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CAP.7 LA VITA DEL SIGNORE NEI 4 EVANGELI 1. Lo splendore evangelico Si è detto, si ripeterà ancora e vi si insisterà, che la Chiesa venera come autentico mirabile Dono gratuito di Dio per l'opera dello Spirito Santo "le Sante Scritture", le accetta con amore, le studia e le "legge" durante la celebrazione dei Misteri e delle Ore sante. Essa è consapevole dell'insegnamento apostolico su questo, come quando Paolo esorta: Tu però resta in quanto imparasti e ti fu affidato, consapevole da chi imparasti, e che dall'infanzia conosci le Sacre Lettere, quelle che hanno la potenza di istruirti verso la salvezza mediante la fede nel Cristo Gesù. L'intera Scrittura è divinamente ispirata, e utile alla dottrina (didaskalia), ad argomentare, a raddrizzare, all'istruzione (paidéia) nella giustizia, affinchè perfezionato sia l'uomo di Dio, reso idoneo ad ogni opera buona (2 Tim 3,14- 17). "Pàsa Graphè theópneustos, l'intera Scrittura da- Dio-ispirata" è e resta la grande verità con tutte le sue conseguenze a valanga. Già i rab- bini del sec. 2° d.C. insegnavano, dietro l'esperienza di decenni passati curvi sulla Tòràh e sul resto dell'A.T., che ogni minima parola biblica ha un senso, che non deve andare perduto. Il N.T. con Gesù stesso, e poi con gli Apostoli, mostra che questa coscienza era la regola dell'in-terpretazione, dove non si deve perdere neppure la più piccola lettera, lo "iota" ebraico (cf. Mt 5,18). E però già la prima generazione post- apostolica, che si computa a partire dalla cifra convenzionale dell'anno 100 (con la morte presuntiva dell'ultimo Apostolo) aveva circondato le 4 memorie della Vita del Signore, nel loro genere letterario nuovo di euaggélion, di un onore del tutto speciale. Non che fossero più ispirate e quindi più sacre. Ma avevano il merito ineguagliato di parlare del Signore, come venne tra gli uomini e visse con essi e morì per essi e fu resuscitato dalla Gloria del Padre, lo Spirito Santo, per essi. Ancora oggi

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CAP.7

LA VITA DEL SIGNORE NEI 4 EVANGELI 1.

Lo splendore evangelico

Si è detto, si ripeterà ancora e vi si insisterà, che la Chiesa venera come autentico mirabile Dono gratuito di Dio per l'opera dello Spirito Santo "le Sante Scritture", le accetta con amore, le studia e le "legge" durante la celebrazione dei Misteri e delle Ore sante. Essa è consapevo-le dell'insegnamento apostolico su questo, come quando Paolo esorta:

Tu però resta in quanto imparasti e ti fu affidato,consapevole da chi imparasti,e che dall'infanzia conosci le Sacre Lettere,quelle che hanno la potenza di istruirti verso la salvezzamediante la fede nel Cristo Gesù.L'intera Scrittura è divinamente ispirata,e utile alla dottrina (didaskalia),ad argomentare, a raddrizzare,all'istruzione (paidéia) nella giustizia,affinchè perfezionato sia l'uomo di Dio,reso idoneo ad ogni opera buona (2 Tim 3,14-17).

"Pàsa Graphè theópneustos, l'intera Scrittura da-Dio-ispirata" è e resta la grande verità con tutte le sue conseguenze a valanga. Già i rab-bini del sec. 2° d.C. insegnavano, dietro l'esperienza di decenni passati curvi sulla Tòràh e sul resto dell'A.T., che ogni minima parola biblica ha un senso, che non deve andare perduto. Il N.T. con Gesù stesso, e poi con gli Apostoli, mostra che questa coscienza era la regola dell'in-terpretazione, dove non si deve perdere neppure la più piccola lettera, lo "iota" ebraico (cf. Mt 5,18).

E però già la prima generazione post-apostolica, che si computa a partire dalla cifra convenzionale dell'anno 100 (con la morte presuntiva dell'ultimo Apostolo) aveva circondato le 4 memorie della Vita del Si-gnore, nel loro genere letterario nuovo di euaggélion, di un onore del tutto speciale. Non che fossero più ispirate e quindi più sacre. Ma ave-vano il merito ineguagliato di parlare del Signore, come venne tra gli uomini e visse con essi e morì per essi e fu resuscitato dalla Gloria del Padre, lo Spirito Santo, per essi. Ancora oggi i critici, nell'attonito, sin-golare silenzio delle fonti storiche antiche che ignorano del tutto perfi-no l'esistenza di un "Gesù di Nazaret", riconoscono che senza i 4 Evangeli, stando solo al N.T. ed anche alla rilettura che questo fa del-

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TAVOLA 5-La Circoncisione del Signore - Parrocchia di S. Nicolo di Mira, Mezzojuso; di Kostas Zoubelos, sec. 20°.

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TAVOLA 6 - La Teofania al Giordano - Chiesa del Crocifisso della Casa generalizia della Congregazione Figlie di S. Macrina, Mezzojuso; di Pantaleo Giannaccari di Monreale, 1994.

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l'A.T., Gesù Cristo sarebbe una figura senza un solido terreno storico e geografico. Inoltre, a parte qualche àgraphon, i detti "non scritti" di Gesù conservati nel N.T. (ad esempio, da Paolo in At 20,35: "è più bea-to donare che ricevere"), e che sono pochissimi, le parole del Signore non sarebbero conosciute affatto. E che il resto del N.T. ne riporta in fondo così poche, è uno degli indizi male considerati dell'alta antichità degli Evangeli, che gli altri Apostoli non volevano ripetere. Vedi qui Gv 21,24-25.

Così si hanno le prime citazioni evangeliche già nel sec. 1°, dai pri-mi "Padri apostolici", come la Didachè tòn Apostólòn. Esse diventano via via più numerose nel sec. 2°. Fino all'imponente riflessione dei Pa-dri. Senza mai dimenticare che i 4 Evangeli troneggiavano sull'altare durante la celebrazione della Chiesa, e troneggiavano poi nelle sante Sinodi ecumeniche che via via si tenevano. Erano posseduti dal clero che vi conduceva sopra la propria formazione. Ma i Padri spesso allu-dono al fatto che molti fedeli conservavano in casa i manoscritti evan-gelici per la "lettura divina" quotidiana.

Una splendida illustrazione di questo clima di speciale considerazio-ne e venerazione degli Evangeli è offerta da S. Ireneo di Smirne, che verso il 180 scrive per confutare le perniciose ideologie della falsa gno-si, la quale in genere rigettava perché "storico" l'A.T, e di quanto con-servava del N.T. (chi preferiva Giovanni, chi Paolo e Luca), dava inter-pretazioni che è poco dire fantasiose e tendenziose nelle loro aperte aberrazioni. Per la "grande Chiesa" che si difendeva dalle eresie, brilla-va la gloria della Santa Scrittura, ed in essa la maestà dei 4 Evangeli, che portavano il contenuto della fede viva, e della celebrazione della Chiesa da cui proveniva ogni grazia.

Ecco una pagina di inaudito splendore.

E poi gli Evangeli non sono di numero più di questi (ossia: 4), né vi-ceversa si deve che siano meno (di 4). Poiché (...) esistono 4 regioni del mondo, nel quale noi stiamo, e 4 venti universali (i ed. "punti cardinali"), e la Chiesa è disseminata sulla terra intera, ma è "colon-na e saldezza" della Chiesa (1 Tim 3,15) l'Evangelo, e lo Spirito della Vita (Gv 6,63), ne segue che ella (la Chiesa) abbia 4 Colonne, dovunque spiranti l'incorruttibilità ed incendiando (anazópyroùntas) gli uomini (ad opera dello Spirito). Da essi (i 4 Evangeli) è manife-sto che il Verbo, l'Artefice di ogni realtà, Colui che sta intronizzato sui Cherubini (Sai 79,3) e che tutto contiene (cf. Ebr 1,3), il Manife-stato agli uomini (1 Tim 3,16), donò a noi l'Evangelo Tetramorfo (= in 4 forme diverse), contenuto tuttavia dall'Unico Spirito. Come Da-vid, implorando la sua Venuta (Parousia), parla: "O Tu che troneggi sui Cherubini, manifestati!" (Sai 79,3). Infatti i Cherubini sono di 4

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volti, ed i loro volti sono icone dell'Operazione storica (Prag-matéia) del Figlio di Dio. "Ed il primo Vivente — dice (la Scrittura) — simile a Leone (Ap 4,7), contrassegnante l'efficacia ed il coman-do e la regalità di Lui; "ed il secondo, simile a Vitello" (Ap 4,7), mostrante (di Lui) l'Ordine sacrificale e sacerdotale; "ed il terzo avente Volto di Uomo" (Ap 4,7), manifestissimamente descrivente di Lui la Venuta (Parousia) secondo l'Uomo; "ed il quarto simile ad Aquila volante" (Ap 4,7), evidenziante il Dono dello Spirito volteg-giante sulla Chiesa. E gli Evangeli dunque sono consonanti con questi (4 Viventi), sui quali sta in trono Cristo. Quello infatti "se-condo Giovanni" narra di Lui la generazione dal Padre e condottiera (ed efficace: dal testo latino) e gloriosa, parlando: "In principio sus-sisteva il Verbo, ed il Verbo sussisteva (rivolto) a Dio, e Dio era il Verbo", e: "Tutto mediante Lui fu fatto, e senza Lui nulla fu fatto" (Gv 1,1.3). (Perciò questo Evangelo è pieno di fede, poiché tale è la Persona di Lui: dal testo latino). E quello "secondo Luca", poiché è di carattere sacerdotale (hieratikón), cominciò da Zaccaria il sacer-dote offerente incenso a Dio (cf. Le 1,8-10). Già infatti era preparato il vitello ingrassato, che per il ritrovamento del figlio più giovane stava per essere immolato (Le 15,23). Matteo poi annuncia (kèryttò) la generazione di Lui secondo l'Uomo, parlando: "Libro della gene-razione di Gesù Cristo Figlio di David Figlio d'Abramo" (Mt 1,1), e: "La generazione di Gesù Cristo poi fu così" (Mt 1,18). È dunque antropomorfo questo Evangelo (di Matteo), (perciò, e per l'intero Evangelo Egli è conservato come Uomo dai sentimenti umili e mi-te: dal testo latino). Marco poi dallo Spirito Profetico che dall'Alto viene sugli uomini, componeva l'inizio parlando: "Inizio dell'Evan-gelo di Gesù Cristo — come fu scritto (da Dio) in Isaia profeta" (Me l,l-2a), mostrando l'immagine (eikón) dell'Evangelo come vo-lante (e pennuto: dal testo latino). Per questo fu fatto l'annuncio (kataggelia) compendiato e precorrente: infatti profetico è il suo ca-rattere. E lo stesso Verbo di Dio ai Patriarchi prima di Mosè parla familiarmente (homiléó) secondo il divino ed il glorioso (ma a quelli secondo la Legge mostrava l'opera sacerdotale e di servizio: dal testo latino); dopo questi fatti, poi, inviò il Dono dello Spirito Santo sulla terra intera, proteggendoci con le sue Ali. Quale dunque l'O-perazione storica (Pragmatéia) del Figlio di Dio, tale anche la for-ma dei (quattro) Viventi. E quale la forma dei Viventi, tale anche il carattere dell'Evangelo. Di 4 forme infatti i Viventi, di 4 forme an-che l'Evangelo e l'Operazione storica (Pragmatéia) del Signore. E per questo, 4 alleanze universali furono donate all'umanità: una del diluvio di Noè, sotto l'arco (l'arcobaleno, Gen 9,14-16); la seconda di Abramo, sotto il segno della circoncisione (Gen 17,1-14); la terza

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fu la legislazione sotto Mosè; la quarta, dell'Evangelo, mediante il Signore nostro Gesù Cristo (S. IRENEO, Adversus haereses 3,11,8, in PG 7,855 A-C).

Il testo greco, integrato dalla versione latina, mostra qui, con la "teo-logia simbolica", una potente teologia della storia, centrata nella Prag-matéia, la divina Operazione della salvezza del Padre mediante il Fi-glio con lo Spirito Santo, che ha come mezzo sovrano l'Evangelo, e tutte le conseguenze scatenate da esso.

Tutti i fedeli, a partire dalla sacra Gerarchia, sono così chiamati al-l'impegno battesimale di conoscere a fondo, in modo "corsivo", ossia avanti e indietro ed in ogni minima parte, il testo dei santi Evangeli. Soprattutto nel modo primo e principale della sua "lettura", quello della celebrazione, ossia secondo il "Lezionario".

Conoscere il "Lezionario" che si usa nella divina Liturgia significa conoscere anzitutto la "linea degli Evangeli". Il che riconduce a consi-derare la successione e la globalità delle pericope evangeliche, poiché esse portano il contenuto di ciascuna celebrazione.

Così è indispensabile tenere presente la disposizione dei 4 Evangeli durante l'anno celebrativo, nell'ordine, Giovanni, Matteo, Luca, Mar-co, con le consonanze, le differenze, le particolarità, le accentuazioni proprie a ciascuno di essi.

2. Una datazione degli Evangeli

La critica più recente e valida sembra ormai orientata per "ridatare" i 4 Evangeli, che dal 1800 erano spostati almeno tra l'80 ed il 100 (e più) d.C. Sono stati riconsiderati sia i dati della più antica Tradizione, sia criteri linguistici esterni, sia criteri di analisi interna.

Lo storico Eusebio di Cesarea riporta diversi testi interessanti:

Poi nei medesimi libri di Clemente riporta la tradizione (paràdosis) degli antichi Presbiteri sull'ordine degli Evangeli, che ha questo tratto: diceva che erano stati scritti prima gli Evangeli contenenti le genealogie (Ekklés. hist. 6,14,5).

Clemente (+ dopo il 211), affermava questo nelle sue Hypotypóseis, ed alludeva ovviamente a Matteo ed a Luca che esibiscono ciascuno la genealogia di Gesù (Mt 1,2-17; Le 3,23-38).

Inoltre, è ristudiata un'affermazione poco chiara di Papia di Gerapo-li (e. 120 d.C.) conservata da Eusebio:

Intorno a Matteo, questo è detto: "Matteo dunque coordinò (syntàs-

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somai) in lingua ebraica i lógia, poi ognuno come ne era capace li interpretava {hermènéuóT (Ekklès. hist. 3,39,16).

I lógia sono i "detti" di Cristo, termine abbastanza generico, che perPapia sarebbero stati "coordinati, syntàssomai", ossia redatti originariamente in ebraico. Da Matteo "altri", che possono essere gli altri Evangelisti, variamente "interpretava, hermènéuó", questo materiale, con altre probabili "redazioni" posteriori. Il testo fa restare un margine didubbio.

Inoltre, l'ideologia ipotetica dal 1800 postulava senza dimostrarlo che Marco fosse cronologicamente il primo Evangelo, da cui Matteo e Luca con diverse soluzioni avrebbero proceduto alle loro "redazioni" diversificate, inserendo nello schema primitivo marciano altro materiale raccolto da diverse provenienze (o fonti). Anche qui la Tradizione antica aveva parlato in questi termini:

II Presbitero diceva anche questo: «Marco, fattosi "interprete"(hermèneutès) di Pietro, quanto "memorò" (mnèmonéuó) esattamente scrisse, non però con ordine (tàxei), come "sia detti sia fatti" dalSignore. Infatti non ascoltò il Signore, né Lo aveva accompagnato,bensì, come dissi,più tardi (ascoltò ed accompagnò) Pietro...". Questo dunque è resocontato (historéomai) da Papia di Marco» (Ekklès.hist. 3,39,15).

Si intende che Marco, discepolo di Pietro a Roma, era stato preceduto da Matteo (e da Luca), e da Pietro, e da essi assunse il suo modello narrativo, che dunque non è quello originale.

Molto aiuto intanto è venuto dopo il 1947 dalle scoperte archeologi-che e letterarie degli esseni di Qumràn. Ci si rende conto adesso che al tempo di Gesù, oltre l'aramaico parlato, tuttavia anche l'ebraico era an-cora parlato, ed era una lingua corrente per la composizione di opere religiose. Gli Apostoli perciò potevano scrivere normalmente in "ebrai-co".

La paziente e rinnovata indagine all'interno dei testi evangelici porta ad alcune conclusioni, che gli studi futuri di certo preciseranno nei par-ticolari. Molto semplificando, i "lógia di Cristo", ossia i "detti e fatti" del Signore (At 1,1), furono raccolti immediatamente, con cura devota dalla Comunità, in ebraico, quasi certamente prima del martirio di Ste-fano (anno 36 d.C). Tra i Dodici con la loro indiscussa autorità di più vicini discepoli e seguaci del Signore, meglio di tutti poteva "leggere, scrivere e fare di conto" Matteo, il pubblicano (la sua vocazione in Mt 9,9-13; con il nome di Levi, Me 2,13-17); infatti la sua professione

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odiata di esattore delle imposte per i Romani occupatoli di certo lo ave-va costretto a presentare minuti e motivati resoconti finanziari.

La prima redazione del materiale su Gesù che è un "Evangelo" si può chiamare bene il "Matteo ebraico". Di questo, in specie nella sua traduzione in greco intorno all'anno 40 d.C, dovette tenere conto l'in-tera generazione apostolica, non escluso Paolo. Per cui si può dare una certa vicenda cronologica:

a) Pietro dal 43 al 49 d.C. aveva predicato ad Antiochia, e questa predicazione come contenuto può identificarsi come l'"Evangelo d'Antiochia"; dal 54 Pietro si stabilisce a Roma;

b)Paolo, come si riscontra nelle sue Epistole e nella narrazione su luinegli Atti, predicò da parte sua, in modo inconfondibile, il Signore; talecontenuto si riconosce come 1'"Evangelo paolino";

e) Pietro d'altra parte predicò anche i "detti e fatti del Signore" a Cesa-rea, prima del 50 d.C; tale materiale si identifica come 1'"Evangelo di Cesarea" (detto anche "fonte Q", dal tedesco "Quelle", fonte); il riscon-tro qui è portato anche sulle Epistole petrine.

Schematizzando tutto questo materiale, derivato dal "documento originale", o "Matteoebraico", si ha questa sistemazione sinottica:

1) il Matteo greco attuale, verso l'anno 60 d.C, deriva dal "Matteoebraico" passato attraverso la sua traduzione greca, con l'integrazionedell'"Evangelo d'Antiochia", e dell'"Evangelo di Cesarea";

2) Luca-Atti derivano dal "Matteo ebraico", integrato dall'"Evangelopaolino" e dall'"Evangelo di Cesarea"; la datazione non è oltre l'anno62 d.C. Qui va riportato il fatto ben poco notato, che Paolo quando invia Tito ai Corinzi per le logéiai, le "collette per i Santi" di Gerusalemme, gli associa Luca, di cui non fa il nome (2 Cor 8,18.22), ma di cuitesse questo enorme elogio: "Con lui (Tito) inviamo anche il fratello(Luca), il quale tutte le Chiese lodano per il suo Evangelo" (v. 18). Èl'inizio dell'anno 57 d.C Si noti che di nessuno dei numerosi discepolidi Paolo si parla del "suo Evangelo". Ora Luca non era troppo passatoper "tutte le Chiese", ma il suo scritto era di certo ampiamente circolatotra le Comunità paoline, che provenivano pressoché tutte dal paganesimo; l'Evangelo di Luca era stato scritto proprio per queste;

3) Marco greco: Marco era stato discepolo prima di Paolo, poi di Pietro, che aveva seguito a Roma dopo l'anno 54 d.C; basandosi sulla

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predicazione orale di Pietro a Roma, Marco volle dare una certa armo-nia schermatica tra i grandi Evangeli circolanti di Matteo e Luca; per-ciò trae materiale anche dall'"Evangelo di Antiochia" e dall'"Evangelo paolino". La sua autorità è enorme perché scrive mentre Pietro è ancora vivo. La datazione è prima dell'anno 65 d.C.

Questo lavorio implica una minuziosa rassegna comparativa tra gli Evangeli sinottici come si hanno adesso, e da una parte le Epistole di Pietro, ambedue autentiche (anche comparate con quelle di Giacomo e di Giuda, su cui influirono), con quelle paoline dall'altra, e anche con l'Epistola agli Ebrei.

Il risultato che si ha, mostra in chiaro: Marco non precede tutti con uno schema "semplice perché originario"; Matteo e Luca non ripresero tale schema operandovi inserzioni, mutamenti, aggiunte e sottrazioni di materiale, perché sono precedenti; Marco invece in alcuni punti fa in-serzioni "secondarie", esplicative per i cristiani della paganità.

È sostanzialmente confermata e precisata la più antica Tradizione, con i suoi dati laconici, adesso più chiari.

Gli Evangeli sono quindi documenti risalenti addirittura alle origini immediate della Chiesa. I Sinottici precedono comunque — e di molto —l'anno 66, quando cominciò la rivolta ebraica contro Roma, e l'anno 70, quando i Romani barbaricamente distrussero il tempio. Sarebbe sta-to un formidabile argomento di propaganda: la profezia di Gesù avve-rata, la punizione divina abbattutasi. Gesù fece una vera profezia su Gerusalemme. Ma i Sinottici erano stati già redatti e già circolavano per il mondo, quando essa si verificò.

3. Una datazione del N.T.

È possibile avanzare una proposta di datazione, che è una "ridata-zione", del N.T., secondo gli studi più recenti. Si veda qui Ph. Rolland, L'origine et la date des évangiles - Les témoins oculaires de Jésus, Pa-ris 1994, che si può accogliere con fiducia. È ovvio che vi sia qualche incertezza ed oscillazione, ma sempre piuttosto a favore della data più remota che di quella più recente.

Si ha così questa tabella:

- prima del 40 d.C: Matteo ebraico e la sua traduzione in greco- prima del 43: 1'"Evangelo di Cesarea" (Q)- anno 50: 1-2 Tessalonicesi- anno 56, primavera: 1 Corinzi- anno 56, autunno: Filippesi

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-prima del 57: l'"Evangelo petrino d'Antiochia"; l'"Evangelopaolino di Efeso"

- inverno del 56: Galati; 2 Cor 10-13 (l'"Epistola delle lagrime")- primavera del 57: 2 Cor 1-9 (V "Epistola della riconciliazione")-estate del 57: Giacomo-inverno del 57: Romani-primavera del 58: Tito; 1 Timoteo-anno 58: 1 Pietro- anno 59: Filemone; Colossesi; Efesini-anno 61: 2 Timoteo; Ebrei-anno 63: 2 Pietro; Matteo attuale; Luca e Atti- anno 66: Marco- anno 68: Giuda- circa 96: Apocalisse- circa 98: 1-3 Giovanni-circa 100: Giovanni.

È convenzionale che circa con l'anno 100 si chiuda la Rivelazione pubblica ed ufficiale del N.T. La data presuntiva è assunta consideran-do l'anno 100 come quello della morte dell'ultimo Apostolo.

Da questo momento, la Chiesa post-apostolica raccoglierà con amo-re e devozione gli scritti del N.T. in una collezione, a cui conferirà la qualificazione di "canonica", ossia dei soli scritti che si leggevano du-rante la sinassi eucaristica. Con vigile senso della fede, la Chiesa allora unirà "le Scritture", ossia l'A.T., con la raccolta del N.T., per formare l'unica Rivelazione divina ispirata dei Due Testamenti, ormai insepa-rabili, dove il N.T. è l'interpretazione dell'A.T. secondo l'insegnamento del Signore Gesù Cristo.

4. Euaggélion Realtà divina

II significato singolare di euaggélion sarà richiamato in seguito di continuo. Intanto va detto qui che esso non può essere confinato a defi-nire una generica per quanto grande "buona novella", o, come con lin-guaggio scadente oggi si dice, "buona notizia"; né un generico messag-gio, come quando si dice 'TEvangelo paolino", né tantomeno uno dei 4 Evangeli.

L'etimologia è da eu, "bene, buono", e aggélló, annuncio. Ma il sen-so ultimo di euaggélion va cercato nella sua culla, l'A.T.

Qui si ha questo materiale: il verbo euaggelizomai 19 volte; il so-stantivo euaggelia 4 volte; il sostantivo euaggélion 3 volte.

Il verbo euaggelizomai traduce solo l'ebraico basar (17 volte all'in-tensivo: bissèr), una radice pansemitica, che significa genericamente

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"portare una buona notizia". Così per 10 volte il verbo indica una "no-tizia favorevole", attesa, che fa piacere. Si tratta di testi del sec. 6° a.C, dall'inizio, con Ger 20,15; alla metà, nell'"opera storica dei deuterono-misti", che sono missionari laici durante l'esilio, che raccolgono le an-tiche memorie storiche d'Israele secondo la dottrina del Deuteronomio e di Geremia, per confortare i rimasti in patria: "la fedeltà fa stare nella patria; l'infedeltà procura l'esilio; la conversione del cuore fa meritare il ritorno e il ristabilimento della patria"; così essi raccolgono l'enorme compilazione dei libri di Giosuè, Giudici, 1-4 Re (= 1-2 Samuele; 1-2 Re). Il verbo euaggelizomai in senso generico ricorre in 1 Re 31,9; 2 Re 1,20; 4,10; 19.20.26.31; 3 Re 1,42. Poi in 1 Cron 10,9, par. di 1 Re 31,9.

Tale significato generico hanno anche euaggelia (2 Re 10,20.22.27; 4 Re 7,9), ed euaggélion (2 Re 4,10; 18,22.25). I due sostantivi tradu-cono l'ebraico bésoràh (bésóràh), la "notizia favorevole".

Tuttavia verso la fine del sec. 7° a.C. il profeta Nahum aveva predetto la caduta di Ninive (che avvenne nel 612 a.C), e, interessato alla re-staurazione del regno settentrionale, aveva lanciato anche un messag-gio al regno meridionale. La catastrofe degli Assiri, nemici del Signore perché nemici del suo popolo, segnerà il tempo nuovo del favore divi-no e dello splendore religioso e spirituale:

Ecco sui monti i passi dell' evangelizzatoree annunciatore di PacelFesteggia, Giuda, le feste tue,rendi i voti tuoi,poiché non seguiteranno a traversarti:in decrepitezza completa sta, fu tolto via! (Nah 2,1).

L'assenza della minaccia assira dunque vale per Giuda come la pa-ce, la quiete dove il culto e la vita religiosa possono proseguire. La "gradita notizia" è portata di corsa dal messaggero, euaggelizómenos, di sua iniziativa.

Però tra il 612 ed il 586 a.C. è avvenuto un rovesciamento. Giuda ha perso la pace, le feste e la possibilità di fare e sciogliere i voti pacifici. I Babilonesi l'hanno devastato, distruggendo Gerusalemme, il luogo del-le feste e dei voti, il santuario è incendiato. L'esilio minacciato da Ge-remia e dal Deuteronomio è una realtà. La nazione appare senza più consistenza, e le sue reliquie in esilio e sulla terra appaiono senza più speranza.

Ma poco prima della metà del sec. 6° a.C, il singolare Profeta che è il misterioso "Deutero Isaia", autore di Is 40-55 (teoria probabile), per preannunciare l'infallibile ritorno dall'esilio, assume il verbo bisser-

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euaggelizomai, caricandolo di enorme significato: il Signore stesso do-na la sua Notizia buona, che è decisiva. Si ha questo in due passi, che stanno in progressione; il testo qui è dei LXX:

-/^40,9:

Su un monte altissimo sali, evangelizzatore di Sion!Innalza la forza della voce tua, evangelizzatore di Gerusalemme!Innalzatevi, non temete!Parla alle città di Giuda:"Ecco il Dio vostro"!,

e dunque il contenuto dell'Evangelo nuovo è che il Signore dell'allean-za (Dio vostro - popolo suo) viene per riportare gli esiliati;

- Is 52,7, il testo fontale:

Quale bellezza sui monti!Come i passi dell'evangelizzatore, dell'ascolto di Pace,come Vevangelizzatore dei BenilPoiché Io farò ascoltare la Salvezza tuaparlando a Sion:"Regnerà il Dio tuo!"

Viene da qui l'evidente influsso sul "Trito Isaia" (fine sec. 6° - ini-zio sec. 5° a.C.?), il profeta o la scuola a cui si debbono Is 56-66:

- Is 60,6 (vedi poi il 6 Gennaio):

Mandrie di cammelli (verranno)...e la Salvezza del Signore evangelizzeranno...

-Is 61,1, citato poi inLe 4,18-19:

Lo Spirito del Signore su Me! A causa di questo Egli unse Me: per evangelizzare ipoveri inviò Me...

Non si sottrae all'influsso del Deutero Isaia un altro Profeta del ri-torno dall'esilio, come Gioele, che annuncia la restaurazione della na-zione religiosa per gli ultimi tempi, quando lo Spirito del Signore sarà effuso su ogni carne (Gioel 3,1):

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Ed avverrà: chiunque invocherà il Nome del Signore,sarà salvato,poiché sul Monte Sion ed in Gerusalemmestarà // Salvatore,come parlò il Signore,e gli evangelizzatori, che il Signore preconvocò (v. 5).

Il testo è citato da Pietro il giorno di Pentecoste (At 2,17).Finalmente, queste visuali ed il linguaggio che le esprime entrano a

far parte del patrimonio della Comunità orante postesilica. Il Salmista afferma di avere evangelizzata la divina Giustizia alla grande assem-blea (Sai 39,10). Tale attitudine diventa programmatica, con gli "impe-rativi innici" che il Salmista levita indirizza ai fedeli:

Evangelizzate giorno dopo giorno la salvezza di Luiannunciate tra le nazioni la Gloria di Lui,tra tutti i popoli i mirabilifatti di Lui! (Sai 95,2-3),

con l'assicurazione confortante:

II Signore darà la parola agli evangelizzatori con forza ingente (Sai 67,12).

Anche se le presenze sono poco numerose, tuttavia ormai il verbo bissér-euaggelizomai si è caricato di significato pieno: ora si "evange-lizzerà", ossia si annuncerà "la Notizia felice" che il Signore stesso in-via al suo popolo, alle nazioni, conferendo forza agli inviati e nunci suoi. U euaggélion sono tà thaumàsia, i mirabili fatti, che si riassumo-no nell'unica realtà: "II Signore regna". Allora si ha questo:

a) il fatto decisivo è che "il Signore regna", dove Re significa sempreSalvatore del suo popolo;

b) il suo Regno è una "condizione d'esistenza" che comporta i me-galéia toù Kyriou, le gesta grandi di Lui, che sono la Pace, i Beni divini, la Salvezza;

e) il Signore stesso invierà a Sion l'evangelizzatore di questi Beni;

d) i primi destinatali dell'Evangelo divino nuovo sono i poveri del Signore;

e) ma così da adesso si profila la figura del "Salvatore", che lo Spiri

no L

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CAP. 7 - LA VITA DEL SIGNORE NEI 4 EVANGELI

to del Signore "unge" di consacrazione per la missione sacerdotale e regale;

f) e Sion dovrà indire la Festa divina che non termina più.

Il N.T. farà suo per intero il senso di euaggelizomai e di euaggélion, ed anzi lo specializzerà fortemente.

. Cristo Signore appena battezzato dal Padre con lo Spirito Santo, quale primo gesto messianico ed escatologico precisamente "predica, kèryssó" il Regno di Dio: Mt A,\l. La formula estesa di Me 1,14-16 è rivelante:

... venne Gesù in Galileapredicando YEuaggélion del Regno di Dìo,e parlando:"E stato adempiuto il tempo (stabilito)e si avvicinò il Regno diDio\Convertitevi e credete nell''Euaggélion\"

U Euaggélion che è il Regno va dunque creduto, accolto totalmente con l'apertura del cuore che è la metdnoia, e con la fede che è adesione.

I contenuti del Regno promessi da Is 52,7 sono donati dal Signore Risorto:

- la Pace: Gv 20,19.21.26, la sera della Resurrezione;-/Beni, che sono lo Spirito Santo (Mt 12,28; Le 11,20): Gv 20,22, la

sera della Resurrezione;- la Salvezza: "chiunque invocherà il Nome di Gesù sarà salvato": At

4,12.10, ormai per sempre.

Così chiunque dei suoi discepoli vorrà narrare come il suo Signore ha portato il Regno del Padre con lo Spirito Santo tra gli uomini, non avrà scelta: dovrà comporre un "Evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio".

Chiunque di essi dovrà predicare il suo Signore Risorto con il suo Regno, dovrà cominciare dai poveri che "evangelizzerà", proseguendo poi tra le nazioni della terra.

Chiunque di essi dovrà celebrare il suo Signore e Dio dopo la Resur-rezione, a causa ed a partire dalla Resurrezione, sia con i Divini Miste-ri, sia con gli altri Misteri e sia nella preghiera continua, dovrà procla-mare questo Evangelo che dovrà "portare". E chi nella Chiesa di Dio ne ha la potestà, diritto-dovere, dovrà dare la catechesi ai catecumeni e la mistagogia ai battezzati spezzando ad essi il Pane della Parola, il cui nucleo divino è l'Evangelo.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Tutto questo va tenuto presente adesso, nella descrizione dei 4 Evangeli, meglio se si tiene sotto l'occhio una sinossi greca.

Qui di seguito si offre lo schema e la teologia globale per ciascuno dei 4 Evangeli. Per le questioni specifiche si rimanda alle introduzioni ed ai commenti moderni. Ma per una teologia più alta, occorre rifarsi sempre ai Padri della Chiesa.

Gli elementi sintetici delle pagine che seguono servono solo da punti di riferimento generale, e rinviano sempre al contesto di ciascun Evangelo come integrità. Essi quindi cercano solo di riconcentrare la lettura del Testo sacro.

L'ordine seguito dalla presentazione è secondo la cronologia riporta-ta sopra: Matteo, Luca, Marco, Giovanni. Essa resta presuntiva, ma ha tutti gli indizi per essere reale.

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CAP. 8 L'EVANGELO

TETRAMORFO

La disposizione completa delle pericope bibliche in un sistema ordi-nato nella Divina Liturgia per una migliore comprensione dei testi ri-chiede sempre una ricontestualizzazione. Nel commento che segue si è cercato sempre di farlo. Quanto segue perciò sembra necessario per avere dei quadri di riferimento precisi.

A. MAJTEO

Dalle origini, si può dire, l'Evangelo di Matteo godette di un im-menso prestigio ed interesse, e si deve dire, anche una certa preferenza sugli altri Evangeli. Stava in suo favore la ricchezza dell'impianto, i grandi discorsi e le numerose parabole, il che offriva un materiale ine-sauribile alla catechesi, alla mistagogia, all'omiletica, agli stessi com-menti teologici.

1. Generalità su Matteo

Matteo si trova citato già dopo la metà del sec. 1° dall'incipiente letteratura cristiana, come la Didachè (circa anni 65-70 d.C). I primi autori cristiani, e l'intitolatura unanime dei manoscritti (papiri e co-dici) attribuiscono questo scritto ad una persona storica ben cono-sciuta: a Matteo, uno dei Dodici discepoli scelti personalmente dal Signore. Nell'ordine delle citazioni l'Evangelo di Matteo è sempre posto come primo. La Tradizione antica qui rifletteva precisi fatti storici, come si vide.

Ora, questa persona, uno dei Dodici Apostoli, uno degli Evangelisti, ha due bellissimi nomi ebraici. Il greco Matthàios trascrive fonetica-mente Mattai, abbreviazione di Mattit-Jàhù, "Donato del Signore"; tal-volta è tradotto anche con l'omonimo Theodòros; mattit è participio passivo da nàtan, donare.

L'altro nome è Leui(s) ho toù Alphàiou, Levi figlio di Alfeo, che ri-manda ad uno dei Dodici Patriarchi, il terzo figlio di Giacobbe, Levi, il terribile guerriero (cf. Gen 34), dai cui discendenti tribali il Signore trasse i pacifici sacerdoti e leviti (Num 1-4).

Si tratta anzitutto di sapere se questo "Matteo", problema già per gli antichi, fosse l'Apostolo, uno dei Dodici. Egli nelle liste dei Dodici è sempre presente; è chiamato singolarmente dal Signore alla sua sequela (Mt 9,9), è detto "Matteo il pubblicano" (Mt 10,3). E sembra essere il

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

medesimo personaggio con il Levi "pubblicano", così detto dai paralle-li di Me 2,13-14 e Le 5,27-28. Tuttavia Clemente Alessandrino (e. 220) e Origene (e. 253) distinguevano i due prsonaggi, come diversi autori moderni. Il che crea altri problemi difficili, senza risolverne alcuno.

La seconda ed interessante questione è il testo richiamato di Papia. Era "in ebraico" (e tale denominazione non vuole indicare "in aramai -co"). E quella "interpretazione come ciascuno poteva", con il verbo tecnico hermènéuó, indica che il testo greco che Papia di certo cono-sceva, e sostanzialmente pervenuto a noi, era una "traduzione" dair"ebraico" ormai canonizzata. Studi recenti, ben fondati filologica-mente ed archeologicamente, sulla base comparativa di testi ebraici dell'epoca di Gesù, studiando il sottofondo semitico almeno di Marco, Matteo e Giovanni, ritrovano agevolmente l'aramaico palestinese par-lato da Gesù, ed a noi ormai ben noto.

Ma per motivi letterari, Matteo scrisse in ebraico. Di fatto Matteo, come lo abbiamo, è un evangelo dal sottofondo semitico. L'analisi del suo greco mostra che l'autore usa dei grecismi tipici non corri-spondenti a nessun termine semitico, come parousia, paliggenesia, kósmos; usa una sintassi greca abbastanza regolare; migliore di Mar-co, piuttosto pesante, nei passi paralleli; usa anche alcuni latinismi, non tanto però come Marco. Infine, ha pochi termini semitici (ebraici, aramaici), al contrario di Marco. La redazione ebraica originale porta solo a notare che "Matteo" ha livellato più che si poteva il sostrato originale nel tradurre in greco; il che si spiega bene in un Ebreo, pre-cisamente un giudeo-cristiano che ha ormai la preoccupazione della diffusione dell'Evangelo del Signore fuori dei confini della Palestina; come fu preoccupazione primaria, e di prima mano, di Luca, non Ebreo, abile scrittore greco.

Tuttavia la retroversione di Matteo in ebraico, e ne esistono numero-se, già nell'antichità, e fino ad oggi, o anche in aramaico, fa ritrovare molti semitismi: letterari, come il parallelismo (sinonimico, antitetico, sintetico); l'inclusione letteraria (il medesimo termine ripetuto all'ini-zio ed alla fine di un brano, per indicare il medesimo contenuto, ad es. Mt 5,3.10); i "termini gancio", che pongono in evidenza di richiamo un brano; i doppioni (se ne contano decine, sia nei detti del Signore, sia nelle sezioni narrative); il chiasmo (incrocio di termini significanti: "chi vorrà salvare la vita sua, la perderà — ma chi perderà la vita sua per amore di Me, la troverà"), e finalmente quel chiasmo molto ampio, detto "inviluppo", che abbraccia addirittura una sezione estesa.

Tra i semitismi poi, si individuano degli ebraismi biblici e degli ara-maismi palestinesi, ossia detti tipici dell'epoca del Signore. Essi sono molto numerosi, come "Padre celeste", "Padre nostro nei deli", "Re-

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r

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

gno dei cidi", "Casa d'Israele", "le 12 tribù", "adempiere/compiere la Legge", dalla Legge non cadrà "né uno iota né un apice", "Legge e Profeti" (= l'A.T.), Legge quale "giogo da portare", "profeti e giusti", "carne e sangue", "Giorno del Giudizio". Abbiamo insomma un autore che ha vissuto in Palestina, ha ascoltato, ha visto, ha sperimentato di persona.

Tenendo conto della cronologia e redazione schematizzate sopra, si ha anche la possibilità di vedere nelle grandi linee, esclusi i particolari, quanto Matteo abbia di proprio rispetto a Marco, spesso in comune in-vece con Luca:

-Mt 1-2, l'Evangelo dell'Infanzia del Signore;-Mt 5,1-7,29, il "discorso della montagna", cf. invece Le 6, 17-49;-Mt 8,5-13, guarigione del servo del centurione, Le 7,1-10;- Mt 8,18-22, vocazione apostolica e sue esigenze; Le 9,57-62;-Mt1 1,2-19, il "libretto su Giovanni Battista"; Le 7,18-35;- Mt 22,1-14, la parabola del Convito; Le 14,16-24;-Mt 23,13-33, le invettive contro i farisei; Le 20,45-47; 11,39.52;

11,49-51; 13,34-35;-Mt 23,37-39, l'apostrofe di Gerusalemme; Le 13,34-35; -Mt27,3-10, la morte di Giuda; At 1,16-20.

E finalmente si ha il quadro del "proprio" di Matteo rispetto sia a Marco, sia a Luca. Si possono qui distinguere "i detti ed i fatti del Si-gnore":

a) Detti-Mt 5,1-7,29, il "discorso della montagna", benché alcuni nuclei si ri-

trovino in Luca;-Mt 13,24-30.36-43, parabola della zizania e spiegazione;-Mt 13,44-46, le due parabole del tesoro nascosto e della perla prezio-

sa;- Mt 13,47-50, parabola della rete;-Mt 13,51-53, lo scriba del Regno;- Mt 18,18, il potere di sciogliere e di legare;- Mt 18,19-20, la preghiera della Comunità,- Mt 18,21-22, il perdono illimitato delle offese;- Mt 18,23-35, parabola dei diecimila talenti e del servo spietato;- Mt 19,10-12, la continenza per il Regno;- Mt 21,28-32, parabola dei due figli e della vigna;-Mt 25,1-13, parabola delle 10 Vergini;-Mt25,31-46, il Giudizio ultimo;- numerosi altri passi minori;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

b) Fatti-Mt1,1-2,23, l'Evangelo dell'Infanzia del Signore;- Mt 9,27-31, la guarigione dei due ciechi;-Mt 14,28-31, Pietro cammina sulle acque;- Mt 17,24-27, il tributo per il tempio;- Mt 27,19, la moglie di Pilato;- Mt 27,24-25, Pilato si lava le mani;- Mt 27,51-53, i risorti a causa della Croce;- Mt 27,62-66, la guardia al sepolcro;- Mt 28,2-4, l'Angelo al sepolcro;-Mt28,9-10, le apparizioni del Resuscitato;- Mt 28,11-15, la corruzione delle guardie del sepolcro;- Mt 28,16-20, apparizione sul Monte della Galilea e invio dei discepoli.

