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G. Giappichelli editore – torino

Comitato di direzione

Fabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerralorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari

Maria cecilia Fregni, alessandro GiovanniniMaurizio logozzo, Giuseppe MariniSalvatore Muleo, Franco paparella

livia Salvini, loris tosi

1/2017

Tax Law Quarterly

© copyright 2017 - Amici della Rivista Trimestrale di Diritto Tributarioregistrazione presso il tribunale di torino, 5 aprile 2012, n. 22

Direttore responsabile: eugenio della Valle

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le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da clearedi, centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali, corso di porta romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

Comitato di direzioneFabrizio amatucci, Massimo Basilavecchia, roberto cordeiro Guerra, lorenzo del Federico, eugenio della Valle, Valerio Ficari, Maria cecilia Fregni, alessandro Giovannini, Maurizio logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco paparel-la, livia Salvini, loris tosi

Comitato scientifico dei revisoriniccolò abriani, Francisco adame Martinez, antonia agulló agüero, Jacques au-tenne, Mauro Beghin, pietro Boria, Marc Bourgeois, andrea carinci, Giuseppe cipolla, Silvia cipollina, andrea colli Vignarelli, Gianluca contaldi, daria cop-pa, Giacinto della cananea, adriano di pietro, augusto Fantozzi, andrea Fedele, luigi Ferlazzo natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri, Franco Gallo, cesar Garcia novoa, alfredo Garcia prats, daniel Gutman, pedro h. herrera Molina, Manlio ingrosso, enrico laghi, Salvatore la rosa, carlos lopez espadafor, raffaello lupi, Jacques Malherbe, enrico Marello, Gianni Marongiu, enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi, Salvo Muscarà, Mario nussi, carlos palao taboada, leonardo perrone, raffaele perrone capano, Franco picciaredda, Francesco pistolesi, ana María pita Gran-dal, Gianni puoti, José a. rozas Valdés, claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino, roberto Schiavolin, roman Seer, Maria teresa Soler roch, paolo Stancati, dario Stevanato, Giuliano tabet, Francesco tesauro, Giuseppe tinelli, edoardo traversa, antonio Uricchio, Juan enrique Varona alabern, Marco Versiglioni, Bjorn West-berg, Giuseppe Zizzo

Comitato di redazioneantonio Viotto (coordinatore), ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna cannizzaro, pier luca cardella, anna rita ciarcia, Marco di Siena, Stefano dori-go, antonio Marinello, pietro Mastellone, Michele Mauro, annalisa pace, damiano peruzza, Federico rasi, laura torzi, caterina Verrigni

Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione colle-giale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento (consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)

Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via po 21 – 10124 torino

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Dopo la fortunata esperienza della versione cartacea, a partire da questo fasci-colo la Rivista Trimestrale di Diritto Tributario sarà disponibile anche nel formato on line all’indirizzo www.rivistatrimestraledirittotributario.com. Gli abbonati della versione cartacea potranno quindi fruire gratuitamente della doppia modalità di consultazione ed in futuro potranno anche solo optare per la versione on line.

In questo modo la Direzione della Rivista e l’Editore hanno voluto fornire un servizio aggiuntivo ed una nuova opportunità agli abbonati, vecchi e nuovi, per adeguarsi ai tempi ed alle nuove esigenze dei Lettori.

Peraltro, la decisione di affiancare alla tradizionale versione cartacea quella on line, di identico contenuto e disponibile contestualmente, consente di consultare più agevolmente gli indici, i fascicoli pregressi e di individuare singoli articoli, saggi o note a sentenze tramite il portale.

L’incessante produzione normativa e le continue novità giurisprudenziali ed amministrative hanno inoltre indotto la Direzione a concepire con il portale che ac-coglie la versione on line una nuova iniziativa per favorire la tempestività dell’infor-mazione. Infatti, alla Rivista che conserva la sua consolidata impostazione orientata all’approfondimento teorico ed alla riflessione scientifica, si affianca un supplemen-to, sempre on line e consultabile gratuitamente, ove saranno pubblicati brevi note o commenti distinti per aree tematiche, le principali novità giurisprudenziali ed am-ministrative, il fascicolo di prossima pubblicazione ed i convegni che si terranno in futuro o altre iniziative meritevoli di segnalazione.

Anche questa iniziativa è curata dalla Direzione della Rivista cartacea che si ri-serva di valutare il contenuto dei commenti o delle note che saranno ricevuti allo scopo di mediare tra l’informazione immediata ed il rigore dell’impostazione e che dovranno essere brevi ed indirizzati su questioni specifiche di rilevante attua-lità. Ci auguriamo che questo strumento riscontri il favore degli abbonati e di chiunque altro abbia interesse per il diritto tributario interno, comunitario ed in-ternazionale, nella convinzione che la conoscenza giuridica rappresenti ancora l’unico vero tratto distintivo e che la diffusione del dibattito e le occasioni di appro-fondimento costituiscano un motivo di arricchimento soprattutto se alimentati da studiosi di formazione diversa (accademici, professionisti, giudici tributari, funzio-nari dell’Amministrazione finanziaria).

Consapevoli delle numerose fonti on line per il reperimento delle novità giuri-sprudenziali ed amministrative soprattutto con tale spirito abbiamo deciso di intra-prendere questa nuova avventura con l’auspicio che possa ricevere il consenso degli abbonati e di chiunque altro intenda manifestare il proprio interesse.

La Direzione

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INDICE-SOMMARIO

pag.

Gli Autori e i Revisori 11

Ricordo del Prof. Victor Uckmar 13

Dottrina

M. Basilavecchia, De jure condendo: rapporti tra filtro amministrativo e processo tributario (Future perspectives concerning the relationships between the administrative filter and tax litigation) 19

M. Cirulli, Rimedi contro l’esecuzione esattoriale ingiusta (Remedies against unfair tax collection) 27

G. Girelli, L’enunciazione della liberalità indiretta nell’atto di com-pravendita di immobili o aziende (The indication of the indirect do-nation in the purchase deed of real properties and businesses) 77

A. Pace, I profili fiscali della famiglia transnazionale nella giurispru-denza adeguatrice della Corte di Giustizia UE (Tax aspects of the cross-border family in the case law of the Court of Justice of the Euro-pean Union) 93

J.A. Rozas, La contradittoria evoluzione del diritto tributario spagno-lo nell’ottica del giusto processo (The contradictory evolution of Spa-nish tax law from the perspective of fair trial) 117

A.M.A. Tropea, Il limite al diritto di accesso agli atti aventi natura tri-butaria (The limitation to the right of access to tax administrative do-cuments) 141

INDICE-SOMMARIO RTDT - n. 1/2017 10

pag.

A. Turchi, L’azione tributaria di impugnazione fra modelli tradi-zionali e recenti interpretazioni giurisprudenziali (The tax action of impugnation between traditional models and recent jurispruden-tial interpretations) 169

Giurisprudenza

Cass, sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 – Pres. Teresi, Rel. Aceto, con nota di R. Cordeiro Guerra-S. Dorigo, Residenza fiscale delle società ed esterovestizione: note a margine della sentenza Dolce & Gabbana della Cassazione penale (Tax residence of companies and (fictitious) relocation abroad: some remarks on the Dolce & Gabbana decision issued by the Italian Supreme Court) 197

Cass., sez. Trib., 24 novembre 2016-16 dicembre 2016, n. 26050 – Pres. Chindemi, Est. Stalla, con nota di A. Fedele, Ha ancora un senso il “coacervo” delle donazioni? La difficile conciliazione di da-ti testuali ed esigenze sistematiche (Is there still a reason for the cu-mulus between donatum and relictum? The difficult conciliation be-tween the written rules and systematic needs) 231

Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586 – Pres. Bielli, Rel. Olivieri, con-nota di C. Scaglione, Reverse charge nelle operazioni intracomunita-rie: IVA detraibile in caso di violazioni formali (Reverse charge in intra-Community transactions: deductible VAT in case of formal in-fringements) 239

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GLI AUTORI E I REVISORI

Massimo Basilavecchia Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Teramo

Massimo Cirulli Professore a contratto di Diritto dell'esecuzione civile, Università telematica “Pegaso”

Roberto Cordeiro Guerra Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Firenze

Stefano Dorigo Ricercatore di Diritto tributario, Università di Firenze

Andrea Fedele Professore emerito di Diritto tributario, Università di Roma La Sapienza

Giovanni Girelli Professore associato di Diritto tributario, Università di Roma Tre

Annalisa Pace Professore aggregato di Diritto tributario, Università di Teramo

José A. Rozas Professore di Diritto finanziario e tributario, Università di Barcellona

Carla Scaglione Dottorando di ricerca in Diritto tributario, Università di Chieti-Pescara

Alessandro M. A. Tropea Dottorando di ricerca in Diritto tributario, Università di Milano Bicocca

Alessandro Turchi Professore associato di Diritto tributario, Università di Modena e Reggio Emilia

La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Giacinto Della Cana-nea (Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università di Roma Tor Verga-ta); Stefano Fiorentino (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Sa-

GLI AUTORI E I REVISORI RTDT - n. 1/2017 12

lerno); Alberto Maria Gaffuri (Professore associato di Diritto tributario, Universi-tà di Milano Bicocca); Giuseppe Melis (Professore ordinario di Diritto tributario, Università Luiss di Roma); Claudio Sacchetto (già Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino); Salvatore Sammartino (già Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Giuliano Tabet (già Professore ordi-nario di Diritto tributario, Università di Roma La Sapienza); Francesco Tesauro (già Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Milano Bicocca).

