata’
Si preferisce una bassa attivazione per i compiti complessi, soprattutto in fase di
apprendimento, e una alta attivazione per quelli semplici.
Per un atleta è di fondamentale importanza raggiungere prima e mantenere poi il proprio
livello ottimale di attivazione psico-fisiologica allenandosi con semplici tecniche di
attivazione o disattivazione a seconda delle esigenze. Per far ciò c’è bisogno che il
elevata
bassa
basso elevato Attivazione
Prestazione
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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giocatore si conosca bene, si ‘senta’ in modo da sapere quale è il suo livello di
attivazione ideale ma anche come raggiungerlo.
I sintomi di attivazione eccessiva:
Sintomi fisici: tensione muscolare eccessiva, difficoltà di respirazione, difficoltà
o eccesso di sudorazione, disturbi allo stomaco, sensazione di fatica e riduzione
della coordinazione motoria;
Sintomi comportamentali: agitazione generalizzata reazioni irrazionali o
superstiziose, riduzione della componente agonistica;
Sintomi psicologici; dialogo interno negativo, pensieri irrazionali, riduzione
della motivazione, attenzione ristretta, stato d’animo spiacevole.
Le possibili cause che possono portare ad una iper-attivazione dannosa per la
prestazione possono essere riconducibili ad un sentimento di inadeguatezza rispetto alla
situazione, oppure al timore riguardante le eventuali conseguenze a seguito di una
prestazione negativa.
Anche se di solito il problema che il giocatore deve risolvere è come ridurre una
eccessiva tensione, potrebbe realizzarsi anche la situazione opposta, per la quale l’atleta
deve imparare a riconoscersi come troppo poco attivato.
I sintomi di attivazione ridotta sono:
Sintomi fisici: bassi livelli di frequenza cardiaca, di respirazione e di adrenalina,
ridotta energia psicofisica;
Sintomi comportamentali: azioni lente, svogliatezza, imprecisione, sonnolenza,
distraibilità;
Sintomi psicologici: scarsa motivazione, deconcentrazione, estraneità dal
contesto.
Le cause che possono portare a questa pericolosa ipoattivazione possono riguardare una
condizione di eccessiva sicurezza, oppure la mancanza di interesse, oppure ancora una
situazione di sovraffaticamento.
A questo punto, come detto, se il livello di attivazione del giocatore non dovesse essere
quello ottimale, possono essere adottate due strategie: Se il livello è eccessivamente alto
si usa una tecnica ‘down’; diversamente lo si innalza con tecniche ‘up’.
Tecniche down:
tecniche di rilassamento da svolgere almeno 2 ore prima del match;
tecniche di rilassamento breve (anche durante il match o poco prima);
ricerca di atteggiamenti mentali positivi e costruttivi;
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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esercizi con atti respiratori lenti e profondi, fissità oculare, movimenti rallentati e
controllati.
Tecniche up:
esercizi di mobilizzazione che provochino un aumento della frequenza cardiaca;
trigger energetici (parole che evochino energia);
esercizi con atti respiratori veloci e di mobilità oculare;
Sino a qui abbiamo presentato la teoria della ‘U rovesciata’ che comunque non è l’unico
tentativo di spiegazione della relazione tra attivazione e prestazione. Ad esempio c’è la
teoria della ‘zona individuale di funzionamento ottimale’ che cerca di comprendere
quale sia il livello di attivazione preferito del singolo atleta con l’aggiunta
dell’intervento del sistema emotivo, la cui predizione e regolazione incide sulla
prestazione.
Ulteriore teoria è la ‘reversal theory’ che analizza il rapporto tra attivazione ed
emozioni che dipende dall’interpretazione cognitiva del livello di attivazione. Essa
spiega che ad un alta attivazione può corrispondere o eccitazione (piacevole) o ansia
(spiacevole) mentre ad una bassa attivazione ci può essere rilassamento (piacevole) o
noia (spiacevole), con la possibilità di passare da uno stato all’altro (rovesciamento).
In linea di massima possiamo affermare che sport di situazione o di precisione
richiedono un’attivazione più bassa mentre sport di elevata forza, velocità o resistenza
richiedono un’attivazione più alta.
3.2 Il rilassamento
Diventa quindi molto importante che gli atleti, anche per ricercare il loro stato di
‘Arousal’, siano in grado di padroneggiare alcune tecniche di rilassamento.
Uno degli gli scopi del rilassamento è quello di sviluppare la capacità di autocontrollo
dell’atleta al fine di ridurre l’ansia permettendo così al giocatore di adottare
comportamenti, modi di pensare e sentimenti adeguati al compito da svolgere. Le
esperienze di autocontrollo incrementano inoltre la fiducia in sé e favoriscono la
concentrazione.
Quella del rilassamento è una condizione psicologica che consente all’organismo di
recuperare forza ed energia attraverso l’induzione di uno stato di calma generale. Oltre a
ciò, il rilassamento permette una adeguata consapevolezza dei parametri funzionali del
proprio organismo.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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Le principali tecniche di rilassamento sono:
RMP di Jacobson (Rilassamento Progressivo): parte dal presupposto che si è in
grado di raggiungere uno stato di distensione psichica attraverso uno stato di
distensione muscolare. Il soggetto attraverso esercizi di contrazione e
decontrazione dei singoli distretti muscolari impara a riconoscere aumenti di
tono legati a precise condizioni emotive, a controllarli e ad abbassarli fino ad
arrivare ad uno stato di rilassamento profondo che avrà come conseguenza un
controllo emotivo.
Schultz (Training Autogeno): il presupposto di partenza è opposto al precedente.
Si utilizza l’aspetto psichico per produrre modificazioni muscolari. Per ottenere
il rilassamento si utilizzano rappresentazioni mentali connesse al soma, secondo
la legge di Forel, per la quale un’idea o un immagine determina effetti correlati
su tutte le funzioni vegetative. Questo rilassamento viene definito autogeno dal
momento in cui le modificazioni psichiche e somatiche vengono provocate dal
soggetto stesso attraverso una serie di esercizi di concentrazione passiva. Tale
tecnica, non difficile da apprendere, richiede la guida di un terapeuta per otto
dieci sedute, e verrà poi esercitata in maniera autonoma.
R.A.T. (Training Autogeno Respiratorio): tiene conto della funzione regolante e
protettiva del rilassamento che ha respiro anche in situazione di stress. Sei sono
gli esercizi proposti che partono dall’apprendimento del soggetto della tecnica di
rilassamento per poi permettere allo stesso di sensibilizzarsi rispetto ad aspetti
specifici (es. funzione respiratoria) ed infine di raggiungere uno stato di
benessere attraverso la respirazione. Come tutti gli esercizi di rilassamento anche
questo si conclude con un esercizio di recupero per favorire il ripristino
dell’attività psicofisica.
Biofeedback: è un meccanismo di retroazione biologica. Questo è un metodo
attraverso il quale il soggetto può apprendere a controllare e regolare una
funzione fisiologica come ad esempio il tono muscolare, la pressione arteriosa,
ecc. Tale tecnica consiste nel rilevare continuamente attraverso apparecchiature
elettroniche l’attività della funzione che si vuole imparare a modificare. Il
soggetto può sentire o vedere tramite il feedback emesso dalla macchina la
situazione della variabile controllata. Egli vive come rinforzo positivo le
variazioni che avvengono nella direzione desiderata. Il soggetto impara a
controllare volontariamente l’attività della funzione desiderata. Nello sport, e nel
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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tennis in particolare, la variabile più controllata è la tensione muscolare
attraverso l’elettromiografo. Il rilassamento muscolare, riducendo le stimolazioni
propriocettive afferenti al Sistema Nervoso Centrale indurrebbe uno stato
psicofisiologico incompatibile con l’ansia.
Desensibilizzazione Sistematica: consiste nell’eliminazione graduale delle
risposte d’ansia di fronte ad una situazione. Si tratta di indurre nel soggetto uno
stato fisiologico inibitore dell’ansia e nello stesso momento esporlo ad una
situazione debolmente ansiogena, ripetendo la cosa fino a quando lo stimolo
perde la sua capacità di evocare ansia. Quindi si presenta uno stimolo più forte.
Ovviamente molte altre sono le forme di rilassamento che si possono adottare anche se
tutte sono, in un modo o nell’altro, riconducibili ad una di quelle qui sopra riportate.
L’importanza del rilassamento dunque sembra scontata e può essere utilizzata per:
Gestire al meglio delle situazione di ansia pre gara
Per allenare la concentrazione
Affrontare meglio quelle situazioni che spesso caratterizzano in negativo le
performance dei giocatori quali:
- Paura del giudizio altrui;
- Paura di vincere o perdere;
- Eccessiva aggressività.
Favorire la visualizzazione.
Il giocatore che sarà in grado di padroneggiare molto bene il rilassamento potrà anche
essere in condizione di utilizzare al meglio le pause di gioco che intercorrono nel tennis
ad ogni cambio campo, cercando di ritrovare calma, motivazione, concentrazione e
fiducia in sé. Questo avviene tramite alcune tecniche di ‘rilassamento breve’ che
possono durare tra i 30 e gli 80 secondi. E’ ovvio che per riuscire a rimanere dentro al
poco tempo che si ha a disposizione c’è bisogno di allenare molto tali tecniche per
poterne fare un immediato buon uso. Anche durante il match esistono piccole pause
durante le quali il giocatore può ‘tuffarsi in sé stesso’ per trovare energie mentali e
giuste motivazione entrando in una brevissima fase di relax utile per ‘staccare la spina’.
3.3 L’uso delle immagini mentali e della ripetizione mentale
L’allenamento ideomotorio allena gli atleti alla rappresentazione mentale di immagini
visive. La capacità di visualizzare comprende alcune attività fra cui l’osservazione di
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
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altri atleti in azione dal vivo o videoregistrati seguita dalla ripetizione immaginata delle
sequenze motorie. Il passo successivo consisterà nell’esecuzione pratica del movimento
prima osservato e poi immaginato.
Bisogna considerare che:
Molti atleti non hanno sviluppato tale attività in modo sufficiente mediante
allenamento;
Prove sia empiriche che sperimentali dimostrano l’efficacia dell’immaginazione
nell’aiutare atleti a sviluppare abilità fisiche e psichiche;
L’immaginazione è plurisensoriale: impegna anche il senso uditivo e
cenestesico;
L’immaginazione deve essere sempre preceduta da una sessione di rilassamento
profondo. Ciò perché le immagini evocate acquistano una volontarietà
notevolmente più alta che in condizioni di normale vigilanza;
Importante nell’allenare l’immaginazione è ‘allenarsi sistematicamente’;
L’allenamento dell’immaginazione motoria può essere praticato quando gli atleti
sono stanchi, infortunati o gli impianti non sono accessibili;
L’atleta deve immaginare non solo la prestazione ma anche il risultato della
prestazione.
Questa abilità va allenata allo scopo di:
Aiutare atleti ad acquisire o esercitare schemi motori complessi:
l’allenamento ideomotorio è una forma di esercitazione mentale che ha lo scopo
anche di far aumentare nell’atleta la capacità di apprendimento motorio in
termini di:
- Velocità di apprendimento;
- Precisione nell’esecuzione;
- Stabilizzazione delle sequenze motorie;
- Capacità di coordinazione.
Può risultare utile soprattutto nelle prime fasi di apprendimento motorio, può
essere utilizzato anche per modificare schemi motori già acquisiti ed in parte
errati. Il suo principale campo di applicazione è comunque il ‘perfezionamento
tecnico dei singoli elementi di una sequenza motoria’. Durante l’allenamento
ideomotorio il movimento non viene realmente svolto dal soggetto ma solo
immaginato, ed ogni volta che una sequenza motoria viene immaginata si
registra un lieve aumento del potenziale elettrico nei muscoli interessati al
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
19
movimento pensato, chiamato effetto Carpenter. L’allenamento ideomotorio ha
una funzione programmante rispetto ad una sequenza motoria nel senso che,
attraverso l’anticipazione mentale di uno schema, il soggetto attiva i circuiti
neuronali interessati alla sua attuazione reale con conseguenti vantaggi di
maggior automatizzazione e fluidità del movimento.
Strutturare strategie da seguire in un contesto particolare:
il giocatore può, infatti, evocare mentalmente sequenze motorie ma anche
immagini di gioco e sensazioni cenestesiche di movimento ed anche vissuti
emotivi di vittoria. Alcuni giocatori usano tale modalità come una forma di
riscaldamento che segue quello fisico visualizzando le strategie di gioco studiate
con l’allenatore da adottare di lì a poco nel match. In questo modo si entra in
campo più tranquilli e meno confusi sul da farsi. Più efficace è la prospettiva
immaginativa se il giocatore che si vede in campo immagina di stare compiendo
un’azione (prospettiva interna), anziché vedere sé stesso eseguire la stessa
azione (prospettiva esterna).