Matteo costruisce il suo quadro geografico per ambientarvi la narra-zione sul Signore: in Galilea, fuori della Galilea, a Gerusalemme. Luca propone un altro quadro, teologicamente significante; vedi infra. Mat-teo però ha anche un quadro specifico, se si considera anche l'Evangelo dell'Infanzia, e si ha allora il percorso Betlemme-Gerusalemme, e Nazaret-Gerusalemme, ed anche questo ha un profondo significato teologico.

Quanto alla cronologia propria a Matteo, mentre egli restringe la narrazione da Cafarnao alla Resurrezione probabilmente in 1 anno (co-me gli altri Sinottici, contro i probabili almeno 3 di Giovanni), rispetto a Marco segue i fatti meno da vicino, tuttavia li raggnippa in un ordine più compatto, più sistematico. Così Matteo ha più materiale di Marco; tuttavia nel materiale comune tra i due, Marco è molto più diffuso, poi-ché venendo dopo ha dovuto esplicitare molti punti ai cristiani di Ro-ma, o comunque a non Ebrei. Le annotazioni cronologiche di Matteo sono teologiche, come nelle espressioni di 2,1, "al tempo del re Erode"; 3,1, "in quei giorni"; 12,1, "in quel tempo". Si veda il metodo di Luca, più storiografico, nelle pagine che seguiranno.

2. Lo schema di Matteo

Per i 4 Evangeli in specie, come si è detto e si insisterà ancora, il modo teologico più idoneo è la "lettura Omega" che pervade del resto l'intero N.T. Essa si svolge secondo la regola di ferro dell'osservazione scientifica dei fatti: un fatto solo dalla sua completezza è del tutto co-nosciuto, e solo così si presta ad essere interpretato nella globalità e nei particolari, dalla sua fine (completezza) al suo inizio (principio ed av-vio), e da questo inizio alla sua fine, ormai conosciuta per intero.

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

Per l'approccio anzitutto teologico perciò il materiale di Matteo va disposto per la sua fruttuosa lettura anzitutto ed idealmente così:

A) La Resurrezione: 28,1-10il suo complemento: le sue apparizioni ed il suo invio dei discepoliad annunciare l'Evangelo: 28,11-20la sua necessaria premessa: la Croce, 26,1 - 27,66

B) il "discorso escatologico": 24,1 - 25,46

C) l'ultimo ministero a Gerusalemme: 21,1 - 23,39

D) il ministero messianico in Galilea: 3,1 - 18,35

E) la "salita" a Gerusalemme: 19,1 - 20,34

F) l'"Evangelo dell'Infanzia del Signore": 1,1 - 2,23.

Matteo va letto anche normalmente, per così dire, ossia nella succes-sione in cui è redatto. E qui si rivela come l'Autore ha voluto seguire fedelmente il metodo del Signore, che di se stesso ha voluto dare una catechesi progressiva, per noi illuminante. Matteo redige i fatti nella loro sequela storica e cronologica. Ossia, gli Eventi reali che nello Spi-rito Santo il Signore ha vissuto, anzi ha provocato con i suoi "detti e fatti", sono riferiti in una narrazione storica, in ordine cronologico ma secondo una visuale direttiva che è teologica: dalla Nascita attraverso il Battesimo nello Spirito Santo alla Trasfigurazione fino alla Croce ed alla Resurrezione e alla gloria dell'Ascensione (accennata) e alla Pa-rousia perenne promessa. In sostanza, ai discepoli il Signore ha rivelato se stesso progressivamente. È un'unica e medesima rivelazione, in due aspetti, di cui i discepoli di allora tennero conto, come dobbiamo noi tenere conto:

A) fino alla Croce: il Signore opera con i discepoli un approccio per così dire catechetico, "da zero", presentando se stesso attraverso gradi successivi, in salita irta, dolorosa, per allora incompresa:

a) dal Battesimo nello Spirito Santo, in cui riceve l'investitura messia-nica dal Padre, con i titoli competenti e le funzioni conseguenti- nello Spirito Santo annuncia l'Evangelo, e la dottrina su esso inse

gna "con autorità", con sapienza ancora mai intesa- nello Spirito Santo opera le opere del Regno di Dio "con potenza"

irresistibile

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

- è sperimentato come l'Uomo buono, misericordioso, soccorrevole,soave, vicino ai fratelli suoi, il Profeta atteso, Colui che viene, ilFiglio dell'uomo che adempie il Disegno divino.

Matteo, come del resto Marco, annota ripetutamente, come un ritor-nello, che tuttavia il cuore dei discepoli è indurito (espressione biblica), oscurato, la loro comprensione si rifiuta di accettare la realtà (vedi dopo).

b) La Trasfigurazione nella Luce e nello Spirito- è la svolta drammatica della Vita del Signore, il dramma si avvici

na, la Croce sta profilata nella immediata prospettiva- "confermazione" del programma battesimale del Signore, come

cerniera verso l'epilogo necessario- prima e dopo la Trasfigurazione, 2 annunci della Morte e Resurre

zione: "il Figlio dell'uomo deve (greco dèi = "si deve", da parte diDio, della sua Volontà imperscrutabile) morire, ed al terzo giornorisorgere"

- accresciuta incomprensione dei discepoli, anzi rigetto violentodella prospettiva da parte di Pietro, perciò investito come "satana"

- seguita il programma battesimale confermato: Evangelo e opere.

e) 3° annuncio della Morte e Resurrezione- si aggrava ancora di più l'incomprensione dei discepoli, nella tri

stezza, nell'oscuramento totale.

d) La Croce, con tutti i fatti connessi- avviene qui la Rivelazione totale del Padre nel Figlio: l'infamia

della croce dei Romani è la somma Bontà divina- abbandono, fuga, rinnegamento dei discepoli — restano sotto la

Croce solo le Donne fedeli.

B) Dalla Resurrezione la Rivelazione è completa.

a) La predicazione apostolica di tutti questi fatti, e la loro narrazioneordinata manifestano tutto e subito il Mistero del Figlio di Dio.

b) Questo, però, in forma "mistagogica", ossia in forma dell'insegnamento non ai catecumeni ignari, "da zero", ma nella completezza,per i già "iniziati" alla vita della fede.

e) È esigita dunque la "lettura Omega", che rinvia coestensivamente aifatti storici della Vita del Signore prima della Croce e della Resurrezione, all'A.T. quale necessaria "preparazione" efficace di Lui, al re-

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

sto del N.T. quale proseguimento della Vita di Lui nello Spirito in seno alla comunità nuova.

Questo quadro immane è la rivelazione completa della "Vita del Si-gnore". Se si considera attentamente, tutto il resto degli scritti apostolici che formano il N.T., dunque gli Atti, le Epistole di Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni, Giuda, YApocalisse, saranno un immenso completa-mento alla mistagogia sulla Vita del Signore tracciata dai 4 Evangeli. Se poi si fa il dovuto discernimento dell'accurata, fitta rilettura aposto-lica dell' A.T., il quadro è completo in tutti i particolari.

Come si è visto sopra, nel Cap. 3, la comprensione di questo dipen-de anche dall'attitudine di fede e dalle disposizioni spirituali dei lettori e degli ascoltatori di questa immensa massa di Realtà divine. Tale im-presa non può avere fine se non al termine delle vicende della storia. La comprensione della Vita del Signore infatti non conosce limiti.

Ma l'occhio fedele deve scorrere la realtà dal generale al particolare, per tornare sempre al generale, e di qui di nuovo al particolare. E così di seguito, avanzando sempre. Perciò è bene avere come riferimento lo schema dell'Evangelo di Matteo.

SCHEMA GLOBALE DI MATTEO

1,1 - 2,23: "EVANGELO DELL'INFANZIA DEL SIGNORE"3,1 -13,52: IIMINISTERO MESSIANICO IN GALILEA13,53 - 18,35: IIMINISTERO MESSIANICO ITINERANTE16,13- 17,27: INTORNO ALLA TRASFIGURAZIONE19,1 - 20,34: LA "SALITA" A GERUSALEMME ATTRAVERSO LA PEREA E

GERICO

21,1 - 25,46: IIMINISTERO MESSIANICO A GERUSALEMME 26,1 - 27,66: LA PASSIONE E LA CROCE, LA MORTE, LA SEPOLTURA 28,1 - 20: LA RESURREZIONE, LE APPARIZIONI, L'INVIO DEI DISCEPOLI

SCHEMA PARTICOLARE

A. "EVANGELO DELL'INFANZIA DEL SIGNORE": 1,1 - 2,23

1,1-17: La "Genealogia di Gesù Cristo"18-21: l'Annunciazione a Giuseppe22-25: la Nascita di Gesù ed il suo "Nome"

2,1-12: i Magi adorano il Bambino a Betlemme13-15: la "fuga in Egitto"

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

16-18: la strage degli Innocenti

19-23: ritorno dall'Egitto e dimora a Nazaret

B. IL MINISTERO MESSIANICO IN GALILEA: 3,1 - 13,52

3,1 -4,11: Esordio3,1-4: Giovanni il Prodromo inizia a predicare

4: descrizione del Prodromo5-6: le folle si fanno battezzare da lui7-10: la chiamata alla conversione

11-12: l'annuncio di Colui-che-viene, "il Più Forte", il suo futuro battesimo "con Spirito Santo e Fuoco" •3,13-17: GESÙ È BATTEZZATO "per compiere tutta la giustizia"4,1-11: Gesù è tentato nel desertoa) "Gesù si manifesta ed insegna": 4,12 - 7,294,12-17: inaugura la sua predicazione in Galilea

18-22: chiama i primi discepoli23-25: sommario del ministero di Gesù: 1"'Evangelo del Regno" e le

"opere del Regno" 5,1 - 7,29: 1° grande discorso: il "discorso della montagna"

1-2: introduzione3-12: le "beatitudini"13-16: la "giustizia nuova", enunciato17-20: sviluppo 1°: Gesù e la Legge antica21-48: la giustizia antica e la giustizia nuova: 6 antitesi

6,1-18: sviluppo 2°: le opere antiche e le opere nuove1-5: l'elemosina6,15: la preghiera il "Padre nostro"16-18: il digiuno6,19 - 7,23: sviluppo 3°: Gesù e la "Legge nuova", ossia "ultima"19-34: il tesoro nel cielo, la Provvidenza, bandire le cure del mondo

7,1-5: non giudicare mai6: "le Realtà sante ai santi"7-11 : la preghiera nella fede12: la "regola d'oro": fare il bene che si vuole per se stessi13-14: le "due vie"15-20: guardarsi dai falsi profeti21-23: fare la Volontà del Padre24-27: fondare e costruire la casa sulla roccia28-29: lo stupore per 1'"insegnamento con autorità"

b) Gesù si manifesta insegnando ed operando (10 miracoli): 8,1 - 11,1

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CAP. 8 - LEV ANGELO TETRAMORFO - MATTEO

8,1-17: i primi 3 miracoli 1-4: guarisce il lebbroso 5-13: guarisce il servo del centurione 14-15: guarisce la suocera di Pietro 16-17: i molti miracoli del Servo sofferente 18-22: insegna a seguirlo 8,23 - 9,8: altri 3 miracoli 23-27: placa la tempesta sul lago 28-34: guarisce i due indemoniati di Gadara 9,1-8: guarisce il paralitico 9: chiama Matteo 10-13: il convito da Matteo con i pubblicani: "la misericordia, non il

sacrifìcio"14-17: il digiuno cristiano

9,18-35: altri 4 miracoli18-26: guarisce l'emorroissa e resuscita la figlia di Giairo 27-31: guarisce due ciechi 32-34: guarisce un indemoniato 9,35 - 11,1: il 2° grande discorso: il "discorso di missione"

35-38: il "mistero messianico" di Gesù e gli operai perla mèsse 10,1-4: sceglie i Dodici5-15: li istruisce per la missione 16: li invia in missione 17-23: annuncia per essi le persecuzioni 24-39: confessare Lui e la Croce di Lui 40-42: "chi accoglie voi, accoglie Me" 11,1: la conclusione

e) La fede, la conversione, la non accoglienza: 11,2 -12,50 11,2-6: Giovanni il Battista chiede: "Sei tu 'Colui-che-viene'?"

7-17: Gesù testimonia a Giovanni e su Giovanni18-19: Giovanni e Gesù non accettati20-24: rimprovero alle città impenitenti 11,25-30: il

"Giubilo messianico", o "comma giovanneo" 12,1-14: il Sabato di Dio

1-8: il Figlio dell'uomo Signore anche del sabato9-14: guarisce la mano inaridita 12,15-21: Gesù il

Servo sofferente mansueto ed umile 12,22-45: il Regno di Dio ed il regno di satana

22-23: guarisce l'indemoniato cieco e muto24-37: la polemica con i farisei, la bestemmia contro lo Spirito San-

to, l'albero ed i suoi frutti38-42: il "segno di Giona"

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r

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

43-45: la rivincita dello "spirito immondo" 46-50: "la madre ed i fratelli" di Gesù

d) II 3° grande discorso: il "discorso di parabole": 13,1-5213,l - 3 a: introduzione

3b-9: la parabola del seme della Parola10-17: scopo e necessità delle parabole: "chi ha orecchi..."18-23: spiegazione della parabola del seme della Parola24-30: parabola della zizania31-32: parabola del granello di senape33: parabola del lievito34-35: le parabole come adempimento del Profeta (Sai 77,2)36-43: spiegazione della parabola della zizania44: parabola del tesoro nascosto47-50: parabola della rete da pesca51-52: conclusione: e "realtà nuove ed antiche"

C. IL MINISTERO MESSIANICO ITINERANTE: 13,53 - 18,35

13,53-58: Gesù rifiutato a Nazaret14,1 -12: Giovanni Battista decollato da Erode . 14 13-21 : 1a m°ltiplicazione dei pani e dei pesci14,22-33: Gesù cammina sulle acque

34-36: Gesù guarisce molti nella regione del lago di Genezaret 15,1-9: i farisei e la tradizione degli antichi

10-20: il puro e l'impuro21-28: guarisce la figlia della Cananea siro-fenicia29-31 : guarisce molti sul lago . , . 32-39: 2a m°ltiplicazione dei pani e dei pesci

16,1-4: rifiuta di dare il "segno dal cielo" e lascia il "segno di Giona" 5-12: contro il "lievito dei farisei e dei sadducei"

D. INTORNO ALLA TRASFIGURAZIONE: 16,13 - 17,27

a) Pietro professa la fede richiesta da Gesù: 16,13-20b) 1° annuncio della Passione e Resurrezione: 16,21e) L'antifede di Pietro "satana": 16,22-23d) il discepolo autentico con la Croce: 16,24-26e) La Venuta del Figlio dell'uomo con il suo Regno: 16,27-28

GESÙ È TRASFIGURATO: 17,1-8

e') II Figlio dell'uomo e la Resurrezione: 17,9-13

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L

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

d') I discepoli inetti: Gesù guarisce il ragazzo lunatico: 17,14-18e') La non-fede dei discepoli: 17,19-21b') 2° annuncio della Passione e Resurrezione: 17,22-23a') Pietro ed il tributo per il tempio: 17,24-2718,1-35: 4° grande discorso: il "discorso ecclesiastico"I) 1-4: convertirsi e farsi bambini

5: accogliere i bambini = "il Bambino"6-9: "guai agli scandali!"10: non disprezzare i bambini11 : il Figlio dell'uomo e la salvezza12-14: parabola della pecora perduta

II) 15-35: in seno alla Comunità15-17: la correzione fraterna18: "legare e sciogliere" concesso ai dodici19-20: Gesù sempre presente alla Comunità orante21-22: "perdonare 70 volte 7"23-55: parabola dei diecimila talenti e del servo spietato

E. La "SALITA A GERUSALEMME" ATTRAVERSO LA PEREA E GERICO: 19,1- 20,34

19,1-9: Gesù abolisce il divorzio10-12: il celibato per il Regno13-15: Gesù ed i bambini del Regno

16-24: il giovane ricco ed il suo rifiuto 25-30: catechesi sulla povertà e sua ricompensa 20,1-16: parabola degli operai dell' llaora

17-19: 3° annuncio della Passione e Resurrezione20-23: la richiesta della madre dei figli di Zebedeo24-28: il Figlio dell'uomo venuto per servire, non per essere servito29-34: Gesù guarisce i due ciechi di Gerico

F. IL MINISTERO MESSIANICO A GERUSALEMME: 21,1 - 25,46

a) Gesù fa l'ingresso messianico a Gerusalemme: 21,1-11

b) Gesù purifica il tempio: 21,12-1321,14: guarisce molti nel tempio

15-17: la lode dei bambini 18-22: maledice il fico infruttuoso

e) L'ultima predicazione pubblica: 21,23 - 22,46 21,23-27: Gesù e la sua autorità

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

28-32: parabola dei due figli e della vigna33-46: parabola dei vignaioli omicidi

22,1-14: parabola delle nozze regali15-22: la questione del tributo a Cesare23-33: i sadducei e la resurrezione34-40: il primo e massimo comandamento41-46: il Cristo "Signore" e "Figlio di David" 23,1-

36: 5° grande discorso: le invettive contro i farisei1-14: contro l'ipocrisia e la superbia15-32: le 7 invettive contro i farisei33-36: conclusione, la punizione 23,37-39: apostrofe a

Gerusalemme 24,1 - 25,46: 6° grande discorso: il "discorso escatologico" 24,1-3: introduzione: predizione di Gesù, domanda dei discepoli

4-36: Parte I4-14 1° momento: inizio dei "dolori messianici", preludio della fine A o. laser ie

4-5: i discepoli smarriti 6-7a: le guerre 7b-8: carestie e terremoti 9-14: 2a serie

11-12: seduzioni13: promessa di salvezza finale14: proclamazione universale dell'Evangelo del Regno15-29 2° momento: la fine15: annuncio della "abominazione della desolazione"16-20: la fuga21-22: la "tribolazione grande"23-28: falsi Cristo e falsi profeti, e il "Segno del Figlio dell'uomo"29: i fenomeni cosmici30-36: 3° momento30-31: la Venuta del Figlio dell'uomo nella Gloria, e raduno degli

eletti32-36: la "data"

24,37 - 26,46: Parte II37-41: "Vigilate!"; la parabola del diluvio42-44: vigilare ed attendere45-51: vigilare; la parabola del servo fedele e vigilante

25,1-13: vigilare; la parabola delle 10 Vergini14-30: vigilare ed operare; la parabola dei talenti31-46: il Figlio dell'uomo ed il Giudizio sulle opere della carità

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G. LA PASSIONE, LA MORTE, LA SEPOLTURA: 26,1 - 27,66

26,1-2: Gesù annuncia la sua morte3-5: il sinedrio congiura per la morte di Gesù6-13: Gesù è unto a Betania14-16: il patto di Giuda17-19: i discepoli preparano la Cena20-25: Gesù indica "il traditore"26-29: la Cena30-35: Gesù predice l'abbandono di tutti e il rinnegamento di Pietro36-46: al Getsemani47-56: Gesù è catturato, ed è abbandonato dai discepoli57-68: il sinedrio processa Gesù69-75: Pietro rinnega Gesù 3 volte

27,1-2: Pilato apre il processo a Gesù3-10: la fine di Giuda11-14: Pilato processa Gesù15-21: Pilato libera Barabba22-26: Pilato condanna Gesù alla Croce27-31 : Gesù è schernito dai soldati32: Simone di Cirene angariato con la Croce33-36: al Golgota, l'aceto, la divisione delle vesti37: il cartiglio della Croce38: i due ladroni crocifissi39-44: Gesù è tentato 3 volte45-50: GESÙ IN AGONIA; MUORE51 : il velo del tempio si scinde52-53: molti resuscitati per la Croce54: il centurione romano, la prima fede55-56: le Discepole fedeli sotto la Croce57-61: Gesù è sepolto62-66: le autorità ebraiche chiedono di sigillare il sepolcro

H. LA RESURREZIONE, LE APPARIZIONI, L'INVIO DEI DISCEPOLI: 28,1-20

a) La Resurrezione: 28,1-10

b) Le guardie subornate: 28,11-15

e) Gesù sul Monte Galilea invia i discepoli al mondo: 28,16-20.

3. Teologia di Matteo

Un programma teologico grandioso, è il prodotto che questo Ebreo, Matteo, vuole trasmettere alle sue comunità, ed alle generazioni che

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

verranno. Perfetto conoscitore della grande tradizione ebraica, dalla quale proviene come il Signore stesso, come tutta la Chiesa Madre di Gerusalemme, di lingua aramaica, egli si serve di mezzi sovrani per esprimere il suo "evangelo". Anzitutto le Sante Scritture, che sono an-cora e sempre l' A.T.; poi "le parole ed i fatti" del Signore, riletti alla lu-ce folgorante della gloriosa Resurrezione; quindi l'ermeneutica aposto-lica, che segue quella del Signore, parte da Lui Risorto, risale all'A.T., insiste sulla vita dei discepoli che hanno visto e parlato con il Figlio di Dio. Finalmente il materiale è vasto, vario ed ancora per noi non del tutto identificabile, proveniente a Matteo dalla comune tradizione ora-le, concomitante con quella ben presto messa in scritto (verso gli anni 35 d.C). Con il suo schema inevitabile per chi voglia scrivere un "evangelo" della Vita del Signore; ma poi anche da altre "fonti", come si disse, sia in comune con Luca, sia proprie.

La grandiosità di Matteo, che comincia con la Genealogia del Si-gnore e termina con l'Unico Nome adorabile del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, dunque "da Dio all'Uomo a Dio", si distingue in specie nel porre Gesù Cristo in augusta maestà, segnalando certo che è vero Uomo: "Figlio di Abramo, Figlio di David" (Mt 1,1), "secondo la carne", come dirà S. Paolo (Rom 1,4), ma è anche e finalmente rivelato quale ho Kyrios, "il Signore", sussistente ed operante "con potenza" ir-resistibile, "con autorità" irrefragabile. Oggi questo è bene rilevato an-che dagli esegeti.

Strumento fine ed efficace per Matteo qui è la "teologia simbolica", di cui fa largo e significante uso, al modo biblico. Se si deve descrivere in breve sintesi la "teologia simbolica", si devono porre in risalto i suoi punti e dinamiche portanti: a) essa comprende un "universo simboli-co", quello in atto nella divina Rivelazione, praticamente l'A.T. che viene ad essere completato dal nascente N.T.; esso si compone di even-ti, di persone, di parole, di gesti, di "segni", tutti significanti il Disegno di Dio con gli uomini che ama, e che esempla tutta la narrazione bibli-ca; b) come tale, questo universo, in specie nei singoli segni-simboli, si compone di elementi confluenti, ed anzitutto la visione, 1'"icona" per così dire, che manifesta e descrive e spiega, e Vascolto, la "parola", che rivela ed annuncia; e) significante in sé, tuttavia l'"universo simbolico" della Rivelazione deve essere sempre rievocato e dovutamente mista-gogizzato; solo allora è efficace della vita che porta in sé. Così si ha ad esempio che Giuseppe è gratificato divinamente della visione dell'An-gelo di Dio, in sogno (Mt l,20a), la quale è subito spiegata dalla Parola dell'Angelo (vv. 20b-21). Il Signore stesso, per riprendere qui un ana-logo tratto giovanneo, appare al mondo come Uomo vero, tale che chi vede Lui nella sua consistenza e concretezza storica, vede il Padre (Gv 14,6-9), e tuttavia si manifesta come "il Verbo" Dio, Verbo di Dio, e

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parlando si annuncia: "Io sono" (ad es. Gv 8,58), che rimanda al Nome divino rivelato a Mosè dal Roveto ardente (Es 3,14); d) ma il "simbo-lo" o "segno" della Rivelazione, che è dunque sempre immagine e pa-role, è unificato per essenza dall'unica Rivelazione, così che l'una non si trovi senza l'altra; e) e nessun segno-simbolo si trova mai isolato, bensì sta sempre in connessione funzionale con altri segni-simboli; f) dell'universo simbolico della Rivelazione, e della teologia simbolica che lo ordina, Ispiratore ed Ermeneuta divino è lo Spirito di Dio, Spiri-to Profetico, Sapienza divina eterna.

Matteo così fa largo uso dell'universo simbolico biblico e della teo-logia simbolica. Al primo approccio, gli servono i numeri: 2, 3, 5, 7, 10, 40, e loro multipli, tutti biblicamente simbolici. Poi le parabole, al-cune delle quali in comune con i Sinottici, altre proprie originali ed af-fascinanti. Ma soprattutto arricchisce la sua narrazione con il "mirabi-le" divino.

Che altro sono, infatti, se non i thaumàsia toù Theoù la serie impres-sionante delle sue narrazioni? Nell'Evangelo dell'Infanzia narra di Giuseppe e dei suoi 3 sogni divini (1,20-21; 2,13; 2,19); dei Magi stra-nieri lontani e discreti (2,12), con la Stella. Narra il mirabile in alcune parabole "proprie" solo di lui: la zizania (13,24-30.36-43), il tesoro na-scosto e la perla preziosa (13,44-46), la rete efficace (13,47-50), le 10 Vergini (25,1-12), il Giudizio finale (25,31-46). Mostra Gesù sovrana-mente sulle acque (14,22-23). E Pietro che trova nel pesce lo statere per il tributo al tempio (17,24-27). Da speciale enfasi all'ingresso mes-sianico di Gesù in Gerusalemme (21,1-11). E fa risaltare la Venuta del Figlio dell'uomo, alla fine dei tempi, come la Folgore, e con "il Segno" suo, la Croce fiammeggiante (24,27 e 29). Narra solo lui della morte di Giuda (27,1-10; ma cf. anche Luca in At 1,16-20), come profeticamente annunciata). Fa intervenire, sia pure invano, la moglie di Piiate che sogna di Gesù come il Giusto (27,19). Alla Morte del Signore pone una teofania: il velo del tempio squarciato (27,5la), il terremoto (v. 51b), i misteriosi resuscitati (vv. 52-53). E una teofania alla Resurrezione: il terremoto (28,2a), l'Angelo della Luce (28,2b-3).

Nell'annuncio che Matteo vuole dare dell'Evangelo unico del Si-gnore, occorre distinguere quanto di specifico egli sa apportarvi, e quanto invece ha in comune, e perfino in "discordia concordante" con gli altri due Sinottici, con Giovanni, con Paolo, con il resto del N.T. Identità di visuali, ovviamente, ha anzitutto con Marco e Luca. Special-mente su Cristo, posto nella discrezione richiesta dal Mistero divino, ed insieme additato nella sconvolgente rivelazione della sua maestà sovra-na; poi sul Regno di Dio, Regno dei cieli ossia del Padre, fattosi stori-camente presente agli uomini in Cristo e nello Spirito Santo, e tuttavia ancora misteriosamente atteso e venturo; poi sull'uomo, visto nella du-

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plice realtà inscindibile, ossia come è, povero, avvilito, disperato, pec-catore, e come deve essere secondo la Condiscendenza divina da una parte, e la Grazia divina irresistibile dall'altra. E questa rende vana la questione se Cristo — e qui, l'Evangelo e i 4 Evangeli — non predichi ed esiga pretese impossibili da realizzare per ciascun uomo, oppure, se non consigli queste pretese, lasciando d'altra parte l'uomo in una mora-le di circostanza, oggi diremmo "borghese", terra terra, senza slanci verso l'Alto.

Certo, occorre tenere sempre bene presente tutto quello, ed è il più, che Matteo nel suo Evangelo ha in comune con Marco e Luca ed i loro Evangeli, ed anche con Giovanni benché sotto tutt' altra visuale; si rimanda a quanto si dirà tra poco degli altri Evangelisti. Per i quattro Evangeli si rinvia al magnifico testo di S. Ireneo, presentato sopra. Come avverte questo grande tra i Padri, noi abbiamo avuto un Dono "tetramorfo", di quattro forme, i 4 Evangeli, non da fondere in un'u-nica narrazione, poiché l'unico Evangelo quale Dono indicibile dello Spirito Santo ci giunge così, e solo così, con tutto il complemento del resto del N.T.

Ed in questo, occorre anche essere avvisati nel vedere quanto Mat-teo del materiale esistente ed a sua disposizione riordina e sistema, sce-glie come originale (rispetto a Luca), in una sovrana libertà verso tale materiale, ed insieme in un immenso rispetto verso le "parole ed azio-ni" del Signore. Libertà e rispetto che indicano una fede viva, da comu-nicare, con la base certa che è la Storia del Signore e l'annuncio di Lui, in consonanza all'annuncio profetico dell'A.T.

Anche Luca e Marco si rifanno incessantemente all'A.T. Tuttavia Matteo inserisce nelle citazioni dell'A.T., che tipologicamente scandi-scono la sua narrazione, le ed. "formule di adempimento" esplicite, al-meno 12 volte: 1,22-23 (suIs 7,14); 2,15 (su Os 11,1); 2,17-18 (su Ger 31,15); 2,23 (incerta: Num 6,1-21, o Is 11,1, o Is 53,2); 3,3 (su Is 40,3-5); 4,14-16 (suIs 8,23; 9,1); 8,17 (suIs 53,4); 12,17-21 (suIs 42,1-4); 13,14-15 (su Is 6,9-10); 21,4-5 (su Is 62,11; Zac 9,9); 26,55-56 (su te-sto incerto); 27,9-10 (su Ger 32,6-9; Zac 11,12-13).

In 28 capitoli Matteo cita la Scrittura oltre 130 volte, di cui almeno circa 43 volte con riferimento esplicito; e del resto tutto il suo tessuto narrativo è filigranato di riferimenti all'A.T., sia con allusioni, sia con utilizzazioni verbali (frasi, termini).

Tipica difficoltà qui è trovare il testo da cui Matteo desume le ci-tazioni. È probabile che qui noi moderni — come avviene infinite volte quando leggiamo i Padri — dobbiamo rinunciare al nostro mo-do di citare il testo biblico, con le virgolette ed il numero del capito lo e del versetto. Gli antichi, e così Matteo, citavano per lo più a memoria, rimandavano alla Scritura come totalità, e se indicavano

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un versetto, per lo più lo facevano a memoria, intendendo quasi sempre coinvolgere l'ascoltatore a prendere atto anche del contesto naturale del brano citato. Ora, Matteo usa in enorme prevalenza il testo greco dei Settanta (= LXX), oppure altre versioni greche a noi non note. Alcun poche volte cita anche da un testo ebraico, anche esso non noto a noi, nel senso che non è l'attuale "testo masoretico" (che ancora non esisteva), né l'antichissima redazione da cui proviene la LXX. Di qui alcune difficoltà di individuazione, benché non d'interpretazione.

Letterariamente Matteo consegna molto materiale, di alta suggesti-vità, nei suoi grandi "discorsi", tra i più estesi dei 4 Evangeli. La critica moderna annota che essi sono tipici, ossia sono unità in quadri compiuti, e sono unità sistematiche di pensiero. È descrizione fervida di vita, e Vita del Signore, che in Matteo si fa una calma riflessione, dove si ri-porta molto per sistemare di più. Matteo dunque da una teologia, evi-dente nelle parti redazionali (quanto di proprio fa da cornice al materiale narrativo preesistente); un annuncio che si fa catechesi più ristretta ai discepoli, l'esigenza della fede che porta alla vita di perfezione richie-sta dal Signore, la vita nascente della futura Comunità, centrata sulla preghiera, l'elemosina, il digiuno, le opere della carità; una polemica non fine a se stessa ma per scuotere le anime. Nei "discorsi" di Matteo, tutto questo è percepibile a prima vista.

I "discorsi" di Matteo sono 5 + 1 . Essi sono distinti non solo per la compattezza del parlato del Signore, ma anche per la formula finale medesima, che li identifica, e che suona circa così: "Quando Gesù ebbe terminati questi lógoi, discorsi"; essa si trova 5 volte: in 7,28-29; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1, rispettivamente per i discorsi "della montagna", "di missione", "ecclesiastico", "di parabole", "escatologico". Alcuni critici dunque limitano a 5 tali complessi. Tuttavia l'intero cap. 23, che co-mincia così: "Allora Gesù parlò alle folle ed ai discepoli", e si estende per ben 39 versetti, è un vero "discorso", che va annoverato come il 6° a pieno titolo.

Che Matteo ponga questi "discorsi" come suo tratto tipico, si evince dallo schema generale (cf. sopra), anche perché li alterna a sezioni nar-rative ed a sezioni di "segni" prodigiosi operati. Interessante allora è seguire chi Gesù interpella con queste parole così bene strutturate. Quello "della montagna" si rivolge alla "folla" non differenziata; quello "di missione" invece ai "Dodici", ma si intende rivolto a tutti i "di-scepoli" fedeli; quello "di parabole", che qui sono 7, di nuovo alla fol-la, come tipico mezzo di comunicazione dei Misteri del Regno dei cie-li; quello "ecclesiastico" di nuovo ai "discepoli" più vicini, che "si ac-costano a Lui"; stessi destinatali e stesso "accostarsi a Lui" in quello "escatologico".

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Due di tali "discorsi" si possono chiamare "della crisi", quello "ec-clesiastico", quando, fallito il ministero del Signore che tentava di rac-cogliere molti missionari del Regno, si avvia alla "salita a Gerusalem-me" dove deve compiersi comunque il Disegno divino; e quello "esca-tologico", quando tale Disegno ormai ha un nome: la Croce, la terrifi-cante "crisi", il giudizio contro il peccato che porta la Grazia.

Per riprendere il bellissimo tratto comune ai Padri, si può applicare all'annuncio complessivo di Matteo ed al suo significato permanente per noi, che "quanto l'A.T. profetizzò nello Spirito di Dio, quanto Cristo annunciò, operò ed attuò nello Spirito Santo, quanto gli Apo-stoli del Signore predicarono ed operarono nel medesimo Spirito, quanto le Chiese di Dio fedelmente si trasmisero e ci trasmisero, sotto la guida dello Spirito del Signore, quanto i Martiri testimoniarono con la loro vita spinti dallo Spirito Santo", tutto questo è l'Evangelo di Matteo.

Matteo dunque tramanda i "detti e fatti" del Signore, e la sua rifles-sione sul Signore, due contenuti ottimamente riferiti ed articolati in un unico contenitore. Talvolta, come in Giovanni anche se molto meno, è altresì difficile distinguere quanto il Signore disse ed operò da quanto Matteo pone di sua riflessione. Ma questo non costituisce una diffi-coltà. La reale difficoltà, per noi, in questa breve presentazione, è siste-mare a nostra volta quanto in Matteo è organico ed esemplarmente re-datto. Così noi possiamo solo restringere il dettato ed alcuni tratti mag-giori, sempre nella raccomandazione che essi servano solo per rilegge-re con qualche frutto l'intero Evangelo, che deve essere assiduamente percorso in tutti i sensi come arando senza tregua un campo infinita-mente fecondo di frutti.

a) Dio, Dio PadreCome Ebreo, e come discepolo del Signore, Matteo ha uno straordi-

nario senso della divina trascendenza, riferita anzitutto al Signore, il Dio Vivente, rivelatosi come il Padre di Gesù Cristo.

Già i nomi divini servono a Matteo per dare il senso reale della Maestà divina: Dio, il Dio Vivente, il Padre, con varie apposizioni, il Nome, l'Altissimo, i Cieli, il Regno dei cieli. Oppure attribuzioni divi-ne, come YEudokia, il sovrano Compiacimento, o YExousia, l'infinita Potestà o Autorità. Al modo semitico comune all'A.T. ed al N.T., Mat-teo ricorre anche a circonlocuzioni per evitare di nominare il Nome di-vino; e così usa il "passivo della Divinità", come "beati gli afflitti, poi-ché saranno consolati (da Dio)" (5,4); oppure allusioni più ampie, co-me "temete piuttosto Colui che (solo) può perdere anima e corpo nella gehenna" (10,28); oppure "il Re che fece le nozze al Figlio suo", "il Convitante alle nozze" (22,2-3).

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Illuminante tuttavia è qui l'uso dell'appellativo "Padre", insistito con variazioni decine di volte, ed in relazione sia a Cristo, sia ai disce-poli. Vale la pena farne una rassegna numerica:

a) Padre di Cristo, con il semplice appellativo di "Padre", che è la versione déìV'Abbà'! aramaico, propriamente "Papa!", indicante unarelazione del tutto singolare: 11,26.27 (2 volte), nella preghiera;24,36.41; 26,29.39.42.53; 28,19;

- "Padre mio": 11,27; 20,23; 25,34;- "Padre, Signore del cielo e della terra": 11,25;- "Padre mio il quale (vive) nei deli": 5,16; 7,21; 10,32.33; 12,50;

15,13; 16,17; 18,10.14.19.35;- "il Padre di Lui" (= il Figlio dell'uomo)': 16,27;

b) Padre dei discepoli, e anche degli uomini:- "il Padre vostro celeste": 5,48; 6,14.26.32;- "Dio Padre vostro": 6,8;- "il Padre di essi" (dei giusti): 13,43;- "Padre nostro": 6,9;- "il Padre tuo": 6,4.6 (2 volte). 18 (2 volte);- "il Padre vostro": 6,9; 10,20.29; 23,9;- "il Padre vostro il quale (vive) nei deli": 5,45; 6,1; 7,11.

La rassegna andrà completata con gli altri Evangeli, e poi con l'inte-ro N.T.

Ma come l'intero N.T., anche Matteo presenta anzitutto il Padre co-me Padre unicamente di Cristo, e Centro di tutto il N.T. Qui si può ri-leggere il paolino Efes 1,3. E questo non solo per le parole esplicite del Padre: "Questi è il Figlio mio, 'il Diletto' !", ripetute al Battesimo ed alla Trasfigurazione (3,17; 17,5; cf. i Sinottici; e il lucano-paolino At 13,33, che cita il Sai 2,7); parole identiche anche nella profezia di Mt 2,15 (Os 11,1) ormai adempiuta. Ma anche per una serie di fatti. La re-lazione unica tra il Padre ed il "il Figlio" è connotata in 11,5-26, dove Gesù proclama che "tutto è stato donato dal Padre a lui" (v. 27); ripeti-zione dopo la Resurrezione (28,18). Nell'Unico Diletto ormai realmente il Padre è "il Dio-con-noi" (1,23). Nel Figlio ha riposto dall'eternità la sua Eudokia, il Compiacimento per l'opera che vede svolta in totalità (Battesimo; e 12,18). Solo al Figlio Unico ha donato tutta la sua divina Exousia (7,29; e 10,1, trasmessa ai discepoli, la medesima; 9,8, di ri-mettere divinamente i peccati), da portare al mondo (28,18).

Così realmente avviene la piena rivelazione, progressiva e culmi-nante, del Figlio, il quale come Uomo vero viene per intero dallo Spiri-to Santo, lo Spirito del Padre e suo (1,19.20), in quel modo insieme

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simmetrico ed asimmetrico già annotato dai Padri orientali, quando si esprimono sull'indicibile Mistero dell'Incarnazione con formule come: "Nato dalla Madre, la Semprevergine Madre di Dio Maria, senza padre — e generato dal Padre in eterno, ponendo su Lui lo Spirito, senza ma-dre". Ora, se la Nascita nel tempo fu senza opera di uomo, non fu senza l'Opera del Padre, mentre, qui sta l'asimmetria stupenda, Colui che su Maria inviò lo Spirito suo, è il Medesimo che sul Figlio pone in eterno la sua stessa Vita, lo Spirito Santo.

Con questo, Matteo vuole indicare che realmente il Figlio è il Dio Unico ed Infinito con il Padre e nel Padre, nella formulazione biblica è il Kyrios, "il Signore", traduzione dello JHVH dell'A.T., Unico Kyrios con il Padre e nel Padre, Unico Kyrios che è anche il Padre.

Come annotano gli esegeti più avvertiti (Béda Rigaux), il Padre se-condo Matteo "fa testamento in favore del Figlio" (cf. qui anche la teo-logia di Ebrei), un Testamento unico in due fasi, i "Due Testamenti", nel loro successivo e totale svolgimento. E queste due fasi divine sono annotate da Matteo: come A.T. nelle continue citazioni con il loro adempimento (vedi sopra); e come N.T. nella stessa redazione che Mat-teo ha preparato. Lo Spirito di Dio ha parlato nell'A.T. del Figlio (cf. qui 22,43), il Figlio parla nello Spirito Santo nel N.T. (cf. globalmente l'investitura messianica dello Spirito Santo al Battesimo). E il Padre fa un unico invio del Figlio per tutto questo (10,40; 15,24), di necessità dunque conferendogli la sua Exousia divina, lo Spirito Santo (cf. l'in-segnamento e le opere di Cristo "con autorità").

Il Padre dunque è il Centro essenziale della predicazione e delle opere del Figlio, come in Giovanni. Perciò non è lecito parlare di "cri-stocentrismo", stanca formula abusata, a meno che non si spieghi che Cristo è per noi il Centro dove Egli ci fa trovare il Padre, formando con il Padre nello Spirito Santo l'Unico Centro della vita nostra.

Riprendendo la formula biblica, tante volte ripetuta dai Padri, e da noi sempre ripresa qui, "lo Spirito donato dal Padre, solo Lui rivela il Figlio — il Figlio nello Spirito e partendo da se stesso, rivela il Padre, e solo Lui rivela il Padre — e nello Spirito il Figlio solo riporta al Pa-dre". Così il Figlio rivela il Padre: come "il Padre il quale (vive) nei deli", ossia l'inaccessibile se non si passa per il Figlio; e solo il Figlio può operare questo (11,27), di sua sovrana volontà. Il Padre è "il Regno dei cieli", al quale occorre andare finalmente.

Però un'insistenza particolare è posta sulla Volontà del Padre. Anzi-tutto nelle parole di Cristo si parla solo di "Volontà del Padre", non "di Dio" (6,10; 12,50; 8,14). Ed anzitutto solo il Figlio, efilialmente — co-me "il Figlio", nel rapporto unico e speciale con "il Padre" — "fa la Volontà" del Padre nello Spirito battesimale. È battezzato affinchè se-condo questa Volontà "si faccia la Giustizia per intero" (3,15). Tutta la

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TAVOLA 7 - La santa Hypapantè - Santuario urbano di Maria SS.ma Odighitria, Piana degli Albanesi; di Alfonso Caccese, a. 1986.