Ricordo del Prof. Victor Uckmar 13

RICORDO DEL PROF. VICTOR UCKMAR

In apertura di questo numero della Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, il comitato di direzione ritiene doveroso ricordare il Prof. Victor Uckmar, emerito dell’Università di Genova, decano dei professori di diritto tributario, scomparso il 5 dicembre 2016 nella sua casa di Arenzano.

La sua illustre figura si ascrive al novero dei grandi Maestri del diritto tributa-rio, avendo Egli intensamente contribuito allo sviluppo della materia e all’affer-mazione della sua autonoma dignità in ambito accademico.

I suoi meriti andavano ben oltre, essendo Egli stato un uomo profondamente democratico e partecipe, a suo modo, alla vita del Paese, riuscendo a far com-prendere come il dovere fiscale costituisce un valore di democrazia e di civiltà.

Con orgoglio ricordava di aver avuto il suo primo contatto con il mondo dei tributi quando, da giovanissimo, aveva partecipato alla Resistenza partigiana, nel-l’entroterra ligure, incitando alla ribellione fiscale contro il fascismo.

Laureatosi in giurisprudenza presso l’Università di Genova, era entrato fin da subito nello studio del padre, Antonio, che lo mise a lavorare come correttore di bozze di Diritto e Pratica Tributaria, la rivista che amava considerare come una sua “creatura”.

Il Prof. Uckmar ha sin dagli anni cinquanta mostrato un elevato interesse per le implicazioni transnazionali del diritto tributario, scaturenti dal progressivo in-cremento degli scambi commerciali verificatosi nel dopoguerra e dalla correlata crescente tendenza alla circolazione delle persone. Prova ne è, tra i tanti suoi scritti, la monografia sulla Tassazione degli stranieri in Italia del 1955, con la quale ha inaugurato il solco più fecondo della sua opera, l’apertura del diritto tributario alla dimensione internazionale, dimostrando con ciò di guardare al futuro di un’e-conomia globale, allora in embrione.

E ancora, ha intrapreso lo studio del diritto tributario comparato con la sua monografia sui Principi comuni di diritto costituzionale tributario del 1959, ponen-do l’attenzione ai principi costituzionali di vari ordinamenti tributari, con partico-lare riguardo ai principi di legalità e di uguaglianza letti come momenti di passag-gio da ordinamenti autoritari a sistemi democratici.

Attraverso questi studi, il Prof. Uckmar ha tracciato la strada del diritto tri-butario internazionale; e ha poi intrattenuto intensi rapporti con atenei stra-

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nieri, particolarmente dell’America Latina (come quelli di Buenos Aires o di Sal-ta, in cui ha insegnato per parecchi anni), e ha fondato l’Associazione Italiana per il Diritto Tributario Latino-Americano, aderente all’Instituto Latino-Americano de Derecho Tributario (ILADT), la più prestigiosa associazione di diritto tributario del Sud America.

Il suo Manuale di diritto tributario internazionale del 2012, cui hanno collabo-rato alcuni suoi allievi più vicini, è stato pubblicato in numerose edizioni straniere (Argentina, Brasile, Costa Rica, Messico, ecc.), ciascuna contenente specifiche sezioni dedicate ai singoli ordinamenti interni.

Il Prof. Uckmar si è dedicato all’insegnamento universitario fino agli anni più recenti, dapprima presso l’Università di Genova, che non ha mai voluto abbando-nare, successivamente anche presso l’Università Bocconi di Milano e da ultimo, dopo il pensionamento, presso l’Università di Bologna, la Luiss di Roma e l’Uni-versità di Macerata.

Con la sua grande determinazione riusciva a coniugare l’attività didattica con impegni professionali di altissimo livello, essendo stato consulente di Governi e di imprese multinazionali in Sud America, in Russia ed anche in Cina, dove aveva delineato la disciplina delle zone franche.

Ciò nondimeno, il Prof. Uckmar è stato sempre attento all’evoluzione del-l’ordinamento tributario italiano, del quale denunciava l’incertezza e la confusio-ne. Voleva porvi rimedio mediante l’elaborazione di un “codice” contenente la parte generale del diritto tributario, un progetto per il quale aveva coinvolto tanti professori ordinari del settore disciplinare e che si è tradotto in una proposta di legge formulata dal CNEL, rimasta poi purtroppo senza esito.

Il suo stato di salute (problemi alla vista) nell’ultimo periodo lo ha limitato nella sua attività, ma non per questo si è rassegnato, ed, anzi, caparbio, chiedeva che gli venissero letti uno per uno, anche nelle note, i contributi che i colleghi gli inviavano per la pubblicazione su Diritto e Pratica Tributaria, l’eredità paterna che Egli ha proseguito con dedizione sino agli ultimi giorni della vita.

Ricordiamo con quale entusiasmo il Professore organizzava un convegno ogni anno su un tema di grande interesse ed attualità e desiderava che, oltre ai colleghi, fossero i giovani ad intervenire come relatori. Una peculiarità, l’attenzione verso i giovani studiosi di diritto tributario ai quali la Fondazione Uckmar, fin dagli anni sessanta, ha assegnato numerose borse di studio.

Nell’ottobre del 2016, in occasione dell’ultimo convegno nella sua Genova, dal titolo “Per un nuovo ordinamento tributario”, il Professore, aprendo i lavori, pur provato nel fisico, ha lucidamente messo in evidenza, una volta di più, i mali del nostro sistema, ma ha preteso che i relatori indicassero soluzioni nuove da sot-toporre al legislatore, essendo profondamente convinto che non si dovesse mai ri-nunciare a cambiare le cose.

Ricordo del Prof. Victor Uckmar 15

In quell’ultimo incontro con la comunità dei tributaristi, ci ha voluto indicare la strada da seguire con la massima determinazione e senza arrendevolezza.

Ricordiamo, infine, la sua personalità a tutti nota: il garbo, la gentilezza, il rispet-to per tutti gli studiosi. Forse anche questo un segno della sua profonda fede, un tratto che non dava a vedere, ma che professava, da buon cristiano, nel suo intimo.

Il suo insegnamento e il suo esempio di uomo continueranno a costituire un riferimento di inestimabile valore per tutta la comunità scientifica e per le prossime generazioni di studiosi.

La Direzione

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DOTTRINA

SOMMARIO: M. Basilavecchia, De jure condendo: rapporti tra filtro amministrativo e processo

tributario (Future perspectives concerning the relationships between the admini-strative filter and tax litigation)

M. Cirulli, Rimedi contro l’esecuzione esattoriale ingiusta (Remedies against un-fair tax collection)

G. Girelli, L’enunciazione della liberalità indiretta nell’atto di compravendita di immobili o aziende (The indication of the indirect donation in the purchase deed of real properties and businesses)

A. Pace, I profili fiscali della famiglia transnazionale nella giurisprudenza adegua-trice della Corte di Giustizia UE (Tax aspects of the cross-border family in the case law of the Court of Justice of the European Union)

J.A. Rozas, La contradittoria evoluzione del diritto tributario spagnolo nell’ottica del giusto processo (The contradictory evolution of Spanish tax law from the perspective of fair trial)

A.M.A. Tropea, Il limite al diritto di accesso agli atti aventi natura tributaria (The limitation to the right of access to tax administrative documents)

A. Turchi, L’azione tributaria di impugnazione fra modelli tradizionali e recenti interpretazioni giurisprudenziali (The tax action of impugnation between tradi-tional models and recent jurisprudential interpretations)

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 18

Massimo Basilavecchia 19

Massimo Basilavecchia

DE JURE CONDENDO: RAPPORTI TRA FILTRO AMMINISTRATIVO E PROCESSO TRIBUTARIO

FUTURE PERSPECTIVES CONCERNING THE RELATIONSHIPS BETWEEN THE ADMINISTRATIVE FILTER AND TAX LITIGATION

Abstract La materia del contendere di una fase di filtro amministrativo difficilmente può es-sere diversa da quella del processo tributario; questa conclusione vale sia se il filtro segue un modello simile alla mediazione, sia se viene qualificato come rimedio amministrativo precontenzioso o arbitrale. Parole chiave: filtro amministrativo, processo tributario, preclusioni, materia del contendere, istituti deflattivi del contenzioso The controversial aspects discussed in the filter administrative proceeding difficultly may be separated from tax litigation before courts. This conclusion seems to be correct both if the filter follows a model analogous to mediation and also if it qualified as a pre-trial or arbitration administrative remedy. Keywords: administrative filter, tax litigation, limitations, controversial issues, measures to avoid tax litigation

SOMMARIO: 1. I filtri esistenti. – 2. Decisione o accordo?