Acquisire e migliorare abilità psicologiche:
Va da sé che una buona capacità di visualizzare porta ad una serie di ulteriori
vantaggi. Ad esempio aumenta l’autoconsapevolezza del giocatore migliorando
il suo schema motorio. L’allenamento ideomotorio permette all’atleta inoltre di
vivere il contesto di allenamento in maniera più attiva e gratificante riducendo la
monotonia derivante da un’eccessiva ripetitività di alcune metodiche. Anche la
gestione di situazione ansiose può trovare profitto dalla capacità di saperle
immaginare prima che queste accadano. Come infine vedremo fra poco anche
l’allenamento per la focalizzazione dell’attenzione trae un gran beneficio dallo
sviluppo di questa capacità. Importante inoltre, è non solo sapersi formare
immagini mentali, ma anche far si che tali immagini siano positive in modo da
creare nel giocatore quell’ottimismo che porta ad aumentare la sicurezza in sé, la
tranquillità e l’efficienza fisica grazie ad una miglior distensione muscolare.
Tutto questo porterà probabilmente ad una miglior prestazione. E’ utile, quindi,
che il soggetto impari a bloccare sul nascere tutti i pensieri e le immagini
negative e che viceversa impari a immaginare le cose giuste nel modo giusto
(ottimistico). A questo proposito è anche utile abituarsi a parlare in positivo sia
perché arrabbiandosi con sé stessi non ci si infonde sicurezza sia perché il ‘non’
esiste nel linguaggio parlato ma non nel pensiero. Tutti noi infatti ragioniamo
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
20
per immagini e qualsiasi cosa per pensarla dobbiamo prima rappresentarcela.
Non è possibile tuttavia rappresentare una negazione. Il giocatore che si dice nel
momento importante ‘non sbagliare’ rappresenta nella sua mente solo l’errore
che in alcuni casi si verifica davvero.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
21
Capitolo 4 L’ATTENZIONE
4.1 L’attenzione
L’attenzione, che è la capacità di focalizzarsi su alcuni aspetti, viene vista secondo
quattro prospettive:
selettività;
numero di informazioni possibili da trattare contemporaneamente;
rapporto con i livelli di attivazione;
orientamento nell’elaborazione delle informazioni.
Per evitare di vivere nel caos l’individuo, che è bombardato da un numero molto ampio
di informazioni, seleziona solo alcune di esse, interne o esterne, ignorando le altre. Gli
atleti in particolare, in funzione dello sport praticato, operano una scelta a livello
volontario o involontario cercando di escludere le informazioni irrilevanti . Ciò avviene
grazie al sistema percettivo, che negli atleti esperti riesce a focalizzarsi sugli aspetti più
fini della prestazione (ad esempio quelli tattici negli sport open), avendo ormai
automatizzato i compiti motori. Fondamentale è in questo senso l’informazione visiva.
Negli atleti di basso livello l’informazione visiva è puntuale su ogni elemento della
situazione, mentre negli atleti di alto livello è posta tra le situazioni e pone in relazione
diversi avvenimenti:
Nei primi viene trattata soprattutto a livello di visione centrale, mentre negli
evoluti esiste una complementarietà fra visione centrale e periferica;
Nel basso livello la lettura è cronologica, mentre negli alto livello è spesso
anticipata e si va ad inserire dove sta per apparire l’informazione;
Nei primi si analizzano molte informazioni, mentre nei secondi solo le più
significative;
Il tempo di analisi nei basso livello è corto per ogni avvenimento, lungo nel
complesso e l’informazione è incompleta, invece nell’alto livello il tempo di
analisi è lungo, nel totale è più breve e l’informazione è completa;
Nei primi il tempo tra percezione e risposta è lungo e questa non è appropriata, al
contrario dei secondi dove il tempo è breve e la risposta motoria è pertinente.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
22
Per quel che riguarda la capacità, si possono trattare più compiti ma l’attenzione va
posta su uno principalmente e moderatamente sugli altri che devono essere
automatizzati. Questa limitazione non è però rigida e le interferenze tra due compiti
possono essere ridotte. Inoltre l’automatizzazione convoglia i programmi motori nella
memoria a lungo termine il cui utilizzo non implica impegno mentale perchè sono
involontari al punto che portarli su un piano di consapevolezza può ad esempio
deteriorarne la prestazione (sabotaggio mentale).
La quantità di capacità attentiva dipende inoltre dal livello di attivazione:
Una bassa attivazione determina una mancanza di discriminazione delle
informazioni, cioè caos;
Un’attivazione moderata porta il focus su elementi pertinenti;
Un’alta attivazione crea uno stato di attenzione troppo ristretta per cui possono
essere ignorati dei segnali importanti.
Ciò va mediato però dall’attività cognitiva ed emotiva dei singoli atleti che con il
crescere della competenza possono auto-regolarsi in maniera diversa a seconda delle
loro esigenze.
L’orientamento dell’attenzione, che può essere visivo ma non dipendere dai movimenti
oculari, ha lo scopo di cogliere i segnali rilevanti e di non farsi ingannare come nel caso
tipico della finta. Negli sport open l’attenzione è perciò più diffusa nello spazio, mentre
nelle discipline closed si concentra in una piccola area.
E’ importante che in fase di allenamento si dia spazio ad esercitazioni riguardanti la
‘flessibilità attentiva’ che permette all’atleta di fronteggiare situazioni diverse.
4.2 Gli stili attentivi
In base a due parametri, ampiezza e direzione, si distinguono diversi stili attentivi.
Infatti l’attenzione può essere ampia o ristretta in base al numero delle fonti informative.
Inoltre può essere interna o esterna, a seconda che riguardi le sensazioni interne
all’individuo oppure dipendenti dall’ambiente. La combinazione di queste due
caratteristiche da luogo a quattro dimensioni attentive che si sviluppano in base alla
disciplina praticata.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
23
4.3 Attenzione e Concentrazione
Nel linguaggio comune, spesso, si tende a sovrapporre il significato di attenzione a
quello di concentrazione.
Quest’ultima è la capacità di focalizzare l’attenzione su un compito per un determinato
periodo di tempo senza essere distolti da fattori distraenti interni (es. pensieri negativi) o
esterni (es. rumore del pubblico).
La difficoltà a mantenere a lungo la concentrazione è il punto debole di molti giocatori.
Tale deficit che può essere una conseguenza dell’eccessiva emotività, a volte
caratterizza i giocatori che non credono in sé stessi; spesso tuttavia è l’incostanza
dell’atleta la causa del black-out. Non dimentichiamo che comunque il ‘visivo’, colui
che usa la vista come canale privilegiato per interagire con la realtà, ha più facilità di
distrarsi e di perdere la concentrazione rispetto ai cenestesici ed agli uditivi.
Anche se i casi individuali sono differenti, la pratica costante del rilassamento favorisce
per tutti la capacità di concentrarsi in virtù del fatto che allena a mantenere una passiva
attenzione su sé stessi.
La concentrazione è, quindi, un’abilità mentale e può essere allenata in campo.
Alberto Castellani (1992) propone delle forme di allenamento che pongono prima
l’attenzione sui vari stili attentivi e poi sulla flessibilità attentiva, ovvero la capacità di
spostare il centro di attenzione su ciò che la situazione richiede.
Un facile esempio di ciò, lo si può immaginare pensando di chiedere al giocatore che sta
lavorando in fase di palleggio di focalizzare l’attenzione sulla palla, centro di attenzione
esterno/ristretto riconoscere e dire il tipo di rotazione della stessa oppure il colore usato
per segnarla. Sempre lo stesso stile attentivo richiede il processo di anticipazione
motoria per allenare il quale si richiede, ad esempio, di individuare, focalizzandosi sugli
elementi utili come la fase di preparazione del colpo, la rotazione che subirà la pallina
ancora prima che questa venga colpita dal giocatore avversario.
Un esercizio che aiuta a spostare il focus sul centro di attenzione esterno ampia può
essere quello in cui si richiede al giocatore in fase di palleggio di osservare anche
l’allenatore posizionato a bordo campo e modificare alcune traiettorie di gioco a
seconda di suoi segnali convenzionali.
Un esempio di come allenare il centro di attenzione interno ristretto è quello in cui il
giocatore deve sentire e comunicare all’allenatore su quale parte del piede sta in
appoggio quando colpisce la palla (punta – pianta – tallone). Per lo stesso focus vale
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
24
anche la richiesta di organizzare una adeguata respirazione, provando a vocalizzare
oppure emettendo delle doppie espirazioni: una in fase di caricamento del colpo ed una
in fase di impatto.
Infine alcuni esercizi atti a focalizzare come centro di attenzione l’interno ampio
riguardano il comunicare da parte del giocatore le proprie sensazioni durante il gioco
relativamente al posizionamento del corpo al momento dell’impatto con la palla: avanti,
neutro o indietro.
Una volta in grado di portare l’attenzione su questi quattro aspetti Castellani propone di
mischiarli tutti facendo scegliere al giocatore o al maestro su quale porre l’attenzione
alternativamente. Si parla così di flessibilità attentiva. Questi esercizi risultano
abbastanza difficili dal momento che richiedono una grande concentrazione. Di
conseguenza devono essere contenuti nel tempo considerando l’elevato consumo di
energia psichica. Tuttavia, per ottenere risultati soddisfacenti, automatizzandoli in
allenamento, c’è la necessita di ripeterli con grande frequenza.
Un altro sistema per allenare la concentrazione è la strutturazione delle routine e la
pianificazione della competizione. Questo avviene attraverso un insieme integrato di
pensieri, azioni ed immagini che si attivano prima durante e dopo la prestazione; ciò
permette di concentrarsi sui compiti fondamentali e di prevenire un decremento
attentivo dopo una pausa, sia essa accidentale o facente parte dello sport specifico.
4.4 Lo stato di flow
Dello stato di flow si inizia a parlare negli anni ’70 grazie allo psicologo americano
Csikszentmihalyi e può venire definito come lo stato psicologico di massima positività e
gratificazione che si percepisce durante un’attività. E’ caratterizzato da una completa
immersione nel compito, da un elevato coinvolgimento e da un senso di controllo della
situazione. L’attenzione è focalizzata sull’obiettivo e si vive l’assenza di noia e di ansia.
C’è una forte motivazione intrinseca legata al piacere per l’attività, un’alterata
percezione dello scorrere del tempo e l’assenza di auto-osservazione.
L’esperienza in sé è talmente piacevole da indurre le persone a ripeterla anche a costo di
grandi sacrifici. Il flow viene vissuto dallo sportivo quando in una competizione ad alta
difficoltà, sente che tutto va per il verso giusto: ‘è difficile ma ce la posso fare’ sembra
dirsi l’atleta.
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
25
Da uno studio di Jackson e Marsh (1996) è emerso che le caratteristiche descrittive del
flow sono nove. Quelle che però sembrano essere le più importanti sono:
Equilibrio tra sfida e abilità
Ogni individuo può entrare in uno stato di flow solo se percepisce equilibrio tra
le richieste della situazione e le capacità personali. In particolare ad alte
difficoltà deve corrispondere una percezione di alte capacità (figura 2). Tale
equilibrio dovrebbe essere presente anche in allenamento.
figura 2: modello del flow (da Kimiecik e Stein, adattato)
Mete/obiettivi chiari - goal setting
Le mete devono essere a breve – medio - lungo termine. Ognuna deve avere una
direzione (come raggiungere l’obiettivo) ed una qualità (quanto tempo per
raggiungerla). Più le mete sono a lungo termine più dovranno essere rimisurate a
seconda dei risultati acquisiti.
Feed-back immediato
Il risultato dell’azione è di facile lettura ed esistono delle previsioni di risposta a
proposito dell’attività intrapresa.
Completa concentrazione sul compito
La concentrazione è un’abilità che consente di orientare l’attenzione nel modo
più efficace. Esistono numerose tecniche per ottimizzare il funzionamento della
concentrazione stessa:
- Con parole;
- Con immagini;
- Con pensieri.
alta
bassa
bassa alta Capacità
Difficoltà
ANSIA FLOW
NOIA APATIA
PARTE PRIMA – Aspetti generali di psicologia dello sport e applicazioni nel tennis
26
Lo stato di flow concorre alla riuscita di prestazioni eccellenti definite peak
performance; vale a dire la prestazione sportiva in cui l’atleta si esprime al di sopra del
suo standard abituale. Il flow predispone la performance dal momento che assomma le
condizioni mentali più favorevoli per la prestazione ottimale e più l’atleta riesce a far
sue tali condizioni maggiori saranno le possibilità di ottenere la peak performance.
Tuttavia non è possibile allenare il flow, stato che non si può riprodurre
volontariamente: ciò che è possibile fare invece è lavorare sulle condizioni oggettive,
reali, situazionali che lo predispongono.