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TAVOLA 8 - V Euaggelismósalla Vergine - Porte regali dell'iconostasi della Parrocchia di S. Nicolo di Mira, Mezzojuso; di Kostas Zoubelos, sec. 20°.

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sua esistenza umana è posta sotto questo segno. Nella Tentazione ini-ziale fa questa Volontà con l'aiuto dello Spirito. Predica la medesima nel "discorso della montagna" e nel ministero messianico, per la potenza dello Spirito. La "fa" attraverso la Passione e la Morte "nello Spirito" battesimale, "secondo le Scritture", che sono il Disegno della Volontà del Padre. Si rivela qui come "il Servo" regale profetico sacerdotale sofferente (16,21; 17,22), venuto solo "per servire" (20,28), Servo che è anche il Giudice "unto" dallo Spirito posto su lui (12,18-21, suIs 42,1-4, il "1° carme del Servo del Signore"; cf. At 10,38-43).

Questa Volontà infinita è la Croce, che si presenta anche sotto i sim-boli reali del "battesimo da esserne battezzato e coppa da essere bevu-ta", e Lui solo (20,22), per la redenzione di tutti; deve essere pregata affinchè "sia fatta" sempre; ed anzitutto al momento supremo del Get-semani (26,42); e poi ancora sempre, "come nel cielo e sulla terra" (6,10), dai discepoli, assimilati a Lui anche e soprattutto in questo.

E pregando ed operando, questa Volontà "si fa" in modo tipico, os-sia "santificando il Nome" del Padre (6,9), dunque portando all'adora-zione tutti gli uomini che "vedono le opere buone" dei discepoli di Cri-sto (5,16). Si fa accelerando così "il Regno che viene" (6,10), anzi ve-nuto in potenza nel Figlio e nello Spirito Santo (12,28), e che tuttavia resta ancora la mèta da raggiungere. Si fa accettando di rimettere i de-biti (6,12) e di essere liberati dal Maligno (6,13; errata la versione uffi-ciale "liberaci dal male", non ultima causa per cui si è andato perdendo il senso e la sensibilità della vita cristiana come grande lotta contro il Nemico del Regno).

Nel "fare la Volontà del Padre", e invitando i discepoli ad imitarlo, dunque, Gesù, che parte dalla propria esperienza intcriore, totale, in specie visibile nella sua preghiera, sa di unire "il Cielo e la terra". E questo già in sé, come Figlio, e poi nei discepoli.

E ai medesimi discepoli quale modello può affidare, vitalizzante e trasformante, se non il "Padre suo" con lo Spirito? Il Padre infatti è "l'Unico Buono" (19,17; cf. anche la parabola degli operai, 20,15); "l'Unico Maestro, l'Unico Padre" (23,8-9). Ecco allora il supremo di tutti i mandati di Cristo:

"Siate dunque voi perfetticome il Padre vostro nei cieli è Perfetto" (5,48),

con rimando esplicito a Lev 19,2 (e cf. Le 6,36, parallelo).E questa perfezione donata dallo Spirito, ma anche acquisita colla-

borando con lo Spirito del Padre, svolta per intero come programma vi-tale nella carità del Figlio, porta ad essere "i benedetti del Padre", quel-li che solo possiederanno "il Regno preparato dalla fondazione del mondo", Regno preparato dal Padre ("passivo della Divinità", 25,33).

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

b) Lo Spirito SantoUna dottrina completa sullo Spirito di Dio, Spirito Santo, si può

avere solo dalla rilettura completa del N.T., che rivisiti accuratamente l'A.T. Ogni autore biblico ne ha uno stralcio, più o meno per noi soddi-sfacente. Tale stralcio occorre intanto percorrere.

Matteo nomina lo Spirito Santo con questo nome circa 15 volte. Ma se si esplicita anche la dottrina che proviene da episodi e dunque da ter-mini altri, come la Nube della Gloria alla Trasfigurazione, YExousia battesimale, VEudokia battesimale, la Dynamis, Potenza divina, si ha una documentazione più ampia e completa.

Le citazioni esplicite intanto sono queste:

- 1,18: lo Spirito è unica causa per cui Maria Vergine concepisce e partorisce il Figlio di Dio;

- 1,20: asserzione ripetuta;- 3,11 : promesso da Giovanni Battista con il Fuoco nel futuro battesimo;- 3,16: battezza Egli stesso Cristo Signore;- 4,1: e lo "conduce" (anàgó) nel deserto per esservi tentato dal demo-

nio;- 5,3: sono "beati i poveri nello Spirito";- 10,20: parla nei discepoli quando sarà il momento decisivo;- 12,18: come promesso, sta permanentemente sul Servo (Is 42,1);- 12,28: Cristo, che espelle i demoni con lo Spirito Santo, è il Regno di

Dio venuto;- 12,31: chi bestemmia contro lo Spirito non avrà remissione;- 12,32: né se si parla contro lo Spirito;- 22,43: lo Spirito ispira le Scritture;- 26,41: nello spirito umano di Gesù, lo Spirito è pronto, la sua carne

(ancora) no;- 27,50: morendo, Gesù emette il suo spirito umano, ma da rileggere

"nello Spirito", secondo l'evoluzione del concetto che va da Marco e Luca fino al classico Gv 19,30; e cf. Ebr 9,14;

- 28,19: il mandato ultimo è "battezzare nel Nome (Unico, che è) delPadre e del Figlio e dello Spirito Santo".

Ora queste citazioni, numericamente scarse sempre secondo le nostre esigenze massimaliste, se ordinate dovutamente assumono un aspetto di immensa importanza, in una completezza scarna ma sin-golare:

a) lo Spirito in sé:-12,18: viene da Dio solo;-22,43: ispira le Scritture, l'A.T.;-28,19: dunque è Dio in sé;

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CAP. 8 - L'EVANGELOTETRAMORFO - MATTEO

- 12,31:'Lui si può bestemmiare, ma allora si compie il peccato supremo, il più terrificante contro Dio;

- 12,32: e di Lui si può parlare male, identico peccato;

b) su Cristo:- 1,18.20: fin dalla Nascita verginale, che unico causa;- 3,16: battezza Cristo, e ne determina la Vita storica sotto l'unico im

pulso messianico potente;- 12,18: e su Cristo riposa stabilmente perché Cristo è il Servo di Dio

- 4,1 : lo conduce alla tentazione ma con potenza sovrana vittoriosa;- 12,28: nello Spirito Cristo espelle i demoni e "viene" come Regno in

sieme con lo Spirito;- 26,41: lo assiste al Getsemani;- 27,50: e sulla Croce, al momento supremo;

e) sui discepoli di Cristo:- 5,3: se accettano di farsi fare poveri da Dio "nello Spirito";- 3,11: poiché li battezza con il Fuoco divino;- 28,19: e li battezza con il Padre e con il Figlio, adeguando perfetta

mente la loro vita con Cristo battezzato, vedi sopra;- 10,20: assiste per sempre i discepoli, anzi parlerà Egli in essi.

Se a questo ora si aggiungono gli altri nomi ed attributi, come si è anticipato, la documentazione sarà più piena:- come Exousia divina: 7,29; 9,6.8; 10,1, da leggere con 12,28 (2 vol

te); 21,23-27 (ma Cristo ne tace!); 28,18;- come Dynamis, la Potenza divina operante: 11,20.21.23; 13.54.58;

22,29; 24,30; 26,24;- con il verbo dynamai, "potere", operare con potenza: 9,28; 26,53.61;

27,42;- come Nube della Gloria divina alla Trasfigurazione: 17,5;- come Gloria divina: 24,30;- come Fuoco divino trasformante: 3,11;- come Dito di Dio onnipotente (cf. la Dynamis): 12,28;- come Regno di Dio insieme con Cristo: 12,28;- come Eudokia divina, per la quale e nella quale tutto si compie:

11,26;- come Oggetto del verbo eudokéò: 3,17; 12,28 (cf. Is42,1); 17,5.

Si ha così una mèsse oltremodo ricca, se si sa dovutamente esplicita-re e adeguatamente applicare alla Vita di Cristo e nostra.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

c) II Signore Gesù CristoSe Cristo nella visibilità della sua carne e nella concretezza delle sue

parole ha vissuto sulla terra con gli uomini ed ha manifestto in se stesso con lo Spirito la venuta del Regno del Padre, ha tuttavia rivendicato, oltre l'ovvio nome "Gesù" con cui era conosciuto, solo l'appellativo misterioso ed umile di "Figlio dell'uomo". Tutti gli altri nomi e titoli ed attributi gli derivano o dalle auguste Parole del Padre al Battesimo ed alla Trasfigurazione, o dalla riflessione dei discepoli dopo la Resurre-zione, che lungamente meditano sulle sue azioni, che sono funzioni, e sulle sue parole, che causano altre funzioni.

Matteo non si distacca affatto dall'immensa e divina tradizione del-l'A.T., riletta al suo tempo. Egli leggeva, come tutti i discepoli del Si-gnore — ed il Signore stesso — la Scrittura, assiduamente, e nella ve-nerazione per la Parola vivente l'assimilava e la celebrava nelle forme consuete al suo popolo. Tuttavia tenendo presente l'intero A.T. e la Vi-ta del Signore con cui aveva vissuto, applica a queste due quantità l'"esegesi apostolica", l'ermeneutica di adempimento alla quale il Si-gnore stesso aveva iniziato i suoi discepoli.

Per questo egli cita in continuazione l'A.T. E insiste con la "formula di adempimento" caratteristica (anche se non esclusiva di lui, ma co-mune anche al resto del N.T.), che è vera citazione "cristologica", con-sistente in 4 elementi compattamente consignificanti:

a) "questo avvenne affinchè": indica la finalizzazione della realizzazione delle Scritture in Cristo ed ogni episodio della sua Vita;

b) "fosse adempiuto (da Dio)", formula della Divinità, dove l'adempimento si concentra esclusivamente in Cristo venuto ed operante;

e) "quanto il Signore parlò", dove la Promessa dell'A.T. deve intendersi come "Parola", dabàr ebraico, lógos-rhèma greco, da intendere sempre come "Parola-Fatto", "parole e gesta" dell'A.T., efficaci di un primo incoativo adempimento;

d) "mediante i Profeti", i quali sono anche le persone concrete degli autori dell'A.T., ma da intendere anche e sempre come "i Profeti", termine tecnico per indicare l'intera Scrittura dell'A.T. in quanto tripartizione: "Legge, Profeti anteriori, Profeti posteriori".

Se si tiene presente tutto questo, sarà più facile comprendere come una teologia debba passare anzitutto per i nomi ed i titoli.

Ora, il primo ed ovvio nome che viene in questione in Matteo, come in tutto il N.T., è "Gesù", ebr. Jéhó-sù'àh, "il Signore (JHVH) (è) Sal-

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

a", nome che è altamente significativo. In Matteo questo ricorre circa 150 volte. Esso è spiegato anche dall'Angelo di Dio in 1,21. Indi-ca la provenienza dal Signore Dio Salvatore, e la predeterminazione che il Padre pone neh"Uomo-Gesù.

Dalle parole e dalle opere di Gesù i discepoli comprendono che egli è anche "il Cristo", ebr. Màsiàh, gr. Christós, l'Unto di Dio, il Re mes-sianico, il Messia divino d'Israele.

Misterioso, e sfuggente ancora ad ogni sicura etimologia, è il titolo di "Nazareno" (2,23; 26,71); esso probabilmente deve corrispondere alla potenza della sua predicazione profetica (una radice nsr per indicare la soavità dell'usignolo?).

La realtà della sua esistenza umana è singolarmente punteggiata da chi è stupito dal suo insegnamento, "questa sapienza ed i miracoli", da-to che è solo "il figlio del carpentiere, e sua madre si chiama Maria" (13,54-55). Certo, i contemporanei non potevano ancora intuire tutto il Disegno divino portato da questo Gesù "figlio di Giuseppe e figlio di Maria", ed anzitutto la sua nascita verginale (1,18-25).

Questa medesima realtà è ribadita da Matteo proprio all'inizio della sua narrazione, nel titolo dell'Evangelo, quando annuncia che si tratta del "Libro della generazione di Gesù Cristo figlio di David figlio d'A-bramo" (1,1), dunque non solo Uomo vero, ma anzitutto di stirpe re-gale messianica, la quale se risale fino a David si fonda tuttavia sul ca-postipite Abramo, la cui Discendenza sarà benedetta, in cui si benedi-ranno tutti i popoli (Gen 12,1-3). L'insistenza però sarà sul Figlio di David, in una serie di episodi di guarigione, in cui è palese che il Fi -glio di David, il Re messianico, sta riprendendo possesso del Regno finora impedito dal Maligno e dal Male che si riversano sugli uomini. Tale titolo appunto viene in questione quando guarisce i due ciechi, che così lo invocano (9,27); quando guarisce la figlia della Siro-feni-cia che era indemoniata, è ancora così invocato (15,22); quando guari-sce l'indemoniato, la folla si chiede se non sia il Figlio di David atteso (12,23; nei vv. 25-37 sta la lunga spiegazione del Regno di Dio e del regno di satana); ancora è invocato così quando guarisce i due ciechi di Gerico (20,30). In due episodi invece il Figlio di David è confessa-to; apertamente nel primo, l'ingresso messianico in Gerusalemme, pa-rola riportata solo da Matteo (21,9), e proclamante la messianità e la regalità di Gesù, la sua presa di possesso della "Città del Grande Re" (5,35, solo Matteo; citazione di Sai 47,3); il tratto sarà poi esplicitato da Le 19,28-40, nel medesimo contesto. Nel secondo episodio i farisei ammettono che "il Cristo è il Figlio di David" (22,42), pur senza rico-noscerlo di Gesù.

Titoli che riconoscono la perfetta e coerente Umanità di Gesù sono quelli che annotano i principali momenti della sua vita storica, e sui

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

quali sarà da diffondersi nel commento alle pericope evangeliche a suo luogo: il Battezzato, il Trasfigurato, il Crocifisso, il Risorto, il Glorificato.

Ma questo Uomo è portatore dei titoli e delle funzioni che gli spetta-no in quanto via via dimostra la sua Divinità partecipata e indivisa che è quella di Dio Padre.

Proprio in apertura, l'Angelo di Dio annuncia a Giuseppe che Colui che dallo Spirito Santo nasce e che è concepito dalla Vergine (Is 7,14), è YImmanuel, "Con-noi-Dio" (1,23), realizzando così la profezia in to-talità (Is 7,14). Questo è annotato nel grandioso, e che di solito passa quasi inosservato, presentarsi di Gesù nella vita pubblica: "Allora si presentò, paraginetaì, Gesù dalla Galilea sul Giordano" (3,13), da in-tendere come l'apparizione regale del Sovrano che viene a visitare i suoi. Sovrano già annunciato dal suo Precursore e Profeta Giovanni, il quale lo chiama "Colui-che-viene", ho Erchómenos (3,11), verbo signi-ficante sempre la "Venuta" divina; e questi è anche "il Più-Forte" (3,11), il Dio Forte, annunciato da Isaia nel contesto del "Libretto del-1'lmmanuer(Is 6,1 - 12,6), in crescendo (9,6). È il "Con-noi-Dio" che nel versetto ultimo dell'Evangelo promette l'assistenza indefettibile ai suoi (28,20).

Il titolo divino che più deve impressionare è quello che per almeno 40 volte Matteo attribuisce a Gesù: ho Kyrios, "il Signore", che tradu-ce, come si è detto, il Nome divino JHVH dell'A.T. (cf. Es 3,14). Esso significa la pienezza della Divinità trascendente, sempre presente ai suoi, in specie nella preghiera (18,20), ma poi per sempre (28,20). Poi-ché è il Signore dei viventi, non dei morti (8,21-22), che ama solo chi fa la Volontà del Padre suo (7,21-22), ed allora sarà Giudice severo (21,31-46). È il Signore atteso ansiosamente, nella notte che sembra non passare mai, come "lo Sposo", invocato ed amato (25,1-13), per il quale occorre vegliare con tensione e nel dolore, perché non si sa quan-do verrà (24,42), e verrà rovinosamente (24,39). È il Signore che già intuiscono i semplici, i sofferenti, che "Lo adorano" (8,2, il lebbroso).

Il Signore Gesù è Uno con il Padre. È il "Figlio di Dio". I critici qui annotano che è un tratto che risale alla primitiva tradizione, poi a lungo esplicitato nel N.T. da Paolo, all'epistola agli Ebrei, da Giovanni, dall'Apocalisse. Insieme con Kyrios è certo il titolo della riflessione apostolica che vuole essere il più definitivo, denso, affermativo e com-pleto del N.T. Già daMt 28,19, la formula triadica battesimale, il N.T. e la Tradizione delle Chiese sapranno trarre sconfinati sviluppi.

Tale titolo ha affermazioni in testi difficili, e dunque certamente au-tentici. Anzitutto, nelle affermazioni, insieme dovute ma a malincuore, del demonio, che riconosce così la sua disfatta (4,3.6 [2 volte]; 8,29). E poi nelle 3 contestazioni lanciate sotto la Croce, contro uno che riven-

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - MATTEO

dicherebbe di essere "il Figlio di Dio" (27,40.43.44); dietro cui- sta il massimo problema del N.T., ossia come "il Figlio di Dio" abbia subito questa morte infamante. Ma altro testo assai difficile, per avere un'idea adeguata del titolo, è quello dell'ignoranza della "fine del mondo" da parte del Figlio di Dio (24,36), da tenere fermo, anche se nei secoli si prestò a devastanti interpretazioni di tipo ariano. Esso contrasta visibil-mente con il testo maggiore sul Figlio, 11,27, in cui egli afferma che tutto gli fu donato, che a lui spetta la conoscenza perfetta del Padre.

E proprio il "Giubilo messianico" o "comma giovanneo", come amano chiamarlo i critici, il grandioso testo di 11,25-30, è la massima affermazione sui rapporti tra il Figlio di Dio ed il Padre. Testo che si colora di apporti sapienziali ed apocalittici, oggetto di profonde analisi moderne, esso fa risaltare l'appartenenza del Figlio alla sfera divina esclusiva del Padre. La sua "esperienza" totale (epiginóskó) del Padre appare come reciproca ed unica, escludente. Tuttavia il Figlio di Dio la comunica sovranamente a chi vuole, come il Mistero del divino Com-piacimento (Eudokia), a chi accetta di farsi fare piccolo da Dio. Se si legge con il parallelo Le 10,21-24 (con le sue diversità), appare nel rap-porto tra il Figlio ed il Padre anche lo Spirito, ed allora la serie può es-sere ricomposta così: lo Spirito stesso agisce nella conoscenza del Fi-glio, e rivela il Figlio; il Figlio rivela il Padre e nello Spirito, Dono del Padre, riporta al Padre.

Occorre poi tenere sempre presenti le proclamazioni del Padre sul Figlio al Battesimo ed alla Trasfigurazione. Alla Trasfigurazione va an-notato che la Gloria del Padre, che è lo Spirito, assume il Figlio di Dio, che ne è l'oggetto immediato, degno di adorazione.

Per due volte torna la formulazione dell'A.T: "Figlio del Dio Vi-vente" (16,16; 26,63), che rimanda a testi come Sai 41,3; 83,3, e che sarà ripresa frequentemente nel N.T. (Giovanni; Paolo; Atti).

Accanto a questo viene il titolo di "Figlio dell'uomo", circa 30 volte in Matteo. Esso viene da Dan 7,13-14, ed indica una serie di realtà pa-radossali già in Ezechiele. Si tratta di "uno come un figlio di uomo", ossia un semplice Uomo, che tuttavia "proveniente da Dio viene a Dio". Così indica anzitutto la missione terrena secondo il Disegno divi-no (24,30-31), con una Venuta finale (24,44). È la missione del Servo, già percepibile tra le righe di Daniele che rilegge Is 52,13-53,12. Ma Servo (12,18) regale, sacerdotale, profetico, oltre che sofferente, per cui come Sovrano è Signore del sabato (13,8), è il Seminatore del gra-no buono (13,37), rimette i peccati come solo Dio può fare (9,6). E fi-nalmente, terminata la missione, nella sua sovraesaltazione riporta al-l'Altissimo Dio i figli suoi dispersi (25,31-46), e concederà ad essi il "trono", di "conregnare" (espressione paolina) con Dio stesso (19,28). Questo titolo, assai arduo da spiegare, ben presto, fu abbandonato dalle

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

grandi sintesi dogmatiche della Chiesa, ma oggi riconosciamo che que-sto non fu un bene.

Come il Signore che viene, Gesù è anche "lo Sposo" (9,15), quello per cui il Padre prepara il Convito delle nozze (22,1-14), e che viene per queste divine nozze (25,1-13). Anche tale titolo, molto vivace nella riflessione del N.T. e della Tradizione antica, è quasi scomparso dalla nostra visuale teologica.

Finalmente, per concludere questo abbozzo, due titoli risaltanti sono "il Re della Gloria", quella eterna, adesso rivelatasi, e "il Giudice so-vrano" (cf. 25,31-34). Con questi, la riflessione della Chiesa del N.T. ricorda tra l'altro che Cristo ha in mano la decisione iniziale, centrale e finale del destino degli uomini, secondo il divino Disegno che solo lui nello Spirito Santo è venuto ad attuare.

Ma quest'ultima nota apre, in conclusione, su un aspetto tipico di Matteo; ancora una volta va detto, non esclusivo di Matteo, però che egli cerca di accentuare dovunque, con maggiore frequenza rispetto agli altri evangelisti: la sovrana, divina, irraggiungibile maestà di Cri-sto. Ora, proprio Matteo la sottolinea con mezzi letterari evidenti, anzi-tutto (ed in questo lo raggiunge in qualche modo anche Luca), ometten-do rispetto a Marco alcuni lati che non ritiene confacenti con la presen-tazione che vuole dare; e dove può concentra anche la narrazione. Così tace di alcuni lati umani di Gesù, che indicano i suoi limiti creaturali, come quando domanda per sapere; non dice che è "carpentiere", ma "figlio del carpentiere" (13,55); soprattutto però omette i moti umani e psicologici del tutto naturali di Gesù, come gli scatti d'ira, la sua scon-volgente paura della morte (al Getsemani), la sua eccessiva compassio-ne, la sua meraviglia davanti a reazioni dei presenti, come la fede insor-gente. E neppure riporta l'accusa dei suoi più stretti parenti, che per di-fenderlo dal pericolo di accuse che possono portarlo a giudizio di morte, affermano: "Uscì fuori di sé" (cf. Me 3,21), è pazzo.

Matteo insiste insomma sull'augusta maestà di Gesù, già dai nomi e dai titoli insistiti (vedi qui sopra), in modo che da questo tuttavia nulla sia tolto alla maestà del Padre; ma anzi assimila a lui del tutto ed in tutto il Figlio. E così anzitutto le Scritture parlano di Cristo. E dunque solo Lui sulla base delle Scritture annuncia il Disegno divino, che è la Volontà paterna da Lui realizzata nella pienezza. Egli annuncia il prin-cipio, il centro, la fine, come solo Dio può fare (cf. qui Is 41-45: solo Dio conosce il futuro!). E Cristo come "il Signore" garantisce insieme la Legge santa come immutabile, e quale Profeta divino, attraverso l'insegnamento, le parabole, i discorsi, e non da lontano, ma sempre da vicino, personalmente, ne mostra la realizzazione, quale Disegno irre-movibile del Padre, e dona ai discepoli la missione di proseguire questa realizzazione.

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L'accostamento totale al Padre è sottolineato anche dal relativo di-stacco di Cristo da tutto e da tutti, abilmente redatto da Matteo. Questo Gesù che si fa presente sempre a tutti, in specie ai più necessitosi, il medesimo però non è comparabile con nessuno. Neppure con le princi-pali figure profetiche dell'A.T. Tantomeno con le autorità del suo tem-po, sia romane sia ebraiche. Né con le folle anonime, e neppure con i discepoli nominati e scelti. Egli si pone come Colui che solo conosce il Padre, e che solo il Padre conosce, e conosce solo Lui; e solo Lui fa co-noscere il Padre a chi vuole.

Così è il Centro a cui tutto deve riferirsi: a) già da Bambino si de-ve andare a Lui, ed è adorato dai Magi (2,11); b) riceve la prostrazio-ne adorante come Kyrios (ben 13 volte); e) è la Meta, occorre sem-pre andare a lui, "accostarsi a lui"; Paolo dirà poi "aderire a Lui" (cf. 1 Cor 6,17).

La sua Potenza divina è tale, è così "facile", che opera con la sola parola, e miracoli grandi, "subito", per cui "guarisce tutti". La sua è an-che Parola di comando, alla quale solo si obbedisce, da parte di tutti, in cielo come in terra, e dunque dagli stessi demoni, e dalle folle, e dai guariti da Lui, e tanto più dai veri discepoli suoi.

E se gli si deve obbedire, allora si seguiranno i suoi itinerari anche senza sapere il loro esito. La sola Guida allora è Lui. Quanto è da fare dipende da Lui. Questo è visibile in specie in relazione ai discepoli, dei quali dispone. Dispone della loro vita in totalità, di quanto crederanno, opereranno, spereranno, essi e la loro comunità. Quando li invia, tra-smette ad essi la sua missione stessa, quella ricevuta in esclusiva dal Padre; e mentre vanno li dirige, si rende ad essi sempre presente (18,20; 28,20, testi esemplari). E li accompagna anche con l'esortazio-ne divina suprema, che risuonava già nell'A.T.: vigilare sempre per la Venuta divina.

La sovranità della Parola divina di Cristo è percepibile nella formula ripetuta, anch'essa dell'A.T.: "Io parlo a voi". È Dio che parla. Che fonda sulle Scritture e sulla loro attuazione tutta la sua dottrina: insom-ma, sul Disegno eterno del Padre e su quanto Egli ritiene di spiegare ai discepoli per la vita eterna. La sua dottrina deve così essere letta in una triplice visuale, molto difficile da essere afferrata come globalità e non come tripolarità sconnessa: a) è la più forte radicalizzazione della Scrit-tura, dunque della Legge e dei Profeti, e della fede d'Israele nel suo Si-gnore; b) per cui davanti alla lettura corrente della Scrittura, e la sua messa in pratica umana, porta insieme continuità, rottura e superamen-to infinito; e) sempre nella disposizione continua di accettare, contem-plare ed attuare la Volontà del Padre.

Di necessità, allora, Cristo è il centro dell'Economia del Padre, e lo è sempre con lo Spirito. In un parola, è il Centro del Regno del Padre.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

II Regno è perciò il nucleo forse più consistente dell'insegnamento di Cristo, di cui è l'Annunciatore unico. Lo fa con la parola, ed i 6 di-scorsi sono grandi sintesi ed affreschi del Regno. Lo fa con i prodigi, e questi sono operazioni progressive di presa di possesso del Regno medesimo annunciato. Del Regno da la legislazione finale, che è la Legge santa ed insieme tutto il suo insegnamento, tutto il suo operare, per cui porta anche "tutta la Giustizia" del Regno, da Lui adempiuta e comunicata.

Il Regno che annuncia e realizza è perciò "presenza". Esso sta già qui, con Lui e con lo Spirito (12,28), tuttavia deve essere conquistato (1.1,12). È dono portato dal Figlio dell'uomo (16,28), ma con il Giudi-zio (24,42-44; 25,31-46). Dunque deve essere atteso e desiderato (24,43-44). Postula drammaticamente una decisione, quella della con-versione del cuore irreversibile alla Volontà divina, una decisione che porta ad essere "perfetti come il Padre" (5,48). Cristo mostra alcune fa-si della realizzazione del Regno. Ne parla con "autorità" divina, espelle i demoni e compie i miracoli, rimette i peccati che lo ostacolano, forma il nucleo nuovo per il Regno, i discepoli, li assiste fino alla fine (28,20), da ad essi la medesima "autorità" sui demoni (10,7). Ne prean-nuncia i "segni" potenti, gli eventi cosmici dove brillerà il "Segno del Figlio dell'uomo" che viene nella gloria del Regno (24,27.30).

E tuttavia, si chiedevano i contemporanei, come noi, che cosa è il "Regno di Dio"? È il Regno dei cieli, metafora che indica che è Dio stesso, come lo è Cristo con lo Spirito (12,28). È una Realtà, che gode dell'annuncio dell'"Evangelo del Regno", indicata come "il Mistero del Regno", ormai rivelato. È eterno, ed ha un inizio nella Comunità terrena dei discepoli. È trascendente, ma unisce il Cielo alla terra. È promesso per la "fine", e invece sta anche "qui". È come un "Luogo" dove "si entra", ma dopo la vittoria sulle potenze avverse.

Infatti si oppone alle "tenebre" (8,12; 22,13; 25,30), il regno di sa-tana (13,36-43); alla perdizione finale (7,13), alla gehenna che di-struggerà la persona umana che rigetta Dio (10,28; e 5,22.29; 18,9), per cui si ha un "fuoco distruttore" (3,10.12; 5,22; 7,19; 13,42,50; 18,8.9; 5,41).

E tuttavia in positivo è il Luogo in cui si entra (5,20; 7,21; 18,3), in cui si giunge (16,28), da cui si è esclusi eventualmente (8,12; 13,42.50). È la Realtà finale infinita (24,3.27.37.39). Che dona la rige-nerazione ultima, lapaliggenesia (19,28), la divinizzazione (13,43). Il Regno è la Vita divina (7,14, difficile da conseguire; 18,9; 19,17; 25,46), donata come ricompensa ai "benedetti" (6,4; 16,27). È filiazio-ne divina donata (5,5-9). È il Trono della Gloria divina (19,28; 25,31). È la stessa Gioia divina del Signore eterno (25,21.23). È il Convito gioioso eterno (8,11-12). Come conseguimento, è paragonabile alla

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messe (13,24-30), al tesoro (13,44-45), alla perla preziosa (13,46), alla rete per la pesca abbondante (13,47-48).

Di esso è sempre possibile il conseguimento, poiché fu preparato per questo (25,34); deve essere cercato (6,33), ma per farsene trovare; si eredita pienamente (25,34), poiché appartiene ai "beati" (5,3.10).

Il particolare rilievo che Matteo conferisce ai miracoli del Signore è visibile da diversi fatti. Anzitutto li pone secondo il Disegno divino immutabile, e perciò in continuità con l'A.T.; poi, secondo la legge del N.T., anche in rottura con l'A.T., per la Persona da cui provengono; e quindi in superamento per il medesimo motivo, data anche la potenza in cui avvengono, la misericordia che li produce e l'era nuova da cui sono caratterizzati. Poi letterariamente Matteo per dare più accentua-zione, redige una sezione, i cap. 8-9, in cui raggnippa i miracoli, an-che se altri ne pone lungo la narrazione. E dovutamente cita anche le Scritture, come in 8,17; 12,15-21, rifacendosi al Servo (Is 42,1-4), mentre in 11,2-6 rimanda adIs 28,18-19; 35,5-6; 61,1, il Re messianico con lo Spirito, testi messianici di alto valore. Matteo sottolinea anche la divina misericordia che si esplica nei miracoli (9,10-13a, che ri-manda alla Misericordia esigita da Os 6,6), e riversata adesso sui pec-catori (v. 13b). Poiché tale misericordia è richiesta a Lui, e da Lui con-cessa (15,22; 20,30-31), e con essa invia i discepoli (9,36), conferendo ad essi la sua exousia, la potestà divina in vista del donare la miseri-cordia (10,1.7-8).

Qui si origina la sua missione, su questo essa si adempie. I discepoli ne sono gli incaricati. Si comprendono allora i 3 comandi del Signore in Mt 28,19-20: a) adempiere l'Israele di Dio, che sarà un "popolo di popoli", tutte "nazioni discepole" del "Signore Unico"; b) battezzare le nazioni, per conferire ad esse l'inizio e la vita nella Triade santa; e) in-segnare continuamente tali nazioni, in una formazione perenne che ha come oggetto l'unica Dottrina del Signore, il quale si farà presente ai discepoli "fino alla fine".

d) I discepoli del Signore, uomini nuoviII Signore solo, sovranamente, "fa" i discepoli "suoi". Non si è suoi

discepoli come per una scelta della vita che parta da impulsi umani. Il discepolato del Signore è vocazione divina, e donata gratuitamente, mai meritabile.

Per questo il Signore si manifesta a tutti, ed è compreso dai pochi, quale Sapienza divina discesa in mezzo agli uomini (cf. 11,25-30), il Profeta divino potente in parole ed in opere, il Servo sacerdotale profe-tico regale sofferente (12,15b-21, che rimanda ad Is 42,1-4, con lo Spi-rito di Dio), il Maestro ultimo, definitivo (5,17-48). Si presenta con la "sua" missione divina, ricevuta solo dal Padre nello Spirito Santo (al

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Battesimo), "confermata" nella Trasfigurazione, dichiarata nella piena luce della Resurrezione (28,19).

Egli passa per la Galilea, per città e villaggi, per la Giudea, giunge a Gerusalemme, dovunque chiamando e raccogliendo discepoli. Non si tratta di masse imponenti. Anzi la scelta dei discepoli è severa e seletti-va. Anzitutto sceglie solo Ebrei, fatto da tenere sempre presente. Poi-ché noi, rigettando ogni forma insidiosa di antisemitismo che è sempre satanico, demoniaco e diabolico, dobbiamo accettare "una certa ebrai-cità di Gesù", della Chiesa, dei discepoli, dell'Economia della salvezza. Dobbiamo in sostanza diventare Ebrei. Sentirci l'Israele di Dio, l'unico popolo santo del Dio Vivente.

La scelta singolare cade solo su "Dodici" (10,1-4), anche se è am-pliata poi su tanti altri, e deve essere estesa quindi a "tutte le nazioni" pagane (28,19-20). Vocazione e scelta hanno come scopo formale quel "conoscere il Padre ed il Figlio" (11,27), che è dono di grazia esclusiva (ivi). Poiché il Signore attrae: "Venite a Me" (11,28), promette il Riposo divino (11,28; cf. Gen 2,2-3; e la teologia dell'epistola agli Ebrei). Ma prima impone il giogo suo, la Legge dello Spirito Santo, giogo soave e leggero, gioioso, in questo facendo degli uomini peccatori i suoi discepoli: "Imparate da Me — mite ed umile di cuore" (11,29). È ri-chiesta dunque per il discepolo l'obbedienza totale e volontaria, docile, volenterosa, che in una parola paolina chiamiamo "adesione" alla Per-sona del Signore; cf. il kollàomai nuziale di 1 Cor 6,17, "incollarsi" a Lui per diventare con Lui l'unico Spirito, frase grave di conseguenze straordinarie.

Ed ecco allora, mossi dal Padre (16,17), che dona per questo il suo Spirito, i discepoli "si accostano" al Signore. Il verbo prosérchomai, avvicinarsi, accostarsi, è normale in sé, ma l'uso che ne fa Matteo è ti-pico, talvolta accompagnato dalla genuflessione e dall'adorazione. Es-so indica che Cristo è Centro e Meta a cui si deve andare per ricevere la Rivelazione, in pratica del Padre nella sua Persona "mite ed umile di cuore". Così non sarà male tenere sotto l'occhio la maggior parte dei passi dove Matteo usa questo prosérchomai, "accostarsi" al Signore. Anzitutto e soprattutto è applicato ai discepoli; e qui anzitutto e soprat-tutto, va sottolineato con forza, è applicato alle Discepole fedeli, le pri-me che ricevano la Rivelazione totale, la Resurrezione. Se il Risorto si fa ad esse incontro, ecco le Discepole "accostarsi, abbracciarne i piedi, adorarlo" (28,9). Di qui si concepisce agevolmente quale sia l'ingresso del discepolo al Signore, in tante occasioni della sua Vita: prima del "discorso della montagna" (5,1); quando chiedono iUsenso della para-bola del Seme della Parola (13,10); e della parabola della zizania (13,36); quando gli chiedono di licenziare le folle, invece di dare ad es-se il pane, e Gesù moltiplica pani e pesci (14,15); quando i discepoli ri-

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feriscono dello scandalo delle parole del Signore sulla "tradizione (umana) degli anziani" (15,12); quando lo pregano di fare'qualche cosa per la Sira-fenicia che li importuna (15,23), quando gli chiedono per-ché non poterono guarire il ragazzo lunatico (17,19); quando gli chie-dono "chi sia il più grande nel Regno dei deli" (18,1); quando Pietro gli chiede quante volte sarà da perdonare il fratello che pecca (18,20); quando i discepoli gli fanno ammirare il tempio prima del "discorso escatologico" (24,1) e gli chiedono quando avverranno gli eventi finali (24,3); quando gli chiedono dove prepareranno la Pasqua (26,17).

Dentro questa spessa visitazione resa al Signore, si pone 1'"acco-starsi" di chi vede lui come il Centro nuovo della loro vita. E così con il medesimo prosérchesthai, vengono a lui i malati (8,2, il lebbroso; 8,5, il centurione per il suo servo; 9,20 l'emorroissa; 9,28, i due cie-chi; 15,30, la grande folla di malati; 17,14, il padre del ragazzo luna-tico; 21,14, i due ciechi di Gerico). Chi chiede una guarigione, che si tramuta invece in resurrezione, Giairo, padre della fanciulla (9,18). Chi lo ama e gli rende omaggio singolare ungendolo (26,7, la donna di Betania). Chi lo considera, anche se a torto, il Centro da cui scatu-riranno "favori" di governo (20,20, la madre dei figli di Zebedeo). E chi lo considera il possibile Centro, se le condizioni non saranno gra-vose (19,16, il giovane ricco). E finalmente chi lo interroga se sia "Colui-che-viene", e quale sia la sua disciplina, i discepoli del Batti-sta (9,14; 14,12).

Si accostano a Lui anche lo scriba desideroso di seguirlo (8,19), e farisei, sacerdoti e sadducei, per provarne dottrina e prassi (15,1; 16,1; 19,3; 21,23; 22,23)..

Se i testi del prosérchomai si pongono in ordine, risulta anche que-sto quadro sconvolgente:

a) accostamento primario:

- le Discepole fedeli; posto alla fine dell'Evangelo: 28,9;

- gli Angeli del Signore; posto all'inizio dell'Evangelo: 4,11;

b) accostamento dei discepoli: al centro, tutti i testi adesso citati;

e) accostamento di morte:- Giuda e le folle armate al Getsemani; posto alla fine dell'Evangelo:

26,49-50; per "fine" intendiamo qui la Conclusione divina, la Crocee la Resurrezione;

- il demonio tentatore mortale; posto all'inizio dell'Evangelo: 4,3; os-sia prima della Manifestazione pubblica, cf. vv. 12-17.

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Si ha la figura letteraria dell'"inclusione". Tutto l'Evangelo dunque narra come tema importante 1'"accostarsi" a Gesù, termine del discepo-lato positivo, o negativo.

Nel discepolato positivo si trova la richiesta esigente di credere in modo previo ad ogni altra azione. Credere in lui. Il "credere" biblico, così diverso dal nostro sciatto linguaggio moderno, non è primariamen-te intellettuale, ossia adesione a punti dottrinali, i quali sono importanti, ma conseguenti. È invece l'adesione con l'intera vita al Signore. È an-zitutto e soprattutto un atto d'amore che apre la via al resto. È previo: dunque è proprio dei "piccoli" del Regno (18,6); non sta "dopo" qual-che "segno" miracoloso, come discendere dalla Croce (27,42). È l'ade-sione d'amore che significa la rinuncia totale, quella che tutti noi abbia-mo operato irreversibilmente al santo e divino battesimo, la apótaxis, la "rinuncia" totale, che porta appunto alla syntaxis, 1'"adesione" totale, il formare "Uno" con Cristo, "unico Spirito con Cristo", completerà Pao-lo (1 Cor 6,17).

Ed ecco l'"Uno" in azione. Chi si è accostato, chi aderì a Cristo, do-vrà porsi alla sua "sequela", seguirlo sempre, proprio come Lui segue i suoi discepoli (18,19-20; 28,20), fino all'eternità. Lo seguirà come uni-co Signore nella povertà (5,3; 6,19-21; 19,23-26), quella concreta, os-sia dovuta alla rinuncia ed alla spoliazione di se stessi la più totale, non "spirituale" se con questo termine si vuole oppore al "materiale", ma materiale-spirituale, donata dallo Spirito Santo (19,21; 23,8-12). Lo se-guirà nelle afflizioni, le thlipseis, fino a quella megàlè, grande, finale (5,4 e 24,21). Lo seguirà nelle sofferenze non cercate, ma, se venute, tuttavia dovutamente accettate per amore di lui, il Servo sofferente (10,17-22; 16,24-26). Lo seguirà nella fame e nella sete della sola Giu-stizia del Regno (5,6). Lo seguirà nell'umiltà (18,1-4) e nella connessa mitezza (5,5) e nell'acquisita misericordia come quella del Padre e di Cristo stesso (5,7). Lo seguirà nella purezza del cuore, il che significa avere già rimossi tutti i diaframmi impuri, creaturali, che impediscono l'adesione al Signore e l'amore ai fratelli, fino a contemplare il Volto divino (5,8). Lo seguirà nella "pace da operare" per sé e per il prossi-mo, termine così tragicamente difficile, come si vede ancora oggi e for-se sempre (5,9). Lo seguirà nelle persecuzioni inevitabili se si segue sul serio il Signore, il Perseguitato divino (5,10-11). Lo seguirà nella ca-rità, l'amore gratuito totale (25,31-46). Lo seguirà accettando di essere finalmente il sale della terra e la luce del mondo, ossia la carità operante che porta chi contempla le "opere buone" a dare gloria al Padre (5,13-16). Lo seguirà al solo scopo di servire, non essere serviti, poiché Egli è venuto per questo, il Servo, il Diacono (20,24-28).

Lo seguirà insomma, e senza parlare ma anzi benedicendo, fino sulla Croce santa, vivificante e divinizzante, immortale e vittoriosa

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(16,24), la vera divina Gloria in mezzo al mondo miserabile e perduto.Ma nulla di tutto questo è solo sforzo umano. Questo sforzo è di certo

richiesto e necessario, però solo come risposta alla sovreffluenza della Grazia, che è scelta, vocazione, formazione. Cristo forma i suoi discepoli, da uomini vecchi, sulla china del non-senso della loro vita, fino a farne uomini nuovi, trasformati. E li forma a) con la Parola tra-sformante; vedi qui i 6 discorsi grandi, ma poi tutte le parole del Signo-re; b) con l'esempio singolare ed efficace, per divenire come Egli li vuole, "come Me" (11,29); e) con la Grazia dello Spirito Santo e della sua continua Presenza (ancora 18,19-20 e 28,20).