* Contributo non soggetto a revisione esterna.

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1. I filtri esistenti

Nel dibattito, tornato attuale nel 2016, su una più o meno radicale riforma del processo tributario, due sono i punti certi sui quali vi è convergenza, per-ché qualsiasi nuovo sistema, sia esso l’evoluzione dell’esistente ovvero un ri-pensamento graduale, possa essere adeguato alle aspettative. Il primo è dato dalla valorizzazione del giudice tributario, al quale si chiedono (o meglio, al quale finalmente si concedono) una maggiore indipendenza e una migliore professionalità; il secondo è individuabile nella efficienza di strumenti prelimi-nari al processo, di istituti destinati a fungere da filtro tra l’emanazione dell’atto impositivo e l’instaurazione della lite davanti al (nuovo) giudice tributario.

Orbene, anche nel quadro di una radicale riforma, e di una assoluta libertà del legislatore nel progettare un nuovo organo filtro da anteporre alla fase pro-cessuale in senso stretto, non appare possibile prescindere dall’esistente, ossia dallo stato dell’arte.

Quindi, in sostanza, occorre considerare, per essere realisti e non progetta-re in termini del tutto astratti, sia l’istituto del reclamo/mediazione, sia la giu-risprudenza costituzionale che proprio sulla mediazione ha ribadito le condi-zioni e i limiti nei quali un filtro può operare (sent. n. 98/2014).

Quanto al reclamo/mediazione, l’istituto può anche non piacere, può senz’al-tro essere considerato solo in senso improprio mediazione (lo ha rilevato an-che la Corte costituzionale

1), ma è indubbio che nel suo complesso abbia so-stanzialmente superato lo scoglio del giudizio di costituzionalità

2 (salvo un

1 «Tale mancanza di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle con-troversie civili e commerciali disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010 (art. 1, comma 1, lettere a e b), svolga la mediazione, se comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica − e induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto al-l’ambito mediatorio propriamente inteso − non determina, tuttavia, alcuna violazione degli invocati parametri costituzionali».

2 La Corte ha apprezzato reclamo e mediazione osservando che «tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuen-te che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (...) l’obbligatorietà della procedura intro-dotta dal reclamo (a fronte della facoltatività delle istanze di autotutela e di accertamento con adesione) e la previsione della mediazione quale strumento di composizione delle con-troversie legato alla valutazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, anche dell’economicità dell’azione amministrativa − oltre che dell’eventuale incertezza (in diritto) delle questioni

Massimo Basilavecchia 21

punto essenziale, che è il cuore di questa relazione, ormai però corretto dalla normativa sopravvenuta); altrettanto indubbio è che si tratti di un istituto na-to dall’Agenzia delle Entrate, istituto che in essa ha trovato, almeno finora, il principale sostenitore oltre che ideatore.

Infatti, con una mossa abile e tempestiva, nel 2011 fu ideata la mediazione tributaria, proprio in funzione di filtro extraprocessuale, quasi a proteggere il contenzioso tributario dalla dilagante tendenza ordinamentale verso la media-zione stragiudiziale. Probabilmente preoccupata di un possibile ingresso della mediazione anche in materia, ma consapevole anche del fatto che una fase amministrativa di filtro e di riesame sarebbe stata utile anche alla stessa am-ministrazione (alla quale l’istituto era in origine riservato), l’Agenzia delle En-trate si fece proponente di una norma che se da un lato era in linea coi tempi, perché seguiva la moda del momento, ossia la mediazione, dall’altro ne steri-lizzava gli aspetti più temuti dall’Agenzia: tre aspetti, in particolare, che pos-sono essere individuati nella limitazione dell’istituto a liti di valore limitato (non superiore a ventimila euro, dal 2018 a cinquantamila), nella sostituzione del mediatore terzo con un ufficio diverso della stessa Agenzia delle Entrate, e infine nella coincidenza tra istanza di mediazione e ricorso giurisdizionale. Quest’ultimo punto è quello rilevante nella presente trattazione, poiché espri-me la netta volontà dell’Agenzia di aprire un tavolo di revisione dell’atto im-pugnato solo conoscendo esattamente non solo i motivi di quello che sarebbe diventato, dopo la fase filtro, il ricorso vero e proprio, ma addirittura gli stessi documenti che sarebbero stati prodotti – almeno inizialmente – nel processo.

Tanto premesso e venendo al tema, il rapporto tra filtro e processo, a dirla in modo essenziale, poggia ora, dopo l’intervento della Corte e il restyling nor-mativo, su questi pilastri:

a) il filtro può anche essere obbligatorio 3, ma non può incidere sul diritto

di difesa; ergo, la sua mancata attivazione può determinare la improcedibilità del ricorso giurisdizionale, ma non la perdita del diritto di agire in giudizio; at-traverso il richiamo ai precedenti della Corte, possiamo anche considerare im-plicito un altro limite, ossia che lo stallo da improcedibilità del ricorso propo- controverse e del grado di sostenibilità (in fatto) della pretesa − conferiscano al reclamo e al-la mediazione tributari una particolare effettività sul piano del più pronto soddisfacimento delle situazioni sostanziali e della deflazione del carico di lavoro della giurisdizione tributaria».

3 «Essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri − in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità del-l’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di or-dine generale o da superiori finalità di giustizia».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 22

sto senza preventivo accesso al filtro, non può avere una durata tale da vanifi-care sostanzialmente il diritto di difesa

4. Questa conclusione emerge dal combinato disposto della normativa e del-

la giurisprudenza costituzionale; b) si accede al filtro non in modo informale e libero, con una mera richie-

sta di riesame, ma presentando un atto giuridico che cumula in sé le funzioni del ricorso giurisdizionale e dell’istanza di riesame con eventuale proposta di mediazione.

Il punto b) non appare necessitato in base alla giurisprudenza costituziona-le, ma nemmeno in collisione con la stessa

5: potrebbe probabilmente essere di-

4 «La giurisprudenza di questa Corte, nell’affermare − come si è visto al punto 6.2 − la le-gittimità di forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri quando questi siano finalizzati al perseguimento di interessi generali, ha tuttavia precisato che, anche là dove ricorra tale circostanza, il legislatore «è sempre tenuto ad osservare il limite im-posto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa» (sent. n. 154/1992; in termini analoghi, sentt. n. 360/1994, n. 406/1993, n. 530/1989), «deve con-tenere l’onere nella misura meno gravosa possibile» (sentt. n. 233/1996 e n. 56/1995), deve operare un “congruo bilanciamento” tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esi-genze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire (sent. n. 113/1997). In li-nea con tale prospettiva, questa Corte ha più volte dichiarato l’illegittimità, per violazione del-l’art. 24 Cost., di disposizioni che comminavano la sanzione della decadenza dall’azione giudi-ziaria in conseguenza del mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo».

5 «Il fatto che, per le controversie alle quali è invece applicabile l’art. 17-bis, tali “motivi” e “oggetto della domanda” debbano essere resi noti quando “il provvedimento [è] ancora da valutare” e non siano successivamente modificabili non determina alcun pregiudizio per il diritto di difesa del contribuente. Infatti: a) nel caso in cui il reclamo venga accolto o la me-diazione conclusa, il contribuente non avrà interesse ad adire la commissione tributaria; b) nei casi in cui, invece, decorra il termine dilatorio di novanta giorni dalla presentazione del reclamo senza che sia notificato l’accoglimento dello stesso o sia conclusa la mediazione o lo stesso reclamo venga, in tutto o in parte, respinto (e il contribuente, naturalmente, decida di adire l’autorità giudiziaria), il processo avrà ad oggetto lo stesso originario provvedimento amministrativo (nel caso di accoglimento parziale del reclamo, solo ridotto nella sua portata), cioè un atto nei confronti del quale il ricorrente ha potuto, nel consueto termine di sessanta giorni, proporre le proprie le “prospettazioni difensive”.