Tenere presente dunque le ‘caratteristiche della sfida’ che riprendono lo studio di
Jackson e Marsh: si ritiene che il lavoro su tali aspetti aumenti la possibilità che i
giocatori entrino con maggior frequenza in uno ‘stato di grazia’ prima in allenamento,
poi, più facilmente, in situazione di gara.
Da non trascurare infine l’importanza che variabili come ‘l’arousol’ e la tensione
muscolare legata a situazioni di stress, giocano nell’insorgenza di tale stato. Abilità
mentali, anche queste, come abbiamo visto, allenabili.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
28
Capitolo 1 LA VALUTAZIONE PSICOLOGICA DELL’ATLETA
Così come si valuta l’efficienza fisica del giocatore, è importante avere chiara anche una
sua valutazione dal punto di vista psicologico. Tracciare un profilo di ciascun atleta sia
dal punto di vista idoneativo, sia dal punto di vista attitudinale e funzionale, ci consente
di conoscere i suoi punti di forza e le aree di miglioramento sulle quali orientarci per
ottimizzare la prestazione.
1.1 L’indagine idoneativa
L’indagine idoneativa ha come finalità la comprensione della persona nella sua
globalità, prendendo in considerazione i suoi molteplici aspetti affettivi, emotivi,
intellettivi. Si valuta la progettualità, la motivazione, le aspettative, gli stili personali
con i quali l’atleta fronteggia le situazioni stressanti. Si studia il contesto e le qualità
delle relazioni interpersonali, oltre al significato personale e soggettivo che l’atleta da al
suo ‘fare sport’.
Trovandoci di fronte ad adolescenti, è essenziale identificare quali siano le sue capacità
adattative, in quale misura egli riesca ad integrare l’attività sportiva con quella
scolastica, in che rapporto si pone con il proprio corpo in mutamento, quali dinamiche
caratterizzano il suo rapporto con l’allenatore, come vive i continui cambiamenti che
l’attività agonistica del tennis presuppone soprattutto a livello internazionale.
Occorre considerare le possibili linee di evoluzione relativamente alla motivazione, alla
disponibilità all’impegno, alla gestione delle risorse energetiche affinché possa poter far
fronte ai crescenti carichi di responsabilità.
1.2 L’indagine attitudinale e funzionale
L’indagine attitudinale e funzionale ha come obiettivo la valutazione delle
caratteristiche psichiche maggiormente implicate nella pratica del tennis. Vengono presi
in esame i cosiddetti ‘fattori di prestazione’ e si accerta quanto una data abilità cognitiva
sia attualmente utilizzata dall’atleta e quanto possa essere incrementata. Il suo
potenziamento porterà quindi ad un diretto miglioramento della prestazione.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
29
1.3 La comprensione dell’atleta
Due tipi diversi di valutazione che devono portare ad una conoscenza globale della
persona, valutandone le peculiari caratteristiche che ne fanno un tennista. L’obiettivo
fondamentale sarà quindi la comprensione dell’atleta nella sua globalità, studiandone i
punti di forza e le aree di miglioramento.
La conoscenza dei propri punti di forza può influenzare positivamente la motivazione e
la fiducia dell’atleta nelle proprie possibilità e ridurre il rischio che si rafforzi
un’immagine negativa di sé.
1.4 Gli strumenti testologici
L’asse portante della procedura valutativa è il colloquio che permette l’approfondimento
di problematiche che nessun test potrebbe meglio evidenziare. Attraverso il colloquio il
maestro entra in relazione profonda con il soggetto richiedendo una sua attiva
collaborazione, chiarendogli le finalità, condividendone gli obiettivi.
La valutazione può essere completata anche dalla somministrazione di test, di
questionari*, di prove obiettive e di performance. Nella valutazione attitudinale gli
strumenti testologici vengono scelti in base agli obiettivi ed è bene sceglierli tra quelli
costruiti per stimare dimensioni ritenute rilevanti per lo sport o meglio per il tennis e le
cui norme fanno riferimento, quindi alla popolazione sportiva.
Le abilità mentali maggiormente implicate nell’attività agonistica di alto livello,
vengono valutate attraverso questionari di autovalutazione che forniscono una misura
dell’impegno, della fiducia di sé, della capacità di definire obiettivi, dell’uso di
immagini mentali, della capacità di concentrazione, ecc…
Risulta sempre utile un monitoraggio periodico degli stati dell’umore per un arco di
tempo che va dalla fase di preparazione alle ore che precedono la gara, attraverso
l’impiego di questionari e di scale visive analogiche.
Per elaborare una metodologia in grado di fornire un quadro diagnostico esauriente e
personalizzato, è opportuno seguire delle linee guida che conducono ad una selezione di
interventi appropriata ed efficace:
In primo luogo bisogna concentrare la propria attenzione sui punti di forza e di
debolezza dell’atleta
* Alcuni test e questionari sono reperibili nella bibliografia, altri in appendice.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
30
In secondo luogo, gli strumenti diagnostici devono essere individualizzati
coinvolgendo in prima persona l’atleta cui l’intervento è diretto e prevedendo
anche delle comparazioni intrapersonali (vale a dire in altri momenti ed in altre
situazioni)
Terzo, un attento esame delle relazioni esistenti fra i dati, porta a risultati
migliori rispetto ad un tipo di approccio che tende ad isolare i dati stessi
Quarto, un approccio integrato alla procedura diagnostica (vale a dire selezione
di un metodo che dipenda dalle ipotesi individuali specifiche e dai risultati
emersi precedentemente), può condurre a risultati di grande interesse.
1.5 I canali sensoriali
Una valutazione psicologica non può prescindere dalla conoscenza del canale sensoriale
che l’atleta predilige.
Ognuno di noi percepisce il mondo esterno soprattutto attraverso uno dei cinque sensi
che, vengono raggruppati in tre principali canali d’accesso:
Visivo;
Uditivo;
Cenestesico che comprende le sensazioni tattili, gustative, olfattive e quelle
interne corporee.
La scoperta del modo attraverso cui egli percepisce il mondo e la realtà permetterà al
giocatore di applicare al meglio e più correttamente alcune tecniche di rilassamento o
altre immaginative ed al maestro potrà dare la giusta chiave di lettura su come
supportare l’atleta nella sua evoluzione e su come riuscire a rendere più efficace la
comunicazione con lui.
Infatti chi predilige il canale cenestesico ha buone probabilità di eccellere nell’attività
agonistica. Molti giocatori di alto livello ‘vivono’ il loro mondo dando molta
importanza a tutto ciò che percepiscono attraverso questo canale che gli attribuisce una
maggiore sensibilità, sia a sensazioni interne che a quelle tattili e muscolari. Nel tennis
generalmente è cenestesico chi per antonomasia ‘sente la palla’.
Chi percepisce la realtà innanzitutto attraverso il canale visivo da importanza alle
immagini, pensa per immagini ed impara molto per imitazione. Gli atleti visivi sono
facilmente attratti dai numerevoli stimoli che la vista gli propone e quindi incorrono
spesso in una difficoltà nel mantenere la concentrazione.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
31
Il canale uditivo è quello prediletto da chi da particolare importanza a suoni, ritmi,
parole e ragionamenti. Un ‘uditivo’ possiamo trovarlo spesso a fare ‘dialoghi’ mentali
con se stesso. Nello sport l’aspetto legato all’udito, sebbene importante, è meno
influente rispetto agli altri canali d’accesso, che andranno quindi particolarmente
sviluppati in questi soggetti.
Ciò non toglie che anche gli altri atleti dovranno sempre stimolare tutti i canali
d’accesso per poter migliorare le proprie prestazioni.
Capire a quale categoria si appartiene è semplice con l’utilizzo di test facilmente
reperibili*.
Ci sono delle semplici esercitazioni che si possono proporre al riguardo come ad
esempio allenare il giocatore con un occhio bendato impedendogli così la visione
binoculare, o con dei tappi nelle orecchie o addirittura con entrambi gli handicap che li
porterà così ad una focalizzazione dell’attenzione sulle sensazioni cenestesiche.
* Uno dei test somministrabile è reperibile nel libro di Longoni Umberto, ‘Questioni di testa’ – Calderoni 1995
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
32
Capitolo2 LA COMUNICAZIONE
Risulta importante capire come rendere efficace la relazione atleta e allenatore perché
possa stimolare una fattiva collaborazione ed una crescita dell’atleta.
Si intende, quindi, introdurre la tematica della comunicazione trattandone innanzitutto
alcuni aspetti dal punto di vista teorico per poi tradurli nella pragmatica sportiva.
Lo studio della comunicazione umana, secondo la terminologia di Desmond Morris
(1995), si può dividere in tre settori:
quello della sintassi, che si occupa della trasmissione dell’informazione
quello della semantica, si occupa del significato; quindi la comunicazione prende
corpo se il trasmettitore ed il ricevitore sono in accordo sul significato dei
simboli, quindi lo scambio effettivo di informazioni presuppone una
convenzione semantica
quello della pragmatica che è l’aspetto comportamentale, la comunicazione
influenza il comportamento, i termini comunicazione e comportamento
diventano praticamente sinonimi
Anche se esiste una chiara divisione concettuale dei tre settori, essi sono
interdipendenti.
L’aspetto che maggiormente ci riguarda è quello pragmatico, cioè degli effetti della
comunicazione sul comportamento, perché i dati della pragmatica non sono soltanto le
parole, le loro configurazioni e i loro significati (che sono i dati della sintassi e della
semantica), ma anche i fatti non verbali concomitanti.
Sono tre infatti i ‘canali’ attraverso i quali si inviano informazioni al proprio
interlocutore:
Verbale è tutto ciò che può essere ‘dattiloscritto’;
Paraverbale è quanto può essere prodotto e/o variato con l'apparato vocale (tono,
timbro, ritmo, volume della voce)
Corporeo è quanto può essere prodotto e/o variato con movimenti del corpo.
La comunicazione pragmatica deve essere considerata da tre punti di vista :
Il contesto in cui ha luogo la comunicazione (spazio e tempo in cui avviene,
sistema sociale di riferimento)
Il contenuto (argomento di discussione, ciò su cui verte la comunicazione)
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
33
La relazione (rapporto che si definisce tra gli interlocutori)
Possiamo semplificare affermando che ogni comunicazione è strutturata in un
messaggio di contenuto e un messaggio di relazione. Il messaggio di contenuto è
l’informazione che si inviano coloro che comunicano attraverso, generalmente, il canale
verbale. Il messaggio di relazione indica come i partecipanti si percepiscono, cosa sono
l’uno per l’altro, come si ‘vivono’ mentre parlano tra di loro, e si esprime attraverso il
canale non verbale (espressioni del viso, postura, ecc.) e para-verbale (ritmo,
punteggiatura, tono della voce ecc.). Il messaggio di relazione esiste in ogni
comunicazione e incide sul contenuto, determinandone il modo di comprensione ed il
modo di ascolto dell’altro. Poiché è veicolato dalla comunicazione non verbale e para-
verbale esso è più veloce del contenuto, arriva prima ed influisce sull’interpretazione di
quest’ultimo (figura 3)
figura 3: percentuali ricavate da ricerche volte a considerare quanto le persone si fidano in proporzione ai tre aspetti diversi della comunicazione.
2.1 I cinque assiomi della comunicazione
I cinque assiomi della comunicazione costituiscono i famosi presupposti da cui si è
sviluppata la ‘pragmatica della comunicazione’, li riassumiamo in questo modo:
1. Il presupposto principale è che in una relazione tra persone non è mai possibile
non comunicare, dunque ogni atteggiamento, comportamento o silenzio
costituisce per l'altro una precisa comunicazione.
2. Si può comunicare sia a livello verbale, che attraverso gesti, comportamenti
nonché con l'uso del tono, del timbro e del ritmo della voce.
3. Ogni comunicazione ha due aspetti, uno di contenuto e uno di relazione tra le
persone coinvolte.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
34
4. Il senso della comunicazione, nonché il suo significato, dipendono dalla
punteggiatura che viene fatta dagli interlocutori, o che viene tracciata da un
osservatore esterno.
5. Gli scambi comunicativi tra due o più persone possono essere simmetrici
(qualora siano basati sull'uguaglianza) o complementari (nel momento in cui
sono basati sulla differenza).
La comunicazione è un contenuto in un contesto, cioè una notizia, un dato,
un'informazione, un'opinione rispetto ad una precisa relazione, ad un particolare
interlocutore, ad un rapporto tra chi comunica e chi ascolta. Tutto ciò che descrive il
rapporto tra due persone costituisce una meta-comunicazione, cioè a dire una
comunicazione sulla comunicazione; la relazione il più delle volte viene descritta a
livello non verbale, attraverso gesti, comportamenti, modi di parlare.