Il Dono indicibile di questa Grazia che viene dal Padre esige deci-sioni drammatiche da parte dei discepoli. Ed anzitutto la più difficile, la "conversione del cuore", il mutare irreversibilmente mentalità, desideri, scopi, azioni. La prima parola del Signore nella sua Manifestazione che è la sua Vita pubblica è precisamente anche l'ultima: "Convertitevi, poiché si avvicinò-sta qui il Regno dei Cieli!" (4,17). È la prima parola del suo "Programma battesimale" ricevuto con lo Spirito della conver-sione.

La seconda decisione è egualmente difficile: l'ascolto-obbedienza e la fede. Ascolto obbedienziale alla Parola sua, alla Rivelazione sua, che ha come contenuto il Padre (ancora 11,25-30), confortato dal fatto cla-moroso che solo i discepoli "vedono ed ascoltano", non i Profeti e Giu-sti dell'A.T. (13,16-17; cf. qui anche il parallelo Ebr 11,39-40; testi a loro volta drammatici, dolorosi, la Rivelazione è donata non a chi la predicò, l'attese e la praticò come Promessa, ma a chi non la merita e come gratuito Adempimento). E però si può ascoltare e obbedire e pra-ticare solo nell'umiltà, che è riconoscere sempre la propria miseria nel-la condizione attuale, ed il Tutto che viene dall'Alto.

Solo così agisce l'altra esigenza richiesta, l'obbedienza a Cristo non come ad un "messaggio" nuovo qualsiasi, ridicolmente "fatto cadere beli'e pronto dal cielo" nella lingua praticata per essere comprensibile (così altre religioni). Ma obbedienza a Cristo in quanto, e solo in quanto obbedisce filialmente alla Volontà del Padre. Entrare in tale nuova obbedienza è mutare dunque la propria volontà umana, e finalmente ri-volgerla al Bene che Cristo desidera per tutti gli uomini. Paolo poi co-dificherà questo in un tratto lapidario analogo: "Fratelli, diletti miei, come sempre obbediste... con timore e tremore operate la salvezza di voi stessi: Dio infatti è l'Operante in voi sia il volere sia l'operare in vi-sta àe\YEudokicT, il suo divino Compiacimento salvifico (FU 2,12-13).

Obbedire, volere, operare, va riconosciuto solo così: "tutto è Gra-zia". Il che significa un'altra esigenza durissima, la rinuncia alla pro-pria giustificazione, alle opere che si crede che ci rendano accetti a Dio. Ancora molti di noi credono a questo, nonostante Paolo, nonostante l'i-

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nizialmente giusta querela di M. Luterò. Le opere possono solo seguire la grazia della fede, e la fede si dimostrerà accettata nelle opere che debbono seguirla.

A questo punto viene l'esigenza divina che i discepoli rompano con la vecchia via. Se serve, anche con la propria cultura in quanto possa impedire la conversione, l'adesione, la fede, l'obbedienza a Cristo. Si tratta spesso solo di cultura in quanto "tradizioni degli anziani", che so-no solo umane, guardano l'egoismo ed il benessere, sono ritualizzate ed imprigionano. Matteo qui è molto meno violento di Marco (Mt 15,1-20 e Me 7,1-23). In realtà Cristo porta la sola Tradizione che salvi, quella divina, quella che si origina direttamente dal Padre, è mediata solo dal Figlio, si svolge solo nell'opera dello Spirito Santo. Quella che è donata tutta e per intero ai discepoli, affinchè questi tutta e per intero, e dunque in fedeltà, la portino al mondo. È un discorso che vale oggi in modo acuto, soprattutto se si tratta di "culture" e di "adattamento" sen-za avere nessun senso dell'Evangelo di Cristo.

Viene ancora un'esigenza dura. Lasciarsi rigenerare. Matteo parla di paliggenesia, rigenerazione finale (19,28), che consiste nella resur-rezione beata, nella gloria. Ma che è "rigenerazione" senza contem-plare prima quella di Cristo stesso? La cui "genealogia" apre come una cascata di eventi, come l'irruzione del Divino nell'umano la nar-razione della sua Vita storica (1,1-17), la cui Nascita verginale, avve-nuta nel Silenzio divino del Mistero adorato (1,18-25), apre uno spi-raglio nel Disegno eterno del Padre: che il Figlio stesso è il Generato-in-eterno ma "rigenerato" nel tempo: morto, risorto, glorificato per l'eternità. Perciò per i discepoli, in vista della medesima sorte del lo-ro Signore, occorre lasciarsi fare "piccoli", come Lui, l'unico "Picco-lo" del Regno (18,1-5; 19,13-15). Questi sono i "perfetti come il Pa-dre" (5,48; cf. il parallelo Le 6,36: "misericordiosi come il Padre mio"). Quelli che imitano il Padre nel Figlio, ma anche il Figlio nel Padre, vivendo tutte le "beatitudini" (5,3-12). E se il Padre è cono-sciuto solo dal Figlio, e da quanti il Figlio ammette a tale divinizzante conoscenza (11,27), si crea una relazione di parentela autentica con Dio, talmente totale, che i discepoli dovranno diventare "madri e fra-telli" di Gesù, operando la Volontà d'amore del Padre (12,49-50). Trasformazione irreversibile, se altre mai.

Decisione immediata, globale, da prendere urgentemente, è quella di lasciarsi fare per così dire "recettori" del Mistero del Regno in quanto fu donato dal Padre (13,11). H Regno è da portare ai fratelli, alle nazio-ni pagane. Esso, "visto ed ascoltato" (13,16-17), soprattutto però "com-preso" fino in fondo (13,51), ha necessità che i discepoli diventino "scribi sapienti del Regno" stesso (13,52), recettori anche del Tesoro di Dio nascosto ma adesso rivelato e donato, il quale per grande parte

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consiste anche nell'intelligenza e nella comprensione del Regno divi-namente donata — il Signore dona la Rivelazione e la sua interpreta-zione (cf. qui l'anticipo di Dan 2,19-23; e l'attuazione di Gv 14,16-17; 14,27; 15,26-27; 16,7-11; 16,13-15, le 5 volte simboliche (5 = totalità) della promessa dello Spirito Rivelatore e Docente). La quale dovrà es-sere vissuta, ed essenzialmente operata nel mondo.

La decisione finale da prendere è di essere sempre vigilanti. Vigilare attivo, operante febbrilmente, "come se il Signore non venisse (cf. il suo "tardare" di 25,5) e come se il Signore venisse subito (cf. il suo "venire come un ladro", improvvisamente, 24,42-44). I servi vigilanti-operanti, che cercarono sempre il Signore senza mai trovarlo perché non possono farlo da soli, debbono tuttavia "lasciarsi trovare" da Lui, e durante le loro "opere della Giustizia" divina; tale è anche la teologia del Cantico dei Cantici.

Questi discepoli, questi "uomini nuovi" in senso reale, sono gli inca-ricati e portatori della missione del Signore. Meglio, incaricati di porta-re il Signore con la "sua" missione. Questo fatto si può contemplare da diverse visuali. Ma se noi qui abbiamo sempre privilegiato la "lettura Omega" come la più completa e vera, allora possiamo vedere come la missione si svolga in due fasi:

a) a tutte le nazioni: 28,9, testo fondamentale, con richiamo plurimoa Dan 7,13-14, il Figlio dell'uomo; a Is 42,1-4, il Servo con lo Spirito; Me 16,15 usa la formula analoga "l'Evangelo a tutta la creazione". Alle nazioni immerse nella tenebra del paganesimo, i discepoliporteranno:- l'insegnamento del Signore, l'Evangelo annunciato, spiegato, che

"farà discepole" le nazioni (verbo mathètéuó), discepole del Signore:28,19a;

- il battesimo nel Nome Unico della Triade Santa: 28,19b;- l'ulteriore insegnamento, "custodire quanto comandò" il Risorto:

28,20a; e questa è l'obbedienza finale, salvifica;- tutto questo è garantito dalla Presenza divina del Signore: 28,20b;

b) ad Israele solo: 10,5-6, da tramutare in popolo discepolo-missionario dell'Evangelo. Si ritrovano i medesimi elementi:- l'insegnamento del Signore: 9,35, l'Evangelo del Regno, spiegato dai

discepoli come i "profeti" da ricevere: 10,8;- la preparazione al Regno, il cui inizio è il battesimo: 10,8;- l'ulteriore insegnamento: nella pace dell'ascolto: 10,13.24-27.32.40-

42; e questa è l'obbedienza all'Evangelo ricevuto;- tutto questo è garantito dalla presenza divina del Signore, che adesso

si esplica come la medesima sua Exousia, l'Autorità divina che copre

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con potenza tutto l'annuncio e tutte le opere dei discepoli se sono se-condo il Signore: 9,35 e 10,1.

Lasciamo per ultima la nota dominante, quella che dopo la scelta e la vocazione e la formazione sigilla finalmente tutti i veri discepoli del Signore, proprio a partire dal loro nucleo, i Dodici, adesso Pietro e i Dieci per la scomparsa di Giuda: l'annuncio della Resurrezione che essi debbono continuamente ricevere dalle Donne fedeli: Mt 28,7; cf. Me 16,7; Le 24,8-10.

A tale Annuncio, l'unico Annuncio della salvezza avvenuta nella di-vina pienezza, sono destinati tutti i discepoli del Signore. Mediante es-si, e per sempre, tutte le nazioni della terra.

e) "La m/tf Ekklèsia"La Comunità apostolica è un problema moderno che in Matteo è an-

siosamente ricercato e discusso. Si parla facilmente di "Chiesa di Mat-teo". In sostanza, e semplificando forse troppo, si ipotizza —poiché solo di ipotesi letterarie e storielle si tratta, scavando nell'archeologia dei testi — che la "Chiesa della storia" in Matteo non sia ormai più raggiungibile; si può solo parlare di "Chiesa della fede", analogamente all'irraggiungibile "Gesù della storia", che ci fa contentare del "Cristo della fede". La fede crea modelli della sua rappresentazione. Matteo non poteva fare altrimenti; egli doveva dare la "sua" visione di Chiesa, con sovrana trascuranza degli aspetti più drasticamente storici, e risa-lenti al Signore. Per procedere a questo, alcuni, armati di ingegno e di molta fantasia, e non curandosi delle enormi contraddizioni di ogni ul-tima teoria rispetto a tutte le altre, debbono postulare previamente che anzitutto Matteo riflette lo stato di una comunità tardiva, comunque ol-tre l'anno 80; è una comunità in crisi generazionale di fede e di fervi-dità di opere; Matteo, scegliendo il materiale della tradizione di cui di-sponeva, avrebbe scelto solo quello che avrebbe fatto risaltare tale sta-dio tardivo, e tale stato di malessere; la sua narrazione sarebbe quindi il prodotto delle necessità "catechetiche" della comunità del suo tempo. Alcuni tratti poi sarebbero in aperta polemica con Luca, e molto di più con Paolo.

Lasciamo le ipotesi alla loro elaborazione tuttora corrente, e forse destinata a non raggiungere nessun vero risultato utile, come confessa-no molti studiosi, che denunciano la crisi della critica moderna. Restia-mo ai dati sicuri.

Matteo dal suo scritto mostra l'inizio (anni 30-40) di una Comunità fondata dal Signore, certamente di origine ebraica, che si usa definire "giudeo-cristiana" in quanto ormai aderente per sempre al suo Fondato-re. Diversi semitismi di Matteo sono riscontrabili, come si è detto; an-

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che diversi palestinismi, come lo splendido "le pecore perdute della casa d'Israele" di 10,6. Una Comunità tuttavia dalla spinta conferita dal Signore stesso, che ormai è proiettata verso l'apertura universale, "tutte le nazioni" (28,19). Questo la pone in una situazione drammatica verso Israele. Essa ha coscienza che esista un "unico Israele di Dio", quello dell'unico Disegno divino. Dunque con l'Israele storico forma una sin-golare unità, che è frattura insieme, ed è superamento. Esiste un'unica lettura dell'A.T., un unico culto al Dio Vivente, un'unica speranza di salvezza. Eppure la lettura avviene in due modi, quello dei rabbini e quello degli Apostoli, quest'ultimo mediato ormai per sempre da Cristo Risorto. L'unico culto è dato da due assemblee dell'unico popolo, tra di esse divise ed ormai alienate. La salvezza avviene o nell'attesa senza nessuna certezza di evento finale, oppure nella radicale certezza storica che l'Evento si è ormai verificato per sempre in Cristo Risorto con lo Spirito Santo. Si deve allora parlare in Matteo, precisamente come in Paolo, di sostanziale continuità, rottura e superamento con Israele; non farà altrimenti l'epistola agli Ebrei; né Giovanni.

Questa Comunità appare dunque in Matteo già bene ordinata, ed ori-ginariamente stabilita dal Signore. Essa è dotata di strutture portanti ed inderogabili, i Dodici e gli altri discepoli della prima vocazione. Tale struttura è valida perché è portatrice della medesima exousia, l'autorità di cui gode il Signore stesso per averla ricevuta dal Padre, e che è il Dono battesimale dello Spirito Santo disceso su Cristo. La Comunità si mostra in atto mentre esercita un primo ministero insieme con il Signo-re: annuncio del Regno, guarigioni, profezia ed esorcismi contro il de-monio (7,22).

Alla Comunità sono raccomandate le esigenze e le decisioni di cui si è trattato poco sopra. Essa sarà autentica ed efficiente solo se re-sterà sempre unita nel Nome del suo Signore (18,19), il quale promet-te di stare per sempre con essa (18,20). Dovranno essere evitati per-ciò egoismi, primati, scandali, divisioni; e l'accidia, che è la demoti-vazione della spinta della fede. Si dovrà parlare solo l'essenziale, ed invece si dovrà molto agire per il Regno. Del Regno si dovrà custodire la Legge santa, ma riletta con la Giustizia divina del tutto adempiuta dal Signore (3,15, testo battesimale fondamentale), in un tutto in-scindibile (5,17-20).

Dal "discorso ecclesiastico", che è una piccola "somma" che deter-mina il comportamento in atto della Comunità, appare che il più grande sarà come un bambino (18,1-5); e tutti debbono essere bambini, anche i meno perfetti ed i meno dotati; un bambino è la pecora perduta che de-ve essere ritrovata (18,12-14). Nessun discepolo deve scandalizzare questi bambini che sono la Comunità, non dovrà disprezzarli (18,6-11). I mezzi sovrani sono dati dal potere che la Comunità ha e possiede da

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Cristo (9,6). È potere disciplinare e penitenziale, correttivo in modo fraterno (18,15-17), talmente longanime che perdonerà "70 volte 7", ossia sempre (teologia simbolica), oltre ogni immaginazione moralistica (18,18.21-22), anzi in aperto paradosso nella parabola (18,23-35). La Comunità è astretta dalla medesima compatta liturgia (18,19-20), la preghiera unitiva, per cui il Signore starà con essa (18,19-20, testo tante volte richiamato finora).

E finalmente si pone come luce sfolgorante della Comunità del Si-gnore la più difficile di tutte le azioni umane, codificata nella "regola d'oro": "Questa è la Legge ed i Profeti — ossia: la Rivelazione divina definitiva —: quanto desiderate che gli uomini facciano a voi, voi fatelo ad essi" (7,12). In parole moderne, si potrà allora dire che "il bene tuo non è il bene mio, né il bene tuo è il bene mio, ma nel momento che io faccio solo il bene tuo, questo diventa anche il mio bene supremo". È il tratto "la Morte mia è la vita tua" operato dal Signore.

La Comunità ha una struttura gerarchica, che risale alla sua stessa fondazione: su Pietro e i Dodici (16,18-19; 18,18), con il potere supre-mo, espresso in formula ebraica antica, di "legare e di sciogliere" con effetto ratificato e sanzionato dal Cielo stesso. Queste parole furono e sono frutto di astiosa contestazione, e causa delle divisioni tra i cristiani. Ma nessuno ragionevolmente, se legge i testi senza pregiudizi, è di-sposto a negarne l'autenticità, la storia, la validità. Si tratta dell'umana salvezza.

f) II tempo ed il modo della salvezzaPer Matteo il problema della salvezza si pone paradossalmente così:

essa avviene già qui, sulla terra nella vita degli uomini che accettano o rigettano il Figlio di Dio; tuttavia essa è ancora da acquisire, poiché porta all'eternità, alla quale tutti gli uomini per il Disegno divino sono destinati. E deve essere acquisita in un lungo cammino, seguendo il Si-gnore, operando la sua missione, ma prima ottemperando alcune condi-zioni essenziali.

Seguire il Signore e operare la sua missione è anzitutto osservare per intero la Legge santa del Signore, con tutti i suoi comandamenti (5,18-19), ma nella perfetta giustizia (5,20), che è l'amore verso Dio e verso il prossimo (22,37-39), che condiziona "la Legge ed i Profeti" (22,40). Si giunge dunque alla salvezza solo se si è divenuti perfetti co-me il Padre (5,48, conclusione nel "discorso della montagna", e molto significante), termini che rinviano al "Siate santi poiché Io sono Santo" di Lev 19,2.

Occorre rinunciare a quanto ostacola la salvezza, verso cui si deve operare la rinuncia radicale (19,16-22, il giovane ricco, ma fattosi tri-ste). E così correre verso la carità; gli esegeti oggi rilevano che l'aspet-

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to salvifico della carità è specialmente sottolineato da Matteo. In realtà, se ne sono visti aspetti rilevanti: la "regola d'oro", il "1° comandamen-to", il "beati i misericordiosi" come lo è il Signore (5,7.9, e 11,29), il perdono illimitato che deve portare alla riconciliazione (5,21-27; 6,12.14-15; 18,23-35), il vincere sempre il male con il bene (5,38-42), l'amare i nemici per essere figli dell'Unico Padre, perfetti come Lui (5,43-48). Infine, la scena del Giudizio finale di Matteo (25,31-46) mo-stra come la carità esercitata verso il prossimo, nel quale vuole identifi-carsi lo stesso Figlio dell'uomo, il Signore glorioso, tale carità è real-mente sacramento di salvezza, che ottiene la benedizione divina e l'e-redità del Regno (25,34). Essa come si è detto più volte è Dono di Gra-zia divina preveniente, concomitante e conseguente, che deve solo non essere rifiutata per esercitare il suo effetto salvifico.

Essa è perfetta carità in azione. È un modo di vivere la Vita divina del Padre: "siate perfetti come il Padre mio!". E si attua in molti modi, tutti validi, tutti confluenti, nessuno escluso. La fede sono virtù operan-ti, le "8 beatitudini", e non facoltative, ma obbligatorie, in quanto il Pa-dre vede ed aspetta che dall'attuazione di quelle virtù tutti gli uomini vengano a dargli la gloria e siano salvati. Non si tratta di giustificare l'attivismo rovinoso che agita spesso i cristiani, bensì di far compren-dere come tutto questo "fare" su cui insiste Matteo provenga dalla con-templazione della "Legge e dei Profeti", della carità da cui "Legge e Profeti" dipendono, tratto esclusivo di Matteo. Ecco allora il "colui che osserva la Legge nei comandamenti ed insegna a farli, il Padre lo chia-merà grande nel Regno dei deli" (5,19).

Ed ecco a ripetizione l'obbligo di dare frutti (12,33-35); la condanna secca del "dire e non fare" (7,21); la parabola dei due figli, che al Padre dicono sì e no, e rispettivamente uno non lavora, e invece l'altro, reni-tente, finalmente lavora (21,28-31); ecco la parabola dei talenti (25,14-30). In ogni caso dell'"operare" per il Regno, per il Nome, Matteo in-troduce sempre la contemplazione costante della Volontà del Padre.

Ma sembra che per Matteo questo non basti a portare alla salvezza. Dall'insegnamento vivo del Signore egli, ed in questo raggiunge l'u-nanimità del N.T., che sta in unanimità con l'A.T. stesso, ordina la se-rie contemplativa delle opere da operare prima delle altre, anzi condi-zione per operare le altre verso il prossimo. Si tratta dell'elemosina (6,1-4), mezzo sovrano per porsi in comunicazione con il fratello; della preghiera (6,5-8), mezzo sovrano per porsi in comunicazione con il Padre; e del digiuno (6,16-18), mezzo sovrano per porsi in comunica-zione con se stessi, poiché dal testo si può bene derivare il senso del "digiuno" come rinuncia non solo al cibo, ma a tutto il superfluo della vita, come gli onori così avidamente ricercati da molti uomini, che ne hanno fatto tutta un'etichetta con titoli altisonanti, e così gli agi, e così

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la corsa al riconoscimento ed al successo; questo "digiuno" lascia il fedele con se stesso, lealmente, spietatamente, e lo rimette in possesso di se stesso. Nella polemica critica, che provenendo da ideologia reli-giosa non può essere serena, questi poveri versetti 16-18, replicati in 17,21 (il demonio di una specie radicale si caccia solo con preghiera e digiuno) sono oggetto di eliminazione dal testo, vera ma strana con-traffazione; non solo essi sono attestati dalla stragrande maggioranza dei codici importanti, ma da Gesù stesso fino a noi sono stata la prati-ca immutabile delle Chiese della vera Tradizione, quella che conser-vano la successione episcopale, il sacerdozio, i Misteri di istituzione divina (i 7 sacramenti).

Tale Comunità, con questa disciplina, è avviata da una situazione descritta ad una vita da proseguire. Essa è formata di uomini veri, dunque peccatori. Nessuno dei chiamati è perfetto per suo merito; se risponderà generosamente si lascerà fare perfetto collaborando. I pec-catori restano nella Comunità, che non per questo li rigetta; ecco allora la pecorella smarrita e da ritrovare con ogni sforzo in 18,12-14, e il commento del Signore: il Padre vuole che neppure uno se ne perda! Per questi peccatori, in cui noi qui oggi ci specchiamo così esatta -mente, i mezzi della salvezza sono apparecchiati in numero abbon-dante e in potenza efficace. Sono i Misteri salvifici, alcuni dei quali appena accennati: a) la Parola ascoltata che salva; b) il battesimo del Nome che salva, esemplato sul Battesimo del Signore con lo Spirito; e) la Cena del Signore (26,26-29), che dona il Giubileo dello Spirito Santo, la "remissione dei peccati"; vedi qui anche Le 4,18-19 che cita Is 61,1-10; Gv 20,19-23; d) la "penitenza", in quanto remissione dei peccati da parte di Gesù (9,1-7), che deve diventare prassi ecclesiale dei suoi discepoli (18,18; e 16,19); e) la successione nell'opera del Signore stesso, la consacrazione come la sua — al Giordano, per lo Spirito — neiroperare per il Regno, operare in modo sacerdotale re-gale profetico e nuziale, che poi si chiamerà 1'"ordine" sacro, linea tesa della Successione apostolica e della Tradizione apostolica; f) il ma-trimonio, istituzione fondamentale della vita umana, innalzata alla di-gnità infinita del Disegno divino santificante, quello per Adamo ed Eva adesso adempiuto dal Nuovo Adamo e dalla Nuova Eva (cf. 19,1-9, e la citazione di Gen 2,23-24; tratto che avrà esplicitazioni straordinarie nel N.T., in specie in Paolo); matrimonio come fatto sal-vifico, per cui il Disegno divino esige l'indissolubilità (5,31-32; 19,9), contro ogni ideologia e contro ogni sofisma di cristiani impaz-ziti. Vedi poi l'Appendice I.

E ancora: tutto questo, quando Matteo, come si è visto, pone un grande equilibrio tra la vita terrena, faticosamente da conquistarsi, e i tempi ultimi. Si deve operare per il Regno, non per la ricompensa. Ma

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la ricompensa del Padre sarà copiosa, sarà l'Eredità divina stessa. Non si opera per il Regno nel timore. Matteo qui tende a porre gli elementi che corrono verso la maggiore responsabilizzazione di ogni discepolo. Egli chiarisce che il discepolo che accetta di aderire al Signore fa parte con il Signore, ed essendo il Signore con lo Spirito "il Regno", dunque fa già parte del Regno. Così ogni opera per il Regno già qui ha in se stessa la sanzione positiva: operare è già essere ricompensato. Gli atti salvifici già sono salvezza, come gli atti della rovina già sono rovina. La fede, la speranza, la carità ormai già in se stesse hanno aperto le porte del Regno del Padre.

Grandioso come "Evangelo" di Dio, fascinoso come narrazione della Storia salvifica vissuta dal Figlio d'Abramo, Figlio di David, figlio di Maria, Figlio di Dio il Vivente, Matteo ebbe un immenso successo nella tradizione di tutte le Chiese. Più commentato del quasi relitto Marco, ed in paragone anche più di Luca e di Giovanni, esso improntò grande parte della catechesi viva della Chiesa di Dio, della sua predica-zione, della sua esortazione morale. Tutto questo resta ancora oggi, pur se il progresso e la diffusione delle scienze bibliche anche a livello dei-popolo ci fanno comprendere che Matteo si dovrà leggere con tutto il N.T., con tutto l'A.T., con tutta la Tradizione della Chiesa. Allora pro-durrà in noi, come Albero buono, il Frutto ottimo.

B. LUCA

L'autore dell'Evangelo che l'antica tradizione manoscritta fin dall'i-nizio ha posto sotto il nome di "Luca", si dichiara già in apertura di far parte non della prima generazione dei discepoli del Signore Gesù Cri-sto Risorto, ossia quelli che dall'inizio parteciparono insieme con Lui ai fatti salvifici della sua Vita storica, Lo videro ed ascoltarono di per-sona i suoi detti salvifici. Luca appartiene invece alla seconda genera-zione (per alcuni, ma non bene, alla "terza"). La quale, se cronologica-mente è successiva, tuttavia convive con la prima, le è ossequiente, "collabora" (verbo tecnico) con essa, ne diffonde l'azione, eventual-mente le succede nei luoghi dove l'Evangelo è stato predicato e dove la Comunità del Signore è stata impiantata.

1. Generalità su Luca

Luca è il discepolo caro a Paolo, che lo menziona ripetutamente (Col4,14; 2 Tim 4,11;Filem 24), se lo associa come "collaboratore" al-le fatiche apostoliche tra le nazioni pagane, e lo ammette a partecipare anche alle numerose tribolazioni dell'Apostolo. Da questa situazione

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egli ha anche derivato il suo desiderio di redigere un "Evangelo" per le medesime nazioni, le quali secondo il Disegno divino rivelato da Cristo con lo Spirito, erano da portare all'unica "Luce delle nazioni", la sola che salva in grazia della fede dono dello Spirito Santo,

Scrittore fine, elegante ed abile, anche se talvolta con qualche ca-duta di tono, Luca organizza con libertà e rara originalità il materiale che ha ricevuto largamente dalla Tradizione ecclesiale formatasi nella duplice fase, orale e scritta, e lo dichiara apertamente come sua inten-zione redazionale nel celebre, ed oggi così studiato "prologo" del suo evangelo (Le 1,1-4), reduplicato anche nell'altro prologo, quello degli Am" (1,1-2).

E già con questo Luca suscita numerosi e difficili problemi per la critica moderna, ansiosa di giungere archeologicamente agli strati pri-mitivi di ogni scritto biblico. Da una parte Luca è studiato nella "que-stione sinottica", che indaga sulla globalità dei rapporti reciproci di Matteo, Luca e Marco, con le priorità, derivazioni e dipendenze, con le connessioni ed accordi, ma anche con le autonomie e disaccordi. La questione sinottica, ormai annosa, non vede soluzioni univoche né co-me generalità, né nei singoli punti. D'altra parte, Luca è anche autore, e pochi ancora ne dubitano contro l'antica tradizione unanime e contro l'accordo generale dei critici, del libro degli Atti, che in un certo senso si pongono come la prosecuzione e l'integrazione dell'Evangelo lucano nella storia della Chiesa dei primi 30 anni.

La critica moderna intanto accerta con sicurezza che Luca ha a di-sposizione il materiale narrativo raccolto da varie "fonti", e su esso egli opera selezione, distribuzione e redazione: dalla Tradizione orale, ossia da personaggi della prima generazione ancora vivente, egli riceve molti dati; quanto a schema ed a materiale principale, dalla Tradizione orale e da quella ormai scritta dagli anni 35 d.C; riceve anche alcune "fonti", sia in comune con il solo Matteo, sia una o più fonti che possiede in proprio, ben distinguibili anche schematicamente.

Così, oltre ad alcune trasposizioni minori (forse 5), Luca spezza lo schema comune in 2 punti principali, in 6,20 - 8,3, il cosidetto "piccolo inciso", e soprattutto in 9,51 - 18,14, il "grande inciso".

Inoltre, Luca si diversifica dal materiale matteano e marciano, per diversi motivi ipotizzatali: costumi palestinesi del tempo, che sareb-bero stati meno interessanti, e forse anche poco compresi dai suoi let-tori pagani, quale la polemica sul puro e sull'impuro (Mt 15,1-20); come alcuni episodi urtanti la sensibilità dei medesimi lettori, ad esempio la guarigione della figlia della Cananea con il detto sui "ca-gnolini" (Mt 15,21-28), la guarigione del cieco di Betsaida (Me 8,22-26), la durezza dei parenti di Gesù (Me 3,20-21), la maledizione del fico (Me 11,12-14 e 20-24); come anche alcuni miracoli del Signore,

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che a pagani di continuo investiti da guaritori ciarlatani potevano sembrare in qualche modo connessi con operazioni magiche, ad esempio nell'episodio della guarigione del sordomuto con la saliva e l'espressione Effata (Me 7,31-37).

Di fronte ai doppioni, di necessità, frequenti in Marco, che deve sempre spiegare questioni ai pagani, Luca in genere non ama la ripeti-zione, come ad esempio per le due moltiplicazioni dei pani e dei pesci in Mt 14,13-21, e 15,29-39, delle quali è ritenuta solo la prima: Le 9,12-17. Al contrario, si nota facilmente che Luca, che tanto venera le Parole del Signore, non esita a riportarne i doppioni almeno in 16 casi; e così ad esempio riporta due "discorsi di missione" (Le 9,16 e 10,1-12), e due "discorsi escatologici" (Le 17,22-37 e 21,8-33, in quest'ulti-mo seguendo Mt 24,4-44).

Se schematizzato, il materiale proprio di Luca si presenta così:

- 1,1 - 2,52,1'"Evangelo dell'Infanzia del Signore"; vi sono punti singolari, ma decisivi, in accordo con l'omonimo "Evangelo dell'Infanzia" di Matteo (1,1 -2,23);

- 6,20 - 8,3, il "piccolo inciso", che tra l'altro riporta il "discorso dellapianura" (6,20-49), con il materiale essenziale del parallelo "discorsodella montagna" di Matteo (5,1 - 7,29); la guarigione del servo delcenturione romano (in comune con Matteo), la resurrezione del figliodella vedova di Nain, il "libretto di Giovanni il Battista" (in comunecon Matteo), l'unzione da parte della peccatrice perdonata (in partein comune con gli altri due Evangelisti), le Donne fedeli al seguitodel Signore;

- 9,51 - 18,14, il "grande inciso", o "sezione perea", o "salita a Gerusa-lemme" (ma allora termina in 19,27), con numerosi discorsi del Si-gnore in parabole e "catechesi" sulla formazione dei discepoli;

- 24,13-53, le apparizioni del Signore Risorto con la grande Promessadello Spirito del Padre.

Luca, come tanti autori greci classici, apre dichiarando di volere redigere un resoconto storico della Vita del Signore. Il suo "prologo" ali'Evangelo (1,1-4) è qui molto importante. E l'enunciato della si-tuazione di Luca e del suo modo di procedere. Alcuni prima di lui fu-rono "testimoni" autentici, di persona, autorizzati del Signore, e si fe-cero "servitori della Parola" (vv. 1-2); Luca decide di condurre ricer-che accurate fin dagli inizi, e di stendere così un resoconto ordinato sulla base della "tradizione" ricevuta (v. 3); egli vuole con ciò risalire al Signore stesso, meglio, alla "predicazione sul Signore", ricercando la completezza; il fine è che il destinatario dello scritto, Teofilo, riceva la consapevolezza che la "catechesi" da lui ricevuta per diventare cristiano è certa e solida (v. 4).

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V

E questo il preciso programma di uno storico. Luca perciò deve unificare le fonti di cui dispone dopo l'accurata ricerca, ed organizzare una sua cronologia ed un suo quadro geografico. La cronologia luca-na, oggi così studiata, va valutata tuttavia secondo le sue intenzioni, non secondo le esigenze storiografiche moderne. Infatti Luca si preoc-cupa apertamente di inserire i fatti ed i detti della Vita del Signore nel contesto della storia universale (le genealogie: 3,23-38), ed in quella d'Israele e relativamente quindi in quella dell'impero romano (2,1-2; 3,1-2); si preoccupa molto meno, come pure gli sarebbe stato facile, di offrire le date storielle "assolute", ossia per noi precise, il solo elemen-to che interessa la ricerca moderna, che così, però da fuori, può restare delusa.

Quanto al quadro geografico e topografico, Luca ne ordina uno suo proprio, ed in questo sta più attento ai grandi "itinerari" del Signore, da solo e con i discepoli suoi, quale "segno" della teologia che essi porta-no; e si preoccupa molto meno, come invece Marco e Giovanni, di de-scrivere accuratamente i luoghi della Palestina, e la successione precisa dei percorsi.

Eppure, con tutto questo Luca fa storia vera del Signore, e fa teo-logia, e grande teologia, fedele dunque all'intenzione espressa nel "prologo".

Per comprendere però l'intera opera lucana, letteraria e teologi-ca, così ingente, occorre considerare contestualmente, come fa la maggior parte degli esegeti, il dittico prezioso che formano l'evan-gelo di Luca e gli Atti, i due momenti unitari e complementari della divina salvezza in atto, la storia del Signore e la storia della primitiva sua Comunità. Qui la cerniera dei due scritti sono il Signore e Gerusalemme, soggetti singolari su cui opera lo Spirito del Padre. Il Risorto e Gerusalemme, che occupano lo spazio della narrazione, stanno al termine e culmine dell'Evangelo, e stanno egualmente, e necessariamente, al principio degli Atti. Lì, il Signore annunciato e nato dallo Spirito Santo, portatore della Parola della salvezza, che ha radunato i discepoli, ha insegnato ad essi il Regno, ha operato fatti prodigiosi, è morto e risorto ad opera dello Spirito, ha promesso il medesimo Spirito. Qui, il suo scopo ed il suo amore, la Comunità, a sua volta annunciata e nata dalla Pentecoste dello Spirito, che vive nel mondo e porta la Parola della salvezza, che è condotta dagli Apostoli e raduna nuovi discepoli al Signore, che porta il Regno inaugurato da Cristo Risorto e dallo Spirito in forza del Convito, che opera egualmente fatti prodigiosi, che è perseguitata, ma opera nello Spirito e dona lo Spirito pentecostale per il Disegno divino. Si tratta così di due aspetti dell'unica storia della divina salvezza sem-pre in atto.

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2. Lo schema di Luca

Come si è insistito a proposito di Matteo (cf. sopra), il modo più proprio di leggere l'Evangelo di Dio è la "lettura Omega", quella che parte dalla completezza dei fatti, e così può interpretarli nella globalità, dalla fine al principio, dal principio alla fine conosciuta già. Il materia-le di Luca se si vuole un approccio anzitutto teologico va disposto idealmente così:

A) la Resurrezione: 24,1-12il suo complemento: le apparizioni del Risorto e la Promessa che è

lo Spirito Santo: 24,13-53la sua promessa: la Croce: 22,1 - 23,56

B)il "discorso escatologico": 21,5-36

C)l'ultimo ministero a Gerusalemme: 19,28 - 21,4

D)il ministero in Galilea: 3,1 - 9,50

E) la "salita a Gerusalemme": 9,51 - 19,27

F) T"Evangelo dell'Infanzia del Signore": 1,5 - 2,52

G) il "prologo" storico: 1,1-4.

Luca narra in ordine come il Signore stesso si presenta alle folle, ma soprattutto ai discepoli che sceglie, chiama e raduna affinchè Lo segua-no. Anche lui, come Matteo (vedi qui sopra), per questi opera per così dire una catechesi "da zero" per quanto Lo riguarda: si presenta dappri-ma come il Profeta grande, promesso dall'A.T., ed atteso nei secoli, il Maestro che insegna con autorità, l'operatore di prodigi potenti, umile e mite, tenero verso i poveri ed i peccatori, l'annunciatore del Regno di Dio che viene. Tuttavia, in salita ardua, con continui annunci di morte e di resurrezione, in cui si presenta come la misteriosa figura del Figlio dell'uomo, svela via via e per intero il Disegno del Padre; provoca così l'oscuramento del cuore, l'incompresione ed il rigetto ostinato, ed il terrore e smarrimento dei suoi discepoli. Infine, il Disegno del Padre appare in tutta la sua crudezza, nella sua fase preliminare, con la Croce, dove il Signore appare come il Servo mansueto, il tipo assoluto del Ser-vo sofferente, il supremo Testimone della Bontà divina che si manifesta "sotto specie contraria" alla logica degli uomini.

Dalla fase completiva, la Resurrezione, la prospettiva è rovesciata, da catechesi si fa "mistagogia": l'Evento è adempiuto totalmente, ades-so la spiegazione non è più preliminare ma è completa; manca solo il Dono dello Spirito ai discepoli. Perciò il Signore Risorto, mistagogica-

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mente spiegando le Scritture che parlano di Lui, Lo promette per di lì a poco. Se l'Evangelo termina così, la sua visuale introduce di necessità agli Atti, dove finalmente la Promessa è narrata come diventata fatto storico e sperimentato dai discepoli e dalle folle convertite dalla Parola degli Apostoli.

In Luca, va avvertito, si nota di meno la struttura semplificata di Marco, costruito in fondo su tre Eventi decisivi: il primo blocco è la predicazione e le opere del Signore a cominciare dal Battesimo dello Spirito; la Trasfigurazione fa da cerniera necessaria; la Croce e la Re-surrezione formano l'epilogo singolare e grandioso.

Si può adesso dare lo schema di Luca in due quadri, globale e parti-colare seguendo Béda Rigaux.

SCHEMA GLOBALE DI LUCA

1,1-4: Prologo storico1,5-52: "EVANGELO DELL'INFANZIA DEL SIGNORE"3,1 - 9,50: MINISTERO IN GALILEA9,51 - 19,27: SALITA A GERUSALEMME

19,28 - 21,36: MINISTERO A GERUSALEMME22,1 - 23,56: PASSIONE MORTE SEPOLTURA

24,1 -53 : RESURREZIONE APPARIZIONI PROMESSA DELLO SPIRITO SANTO

SCHEMA PARTICOLARE

PROLOGO STORICO: 1,1-4

A. "EVANGELO DELL'INFANZIA DEL SIGNORE": 1,5 - 2,52

1,5-25: l'annuncio a Zaccaria sacerdote1,26-38: l'annuncio a Maria Vergine1,39-56: la Visitazione ed il Megalynei1,57-66: nascita e circoncisione di Giovanni il Precursore1,67-80: YEulogètós, e la crescita di Giovanni il Precursore2,1-20: la Nascita del Signore a Betlemme

1-7: Gesù nasce a Betlemme8-20: l'annuncio ai pastori e l'"Inno angelico"

2,21 : Gesù è circonciso 2,22-40: Gesù è presentato al tempio

41-50: Gesù al tempio tra i dottori51-52: Gesù e la sua "vita nascosta"

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B. MINISTERO IN GALILEA: 3,1 - 9,50

a) Esordio: 3,1-4,133,1-6: Giovanni il Precursore inizia a predicare

7,14: le folle si fanno battezzare da lui 15-18: preannuncia il "Più Forte" di lui 19-20: Erode cattura Giovanni il Battista21-22: GESÙ È BATTEZZATO

23-38: sua genealogia 4,1-13: è tentato nel deserto

b) Gesù si manifesta: 4,14-5,164,14-15: inaugura il suo ministero in Galilea

16-30: predica di sabato in sinagoga a Nazaret31-32: insegna con autorità33-37: espelle un demonio impuro38-39: guarisce la suocera di Pietro40-41: guarisce molti la sera42-43: lascia Cafarnao per il deserto44: predica nelle sinagoghe 5,1-11 :

ammaestra le folle; la pesca miracolosa12-15: guarisce il lebbroso, e molti altri infermi16: si ritira a pregare

e) Cinque dispute: 5,17-6,11 5,17-26: guarisce il paralitico

27-32: chiama Levi33-39: lo Sposo e il digiuno; il vino nuovo e vecchio 6,1-5: le

spighe di sabato, il Figlio dell'uomo Signore del sabato6-11: guarisce l'uomo dalla mano secca

d) II "discorso della pianura", centro dell'annuncio: 6,12-49 6,12-16: prega il Padre e chiama i Dodici

17-19: il Servo, il guaritore delle piaghe dei molti 6,20-49: il "discorso della pianura"

20-23: le beatitudini24-26: le maledizioni27-35: amare i nemici36: essere misericordiosi come il Padre celeste37-42: non giudicare affatto43-45: l'albero si riconosce dai suoi frutti46-49: mettere in pratica la Parola: la casa fondata sulla rupe

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

e) Le opere del Regno: 7,1-507,1-10: guarisce il servo del centurione

11-17: resuscita il figlio della vedova di Nain7,18-35: il "libretto su Giovanni il Battista" 18-23: Giovanni

invia a domandare su lui: risposta sui fatti 24-30: Gesù testimonia sul Battista, e lo elogia 31-35: la parabola dei bambini burloni e tristi

7,36-50: perdona la peccatrice, la quale "molto amò"

f) Le parabole: 8,1-218,1-3: il seguito di Gesù: i Dodici e le Donne fedeli 8,4-18: il "discorso di parabole" 4-8: il seme della Parola 9-10: il Mistero del Regno 11-15: spiega la parabola 16-18: la lampada sul lampadario 19-21: "Madre e fratelli di Gesù": chi attua la Parola

g)Altre opere del Regno: 8,22-568,22-25: seda la tempesta sul lago

26-39: guarisce i due indemoniati di Gerasa40-56: guarisce l'emorroissa, e resuscita la figlia di Giairo

h) Termina il ministero in Galilea: 9,1-17 9,1-6: invia i Dodici in missione a predicare7-9: Erode incerto su chi sia Gesù10-11 : i Dodici tornano a Lui

9,12-17: la "sezione dei pani"12-17: la moltiplicazione dei pani e dei pesci

i) Intorno alla Trasfigurazione: 9,18-509,18-21 : Pietro confessa la fede messianica in Cristo .