D’altro canto, proprio in ragione del fatto che i motivi del ricorso sono già contenuti nel reclamo e non sono successivamente modificabili – salva, naturalmente, l’integrazione «resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti a opera delle altre parti o per ordine della commissione (art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992) − deve escludersi che l’ammi-nistrazione finanziaria possa avanzare una pretesa che, ancorché inferiore rispetto a quella iniziale, sia diversamente motivata o fondata su nuovi presupposti. Tale interpretazione co-stituzionalmente adeguata dei poteri dell’amministrazione finanziaria esclude, evidentemen-te, che l’indicata impossibilità di modificare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo pos-sa ledere il diritto di difesa del ricorrente».

Massimo Basilavecchia 23

sciplinato in modo diverso, ma occorre tenere conto che si tratta di un elemen-to essenziale, nella visione dell’Agenzia, per incoraggiare gli uffici a rivedere il proprio operato, valutando quante possibilità abbia il ricorso di avere un esito favorevole: nell’ottica dell’Agenzia, la funzione del filtro è di ridurre le soccom-benze, senza interventi esterni.

Non solo: è importante anche notare che, dall’argomentazione della Corte riportata in nota 5, si evince un collegamento tra immodificabilità dei motivi di ricorso e immodificabilità della motivazione dell’atto impugnato: l’ammini-strazione può ridurlo nei termini quantitativi della pretesa, ma non può ri-strutturarlo, sulla base della valutazione conseguente al reclamo/mediazione.

2. Decisione o accordo?

Tralasciando per il momento questi dati, in linea astratta al legislatore di una prossima riforma appare possibile immaginare sia un modello di filtro con preclusioni bilanciate sui motivi di ricorso e sulla motivazione dell’atto, ossia un vero esame precontenzioso delle stesse allegazioni in fatto e in diritto che poi saranno oggetto del processo, sia un filtro affidato ad organo terzo che libe-ramente e preliminarmente valuti ragioni di opposizione liberamente articola-te, funzionali più che altro ad una nuova verifica istruttoria (ma, a mio avviso, non solo sui fatti), magari cercando di comporre la controversia.

In linea di principio, il legislatore dovrebbe anche compiere un’altra scelta, tra una fase amministrativa destinata a concludersi con un accordo, ovvero di tipo paragiurisdizionale, ossia destinata a concludersi con una decisione del-l’organo terzo.

In realtà, il filtro funziona, nel senso di impedire l’accesso al processo, sempre sulla base del consenso delle parti; anche la decisione non concordata, infatti, esclude il processo solo se accettata dalle parti.

L’idea di un organo terzo che con molta informalità cerca di comporre le controversie, è in linea teorica assai stimolante anche perché appare in linea con i tempi, con una prevalenza della sostanza sulle forme, e anche con le ten-denze più recenti della normazione che, per lo meno per una fiscalità di élite, prevede un salto di qualità nel rapporto fisco-contribuente (adempimento col-laborativo, ruling internazionale, regime dei grandi investimenti): si può inol-tre rilevare che, poiché la Corte costituzionale ha legittimato la selezione delle controversie da sottoporre a filtro, ammettendo che il legislatore, nel rispetto della ragionevolezza, individui quali controversie “filtrare”, si potrebbe pensare non solo a una selezione quantitativa, come quella attualmente prevista, ma an-

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che ad una selezione qualitativa, orientata però, piuttosto che verso le contro-versie minori, verso quelle di maggiore complessità.

In sostanza, tenendo anche conto del possibile sviluppo del regime di a-dempimento collaborativo, si potrebbe destinare parte del lavoro dell’organo filtro

6 a grandi questioni della fiscalità d’impresa, che possono trovare una so-luzione più soddisfacente al di fuori delle rigidità inevitabili nello schema di qualsiasi processo

7. Una sorta di arbitrato, insomma: anche se il ricorso ad un modello arbitra-

le, che pure sarebbe stimolante, appare contrastato e dalle ben note remore sulla indisponibilità dei tributi, e dalla sua sostanziale alternatività rispetto al momento processuale (mentre il filtro, come tale, dovrebbe assicurare un va-glio preventivo rispetto al processo, piuttosto che alternativo).

Tuttavia, l’idea innovativa e certamente feconda di una fase filtro molto li-bera, informale, adeguata alla ricerca di soluzioni, destinata il più delle volte a concludersi con una “mediazione” – o comunque con una soluzione condivi-sa – piuttosto che con una decisione legittimante la parte soccombente alla instaurazione del processo, incontra ostacoli facilmente intuibili.

Infatti, le parti della fase precontenziosa non potrebbero non essere condi-zionate, nell’allegazione dei fatti e nella prospettazione delle questioni giuridi-che o estimative, dalla preoccupazione della successiva fase processuale: nella quale, anche in mancanza di preclusioni formalmente stabilite, con molta probabilità il giudice assegnerebbe un certo peso all’impostazione difensiva seguita dalle parti nella fase precontenziosa.

Si pensi all’adozione di una strategia difensiva nella fase amministrativa che risulti poi incompatibile con quella seguita in sede processuale; si pensi al peso di eventuali ammissioni effettuate dalle parti; si pensi alla possibilità che, dopo il vaglio dell’organo filtro, l’amministrazione sia indotta a modificare la motivazione dell’atto impugnato o addirittura il dispositivo dello stesso: sono tutti fattori che indurranno le parti, comunque, a considerare il filtro come l’anticamera del processo, e a scegliere una linea difensiva unitaria tra filtro e processo.

Se dunque si dovesse optare per una indipendenza della fase amministrativa

6 Che non è detto debba essere unico e identico per tutte le controversie: la composizio-ne potrebbe essere flessibile, in relazione alle diverse competenze professionali.

7 Come è stato rilevato da altre relazioni tenute nel Convegno dal quale trae spunto il pre-sente scritto, nulla esclude un doppio binario della fase amministrativa preliminare: con mo-duli diversificati in relazione alla diversa natura delle questioni che sono connaturate e a cia-scuna tipologia di soggetto passivo.

Massimo Basilavecchia 25

da quella giurisdizionale, occorrerebbe quanto meno una espressa previsione di inutilizzabilità, nel processo, degli atti della fase amministrativa: ma sarebbe una scelta controtendenza, rispetto alla esigenza di contrarre i tempi della tu-tela complessivamente intesa. E comunque si tratterebbe di una scelta da in-serire in una visione del tutto nuova del processo tributario.

Inoltre, la scelta dell’autonomia e della mancanza di preclusioni – che pure, giova ribadirlo, non va affatto esclusa a priori dal futuro legislatore di una au-spicata riforma – porrebbe anche un problema ulteriore: quello di stabilire in quale modo e con quale forma l’amministrazione, risultata soccombente nella fase filtro, possa portare all’attenzione del giudice la controversia tributaria.

Infatti, in un sistema rigido, dopo l’accoglimento del ricorso da parte del-l’organo filtro, non è difficile immaginare che l’amministrazione possa chiede-re al giudice di decidere la controversia o semplicemente trasferendola dalla fase amministrativa, o in forma di impugnazione della decisione amministra-tiva (quasi alla stregua di un’impugnazione di un lodo arbitrale). Infatti, l’atto impositivo e il ricorso sarebbero comunque immodificabili, e il giudice deci-derebbe le stesse questioni vagliate dall’organo filtro.

Ben diverso lo scenario di un filtro svincolato dalla successiva tutela giuri-sdizionale: a meno che non si pensi ad una procedura amichevole suscettibile solo di definizione condivisa, occorre pensare a come la decisione amministra-tiva possa essere portata all’attenzione del giudice da parte del soccombente, nel presupposto che tale possa essere non solo il contribuente, ma anche l’am-ministrazione finanziaria.

Il problema, come si vede, investe anche quello della natura e degli effetti della decisione che conclude la fase amministrativa

8: è un problema prelimi-nare, ineludibile, atteso che ogni scelta ulteriore presuppone che sia preventi-vamente stabilito che sorte ha l’atto impugnato in sede amministrativa, se l’or-gano filtro lo ritiene annullabile o modificabile. Richiede attenzione, questo problema, perché sfiora quello del divieto di istituzione di giudici speciali: i poteri del filtro dovrebbero essere diversi, forse minori, rispetto a quelli attri-buiti al giudice, e allora ci si può chiedere se la fase amministrativa possa con-cludersi con una decisione non esecutiva, destinata ad avere efficacia propria solo nell’accettazione convergente di entrambe le parti, e per il resto destinata a fungere solo da qualificato parere valutabile dal giudice.

In ogni caso, anche dalle questioni collegate alla natura dell’atto conclusivo

8 Naturalmente, il problema non si pone se in questa fase di filtro molto libera e informa-le le parti raggiungono un accordo.

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della fase precontenziosa, emerge come sia più semplice e realistica, almeno in prima applicazione, l’idea di un filtro che faccia da anticamera ad un pro-cesso che abbia poi lo stesso oggetto.

Ciò consentirebbe più agevolmente un risultato importante, che è quello di devolvere alla fase amministrativa non soltanto alcune particolari questioni pre-determinate dalla legge, ma l’insieme delle questioni (di fatto, di diritto o esti-mative) suscettibili poi di esame da parte del giudice tributario (quale esso sia).