La comunicazione dunque non è fatta solo di parole, si usano sì simboli che
rappresentano ciò che si vuole comunicare, parole, nomi, numeri, ma la comunicazione
è per lo più basata su rappresentazioni di ciò che si desidera comunicare come gesti,
disegni toni vocali, inflessioni, movimenti, ritmi e volumi della voce, e così via.
La comunicazione è poi un episodio in una storia, il significato di ciò che viene detto e
di ciò che succede, dipende dalla storia dei fatti che dipende a sua volta da come sono
stati punteggiati gli avvenimenti: chi ha iniziato a parlare, chi ha risposto a chi, chi ha
reagito alla risposta e via dicendo; se si è in disaccordo sulla punteggiatura si creano
conflitti, incomprensioni, equivoci.
La comunicazione è ancora fatta di sintonie e di competizioni, ogni messaggio può
essere letto come dichiarazione di superiorità o inferiorità dell'uno verso l'altro, dal
momento che la posizione dell'altra persona è accettata si ha sintonia, altrimenti detta
complementarietà, se invece ci si trova in una posizione competitiva ci si trova in
simmetria.
Infine, la comunicazione è inevitabile dal momento che ogni comportamento,
linguistico o gestuale che sia, costituisce una comunicazione.
E’ bene tenere presente che i messaggi possono essere inviati intenzionalmente, ma
anche non intenzionalmente, soprattutto attraverso il linguaggio non verbale, quindi il
significato della propria comunicazione e' nella risposta che si ottiene.
E’ importante precisare che non si può valutare solo l’effetto della comunicazione sul
ricevitore, ma ci si deve occupare anche dell’effetto che la reazione del ricevitore ha sul
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
35
trasmettitore, poiché i due esiti sono inscindibili, diventa fondamentale quindi
focalizzare il rapporto trasmettitore-ricevitore in quanto mediato dalla comunicazione.
2.2 Gli stili di comunicazione
Lo stile di comunicazione o il comportamento sociale che esprimiamo può essere
passivo, aggressivo o assertivo. Possiamo definire il comportamento passivo quello di
una persona che mette da parte le proprie esigenze, i propri diritti ed anche i propri
doveri perché trova difficile affrontare una situazione in modo diverso. La persona che
si comporta in modo passivo si sente frustrata, insoddisfatta, ansiosa, depressa,
scontenta. Nel rapporto con gli altri non riesce a dimostrare adeguatamente quello che
sa fare e quanto vale ed in questo modo rischia di essere svalutata dagli altri oltre che da
sé stessa. Il comportamento aggressivo è quello di una persona che cerca di soddisfare
le proprie esigenze ed i propri diritti ad ogni costo. In questo modo, forse, riesce anche
ad appagare alcuni bisogni, ma rischiando fortemente di compromettere altri elementi
importanti della propria vita: le amicizie, il rapporto con i colleghi di lavoro, con il
partner, con i genitori e con i figli. In questo modo, pur ottenendo dei successi, chi si
comporta in modo aggressivo si trova spesso ad essere insoddisfatto di se stesso. Chi,
invece, usa uno stile di comunicazione assertivo considera importanti le proprie
esigenze, diritti, bisogni e desideri e cerca di soddisfarli e, allo stesso tempo, fa in modo
che i propri interessi non vadano ad intaccare i diritti ed i bisogni degli altri; considera i
bisogni, i diritti, le esigenze degli altri di pari importanza rispetto ai propri.
La persona che si comporta in modo assertivo non è sempre pacata e sorridente: però è
equilibrata, diplomatica e adegua l’aggressività o la passività a seconda delle
circostanze. Sa riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, accetta il punto di vista
altrui, non giudica, non colpevolizza, ascolta gli altri ma decide in modo autonomo. E’
pronta a cambiare la propria opinione, non permette agli altri di manipolarla, non
pretende che gli altri si comportino come fa piacere a lei. Ricerca la collaborazione di
altre persone, ha una buona stima di se stessa, denota quindi, un buon senso di
autoefficacia.
Si può ben capire come uno stile di comunicazione più affermativo di sé, nel rispetto
degli altrui diritti può diventare formativo per un giovane atleta alla ricerca della
massima prestazione. La comunicazione tra allenatore ed atleta deve nascere dal
bisogno di confronto e di arricchimento reciproco. Non sempre i bisogni del giocatore
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
36
sono compatibili con quelli del coach, che però detta le regole della comunicazione
facendo nascere dei disagi nella relazione dovuti ad una sua netta dominanza nel
rapporto. L’allenatore che si comporta in modo aggressivo, può creare problemi di
autostima, frustrazione, ansia, rabbia repressa, demotivazione. Se, invece, il maestro
riesce ad avere uno stile comunicativo assertivo costruisce un rapporto basato sul
rispetto di sé e degli altri, sull’assunzione di responsabilità dei propri pensieri e delle
proprie azioni, sulla razionalità, obiettività, imparzialità, sull'accettazione dei propri ed
altrui punti di miglioramento, sul saper cogliere le critiche, sul sapersi fidare, sul saper
ascoltare. Una comunicazione assertiva permetterà di far crescere la relazione tra i due
nonché le persone stesse, il suo effetto è determinante sulla autostima, cioè sul giudizio
profondo che ognuno di noi ha su se stesso, fatto di parole e di emozioni. Svolgere con
assertività il ruolo di allenatore è di fondamentale importanza nell’evoluzione del
giocatore adolescente, infatti il percorso di costruzione dell’autostima, inizia da
bambino forgiata dall’opinione che hanno di lui le persone con le quali ha a che fare,
innanzitutto quelle persone per lui più significative, a cominciare da genitori e da chi
frequenta abitualmente il bambino.
In seguito, questo bambino si confronterà con altre persone, i compagni di scuola, le
maestre, i professori. I successi e gli insuccessi che otterrà saranno tutti avvenimenti di
grande importanza che contribuiranno a plasmare progressivamente l'immagine che ha
di se stesso nei diversi ambiti della vita, la capacità di risultare credibile, di piacere in
qualità di amico, le competenze nello sport e nello studio. Durante l'adolescenza, però,
si ‘riapre la partita’: lo sviluppo intellettivo, emotivo e sessuale, espone la persona a
un'enorme quantità di nuove esperienze che rimettono in gioco il lavoro sino a quel
punto consolidato, nel bene e nel male. Il corpo che si trasforma, le abilità intellettive
notevolmente più raffinate, le prime esperienze caratterizzate da successi e da rifiuti,
avranno un effetto fondamentale nello sviluppo della persona. Una esatta lettura di
questi avvenimenti può avvenire, nell’ambito sportivo, se al fianco del giocatore vi è
una figura che non formula critiche manipolative, cioè che intendono provocare
imbarazzo, senso di incompetenza, di ignoranza, di colpa, di ansia generica fini a se
stessi, al contrario delle critiche costruttive che sono tese al miglioramento, al benessere
o all'aiuto dell'altro, anche se talvolta possono suscitare senso di colpa, ansia generica,
senso di incompetenza, o di incompletezza.
Si può quindi affermare che un allenatore che svolge con efficacia e giusta
autorevolezza il suo ruolo di leader con il suo giovane atleta, lo aiuta a crescere
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
37
nell’assunzione delle proprie responsabilità, nell’obiettività, lo aiuterà a saper cogliere
le critiche, a fidarsi degli altri e soprattutto a saper ascoltare, in poche parole ad essere a
sua volta assertivo.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
38
Capitolo 3 GLI ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE
TRA ALLENATORE ED ALLIEVO
La comunicazione tra un allenatore ed i suoi atleti riguarda un ambito relazionale di
prima importanza, è in questo spazio che si colloca la contrattazione tra le due volontà:
quella dell’atleta e quella del suo coach. In questo spazio si delinea il profilo di un
rapporto che può andare dal totale affidamento alla pregiudiziale sfiducia. Un allenatore
quando comunica con un atleta, con la sua parola, il suo atteggiamento influenza non
solo il gesto tecnico, ma tutto il comportamento, dalla fase di preparazione fino a quella
agonistica. Se poi l’atleta è junior l’influenza è ancora maggiore. Comunicare bene
significa insegnare meglio, ciò determina sia una migliore relazione tra allenatore e
giocatore, che un maggior apprendimento, entrambi gli aspetti favoriscono una
prestazione superiore. Nel giocatore la figura dell’allenatore è di estrema importanza
perché oltre ai compiti ‘istituzionali’, cioè tecnici e fisici, deve saper assolvere e ben
integrare, anche queste funzioni:
Deve essere professionista: la professionalità riguarda le idee, i programmi, i
progetti, i suggerimenti per programmare;
Insegnante: è la persona che aiuta il giocatore a parlare tennisticamente, ad avere
padronanza, ed è bene ricordarsi che ogni persona impara in modo diverso da
ogni altra;
Educatore, deve trasmettere lezioni di sport e di vita ai giocatori e questo vuol
dire aiutare ad accrescere la personalità, formare uomini e donne;
Psicologo, deve capire i ragazzi, dare lo stimolo giusto per ogni ragazzo e ogni
situazione;
Ed anche genitore, deve saper sostenere quando è necessario ed essere severo
quando è indispensabile.
Comunicare letteralmente significa far comune ad altri, ciò che è nostro, quindi
trasmettere dei contenuti, condividere. Prima di poter fare ciò è opportuno sapere cosa si
vuole comunicare. Le regole per giungere ad una comunicazione efficace, sono
essenzialmente: il sapere ‘cosa’ comunichiamo, a ‘chi’ comunichiamo e ‘come’ lo
facciamo.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
39
3.1 ‘Cosa’ comunichiamo
Per una comunicazione efficace è importante conoscere i valori di fondo, le idee, quelli
che si chiamiamo valori antropologici (l’antropologia è la scienza che studia l’uomo)
che ogni allenatore ha e che tecnicamente si traducono su come funzionano le due
identità allenatore ed allievo e che determinano il tipo di interazione che si va ad
instaurare.
I valori antropologici ci possono servire per sapere quali sono i nostri valori, come
funzioniamo con gli altri, come sono fatte le persone con cui interagiamo, i modelli di
riferimento sono tre:
Il modello comportamentista che ha una visione dell’uomo come di un oggetto.
Il soggetto è un registratore che coglie l’oggetto per quello che è (corrente
empirista); un allenatore con questo valore antropologico nell’osservare un
giocatore può percepirlo per quello che è senza farsi influenzare dai suoi
pregiudizi; es. si fa un’idea delle sue caratteristiche tecniche e tattiche ritenendo
che il suo modo di essere non influenzi minimamente il giocatore;
Il modello cognitivista che vede l’uomo come soggetto attivo che interagisce con
l’oggetto che stimola la sua consapevolezza senza subire alcuna modifica dalla
relazione; la conoscenza dipende unicamente dai suoi preconcetti, il soggetto
costruisce l’oggetto (corrente idealista); es. un allenatore con questa visione
antropologica, è convinto che le sue idee e il suo tipo di gioco influenzino
moltissimo il giocatore e non viceversa;
Il modello strutturale integrato che considera l’uomo come un organismo fisico e
mentale che condiziona e si lascia condizionare da altri organismi; le sue idee, i
preconcetti possono influenzare la letture di quella determinata situazione che a
sua volta influenzerà la sua precedente visione; vi è una influenza reciproca tra
oggetto e soggetto (costruttivismo); es. un allenatore che condivide questa
posizione antropologica pensa che le sue idee, le sue emozioni condizionino il
giocatore e che a sua volta influenzino le sue idee e il suo modo di allenare.
Secondo il Modello Strutturale Integrato, costruito da Giovanni Ariano (2000), ogni
uomo è diverso dagli altri, rispetto ai seguenti valori:
consapevolezza che ci permette di conoscere e ordinare le cose intorno a noi e
sapere riconoscere quello che accade dentro di noi. Quanto più siamo
consapevoli delle nostre idee, dei nostri limiti tanto più potremo sforzarci di
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
40
ragionarci sopra e di superarli; l’allenatore che prende consapevolezza di come
comunica può rifletterci e incominciare a modificare la sua comunicazione
verbale e non verbale.
libertà che rappresenta la capacità di poter scegliere quello che si ritiene più
giusto e funzionale; un allenatore consapevolmente potrebbe decidere di non
modificare i propri limiti, nonostante li reputi dannosi per se e per gli altri.
responsabilità, valore che dipende dalla consapevolezza delle nostre azioni,
riguarda le responsabilità relative alle conseguenze delle nostre scelte; se un
giocatore non ha capito ciò che gli abbiamo proposto, non sarà responsabile se
sbaglierà quanto uno che l’ha capito.
intersoggettività che rappresenta la capacità di mettersi nei panni altrui e agire
nel rispetto di se e dell’altro; un allenatore che pensa che basti insistere per
realizzare il gioco che si propone, senza rendersi conto delle differenze
individuali emotive e cognitive nell’apprendimento.