22: Gesù predice la Passione e Resurrezione per la la volt a

23-25: il vero discepolo: la croce "ogni giorno"26-27: il Regno di Dio viene28,36: GESÙ È TRASFIGURATO37-43a: guarisce il giovane lunatico .

43b-45: predice la Passione e Resurrezione per la 2a volt a 9,46-48: il "discorso ecclesiastico" 46-48: chi sia il maggiore nella Comunità 49-50: non è respinto l'esorcista estraneo

C. LA SALITA A GERUSALEMME: 9,51 - 19,27

a) In viaggio, e la missione dei discepoli: 9,51 - 10,24 9,51-56: i Samaritani lo respingono perché va a Gerusalemme

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

57-62: la sequela del Signore è esigente 10,1-12: sceglie ed invia i 72 discepoli 13-15: minaccia le città di Galilea 16: "chi accoglie voi, accoglie Me" 17-20: i 72 tornano a Lui 21-22: il "Giubilo messianico" 23-24: "beati gli occhi... beate le orecchie..."

b) Per ereditare la Vita eterna: 10,25 - 11,13 10,25-28: per ereditare la Vita eterna

29-37: parabola del Buon Samaritano38-42: accolto da Marta e da Maria

11,1-13: "catechesi sulla preghiera"1-4: il "Padre nostro"5-8: parabola dell'amico importuno ma esaudito9-12: "chiedete, e vi sarà donato" dal Padre13: chiedere dunque lo Spirito Santo dal Padre

e) Gesù e la sua dottrina dalle sue opere: 11,14-54 11,14: guarisce il sordomuto posseduto dal demonio

15-23: dunque espelle i demoni con il^Dito di Dio", lo Spirito24-26: lo spirito impuro torna e vince27-28: "Beata la Madre... Piuttosto, chi ascolta e osserva la Parola!"29-32: il "segno del Figlio dell'uomo"33-36: la lampada sul lampadario37-54: polemica sul puro e sull'impuro

d) La dottrina ai discepoli: 12,1-53 12,1-9: guardarsi dal lievito dell'ipocrisia

10: la bestemmia contro lo Spirito Santo11-12: lo Spirito Santo assisterà i discepoli

12,13-34: "catechesi sulla rinuncia e la povertà"13-15: contro l'avidità, radice del male16-21: parabola del "ricco scemo"22-31 : fiduciosi in Dio che provvede32: il "piccolo gregge" che non deve temere33-34: il Tesoro nei cieli 12,35-53:

"catechesi sul Ritorno del Signore"35-39: vigilanza pronta, parabola del padrone che torna dalle nozze40: stare sempre preparati!41-48: parabola del servo fedele e di quello impreparato49-50: detto sul Fuoco sulla terra, e sul Battesimo da subire51-53: porta la spada, non la pace sulla terra

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

e) La dottrina alle folle: 12,54 - 13,3512,54-56: riconoscere il tempo

57-59: riconciliarsi prima del processo 13,1-5: "Convenitevi!"

6-9: parabola del fico sterile10-17: guarisce di sabato la donna rattrappita18-19: parabola del grano di senapa20-21 : parabola del lievito22-28a: la porta stretta e gli eletti28b-30: la chiamata dei pagani31-33: Erode ostile a Gesù34-35: lamentazione di Gesù su Gerusalemme

f) Parabole del Convito: 14,1-2414,1-6: guarisce di sabato un idropico

7-11 : come scegliere il posto al convito 12-14: invitare solo i poveri 15-24: parabola della Cena grande

g) I discepoli veri e la misericordia: 14,25 - 17,1014,25-35: i discepoli veri

28-30: parabola della costruzione della torre31-33: parabola della guerra da preparare bene34-35: il detto sul sale buono o scipito

15,1-32: parabole della divina Misericordia1-2: prologo3-7: la pecora perduta e ritrovata8-10: la dracma perduta e ritrovata11-32: il figlio prodigo 16,1-31: "catechesi sulla

ricchezza e la povertà"1-9: parabola del fattore disonesto ma lodato10-12: essere fedeli in tutto13: servire Dio, oppure il Mammona14-15: i farisei e il denaro16-17: la Legge e i Profeti, e Giovanni il Battista18: il divorzio è proibito da Dio19-31: parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone

17,l-3a: lo scandalo3b-4: la correzione fraterna5-6: la fede potente7-10: "servi inutili siamo!"

h) Ultimo insegnamento nella salita a Geusalemme: 17,11- 18,14 17,11-19: i 10 lebbrosi, e il Samaritano riconoscente 20-21 : il Regno di Dio viene

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

17,22-37: il "discorso escatologico", il Figlio dell'uomo e i suoi giorni 18,1-8: parabola della vedova importuna e del giudice iniquo 9-14: parabola del fariseo e del pubblicano al tempio (finisce qui il "grande inciso"; il resto è dallo schema di Matteó)

i) Ministero in Giudea: 18,15 - 19,27 18,15-17: Gesù ed i bambini

18-27: il giovane ricco e triste28-30: ai discepoli, il centuplo di ricompensa31-34: predice la Passione e Resurrezione per la 3a volt a

35-43: guarisce a Gerico il cieco Bartimeo 19,1-10: incontra a Gerico Zaccheo il pubblicano

11-27: parabola delle dieci mine

D. Ministero a Gerusalemme: 19,28 - 21,38

a) A Gerusalemme; insegna: 19,28 - 21,419,28-38: entra come Re messianico a Gerusalemme

39-44: piange su Gerusalemme45-48: espelle i mercanti dal tempio

20,1-8: la sua autorità e quella del Battista9-19: parabola dei vignaioli omicidi20-26: il tributo a Cesare27-40: i sadducei e la resurrezione41-44: il Messia Figlio di David ma suo Signore45-47: mette in guardia sugli scribi 21,1-4: la

vedova povera dona tutto il suo obolo

b) II "discorso escatologico": 21,5-3621,5-7: il tempio distrutto

8-11 : si iniziano i dolori messianici12-19: i discepoli saranno perseguitati20-24: la "tribolazione grande", Gerusalemme distrutta25-28: il Figlio dell'uomo viene, i suoi "segni"29-31 : parabola del fico germogliante32-33: in questa generazione, la Parola non passerà mai34-36: vigilare e pregare37-38: Gesù seguita ad insegnare

E. PASSIONE MORTE SEPOLTURA: 22,1 - 23,56

a) La congiura: 22,1-622,1-6: Giuda congiura con il sinedrio

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

b) La Cena: 22,7-387-13: i discepoli preparano la Gena14-20: il Signore istituisce là Gena, il Convito del Regno21-23: annuncia che Giuda lo tradirà24-27: i discepoli questionano di nuovo sul più grande28-30: i discepoli saranno ricompensati31-34: preannuncia che Pietro lo rinnegherà35-38: viene l'ora della lotta finale

e) Al Getsemani: 22,39-5339-46: la preghiera al Getsemani 47-53: Gesù è catturato

d) Dal sommo sacerdote: 22,54a54a: è tradotto dal sommo sacerdote

e) Pietro lo rinnega: 22,54b-6254b-62: Pietro lo rinnega tre volte

f) Al Sinedrio: 22,63-7163-65: deriso colpito insultato66-71 : è processato e condannato dal sinedrio

g)Da Pilato: 23,1-2523,1-25: è processato, condannato e messo all'esecuzione da Pilato

h) La Croce: 23,26-4926-32: verso il Calvario, incontra le pie donne di Gerusalemme33: è crocifisso34a: "Padre, perdona ad essi...!"34b: le vesti tirate a sorte35-37: gli ultimi scherni, tentazione escatologica38: il cartiglio della Croce39-43: i due ladroni: "Oggi con me in paradiso!"44-46a: agonizza, "Padre, nelle Mani tue..."46b: GESÙ MUORE

47: il centurione romano confessa "l'Uomo giusto"48: la folla sconvolta e contrita49: presenti "i conosciuti suoi" e le Donne fedeli

i) La sepoltura: 23,50-56 23,50-56: la sepoltura

50-54: Gesù è sepolto55-56: le Donne fedeli presenti anche alla sepoltura

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

F. RESURREZIONE APPARIZIONI DEL RISORTO PROMESSA DELLO SPIRITO SANTO: 24,1-53

a) La Resurrezione: 24,1-1224,1-4: risorto, appare alle Donne fedeli

5-10: le invia a portare l'annuncio ai discepoli11: i discepoli increduli12: Pietro corre al sepolcro e resta stupito

b) II Risorto appare ai discepoli: 24,13-4324,13-32: appare ai due di Emmaus

33-35: i due tornano a Gerusalemme per portare l'annuncio ai disce-poli, già informati alle Donne fedeli 36-43: Gesù appare anche ai discepoli riuniti insieme 44-49: spiega le Scritture sul suo Evento, e promette lo Spirito Santo

e) II Risorto benedice i discepoli ed ascende al cielo: 24,50-51 24,50: sul Monte li benedice 51: è assunto al cielo

CONCLUSIONE: 24,52-53

24,52: i discepoli a Gerusalemme nella gioia grande 53: sempre nel tempio lodando Dio.

3. Teologia di Luca

Attento alla Tradizione, attento soprattutto alle preziose Parole del Signore, Luca, seguendo lo schema di Matteo, l'Evangelo tipico, sa portare la sua riflessione teologica in modo originale, incentrata sulla Persona divina del Figlio di Dio, il portatore dello Spirito Santo agli uomini nella storia della salvezza che dalle origini, attraverso Israele, giunge adesso "da Gerusalemme a tutte le nazioni" (Le 24,47). In que-ste poche espressioni stanno i grandi temi che saranno esposti qui di se-guito. È evidente che si tratta di una schematizzazione artificiale nostra, la quale ha il solo scopo di poter tornare a leggere i testi con maggiore preparazione; a loro volta, i testi possono conferire ancora più ricchez-za ai temi che saranno adesso presentati.

Per altre questioni generali sulla teologia di un "Evangelo", si ri-manda sopra.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

a) Dio Padre ed il Regno suoLuca mostra come il Signore Gesù sia animato totalmente dal vivo

senso di Dio, e conserva, in questo, parole altamente significative. Cri-sto riporta tutti al teocentrismo, al Padre — mediante lui nello Spirito, ma al Padre. Vive per la gloria di Dio. Chiama se stesso Figlio, Figlio dell'uomo, e rivela che lo scopo della sua stessa esistenza è il Padre con lo Spirito. Annuncia il Regno del Padre. Fa costante rinvio alla Volontà paterna, ed alla propria volontarietàfiliale. Infine, nei momenti decisivi della sua vita fa appello esclusivamente al Padre.

Questa Gloria rifulge fin dall'inizio, dalla Nascita (2,9), è inneggiata dagli Angeli (2,14). In essa il Figlio dell'uomo tornerà alla fine dei tempi creati (9,26; 21,27). Di essa sfolgora il Figlio nella Trasfigurazio-ne (9,31-32). Quando il Signore entra come Re messianico a Gerusa-lemme, accolto dalle folle osannanti, ancora una volta è acclamata la gloria del Padre (19,38, cf. 2,14!). E finalmente, lo scopo finale della vita stessa del Signore è "entrare nella Gloria sud", che è il Padre, dopo la Resurrezione (24,26).

Come Figlio unico e vero del Padre, Cristo riafferma la sua filiazione con due titoli, "il Figlio", e soprattutto "Figlio dell'uomo", e d'altra parte con il Nome del Padre stesso sulle labbra, nei principali momenti della sua esistenza umana. Quando si ritrova nel tempio a colloquio con i dottori della Legge santa del Signore, ai genitori che angosciati lo cercano da una risposta che appare dura: "Si deve che io stia nelle Realtà del Padre mio" (2,49).

Quando i 72 discepoli tornano dalla missione, spinto dalla gioia dello Spirito, Cristo erompe nell'inno di lode che si usa chiamare "Giubilo messianico", le cui parole iniziali sono: "Io confesso Te, Padre, Signore del cielo e della terra" (10,21), e prosegue: "Tutto fu donato a me dal Padre mio, e nessuno conosce chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio" (10,22). Il testo è comune, con varianti, anche a Matteo (11,25-27), ma è scelto appositamente per far risaltare la rela-zione singolare, dunque unica, che esiste tra Dio Padre ed il Figlio suo, che quindi è Dio egli stesso. Al Getsemani, in quella che si deve chia-mare un'agonia spirituale vera, la sua unica invocazione è semplice-mente: "Padre!" (22,42). Infine, sulla Croce, l'ultimo grido che sale dalla sua anima è ancora e sempre: "Padre, nelle Mani tue io affido lo spirito mio!" (23,46), piamente pregando qui un Salmo (Sai 30,6).

Un altro tipico modo per nominare il Padre senza però farne il No-me, secondo il santo uso ebraico che dovremmo riscoprire, è quello di usare il "passivo della Divinità" dovunque possibile: così "Beati voi che adesso siete affamati, perché sarete saziati" (Le 6,2lab), os-sia: "perché Dio vi sazierà". Altro modo, è ricorrere a perifrasi o a fi-gurazioni.

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

Ma neirannunciare il Padre, il Signore pone al centro "il Regno di Dio", formula invariabile. Esso è dei poveri (6,20), il minore vi è il maggiore (7,28). Deve essere evangelizzato (8,1) per essere donato ai discepoli (8,10), a loro volta inviati ad evangelizzarlo (9,2). Il Si-gnore ne parla alle folle (9,11). Esso sarà visto dai presenti (9,27). Ma, lasciando che i morti seppelliscano i morti, occorre annunciarlo (9,60), senza volgersi indietro (9,62). È una realtà che "si avvicinò" ormai, sta qui (10,9.11; 17,21; 21,31), ma va chiesta nel "Padre no-stro" (11,2). Infatti il Regno sono Cristo e lo Spirito Santo (11,20). Va cercato con ogni priorità (12,31). L'insegnamento sul Regno av-viene anche in parabole (13,18.20). Previsto già dai Patriarchi e dai Profeti, il Regno consiste nel Convito glorioso universale (13,28-29), inaugurato dalla Resurrezione (22,16.18.29.30). Viene tuttavia con il Figlio dell'uomo all'ultimo dei tempi (17,20-21), nei "segni" terribili. E realtà per i bambini, e per chi si fa come loro (18,16). È dunque da accogliere apertamente (18,17), operando drastiche rinunce (18,26), per cui non sarà facilmente per i ricchi (18,24-25). Infine, esso è il Convito, la Cena per il Figlio (14,15; cf. Mt 22,1-14, più esplicito). È il paradiso promesso al Ladrone buono, che lo implora (Le 23,42).

Il Signore annuncia anche in modo diverso la Realtà divina che è il Padre suo. Fin dall'inizio della sua vita proclama che "si deve che io stia nelle Realtà del Padre mio" (2,49). Le fa chiedere nel "Padre no-stro" (11,2-5). Esse consistono nel dono dello Spirito agli uomini (11,13), ai discepoli del Signore (12,12), ed è la suprema Promessa del Padre (24,49). Per comprenderlo, occorre essere misericordiosi come Lui (6,36), e pregarlo sempre (18,1). Verso il Figlio, come questi rivela, è il Donante per eccellenza: gli dona il Regno (22,29), la Gloria eterna (9,26), anzitutto (9,42). Ed in specie la Coppa amara, dell'ira per il pec-cato (22,42, al Getsemani), e gli concede il perdono universale per i peccatori che Lo crocifiggono (23,34), nel supremo atto di affidamento nelle Mani sue sante ( 23,46, sulla Croce).

Come si vede, è un perenne, insistito rinvio al Padre, Unico Termine come Unico Principio dell'esistenza del Figlio.

Ma questo rinvio per essere più chiaro deve passare nel richiamo, al-trettanto costante, alla Volontà paterna. È un 'motivo continuo, impres-sionante. I Padri (cf. qui S. Massimo il Confessore, + 662) sanno che il Figlio, la cui Volontà in quanto Dio è comune con il Padre e con lo Spi-rito, in quanto Uomo vero fa dono per intero della sua volontà creatura-le al Padre, adeguandovisi, per recuperarla libera, santa ed intatta, divi-nizzata, vero motivo della nostra salvezza. I termini riferiti al Padre so-no molteplici: volontà, consiglio, disposizione, pre-disposizione del di-vino Disegno, il richiamo delle Scritture divine che si compiono, il ver-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

bo teologico dèi, "si deve (da parte di Dio)", YEudokia, il Beneplacito paterno. Il culmine, naturalmente, è la scena del Getsemani e la Croce.

In specie il dèi è significativo. Già dall'Infanzia, il Signore sa che "deve stare nelle Realtà del Padre" suo (2,29). Egli "deve" evangeliz-zare il Regno (4,43). Nei preannunci della Passione e Resurrezione, manifesta che "deve molto soffrire il Figlio dell'uomo" (9,22; 17,25), ma ancora "deve" molto camminare per i tre giorni simbolici, e morire in Gerusalemme (13,33). A Zaccheo annuncia che "deve" dimorare a casa sua (19,5). Insiste ancora che le Scritture "si deve che si adempia-no" (22,37), quelle sul Servo che sarà annoverato tra i malfattori (Is 53,12). Ed ancora, che il Figlio dell'uomo avrebbe dovuto soffrire, es-sere consegnato alla morte (24,7, alla Resurrezione; 24,26, ad Em-maus), perché le Scritture "si deve" che si adempiano comunque (ai di-scepoli nel cenacolo, 24,44).

Anche YEudokia, ed il verbo eudokéò, occupano posti importanti nella proclamzione del Signore. Essa intanto già si manifesta al suo Natale (2,14, nell'inno angelico). Torna nel "Giubilo messianico", poi-ché il Padre si è compiaciuto di rivelare le sue Realtà solo ai piccoli (10,21). Il verbo sta nel Battesimo al Giordano, come aoristo che dun-que mostra il Beneplacito già completo del Padre, l'Evento di Cristo è perciò visto come già avvenuto (3,22); ed infine il Padre si compiace di donare il Regno ai discepoli del Figlio (12,32).

Ma alla Volontà paterna corrisponde appunto, e perfettamente, quella filiale, espressa in molti modi. Anzitutto per il fatto stesso che il Figlio è venuto sulla terra per svolgere per intero il Disegno divino. Il Signore in effetti sa ed accetta di essere "il Servo" (22,27). Di sua volontà espressa fa preparare la Cena (22,7-13). Conosce ed accetta il tra-dimento di Giuda (22,21) e, peggio ancora, il rinnegamento di Pietro (22,34): insomma, "l'ora" sua (22,53). E si presenta alla morte sponta-neamente, non permettendo l'uso della spada in sua difesa (22,38), sconfessandone il tentativo che porta alla recisione dell'orecchio del servo del sommo sacerdote (22,51). Davanti al sinedrio resta indifeso volontariamente (22,66-71), e così, finalmente, davanti al processo de-cisivo di Pilato (23,1-25). Ma tutto era stato anticipato nell'accettazio-ne libera e volontaria della Coppa al Getsemani (22,42b).

Sotto altra prospettiva, come si è accennato, nei momenti decisivi Cristo appella solo al Padre: da giovane ragazzo nel tempio, nel "Giu-bilo messianico", al Getsemani, alla Croce.

La prospettiva si può chiudere con il Dono supremo dello Spirito, che spetta al Padre: il Padre Lo promette (24,46; cf. At 1,1-8). Il Padre Lo dona anzitutto al Figlio nella Resurrezione {At 2,32-33). E da Lui (ancora At 2,33) Lo riversa, come "Fuoco procedente da Fuoco", sui discepoli del Risorto (At 2,1-4).

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

b) Lo Spirito SantoSi deve qui tenere presente il grande testo diAt 10,34-43. Cf. l'ana-

lisi del Battesimo del Signore, 6 Gennaio.Lo Spirito riceve diversi nomi, è indicato anche attraverso metafore,

come il Dito onnipotente di Dio con cui il Signore espelle i demoni (Le 11,20; cf. Mt 12,28, che esplicita "lo Spirito di Dio"). Il solo termine pnéuma da le seguenti presenze, 12, sufficienti ad avere una ricca dot-trina sullo Spirito Santo in Luca, in rapporto a Cristo (altre 9 volte in-vece sta in rapporto ad altri personaggi del N.T., in specie neh""Evan-gelo dell'Infanzia"):

- 1,35: la Dynamìs di Dio, lo Spirito, nell'annuncio dell'Angelo a Maria Vergine, fa nascere da lei il Figlio di Dio;

- 3,16: Giovanni il Precursore annuncia che Colui che viene battezzeràcon Spirito Santo e Fuoco;

- 3,22: al Battesimo, lo Spirito discende per restare su Gesù; testo fondamentale;

-4,1: Gesù è "pieno di Spirito Santo"; l'aggettivoplèrès indica non la passività di chi è riempito, ma la condizione naturale, attiva, di chi possiede la Pienezza dello Spirito Santo, che da Dio Lo permea per intero, e ne fa l'unico Portatore dello Spirito già prima della Resurre-zione beata;

- 4,1: nel medesimo versetto si annota che Gesù "era condotto dalloSpirito nel deserto", per esservi tentato, e testimoniare così la veridicità del Padre, la fedeltà assoluta a Lui, la realtà del suo programmabattesimale che Lo conduce nello Spirito alla Croce; il diavolo, consapevole, vuole impedirglielo;

- 4,14: dalla tentazione, e vittorioso, "tornò Gesù nella Dynamis delloSpirito Santo in Galilea", per iniziare la sua missione messianica;

- 4,18: Gesù dichiara la sua messianità in sinagoga, citando il testo diIs 61,1-3 (con 58,1-11; 35,1-3): lo Spirito di Dio Lo unse per la suamissione evangelizzatrice;

- 10,21: il Signore esulta nello Spirito Santo e proclama il "Giubilomessianico";

- 11,13: nel contesto del "Padre nostro", con la "catechesi sulla preghiera", il Signore invita a chiedere lo Spirito Santo, benché si siamalvagi, come unico Dono del Padre;

- 12,10: la bestemmia contro lo Spirito Santo, al contrario di quellacontro il Figlio dell'uomo, non sarà perdonata;

- 12,12: il Padre darà sempre lo Spirito Santo, unico Maestro per i discepoli del Figlio.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

La documentazione è interessante, ma vista da vicino è anche im-pressionante. Il suo significato si può riassumere così:

a) lo Spirito precede Cristo: dall'A.T. all'annuncio a Maria;b) accompagna sempre Cristo, in specie dal Battesimo alla Croce, e lo

resuscita dalla morte;e) lo Spirito segue e sostituisce Cristo nella vita della Comunità nuova;

.le specificazioni abbondanti stanno negli Afri.

e) II Signore Gesù CristoLe poche linee che seguono, anche tenendo conto di quanto prece-

de, non possono dare se non una minima parvenza della ricchezza di Luca, che incentra la sua narrazione sulla Persona del Signore, come si è detto.

Intanto numerosi e ricchi di senso sono i nomi che Luca tributa a Lui. Si sa che nella sua Vita il Signore si è riservato il solo nome di "Figlio" e "Figlio dell'uomo". Gli altri nomi e titoli sono stati a lui at-tribuiti o dai genitori: Gesù; oppure dalla Comunità che rifletteva sulla Persona e sugli eventi a cui aveva assistito: il Kyrios, il Risorto e glori-ficato, la Gloria d'Israele, la Luce delle nazioni, il Figlio di David, il Nuovo Adamo, l'Uomo vero, il Re, il Salvatore, il Servo, l'Orante, il Profeta dello Spirito, il Maestro, e così avanti.

Luca riporta tutti questi nomi, ed altri. Se ne da qui appena un sentore.

Il titolo divino Kyrios, che traduce alla lettera il JHVH, il Signore il Dio Vivente dell'A.T., è il principale; ricorre ben 103 volte. Luca lo usa di continuo, ma tipicamente lo riporta come riferito al Signore già pri-ma della Resurrezione, nella quale per sé sola si ha la manifestazione piena, da parte del Padre, della Sovranità divina del Figlio. Così, già al-l'annuncio a Maria Vergine: 1,35; ed alla Nascita: 2,11. È più che natu-rale ritrovare il titolo alla Resurrezione: 24,3.

La Gloria d'Israele e la Luce delle nazioni pagane sta nel Nyn apolyeis di Simeone (2,32). Il secondo è citazione del Servo (Is 42,6; 49,6), per cui si rimanda anche a questo titolo. Teso alla Gloria del Pa-dre, il Signore tuttavia riceve a sua volta la gloria degli uomini (il Sa-maritano lebbroso: 17,18), e poi dalla sua Comunità per sempre.

Sul "Figlio" e "Figlio di Dio" si è già visto, in rapporto al Padre. In-vece con il titolo misterioso di Figlio dell'uomo, che riconduce a Dan 7,13-14, colui che sta tutto sotto la Volontà paterna (vedi anche sopra), si fa risaltare il divino Disegno. Il Signore lo usa spesso, ma in modo più evidenziato nei preannunci della Croce e della Resurrezione (9,22; 9,43b-45; 18,31-34). I Profeti parlarono di Lui, infatti. Egli è oggetto del tradimento degli uomini, che Lo consegnano alla morte (22,22), ma

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

morte accettata volontariamente e liberamente. Il Figlio dell'uomo che visse sulla terra con i suoi discepoli, è il medesimo che risorge dalla morte (24,7), e che verrà nella Gloria sua e del Padre quale Sovrano e Giudice onnipotente (17,24-25).

Un titolo alquanto implicito, sia pure chiaro da percepire, è quello del Nuovo Adamo, connesso con la regalità universale salvifica. Il tema è enunciato, tuttavia non poi sviluppato, nella "genealogia": (3,23-28). Matteo (1,2-17) fa discendere Gesù da Abramo per David. Luca invece10 fa risalire da Giuseppe, suo padre vero, ma non naturale, per David eAbramo fino ad Adamo, e da Adamo a Dio, connotando così che Egli è11 nuovo Capo e responsabile dell'umanità da redimere secondo l'unicodivino Disegno. Il teologo del Nuovo Adamo, punto nodale della suacristologia, è Paolo (cf. Rom 5; \ Cor15,45-49; Efes 5,23-33).

Luca si preoccupa, contro ogni negazione, di far risaltare Gesù come Uomo vero. Certo, al contrario di Marco ne sfuma alcuni lati, come la collera, le parole dure, le impazienze sante, i dolori e le angosce. Il Cri-sto di Luca è anzitutto un Uomo animato da sovrani sentimenti di bontà e di tenerezza. È pieno di grazia divina (4,1, cf. v. 14) dello Spirito Santo, e la riversa sugli uomini (4,18-19). È tenero con il lebbroso; si preoccupa che la figlia di Giairo, che ha resuscitato, sia debitamente nutrita; è tenerissimo con i bambini (9,47-48; 18,15-17). Partecipa — qui sta anche la nota del Servo sofferente — a tutta la vita degli uomi-ni, povero con i poveri, sollecito con i malati, preoccupato sommamente con i morti, per cui Luca riporta ben due resurrezioni, quella della figlia di Giairo, e quella del figlio della vedova di Nain. L'ansia più acuta però è per i peccatori, che perdona e riammette alla vita.

Questa grazia dunque si espande ai più poveri, i peccatori, in misura stracolma. Essa si esprime di frequente con la formula del perdono dei peccati: al paralitico (5,20), alla peccatrice che si pente (7,34), ai pec-catori venuto a chiamare (5,32), in specie gli orribili pubblicani (ivi; poi 18,14; 19,10, Zaccheo). Il culmine è il perdono sulla Croce (23,34), e, con divina generosità, l'accoglienza del Buon Ladrone in Paradiso quel giorno stesso (23,43). Poi Luca esprime questo anche con le para-bole della divina Misericordia: la pecora perduta e ritrovata, il figlio prodigo (15,3-5.11-32).

Il titolo di Re viene a Cristo in considerazione della sua predicazio-ne del Regno del Padre. Re nella dottrina biblica vuoi dire niente altro che "Salvatore", e regno vuoi dire "condizione di salvezza totale". Ora "il Figlio" porta il Regno del Padre con lo Spirito, con lo Spirito è il Regno del Padre, il Padre prepara per lui il Convito del Regno, e con il Padre regna per sempre.

In conseguenza viene il titolo di Salvatore. Antico e bramato titolo dei re ellenistici, poi di Augusto stesso, sótèr, salvatore, era insieme ti-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

tolo divino, ed insegna della divinità usurpata. Luca usa spesso sia que-to titolo, sia il verbo sózó, salvare, sia il sostantivo seteria e sòtèrion, strumento di salvezza. La dottrina della salvezza portata per Disegno divino dal Signore con lo Spirito, con accentuazioni diverse, è comune a tutto il N.T. Luca sottolinea l'aspetto dell'universalità.

Se da una parte il Signore nella sua Vita narrata da Luca limita i suoi rapporti con i pagani, e non esce dai confini della Palestina (al contra-rio per Marco), tuttavia la salvezza che deve giungere fino alle nazioni pagane è come l'apertura dell'Evangelo: 1,47.69.71.77; 2,11.30; 3,6, e si apre nello scenario della storia universale con la genealogia (3,23-38), dove con Adamo si abbraccia tutto il genere umano quale unico "figlio di Dio" da riportare al Padre. Non solo. Luca riporta il detto del Signore, che verranno le nazioni pagane dai quattro punti cardinali per partecipare al Convito del Regno con Abramo, Isacco e Giacobbe (13,29-30). E finalmente, la Promessa dello Spirito, che dona la con-versione e la penitenza dai peccati, dopo la Resurrezione, è consegnata ai discepoli affinchè la realizzino fino ai confini della terra (24,46-48). Negli Atti poi Luca descriverà singolari sviluppi del tema.

Ma la salvezza divina regale non è opera pacifica e indolore, al con-trario sarà necessaria l'opera del Servo sofferente, altro titolo importan-te. Già Simeone, additando nel Bambino la Luce delle nazioni, rimanda al Servo: Is 42,6; 49,6. Al Giordano ed alla Trasfigurazione, il dono dello Spirito e il titolo Eletto-Diletto rimandano ancora al Servo: Is 42,1. Nella Cena (22,37) Gesù stesso cita Is 53,12, il Servo che deve essere annoverato con i malfattori, confermato dall'abbandono alla morte insieme ai due ladroni (23,25.33.39-43).

Tutto questo, però non avviene senza molto pregare. Il Signore è la figura perfetta dell'Orante. Tutta la sua vita non è che una immensa, te-sa, insistente preghiera al Padre nello Spirito: quando sale al tempio tre volte l'anno nella vita nascosta; al Battesimo (3,21); quando sfugge alla presa della folla per raccogliersi a pregare (4,42); così ancora quando la fama sua si diffonde (5,16); quando sceglie i Dodici (6,12); per la fede di Pietro (9,18); alla Trasfigurazione (9,28 e 29); quando insegna il "Padre nostro" (11,1); al Getsemani (22,32), sulla Croce (23,40-46). E si potrebbe ancora ricordare la preghiera in sinagoga di sabato "come era suo uso" (4,16), e la moltiplicazione dei pani e dei pesci (9,16), e di nuovo il "Giubilo messianico" (10,21-22), e la Cena, e lo spezzare il pane ad Emmaus.

Una particolare insistenza pone Luca nel presentare il Signore come Profeta dello Spirito Santo. Con questo si raggiungono e si completano la comprensione della figura e dell'opera del Signore. Se nella sinago-ga di Nazaret proclamando Is 61,1, come si è detto, egli si manifesta come il Re messianico "unto dallo Spirito di Dio", in tale contesto il

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primo dei doveri della missione divina è "evangelizzare i poveri". Ora l'evangelizzatore per eccellenza, nell'A.T. è proprio il Profeta, il me-diatore della Parola tra il Signore che l'invia ed il suo popolo, o anche le nazioni pagane. Così il secondo esodo si presenta come provocato dall'annuncio dell'euaggélion, il "fausto Annuncio", portato dal corriere di Dio al suo popolo in esilio; cf. quiIs 52,1-12, sopra.

Nel medesimo contesto, il Signore si proclama esplicitamente "pro-feta" anche se non accetto in patria (v. 24). È il Profeta grande, atteso, quello che annuncia il Regno di Dio (4,43; 8,1), l'Evangelo (9,6), che è la medesima realtà.

La comparazione con le grandi figure profetiche è d'obbligo, ed il Signore umilmente ma duramente la dichiara: infatti egli è, misteriosa-mente ma certamente, più di Elia resuscitatore (4,25-26), più di Eliseo guaritore (4,27), più di Giona suscitante alla conversione i pagani di Ninive (11,32). Anzi è di più del maggiore tra i Profeti dell'A.T., Mosè, perché precisamente Mosè ha parlato di lui (24,27 e 44), gli è presente nella Trasfigurazione (9,33), e le stesse parole del Padre: "Questi è il Figlio mio — l'Eletto — ascoltatelo!" (9,35), in questo imperativo ri-volto ai discepoli, indicano precisamente "il Profeta" grande simile a Mosè, che Mosè promette, che opererà segni veridici, che deve essere ascoltato perché viene da Dio e porta la salvezza (Dt 18,15-18). E fi-nalmente, Gesù stesso si proclama Profeta quando delinea il suo "desti-no di Profeta": morire a Gerusalemme, luogo deputato alla morte dei Profeti di Dio (13,33).

Ma allora, secondo la "lettura Omega", Cristo è "il Profeta". Le altre grandi figure sono tipologiche, una prefigurazione incoativa, benché reale ed efficace, dell'attuazione nel Figlio di Dio di tutto il Disegno di-vino portato dalla Parola divina profetica.

Qui si inserisce un altro tema caro a Luca, connesso con quello della profezia. Luca infatti, come si è detto, sta molto attento alle Parole del Signore, e quantitativamente rispetto agli altri evangelisti ne riporta di più. Egli insiste sui verbi del "parlare", di cui presenta un ricco vocabo-lario. Il Signore anzitutto porta la "Parola di Dio", in senso pieno e tec-nico: alle folle sul lago (5,2), per quanti l'ascoltano e praticandola di-ventano "Madre sua e fratelli suoi" (8,21), e saranno beati più della Madre sua (11,28). È anche la "Parola del Signore", e queste espressioni diverranno poi canoniche negli Atti. Come tale il Signore la dona "con autorità" (4,32), espressa dalle tipiche formule del N.T., comuni agli Evangelisti, ma su cui Luca insiste particolarmente: "Amen, io parlo a voi" (4,24; 12,37; 18,17.29, ed altri passi), che nell'asseverazione forte deWamen ebraico contiene la "consistenza", secondo il termine, ma che rinvia discretamente al "Dio Amen", il Fedele-Consistente (cf. Is 65,16; Ger4,2; Sai 72,17; 1 Cor 14,16; 2 Cor 1,18-22, reso con pi-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

stós, fedele; Ap 3,14). Vi corrisponde l'altra formula: "sopra verità" o "in verità io parlo a voi" (Le 4,25; 9,27; 12,44); ed anche il "sì" forte (11,51; 12,5).

Questa Parola, il divino Parlare potente, è oggetto di insegnamento per parabole: del seme della Parola si mostra come cresca per dare frut-to abbondante se ascoltata e recepita (8,5-15); di lunghe spiegazioni, nei discorsi e detti. Ma è anche Parola efficace per se stessa, che opera quanto annuncia: sulla Parola di Gesù avviene la pesca miracolosa (5,5), la guarigione del servo del centurione (7,7), anzi la stessa resur-rezione dai morti (7,14, il figlio della vedova di Nain; 8,54, la figlia del capo della sinagoga, Giairo). Per questo suscita tanta meraviglia: è la Parola del Profeta divino che visita il popolo di Dio (7,16). E del Mae-stro che porta il divino insegnamento.

È la manifestazione della missione del Signore, la cui pienezza sarà rivelata solo nella Resurrezione dello Spirito Santo.

d) Gli uomini nuovi: i discepoli del SignoreCome negli altri Sinottici ed in Giovanni, anche in Luca il Signore

si preoccupa fin dall'inizio di scegliere e chiamare i suoi discepoli. Vi sono diversi gruppi, distinti nella vocazione e nella missione, ma tutti cooperanti alla missione del Signore: i Dodici; i Settantadue, come ri-chiamo alle 12 tribù d'Isrele ed ai 72 Anziani che pieni di Spirito Santo collaborano con Mosè (Num 11,16-30; sono 70 + 2); vi sono anche la Madre del Signore, e le Donne fedeli, più volte chiamate per nome (8,1-3; 23,49, alla Croce; 23,55-56, alla sepoltura; 24,1-10, alla Resur-rezione). A tutti il Signore chiede la conversione, la fede, la rinuncia, la povertà, la sofferenza, insieme con Lui.

E tuttavia, è un tratto tipico di Luca, la prima nota con cui i discepo-li debbono essere uomini nuovi, è la gioia, che con verbi e sostantivi ri-suona decine di volte nel testo, più di ogni altro autore del N.T. La gioia risuona molto nell'Evangelo dell'Infanzia (1,14.28.44.47; 2,10, la "gioia grande" della Nascita). È il distintivo dei poveri e dei sofferenti (6,23). E l'accoglienza della Parola (13,17). È l'accoglienza di Zaccheo (19,6). È l'accoglienza delle folle alle Palme (19,37).

E si comprende bene: è un Dono dello Spirito, già goduto da Cristo stesso nel "Giubilo messianico (10,21). È la Gioia divina per i peccatori convcrtiti (15,7.10), per il figlio prodigo ritrovato (15,32). È infine la Gioia divina che ha come fonte la Resurrezione del Figlio di Dio (24,32, il fuoco nel cuore ad Emmaus; 24,41, i discepoli gioiscono ve-dendo il Risorto; 24,52, la gioia permanente dei discepoli dopo l'A-scensione).

D'altra parte, la Parola del Signore, e già la sua presenza stessa tra i discepoli e tra le folle, produce e vuole produrre la conversione e la fe-

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - LUCA

de. L'insistenza è sulla fede che sola salva: essa guarisce (5,12.20; 7,9, un centurione pagano!; 8,48; 17,19; 18,42), toglie i peccati (7,50, la peccatrice che ama), perfino resuscita (8,40-56, la figlia di Giairo). In-somnia, crea l'uomo nuovo.

Ma la vocazione che dona il Signore pone i discepoli in situazione al limite delle possibilità umane, in condizioni di ripugnanza umana: la ri-nuncia per la sequela difficile (9,23-25), il cui distintivo è la Croce "ogni giorno" (9,23), è perdere la propria anima per ritrovarla (17,33). Rinuncia totale, fino ad odiare i propri parenti (14,26-27; l'espressione, non avendo l'ebraico il termine che esprime "preferire di meno", va spiegata) a causa del Regno di Dio. È la stessa spoliazione totale del Figlio di Dio e Dio da Dio, che si fa Uomo e Servo.La povertà è uno dei temi principali che interessano Luca. Già in apertura, Cristo stesso quando nasce è povero (2,6-18), è riscattato con il sacrificio dei poveri, tortore e colombi (2,24). È povero totalmente nella nudità della Croce. Nella sua vita non ha dove posare il capo (9,58). E addita come esempio la povertà del Battista (elogio: 7,24-30). Nella predicazione del Signore, la povertà è il "segno" supremo. L'Evangelo è per i poveri (4,18; 7,22). I poveri sono beati (6,20, cf. vv. 24-25). Il Signore da una serie di "catechesi" sulla povertà: a) come di-stacco: 12,13-15.16-21.22-31.33-34; b) come contrapposizione alla ric-chezza: 16,10-12.13.14-15.19-31; e) come supremo elogio della vedo-va che dona tutto quello che possiede (21,1-4).

E tuttavia, paradossalmente, il Signore chiede ai suoi poveri di essere larghi nella carità, nell'elemosina: l'appello è nel deciso "Donate, e sarà (dal Padre, passivo della Divinità) donato a voi" (6,38). La radica-lità del dono è significata dalla radicalità dello spossessamento: "Ven-dete quanto possedete, e donatelo in elemosina" (2,33). È questo anche il segno della redenzione dei ricchi, peccatori per definizione, e così Zaccheo spontaneamente "restituisce" la metà dei beni ai poveri, il quadruplo a chi ha truffato, ed essendo titolare di una sudicia impresa, quelle che oggi si chiamano "finanziarie" con altri aggettivi pittoreschi e sigle barbariche, restituisce il quadruplo (ivi). Ma la vita della carità, che è dono e scambio con il fratello, è vista dal Signore come un "con-vito" permanente, al quale invitare in permanenza i poveri (14,12-14).

Questo sta sotto il segno del "servire", diakonéó, come fa l'umile, anonimo personaggio che è la suocera di Pietro guarita dal Signore (4,39), e così le Donne fedeli che seguono Gesù (8,3), la stessa Marta (10,40). L'esempio della diakonia è dato dal Signore stesso, nella para-bola del ritorno del Padrone che servirà i suoi servi buoni (12,7), e nel-l'insegnamento dall'esempio suo stesso, che "sta in mezzo ad essi co-me inserviente, diakonón", e vuole che chi nella Comunità comanda sia solo un inserviente, diakonòn (22,26-27, durante la Cena).

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Discepoli così formati, anche se saranno permanentemente tentati da satana (22,31, detto durante la Cena), saranno assistiti dallo Spirito Santo (12,11-12), e così esplicheranno la missione a cui il Signore li invia.

e) La Comunità verso la storia della salvezzaLuca ha scrutato a lungo gli eventi storici della salvezza divina di-

sposti dal divino Disegno, operati da Cristo con lo Spirito. In quella specie di febbre che aveva invaso la prima generazione cristiana per al-meno 30 anni, nell'attesa spasmodica — e del resto ben motivata — del Signore che doveva tornare subito, egli scorge i segni della durata della salvezza: la salvezza deve giungere ai confini della terra, a tutte le nazioni pagane. I discepoli del Signore non sono un gruppo sporadico, che termina con se stesso, ma hanno altri discepoli che ne debbono per-petuare la missione. I primi, e solo essi, sono i testimoni autorizzati di Cristo, i secondi sono motivati dai primi, e si fondano su essi. Queste persone, ma in una "successione" precisa, formano la Comunità della salvezza. Negli Atti Luca mostrerà la sua struttura, la sua composizione anche dal basso, il suo spirito, le sue opere, la sua concordia nel vivere insieme possedendo tutto in comune (cf. ad es. At 2,41-47; 4,32-37). Nell'Evangelo ne mostra solo i primordi.