Massimo Cirulli 27

Massimo Cirulli

RIMEDI CONTRO L’ESECUZIONE ESATTORIALE INGIUSTA

REMEDIES AGAINST UNFAIR TAX COLLECTION

Abstract La norma che ammette il debitore ad opporsi all’esecuzione tributaria soltanto per eccepire l’impignorabilità è apparentemente limitativa del diritto alla tutela giuri-sdizionale. Tuttavia, dal sistema possono trarsi rimedi alternativi, parimenti effica-ci: l’opposizione ex art. 617 c.p.c. e l’istanza ex art. 486 c.p.c. per contestare il difet-to di titolo esecutivo; se il pignoramento non è stato preceduto dalla notifica della cartella, il contribuente può impugnare questa davanti al giudice tributario e quello davanti al giudice ordinario; qualora il debito venga soddisfatto dopo il pignora-mento, il debitore può eccepire l’estinzione del processo esecutivo; dopo la vendi-ta, il credito tributario può essere contestato, ma con effetti endoprocessuali ex art. 512 c.p.c. Parole chiave: esecuzione forzata tributaria, opposizioni del debitore, tutela giuri-sdizionale, titolo esecutivo, pignoramento The rule that allows the debtor to challenge the forced tax collection only for arguing the non-attachability is apparently restrictive of the right to obtain judicial protection. Ho-wever, the system provides also alternative remedies having an equivalent effect: the op-position (art. 617 Code of Civil Procedure) and the instance (art. 486 Code of Civil Procedure) to challenge vices of the instrument permitting enforcement. If the attach-ment was not preceded by the notification of tax collection notice, the taxpayer may challenge the first before the tax court and the second before the civil court. If the debt has been repaid after the attachment, the debtor may challenge the termination of the enforcement trial. After the sale, the tax debt may be challenged, but with limited effects according to art. 512 Code of Civil Procedure. Keywords: forced tax collection, debtor’s oppositions, judicial protection, instrument permitting enforcement, attachment

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SOMMARIO: 1. La disciplina vigente. – 2. Il difetto di titolo esecutivo. – 3. Titolo esecutivo tributario, concorso di creditori ed opposizione di merito. – 4. L’azione di accertamento negativo. – 5. Segue: incom-patibilità con la struttura impugnatoria del processo tributario. – 6. La tutela dinanzi al giudice tributario. – 7. La lite distributiva e l’eccezione di estinzione. – 8. L’esecuzione per debito pre-scritto.

1. La disciplina vigente

Dall’art. 57, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 1 si deduce che, nell’espro-

priazione forzata promossa per la riscossione coattiva di crediti tributari iscrit-ti a ruolo, l’opposizione successiva agli atti esecutivi rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e nella competenza per materia del Tribunale (restando devoluta al giudice tributario l’impugnazione del ruolo e della cartella di pa-gamento, che corrispondono al titolo esecutivo ed al precetto dell’esecuzione di diritto comune)

2, ma con esclusione delle opposizioni d’ordine relative alla

1 Sui rimedi esperibili dal debitore contro l’esecuzione tributaria processualmente illegit-tima o sostanzialmente ingiusta v., senza alcuna pretesa di completezza, VINCRE, L’opposizio-ne all’esecuzione e agli atti nell’espropriazione tributaria, in AA.VV., Codice commentato del pro-cesso tributario, a cura di Tesauro, II ed., Milanofiori Assago, 2016, p. 1155 ss.; RENDA, Il si-stema delle tutele giurisdizionali nella fase della riscossione dei tributi, in AA.VV., Codice com-mentato delle esecuzioni civili, a cura di Arieta-De Santis-Didone, Milanofiori Assago, 2016, p. 1925 ss.; DE SIMONE, Le opposizioni agli atti esecutivi delle esecuzioni forzate speciali, ivi, p. 2578 ss.; LONGO, sub art. 57 d.P.R. n. 602/1973, in CONSOLO-GLENDI, Commentario breve alle leggi del processo tributario, III ed., Padova, 2012, p. 1009 ss.; ARIETA-DE SANTIS, L’esecu-zione forzata, Padova, 2007, p. 1364 ss.; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, V ed., Pado-va, 2016, p. 1666 s.; MANCUSO, La tutela del contribuente-debitore nel procedimento di esecu-zione forzata esattoriale, in Riv. es. forz., 2008, p. 542 ss.; GIUSTI-MARTINO, La riscossione esat-toriale, ivi, 2006, p. 536 ss.; MONDINI, La tutela del debitore avanti al giudice dell’esecuzione «esattoriale» alla luce del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, in Giur. it., 2000, p. 3 ss.; SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. trib., 2008, p. 1299 ss.; LA ROSA, La tutela del contribuente nella fase di riscossione dei tributi, ivi, 2001, p. 1178 ss.; RANDAZZO, Ese-cuzione forzata tributaria: il raccordo tra giudizio ordinario e tributario per una efficace tutela, in Corr. trib., 2011, p. 2745 ss.; ODOARDI, Il processo esecutivo tributario, Roma, 2012, p. 347 ss.

2 Sul criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice tributario, ove la contestazione investa il quomodo executionis, v. Cass., 7 maggio 2015, n. 9246: se il contri-buente impugna l’atto presupposto – cartella di pagamento od intimazione ad adempiere (che ha sostituito l’avviso di mora) – chiedendone l’annullamento per irregolarità formali del-l’atto o della sua notificazione, l’opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice ordinario non è ammessa, essendo l’accertamento dei vizi riservata al giudice tributario; se impugna invece l’atto di pignoramento e ne chiede la dichiarazione di nullità, facendo valere vizi pro-

Massimo Cirulli 29

regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo 3, assorbite dall’im-

pugnazione dell’atto dinanzi al giudice tributario 4; l’opposizione all’esecuzio-

pri dell’atto o della sua notificazione ovvero il vizio derivante dall’omessa notificazione del-l’atto presupposto, l’opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice ordinario è ammissibile, anche se l’atto presupposto della cui notificazione si tratta è una cartella di pagamento o un avviso contenente l’intimazione ad adempiere. L’ammissibilità dell’opposizione dipende dal-l’atto impugnato e non dal vizio dedotto; pertanto, sono impugnabili unicamente davanti al giudice tributario gli atti propedeutici all’esecuzione esattoriale, quali la cartella e l’intima-zione di pagamento, mentre sono impugnabili dinanzi al giudice ordinario il pignoramento e gli atti successivi; in tal caso l’opponente può eccepire la nullità del pignoramento o per vizi propri, o per omessa notifica della cartella (e quindi per invalidità derivata), ed il giudice or-dinario deve limitarsi a constatare il vizio o l’omissione al solo fine di dichiarare la nullità del pignoramento.

3 La ragione dell’esclusione, già prevista dall’art. 209, D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, consiste nell’essere il rimedio concesso per ottenere l’annullamento dell’atto, nella specie am-ministrativo (il ruolo); tale pronuncia costitutiva è vietata al giudice ordinario dall’art. 4, com-ma 2, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (TARZIA, I rimedi contro l’esecuzione esattoriale e la Co-stituzione, in Riv. dir. proc., 1962, p. 623).

4 LA MEDICA, Espropriazione forzata esattoriale, in Enc. giur., Agg., XIII, 2000, p. 3 s. os-serva che il divieto di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. per contestare la regolarità for-male del titolo esecutivo e della relativa notificazione non priva il contribuente della tutela giurisdizionale, erogabile da parte del giudice tributario, dinanzi al quale il ruolo è impugna-bile anche per vizi formali. In senso sostanzialmente conforme v. GIORGETTI, L’esecuzione esattoriale e i suoi rimedi, in Riv. dott. comm., 2006, p. 900 ss., la quale osserva che il ruolo e la cartella di pagamento rientrano tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario ex art. 19, comma 1, lett. d), D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

L’opposizione preventiva d’ordine contro il titolo esecutivo ed il precetto è quindi assor-bita dal ricorso proponibile davanti alla commissione tributaria provinciale nel termine di decadenza. Non opera pertanto la distinzione tra motivi di rito e motivi di merito rilevante in materia di opposizioni all’esecuzione esattoriale per crediti extratributari (segnatamente pre-videnziali) o per crediti tributari non rientranti nella previsione dell’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992; l’art. 29, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 prevede che in tal caso «le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie», non applicandosi il regime dero-gatorio di cui all’art. 57, D.P.R. n. 602/1973. Il D.Lgs. n. 46/1999 prevede due rimedi contro il ruolo: l’opposizione ex art. 24 entro quaranta giorni dalla notifica della cartella, per motivi di merito (ad es., prescrizione), proponibile dinanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro in contraddittorio con l’ente impositore; la contestazione di vizi formali (ad es., difetto di motivazione), che la giurisprudenza sussume nella previsione dell’art. 29, reputandola sot-toposta al termine dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. e che pertanto, ove cumulata all’opposi-zione di merito, è inammissibile se proposta decorso il termine di venti giorni dalla notifica della cartella ed ha quale legittimo contraddittore l’agente della riscossione, che ove assuma l’imputabilità del vizio al creditore può chiamarlo in causa (Cass., 25 febbraio 2016, n. 3707; Cass., 19 ottobre 2015, n. 21080; Cass., 17 luglio 2015, n. 15116; Cass., 6 settembre 2012, n. 14963).