Un allenatore può agire indifferentemente secondo le tre posizioni antropologiche
descritte senza accorgersene e questo influenza il gioco, l’allenamento e la crescita
dell’atleta. Questi valori con i relativi obiettivi che ne derivano si concretizzano nel
lavoro in campo e nel rapporto coi ragazzi con modalità di allenamento diametralmente
opposte. Quando un allenatore, nell’insegnare, si sforza di capire le differenze
individuali, cioè, la capacità del giocatore di fare o meno, di capire o meno determinate
cose, e sceglie gli interventi più adatti a questo tipo di situazione, cercando in qualche
modo un adattamento funzionale al gioco, sta mettendo in pratica, anche se non lo sa,
tutti i valori sopra menzionati.
3.2 L’identità: ‘chi’ siamo e con ‘chi’ comunichiamo
Per arrivare ad una comunicazione efficace è importante sapere con ‘chi ‘ andiamo a
svolgerlo. Il ‘chi’ richiama il concetto d’identità. La comunicazione implica una
relazione in cui due identità (un io = l’istruttore, e un tu = l’allievo)interagiscono.
Il Modello Strutturale Integrato definisce l’identità secondo due livelli:
1. livello intrapsichico con i linguaggi d’identità, in cui l’individuo è considerato
come un sistema che si compone di parti in interazione tra loro:
il linguaggio razionale si riferisce a come una persona legge la realtà, al
suo modo di ragionare, alle sue idee. Questo linguaggio permette agli
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
41
uomini di costruire un mondo di significati condivisi dal gruppo di
appartenenza. La funzione specifica del linguaggio razionale più
interessante è: la percezione, la capacità di ricevere ed elaborare gli
stimoli provenienti dal mondo esterno e dal mondo interno; un allenatore
non può capire un giocatore se non lo vede, lo ascolta, non prova
sensazioni, non ha contatto. Un allenatore esperto, in allenamento o in
partita, deve saper cogliere, nel suo campo percettivo, innumerevoli
segnali (con maggiore o minore consapevolezza), provenienti dal singolo
giocatore, dall’avversario, etc., e le sue scelte tattiche e/o didattiche
dipendono dall’elaborazione delle informazioni percepite, selezionate e
valutate;
il linguaggio fantastico, questo linguaggio nella nostra cultura è molto
svalutato, pieno di pregiudizi, anche se, di fatto, occupa molto spazio. E’
il frutto dei nostri desideri, delle nostre paure, della nostra visione del
mondo, vi fanno parte l’immaginazione, la creatività. In questa sfera
rientrano i sogni, le fantasie, le fantasticherie;
il linguaggio emotivo nel Modello Strutturale Integrato, rappresenta le
emozioni che l’individuo prova. Al contrario di quanto accade per i nostri
pensieri, che possono nascondere cosa veramente proviamo, più
difficilmente possiamo farlo con le nostre emozioni. Alla base di ogni
pensiero, di ogni idea, di ogni comunicazione c’è un’attivazione emotiva
che spesso viene tralasciata. Spesso si pensa che per essere efficienti,
nello sport e più in generale nella vita, bisogna focalizzarsi sulla
prestazione cognitiva o corporea perfetta reprimendo la tensione emotiva
o qualsiasi emozione che potrebbe interferire. Ma senza un giusto ‘tono
emotivo’ non ci sarebbe performance. Il modello identifica quattro
emozioni fondamentali rabbia, paura, tristezza e gioia, le altre emozioni
vengono definite miste e ricondotte a queste. E’ importante valutare quali
di esse sono dominanti in noi, quali quelle che tendiamo a non contattare,
a non riconoscere e quali quelle che non sappiamo gestire. Ogni emozione
ha una valenza positiva ed una negativa:
- Rabbia: siamo abituati a darle un connotato negativo, ma nello
sport una rabbia positiva, può essere identificata nella sana
competizione. Un atleta con una sana rabbia nello sport sarà
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
42
competitivo, deciso, assertivo, fermo sui suoi obiettivi da
perseguire. Sarà invece negativa la rabbia di un allievo invidioso,
pronto a raggiungere i suoi obiettivi giocando e agendo
scorrettamente sugli altri; ed è altresì negativa quella di un
allenatore che è sempre pronto ad attaccare gli errori invece di
riflettere per capire cosa sta succedendo.
- Paura: emozione che generalmente s’identifica con la debolezza.
Ci fa capire i nostri limiti e ci permette di essere prudenti e di
mettere in atto strategie adatte, funzionali per affrontare o evitare
pericoli. Chi non ha paura finisce per sopravvalutare le sue
capacità, sfociando così nell’incoscienza e nell’idea d’essere
onnipotente. E’ negativa quando questa è eccessiva fino a
diventare paralizzante, reazione spesso legata ad una insicurezza e
sfiducia nelle proprie capacità che porta a non fare per paura di
sbagliare, sopraggiunge un blocco del pensiero o del corpo; in
questo caso è opportuno riconoscerla e trovare strategie adatte per
gestirla ed affrontarla. Spesso l’inconcludenza è legata alla paura
di fare, non alla mancanza di volontà.
- Tristezza, anche quest’emozione ha un aspetto funzionale, è
positiva se spinge la persona a stare di più con se stessa, a
prendersi cura di se, è negativa quando tende ad isolarsi, chiudersi
in se e perdere l’interesse per il mondo. La tristezza nella pratica
può emergere dinanzi ad una partita persa, un risultato non
raggiunto, un’aspettativa tradita, l’incapacità ad accettare la
sconfitta. Il processo di elaborazione di questo sentimento sarà
positivo se l’atleta riuscirà, anche grazie ad un giusto supporto di
un allenatore, che senza banalizzare il suo dolore, ma rispettando,
lo aiuti a capire che nella vita si possono avere delle sconfitte, che
questo non significa essere un fallito, che è necessario che impari a
rialzarsi; sarà negativo se l’atleta non riuscirà ad accettare la
sconfitta, anche per colpa di un allenatore che, invece di
sostenerlo, potrebbe colpevolizzarlo e farlo sentire un fallito al
punto tale da non riuscire più a riprovare e decidere di lasciare.
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
43
- Gioia siamo abituati a vederla con un’accezione positiva, nello
sport si può tradurre nella motivazione alla vittoria, quindi è
positiva quando motiva alle prestazioni e mette in atto
comportamenti che vanno verso gli obiettivi prefissati. La gioia
crea vicinanza, legami con luoghi, persone, attività, comporta
investimenti, collaborazione; quando la persona che le vive non
riesce a gestire l’eccitazione che deriva dal successo, della
vicinanza, della condivisione con l’altro, per reazione può
innescare, inconsapevolmente, comportamenti che tendono a
‘rovinare le cose’ diventando distruttivo. Questo succede a quelle
persone che hanno fatto esperienze negative di vicinanza (fiducia
tradita), ed hanno paura che si ricreino situazioni di vicinanza;
prima che si realizzino mettono in atto comportamenti per evitarle.
il linguaggio corporeo si riferisce alle posture, alle reazioni somatiche, a
ciò che il nostro corpo esprime. Il corpo comunica, è un linguaggio che va
conosciuto e utilizzato per creare incontro è il luogo dove leggere e capire
le emozioni e i sentimenti. Attraverso il corpo infatti si possono tradurre
le diverse emozioni, il linguaggio non verbale, che è la vera
comunicazione perché più diretta, che a differenza del linguaggio verbale
può essere meno mascherato.
Dal grado di interazioni e funzionamento di queste parti sarà determinato
l’individuo. I diversi linguaggi attraverso cui un individuo si esprime, possono
essere utilizzati o meno, o si può avere la prevalenza di uno sull’altro. Ognuno
di noi in base alle esperienze di vita acquisisce canali preferiti di comunicazione
che spesso diventano automatici. Alcuni sono più centrati sulla sfera razionale
(quelle persone che tendono a spiegare tutto razionalmente, che stanno molto coi
loro pensieri); chi invece è più centrato sul lato affettivo, emotivo; chi è più nella
sfera fantastica (persone che vivono molto delle loro immaginazioni, fantasie,
poco aderenti alla realtà); quelli più sulla sfera corporea che seguono le loro
sensazioni.
2. livello interpersonale che considera come l’individuo interagisce con gli altri
individui e con il mondo esterno, la qualità delle relazioni che la persona instaura
con gli altri e con il contesto che lo circonda. Si distinguono tre modalità
relazionali definite:
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
44
‘B’, il ‘bambino’ rappresenta più i nostri bisogni e la loro soddisfazione,
il piacere;
‘G’, Il ‘genitore’ rappresenta le regole sociali, quindi il dovere;
‘A’, l’’adulto’ è la capacità di armonizzare in modo realistico dovere e
piacere.
Una persona normale è più o meno sviluppata secondo questi livelli, ma spesso
alcuni sono più focalizzati sul dovere, altri sul piacere altri vivono in contrasto
tra questi. E’ importante stabilire a quali di queste categorie appartenga sia
l’allenatore che l’allievo. Il ‘bambino’ è più ‘Emotivo’ rispetto all’adulto che
invece è più ‘Razionale’, la difficoltà che si incontra con questo tipo di struttura
è nella giusta mediazione tra l’incanalarlo su un binario senza ucciderne la
creatività. Senza un chiaro orientamento sia sulla tecnica sia sulla tattica, questo
allievo può perdersi (regole). Nello stesso tempo costringerlo troppo rigidamente
in schemi, potrebbe creare un gran senso d’agitazione con spreco d’efficacia e
tempo. Non è semplice coniugare questi due livelli e la riuscita o meno dipende
anche dalla struttura di personalità dell’istruttore (relazione).
Il ‘bambino’ può essere ‘al servizio degli altri’ oppure ‘egocentrico’. Il ‘bambino
al servizio degli altri’, diventa creativo e funzionale quando trova un allenatore
‘adulto-genitore’ che sappia dargli supporto e ben dirigerlo con chiare strategie
cognitive, senza castrarlo eccessivamente rispetto alle sue iniziative. Lo stesso
allievo con un istruttore castrante capitolerà verso il basso.
Il ‘bambino egocentrico’ non rispetta le regole e non si assume le proprie
responsabilità circa i limiti e gli errori e soprattutto non capisce gli altri.
Si possono trovare anche degli allievi ‘genitori’ che invece sono più focalizzati
sul dovere, quindi meno creativi, questi vanno sollecitati ad essere più spontanei,
senza essere però invadenti e spaventarli. Ad esempio un allievo che ha un
atteggiamento genitoriale (molto stabile, poco vitale, rispettoso delle regole,
poco spontaneo, ubbidiente) sarà certamente più utile un ‘allenatore adulto’ che
lo spinge a pensare con la propria testa, ad essere più creativo, sostenendo le sue
idee. In pratica tutto questo si traduce in un semplice intervento: invece di dire
‘fa questo movimento!‘ (impositivo ed inutile perché il bambino già rispetta le
regole, è già ubbidiente) otterrà maggiori risultati dicendo ‘che ne pensi se
proviamo a fare questo movimento?’ oppure ‘che intervento credi si possa fare
per migliorare questo esercizio?’. In questo modo il bambino è stimolato ad
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
45
essere creativo ma anche sostenuto e gratificato nel rapporto con l’istruttore.
L’allievo ‘genitore’, molto centrato sul dovere, è più adatto a mantenere un
equilibrio, funziona meglio nelle situazioni dove c’è molta tensione, ma non in
quelle che richiedono una lettura veloce del gioco. E’ importante che l’allenatore
osservi se stesso e i propri giocatori e si ponga costantemente queste domande:
‘come mi relaziono con il giocatore X?’; ‘quali ruoli tendo ad assumere?’;
‘divento un ‘A’ che sa contenere le proprie emozioni, riconoscere i propri
bisogni e quelli altrui, assumersi le responsabilità e perseguirli
autonomamente?’; o ‘ un genitore normativo ‘G’ che automaticamente approva,
disapprova interagisce obbedendo a postulati inconsapevoli (si deve…, è così…,
non si fa…, etc)?’; ‘o ancora divento nella relazione un ‘B’ egocentrico ed
onnipotente che riduce il mondo e gli altri ad oggetti per soddisfare i suoi
bisogni?’; ‘o ancora sempre un ‘B’ però teso a soddisfare i bisogni dei suoi
genitori, ad accontentarli fino ad annullarsi come individuo?’.
Questi esempi ci indicano le innumerevoli variabili che dobbiamo considerare durante
la comunicazione, non tutte le relazioni sono uguali ne noi siamo uguali nelle diverse
relazioni. Per riuscire quindi in una comunicazione efficace dobbiamo osservare,
guardare prima di parlare.
3.3 ‘Come’ comunichiamo
Se è più facile identificare degli obiettivi comuni è meno facile trovare una modalità
comune per raggiungerli, cioè il ‘come’ conseguire questi scopi. Nella comunicazione le
due identità (un io = l’istruttore, e un tu = l’allievo) che si incontrano, interagiscono
attraverso il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale. Queste identità non sono in
un rapporto statico ma dinamico, il che significa che si influenzano reciprocamente.