Intanto è la Comunità radunata dalla divina Parola e dallo "spezzare il Pane", come ne dava l'esempio il Signore (9,12-17, moltiplicazione del pane e dei pesci; Convito: 14,15-24, la parabola, 22,14-20, la Cena, 24,29-32, Emmaus). Propriamente, Comunità inaugurata e funzionante a causa solo del Convito del Regno, dove il Signore "mangia e beve con" essi, a partire dalla Resurrezione (testo ecclesiale importante: 22,14-20).

Questo ne fa una Comunità "della Presenza divina", dunque un tem-pio permanente. Il vocabolario cultuale di Luca, che egli assume dal-l'A.T., perciò stesso è ricco e denso di significato: lodare, magnificare, benedire, glorificare, rendere grazie, fare memoriale, pregare, interce-dere, sono verbi che si succedono meravigliosamente. Proprio all'inizio Zaccaria si trova in un'azione cultuale importante: offrire l'incenso, do-po di che benedicendo il popolo il sacrificio era terminato (1,5-25); ed a lui nel culto è annunciata la gioia (v. 14). E proprio alla fine, quando il Signore, terminato il suo culto al Padre, può benedire i discepoli, questi tornano nella gioia (24,52), al tempio, come Comunità laudante (v. 53). Tra questi due estremi si può leggere tutto l'evangelo di Luca. E spingendo il discorso a fondo, la Comunità laudante è composta da-gli Angeli, dalla Madre di Dio, da Elisabetta e Zaccaria, da Simeone ed Anna, da tutti quelli che incontrano il Signore e ne sono beneficati e rendono grazie al Signore (un esempio per tutti: il Samaritano lebbroso guarito: 17,11-19).

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Si tratta di Ebrei fedeli (il Samaritano ne è un "cugino" scomodo). Il loro culto prolunga meravigliosamente quello dell'A.T. Poiché per Lu-ca tra l'Israele di Dio e la Comunità nuova non può esistere interruzio-ne: il Disegno divino contempla un unico piano, un unico svolgimento, per un unico popolo da inviare a tutti i popoli. Perciò la Comunità è e non può essere altro che Israele. Solo negli Atti si comincerà a delineare il dramma amaro, di un unico popolo santo del Dio Vivente, Israele, alienato e diviso in due assemblee cultuali che rendono la medesima lo-de al loro Signore, l'Israele della sinagoga e della Chiesa.

Perciò per Luca Gerusalemme, con il Signore, sta al centro della sua visuale salvifica: perché è il luogo visibile dell'unità del popolo di Dio, significata dal tempio e dal culto che in esso si deve svolgere. E quan-do Gerusalemme sarà distrutta, è la "tribolazione grande" per tutto il mondo, per tutti i popoli, per tutta la storia che verrà (21,20-25). Il ri-torno dei discepoli al tempio dopo l'Ascensione (24,52-53) vuole dun-que significare questa unità che non deve essere distrutta: è la Casa del Padre (2,41-50 e 51) che attende tutti i suoi figli.

Quando la Comunità, seguendo la missione assegnatagli dal Signo-re, si diffonde nel mondo, in ogni luogo dovrà essere essa stessa questa "Casa del Padre", la Chiesa visibile, la Chiesa locale. Una Casa di pre-ghiera. E per questo il Signore, l'Orante per eccellenza, ha speso molte energie, volendo formare una Comunità orante. Nell'Evangelo, Luca riporta insistentemente l'esortazione del Signore a pregare senza mai smettere: pregare per chi ci perseguita (6,28), come massima opera di carità; pregare affinchè il Signore Dio e Padre invii gli operai per la "messe sua" (10,2); pregare il "Padre nostro" (11,2-4), ma solo nello Spirito Santo (11,13); pregare per stare sempre vigilanti contro l'ora imminente (21,36); pregare per non entrare in tentazione (22,40, al Getsemani). Unirsi insomma al Signore, che ha fatto della sua vita una unica prolungata preghiera.

In questa Comunità, santuàrio vivente, i capi, in specie i Dodici, do-vranno operare solo come servi veri, affinchè si realizzi la loro missio-ne salvifica della carità, dell'Evangelo, della santificazione. All'inizio stesso, gliAtti ne mostrano gli episodi stupendi.

C. MARCO

Dopo Matteo e dopo Luca, cronologicamente viene Marco. Non si esagera molto se si dice che di Marco gli studi moderni hanno operato una vera riscoperta. Lo scritto rivela non un puro schematizzatore né un alacre compilatore di materiale preesistente, due fatti che pure l'Au-tore ha operato, ma la vera tempra di un teologo.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Anche nell'uso della Tradizione delle Chiese, Marco è stato abba-stanza accantonato, non facendo mai parte dei grandi "cicli di lettura" liturgica, riservati agli altri 3 Evangeli. Il motivo è abbastanza scoperto. Al contrario di Matteo e di Luca, Marco non ha i grandi discorsi del Si-gnore (ne ha qualche spunto), né ha molte parabole (solo 7, concentrate nei cap. 4, 12 e 13), dunque sembrava non offrire materiale per una va-sta omiletica. I criteri moderni sono del tutto diversi, Marco ha una grande narrazione.

È stato detto acutamente che Marco seguendo il maestro Pietro, ha come unico criterio redazionale la Resurrezione del Signore come se-guito della sua Passione, alla luce delle quali legge il resto dell'Evento. Perciò il suo Evangelo ha una "grande testa", i cap. 11-16, dedicati alla Passione e Resurrezione, ed un "piccolo corpo", i cap. 1-10, dedicati alla Vita storica del Signore.

Il vantaggio che Marco offre è il suo schema semplificato, che co-mincia dal Battesimo del Signore, ha come cerniera molto evidente la Trasfigurazione, e termina con l'Intronizzazione del Signore Risorto, e dunque può essere sempre un utile punto di riferimento per la conte-stualizzazione di molti episodi evangelici.

D'altra parte, quanto alla più antica Tradizione, Marco mostra come dopo la "generazione apostolica", la "seconda generazione" — come Luca — godesse di prestigio pari, e di una singolare libertà di scelta e di elaborazione del materiale per comporre una memoria evangelica. Il prestigio di Marco fu grande, oltre che a Roma, anche ad Alessandria (Eusebio di Cesarea riferisce l'antica tradizione della predicazione di Marco in quella metropoli, e del suo martirio glorioso nel "Campo del toro"); in Occidente, ad Aquileia, da cui 1'"impresa di Marco", patrona-to e simboli, passarono a Venezia.

1. Generalità su Marco

Come la tradizione già affermava all'inizio del sec. 2°, "Marco" non è un "Apostolo", ma un "personaggio apostolico", indicato come disce-polo di Paolo e poi di Pietro, e come colui che ha redatto il testo di Marco nella forma finale. Ma per procedere a questo, come si è visto, egli disponeva di materiale a lui precedente, derivato sia dalla Tradizio-ne orale, ossia la predicazione del kèrygma apostolico a viva voce, sia da altri testimoni visivi ed auricolari dei fatti della Vita storica del Si-gnore: Pietro, altri Apostoli e discepoli del Signore, in scritti a lui pre-senti, ossia il duplice "Evangelo di Antiochia" ed "Evangelo paolino"; sia, infine, il materiale da lui raccolto di persona, in specie se l'autore è il Marco-Giovanni attestato in diversi contesti del N.T.: At 12,12.25: Giovanni detto Marco, la cui madre ha la casa in Gerusalemme; così

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CAP. 8 - VEVANGELO TETRAMORFO - MARCO

15,37; in 15,39, dopo incomprensioni con Paolo, Barnaba lo ^orta nei suoi viaggi apostolici; in Col 4,10 Paolo lo introduce a salutare, dunque sta insieme a lui; in 2 Tim 4,11 chiede a Timoteo di portarlo a Cesarea, dove l'Apostolo sta nella sua seconda prigionia; in Filem 24 saluta in-sieme a Paolo; in 1 Pt 5,13 saluta insieme a Pietro. Infine si dice proba-bile che il giovane che nel Getsemani sfugge alla cattura abbandonando "il lenzuolo", sua sola veste, e che "seguiva Lui (Gesù)", sia l'autore stesso, Marco {Me 14,51-52).

Sul materiale di cui così disponeva Marco ha operato scelte precise nell'abbondanza e nella varietà che gli si presentava. Tenendo presenti Matteo e Luca, per la situazione di cristiani venuti dal paganesimo, ha apportato una schematizzazione, molte riduzioni, e anche diverse inser-zioni esplicative. Così non conosce le Genealogie del Signore. Di certo teneva anzitutto presente il complesso letterario antico, formato dalla narrazione della Resurrezione e della Passione, comprendente l'invio finale dei discepoli in missione. Si sa che anche Paolo aveva ricevuto molto materiale preesistente, sia "dal Signore" (1 Cor 15,1-8, sulla Morte e Resurrezione; 11,23, sulla Cena del Signore), sia dalla Chiesa aramaica {FU 2,6-11, l'inno cristologico preesistente; Rom 1,1-4, testo antichissimo; Col 1,15-20, altro inno preesistente), sia dal controllo dottrinale con Pietro e i Dodici (cf. At 9-15; Gal 1).

Lo stile pesante di Marco serve a conservare accuratamente la forma semitica, alcuni vocaboli aramaici, oltre a molti latinismi, residui della fonte originale, Pietro, con i segni della sua predicazione a Roma.

La preoccupazione principale di Marco come autore fu però quella di comporre un euaggélion, "l'Evangelo", la Buona Notizia, il Gioioso Annuncio. Perciò è classico di Marco il v. 1,1: "Inizio dell'Evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio". È il titolo generale, che indica contenuto e scopo. Il versetto forma "inclusione letteraria" con 16,19-20, dove nella manifestazione ultima, gloriosa di Figlio di Dio, il Risorto e glorificato, Gesù è chiamato "il Signore Gesù", e in assoluto "il Signore". Dunque questo "inizio" non è solo un sostantivo inerte. Esso si può leggere sia "L'Inizio dell'Evangelo è Gesù Cristo il Figlio di Dio", sia "Gesù Cristo il Figlio di Dio è VEvangelo ed il suo Inizio", essendo la Fonte vera, che porta alla conclusione tutta la narrazione che segue.

Secondo la mente di Marco, e dei tre Evangelisti che lo precedette-ro, Matteo e Luca, e lo seguirono, Giovanni, "l'Evangelo" si sostanzia di "parole e fatti" del Signore, i detti e le opere di lui che vanno annun-ciati sempre. Allora si ha idealmente questa disposizione:

a) le parole: si tratta sia di molte parole isolate, i "detti" o lógia, sia an-che di discorsi strutturati, benché 2 soli: il "discorso delle parabole" (4,1-34), e il "discorso escatologico" (13,1-37). Sono presenti anche le

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discussioni, o dispute di Gesù; in Galilea: 2,1-12, per il paralitico e la remissione dei peccati; 2,18-22, sul digiuno e lo Sposo; 2,23-28, sul Si -gnore del sabato; 3,20-30, sull'accusa di possessione diabolica; 7,1-23, sul "comandamento di Dio" e le tradizioni umane; in Giudea e Gerusa -lemme: 10,1-12, sul matrimonio; 11,27-33, sull'autorità di Giovanni "il Battista"; 12,13-17, sul tributo a Cesare; 12,18-27, con i sadducei sulla resurrezione finale; 12,28-34, sul "primo dei comandamenti"; 12,35-37, sul Figlio di David e Signore.

Le parabole di Marco, paragonate con quelle di Matteo e di Luca, formano un patrimonio ristretto, sia pure significante. Esse sono in tut to 7: 4,1-20, sul seme della Parola; 4,21-22, sulla lucerna; 4,26-29, sul la semina e la crescita spontanea; 4,30-32, sul granello di senapa, "e molte altre" (vv. 33-34) non narrate da Marco; 12,1-12, sui vignaioli in -fedeli, protervi ed omicidi; 13,28, sul fico quando fiorisce; 13,34-37, sul portinaio che vigila;

b) i fatti operati dal Signore formano una narrazione singolarmente tes -suta, compatta; essi si distinguono in operazioni di vario genere, come ad esempio la vocazione dei discepoli, i viaggi, le preghiere del Signore, il Battesimo, le tentazioni, la Trasfigurazione, la Morte e la Resurrezione con tutti gli episodi connessi; e, in massiccia presenza e scansione, i miracoli, il cui solo elenco, che oltre tutto occupa ben 160 versetti circa, dì 661 di tutto l'Evangelo, realmente impressiona:

1) l'ossesso di Cafarnao: 1,23-28;2) la suocera di Pietro: 1,29-31 ;3) al termine della "giornata ideale", la sera, "molti": 1,32-34;4) il lebbroso: 1,40-45;5) il paralitico di Cafarnao: 2,1-4.10b-12;6) la mano inaridita: 3,1-6;7) seda la tempesta: 4,35-41;8) l'indemoniato di Gerasa: 5,1-20;9) resuscita la figlia di Giairo: 5,21-24.35-43;

10) l'emorroissa: 5,25-34 . ; . , , , . .10)l'emorroissa:5,25-34;11) la la moltiplicazione dei pani e dei pesci: 6,35-44;12) cammina sulle acque: 6,45-52;13) molte guarigioni a Genesaret: 6,53-56;14) guarisce la figlia della Sirofenicia: 7,24-30;15) il sordomuto: 7,31-37; . . .16) la 2a m°ltiplicazione dei pani e dei pesci: 8,1-10;17) il cieco di Betsaida: 8,22-26;18) il giovane epilettico: 9,14-29;19) il cieco di Gerico, Bartimeo: 10,46-52;20) inaridisce il fico sterile: 11,12-14.20-22.

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Marco quindi procede in forma autonoma ed originale. Matteo e Luca invece introducono molto più materiale di "parole", sia parabole, sia discorsi, sia insegnamenti dottrinali e morali vari. Giovanni intervalla i grandi discorsi dottrinali con la serie dei 7 "segni" miracolosi.

Vista come un tutto, la narrazione marciana, secondo l'immagine di qualche moderno, come accennato, sembra un corpo piuttosto esile, "le parole ed i fatti", con una testa molto più ingente, la narrazione della Passione e della Resurrezione.

E proprio per avere presentato poco materiale discorsivo, di inse-gnamento, sul quale esercitare le spiegazioni dottrinali e le stesse ome-lie, Marco nei secoli ha conosciuto poca fortuna. È stato non solo poco commentato dai Padri d'Oriente, anche siri, e d'Occidente, ma neppure è stato usato, se non raramente, nelle liturgie d'Oriente e d'Occidente. È una strana ingiustizia verso uno straordinario documento apostolico.

Per questo oggi si parla di riscoperta moderna di Marco. E per fortu-na la letteratura esegetica su lui è molto vasta ed approfondita. Perciò, tenendo conto della trascuranza teologica e pastorale di Marco nella Tradizione, e presso gli stessi teologi nei secoli, quasi fino a noi, si de-ve dire che il recupero teologico di Marco va salutato come un avveni-mento: vero e felice, ecclesiale, teologico, spirituale, storico, pastorale.

Qui poi si tratterà della lettura celebrativa di Marco, secondo le leggi e le tecniche descritte sopra. Tale lettura per natura sua punta anzitutto al concreto, ai contenuti; essa solo remotamente, di sfondo, può tenere conto del lavorio storico, critico e letterario. Ogni contri-buto di sana esegesi è accolto, ma le questioni e le ipotesi sotto di-scussione sono lasciate ai competenti. Infatti la Chiesa credente ed orante procede così, che usa il Testo sacro come Realtà salvifica glo-bale, secondo come la Tradizione ininterrotta ha sempre fatto con la Scrittura. Ed usa il Testo attuale, che è l'originale, con tutte le "vir-tualità" di cui si è trattato sopra, quelle che generazione dopo genera-zione risultano dalla lettura attenta, di fede e di amore, "della Bibbia letta con la Bibbia" nella Tradizione.

2. Lo schema di Marco

La migliore esegesi moderna scopre che in Marco in quanto "Evan-gelo" si ha come una duplice disposizione ordinata di dati, desunta da Matteo e Luca che lo precedono e da cui desume il "modo".

Il suo autore infatti organizza il materiale a lui noto sulla Vita del Si-gnore secondo uno schema anzitutto teologico: dopo la Resurrezione, a causa della Resurrezione, a partire dalla Resurrezione. Perciò è posta in atto la "lettura Omega", tale che dalla Fine si postuli, si illumini e si spieghi il suo Alfa, il suo Inizio, e questo corra verso l'Omega. Ora,

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questo Omega è il materiale essenziale, nucleare, è il kèrygma della tra-dizione più antica: la Resurrezione e la Croce, con i fatti attinenti. Si scopre allora uno schema singolare, che si può delineare così:

A) la Resurrezione: 16,1-8; 9-20, aggiunta finale;la Croce: 14,1-15,47;

B) il discorso escatologico: 13,1-37;

C) l'ultimo ministero a Gerusalemme: 11,1 - 12,44;

D) la "cerniera": il ministero dalla Galilea a Gerusalemme: 8,27 -10,52; al centro, la Trasfigurazione;

E) il primo ministero messianico in Galilea: 1,14 - 8,26;nucleo propulsivo, il Battesimo, 1,9-11;

F) il titolo ed il "prologo": 1,1 e 2-15.

Il questo schema così apparentemente semplice sta tutto il Mistero divino rivelato, "donato" (4,11) nella sua pienezza agli autentici disce-poli del Signore, a partire dal suo culmine, la Resurrezione del Croci-fisso, e ripercorrendo l'adempimento delle Scritture, l'A.T., e postulan-do anche, di necessità, la lettura del resto del N.T. come totalità costitu-tiva con l'A.T. È chiaro che Marco, membro integrante e vivente della "Chiesa degli Apostoli", della quale conosceva a fondo la vita e la mis-sione, rimanda silenziosamente, allusivamente al resto di tutti i fatti della Vita del Signore: "quelli (gli Apostoli) usciti proclamarono il kèrygma dappertutto, il Signore collaborante (con essi) e la Parola con-fermante attraverso i 'segni' accompagnanti" (16,20). Marco li vide e ascoltò e interrogò. Allora ogni fedele lungo le generazioni deve infor-marsi, ed anzi essere informato dovutamente dagli Apostoli, sul kèryg-ma, sulla sua diffusione "dappertutto", a "tutta la creazione", sulla "collaborazione" del Signore Risorto, sulla "confermazione" causata dalla Parola rispetto ai "segni" prodigiosi che il Signore con la Parola sua produce, e dona quale necessaria compagnia agli Apostoli. È que-sta la vita della comunità cristiana del N.T., e dopo.

La seconda ordinanza dei "fatti e detti" della Vita del Signore, corre-lativa alla prima, è disposta secondo la visuale teologica che implica di necessità una narrazione storica. Anche qui Marco segue Matteo e Lu-ca. Gli eventi reali che nello Spirito il Signore ha vissuto e provocato, sono narrati nell'ordine cronologico in cui si sono effettivamente svolti, benché sempre con la teologia che guida la visuale: dal Battesimo nello

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Spirito alla "confermazione" nello Spirito Santo in occasione della Tra-sfigurazione, fino alla Gloria dell'Ascensione ed alla Presenza parusia-ca indefettibile ai discepoli inviati in missione. I discepoli di allora han-no "visto ed ascoltato" i "fatti e detti" del Signore in quell'ordine preci-so. Allora si scopre anche l'altro dato decisivo, che il Signore con lo Spirito Santo ha operato una unica e medesima rivelazione ai discepoli di allora, ed a quelli che sono vissuti dopo di essi fino a noi, però in due aspetti: uno "catechetico" e preparatorio, che corre dalla prima predica-zione del Regno alla Croce, e l'altro "mistagogico" e definitivo, che consiste nella visione della Resurrezione come "il Fatto" che da senso a tutti gli altri Fatti.

Su questo si rimanda a quanto detto in proposito trattando di Matteo, sopra.

Questa è la Manifestazione divina completa.Così la narrazione evangelica come si ha adesso, è e resta quale va-

lida forma di "catechesi" per i catecumeni. Ma i battezzati sanno e deb-bono leggerla dalla sua pienezza. Tuttavia, sia i catecumeni, sia i bat-tezzati debbono farsi e restare per sempre discepoli del loro Signore, ed esercitarsi di continuo a seguirlo lungo la sua Vita storica, come gli Apostoli di allora — adesso, nel "continuo celebrativo" con tutte le sue leggi. Di questo si è già parlato, tuttavia se ne dovrà ancora parlare in seguito.

Adesso va presentato lo schema di Marco secondo il testo attuale.

SCHEMA GLOBALE DI MARCO

1,1-15: PROLOGO1,16 - 8,26: MINISTERO MESSIANICO IN GALILEA8,27 - 9,50: INTORNO ALLA TRASFIGURAZIONE10,1 - 15,47: MINISTERO DELLA CROCE16,1 - 20: RESURREZIONE, GLORIFICAZIONE, INVIO IN MISSIONE

SCHEMA PARTICOLARE

PROLOGO: 1,1-151,1: Titolo: Evangelo e il Figlio di Dio1,2-8: la prodrome, precorsa di Giovanni il Battista

2-3: la profezia su lui4-8: la predicazione su Colui che viene9-11: il Battesimo del Signore12-13: le tentazioni14-15: predica l'Èvangelo del Regno, la conversione e la fede

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A. IL MINISTERO MESSIANICO IN GALILEA: 1,16 - 8,26

1,16-20: chiama i primi discepoli 1,21-2,12: a Cafarnao

21-22: insegna con exousia, l'autorità23-26: guarisce l'indemoniato27-28: la fama che "insegna con exousia"29-31 : guarisce la suocera di Pietro32-33: guarisce molti dopo il tramonto: la giornata simbolica35: prega nel deserto36-38: lo cercano38-39: predica per la Galilea ed espelle i demoni40-45: guarisce il lebbroso2,1-12: guarisce il paralitico

2,13-14: chiama Levi15-16: convito in casa di Levi; Gesù il Medico dei malati18-20: il digiuno per lo Sposo: allusione alla Passione21-22: vino nuovo ed otri vecchi23-28: le spighe di sabato e il Signore del sabato

3,1-6: guarisce la mano inaridita 3,7-10: presso il mare; guarisce molti

11-12: i demoni lo riconoscono3,13-19: sul monte: chiama "i Dodici", li istituisce e li invia 3,20-27: i suoi cercano di riprenderselo, accusato di satanismo; disputa

28-30: la bestemmia contro lo Spirito Santo31-35: i suoi Lo cercano, la vera famiglia di Gesù

4,1-34: presso il mare, le parabole1,2: insegna molto in parabole3-12: la parabola del seme della Parola13-20: la sua spiegazione21-25: aggiunta alla spiegazione: la lampada e il moggio26-29: la parabola della semina e del raccolto30-32: la parabola del granello di senapa33-34: insegnamento normale in parabole, e spiegazione ai discepoli

4,35-41: seda la tempesta del lago 5,1-20: a Gerasa, guarisce l'indemoniato 5,21-42: presso il mare

21-24.35-42: resuscita la figlia di Giairo25-34: guarisce l'emorroissa

6,1-2: aNazaret, insegna3,6a: i suoi lo rigettano; opera pochi miracoli

6,6b: insegna dovunque 6,7 - 8,26: la "sezione dei pani"

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6,7-13: invia i Dodici 14-16: Erode e Gesù

17-29: Erode fa assassinare Giovanni il Battista 30-32: i Dodici tornano, Gesù li raduna 33: la folla si raduna per lui 34: insegna a lungo alla folla 35-44: moltiplica i pani e i pesci la la volt a 45-52: cammina sul lago 53-56: guarisce molti7,1-23: il "comandamento di Dio" e la "tradizione degli uomini"; di-

sputa7,24-8,26: il Fenicia e Dodecapoli 7,24-30: guarisce la figlia della Sirofenicia 31-37: guarisce il sordomuto: Ejfata! 8,1-9: moltiplica i pani e i pesci la 2a volt a 10-13: aDalmanuta: nega il "segno dal cielo" 14-15: mette in guardia dal "lievito dei farisei" 16-21: i discepoli "dimenticano di prendere i pani" 22-26: guarisce il cieco di Betsaida

B. INTORNO ALLA TRASFIGURAZIONE: 8,27 - 9,50

8,27-30: Pietro confessa la fede messianica 31 : Gesù predice la Passione e Resurrezione per la la volt a 32-33: Pietro "satana" 34-37: il vero discepolo del Signore 38: il Figlio dell'uomo viene nella gloria 9,1: con lui viene il Regno

9,2-8: GESÙ È TRASFIGURATO 9: il Figlio dell'uomo risorge dai morti 10-13: Elia è tornato 14-27: la fede nel padre dell'epilettico

Gesù ne guarisce il figlio 28-29: la fede dei discepoli30-32: Gesù predice la Passione e Resurrezione per la 2a volt a 33-50: istituisce gli Apostoli

C. IL MINISTERO DELLA CROCE: 10,1 - 15,47

10,1: Gesù sale a Gerusalemme, ed insegna sempre alla folla 2-12: disputa sul matrimonio indissolubile

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13-16: benedice i bambini del Regno17-22: chiama il giovane ricco23-27: è difficile che i ricchi entrino nel Regno28-31 : la ricompensa per i discepoli che abbandonarono tutto32-34: Gesù predice la Passione e Resurrezione per la 3a volt a

35-40: i figli di Zebedeo, la Coppa e il Battesimo di Gesù41-45: il Figlio dell'uomo venuto per servire, non per essere servito48-52: guarisce il cieco di Gerico, Bartimeo

11,1-13,37: a Gerusalemme11,1-11: Gesù entra come Re messianico a Gerusalemme12-14: inaridisce il fico sterile15-19: purifica il tempio20-26: la fede di Dio e la preghiera efficaci27-33: disputa sul suo operare "con autorità"12,1-9: parabola dei vignaióli protervi e omicidi10-12: parabola sulla "pietra d'angolo" rigettata13-17: disputa sul "date a Cesare"18-27: disputa con i sadducei sulla resurrezione28-34: disputa sui due comandamenti principali35-37: il Figlio di David Signore di David38-40: messa in guardia contro i farisei41-44: la vedova e tutto il suo obolo

13,1-37: il "discorso escatologico"1-2: distruzione del tempio3-8: il principio dei dolori finali9-13: la persecuzione a causa dell'Evangelo14-15: la tribolazione finale in Giudea16-23: la tribolazione grande universale24-27: la Parousia, Presenza-Venuta del Figlio dell'uomo28: la parabola del fico e l'estate vicina29-30: l'imminenza di tutti questi fatti31 : la Parola non passa mai32: nessuno conosce "il giorno e l'ora", solo il Padre33-36: la parabola del portinaio vigilante37: imperativo finale: "Vigilate!"

LA PASSIONE: 14,1 - 15,47

14,1-2: il sinedrio congiura3-9: Gesù unto a Betania10-11: Giuda tradisce il Signore

14,12-26: la Cena Prima12-16: è preparata dai discepoli

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17-21 : Gesù preannuncia il traditore22-25: istituisce l'Alleanza nel suo Sangue e nel suo Corpo26: escono dalla Cena cantando "l'inno"27-31: Gesù predice l'abbandono di tutti e che Pietro rinnegherà

14,32-42: al Getsemani43-52: Gesù è catturato 14,53-65:

è processato dal sinedrio66-72: Pietro lo rinnega 3' volte

15,1-14: è processato da Pilato

LA MORTE: 15,15-41

15,15: è flagellato16-18: è coronato di spine e rivestito di porpora19: è percosso, sputacchiato, schernito20-22: verso il Golgota23-25: è crocifisso26: il cartiglio della Croce27-28: i due ladroni29-32: la triplice tentazione escatologica33-36: l'agonia "Elói, Elòil", l'aceto37: MUORE

38: il velo del tempio si squarcia39: il centurione professa la fede nel "Figlio di Dio", cf. 1,140-41: le Donne fedeli presenti alla Croce

LA SEPOLTURA: 15,42-4642-46: è sepolto47: le Donne presenti alla sepoltura

D. LA RESURREZIONE, LA MISSIONE DEI DISCEPOLI, L'ASCENSIONE E LA

PRESENZA PERENNE AI DISCEPOLI: 16,1-20

16,1-8: Gesù risorge, appare alle Donne fedeli e le invia ai discepoli 9-11: appare alla Maddalena 12-13: appare a due discepoli, cf. Emmaus 14: appare agli Undici a mensa 15-18: invia i discepoli a predicare l'Evangelo "dovunque a tutta la

creazione"19: ascende alla Destra di Dio20: promette la presenza perenne ai discepoli in missione: con la Pa-

rola, le opere, i "segni"

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

3. Teologia di Marco

Si possono qui suggerire solo alcuni spunti teologici su Marco, utili ad illustrare poi il testo nella sua collocazione specifica lungo il Lezio-nario. È chiaro che quanto segue deve essere riscontrato, e controllato, sul testo integrale di Marco, specialmente, per chi è in grado, sull'inso-stituibile originale greco. Avanzando, si tiene naturalmente conto di tutto quello che è stato esposto in precedenza.

Il primo punto che deve interessare, intanto, è lo scopo di Marco quando scrive, per tutto il mondo, il suo "Evangelo di Gesù Cristo Fi-glio di Dio" (Me 1,1 titolo): tale scopo è molteplice, e si rivolge anzi-tutto agli uomini. Si possono così indicare 4 direttrici principali, ma convergenti:

a) la celebrazione della comunità. Per la quale-l'Evangelo proprio in quanto scritto, proviene suppone ed esige dopo

di sé una rigorosa oralità. Esso è certamente "uno scritto da leggere", oggetto dunque di lettura e di letture diverse tra esse (fede, devozio-ne, studio, interesse storico, interesse culturale, interesse letterario...), ma è destinato primariamente ad essere proclamato insieme alle "Sante Scritture", ossia l'A.T., nella comunità credente, orante, ope-rante nel mondo;

- infatti l'"Evangelo del Figlio di Dio", dunque Evangelo di Dio e dellasua grazia, è anzitutto il kèrygma apostolico, la predicazione o an-nuncio che per definizione deve essere comunicato a viva voce: da persona a persone. L'Evangelo riporta il kèrygma cristologico, e questo, come si deve ripetere sempre, implica di rigore che si tenga sempre in mano l'A.T., al quale è fatto costante e sostanziale rinvio, e che si conosca e si viva la vita della comunità apostolica, alla quale sfocia;

- proclamato nella celebrazione della comunità, l'Evangelo deve essereoggetto di necessaria omelia mistagogica celebrativa; questo si nota già nelle strutture globali del N.T.;

- esso deve provocare la comunità credente alla homologia, la confes-sione-professione di fede che è riaffermazione continua del credere vivo;

- e deve portare all'adorazione del Dio Vivente, il cui "segno" è il Con-vito del Regno a cui partecipa il Signore Risorto, e alla dossologia gioiosa al Padre mediante il Figlio pronunciata nello Spirito parlante nei fedeli;

b) la mistagogia battesimale: benché non sia terminologia marciana:- dairEvangelo i battezzati debbono essere istruiti nelle Realtà che

hanno ricevuto con il battesimo nella fede, e tale istruzione è la dida-

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che, didaskalia, l'insegnamento dottrinale ricco, quello che poi i Pa-dri chiameranno mystagògia, "condurre i mystai, gli iniziati" al Mi-stero. Il Mistero è del Regno, ed è portato sempre dall'Evangelo;

- ancora dall'Evangelo va tratta la continua esortazione alla vita di fede, laparàklèsis, ed alla vita in Cristo nello Spirito che "edifica", perusare l'espressione paolina, la paràinesisper la oikodomè;

- da esso va tratta anche la apologia, la difesa della verità sul Signore ele Realtà che porta agli uomini, da esporre ai credenti, da opporre aimeno credenti ed ai nemici della fede;

e) la catechesi battesimale, che prosegue quella ricevuta dai discepoli di allora:

- 1'Evangelo è materia immediata di istruzione e meditazione e preghiera, condotte sulla Vita terrena di Cristo battezzato e trasfigurato dalloSpirito, morto e resuscitato ad opera dello Spirito; così per mano dellacomunità degli Apostoli del Signore, ma ad opera del medesimo Spirito, ogni credente e convertito sarà battezzato, e preparato alle Realtàdivine trasfiguranti del Regno. È chiaro che tale catechesi deve comprendere, nel suo ordine proprio, tutti i punti finora considerati;

d) la recezione-tradizione nella comunità dei discepoli del Signore:- l'Evangelo sono le "parole e fatti", che nello Spirito il Signore ha

parlato ed operato, rivelando il Regno, manifestando la Volontà delPadre, e che seguita a donare ai suoi discepoli;

- il Signore dunque ha consegnato queste Realtà, gr. paradidómi, dacuiparàdosis, consegna, "tradizione";

- ed il suoi discepoli da lui hanno ricevuto, gr. paralambànó, da cuiparàlèpsis, accettazione grata;

- dal Padre mediante il Figlio nell'opera dello Spirito, si forma così peril "comandamento di Dio" la catena "tradente", dalla quale i primidiscepoli, insieme, sono resi "accettanti" ed a loro volta "tradenti", ecosì per il futuro già previsto. Marco conosce bene questa "tradizione" del "comandamento di Dio", che oppone alle semplici "tradizionidegli uomini" (7,8).

Tenendo presente tale quadro, si può schematizzare qualche punto di teologia.

a) Dio, il PadreNel più rigoroso monoteismo dell'A.T., quello biblico ed ebraico,

che il Signore stesso ha insegnato esclusivamente, ed è perciò anche cristiano ed apostolico — il Simbolo battesimale di Nicea-Costantino-poli nell'originale greco détta così: "Io credo neffl Unico Dio, che è il

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

Padre Onnitenente, Fattore del cielo e della terra, di tutte le realtà visi-bili ed invisibili"; si confrontino qui eventualmente le inesatte, versioni correnti... —, Marco racchiude la Persona del Dio Invisibile già dal v. 1,1: "Inizio dell'Evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio" in corrispon-denza con il v. 16,19, il penultimo dello scritto: "II Signore Gesù, dopo parlato ad essi (i discepoli), fu assunto al cielo e fu intronizzato alla Destra di Dio"; i due ultimi passivi sono modi di dire per attribuire l'o-perazione a Dio con lo Spirito, tuttavia per sommo rispetto non nomi-nandolo, tipico uso ebraico.

Ora, i vv. 1,1 e 16,19 formano l'imponente "inclusione letteraria" che racchiude tutta la narrazione, ed esprime plasticamente che tutto viene da Dio, anzitutto il Figlio con lo Spirito, e tutto torna a Lui, anzi-tutto il Figlio con lo Spirito.

Il Dio Unico adesso invia "il Figlio suo", l'Unico, "il Diletto". Con questi titoli Lo battezza nello Spirito Santo, e Lo "conferma" nello Spi-rito Santo trasfigurandolo con la Luce eterna divina increata nella sua Umanità, conferendogli e "confermandogli" così la specifica missione messianica e salvifica. Il contenuto di questo è "l'Evangelo", che porta in Cristo con lo Spirito "i tempi compiuti, il Regno venuto", ed esige la conversione e la fede (1,14-15), quindi le opere del Regno. Per ristabi-lire i diritti di Dio, il Figlio con lo Spirito annuncia l'Evangelo ed attua le opere dell'Evangelo. Dunque chiama i discepoli, li forma, li istitui-sce, insegna che ad essi il Padre "dona il Mistero del Regno" (4,11), li invia. Prende possesso delle realtà create del Regno (miracoli come se-dare la tempesta, camminare sulle acque), espellendone l'Avversario del Regno, il Nemico di Dio e degli uomini, il Maligno, guarendo ogni male fisico e spirituale, dando cibo, resuscitando i morti. Rivela il Di-segno antico di Dio per gli uomini suoi figli (ad esempio sul matrimo-nio: 10,1-12); che ha preparato il Regno per essi (i posti di onore: 10,40), l'Eredità divina che è ormai trasmessa (12,1-12).

Rivela che Dio è Dio dei viventi (12,18-27), l'Invisibile manifesta-tosi a Mosè nel Roveto (ivi; cf. Es 3,1-14), e adesso nel Figlio Unico, il Diletto, ultimamente e definitivamente. Egli va amato al di sopra di ogni realtà (12,28-30), ma insieme, e per così dire, attraverso il prossi-mo (12,31-34).

E unicamente di Dio, il Figlio ristabilisce i diritti. Drasticamente. Fi-no alla predisposizione del Disegno eterno, imperscrutabile per chiun-que, ignorata dal Figlio stesso (nel "discorso escatologico", 13,1-37, cf. il v. 32); testo difficile già per la prima generazione, per i Padri, per noi moderni; che subisce diverse interpretazioni possibili, ma resta para-dossale perché tale il Figlio vuole che resti.

A Dio rende il culto il Figlio, pregando sempre, solitario, ma anche nella comunità sinagogale, di sabato. Lui "benedice" nella Cena, sui

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"segni" santi del pane e della coppa, posti così in comunione con il Pa-dre, che li riempie dello Spirito Santo suo e ne fa il Corpo e il Sangue della sua Alleanza nel Figlio (14,22-25). Lui supplica epicleticamente al Getsemani per l'allontanamento della Coppa fatale (14,39-42), con il termine supremo, 'Abbà'!, propriamente "Papa!" (14,36), che indica l'amore totale e l'abbandono illimitato alla Volontà paterna. A Lui si affida come Oblazione integrale sulla Croce, ancora pregandolo, con il Salmo della gioiosa speranza finale e del Convito futuro (15,24-39, al v. 34, Sai 21,2, di cui non pronuncia solo le prime e laceranti parole "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", ma tutto il testo — così i Padri antichi, così la migliore esegesi moderna, come riscoperta fondamentale).

Da Dio questo Figlio Unico, straziato dalla morte e sepolto, "fu re-suscitato" (16,6: ègérthè, da egéiró, risvegliare: "passivo della Divi-nità", indica Dio senza nominarlo).

A Dio, il Padre suo, finalmente torna, da Lui "assunto" per introniz-zarsi nella Gloria del Regno (16,19).

Per il Padre, il Dio suo e Dio nostro, il Figlio Dio nello Spirito Santo ha compiuto dunque per intero l'indicibile Economia della Grazia e della Bontà a favore di tutti gli uomini.

E per il Signore Gesù, Dio Padre resta la fonte unica, il Centro tota-le, il Termine immancabile. E questo predica agli uomini. E questo noi da Lui "riceviamo" e viviamo.

b) Lo Spirito SantoAlcuni critici, più reticenti, sono restii ad attribuire una pneumatolo-

gia vera e propria a Marco; tra gli altri argomenti, sta la relativa esi-guità delle citazioni sullo Spirito Santo; tanto meno da Marco si potreb-be dedurre una dottrina trinitaria, sia pure in abbozzo.

Vediamo anzitutto le citazioni certe sullo "Spirito" in Marco":

-1,8 : Giovanni annuncia il futuro "battesimo nello Spirito Santo" por-tato da Cristo;

-1,10: "lo Spirito" discende su Gesù al Battesimo del Giordano; -1,12: "lo Spirito spinge subito" Gesù nel deserto, in cui è tentato;- 3,29: è irremissibile la "bestemmia contro lo Spirito Santo";- 12,36: lo Spirito Santo ispira David a comporre il Sai 109;- 13,11: nei fedeli perseguitati parla lo Spirito Santo;- 9,7: va aggiunto di necessità, sulla base di paralleli, che la Nube della

divina Gloria, che "adombra" (episkiàzó, medesimo in Le 1,35 per loSpirito Santo che "adombra" Maria) Gesù stesso e i discepoli allaTrasfigurazione.

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Sembra laconismo; si amerebbe una esplicitazione più diffusa. E tut-tavia, da questo "relativamente poco" marciano sullo Spirito Santo, si può dedurre facilmente la serie completa, imponente di fatti, che sulla base di tutte le Scritture i Padri hanno solo codificato, ma felicemente, così: "Lo Spirito precede, accompagna e segue Cristo" (S. Gregorio il Teologo):

a) precede Gesù: ispira gli Autori sacri (qui: David) che nelle ScrittureSante parlarono di Cristo;

b) accompagna Gesù:- Gesù è battezzato dallo Spirito nella Voce del Padre, e riceve titoli e

funzioni della sua investitura messianica, e la sua missione; la dimoradello Spirito in lui è permanente (esplicito: Gv 1,29-34);

- nello Spirito vince le tentazioni nel deserto;- nello Spirito annuncia l'Evangelo (1,14-15) e opera le "opere del Re-

gno" (1,16ss);- dalla Nube dello Spirito, con la Luce e la Voce del Padre, è "confer

mato", nell'investitura battesimale che conduce alla Croce imminente, al momento della Trasfigurazione;

- nello Spirito annuncia e manifesta l'Evangelo supremo, l'Opera suprema del Regno: la Croce;

e) segue Gesù:- Cristo Risorto battezzerà i discepoli "nello Spirito Santo", 1,7 che ri

chiama 16,16, dopo la Resurrezione, quando i discepoli battezzati diventano a loro volta annunciatori dell'E vangelo e battezzatoli per lafede che susciteranno;

- da Cristo Risorto lo Spirito inabiterà nei fedeli battezzati, e "parla inessi" (cf. anche Gai 4,4-6; Rom 8,14-18, spec. 15, e 26-27), quandoinevitabilmente saranno perseguitati "a causa di lui e dell'E vangelo".

Così Cristo appare anche come l'unico Pneumatoforo, Portatore del-lo Spirito del Padre, ed unico Battezzatore con lo Spirito.

Questi punti sono sufficienti per conoscere almeno l'opera determi-nante dello Spirito Santo nella Vita storica del Signore, e poi nella vita dei suoi fedeli. Ma del resto è buona norma in teologia biblica di non fermarsi mai ad un solo testo, sia pure importante, poiché "la Scrittura si legge con la Scrittura", regola d'oro, completando così tutto il qua-dro esegetico. Marco va letto con tutto il resto della Scrittura, senza ap-portare al suo testo violenza, ma avvertendo sempre l'esplicitazione ri-cavata da paralleli e da altri testi.