Il ruolo e la cartella di pagamento per i crediti dell’INPS sono stati sostituiti, a decorrere dal 1° gennaio 2011, dall’avviso di addebito, emesso dall’ente previdenziale e contenente l’in-

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 30

ne davanti al giudice ordinario è ammessa soltanto se concerne la pignorabili-tà

5, prima della vendita del bene o dell’assegnazione del credito 6. Non è quin-

di concessa l’opposizione repressiva per difetto di titolo esecutivo o per ragio-ni di merito.

Le questioni di legittimità costituzionale in parte qua dell’art. 57 cit. finora sollevate (e decise), per denunciata violazione degli artt. 3 e 24 Cost. (risol-vendosi il divieto dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. nell’ingiustificata limita-zione del diritto di azione e nell’irragionevole disparità di trattamento fra il contribuente ed il soggetto passivo dell’esecuzione ordinaria, secondo la pro-spettazione dei giudici a quibus), sono state dichiarate inammissibili per difet-to di rilevanza

7. Interessa in questa sede non tanto sindacare la costituzionali- timazione ad adempiere; la riscossione coattiva è affidata ad Equitalia; il regime impugnato-rio, compendiato nei termini che precedono, è rimasto immutato (in argomento v. LICCI, Gli atti di recupero coattivo del credito previdenziale e i rimedi giurisdizionali esperibili dal debitore, in AA.VV., Il processo esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, p. 1359 ss.).

5 Vi rientra l’opposizione con la quale il debitore sottoposto a liquidazione coatta ammi-nistrativa eccepisce la violazione, da parte dell’agente della riscossione, del divieto di esecu-zioni individuali in costanza della procedura concorsuale, ai sensi degli artt. 51 e 201 L. fall. (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20294).

6 L’art. 615, comma 2, c.p.c., nel testo risultante dalla riforma del 2016, ammette l’opposi-zione all’esecuzione forzata espropriativa prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione (in argomento v., se vuoi, CIRULLI, Le nuove disposizioni in materia di espropriazione forzata contenute nella legge 30 giugno 2016, n. 119, in Riv. es. forz., 2016, p. 563 ss.). Nell’esecuzione esattoriale la vendita non è soggetta ad autorizzazione giudiziale; ritengo che la preclusione sia pertanto segnata dall’aggiudicazione, come era d’altronde previsto dall’art. 649 c.p.c. 1865. In-vece l’assegnazione del credito pignorato è disposta dal giudice dell’esecuzione, qualora il terzo non abbia ottemperato all’ordine di pagamento diretto in favore dell’agente della riscos-sione, talché l’opposizione per impignorabilità è proponibile fino alla pronuncia dell’ordi-nanza. VINCRE, L’opposizione all’esecuzione, cit., p. 1172 prospetta invece l’alternativa tra il ri-tenere inapplicabile il nuovo testo dell’art. 615, comma 2, c.p.c. all’esecuzione tributaria, per incompatibilità con il relativo sistema, e l’ammettere che nell’espropriazione immobiliare pro-mossa dall’agente della riscossione il debitore sia rimesso automaticamente in termini, po-tendo quindi proporre l’opposizione anche dopo che è stata disposta la vendita.

7 Corte cost., 13 marzo 2011, n. 133; Corte cost., 27 marzo 2009, n. 93; Corte cost., 6 lu-glio 2001, n. 242. La risalente Corte cost., 7 luglio 1962, n. 87, in Riv. dir. proc., 1962, p. 608, con nota di TARZIA, I rimedi contro l’esecuzione esattoriale e la Costituzione; in Giur. cost., 1962, I, p. 933, con nota di SCOCA, La tutela del contribuente nel processo esecutivo esattoriale, dichia-rò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 209, D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (nella parte in cui vietava le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi, offrendo al contribuente il rimedio amministrativo del ricorso all’intendente di finanza contro gli atti ese-cutivi dell’esattore e quello giurisdizionale dell’azione di risarcimento dei danni, proponibile nei confronti dell’esattore dopo il compimento dell’esecuzione), sollevata con riferimento agli artt. 3 e 113 Cost. La Corte escluse, in primo luogo, l’irragionevolezza della denunciata dispari-tà di trattamento fra i soggetti passivi dell’esecuzione esattoriale e di quella di diritto comune,

Massimo Cirulli 31

tà della testuale restrizione dei mezzi di tutela giurisdizionale apprestati in favo-re del contribuente sottoposto ad esecuzione esattoriale

8, quanto proporre un’in-terpretazione adeguatrice della disposizione sottoposta a scrutinio, onde pre-servarla dall’altrimenti possibile dichiarazione di incostituzionalità nella parte in cui non ammette l’opposizione repressiva all’esecuzione per motivi diversi dal-l’impignorabilità. Sono peraltro a mio avviso derivabili dal sistema rimedi alter-nativi (sia interni che esterni al processo esecutivo), parimenti efficaci (in quan-to inibitori dell’espropriazione e non meramente reintegratori, ex post, del pa-trimonio dell’escusso), a tutela del debitore ingiustamente esecutato.

Ed invero, quale che sia la natura (amministrativa 9 o giurisdizionale

10; ma «non potendosi disconoscere la particolarità del rapporto che si stabilisce tra lo Stato credi-tore e il contribuente»; assunta la natura amministrativa, non giurisdizionale, dell’esecuzio-ne esattoriale, giudicò conforme all’art. 113 Cost. il sistema dei mezzi di tutela del contribuente disegnato dagli artt. 208 e 209, D.P.R., cit. (azione di accertamento negativo del debito d’im-posta, esperibile dinanzi all’autorità giudiziaria competente previa pubblicazione del ruolo, anche prima dell’inizio dell’esecuzione; ricorso all’intendente di finanza, il cui diniego era im-pugnabile in sede giurisdizionale; azione risarcitoria contro l’esattore post executionem). All’i-nammissibilità delle opposizioni esecutive suppliva quindi la possibilità di ricorrere all’inten-dente contro gli atti esattoriali («conseguenza e conferma a un tempo del carattere ammini-strativo del procedimento»), che non potevano essere annullati dal giudice ordinario; nel procedimento di riscossione coattiva il principio di esecutorietà dell’atto amministrativo aveva infatti modo di manifestarsi «più energicamente forse che non in altri», stante la rilevanza dell’interesse tutelato («quello fondamentale di garantire il regolare svolgimento della vita fi-nanziaria dello Stato»), comportando come conseguenza il non derogato divieto a carico del giudice ordinario di modificare o revocare l’atto amministrativo o sospenderne l’esecuzione.

8 Nonostante la soppressione della figura dell’esattore, sostituita prima dal concessiona-rio e quindi dall’agente della riscossione, il sintagma nominale “esecuzione esattoriale” conti-nua a designare, nell’uso corrente, l’espropriazione forzata promossa per la riscossione coattiva dei crediti iscritti a ruolo o risultanti da atti c.d. impoesattivi (avviso di accertamento esecu-tivo, avviso di addebito).

9 In tal senso v., in luogo d’altri, PUGLIATTI, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 208 ss.; MONTESANO, Sulla funzione dell’esecuzione esattoriale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 914 ss., 932, nota 19; ALLORIO-MAGNANI, Riscossione coattiva delle imposte, in Noviss. Dig. it., XVI, 1969, p. 36; GLENDI, Natura giuridica dell’esecuzione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., 1992, I, p. 2240 ss.; ID., Verso una nuova esecuzione forzata tributaria, in Riv. giur. trib., 2006, p. 466; BASILAVECCHIA, Espropriazione forzata in base a ruolo, in AA.VV., Co-dice commentato delle esecuzioni civili, cit., p. 1901; ID., Riscossione delle imposte, in Enc. dir., XL, 1989, p. 1179; TRIMELONI, L’opposizione di terzo nell’esecuzione esattoriale è lite tributa-ria?, in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, II, Milano, 1989, p. 1356; ARIETA-DE SANTIS, op. cit., p. 1342; SOLDI, op. cit., p. 1623.