Abbiamo visto com’è importante conoscere i valori che spingono verso gli obiettivi,
conoscere chi abbiamo di fronte ma dobbiamo sottolineare quanto sia importante essere
consapevoli di ‘come’ si esprimono i contenuti, le idee, attraverso la comunicazione.
C’è una forte correlazione tra comunicazione verbale, che riguarda più il livello
razionale e la comunicazione non verbale, che invece è relativa al linguaggio emotivo e
corporeo. Questo ultimo si coglie in modo più immediato ed è il messaggio più forte. Se
la comunicazione non verbale non è consapevole, ci può essere un’incongruenza con il
linguaggio verbale; si può contraddire il messaggio verbale con atteggiamenti non
PARTE SECONDA – Aspetti riguardanti il rapporto allenatore atleta
46
consoni, il messaggio verbale sarà inefficace perché arriva in un clima confuso; avremo
una distorsione della comunicazione
Oltre a trasmettere contenuti, informazioni la nostra comunicazione tende a definire la
relazione esistente tra noi e il nostro interlocutore. Il comunicare non è sufficiente,
occorre comunicare bene. Vi sono infatti dialoghi inadeguati, caratterizzati da mancanza
di ascolto e da tentativi di sopraffare l’altro.
L’importanza di percepirsi e percepire persone e non cose, permette al coach di
accorgersi che un’informazione o un comportamento tecnico, non influenza solo l’area
tecnico-motoria del giocatore, ma la sua intera personalità che appare nelle risposte
emozionali, cognitive, corporee, fantastiche. Avere contatto con il proprio sè, aiuta
l’allenatore ad apprendere come le risposte del giocatore provocano in lui reazioni e
come lo influenzano: può essere arrabbiato e/o contento del comportamento del
giocatore; può avere minore o maggiore disponibilità nell’entrare in rapporto, a seconda
delle risposte e dei comportamenti dei giocatori (feedback).
Durante la comunicazione è utile accorgersi di cosa sta succedendo nell’interlocutore e
in se. Questo aspetto, viene definito comunicazione a doppio feedback: ogni messaggio
viene continuamente verificato sulla base della reazione che produce in noi, e
sull’interlocutore, distinguiamo quindi:
il feedback che arriva dall’interno (intrapsichico) e riguarda la risonanza che il
messaggio inviato o ricevuto, ha nell’inviante;
il feedback esterno (interpersonale) quando è legato alle reazioni che l’inviante
‘legge’ sul ricevente. Ad esempio, mentre state parlando, notate che l’allievo con
cui state interagendo ha delle reazioni corporee che indicano paura; riuscendo a
riconoscerle, potrete regolare la vostra modalità comunicativa/relazionale per
renderla più adeguata alla situazione (nel caso specifico vi permetterà di essere
più accoglienti e rassicuranti). Oppure sapere come stiamo (percezione e
propriocezione), in una situazione di stress o di fronte ad un allievo in difficoltà,
cosa pensiamo, cosa proviamo, come stiamo nel corpo, che fantasie abbiamo,
può esserci utile per non improvvisare un intervento (che solo casualmente può
andare a buon fine), quanto piuttosto a programmare ciò che vogliamo dire o fare
in funzione degli obiettivi che vogliamo raggiungere. Questo atteggiamento di
auto ascolto o di auto percezione facilita la costruzione di una relazione
funzionale.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
48
Capitolo 1 LA RICERCA
La ricerca è stata fatta tra quelli che vengono considerati in Italia i migliori centri di
allenamento dove si allenano o si sono allenati giocatori junior con l’aspettativa di
diventare professionisti. Nell’intraprendere questo lavoro ci siamo resi conto che per i
giocatori junior che volessero intraprendere questo percorso, esistono due tipologie di
strutture diverse alle quali appoggiarsi:
le accademie; che sono strutture organizzate per accogliere sia i giocatori
professionisti, sia i giocatori junior di ottime attitudini, ma anche una quantità di
mediocri giocatori junior provenienti da tutta Italia. Spesso in questi centri esiste
una scuola tennis. Le accademie sono sempre situate nei grandi centri abitati o in
prossimità di essi, si avvalgono di valide strutture con molti campi, anche di
superficie diversa e coperti, palestre ed in alcuni casi anche sale adibite a centro
di benessere (saune, sala massaggi, ect.). All’interno del centro o vicino, è
sempre prevista una foresteria o degli appartamenti per alloggiare i ragazzi non
residenti, ed un ristorante che si occupa del vitto. La gestione delle accademie è
sempre legata ad un responsabile che è un tecnico di indubbia esperienza (spesso
il centro porta il suo nome), la struttura è rigorosamente gerarchica ed alle sue
dipendenze lavorano maestri, preparatori atletici ed altre figure complementari
(medici, psicologi, massaggiatori, ect.) che completano lo staff. I giocatori
professionisti che si appoggiano alla struttura non sempre usano lo staff
dell’accademia, mentre tutti gli junior svolgono la loro attività con il personale
selezionato dal responsabile, e solo in sporadici casi con il responsabile
personalmente.
I team privati; diversa è questa soluzione, dove i tecnici sono generalmente
ospitati presso dei circoli tennis dotati di numerosi campi da tennis e palestre.
Usano le strutture ma non hanno nessun legame con la gestione del circolo. Per i
giocatori non residenti le soluzioni abitative vengono scelte a seconda delle
esigenze personali. Nella gestione del lavoro la figura centrale è il tecnico (anche
in questo caso di indubbie qualità), intorno al quale gravitano altri due o tre
maestri, preparatore atletico ed altre figure scelte per completare lo staff . In
questo caso il tecnico si occupa personalmente degli allenamenti coadiuvato
dalle altre figure. Il numero dei giocatori allenati è limitato, e gli junior
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
49
usufruiscono dello stesso staff che si occupa dei professionisti. Questi tecnici
non gestiscono mai la scuola tennis anche se è presente nella struttura presso la
quale operano.
Abbiamo quindi somministrato delle interviste (vedi allegato) ai responsabili di sei
accademie agonistiche e ad quattro tecnici di team privati, distribuiti uniformemente su
tutto il territorio nazionale, che attualmente allenano alcuni dei migliori junior presenti
in Italia.
Il nostro scopo è, attraverso questi questionari aperti, capire:
Che importanza gli attribuiscono e come interpretano ‘il supporto psicologico al
giocatore juniores’ i maestri che maggiormente sono coinvolti nell’evoluzione
del giovane verso l’alto livello;
Quali qualità psicologiche ritengono indispensabili perché un giovane tennista
possa emergere;
Quali qualità ritengono allenabili e quali meno;
Come si procede per conoscere e valutare psicologicamente l’atleta;
Che importanza danno al rapporto con l’allievo;
Come interagiscono con l’allievo in momenti critici;
Quando necessita l’intervento di uno specialista.
E’ bene sottolineare che il nostro intento è quello di scoprire e capire cosa può fare
personalmente un allenatore per aiutare psicologicamente il proprio allievo, è evidente
che sono ben altre le ambizioni e prospettive che uno psicologo specialista può porsi
quando si trova ad intraprendere un’analisi di un giocatore in evoluzione.
I questionari/interviste sono stati somministrati attraverso un colloquio avvenuto o
personalmente o per telefono e ciò che abbiamo riportato è una sintesi di ciò che
l’allenatore ha risposto, in tutti i casi, ciò che abbiamo scritto è stato fedelmente riletto
ed approvato dall’intervistato.
Nel secondo capitolo cercheremo di osservare i risultati raccolti, nel terzo ne
analizzeremo le differenze, traendo le nostre personali considerazioni.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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Capitolo 2 RISULTATI DELLA RICERCA
Passiamo ad esporre quello che è emerso dalle risposte ottenute dagli intervistati*.
È importante l’aspetto mentale?
La prima cosa che si evidenzia dai colloqui con i maestri, è l’incondizionata
importanza che tutti danno all’aspetto mentale, tutti affermano di lavorarci da
molto tempo. Nell’evoluzione del tennista tutti danno alla componente mentale
un’importanza preponderante, un dato interessante da valutare è che solo uno gli
attribuisce una percentuale di importanza, per tutti gli altri, la componente
mentale è strettamente correlata agli altri aspetti che influiscono sulla
prestazione: ‘Gli aspetti da prendere in considerazione nell’allenamento di
qualunque atleta sono quello tecnico, quello atletico, quello mentale e quello
tattico che spesso è una combinazione dell’aspetto tecnico con quello mentale. È
quindi inadeguato valutare quanto influisce un aspetto sull’altro; la
combinazione di tutti i fattori contribuisce all’espressione delle singole capacità
di ciascun atleta.’. Ma ancora più esplicito è chi ha risposto: ‘Non è possibile
isolare la mente da ciò che siamo e da ciò che facciamo.’
Su quale aspetto mentale si lavora e come?
E’ invece molto vario l’aspetto sul quale gli intervistati lavorano. Per tre di loro
il supporto da dare agli allievi è su tutte le abilità mentali che intervengono nel
momento della prestazione: ‘Memoria (programma motorio), Attenzione,
Concentrazione, Motivazione, Sistema sensoriale e presa d’informazione,
tecniche di respirazione’, le tecniche utilizzate sono il ‘Training di Jacobson’ ed
il ‘Traning autogeno’ per due di loro il lavoro mentale riguarda soprattutto la
visualizzazione; per tutti gli altri invece la componente psicologica sulla quale
lavorano in età adolescenziale, è soprattutto legata alla costruzione della
personalità del ragazzo in tutti i suoi aspetti, alla ‘Consapevolezza delle proprie
sensazioni, dei propri pensieri ed emozioni.’ ed ad una precisa individuazione
degli obiettivi (goal setting). Possiamo dire che il primo tipo di approccio alle
problematiche psicologiche è soprattutto utilizzato dalle accademie, solo un
* il testo in corsivo riporta fedelmente delle citazioni di intervistati, reperibili negli allegati.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
51
tecnico lavora prevalentemente sulla visualizzazione mentre gli altri tecnici
lavorano maggiormente sullo sviluppo della personalità dei giovani atleti.
Nelle accademie è sempre presente la figura di uno psicologo. In un caso in
particolare, lo psicologo si occupa dei ragazzi quasi in maniera indipendente
rispetto all’evoluzione delle altre abilità tecnico tattiche curate dal maestro,
occasionalmente partecipa agli allenamenti, ma solo per testarli nelle situazioni
critiche; il maestro nell’intervista lascia trasparire una fiducia incondizionata
all’opera dello psicologo che si prende cura di tutte le problematiche
psicologiche che di volta in volta emergono.
Nella maggior parte delle accademie, invece il lavoro dello psicologo si sviluppa
su due fronti: quello diretto con l’allievo per lo sviluppo delle abilità mentali
attraverso l’utilizzo di tecniche varie, quello diretto con l’allenatore finalizzato a
migliorare la comunicazione tra i due e la capacità di gestire situazioni
stressanti.
In una sola accademia si predilige esclusivamente l’intervento indiretto dello
psicologo, il che vuol dire che lo staff tecnico periodicamente lo incontra con lo
scopo di formarsi affinché riesca ad affrontare nel migliore dei modi
l’evoluzione dei ragazzi ed a risolvere quelle difficoltà che emergono nel
rapporto quotidiano con i giovani atleti. Completamente diverso è l’approccio
che hanno i tecnici, nessuno si avvale di uno psicologo, ma si occupano
personalmente della crescita ‘mentale’ dei giocatori, curando in maniera
dominante l’aspetto relazionale che li lega, basato sulla stima reciproca e sulla
condivisione di un obiettivo.
Quali sono le qualità psicologiche indispensabili per un tennista?
‘Le qualità psicologiche derivano dalle qualità morali, un giovane è allenabile
se prima di tutto è una persona. L’allenatore può incidere in maniera sensibile
in questa crescita’. C’e’ chi ritiene che bisogna innanzitutto essere una persona
con solide qualità morali, per poter sperare di diventare un buon giocatore. Ma
tutti, anche se non in maniera così estrema, ritengono che il ragazzo deve essere
intelligente, motivato, ambizioso, avere una buona considerazione di sé
(autostima), ed avere la capacità di assumersi le responsabilità connesse alla
propria attività: ‘un’umiltà data da una serenità di fondo’ è la stessa qualità
psicologica a cui fa riferimento un altro allenatore quando ci parla: ‘della
resistenza alla frustrazione, quella capacità che permette di posticipare la
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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soddisfazione del bisogno di vittoria e di mutarla in soddisfazione per una
performance di livello eccellente a prescindere dal risultato’.
A questo punto subentrano le altre qualità più specificatamente tecniche che
vanno ricercate soprattutto nelle capacità cognitive: ‘Ritengo che le capacità
attentive da un punto di vista agonistico siano il processo più importante’.