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c) Cristo "Inizio dell'Evangelo", suo Contenuto e FineMarco di Cristo annuncia e predica e narra che Egli è il Figlio di

Dio, che adempie in pienezza il Disegno di Dio rivelato nell'A.T., e porta nello Spirito la Manifestazione totale di Dio Padre. La visuale, per usare la terminologia dei Padri, è sempre triadica, ed "economica" (nel senso che tratta della "storia della salvezza", e non della Triade di-vina in sé).

Dal Battesimo di Cristo, con il Dono dello Spirito del Padre, si co-noscono e si comprendono anche i suoi nomi e titoli, indicanti realtà e funzioni, divine ed umane: Gesù, Gesù Cristo, Gesù di Nazaret (dall'i-nizio, 1,9, fino alla Resurrezione, 16,6), l'Uomo, il fabbro, il Figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joset, di Giuda e Simeone, con le sue "sorelle" (6,3; si tratta di cugini o "fratelli-cugini"), il Maestro e Profe-ta, il Sapiente con autorità e potenza (exousia, dynamis), il Rabbì, Rab-bunì. E Dio: il Figlio di Dio, l'Unico, il Diletto del Padre (1,11), "il Si-gnore" (7,28; 11,3; 16,20, versetto finale!), "il Signore Gesù" assunto nella Gloria divina (16,19), "il Signore del sabato" come Figlio del-l'uomo (2,28).

Come Figlio dell'uomo, nell'umiltà della condizione umana assunta, è portatore unico della funzione messianica, il solo titolo del resto da lui rivendicato (2,10.28; 8,31; 9,9.12.31; 10,33.45; 13,26; 14,21 (2vol-te).41.61).

Come Servo di Dio venuto per servire e non per essere servito, e porre la sua vita per i molti (10,45; cf. Is 52,13 - 53,12), il Figlio del-l'uomo è deputato divinamente ad essere disconosciuto, abbandonato dai suoi, a soffrire, a morire. È rivelato Servo fin dal Battesimo con lo Spirito (1,11, nell'espressione "in lui Mi compiacqui", che rimanda aIs 42,1, il 1° "carme del Servo sofferente"). E proclama questa sua depu-tazione, funzione e missione: nelle 3 predizioni della Morte e Resurre-zione (8,31; 9,31; 10,33-34); essendone "confermato" alla Trasfigura-zione (9,9.12); e ribadendole nella volontà di "servire e non essere ser-vito" (10,45, sopra); e poi nella Cena a proposito della sua morte immi-nente (14,21), con la dura allusione a chi tradisce il Figlio dell'uomo (14,21); e finalmente nell'annunciare che la sua sorte si compie già nel Getsemani, alla cattura (14,41). Infine, con chiarezza audace, e citando insieme Sai 109,1 e Dan 7,13 (passo originante della figura del "Figlio dell'uomo"), davanti al sinedrio, dietro preciso interpello del sommo sacerdote (14,62) mostra che il Figlio dell'uomo è anche Esistenza di-vina, e destinato come tale, compiendo le Realtà divine, alla Gloria fi-nale (13,26, discorso escatologico; 14,62, la sua Venuta nella Gloria di-vina), "la Gloria del Padre suo" (8,38).

L'insistenza della rivelazione di Cristo è sul compimento finale del Disegno divino per gli uomini, contenuto nelle "Scritture", l'A.T: 9,12;

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10,38; 10,45 (su Is 53,10-13); "secondo quanto fu scritto (= da Dio, passivo della Divinità) di lui": 14,21.49; 14,62 (su Sai 109,1; Dan 7,13); 14,65 e 15,15-20 (suIs 50,6); 15,27 (suIs 53,12); 15,34 (su Sai 21,2); nelle 3 predizioni della Morte e Resurrezione già richiamate (8,31; 9,31; 10,33-34).

Il Signore annuncia questo Disegno salutare, di cui è totalmente consapevole, già quasi all'inizio della sua Vita pubblica, nel lógion sullo "Sposo che sarà tolto" via ai discepoli (2,19-20, eccezionale ac-cordo con i sinottici: Mt 9,15; Le 5,34-35, e con Gv 3,29, il che indica la singolare importanza del fatto). Questo compimento del Disegno non è affatto casuale, eventuale, perché la riaffermazione costante è che Dio e il Figlio suo nello Spirito non solo lo predissero (cf. qui ad es. 14,8.27), bensì anche lo vollero (cf. al Getsemani l'adesione incon-dizionata alla Volontà del Padre, 14,36, per cui alla Volontà divina del Padre e del Figlio, che è unica, si associa e coopera la volontà umana del Figlio stesso).

Gesù Cristo porta l'Evangelo di Dio ed il Regno di Dio. E tuttavia, come avevano bene compreso già i Padri della tradizione greca, fino a S. Massimo il Confessore (+ 662), Egli con lo Spirito Santo è insieme "l'Evangelo" ed il suo contenuto, "il Regno". Così che in 1,1 il titolo dell'evangelo di Marco va letto in modo che si comprenda come T'Ini-zio dell'Evangelo" sia Gesù Cristo il Figlio di Dio; e, formando la figura della "inclusione letteraria" (per cui due estremi ripetuti indicano che quanto comprendono sia da leggere come una totalità compatta), in 16,15 il Signore Risorto invia i discepoli a proseguire la sua medesima opera (cf. qui 1,14-15): "Usciti verso il mondo intero, predicate (kerys-só, come in 1,14) l'Evangelo" con tutto il suo contenuto, che è Cristo stesso. Che egli sia l'Evangelo, e che l'Evangelo sia Lui, si evince an-che da altri testi inconfondibili, come 8,35 e 10,39, in cui il Signore chiede ai discepoli la rinuncia totale ad ogni diritto ed illusione umana "a causa di me ed a causa dell'Evangelo", parallelismo che è endiadi per indicare la medesimezza.

Egli, l'Evangelo sono "il Regno di Dio", poiché "i tempi furono compiuti (= da Dio, passivo della Divinità), il Regno di Dio si avvi-cinò", ossia "sta qui". Perciò l'appello supremo consegue: "Convertite-vi e credete nell'Evangelo" (l,15a e 15b), che è l'appello a "converge-re" verso Lui, a "credere" in Lui. Quanto era atteso da sempre, ormai sta qui. Comincia adesso l'operazione ultima dell'Evangelo e del Re-gno, e i convelliti e credenti, i discepoli del Signore, dovranno prose-guirla "nel mondo intero", predicando "a tutta la creazione" (16,15).

Ma presente come Evangelo e come Regno è adesso Lui stesso, che opera dietro impulso e sotto la guida dello Spirito battesimale, e rende efficaci quelle due Realtà divine per la potenza dello Spirito annuncian-

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do l'Evangelo ed insegnandone i fatti, ed operando con potenza le mi-rabili opere del Regno.

Dietro l'apparente scarna severità di Marco, emerge invece ricca-mente e gioiosamente un ottimismo fondamentale. Nello Spirito già il Signore vince le tentazioni di satana (1,12-13), dove Adamo, gli uomini erano caduti rovinosamente. La lotta in cui dopo la caduta fatale Dio ha impegnato addirittura se stesso fino alla fine per il pieno recupero degli uomini nel suo Regno di salvezza, raggiunge adesso la sua fase decisiva, e viene il "parossismo", il culmine della Potenza divina, ma anche della potenza del Male: la Prima affrontando la seconda e vincendola, perché il Male, il Maligno impedirebbe lo stabilirsi del Regno, solo se lo potesse. Ma proprio uno dei "segni" che "il Regno di Dio sta qui" (cf. i paralleli Mt 12,28; Le 11,20), è questa lotta serrata del Signore contro ogni forma di male degli uomini, presente anche nella creazione: il Male personificato nel Maligno, le malattie, la fame, la morte, gli elementi creaturali violenti, ribelli, dannosi (la tempesta, come segno), dove sta in azione il demonio, i demoni. Ma non solo i demoni ri-conoscono per primi il Figlio di Dio, il Santo di Dio (1,24.32-34; 3,7-12; 5,6-7), bensì sono anche costretti, pur essendo come "l'uomo for-te", a farsi depredare da lui (3,22-28). In Cristo i demoni conoscono solo la loro impotenza intrinseca, e solo sconfitte definitive (1,21-28; 3,15; 5,1-20; 6,7-13; 7,24-30; 9,14-29.38). Così il Risorto dalla morte può affidare ai discepoli, per sempre, la missione di proseguire la "sua" vittoria: 16,17.

Nel "discorso escatologico" (13,1-37) tuttavia ogni discepolo è preavvertito e messo in guardia. Se in Cristo si è avuto quel "parossi-smo", un altro dovranno subire i discepoli, per conformarsi con il loro Signore. Il Male allora assumerà anche la figura e la funzione dei "se-duttori" (13,6), e dei più temuti tra essi, "i falsi messia ed i falsi profe-ti" (13,21-22).

Nella vittoria del Signore, e poi in quella dei suoi discepoli, tuttavia il Regno è liberato da ogni impedimento, è recuperato in tutti i suoi ef-fetti, è definitivamente possesso inalienabile "di Dio" e degli uomini. È la Realtà, insomma, che finalmente con il Signore e lo Spirito Santo ha riunito il Cielo di Dio e il mondo delle sue creature.

d) Gli uomini nuovi: la conversione, lafede, le opereMarco presenta come dono divino primordiale, gratuito e trasfor-

mante la conversione e la fede, le quali provengono dall'ascolto della Parola divina e dalla sua pratica operosa, in sostanza "seguire Gesù".

L'origine e la base è la stessa predicazione del Signore, che chiama alla definitività della conversione e della fede (1,14-15), già predicazio-ne di Giovanni il Battista, "il Precursore" (1,4). Per questo, come si è

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più volte detto, il Signore invia a predicarle anche i discepoli fedeli che si è scelto (6,12; 16,15-20).

Marco presenta qui però un quadro impressionante di resistenza alla conversione ed alla fede. Le espressioni sono "il cuore oscurato", "non comprendere", dubitare, problematizzare. I discepoli stessi, anzitutto, non comprendono la parabola del seme della Parola (4,13); non hanno fede e fiducia nella tempesta, poi sedata (4,40); non comprendono la moltiplicazione dei pani e dei pesci (6,52); sono turbati quando il Si-gnore cammina sulle acque (6,49-51); non comprendono l'applicazione della parabola del seme della Parola; non comprendono il miracolo del-la moltiplicazione dei pani e dei pesci (8,17-21; si notino qui le citazioni di Is 6,9-10; Ger 5,21; Ez 12,2); non comprendono il fatto che inquina l'uomo non quando entra il cibo in lui, ma quanto di malizia esce da lui (7,17-18a). Non comprendono, anzi non accettano le 3 predizioni della Morte e Resurrezione (8,31, e 32-33, Pietro "satana"; 9,31, e 32, "ignoravano 'la parola' e temevano di interrogarlo"; 10,33-34, e 31: "ed erano meravigliati e gli accompagnatori avevano paura"). Non comprendono la Cena. Anzi Giuda lo tradisce. Non comprendono il dramma del Getsemani, anzi dormono, come non avevano compreso e dormivano alla Trasfigurazione. Alla cattura, tutti abbandonano il Si-gnore fuggendo (14,50). Pietro presto lo rinnega 3 volte (14,66-72).

Perfino la Resurrezione non è accolta con la conversione e la fede. Le Donne fedeli hanno terrore, e non corrono ad annunciare il fatto ai discepoli, benché il Resuscitato glielo abbia comandato (16,8 e 6,7). Poi lo annunciano, ma i discepoli "non credettero" (16,11). Né credono ai due discepoli a cui il Risorto appare (16,12-13; cf. Emmaus). Il Ri-sorto stesso appare ad essi, e rimprovera la loro "non fede", la loro "du-rezza di cuore", pur avendolo visto (16,14). Anzi, il Signore prevede anche l'eventuale, futura "non fede" tra quanti ascolteranno l'Evangelo annunciato dai discepoli inviati, per cui afferma che solo chi crede e sarà stato battezzato si salverà (16,16b).

Tuttavia chi crede avrà a disposizione "segni" potenti: espellere i de-moni, parlare lingue nuove, prendere in mano serpenti, bere senza danno veleni, imporre le mani sui malati e guarirli (16,17). E tutto questo per la "collaborazione" del Signore presente ai credenti, per la Parola, e Parola "confermata", resa efficace nella sua veridicità, dai "segni" (16,20).

La conversione e la fede vengono dall'ascolto dell'Evangelo. Però esse senza mettere in pratica l'Evangelo sono vane (4,1-20, la parabola del seme della Parola; 3,34-35, la famiglia di Gesù è solo chi fa la Vo-lontà di Dio). La conversione e la fede, a cui il Signore esorta, rimosso ogni timore (5,36, Giairo), ottengono la "remissione dei peccati" (2,5.7.9-10, il paralitico; 11,25, parallelo breve del "Padre nostro"). Es-se insomma introducono al Signore.

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Infatti sono "conoscere", "comprendere", avere il cuore aperto, illu-minato, disposto, accettare in pienezza l'Evangelo ed il Regno (1,15), la parabola primordiale, base di ogni comprensione, quella del seme della Parola (4,13), la luce della fede da porre sul candelabro (4,23-24), il "comandamento di Dio" e non le "tradizioni degli uomini" (7,14).

Il Signore insiste nel proporre che la fede autentica è unitiva, e si at-tua nella sequela fedele di Lui. Si sviluppa così il grande tema dello "stare con", oggetto di interessanti lavori moderni: del Signore con i suoi, di questi con Lui (6,31). La fede così è pura grazia, gratuita e non meritabile mai, della divina Presenza. Infatti solo il Signore chiama e dona la vocazione (1,16-20, i primi discepoli; 2,14, Levi), a chi Egli vuole, e come Egli vuole (3,13; cf. il parallelo di Gv 15,16!). Così chi riceve il dono di grazia deve seguirlo lasciando subito tutto (1,16-20; 2,14), irreversibilmente, "a causa di lui e dell'Evangelo" (cf. 10,28-31). Non altrimenti anche le Donne fedeli (15,41).

La fede perciò è trasformante. Essa si mostra all'opera nell'uomo nuovo, nell'insegnamento del Signore e nei fatti che compie. La fede an-zitutto salva (2,5, il paralitico; 5,34, l'emorroissa; 10,52, il cieco di Geri-co), e dopo la Resurrezione salva nel sigillo battesimale (16,16). Essa, segno della santità totale e finale, intanto guarisce anche il corpo (2,5, il paralitico; 5,29.34, l'emorroissa). Per la fede che trasforma il padre (9,23-27), è guarito il figlio epilettico (9,26), e con i verbi della resurre-zione: il giovane "apéthanen/, morì!", avevano detto i circostanti, ma il Signore "ègeiren autóri hai onèste, lo risvegliò e (lui) resuscitò". La fede ricostituisce l'uomo, gli infonde nuovo coraggio (5,28, alla emorroissa, di toccare almeno il mantello di Gesù che passa; 10,49, al cieco di Geri-co, Bartimeo, di gridare ancora e più forte a "Gesù, Figlio di David!").

Ancora di più. La fede è onnipotente per chi crede, proclama il Si-gnore (9,23, al padre dell'epilettico; 11,22-24, per gli stessi discepoli nell'episodio del fico inaridito dal Signore), in quanto essa è "la fede di Dio" (11,22). Ecco perché occorre molto amore e rispetto verso "i piccoli che credono", ai quali mai deve essere usata la violenza dello scandalo (9,42). E della fede divina è tessuto l'elogio, sia a parole, sia compensan-dola con un "segno" miracoloso (2,5, la fede dei barellieri del paralitico; 5,34, la fede dell'emorroissa; 10,52, la fede del cieco di Gerico). Anche se non è nominato il termine, come nella guarigione della figlia della Si-rofenicia, che avviene "per questa parola (di fede) tua!" (7,29).

Tuttavia, occorre molto pregare per ottenere lafede da Dio (9,24; cf. il parallelo Le 17,5: "accresci la fede nostra!"). E "pregare Dio nellafe-de di Dio" (11,22-24), tutto rimettendo a Lui, senza mai tentarlo chie-dendogli prove, che non concederà mai (15,32).

La fede e la conversione, in sostanza, sono il supporto irremovibile per l'Evangelo e per il Regno, il segno che "i tempi furono compiuti" da Dio (1,14-15).

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Esse trasformano dunque l'uomo vecchio nell'uomo "nuovo", do-ve questo aggettivo è da intendersi come "ultimo", non esisterà altra e maggiore qualità. È il medesimo uomo, non "un altro", ma lui me-desimo rigenerato, trasformato. La figura completa dell'uomo nuovo in questo senso è il "discepolo povero" del Signore. Povero in quanto occorre lasciarsi fare poveri dall'Alto, e diventarlo così per defini-zione. Poiché il Signore invia per la sua missione esclusivamente di-scepoli poveri-impoveriti (6,8-9), quelli che da Dio si sono lasciati spogliare volontariamente (8,34-37), e per il solo "servire" i fratelli nel Regno (9,33-36; 10,41-45). Perciò, così nullificati agli occhi del mondo, i discepoli riceveranno da Dio molta ricompensa, la vita eterna, ma prima "con cento di persecuzioni" rispetto ai beni rinun-ciati (10,28-31). Si comprende solo qui la dura, irreformabile e irri -mediabile condanna dei ricchi, i quali come tali, e finché siano tali, "difficilmente" (semitismo, per dire "mai") entreranno nel Regno (10,24-25).

Per tutti questi discepoli, il Signore pone in atto una cura partico-lare, una formazione specifica. Anzitutto mostra l'operazione primor-diale, "stare con essi" (6,31, cf. sopra), formula ricorrente sotto vari termini. Non trascurando gli altri discepoli, Egli in specie si occupa dei "Dodici", ossia "quelli che Egli volle" (3,13), indicandosi così l'imperscrutabile scelta del Disegno divino; e "li fece Dodici", istitu-zione irreversibile del collegio apostolico, dove ciascuno e tutti insie-me portano tutti i poteri del Signore (3,14-19), e li invia poi in mis-sione (ivi); alla moltiplicazione dei pani e dei pesci fa raccogliere 12 ceste del "Pane spezzato", per indicare la prosecuzione di questo grande miracolo — moltiplicare "il Pane": della Parola, del nutrimento del corpo, della Cena divina — nella sua comunità futura, per ma-no dei Dodici (6,43), davanti ai quali e mediante i quali opera il "segno". Dopo la Resurrezione li convoca di nuovo. Senza alcun loro merito, anzi (16,7). Li ritrova (16,14, gli Undici, perché Giuda è mancato), e, se saranno sempre credenti, inviandoli in forma definitiva (16,15-20), li accompagna con la sua Presenza onnipotente ed indefettibile: collaborazione, Parola, confermazione con i "segni" potenti (16,17.20).

L'istituzione dei Dodici contempla il futuro, anche lontano, non de-scritto di più, ma accennato esplicitamente. I Dodici porteranno l'Evan-gelo, l'ascolto di conversione, la fede, le opere del Signore, per chia-mare e formare altri ed altri discepoli fedeli, affinchè "dappertutto, pantachoù", "tutta la creazione, pàsa ktisis" (16,15) abbia la Vita del Padre mediante il Risorto con lo Spirito.

e) La Comunità del SignoreMarco non nomina mai la Ekklèsia, la Chiesa; né il laós, il popolo di

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CAP. 8 - L'È VANGELO TETRAMORFO - MARCO

Dio; né il naós, il tempio dello Spirito Santo; né il sòma, il corpo di Cristo. Lo farà Paolo. Marco per designare la comunità del Signore usa un linguaggio per così dire germinale, fontale, non "primitivo" però. Egli parla attraverso le azioni concrete, simboliche, efficaci, le Realtà divine ormai portate al mondo.

La comunità, i discepoli del Signore, hanno come unica realtà e fine, intanto, il Regno di Dio, del quale sono nucleo germinale (vedi sopra, sul Regno). Questo significa, come si è visto, aderire, fare co-munione, "stare con" Cristo, seguirlo come il Portatore unico dello Spirito. E significa essere e restare i bambini che possiedono il Re-gno (10,14-15), propriamente, lasciarsi fare bambini dal Padre di Bontà. Anche i lontani, fuori della Promessa antica ed efficace sem-pre, sono chiamati a far parte del Regno, il quale è la loro Eredità di-vina per Grazia gratuita (12,1-12, la parabola dei vignaioli protervi e poi omicidi).

La comunità del Signore è stabilita quindi nello "stare del Signore con" i suoi, e di questi con lui (vedi sopra), nel condurre una vita ormai indivisa, il cui "segno" supremo è il "mangiare la Pasqua con i discepo-li" da parte del Signore (14,14), evento che significa che ormai il Re-gno è inaugurato con potenza, dalla Resurrezione.

Si ha qui la via maestra per essere introdotti al tema dell'"Alleanza nel sangue", quello "versato per i molti" (semitismo per indicare "tut-ti"; l'ebraico può esprimere "tutti" solo in due modi: con il collettivo indifferenziato kol, tutto, ad es. kol basar, "tutta la carne" = tutti gli uomini; oppure con rabbìm, molti) (14,24). Ma questa Alleanza, uni-ca operazione che unisce il Cielo e la terra, si concreta e parte dal "se-gno" storico, il più efficace, del "bere il frutto nuovo (= ultimo) della vite" nel Regno. Azione di singolarità eccezionale, in quanto è operata dal Signore stesso con i suoi discepoli, secondo la promessa, quando con la Resurrezione il Regno è inaugurato (14,24b). Tant'è, che il parallelo, Le 22,14-20, aggiunge "mangiare questa Pasqua con voi... io non la mangerò più, finché essa non sia compiuta (= da Dio, passi-vo della Divinità) con il Regno di Dio" (v. 16). Dunque il Signore se-guita nel Regno suo e del Padre il suo Convito della gioia, e quando risorge inaugura il Regno nella celebrazione comunitaria, poiché "il Regno viene con potenza {Me 9,1), la potenza inarrestabile della Re-surrezione del Crocifisso.

Va ancora aggiunto che Marco si preoccupa di riportare, dal mate-riale dottrinale del Signore, anche l'insegnamento morale: la santità (9,42-48; 7,20-23, al negativo); i due comandamenti divini principali, l'amore verso Dio e verso il prossimo (12,30-34, da Dt 6,4-5, e Lev 19,18); il perdono fraterno (11,25); la santità del e nel matrimonio, già dall'origine voluto indissolubile da Dio (10,1-12, su Gen 1.,26-27; 5,7;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

2,23-24; cf. anche Efes 5,31). Ed infine, la vita cristiana è presentata quale preghiera perenne, anzi quale offerta sacrificale permanente e to-tale, "nel Fuoco", che è lo Spirito sacrificale (9,49-50, su Lev 2,13).

Questa comunità, così delineata a tratti, anche se non descritta nei particolari (altri lo faranno: anzitutto Paolo; poi Matteo, Luca, Atti; Ebrei), è affidata come eredità preziosa ai Dodici. Essa in certo senso consiste nel permanente "annuncio dell'Evangelo nel mondo intero a tutta la creazione" (16,15, più volte richiamato), che raccoglie uomini nuovi, i credenti, da ogni parte. È ovvio, benché resti nell'implicito proprio di Marco, che i Dodici e la comunità del Signore siano come proiettati verso il futuro di Dio, nelle generazioni. E generazioni di fede e di grazia salvifiche.

Ma infine, e soprattutto, questa comunità ha un unico ed autentico Capo: Dio Padre, il Dio Unico, e da Lui Gesù Cristo, il Figlio Unico di Dio, il Diletto, il Figlio di David, il Signore Gesù che nello Spirito è risorto e glorificato (16,19), il Re della gloria, il Figlio dell'uomo ve-nuto con potenza, l'immutabilmente presente ai suoi. Egli solo nella storia concreta degli uomini, adempiendo il Disegno del Padre, raduna tutti gli "eletti" dispersi prima da ogni angolo del mondo: "dai confini della terra ai confini del cielo" (13,26-27). Così i suoi saranno intro-dotti ad intronizzarsi anche essi "alla destra ed alla sinistra" di Dio (10,40). Poiché così Dio ha disposto, ha preparato, ha attuato nella sua Volontà paterna.

È questo il significato dell'"Inizio dell'Evangelo di Gesù Cristo Fi-glio di Dio" (1,1).

Dietro l'intenzione di questo Evangelo, se si rilegge con la teolo-gia e la cura pastorale delle Epistole dell'Apostolo e maestro di Mar-co, Pietro, si riscopre anche la preoccupazione tipicamente petrina, che la cristianità romana proveniente dal paganesimo, e poi altre Co-munità della stessa derivazione, crescano nella fede e nella conoscen-za del Signore. Un capitolo poco scritto dagli studiosi è quello che ci descriverebbe il piccolo popolo dei cristiani sotto le persecuzioni dei primi 3 secoli. Che credevano, che speravano, che temevano, che amavano, di che gioivano quei padri nostri? Come attuavano la lettu-ra ansiosa dell'Evangelo di Marco che prometteva "cento di beni metà diogmòn, con persecuzioni" inevitabili {Me 10,30), con la clau-sola finale: "e poi la Vita eterna" (ivi)? Nella letteratura quasi som-mersa, come gli Oracoli sibillini, è data di rivedere in traluce questa lettura. È la situazione medesima dei fratelli nostri sotto i regimi reli-giosi che li strangolano in Oriente, e fu quella degli altri fratelli sotto i regimi politici spariti.

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - GIOVANNI

D. GIOVANNI

Dalla Tradizione, l'autore dell'Evangelo di Giovanni fu detto "ho Theológos, il Teologo" per eccellenza, non per diminuire gli altri Apo-stoli e gli altri Autori del N.T. o perfino dell'A.T., ma perché la sua contemplazione del Dio Verbo Sapienza Luce Vita Creatore aveva por-tato ad altezze singolari del Mistero divino. Come tale, attraverso i se-coli il suo Evangelo fu chiamato "spirituale", ossia massimamente tra-scendente, anche se la Tradizione più antica, espressa da S. Ireneo di Smirne (circa anno 180) dava a Marco il contrassegno di "Evangelo spirituale" (vedi il testo all'inizio del Capitolo).

La Chiesa scelse Giovanni (Gv 1,1-17) per celebrare la Divina Li-turgia che conclude la Veglia santa e grande della Resurrezione, folgo-rante Evangelo mattutino, riconoscendo a quell'Evangelo il singolare prestigio.

Data la ricchezza e la complessità di questo testo, qui ci si limita a presentare in generale, non strutturato, l'Evangelo di Giovanni, e ad in-dicare alcuni grandi temi teologici del medesimo, nella consapevolezza di non poterne dare nessuna completezza.

1. Lo schema di Giovanni

Si preferisce qui dare una struttura indifferenziata, per i motivi che saranno esposti subito dopo.

A. Il prologo: 1,1-18

B. La Vita pubblica: 1,19- 11,57

- 1,19-34: Giovanni il Battista precorre, profetizza, testimonia il Figliodi Dio

- 1,35-51: Gesù, l'Agnello di Dio (Is 53,7-8) e i discepoli del Precursore, che diventano discepoli di Lui

- 2,1-12: Gesù e la Madre alle Nozze di Cana con i discepoli- 2,13-25: Gesù purificato il tempio, presenta se stesso quale Tempio

nuovo- 3,1-21: l'incontro di notte con Nicodemo- 3,22-30: l'ultima testimonianza del Precursore su Gesù- 3,31-36: riflessione dell'Evangelista sul Figlio di Dio- 4,1-30: l'incontro a Sichar con la Samaritana; i Samaritani scendono

da Gesù;- 4,31-42: spiegazioni ai discepoli;_ 4,43-45: Gesù in Galilea;- 4,46-54: Gesù guarisce il figlio dell'ufficiale regio

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- 5,1-9: guarisce il paralitico alla piscina probatica- 5,10-47: discorso di spiegazione ai farisei- 6,1-15: Gesù moltiplica i pani ed i pesci- 6,16-21: e cammina sulle acque- 6,22-59: il "discorso sul Pane della Vita disceso dal cielo", detto "di-

scorso eucaristico"- 6,60-71: l'abbandono di alcuni discepoli e la fede di Pietro e degli al

tri- 7,1-39: alla festa delle Capanne, Gesù promette lo Spirito- 7,40-53: polemiche sul "Cristo" e su Gesù- 8,1-11: Gesù assolve l'adultera- 8,12-59: discorso di Gesù "la Luce del mondo"- 9,1-41: guarisce il cieco nato, e discorso di spiegazione- 10,1-21: il Pastore Buono, e i dissensi- 10,22-42: alla festa della dedicazione, Gesù "Unica Realtà" con il Pa

dre che sussiste in Lui, come Egli nel Padre- 11,1-45: resuscita Lazzaro, e polemiche successive- 11,46-57: complotto contro Gesù

C. A Gerusalemme: 12,1-50

- 12,1-11: l'unzione a Betania- 12,12-19: l'ingresso messianico a Gerusalemme- 12,20-36: l'incontro con i Greci- 12,37-50: l'incomprensione contro Gesù

D. La Cena: 13,1-17,26

- 13,1-20: lava i piedi ai discepoli e lo spiega- 13,21-30: predice che Giuda Lo tradirà- 13,31-35: dona il "Comandamento nuovo" della carità fraterna- 13,36-38: predice che Pietro Lo rinnegherà- 14,1-14: la Dimora nel Padre e del Padre- 14,15-31: le prime 2 promesse dello Spirito Santo-15,1-8: la Vite vera- 15,9-17: il Comandamento della carità fraterna- 15,18-25: l'odio del mondo- 15,26-27: la terza promessa dello Spirito Santo- 16,1-4: le persecuzioni per i discepoli- 16,5-15: la quarta e quinta promessa dello Spirito Santo- 16,16-23: il suo Ritorno e la gioia- 16,24-25: la fiducia dei discepoli e la vittoria sul mondo

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- 17,1-26: la "Preghiera sacerdotale" al Padre per sé e per i discepoli di allora e di tutti i tempi

E. La Passione e la Croce: 18,1- 19,42

- 18,1-10: Gesù catturato al Getsemani- 18,11: il lógion sulla Coppa- 18,12-14 e 19,24: Gesù processato dal sinedrio- 18,15-18 e 25-27: è rinnegato da Pietro 3 volte- 18,28-19,16: processato da Piiate: "Ecco l'Uomo!", e "Ecco il Re vo

stro!"-19,17-24: la Croce- 19,25-27: alla Madre: "Ecco il Figlio tuo !"- 19,28-37: la riconsegna dello Spirito al Padre, il Sangue e l'Acqua, la

testimonianza veridica del discepolo che vide- 19,38-42: la sepoltura nell'orto, nel sepolcreto, nella tomba

F. La Resurrezione: 20,1-29

- 20,1-10: Maria Maddalena scopre il sepolcro vuoto; la corsa dei duediscepoli

- 20,11-18: Gesù appare alla Maddalena e la invia ai discepoli- 20,19-23: la sera il Signore dona la Pace e lo Spirito Santo ai Dieci- 20,24-29: l'incontro con Tommaso reso credente

G. La conclusione originale: 20,30-31

- 20,30-31: la fede nel Figlio di Dio e la Vita

H. La conclusione aggiunta: 21,1 -25

- 21,1-14: la terza apparizione sul lago, la pesca, il Convito con settediscepoli

- 21,15-19: la triplice domanda a Pietro sull'amore, e l'affidamento alui del gregge

- 21,20-23: la sorte del discepolo amato- 21,24-25: la testimonianza del discepolo veridico.

Ora, su questo tessuto narrativo le proposte di divisione, ossia di schematizzazione generale e di sottodivisione delle eventuali parti, so-

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no numerose e molto diverse, ciascuna seguendo il criterio abbastanza ingenuo della logica moderna. Per fare un .unico esempio, la struttura di Gv 17,1-26, la "Preghiera sacerdotale", titolo negato dalla critica mo-derna, benché bene affermato dai Padri (ad es., S. Cirillo di Alessandria nel suo Commento a Giovanni), è così variamente divisa, e su questa base sono tratti così diversi procedimenti esegetici, che la scelta resta sempre difficile; la stessa lavanda dei piedi ha una complessità estrema. Comunque, lo schema generale è abbastanza simile a quello primario di Matteo: dal Battesimo (non narrato) alla Croce, alla Resurrezione con il Dono dello Spirito Santo, alla continua Presenza ai discepoli, mediata dallo Spirito Santo. Ovviamente Giovanni che conosce bene i Sinottici e con ciascuno di essi ha molti contatti, ha una scelta sovrana di materiali originali della Tradizione primitiva.

A titolo di esemplificazione si riporta lo schema generale proposto da un compianto autore (H. van den Bussche):

-Libro dei segni: 1,1 - 4,54-Libro delle opere: 5,1 - 12,50-Libro degli addii: 13,1 - 17,26-Libro della Passione: 18,1 - 21,25.

2. Alcuni grandi temi giovannei

Qui si danno solo cenni, data l'immane ricchezza del testo, da nes-suno padroneggiabile per intero. Per più ampie trattazioni si rimanda a commenti moderni di grande mole, e a trattazioni specifiche.

a) "IITeologo"Giovanni ho Theológos fu individuato dalla grande Tradizione,

quella greca, come l'autore dell'Evangelo (e delle 3 Epistole, con l'A-pocalisse, ma questa ultima nella tradizione liturgica e teologica greca non si legge mai): "il Teologo" per eccellenza, titolo ricorrente solo per altri due personaggi, S. Gregorio il Teologo, e S. Simeone Nuovo Teo-logo. Ora giustamente la semantica originaria di "teologo", oggi perdu-tasi quasi del tutto per le ideologie teologico-religiose, è: colui che con-templa la theologia, il "discorso di Dio", la Rivelazione, e poi, se e co-me può ne fa il "discorso su Dio", la mistagogia su Dio. Giovanni è stato ritenuto come colui che tra gli autori del N.T. ha condotto questo "discorso" duplice ma unitario fino ai limiti umani. È stato detto anche dalla Tradizione che egli ha composto 1'"Evangelo spirituale" per le al-tre sue speculazioni teologiche, dove l'autore riflette sui maggiori mo-menti della Dottrina divina ascoltata dal Signore. La più antica Tradi-zione conosciuta era certa che l'autore fosse stato testimone autorevole,

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un discepolo presente ai fatti, e identificava il misterioso "discepolo che Gesù amava" con l'Apostolo Giovanni, uno dei Dodici. E si sa che Pietro ed i figli di Zebedeo, Giacomo il Maggiore e Giovanni erano tra i principali discepoli del Signore, nell'unanimità del N.T. Si deve pur dire che gli argomenti avanzati regolarmente dalla critica moderna sempre sospettosa delle testimonianze antiche, non sono decisivi per negare questa antica tradizione.

Invece noi, dovutamente valutando Giovanni, dobbiamo rivalutare urgentemente gli altri 3 Evangeli, egualmente preziosi e insostituibili, e negare alla figura retorica, tardiva, attribuita a Giovanni, "che sovra li altri com'aquila vola", un valore assoluto: in questo senso "aquila", e che aquila!, sono il rabbino Paolo Apostolo, e l'autore di Ebrei. In più, rispetto a Giovanni, Paolo eccelle nel linguaggio ricco, mentre il primo si fa notare per una lingua singolarmente povera, volutamente povera o no, non si sa. Ma la ricchezza di Giovanni resta sublime anche così.

Un "Evangelo spirituale" per un Ebreo come Giovanni poteva tutta-via essere fondato unicamente nella storia, nella realtà salvifica di Dio con gli uomini. L'autore afferma insistentemente che vide, contemplò, ascoltò fatti e parole, insieme con gli altri suoi condiscepoli: Gv 1,14; cf. qui anche 1 Gv 1,1-4. E che di essi è "testimone veridico", il che si-gnifica ebraicamente — e modernamente! — "controllabile" da tutti: 19,35; e pone il sigillo finale dell'Evangelo, 21,24. E tali fatti e parole, come oggi ci rendiamo conto in pieno, egli sentì bene che doveva esporti secondo una visuale e dunque uno schema storico, che essen-zialmente è il già collaudato schema di Matteo, che è quello originale: dal Battesimo dello Spirito attraverso la Croce alla Resurrezione, all'A-scensione, al Dono dello Spirito, alla Presenza del Signore ai suoi; e con materiale originale, e modifiche, aggiunte ed eventuali correzioni a tale schema sinottico, integrando e precisando dove era sembrato ne-cessario all'autore.

Così quando Giovanni riporta l'insegnamento del Signore e le opere sue, non chiamate "del Regno" (termine da lui mai usato, benché usi largamente il vocabolario della regalità di Cristo Signore) ma "del Pa-dre", egli sta molto attento, vigile ed acuto. Per i "fatti", più dei Sinotti-ci, si preoccupa di precisare il quadro della narrazione: cronologico e topografico, dunque storico, nelle cui coordinate colloca gli avveni-menti. E così, ad esempio, solo da lui si sa che il ministero messianico del Signore è durato circa 3 anni e mezzo, mentre dai Sinottici si ricava l'impressione, del resto non preclusiva, che tutto si sia concluso dentro 1 anno e mezzo in approssimazione. Solo Giovanni narra che Gesù si recò, o "salì" (in ebraico 'àlàh, salire, da cui 'àlijjàh, salita, in greco anabdinò e anabasis, ma anche altri termini, significa 1'"ingresso" nella patria come scopo dell' esodo, e Gerusalemme termine finale perché

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centro della patria) almeno 5 volte a Gerusalemme (2,13; 5,1; 7,10; 10,22-23; 12,12), mentre i Sinottici narrano di una sola grande "salita", fino alla Croce. Inoltre, di queste 5 salite Giovanni precisa che si pon-gono 3 pasque annuali; come i Sinottici, Giovanni vuole mostrare che Gesù obbedisce da buon vero Israelita al precetto centrale della Legge santa, la quale già nei più antichi documenti prescriveva rigorosamente, pena l'esclusione dall'alleanza, che ogni Israelita maschio, ma dunque con la famiglia, doveva salire a Gerusalemme 3 volte l'anno, a Pasqua, a Pentecoste ed alle Capanne, "le tre volte" o feste (ad es. Es 23,14.17, in genere; precisazioni nell'antichissimo calendario festale, Lev 23,4-7.15-21.33-36). Se in Gv 5,1 poi si allude alla pasqua, si avrebbero 4 pasque in cui Gesù avrebbe celebrato con il popolo "suo" la festa ebrai-ca primaverile durante il suo ministero messianico. Giovanni nomina anche le feste delle Capanne e della Dedicazione del tempio (7,10; 10,22-23).

Non solo, ma si preoccupa anche di annotare i giorni di alcuni even-ti (1,29.34.43; 2,1; 4,43...), e perfino l'ora (1,39, T'ora decima", le 16 p.m., quando incontra i primi discepoli; 3,2: "di notte", dopo le 18 quando Nicodemo si reca da lui; 4,6: "circa l'ora 6a", le 12, qu

stanco si siede sul pozzo di Giacobbe a Sichar echiede da bere alla Sa-maritana; 4,52-53, "l'ora T\ ossia1e ^' ^umdo ^Tl^10 aetfuTficiafe regio è guarito da Gesù. Altre precisazioni qua e là, in specie alla Passione (18,1- 19,42).

Giovanni è un Ebreo, è del posto, conosce le persone ed i luoghi. E soprattutto le persone della storia di Gesù che passa; e tra esse, in spe-cie, gli altri discepoli, fedeli e meno fedeli, dei quali riporta le parole, i colloqui, i dialoghi, le domande tra loro e con Gesù, e le azioni e rea-zioni davanti al Signore.

E riporta particolari ed interi episodi che i Sinottici non hanno narra-to. Così, per fare alcuni esempi, ben 5 "segni" miracolosi che si cono-scono solo da lui (vedi dopo); e Cana, Nicodemo, la Samaritana; la la-vanda dei piedi, i discorsi, tra cui quelli preziosi della Cena, la Promes-sa 5 volte ripetuta dello Spirito, la "Preghiera sacerdotale", T'Ecco l'Uomo!" di Pilato (19,5), la tunica non cucita (19,23-24), la Madre con il discepolo sotto la Croce (19,25-27), lo Spirito riconsegnato al Padre morendo (19,30), l'effusione di "Sangue ed Acqua subito" del suo costato trafitto (19,34), la "mirra per il sepolcro" (19,39: solo qui e in Mt 2,11, il terzo dono dei Magi, in tutto ilN.T.: teologia simbolica!).

b) La teologia simbolicaÈ la più ricca, di fronte in specie a quella "speculativa", che è ridut-

tiva. Essa sta presente in tutta la Scrittura, di cui anzi è una delle più notevoli forme mentali. Giovanni la pone in opera sempre, nell'Evan-

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gelo, nelle 3 Epistole, e in forma irta di figure in specie ntìYApocalisse (comunque vada risolto il problema dell'attribuzione a lui di questo scritto straordinario). Il suo vocabolario simbolico è ingente, in lui "tutto è simbolo": il tempo, l'acqua — il battesimo, Cana, la lavanda dei piedi, dal costato —, il vino, il sangue, la carne, la Croce, per sé l'infa-mia, come Gloria divina, lo Sposo, l'Agnello di Dio, l'unzione e l'aro-ma che pervade, la Luce, la Vita, la Via, il Buon Pastore, la Porta, le pecore e l'ovile, la Vite, il Figlio dell'uomo, l'Ortolano, il cenacolo, la pesca, il carbone ardente, il pane, "il pesce", il serpente di bronzo.

Inoltre, gioca molto sulle "dualità" (non "dualismo" di tipo gnosti-co, rigettato a priori nel forte realismo della "carne", e della sua Econo-mia storica), che sono coppie antitetiche, comuni del resto nel N.T., in specie in S. Paolo. Tali dualità risuonano come ad esempio Luce-tene-bra, Verità-menzogna, Vita-morte, Gloria-ignominia, Dio-carne (in quanto opposta a Dio), Spirito-carne, Grazia-"mondo" (in quanto oppo-sto a Dio), celeste-terreno, Alto-basso, sanità-peccato, purificazione-contaminazione, Amore-odio, "opere di Dio"-"opere del demonio", Gioia divina-tristezza del "mondo", Comunione-scisma mortale, vede-re-essere ciechi, fede-incredulità, certezza-dubbio, venire a Lui - allon-tanarsi da Lui, bere e dissetarsi - sete mortale, mangiare e saziarsi - fa-me mortale.