10 Così, invece, LA CHINA, L’esecuzione forzata e le disposizioni generali del codice di proce-dura civile, Milano, 1970, p. 60 ss.; BATISTONI FERRARA, I mezzi di difesa contro l’esecuzione esattoriale e la costituzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, p. 970 ss.; COSTANTINO, Le espro-priazioni forzate speciali. Lineamenti generali, Milano, 1984, p. 87 ss.; ID., La riscossione coatti-

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forse si tratta di un mixtum compositum, amministrativo nella fase espropriativa e giurisdizionale nella fase satisfattiva

11) da riconoscersi all’esecuzione esatto-riale e, correlativamente, alla situazione materiale del soggetto passivo (interes-se legittimo oppositivo o diritto soggettivo), a costui non può essere negato il potere di provocare l’accertamento giurisdizionale della illegittimità processua-le e dell’ingiustizia sostanziale dell’espropriazione, pena la violazione degli artt. 24 o 113 Cost. (a seconda che si propenda per la natura processuale od ammi-nistrativa degli atti esecutivi). Nel processo espropriativo di diritto comune i ri-medi a tal fine esperibili sono, rispettivamente, l’opposizione agli atti esecutivi e l’opposizione all’esecuzione; nell’espropriazione esattoriale la prima è ammes-sa, salvo che per contestare la regolarità formale e la notificazione del titolo ese-cutivo (trattandosi di materia riservata al giudice tributario), mentre la seconda è vietata, salvo che per contestare la pignorabilità dei beni.

Se non può revocarsi in dubbio che la riscossione coattiva garantisca l’ef-fettivo concorso alla spesa pubblica, rendendo coercibile l’obbligo sancito dall’art. 53, comma 1, Cost.

12, tuttavia tale finalità non può importare deroga va delle imposte mediante espropriazione di crediti del contribuente, in AA.VV., Le espropriazioni presso terzi, a cura di Auletta, Bologna, 2011, p. 442 ss.; GIORGETTI, Profili dell’espropriazione forzata tributaria, in Dir. prat. trib., 2006, p. 778 s. Sembra propendere per la processualità dell’espropriazione esattoriale anche TARZIA, Le nuove disposizioni sulla esecuzione esattoriale, in Riv. dir. proc., 1959, p. 112; ID., L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, p. 16, testo e nota 33.

11 Ed invero l’interprete non può ignorare che la vendita forzata esattoriale non è soggetta ad autorizzazione giudiziale (art. 52, D.P.R. n. 602/1973), mentre il ricavato è attribuito o distribuito dal giudice dell’esecuzione (art. 56, D.P.R. cit.). Ritengo, pertanto, che sia tuttora da approvarsi l’opinione di ALLORIO, Diritto processuale tributario, II ed., Torino, 1953, p. 94 sulla natura di autotutela amministrativa della fase liquidativa e di processo giurisdizionale della fase satisfattiva, tanto nell’espropriazione mobiliare che in quella immobiliare. Appare so-stanzialmente conforme la tesi di BONGIORNO, Profili sistematici e prospettive dell’esecuzione forzata in autotutela, in AA.VV., Studi in onore di Enrico Allorio, II, Milano, 1989, p. 1249, il quale, mentre predica la natura giurisdizionale dell’esecuzione esattoriale immobiliare, ricon-duce quella mobiliare all’autotutela esecutiva, ma limitatamente alla fase liquidativa ed esclu-dendo che si tratti di una «speciale funzione amministrativa in autotutela», in quanto l’e-spropriazione costituisce strumento di attuazione della responsabilità patrimoniale del debi-tore; si rende pertanto applicabile l’art. 2741 c.c. e «la soddisfazione del credito d’imposta, pur attuandosi in maniera autonoma ed indipendentemente dalle regole proprie della espro-priazione giurisdizionale del codice di procedura civile e della legge fallimentare, non può mai pregiudicare le ragioni degli altri creditori che, godendo di una collocazione preferenzia-le, siano intervenuti nel processo esecutivo in autotutela promosso dall’esattore»: il che vale quanto affermare che la fase satisfattiva è sottratta all’iniziativa unilaterale dell’agente della riscossione ed affidata al controllo giudiziale.

12 BASILAVECCHIA, Profili costituzionali della riscossione, in Riv. dir. trib., 2015, p. 473 ss.

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ai principi (di pari valore costituzionale e quindi non recessivi) del giusto pro-cesso, canonizzati dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU

13, venendo in rilievo la tutela del soggetto passivo dell’esecuzione esattoriale all’integrità del suo pa-trimonio (il c.d. diritto a non subire un’esecuzione ingiusta). Poiché si deve ga-rantire ad ogni persona fisica o giuridica il «diritto al rispetto dei suoi beni»

14, occorre concedere all’interessato il potere processuale di azione in via non sol-tanto repressiva, ma anche preventiva contro l’espropriazione forzata promossa in suo danno dal sedicente creditore. La natura del credito per il quale l’agente della riscossione procede in executivis, generalmente addotta a giustificazione della specialità dell’esecuzione esattoriale

15, diviene irrilevante quando non esi-stano il titolo esecutivo e/o il diritto sostanziale, ma nondimeno l’espropria-zione venga iniziata e proseguita e compiuta, in tal caso consumandosi un illeci-to di diritto comune.

2. Il difetto di titolo esecutivo

Il compito del giurista non può esaurirsi nel censurare una norma limitati-va del diritto di azione, che va invece resa oggetto di un’interpretazione non meramente esegetica, onde trarre dal sistema rimedi alternativi, che soddisfi-no l’aspirazione del debitore ad un efficace (in quanto precedente ed inibente la vendita forzata, che produce l’irreversibile ablazione del bene pignorato)

16

13 Sulla cui diretta applicabilità al processo tributario, a dispetto della dicotomia tra mate-ria e civile materia penale che figura nella Convenzione quanto ad oggetto di tutela, v. DEL FEDERICO, Quadro teorico e itinerari giurisprudenziali per giungere all’applicazione della CEDU in materia tributaria, in AA.VV., Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, Torino, 2014, p. 72 ss.

14 Così l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952. 15 V. l’enfatica sottolineatura delle «ragioni di speditezza e di sicurezza che presiedono,

nel supremo interesse della finanza, a tutta l’esecuzione forzata tributaria» da parte di ALLO-RIO, op. cit., p. 259, il quale da tale premessa di carattere funzionale trae la conseguenza struttu-rale che «il risultato di codesto processo, comunque violate siano eventualmente state le nor-me che ne disciplinano l’attuazione, non è suscettibile d’eliminazione giuridica, nella forma del-la nullità o dell’annullabilità», restando esperibile il solo rimedio postumo dell’azione risarcito-ria nei confronti dell’esattore.

16 La sopravvivenza dell’aggiudicazione alla caducazione del titolo esecutivo (salva l’ipo-tesi di collusione tra creditore procedente e terzo acquirente e spettando comunque all’e-scusso il ricavato della vendita nonché il risarcimento del danno) è stata riconosciuta, pro-prio in una fattispecie di espropriazione immobiliare proseguita dall’agente della riscossione nonostante l’ente impositore avesse disposto lo sgravio del carico iscritto a ruolo, da Cass.,

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controllo giurisdizionale della legittimità e giustizia dell’esecuzione esattoria-le. Orbene, poiché l’opposizione repressiva agli atti esecutivi compiuti dall’a-gente della riscossione non soffre limiti, tale rimedio, che nell’esecuzione or-dinaria ha natura sussidiaria (costituendo strumento di tutela utilizzabile in assenza di altro mezzo di difesa), può prestarsi allo scopo di supplire, almeno parzialmente, all’improponibilità dell’opposizione all’esecuzione.

Premesso che nell’opposizione all’esecuzione coesistono sia quella di meri-to, sia quella contro l’esecutività del titolo, sia quella che investe l’oggetto del processo di espropriazione (alle quali nell’ordinamento tedesco corrispondo-no, invece, distinti rimedi)

17, l’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, nell’ammettere soltanto la terza, vieta le prime due. Tuttavia, il difetto originario o sopravve-nuto di titolo esecutivo può essere eccepito anche con l’opposizione d’ordine, che così assolve la sua funzione sussidiaria di rimedio di chiusura. Mentre con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. non si può contestare il quomodo exequendum, con l’opposizione agli atti esecutivi si può discutere anche del diritto di pro-cedere ad esecuzione forzata

18: segnatamente dell’esistenza e dell’efficacia sog-gettiva del titolo esecutivo, che deve costantemente sorreggere anche l’espro-priazione esattoriale. Il rinvio (formale e non recettizio)

19 alle norme del co-dice di procedura civile, contenuto nell’art. 49, comma 2, D.P.R. n. 602/1973, benché sottoposto al limite della compatibilità, rende infatti applicabile il fon-damentale principio nulla executio sine titulo e le disposizioni del Libro III del codice di rito che non sono esplicitamente od implicitamente derogate, salvo comunque il generale limite della ragionevolezza dello ius singulare

20. sez. un., 28 novembre 2012, n. 21110, in Corr. giur., 2013, p. 387, con nota di CAPPONI, Espro-priazione forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti); in Riv. dir. proc., 2013, p. 1551, con nota di VINCRE, La stabilità della vendita forzata: un “dogma” riaffermato; in Foro it., 2013, I, p. 1224, con nota di LONGO, Carenza del titolo esecutivo, vendita forzata e salvezza dell’acqui-sto del terzo; in Giust. civ., 2013, I, p. 997, con nota di CAMPI, Difetto di azione esecutiva e stabi-lità della vendita forzata; in Riv. giur. trib., 2013, p. 373, con nota di PICIOCCHI, Inesistenza sopravvenuta del titolo esecutivo: la buona fede salva l’acquisto del terzo?