Quali sono le qualità psicologiche allenabili e come?
Per la metà degli allenatori intervistati le qualità mentali sono tutte allenabili:
‘Tutte le capacità mentali così come quelle atletiche o tecniche possono essere
misurate e conseguentemente migliorate’. Ma se si parla della capacità di
concentrazione, quindi del focus attentivo, tutti sono d’accordo sulla possibilità
di poter ottenere degli ottimi risultati. C’è chi poi ritiene particolarmente
allenabile ‘l’autocontrollo e l’autostima’e chi ‘l’autenticità e il coraggio’.
Sul come allenare queste qualità ci sono invece divergenze di pensiero, c’è chi
addirittura in vezzo polemico si offende quasi di questa domanda: ‘Credo che
questo item, che ritengo legittimo per la considerazione che la preparazione
mentale ha abitualmente nelle scuole tennis italiane, sia indicativo della
confusione e scarsa conoscenza della preparazione mentale. Non credo che allo
stato attuale tecnici qualificati si chiedano se abilità tecniche o atletiche
possano essere allenate, né si richiederebbe in maniera così generica il come’;
chi invece, in due casi, si demanda il lavoro allo psicologo con minore o
maggiore consapevolezza su come lo specialista andrà ad operare; gli altri
cinque invece, credono in un lavoro quotidiano e certosino: ‘Attraverso la
consapevolezza del proprio io e la coscienza di un giusto lavoro verso un
obiettivo forte’ svolto principalmente dall’allenatore ponendo particolare
attenzione alla definizione degli obiettivi (goal setting) e stimolando nell’atleta
la capacità di attribuire le giuste cause agli eventi che gli accadono (teoria
dell’attribuzione); queste ritengono siano le strade da percorrere per il
miglioramento delle qualità mentali: ‘Non avendo nulla da perdere e non
avendo paura di perdere’. Altre due risposte sono troppo vaghe per una giusta
interpretazione.
Quali sono le qualità psicologiche che si ritengono difficilmente allenabili?
Per tre allenatori gli aspetti mentali strettamente correlati a quelli caratteriali
sono i più difficili da allenare; un’altra qualità che per altri tre allenatori è poco
allenabile è l’autostima: ‘Ritengo che sia difficilmente allenabile l’acquisizione
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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di fiducia in sé perché l’allievo nell’ acquisizione di autostima non deve basarsi
solo sull’ambiente esterno ma deve cercare approvazioni dentro di sé e questo
non sempre è facile ottenerlo’. Gli altri sono tutti d’accordo che: ‘La capacità
mentale più difficile da allenare è la capacità di vincere i punti importanti. Ha
bisogno di molto tempo e di un giocatore con un carattere estremamente volitivo
e tenace. Un altro elemento ‘mentale’ su cui è difficile lavorare è la
motivazione. Sulla motivazione quasi nulla può essere fatto dall’esterno se non
aiutare l’atleta a chiarire bene a se stesso quale percorso vuole realizzare’. La
predisposizione alla competizione e la volontà di affermarsi e ‘l’essere vincente’
sono doti fondamentali che si ritengono difficilmente allenabili perchè facenti
parte del bagaglio personale e genetico di ogni giocatore.
Come si procede per conoscere e valutare psicologicamente l’atleta?
Nelle accademie la valutazione psicologica viene effettuata dallo psicologo ma
si riscontrano molte differenze sul come viene effettuata e sulla differenza
dell’obiettivo che ci si pone con la valutazione; in una somministrano agli allievi
dei questionari per analizzarne la motivazione ed inoltre utilizzano il sistema di
valutazione O.M.S.A.T. (Ottawa Mental Skills Assessment Tool), che è un test
che permette di analizzare alcuni aspetti cognitivo-comportamentali degli atleti
per poter formulare interventi personalizzati di mental-training. In un’altra
utilizzano dei questionari di autovalutazione, per far si che gli allievi imparino a
conoscersi meglio e ‘permettono ai tecnici di conoscere aspetti i cui unici
depositari sarebbero, altrimenti, esclusivamente i ragazzi’; in un centro invece
si utilizza una griglia di valutazione psicologica con la quale i tecnici possono
monitorare costantemente e con più efficacia la progressione dei propri allievi.
Poco indicativa è la risposta di un responsabile di accademia che dice: ‘Lo fa la
psicologa’; e l’altro che utilizza dei test ma non ci ha confidato di che tipo.
Tutti i tecnici hanno un approccio diverso per valutare i propri atleti, questa
avviene soprattutto con colloqui quotidiani, ‘Li valuto attraverso ciò che mi
comunicano sia attraverso i canali verbali che quelli non verbali’, la
valutazione avviene anche da un’attenta analisi dei momenti critici che si
verificano durante i match; annotano tutto ciò che avviene durante le partite o in
situazioni particolari per poi analizzare il tutto insieme all’allievo in un secondo
momento.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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Come il rapporto allenatore/giovane atleta può essere di supporto per
l’evoluzione psicologica dell’atleta?
Non vi è dubbio per nessuno che il rapporto allenatore / allievo è di estrema
importanza per l’evoluzione dell’atleta: ‘Un adulto che assolve la funzione di
insegnare a un giovane una disciplina che lo coinvolge emotivamente per
passione ed interesse credo sia scontato divenga una persona significativa e
determinante per la sua evoluzione psicologica’; ma come il rapporto possa
influire positivamente sul progresso psicologico dell’atleta è visto in maniera
diversa dai maestri: per due allenatori è influente ma marginale rispetto a ciò che
può fare uno psicologo, per la maggior parte dei maestri, invece attraverso un
rapporto ‘Senza dipendenza reciproca, ma che favorisca l’autonomia
dell’allievo e che metta costantemente in primo piano l’interesse di entrambi a
leggere e comprendere le proprie e le altrui emozioni’, si instaura un
meccanismo che si traduce in evoluzione e supporto per l’allievo, crescita
professionale per l’allenatore. Si riconosce però l’esigenza per l’insegnante di
svolgere un percorso formativo affinché non si caschi nelle errate dinamiche che
il rapporto potrebbe produrre.
Come interagiscono con l’allievo in momenti critici?
Abbiamo formulato tre domande su particolari situazioni nelle quali l’allenatore
potrebbe trovarsi: una sulla gestione dell’ansia, una sulla paura ed una
sull’aggressività. Obiettivo di queste domande è verificare come interviene il
coach quando un particolare stato d’animo può influire negativamente sulla
prestazione e come in questi casi è in grado di supportare l’atleta.
- Gestione dell’ansia: analizziamo prima i centri che hanno deciso di
avvalersi di uno psicologo, la gestione dell’ansia viene affrontata in
quattro modi differenti.
In due accademie tutta la problematica viene affrontata dallo specialista
senza nessun intervento del maestro al quale eventualmente resta il
compito di evidenziare o meno l’avvento o la risoluzione del problema a
chi di competenza, la tecnica utilizzata in entrambi i casi dallo specialista
è il Traning Autogeno.
In due accademie si opera in maniera simile: lo psicologo lavora con
specifiche tecniche per la gestione dell’ansia, ma il maestro, in campo,
invita l’allievo ad utilizzarle: ‘Suggerisco di spostare sempre il pensiero
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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da negativo a positivo, anche durante gli allenamenti in modo da creare
un dialogo interno che possa dare rinforzi positivi durante la gara’, il
tutto in sinergia con il lavoro dello specialista; conforme all’approccio
che prevede: ‘L’ identificazione del livello di ansia, della tensione
muscolare e dei pensieri ricorrenti, sapere se sono presupposti funzionali
alla prestazione e applicare autonomamente o guidati delle tecniche di
attivazione, di rilassamento o di controllo dei pensieri a seconda della
situazione’.
Diversamente viene vissuto il problema in una quinta accademia: ‘Ogni
allenamento realizzato in accademia ha dei contenuti atletici tecnici
tattici e psicologici, progettati precedentemente. Lo staff tecnico realizza
costantemente delle riunioni di formazione con lo psicologo per garantire
un miglior clima tra i professionisti che lavorano all’interno
dell’accademia sia per aiutarli a risolvere quelle piccole difficoltà che
emergono nel rapporto quotidiano con i giovani atleti. Abbiamo ottenuto
un ottimo riscontro dalle riunioni di staff ed il personale in forza in
accademia ha imparato a mettersi in discussione ed a collaborare più
fattivamente alla costruzione di un buon clima di gruppo. Gli atleti
vengono quindi sostenuti dallo staff tecnico nel portare avanti ciò che
apprendono nelle riunioni periodiche con lo psicologo e i risultati sono
stati buoni ma molto legati all’interesse e alle motivazioni di ogni singolo
allievo’.
Nell’ultima accademia analizzata si prevede sempre un intervento
indiretto dello psicologo, che analizza l’allievo e addestra il maestro
affinché possa intervenire nella maniera giusta, in questo caso con facili
rituali da proporre quando lo stato dell’ansia non è quello ottimale.
Gli altri allenatori intervengono direttamente sull’atleta, uno
insegnandogli delle tecniche per interiorizzarla e superarla; un altro
invece utilizzando tecniche di respirazione per riuscire ad isolare i
pensieri positivi dagli altri; ‘focalizzare l’attenzione sulle soluzioni a lui
più congeniali in modo da ridurre la tensione’ è la soluzione del terzo
maestro; l’approccio dell’ultimo tecnico è attraverso l’utilizzo delle
seguenti tecniche: ‘allenamento ideo-motorio, visualizzazione creativa,
training autogeno’.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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- Paura prima del match: abbiamo preso in considerazione la paura perché è
stato provato che tutti gli atleti intervistati attraverso un ampio numero di
studi, ha ammesso l’esistenza della paura prima della gara e, di avere un
metodo abituale di affrontarla. Vediamo quindi come gli allenatori
intervistati affrontano il problema con il proprio giocatore. La maggior
parte di loro è d’accordo sul far effettuare una buona attivazione fisica
prima della gara: ‘Così come viene realizzato il warm-up atletico prima di
entrare in campo, così i nostri atleti vengono educati a mettere in atto un
piano di warm-up mentale che consente loro di tenere sotto controllo
eventuali eccessi o difetti nel loro livello di attivazione’. Ma dietro questo
espediente utilizzato da tutti per dare agli atleti gli strumenti necessari per
ritrovare ogni volta i sintomi psicofisici dell’attivazione che li aiuta al
miglior rendimento, c’è una profonda analisi che tre allenatori
intraprendono per fare in modo che la paura venga ‘Accettata fino a
comprenderne la funzione evolutiva’. Un allenatore ha riscontrato buoni
risultati: ‘Cercando di fargli porre l’attenzione su piccoli obiettivi da
raggiungere in quella determinata competizione’. Per gli altri allenatori,
lontano dalla gara, il problema si prova a risolverlo con sedute di Traning
Autogeno.
- Atleta aggressivo: vediamo ora come affrontano una situazione critica: un
atleta tanto aggressivo da compromettere la sua prestazione. Solo sette
allenatori hanno avuto esperienza con atleti con questa caratteristica, tra
quelli che ci hanno risposto si riscontra l’unanime esperienza che
l’aggressività non va demonizzata: ‘L’aggressività di per se non è mai
negativa, quando diventa violenza contro se stessi dipende
dall’incapacità di sopportare le frustrazioni e dall’interiorizzazione di
modelli onnipotenti. La persona onnipotente, proprio perché gravata da
modelli ideali di perfezione difficilmente raggiungibili, si valuta molto
meno di ciò che vale, parto perciò dalle sue qualità reali per ridefinire
modelli più umani’. Questo intervento strutturato ed applicato dal tecnico
direttamente viene intrapreso da quattro allenatori, in tre casi invece: ‘Il
primo intervento effettuato è cercare di capire insieme al professionista
della parte mentale il perché di questa rabbia. Successivamente viene
messo in atto un programma che permetta di gestire al meglio questi
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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eccessi d’ira’. Viene ritenuto adeguato l’utilizzo di tecniche
sull’attivazione.
Quando ritengono necessario l’intervento di uno specialista?