La tecnica espositiva giovannea dei fatti e delle parole del Signore è a sua volta inconfondibile, senza paragoni nel N.T. Giovanni in specie redige i grandi discorsi del Signore, stesi in modo tematico e sistemati-co, da una parte riportando l'insegnamento autentico, genuino, origina-le di Lui, ma dall'altra, scrivendo ormai lontano nel tempo dagli avve-nimento del Signore (a. 30 la Resurrezione; a. 96-98 l'Evangelo di Gio-vanni), li espone attraverso un'interpretazione personale abile, profon-da, serrata, organica. Così che si ha quasi una riflessione dell'Apostolo, in cui la sua propria meditazione sulla "teologia" nel senso visto sopra, si intesse come un tutto: la Dottrina divina.

e) Parole ed opere del SignoreSono viste come le due forme principali dell'azione del Signore. Il

solo elenco dei principali discorsi giovannei è impressionante:- 3,1-21, nell'incontro con Nicodemo;- 4,1-26 e 31-38, nell'incontro con la Samaritana e nella successiva

spiegazione ai discepoli;- 5,1-16 e 17-46, nella guarigione del paralitico;- 6,22-69, il "discorso eucaristico" dopo la moltiplicazione dei pani e

dei pesci, ed il cammino sulle acque, 6,1-15 e 16-21;- 7,14-39, alla festa delle Capanne, concluso con la promessa dello

Spirito Santo;

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- 8,12-30 e 31-59, sulla "Luce del mondo", Lui;- 9,1-41, nella guarigione del cieco nato;- 10,1-18, sul "Buon Pastore";- 10,22-38, alla festa della Dedicazione, sulla sua Unità con Dio e sulla

Inabitazione reciproca con Dio;- 12,20-36, nell'incontro con i Greci;- 13,1 - 16,33, i discorsi della Cena.

E non meno impressionanti sono i sèméia, i "segni". Si tratta co-munque di segni concreti, efficaci, storici, che sono in conclusione le "opere del Padre" nel Figlio con lo Spirito dimorante in Lui, finalizzati a diversi scopi: a) "manifestare la Gloria" del Padre (2,11; 11,4.40; 17,24); b) glorificare il Padre (13,31.32; 14,13; 15,8; 7,1.4; 2,19); e) glorificare il Figlio (11,4.23.28; 13,31.32; 16,14: dallo Spirito Santo!; 17,1.5.10); d) mostrare le "opere del Padre" (9,3); infine e) per la fede dei discepoli, su cui si parlerà tra poco.

I "segni" sono scelti secondo la "teologia simbolica", e per questo simbolicamente limitati a 7, quale prefigurazione del massimo "Segno" dell'Evangelo di Giovanni: la Resurrezione del Crocifisso. Essi sono:

l)Cana: 2,1-12;2) la guarigione del figlio dell'ufficiale regio: 4,46-54;3) la guarigione del paralitico alla piscina probatica: 5,1-9;4) la moltiplicazione dei pani e dei pesci: 6,1-15;5) il cammino sulle acque: 6,16-21;6) la guarigione del cieco nato: 9,1-41;7) la resurrezione di Lazzaro: 11,1-45.

Si nota a colpo d'occhio che Giovanni narra solo 2 di essi in comu-ne con i Sinottici: 1) la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e solo la prima (come Le 9,12-17); 2) il cammino sulle acque. E come Mt 14,13-21 e 22,33; Me 6,34-44 e 45-52, unisce questi due fatti in narrazione continua.

d) II Dio Invisibile, visibile nel Verbo suoÈ il centro giovanneo, anche se si deve dire che in Giovanni si ha solo

"alta teologia", tutto vi è "alta teologia". Poiché in lui anzitutto viene la continua insistenza sulla trascendenza divina, e qui caratteristica è questa visuale: l'Eternità discende nella storia degli uomini, il Verbo eterno vive questa storia con gli uomini, dalla storia riporta gli uomini all'Eternità. Perciò l'Evangelista è interessato a quello che poi sarà il problema centrale della cristologia ortodossa della Chiesa Una Santa: "le due nature di Cristo ed in Cristo". Egli sottolinea il divino nel Signore, ma coe-stensivamente l'umano in Lui. Testi emblematici sono quelli come 1,18:

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CAP. 8 - VEVANGELO TETRAMORFO - GIOVANNI

del Dio Invisibile, il Verbo Monogenito fattosi carne (1,14) è l'unico Esegeta; 14,9: la risposta a Filippo che chiede la manifestazione del Pa-dre: "Da tanto tempo io sto con voi (dunque: nella visibilità dell'Uomo, percepibile da tutti normalmente), e tu non mi conoscesti, Filippo? Chi ha visto me (nella visibilità dell'Uomo percepibile da tutti normalmen-te), ha visto il Padre. E come tu parli: Mostra a noi il Padre?". Proprio qui, mostrando la "visibilità", Giovanni tiene il continuo discorso sulla trascendenza del Dio Invisibile per sua natura ed in eterno (1,18), che tuttavia vuole essere "esegetizzato" dal Figlio. E in questo l'Alto, disceso fino al basso estremo, progressivamente vuole rivelarsi come Realtà divina ma essenzialmente "triadica", che via via apre spiragli, rari, rapidi e tuttavia illuminanti, sui rapporti indicibili che in eterno esistono tra Pa-dre e Figlio, e tra Padre e Figlio con lo Spirito. Il Figlio Monogenito è infatti il Verbo eterno, la Luce degli uomini (1,4), la Luce del mondo (8,12), l'Eterno, che preesiste prima di Abramo (8,58), contemplato da Abramo, ma anche da Isaia (12,41), che ne parlarono profeticamente, nella gioia. H Verbo filialmente divinamente ascolta e contempla il Pa-dre, la Realtà divina, che possiede per intero come la possiede il Padre. Per questo precisamente può essere l'unico Esegeta del Padre (1,18, te-sto già richiamato per la sua importanza), ma nell'opera storica svolta tra gli uomini: "tra i suoi" (1,11). Con il Padre, il Verbo è "Unica Realtà" (10,30; non "una sola cosà" come nelle versioni ufficiali), nella recipro-ca indicibile Inabitazione o Dimora reciproca (10,38). Nella cui Dimora reciproca, di necessità il Padre ama il Figlio Unico (15,9), come il Figlio Unico ama il Padre (14,31), Amore divino unico, "poiché Dio è Amore" (1 Gv 4,8.16), e si manifesta come Amore al mondo nella Gloria eterna (17,1-26), e Amore triadico, poiché è sempre discretamente alluso lo Spirito Santo (17,1-26). Si tratta pur sempre di sprazzi trinitari, non di dottrina elaborata, che si avanzano restando spunto vivace attraverso nu-merose "formule binarie" di tipo trinitario, molto frequenti: il Figlio e il Padre, Cristo e lo Spirito, il Padre e lo Spirito.

Il Verbo Dio e Luce a sua volta esprime se stesso in inaudite — in bocca ad un Uomo visibile! — "formule della Divinità", come il ripe-tuto, insistente "Io sono", in assoluto, e con predicati nominali, inciden-te soprattutto quando, per decine di volte, risuona nei discorsi dottrinali (3,28; 4,26; 6,20.35.41.48.51; 8,12.18.23.24.28.58; 9,9; 10,7.9.11.14; 11,25; 3,19; 14,6; 15,1.5; 18,5.6.8). È Y"Io sono Colui che sono", che rinvia fortemente a Es 3,14, al Signore, il Vivente, che al Roveto si ri-vela una volta per sempre a tutti gli uomini per la mediazione necessa-ria di Mosè. Il Verbo dunque proclama di "essere" il Signore dell'A.T.; come tale, è anche la Sapienza divina (tipico svolgimento in 6,22-69, il Convito della Sapienza spiegato dal "discorso eucaristico"), è la Via unica, la Verità che salva, la Vita eterna (14,6).

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

E si manifesta tale, perché in quanto tale dona lo Spirito Santo. Che promette (cap. 14,16, ma già 7,37-39), e poi "soffia" sui discepoli dopo la Resurrezione (20,19-23). E non appare mai senza lo Spirito.

Incarnato, battezzato, inabitato dallo Spirito (1,1-18, e 1,29-34), il Verbo Dio, il Figlio Monogenito è inviato dal Padre agli uomini, ed a questi annuncia fedelmente il Padre, e la Gloria di Lui. Giovanni con-nota la singolare insistenza sul "Padre", con ben 118 usi del termine. Ma il Figlio possedeva con il Padre la medesima Gloria — che è lo Spirito Santo in eterno —, e tuttavia deve accettarla come "di nuovo", nell'abbassamento totale che è la "esaltazione" che avverrà per Lui sul-la Croce (3,14-15, simbolo del serpente di bronzo; 8,28, e 12,32, pro-messa di attirare poi tutti a sé); e sulla Croce esplicherà la sua funzione sacerdotale e sacrificale (vedi il senso di 17,1-26).

Egli risorge, come aveva proclamato: "Io sono la Resurrezione e la Vita" (11,25; cf. 5,28; 6,40.44; e molti altri contesti). E dona l'Econo-mia nuova dello Spirito Santo (20,19-23: la "remissione dei peccati" con la Pace, la base di tutto), e già dalla Croce (19,30), nei "Segni" di-vini del Sangue e dell'Acqua (19,34), con i quali seguita ad operare, nello Spirito resosi indefettibilmente presente ai suoi (cap. 14,16), a partire dal battesimo fino al Convito, ed in altri aspetti misterici. Per la Vita eterna.

e) II Verbo incarnato e gli uominiSe la prevalenza assoluta nel testo giovanneo sono i contenuti "teo-

logici", "su Dio", essi però sono esposti perché investono gli uomini, interessano gli uomini. Tutto lo sconfinato quadro giovanneo è tracciato in vista dell'esperienza storica, concreta, spirituale degli uomini, resi fi-nalmente discepoli del Signore. Si nota allora a colpo d'occhio la scar-sità delle parabole, e che la stessa vita morale non riceve impulso tanto dall'insegnamento astratto, ma da una dottrina che è concentrazione progressiva della vita nuova dei discepoli nell'"unico Comandamento nuovo", la carità reciproca, quella rivelata come sussistente in eterno tra il Padre ed il Figlio nello Spirito, in infinita reciprocità. La quale, vissu-ta dagli uomini al modo degli uomini, si trova ad essere anche il com-pendio di tutta la Legge santa del Signore (13,34). Tale esperienza deve essere chiamata mistica, come aveva ben compreso tutta la Tradizione: poiché è l'esperienza di Cristo stesso in rapporto al Padre nello Spirito, l'Indicibile Inaccessibile Mistero (termine mai usato da Giovanni) del-l'eternità, il medesimo Verbo che a partire dalla sua Umanità sperimenta anche la storia, e poi finalmente manifestato, spiegato, riproposto in forma visibile a tutto il mondo degli uomini, affinchè questi "abbiano la Vita e abbondantemente abbiano" (10,10). Le formule su questo sono diverse, sostanzialmente parallele a quelle paoline compendiate come

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - GIOVANNI

motivo della "vita di Cristo — vita nello Spirito" (cf. ad es. Rom 5,5 e 8,9). La formulazione giovannea è espressa in termini come "Io in voi e voi in Me — come Io nel Padre ed il Padre in Me", ad esempio nel gruppo dei discorsi della Cena: 14,9-11 e 20; 15,1-11; 17,20-24. Così i discepoli dal Padre sono "perfezionati nell'unità" (17,23; grande motivo ecclesiale ed ecumenico). Ed il risultato, anche da questa parte è la Dimora di Dio negli uomini e degli uomini in Dio, procurata dallo Spi-rito Santo, Operatore ed Ospite che precede il Figlio che porta il Padre (oltre i testi citati per ultimi qui sopra, cf. in specie 14,15-21).

Questa Vita divina eterna sussistente si consegue già nell'esistenza terrena in forza del dono dello Spirito, che opera negli uomini la loro adesione fedele al Verbo incarnato, Sapienza incarnata (vedi poi il grande tema nuziale). I verbi che denotano questa operazione molto complessa sono tra i principali: venire a Lui, ascoltare Lui, vedere-contemplare Lui, credere in Lui, dimorare in Lui; è parte del vocabolario della fede. Si ag-giungono evidentemente verbi e sostantivi dell'amore di carità. E poi il "mangiare e bere" la Carne di lui ed il Sangue di lui. E porre in attuazio-ne il Comandamento di lui, dunque le "opere di lui" (cf. di nuovo 9,3). L'aspetto "credere" per avere la Vita è così importante per Giovanni, che scrive verso il 96-98 d.C, in epoca di evidente indebolimento della fede (anche a causa della quasi fatale persecuzione di Domiziano, e. anno 96), che egli come autore di straordinaria efficacia delinea i tipi del credente: l'incipiente, il dubbioso, il sicuro e fermo, il desideroso, il fedele, l'apo-stata. Non è male, per un controllo anche sulla situazione che oggi vivia-mo come fedeli del Signore, avere una lista di tali figure:

- Cana serve per la Gloria e per la fede nascitura dei fedeli: 2,1 -11 ;- a Gerusalemme Nicodemo cerca la fede, di notte: 3,1-21- al pozzo di Giacobbe la Samaritana esitante chiede e dubita: 4,1-26;- ivi, i Samaritani vengono a Lui nella fede: 4,39-42;- a Cana, l'ufficiale regio crede "con tutta la casa sua": 4,46-54;- a Cafarnao, i discepoli abbandonano: 6,59-61.66;- a Cafarnao, Pietro resta nella fede piena: 6,67-69;- a Gerusalemme, il cieco nato crede subito: 9,37-38;- a Betania Marta crede e vuole il Signore: 11,21-27;- ivi, così anche Maria: 11,28-32;- ivi, di nuovo Maria nella fede unge il Signore: 12,1-8;- a Gerusalemme i Greci "vengono per vedere" Gesù: 12,26-36;- nella Cena, Giuda tradisce: 13,21-30;- nella Cena, gli altri discepoli sono dubbiosi, timorosi, ansiosi, deside

rosi: 13,1-16,33;- nell'Orto, tutti abbandonano il Signore: 18,1-11, per allusione;- nell'Orto, Pietro usa sfiduciato la spada: 18,10-11;- nella corte del sinedrio, Pietro rinnega il Signore: 18,12-18.25-27;

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

- alla Croce stanno solo la Madre, le Donne fedeli e il discepolo:19,25-27;

- solo il discepolo "che vide" credette subito: 19,35-37 — e da lui parte "la testimonianza" che è l'Evangelo di Giovanni;

- alla Resurrezione la Maddalena e Pietro non comprendono, il discepolo "vide e credette": 20,1-7 e 8;

- Maria Maddalena cerca nella fede il Signore, Lo vede e Lo adora:20,11-18;

- nel cenacolo i discepoli "videro e gioirono" per il Signore Risorto:20,19-20;

- ivi, S. Tommaso non crede se non quando "vede": 20,24-29;- ivi, sono proclamati beati quanti crederanno senza avere visto:

20,29b;- sul lago, il discepolo amato riconosce il Signore nella fede: 21,7.

Infine, l'Evangelista codifica la fede:

"Questi (segni) sono scrittiaffinchè voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio,e affinchè, credendo, abbiate la Vita nel Nome di lui" (20,31),

e tale versetto è l'antica finale dell'Evangelo, il cap. 21 essendo la se-conda finale aggiunta per spiegare il Convito e la sorte di Pietro.

Tutto ciò ha un profondo significato: leggendo bene i testi, in fondo, il vocabolario della "fede" in Giovanni è vocabolario dell'"amore". Avere fede è amare. La carità reciproca è operata dallo Spirito Santo Dimorante, il quale produce nei fedeli l'unica risposta all'Amore divi-no triadico reciproco (3,16; 13,24; 14,23; 17,1-26). E questo si deve diffondere e deve essere vissuto come amore fraterno tra i fedeli.

Infine, chiudendo queste povere note, tutto ciò altro non è che la Vita eterna, il Dono divino inconsumabile. Il suo luogo naturale tra gli uomini è la comunità deifedeli. In Giovanni la comunità appare quasi chiusa in se stessa, a prima lettura. Tuttavia la parola terribile: "Da que-sto tutti conosceranno che siete discepoli di Me: se avrete Vagape (amore, carità) gli uni per gli altri" (13,35), apre la visuale apostolica missionaria, e la fissa sul suo mezzo diffusivo più potente ed efficace.

r

E. GLIATTI

Si ritiene utile presentare qui di seguito anche lo schema generale de-gli Atti, considerando la sua importanza di libro che inaugura la lettura annuale délV Apóstolos lungo il periodo privilegiato che corre dalla Do-menica della Resurrezione fino alla Domenica della Santa Pentecoste.

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CAP. 8 - L'EVANGELO TETRAMORFO - GLI ATTI

La comprensione di questo libro del N.T. va inquadrata nel fatto programmatico dell'autore, Luca, il quale ha concepito una grande "teologia della Storia sacra" in due pannelli specularmente riscontrabili, l'Evangelo, che narra del Signore durante la sua Vita storica fino alla Croce e Resurrezione ed Ascensione, e gli Atti, che narrano della Chie-sa nella sua vita nella storia fino ai confini della terra, da Gerusalemme a Roma, inviata dal Signore assunto al cielo e guidata ogni momento dallo Spirito della Pentecoste.

Prologo: 1,1-2

L'ASCENSIONE: 1,3-11

A. GLI "ATTI" DI PIETRO: 1,12 - 12,25

1. Nel cenacolo, l'elezione del 12° apostolo: 1,12-26

2. La Pentecoste: 2,1-47a) Lo Spirito Santo Fuoco sugli Apostoli: 2,1-13b)II primo discorso di Pietro: 2,14-362,14-15: l'esordio

16-21: lapa22-36: 2aparte

37-41: gli effetti del discorso42-47: sommario della Comunità

3. La lapersecuzi°ne: 3,1 - 4 ,31a) guarigione del paralitico: 3,1-11b) discorso di Pietro: 3,12-263,12-16: laparte

17-26:2a partee) gli Apostoli davanti al sinedrio: 4,1-22d) rendimento di grazie per la liberazione, e nuova Pentecoste: 4,23-31

4. Vita della Comunità: 4,32 - 5,11a) comunità e comunanza di beni: 4,32-35b) generosità di Barnaba: 4,36-37e) Anania e Saffira: 5,1-11

5.La2a persecuzione:a) la Chiesa si espande: 5,12-16b) la cattura degli Apostoli: 5,17-33e) l'intervento di Gamaliele: 5,34-42

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

6. L'elezione, dei 7 diaconi: 6,1-7

7. Stefano in azione, suo martirio: 6,8 - 8,3a) la controversia con gli Ebrei ellenisti: 6,8-10b) la cattura: 6,11-15e) il suo discorso al sinedrio: 7,1-53d) la sua morte: 7,54-60e) la persecuzione e la sepoltura di Stefano: 8,1-3

8. L'Evangelo a Samaria: 8,4-39a) la predicazione del diacono Filippo: 8,4-13b) la missione di Pietro e Giovanni, e lo Spirito, nuova Pentecoste:

8,14-25e) Filippo battezza l'eunuco etiopico: 8,15-39

9. La conversione di Paolo e gli inizi del suo apostolato: 9,1-30a) Paolo a Damasco: 9,l-19ab) prima predicazione di Paolo: 9,19b-22e) Paolo fugge da Damasco: 9,23-25d) Paolo a Gerusalemme con Barnaba: 9,26-30

10. Pietro e le prime conversioni dei pagani: 9,31 - 11,30a) sommario della Comunità: 9,31b) Pietro a Lidda ed a loppe: 9,32-43e) la conversione di Cornelio: 10,1 - 11,1810,1-8: la visione di Cornelio9,23: la visione di Pietro 24-48: Pietro da Cornelio, nuova Pentecoste 11,1-18: reazioni nella Comunità di Gerusalemmed) il "cristianesimo" ad Antiochia: 11,19-26e) la carestia a Gerusalemme: 11,27-30

11. La persecuzione d'Erode Agrippa: 12,1-24a) Pietro catturato, ma liberato dall'Angelo: 12,1-19b) morte d'Erode Agrippa: 12,20-23e) "la Parola cresceva": 12,24-25

B. GLI "ATTI" DI PAOLO: 13,1 - 28,31

1.1 viaggi missionari di Paolo: 13,1 -21,14

a) il1° viaggio: 13,1-14,2813,1-3: la missione da Antiochia di Siria

4-12: a Cipro 13,13- 14,20: in Galazia

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CAP. 8 - L'EVANGELOTETRAMORFO - GLI A TTI

13,14-15: a Perge e Antiochia di Pisidia16-41: discorso di Paolo ad Antiochia di Pisidia42-43: le reazioni al discorso44-45: la persecuzione

14,1-7: ad lconio8,20: a Listre21-28: ad Antiochia di Siria

b) il Concilio di Gerusalemme: 15,1-35 15,1-3: l'occasione ed il motivo

4-6: i preparativi21: l'assemblea7-11: discorso di Pietro12: interventi di Paolo e Barnaba13-21: discorso di Giacomo il minore22-29: il documento finale30-35: promulgazione del documento ad Antiochia

e) il 2° viaggio missionario di Paolo: 15,36 - 18,22 15,36-41: Paolo e Barnaba si separano 16,1-10: Paolo in Asia minore

11-40: Paolo a Filippi 17,1-9: aTessalonica

10-15:aBerea 17,16-34: ad Atene

22-31: il discorso di Paolo sull'Areopago32-34: reazioni al discorso

18,1-17: Paolo a Corinto18-22: pellegrinaggio a Gerusalemme

d) il 3° viaggio missionario: 18,23 - 21,1418,23: verso Efeso

24,28: incontro con Apollo 19,1-41: Paolo ad Efeso

1-7: i discepoli del Battista, nuova Pentecoste8-12: Paolo predica ad Efeso13-20: gli esorcisti ebrei21-22: il progetto per Gerusalemme e Roma23-41 : la rivolta di Demetrio l'argentiere

e) verso Gerusalemme: 20,1 - 21,1420,1-6: in Macedonia e Grecia

7-12: aTroade

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

13-38:aMileto21,1-7: verso Cesarea

8-14: a Cesarea

2. La prigionia di Paolo: 21, 15 - 28,31

a) a Gerusalemme: 21,15 - 23,3521,15-16: Paolo accolto dalla Chiesa

27-40: la cattura22,1-29: il discorso di Paolo nel tempio 22,30-23,11: Paolo davanti al sinedrio

12-35: il complotto dei sicari

b) Paolo a Cesarea: 24,1 - 26,3224,1-9: azione giudiziaria di Felice contro Paolo

10-21: difesa di Paolo22-23: decisione di Felice24-27: Paolo a colloquio con Felice e Drusilla

25,1-12: procedura di Festo12: Paolo appella a Cesare13-27: Festo consulta il re Agrippa

26,1-23: discorso di Paolo24-32: reazioni di Festo e di Agrippa

e) verso Roma: 27,1 - 28,15 27,1-12: da Cesarea a Creta

13-26: la tempesta27-44: il naufragio 28,1-10: a

Malta, lo svernamento11-15: da Malta a Siracusa, Reggio e Pozzuoli16-31: a Roma16: l'arrivo17-29: i primi contatti con gli Ebrei di Roma30-31 : la prima predicazione ai pagani.

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CAP. 9

STRUTTURE DEL "LEZIONARIO" BIZANTINO

DELLA DIVINA LITURGIA

1. Generalità

I Tesori della Santa Scrittura che largamente dispone la Divina Liturgia provengono dall'A.T., limitatamente a qualche grande celebrazione, dai 4 Evangeli e dall'Apóstolos (esclusa YApocalisse). Si conviene qui, come accennato, di chiamare "Lezionario" non un libro checontenga i testi ordinati in pericope per tutto l'Anno liturgico, bensì ilsistema di tali testi, che si possono comodamente racchiudere in tabelle. In antico si preferiva mantenere integro il testo dell'A.T. e del N.T.,annotando ai margini dei codici le pericope da leggere.

In pratica, si hanno due distinti Libri liturgici per le letture: il Théion hai hierón Euaggélion, il divino e sacro E vangelo, e VApó-stolos, che contiene anche i canti salmici interlezionari, ossia i Prokéimena e gli Alleluia ali'Evangelo, nonché gli altri canti salmici che sono le Antifone.

II sistema delle Letture bibliche del Rito bizantino ha una storia lunga e complessa. Le sue strutture sono esemplate sul modo di proclamare la Parola divina a Gerusalemme, a partire dalla fine del sec. 4°, consviluppi diversi fino alla sistemazione finale, che si può fissare intornoal sec. 7°, dove ebbero molto influsso gli ambienti monastici.

Nel sec. 7° S. Massimo il Confessore nella sua Mystagógia ancora cita la lettura dell'A.T. nella Divina Liturgia. Non molto dopo l'A.T. scompare, relegato alla celebrazione delle Ore sante. Si perdeva così un'inenarrabile ricchezza, che il popolo non avrebbe più ascoltato.

Come sta in uso, il "Lezionario" bizantino va esaminato secondo strutture molteplici. Anzitutto, in diacronia ed in sincronia:

a) struttura diacronica: come riportano V Euaggélion e VApóstolos, persé la lettura ordinata si inizia nella Veglia del Sabato santo e grande,con l'Evangelo della Resurrezione: Mt 28,1-20, per proseguire nellaNotte, dove nella Divina Liturgia si comincia a leggere, secondo l'unanime tradizione delle Chiese, il libro degli Atti. Nella medesima Nottesi comincia a leggere Giovanni, fino alla Pentecoste. Dopo si leggonoMatteo e Luca; Marco è interposto in alcuni periodi, ed è presente nellaQuaresima. Il sistema degli Evangeli termina con il Venerdì delle Sofferenze;

b) struttura sincronica: questa pone come su un piano, per una perce-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

zione sintetica, tutti i testi di una celebrazione di una Divina Liturgia, sia biblici sia di composizione ecclesiastica, che pur sempre sono una "rilettura" di temi biblici del giorno. Il metodo ottimo per cogliere tutti i temi del giorno è di esplorare "da Vespro a Vespro" tutta l'ufficiatura del giorno, ponendo al centro la Divina Liturgia, ed al centro di questa l'Evangelo che porta i contenuti tematici della celebrazione in atto. Per quanto riguarda l'esplorazione e il commento dei testi, il materiale principale sarà:

- le Antifone: versetti salmici cantanti in forme "antifonali", con la ri-sposta di un'acclamazione;

- YEisodikón: il canto variabile che durante la "piccola Éisodos" o ingresso, accoglie e saluta l'Evangelo portato in processione solenne;

- i Tropari, canti che rileggono testi ed eventi del giorno e fanno memoria dei personaggi che vi prendono parte, anzitutto però Cristo Risorto e la Theotókos;

- il Prokéimenon: versetti responsoriali dopo la lettura delFA.T., quando si aveva; questi suppongono l'esecuzione di un Salmo come nell'antica tradizione; adesso introducono ?XY Apóstolos;

- VApóstolos, lettura degli Atti e dell'epistolario apostolico (ne restaesclusa YApocalisse);

- l'Alleluia: versetti responsoriali, residuo del Salmo che acclamaval'Evangelo nella sua processione;

- l'EVANGELO, il centro della "Liturgia della Parola divina"; v

- il Megalinario, in genere il Heirmós dell'Ode 9a deìYÓrthros, è canta-

to dal popolo che acclama la Theotókos durante la grande Intercessione della santa Anafora;

- il Koinònikón: canto salmico durante la comunione (in genere, dei ce-lebranti), residuo antifonico di un Salmo.

Di volta in volta per la loro importanza di contenuto possono essere considerati anche altri testi della celebrazione.

2. La struttura diacronica

Utile strumento di analisi della struttura diacronica, il corso delle pe-ricope bibliche durante l'anno, è il Pinax, la tabella acclusa alle edizio-ni dell'Evangelo e àz\VApóstolos. È come un'avventura spirituale scor-rere le liste avanti e indietro, per impadronirsi del flusso dinamico e dei rispettivi contenuti dalle pericope stesse. Dovrebbe essere un compito costante anzitutto dell'omileta, il quale se deve considerare la "sincro-nia" di una celebrazione, deve tuttavia ricollocarla sempre nella "dia-

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CAP. 9 - STRUTTURE DEL "LEZIONARIO" BIZANTINO

cronia", che è il "continuo celebrativo" mai interrotto, né durante l'an-no, né durante la storia della Chiesa, dalla Pentecoste alla Parousia.

Si danno qui alcune linee generali del "corso" delle Letture dome-nicali.

A) GliEvangeliCome si è accennato, i 4 Evangeli sono distribuiti ad iniziare dalla

principale celebrazione della Chiesa, la Domenica della Resurrezione, che per sé segna anche l'inizio vero dell'Anno liturgico. Il quale già nell'A.T. cominciava dall'inaugurazione del ciclo annuale delle letture della Tóràh (cf. qui Dt 31,9-13, in occasione della grande festa delle Capanne, in autunno).

1)Giovanni Si proclama dalla Domenica santa e grande della Pasqua lungo le 8

Domeniche che portano alla Pentecoste, con l'eccezione della Domenica 3" Mirofore" (che proclama Matteó). Questo periodo privilegiato tra tutti considera la Domenica come capo della settimana.Giovanni inoltre si proclama: „, ,„„- la Domenica 1* & Quaresima, "dell Ortodossia ;- la Domenica della Palme;-nel rito della lavanda dei piedi, il Giovedì santo e grande;-alla festa della S. Croce e la Domenica che la precede;-come 1°, 2°, 4°, 9°, 11° Evangelo "delle sante Sofferenze", il Venerdì

delle Sofferenze;-come 7°, 8°, 9°, 10°, 11° degli Euaggélia heóthinà anastàsima

àe\Y Órthros domenicale.

2)MatteoLa sua proclamazione si estende dalla settimana 1" °P° a Pen teco-ste

fino alla Croce, per 17 settimane (ma vedi le rubriche). Da adesso alla grande Veglia del Sabato santo e grande esclusa, si considera la Domenica come giorno conclusiafirdg&lSPlfegusii ptaigfe Marco dal

Tra la settimana lla e la 16a lunedì al venerdì, mentre il sabato ha Matteo.

L'Evangelo di Matteo ricorre nella Settimana santa e grande nella celebrazione del mercoledì e giovedì. Poi come 3°, 5°, 7°, 12° Evangelo "delle sante Sofferenze".

Ricorre come il 1° degli 11 Euaggélia heóthinà anastàsima ali' Órthros domenicale.

Matteo ha il privilegio in fondo di offrire la pericope principale del-l'anno durante la Divina Liturgia, quella della Veglia del Sabato santo e grande, che narra la Resurrezione del Signore: Mt 28,1-20.

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

3) Luca .Si proclama dal lunedì che segue la Domenica la dopo 1 tóaitazlone della

Croce per 15 settimane (ma anche qui, vedi rubriche), la 16aes-sendo sostituita secondo la data pasquale dalla Domenica IT 1 a ' teo, o "della Cananea".

Il Periodo del Triòdion prosegue con Luca nelle Domeniche del Pubblicano e del Fariseo, e del Figlio dissoluto, mentre le successive Domeniche di Carnevale e dei Latticini hanno Matteo. . , , _ ,.

Dal lunedì della settimana 12a àiLuca fino *& Domenica del Figlio dissoluto, nelle ferie si legge Marco, ma il sabato ancora Luca.

L'Evangelo di Luca ricorre come 4°, 5°, 6° degli Euaggélia heòthìnd anastàsima durante VÓrthros domenicale.

Ricorre come 8° ed unico Evangelo del Venerdì santo e grande.

4) MarcoOltre le ricorrenzequisoprapresentate, Marco si proclama nelle

Domeniche 2\ 3a e 4a

È il 6° e 10° degli Evangeli del Venerdì santo e grande. E il 2° e 3° degli Euaggélia hedthinà anastàsima.

Occorre qui una buona conoscenza delle rubriche, e la costante con-sultazione del Typikón. Infatti le tabelle evangeliche subiscono varia-zioni secondo diversi criteri: la data pasquale, e l'incontro con le feste con le loro 5 classi. Inoltre, esistono anche legittimi usi locali.

Le tabelle evangeliche per le Feste vanno desunte dai Mènológia. Esistono anche elenchi delle celebrazioni "per circostanze varie".

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B) L'ApóstolosLa lettura de\YApóstolos per le Domeniche non è in genere raccor-

data "tematicamente" con l'Evangelo corrispondente, bensì segue il suo corso, ordinato dalle sue norme. Sono posti in successione gli Atti e le Epistole.

a) Atti degli ApostoliSi leggono dalla Domenica santa e grande di Pasqua fino a Penteco-

ste, anche durante le ferie settimanali.

b) Epistole apostolicheSi leggono dal lunedì dopo la Pentecoste fino al Sabato santo e gran-

de, distribuite in 5 "periodi":-

Periodo 1°: dal lunedì dopo la Pentecoste alsabato prima della Do- IO la Pentecoste; 1 apertura è data dall'epistola aiRo-

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menica IO &^a Pentecoste; 1 apertura è data dall'epistola mani;

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CAP. 9 - STRUTTURE DEL "LEZIONARIO" BIZANTINO

-Periodo 2°: dalla Domenica iO= ^ sabato prima della Domenica 18 -Periodo 3°: dalla Domenica 18- al,sabat ° Pnma ^la Domenica 2&. -Periodo 4°: dalla Domenica 26» al sabat0 Pnma della Domenica 34% o "del Figlio dissoluto";

- Periodo 5°: dalla Domenica del Figlio dissoluto fino al Sabato santo egrande.

UApóstolo s come Libro liturgico contiene dunque gli Atti e le Epi-stole di Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni, Giuda, con la nota esclusio-ne é&W Apocalisse (che già i Padri usavano come contenuto, senza però citarla, come invece per tutto il resto delle Sante Scritture).

Occorre qui ovviamente conoscere anche gli Apóstoloi dei Mè-nológia per le Feste, oltre a quelli disposti "per varie circostanze" ce-lebrative.

Il libro deWApóstolos contiene anche i testi salmici in uso durante l'Anno liturgico, e che è bene conoscere in quanto arricchiscono la ce-lebrazione della Chiesa. Tali testi sono tratti da antichi libri liturgici una volta indipendenti, come l'Antifonario, l'Alleluiario, e così via. La principale distribuzione contempla:-le Antifone: per le Domeniche, le feste, le ferie;-i Prokéimena: idem;-gli Alleluia: idem;-i Koinónikà: idem.

Se si ha davanti il quadro dei riferimenti salmici, si percorre in prati-ca l'intero Salterio, che trova nella Divina Liturgia il suo "sigillo" e la sua "fonte" del significato totale.

3. L'"iconologizzazione" delle Domeniche

II calendario delle ricorrenze liturgiche delle Chiese si completa tra il sec. 3° ed il sec. 5°, con qualche inserzione anche più tardiva. È pro-babile che per prime abbiano ricevuto un titolo le Feste intorno alla Re-surrezione ed intorno alla Nascita del Signore. Comunque, tutte le feste hanno un titolo, che deriva dal contenuto dell'Evangelo del giorno, co-me l'Ascensione, o dall'idea teologica che spinge a festeggiare, come "l'universale Esaltazione della preziosa e vivificante Croce".

Fu sempre preoccupazione della Chiesa dei Padri, di fronte alla pressione "festale", di "salvare la Domenica". Uno dei modi è precisa-mente identificare la Domenica con il titolo, che in genere deriva dal-l'episodio portato dall'Evangelo del giorno. Ora, dare un titolo signifi-ca "iconologizzare" la realtà così titolata, ossia indicare il riferimento in modo quasi visuale ed auricolare ali'Evangelo del giorno, o all'idea teologica come detto sopra. È questo, oltre che un'utile forma mnemo-

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

tecnica, anche una possibilità di facilitare la mistagogia al popolo cri-stiano, posto subito di fronte al tema ed al periodo liturgico. Per tale comprensione, l'iconologizzazione delle Domeniche nel Rito etiopico resta un esempio preclaro.

Per il Rito bizantino, nelle edizioni dell'Evangeliario in genere si of-frono le tabelle complete dall'uso dei 4 Evangeli, e ciascuna pericope evangelica è individuata dalle Hypothéseis, i titoli contenutistici. Essi sono talvolta molto sintetici. In questo volume, nell'Indice apposito, si troveranno elencate le Domeniche piuttosto con il numero di serie, quando occorra, per comodo di consultazione. Qui si elenca invece l'i-conologizzazione delle Domeniche.

- Sabato santo e grande;- Domenica santa e grande di Pasqua;- Domenica dell'Antipdscha (o di S. Tommaso, anche con altri titoli);- Domenica 3a delle Mirofore;- Domenica 4* del Paralitico;- Domenica4adelParalitico;-Domenica 5a della Samaritana;- Domenica5adellaSamaritana;-Domenica 6a del Cieco dalla nascita;

- Domenica 7a deì S^ti Padri;- Domenica7adeiSantiPadri;-Domenica 8 a della santa Pentecoste.

(Periodo di Matted)- Domenica 1 \ di Tutti i Santi; , . . . , .- Domenica1\diTuttiiSanti;-Domenica 2a Sulla vocazione dei primi discepoli;- Domenica 3 a Sul Discorso della montagna;- Domenica 4\ Sul Centurione;- Domenica 5\ Sui due indemoniati;- Domenica 6% Sul Paralitico;- Domenica 7 \ Sui due Ciechi;- Domenica 8 \ Sui cinque pani;- Domenica 9 \ Sul cammino sulle acque;- Domenica 10a, SulLunatico;- Domenica 11 \ Parabola sul debitore di 10.000 talenti;- Domenica 12% Sul ricco;- Domenica 13", Sulla vigna;- Domenica 14 \ Sugli Invitati alle Nozze;- Domenica 15 \ Sull 'Espertodella Legge;- Domenica 16a, Sui Recet tori dei t a len t i;- Domenica 17 \ Sulla Cananea.

(Periodo di Luca) „ , . .- Domenica l a, Su l l a ca t tu ra de i pesc i ;

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CAP. 9 - STRUTTURE DEL "LEZIONARIO" BIZANTINO

- Domenica 2" (Sul Discorsodella pianura);- Domenica 3% ™ ^10 delta Te°°™>- Domenica 4a , Parabola d a semina- Domenica 5 a , n c c o e P o v e r o Lazzaro ;- Domenica 5a,SulriccoedilpoveroLazzaro;-Domenica6a, Su colui che conteneva la legione;

Domenica 7 a , S u l l a f e d e d e l c a p o d e l l a s i n a g°g a ;- Domenica 8% Sull° Scriba interrogante il Signore;- Domenica 9\ Sul ricco a cui la terra prosperò;-Domenica 10\ Sulla Donna con lo spirito di debolezza;-Domenica 11\ Sui Convocati alla Cena;-Domenica 12\ Sui Dieci Lebbrosi;-Domenica 13\ Sul ricco interrogante Gesù;-Domenica 14", SulCieco;-Domenica 15a, Su Zaccheo.

(Triódion)- Domenica 16% Sul Pubblicano ed il Fariseo in preghiera;- Domenica 17\ Parabola sul Figlio dissoluto emigrato in regione lon

tana;- Psychosàbbaton;- Domenica deìVApókreos, Sulla Venuta di Cristo;- Domenica della Tyrinè (Sul Discorso della montagna).

(Quaresima Santa e grande)- Domenica dell'Ortodossia;- Domenica 2a dei Digiuni, di S. Gregorio Palamas, Sul Paralitico;- Domenica 3a dei Digiuni, dell'Adorazione della Croce;- Domenica 4a dei Digiuni, di S. Giovanni Climaco, Sul Lunatico;- Domenica 4adeiDigiuni,diS.GiovanniClimaco,SulLunatico;-Domenica5a dei Digiuni, di S. Maria Egiziaca, Sui Figli di Zebedeo;- Sabato prima delle Palme, Su Lazzaro;- Domenica delle Palme;- Settimana santa e grande.

Altre Domeniche durante l'anno interrompono il corso dei Periodi di Matteo e di Luca, inserendosi per la loro solennità significante, e per sé sono annoverate nel Heòrtodrómion (Ciclo dei Mènàia). Esse sono:- Domenica prima del 14 Settembre (dal 7 al 13 Settembre);- Domenicadopo il 14 Settembre (dal 15 al 21 Settembre; cf. la Dome-

niCu. J

- Domenica deiSanti Padri di Nicea II (dall'I 1 al 17 Ottobre; cf. laDomenica 4a 1 uca>>

- Domenica dei Progenitori del Signore (dall' 11 al 17 Dicembre);- Domenica di Tutti i Padri o della Genealogia (dal 18 al 24 Dicembre);

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CELEBRARE CRISTO NELLA SUA PAROLA

- Domenica dopo la Nascita del Signore (cf. 26 Dicembre);- Domenica prima della Teofania (dal 30 Dicembre al 5 Gennaio);- Domenica dopo la Teofania (dal 7 al 13 Dicembre), Sull'insegnamen-

to di Cristo;- Domenica dei Padri delle prime 6 Sinodi (dal 13 al 19 Luglio).

Tutti i testi su cui è condotto il presente lavoro, sono stati tradotti di-rettamente, alla lettera, sugli "originali" greci delle Edizioni ortodosse e dell'Edizione romana.

L'A.T. è ovviamente quello della versione dei Settanta, però di volta in volta controllato anche sul testo ebraico.

Il N.T. altrettanto ovviamente è quello dell'edizione chiamata Lec-tionarium byzantinum (che in realtà ha una folta messe di manoscritti), usata di norma nella Divina Liturgia. Anche qui è stato sempre condotto un controllo sull'edizione critica di A. Merk.

Le traduzioni dei testi dei Padri sono condotte sugli originali.Si è sempre cercato di procedere katà tèn léxin, secondo la lettera, in

modo da evitare il più possibile di essere "traduttore traditore".Quanto av versetti salmici, si è ritenuto utile porvi accanto il "genere

letterario" moderno del Salmo da cui sono tratti; con ciò si vuole dare qualche elemento di avvio alla considerazione che il Salterio, come splendidamente sapevano i Padri, è un fiorente Giardino, dove la straordinaria vegetazione è nata sotto il segno dell'impressionante va-rietà di forme espressive, i "generi letterali", con il sussidio dei quali siamo chiamati ad attingere il Tesoro della preghiera della Chiesa (S. Basilio il Grande).

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