E’ curioso come a questa domanda tutti si sono lasciati andare anche a
interpretazioni personali sull’argomento affermando che: ‘Purtroppo in Italia
esistono ancora pochi professionisti validi, preparati e con esperienza sul
campo. Questo non permette ancora uno sviluppo adeguato della professione
dello psicologo dello sport, ma basta guardare il nord Europa o le vicine
Francia e Spagna per realizzare quanto in Italia siamo indietro nello sviluppo
mentale dei nostri giovani atleti’, quindi attribuendo la mancanza di risultati nel
nostro sport al poco spazio che la figura dello psicologo ricopre nei nostri centri
di allenamento; due visioni contrastanti la prima condivisa da due maestri
riferisce che: ‘Nel momento in cui si crea un periodo di stallo nella sua
evoluzione tecnico-tattica, allora probabilmente l’intervento di uno psicologo
diventa fondamentale, ma in questo caso parlo di professionisti, non di junior’,
mentre un altro afferma: ‘In linea di principio sempre. Spero che sempre più
gente capisca che la risposta non può essere ‘nei momenti di difficoltà’; ci
sembra poter affermare che per tutti i responsabili delle accademie lo psicologo
è giusto utilizzarlo, anche se in forme diverse, già dalla fase del
perfezionamento. A parte ma molto particolare è la definizione enunciata
dall’allenatore che dice: ‘Non so che rispondere, ritengo che la psicologia è un
approccio non una scienza’, e probabilmente in quanto tale, è parte integrante
del bagaglio culturale e personale che ogni allenatore dovrebbe avere per poter
‘approcciare’ nel migliore dei modi il proprio lavoro.
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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Capitolo 3 ANALISI DEI RISULTATI E CONSIDERAZIONI
Un’analisi dei risultati è sicuramente un arduo compito per le differenze riscontrate nei
diversi modi in cui si affronta il problema. Gli elementi su cui fare delle considerazioni
sono molti. Ma cerchiamo di andare per ordine.
Per tutti gli allenatori intervistati l’aspetto mentale è molto importante, tutti ci lavorano
anche se con delle differenze sostanziali.
Una prima grossa differenza sta nell’avvalersi o meno del supporto di un professionista
del settore. Lo psicologo dello sport infatti, è presente soprattutto nelle organizzazioni
molto strutturate come le accademie, mentre nei team privati i tecnici preferiscono agire
in prima persona con l’allievo. Questa, che da una prima lettura potrebbe essere intesa
come una ‘leggerezza’ nel affrontare il problema, è probabilmente un approccio che
mette la componente psicologica, come condizione senza la quale l’interazione con il
giocatore, e quindi una sua evoluzione, non potrebbe assolutamente avvenire. Si è
profondamente consapevoli di svolgere un ruolo primario nella crescita non solo
dell’atleta, ma della sua personalità, del suo essere uomo. Ci piace riportare questa frase
espressa nelle interviste: ‘Se tutto va bene cominciano ad amarsi e ad amare ciò che
fanno, non pensano più soltanto alla medaglia come fa lo sciocco’. Parlando con loro ci
siamo resi conto che hanno tutti una formazione in ambito psicologico e che vivono il
loro lavoro attraverso delle ‘scuole di pensiero’ ben precise, non tralasciano nessun
particolare e su tutto quello che succede hanno una loro chiave di lettura. Il loro primo
obiettivo, quando si trovano ad allenare un giovane, è la crescita della persona-atleta per
cui si pone molta attenzione a ‘cosa si comunica’, a ‘chi si comunica’ ed a ‘come si
comunica’. Durante le interviste abbiamo potuto testare il loro stile comunicativo
sicuramente assertivo volto a stimolare ed ad accrescere l’autostima nel giovane atleta,
ad aiutarlo a fargli assumere le proprie responsabilità, ad aiutarlo a saper cogliere le
critiche, a fidarsi degli altri e soprattutto a saper ascoltare, in poche parole ad essere a
sua volta assertivo. Queste qualità mentali, insieme ad un obiettivo forte condiviso con
l’allenatore sono ciò che ritengono indispensabile per tentare la scalata al
professionismo. ‘L’essere vincente’ rimane per tutti loro la qualità innata nel giocatore
quindi quella più difficilmente allenabile. La motivazione invece è ciò che ti fa credere
di poter trasformare un sogno in realtà, dà la volontà di superare ogni difficoltà va
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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quindi costantemente alimentata e tenuta viva. D’altronde anche le dichiarazioni di
Andreas Seppi dopo aver battuto Juan Carlos Ferrero in Coppa Davis vengono così
riportate dalla stampa: ‘Ha ragione Andreas Seppi, quando dice che è bello sognare.
Soprattutto quando non sei da solo a vivere il sogno…’* .
Tutti i tecnici che abbiamo intervistato valutano da un punto di vista psicologico i loro
atleti instaurando una quotidiana comunicazione che trova spunto dall’analisi di match o
momenti definiti critici che si verificano in allenamento o durante le trasferte. Tutti
ammettono di conservare una sorta di agenda nella quale si appuntano tutto ciò che può
essere interessante sviluppare con l’allievo. Nelle situazioni critiche il loro intervento
diventa particolarmente coinvolgente stimolando il ragazzo ad affrontare i propri
problemi alla ricerca di una maturità che vada ben oltre la prestazione fine a se stessa.
La paura, viene affrontata in maniera diversa, non può essere eliminata in quanto
emozione primaria, è importante quindi che il giocatore impari a leggerla ed a
conviverci dandogli anche una valenza evolutiva. Nel modo in cui vivono la loro
professione tutti i tecnici lasciano trasparire l’importanza che ha sia l’esperienza sul
campo che la profonda sensibilità personale affinché si possano trarre dei risultati
positivi. Si nota una grande differenza nella capacità di districarsi e di rendere proficui
gli interventi di natura psicologica a seconda della maturità del tecnico stesso. Traspare
un minimo di insicurezza in quei tecnici più giovani che comunque sono certi di poter
strutturarsi e crescere insieme ai loro allievi. Questo si evince soprattutto dalla
convinzione che per loro uno specialista debba intervenire solo in ‘casi estremi’, quando
con il loro operato si arriva ad una situazione di stallo. Le tecniche specifiche più
utilizzate da loro sono la visualizzazione creativa e tecniche di respirazione.
Le strutture che si avvalgono di uno psicologo, invece, interpretano il sostegno
psicologico in maniera differente tra loro, lo stesso ruolo dello psicologo assume ben
quattro diverse connotazioni. In un centro in particolare lo psicologo ha un ruolo quasi
distaccato dal resto del contesto, gli atleti, già dall’età di 13 anni, vengono messi in
contatto con lo specialista con delle sedute individuali o di gruppo. E’ lui che si occupa
di farne una valutazione e di decidere come lavorarci. Solo occasionalmente lo analizza
negli allenamenti o in gara e non traspare un collegamento diretto con queste attività, a
meno che non si evidenzino situazioni particolari sulle quali intervenire. In questa
accademia il responsabile non sempre è a conoscenza di quello che fa lo psicologo, e la
* da ‘Il corriere dello sport - Stadio’ del 24 settembre 2005, articolo di Dario Torromeo (reperibile negli allegati).
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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nostra percezione è che, da una parte è certo di affrontare l’aspetto mentale nella
maniera giusta, ma dall’altra non è parso convinto dei risultati che questo tipo di
trattamento può produrre. L’allenatore vive il rapporto con l’allievo con poco
coinvolgimento e questo è evidente anche nel modo distaccato in cui si preferisce
affrontare le situazioni critiche. La tecnica specifica utilizzata è il training autogeno.
In tre accademie si avvalgono dell’apporto e della consulenza di uno psicologo che
interviene personalmente con i ragazzi dai 14 anni in poi, attraverso delle sedute
periodiche. Ci è parso di capire che il suo intervento riguarda soprattutto
l’apprendimento di specifiche tecniche di allenamento mentale. Anche la valutazione
psicologica dell’allievo la effettua lui ed avviene attraverso una batteria di test di varia
natura. Al maestro resta il compito di trasportare in campo tutto quello che lo psicologo
fa nella sua stanza, e viceversa di dargli delle indicazioni su problemi specifici che i
ragazzi possono far trasparire durante le partite o gli allenamenti, per individualizzare
all’occorrenza il lavoro. Questo filo diretto con lo psicologo lo tiene il responsabile del
centro che però non sempre è colui che opera a stretto contatto con il giocatore.
Sicuramente esiste poi un trasferimento di informazioni tra il responsabile e l’allenatore,
ma sinceramente riteniamo che i passaggi siano troppi perché si possano tradurre in un
beneficio. Abbiamo notato che tutti sono molto attenti al rapporto che si instaura con
l’allievo ed affidano alla comunicazione di valori positivi la crescita personale del
ragazzo. Quei valori che ritengono necessari ed a cui fanno riferimento quando il
giocatore è chiamato a superare dei momenti critici nella sua scalata verso l’alta
prestazione. Le tecniche specifiche maggiormente utilizzate sono il training di Jacobson,
gli allenamenti propriocettivi e la visualizzazione.
In una sola accademia si predilige che il contatto diretto con lo psicologo lo abbia il
maestro. Compito dello psicologo è quello di studiare le dinamiche che intervengono
nel rapporto tra maestro e allievo e fare in modo che il primo possa, attraverso un
modulazione del suo comportamento, aiutare l’altro nella sua evoluzione. L’interazione
con lo psicologo diventa più frequente quando traspaiono problemi particolari e solo
quando l’attività agonistica si fa più intensa. Per molti aspetti questo approccio ci e
parso il più simile a quello dei tecnici, e come in loro notiamo la grande importanza che
il responsabile da alla formazione della persona perché ne consegua una evoluzione
dell’atleta.
L’ultima accademia che analizziamo struttura un intervento sull’aspetto mentale molto
articolato. La collaborazione con lo psicologo prevede una serie di incontri programmati
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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per tutti gli atleti della struttura già dall’età di dieci anni, inizialmente con una cadenza
bimestrale, fino ad arrivare ai quindici anni con appuntamenti quindicinali, e la
possibilità di training individuali quando necessita. Inoltre lo staff tecnico realizza
costantemente delle riunioni di formazione con lo psicologo sia per garantire un miglior
clima tra i professionisti che lavorano all’interno dell’accademia, sia per aiutarli a
risolvere quelle piccole difficoltà che emergono nel rapporto quotidiano con gli atleti. Il
responsabile ci confida di aver ottenuto un ottimo riscontro da queste riunioni
evidenziando come tutto lo staff ha imparato a mettersi in discussione ed a collaborare
più fattivamente alla costruzione di un unico progetto condiviso dal gruppo. Gli atleti,
quindi, vengono sostenuti dai loro allenatori nel portare avanti ciò che apprendono nelle
riunioni periodiche con lo psicologo. Tutto questo lavoro si traduce in beneficio per
l’atleta solo se lui si mostra interessato e motivato. Quindi per il responsabile la
motivazione e la capacità di vincere i ‘punti importanti’ restano le due qualità
indispensabili ma difficilmente allenabili. Indispensabili anche la capacità di attribuire
le giuste cause agli eventi (teoria dell’attribuzione) e tutte le capacità cognitive che
influenzano direttamente la prestazione, queste però sono ritenute tutte allenabili
attraverso il processo di crescita mentale sviluppato nella sua accademia dallo psicologo
e da tutto lo staff tecnico. La valutazione psicologica dell’atleta viene effettuata dai
maestri ai quali lo specialista chiede di riempire delle griglie di valutazione su degli
elementi analizzati insieme nelle riunioni. Il rapporto allenatore-allievo viene
considerato importante, ma per un giusto supporto psicologico da dare all’allievo si
ritiene insostituibile l’intervento di uno specialista. Anche le situazioni critiche vengono
affrontate seguendo la prassi finora descritta, quindi l’intervento viene deciso dallo
psicologo ed attuato con l’aiuto dei maestri. La tecnica specifica più utilizzata prende
spunto dalla neuro-psicologia ed è finalizzata allo sviluppo delle sub-componenti
cognitive.
Questo modo di affrontare il supporto psicologico all’interno di una accademia, ha la
nostra approvazione, ma nel portarlo avanti il primo fondamentale problema, che anche
il responsabile del centro ci confessa di aver trovato, è nell’individuazione di uno
psicologo ‘valido preparato e con esperienza di campo’ motivato ad attuare un simile
intervento.
Un’ultima considerazione che vogliamo fare è su questa molteplicità di interpretazioni
che gli insegnanti di tennis danno al ‘supporto psicologico al giocatore junior nel
percorso verso l’alto livello’. Ci sembra che tutti abbiamo seguito un loro personale
PARTE TERZA – Il supporto psicologico al giocatore juniores nei centri di allenamento in Italia
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percorso, probabilmente arrivando alle soluzioni adottate dopo aver commesso anche
degli errori. Noi pensiamo che qualcosa di più si potrebbe fare affinché tutti gli
operatori del settore abbiano gli strumenti giusti per sapere come operare nella maniera
adeguata già dai primi approcci all’insegnamento. Un’attenzione questa che abbiamo
riscontrato nei corsi di formazione degli istruttori degli sport di squadra e soprattutto
della pallacanestro dove, ad esempio, la tematica della comunicazione viene affrontata
già nei corsi di primo livello, e tutto questo si traduce in una sensibilizzazione maggiore
del corpo insegnante e probabilmente ad una maggiore capacità di risoluzione dei
problemi anche ad alto livello di prestazione.
Il supporto psicologico al giocatore juniores nel percorso verso l’alto livello
63
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