17 VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, II ed., Torino, 1993, p. 75. 18 ORIANI, Opposizione all’esecuzione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, 1995, p. 610 s. 19 GLENDI, Verso una nuova esecuzione forzata tributaria, cit., p. 465. 20 Esemplare in tal senso è la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 85, com-

ma 1, D.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui prevede che, se il terzo incanto ha esito negativo, l’assegnazione dell’immobile allo Stato ha luogo «per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziché per il prezzo base del terzo incanto (Corte cost., 28 ottobre 2011, n. 281, in Giur. cost., 2011, p. 3653, con nota di PRINCIPATO; in Riv. giur. trib., 2012, p. 189, con nota di PICIOCCHI; in Giusto proc. civ., 2012, p. 413, con nota di LONGO; in Riv. es. forz., 2013, p. 679, con nota di CERRATO).

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Poiché il titolo esecutivo è un presupposto processuale 21, il relativo difetto,

originario o sopravvenuto, può essere dedotto con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. entro venti giorni dal compimento di ciascun atto della serie procedi-mentale, che risulta viziato in via autonoma

22. Ne segue che se, nonostante l’annullamento da parte del giudice tributario della cartella di pagamento o dell’atto impositivo presupposto, tempestivamente impugnati dal contribuen-te dinanzi alla commissione tributaria provinciale, l’esecuzione prosegua, il soggetto passivo potrà provocarne l’anticipata chiusura o mediante istanza ex art. 486 c.p.c. al giudice dell’esecuzione, sollecitatoria del rilievo officioso del difetto sopravvenuto di titolo esecutivo, ovvero in via di opposizione d’ordine contro qualunque atto di esecuzione compiuto dall’agente della riscossione

23, altresì domandando che nelle more il processo esecutivo resti sospeso ex art. 60, D.P.R. n. 602/1973

24. Infatti, anche nell’espropriazione esattoriale vige il generale e non derogato principio in forza del quale l’esistenza e la persistenza del titolo esecutivo devono essere rilevate d’ufficio dal giudice dell’esecuzio-

21 Il titolo esecutivo costituisce presupposto processuale secondo FURNO, Disegno siste-matico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942, p. 35, mentre ad avviso di DENTI, Intorno ai concetti generali del processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 1954, I, p. 128 trattasi di condizione dell’azione, venendo in rilievo «quando si tratta di giudicare non della ammissi-bilità della domanda (ossia della regolare costituzione del rapporto processuale), bensì della fondatezza della domanda di esecuzione». La prima opinione resta preferibile, in quanto esprime la necessità che il titolo esecutivo esista al tempo della domanda, come è proprio dei presupposti processuali, non delle condizioni dell’azione, che è sufficiente sussistano al tem-po della decisione [CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, II ed., Napoli, 1960 (rist.), p. 58].

22 Sulla rilevanza della distinzione tra nullità formali, che riguardano i singoli atti del pro-cesso esecutivo, e presupposti processuali, che concernono le condizioni per l’emanazione del provvedimento di merito, v. LUISO, Diritto processuale civile, III, VI ed., Milano, 2011, p. 264 ss. Secondo l’A., mentre la nullità del singolo atto si comunica a quelli successivi dipendenti (art. 159 c.p.c.), il vizio attinente ad un presupposto processuale inficia autonomamente tutti gli atti del processo. Se non è proposta tempestiva opposizione ex art. 617 c.p.c. contro un atto nullo per difetto di un requisito formale, la nullità resta sanata; la sanatoria non opera, invece, con riferimento agli atti compiuti in carenza di un presupposto processuale, con la conseguenza che l’opposizione è proponibile nei confronti di ciascun atto successivo; se pe-rò l’opposizione viene omessa anche contro l’ultimo atto, il vizio diviene irrilevante, analo-gamente a quanto avviene se la sentenza resa a definizione del processo di cognizione non viene impugnata.

23 Sul concorso dei due rimedi, in presenza di nullità insanabili degli atti esecutivi, v. ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, p. 169 ss.

24 La disposizione subordina la sospensione alla ricorrenza non soltanto di gravi motivi (come è previsto dall’art. 624 c.p.c.), ma anche del «fondato pericolo di grave e irreparabile danno», che è integrato dalla vendita del bene pignorato, intangibile nonostante l’estinzione o l’anticipata chiusura del processo espropriativo.

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ne 25; pertanto, l’esecuzione tributaria diviene improcedibile qualora il ruolo

(al quale l’art. 49, comma 1, D.P.R. n. 602/1973 attribuisce espressamente l’efficacia di titolo esecutivo) sia stato annullato in sede giurisdizionale od in via di autotutela e l’ente impositore abbia proceduto allo sgravio totale. L’im-procedibilità segue anche alla definizione agevolata, se prevista dalla legge e se tempestivamente perfezionata, dei carichi iscritti a ruolo

26. Qualora l’istanza ex art. 486 c.p.c. sia rigettata dal giudice dell’esecuzione,

non ha ragion d’essere la questione, disputata nell’esecuzione di diritto comu-ne, circa il rimedio concesso al debitore: opposizione all’esecuzione

27 od op-posizione agli atti esecutivi

28. Nell’esecuzione esattoriale la prima è infatti vie-tata, onde la contestazione del provvedimento che nega l’anticipata chiusura del processo esecutivo va affidata all’opposizione ex art. 617 c.p.c., che non in-contra limiti quando si diriga nei confronti di una misura giudiziale. D’altron-de, anche nell’esecuzione disciplinata dal Libro III del codice di rito civile l’opposizione agli atti esecutivi può eccezionalmente assumere il contenuto ti-pico dell’opposizione all’esecuzione, quando tale mezzo sia precluso dalla chiu-sura del processo esecutivo: si consideri l’ipotesi dell’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, resa a definizione dell’espropriazione presso terzi e su-scettibile di opposizione ex art. 617 c.p.c. da parte del debitore che eccepisca l’impignorabilità del credito o l’inesistenza del titolo esecutivo

29. In dottrina non manca, peraltro, chi ascrive il difetto di titolo esecutivo all’opposizione d’ordine

30.

25 V., in termini, Cass., 27 giugno 2014, n. 14641. 26 Come nel caso deciso da Cass., 27 giugno 2014, n. 14641: nella specie, l’opponente ese-

cutato si era avvalso della possibilità di definizione dei carichi di ruolo pregressi di cui all’art. 12, L. 27 dicembre 2002, n. 289 ed aveva estinto i debiti inclusi nei ruoli affidati al conces-sionario opposto. Questa definizione, secondo la Suprema Corte, aveva comportato il venir meno del diritto del concessionario di procedere ad espropriazione forzata sulla base dei ruoli, che avevano perso la loro efficacia di titoli esecutivi, con effetto ex tunc. La Corte rego-latrice, anziché dichiarare l’improponibilità assoluta dell’opposizione all’esecuzione, siccome proposta in violazione dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973 (alla stregua della sua consolidata giu-risprudenza in subiecta materia: v. infra, nota 67), ha pertanto confermato la decisione di me-rito che l’aveva accolta.

27 ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 163 ss. In giurisprudenza v. Cass., 20 maggio 2015, n. 10423; Cass., 31 agosto 2011, n. 17878; Cass., 21 novembre 1988, n. 6262, tutte nel senso dell’impugnabilità dell’ordinanza di assegnazione del credito, asseritamente im-pignorabile, soltanto con l’opposizione agli atti esecutivi.

28 LUISO, op. cit., p. 61. 29 ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 164. 30 VIGNERA, “Cognizione strumentale” del giudice dell’esecuzione e carenza del titolo esecutivo:

Massimo Cirulli 37

Invece la sospensione (iussu iudicis od amministrativa) dell’esecutività del ruolo rende quiescente il processo esecutivo, fino a quando la cautela (per sua natura provvisoria e strumentale) sia assorbita dalla misura rescindente o ca-ducata dal rigetto del ricorso proposto dal contribuente (che abbia chiesto l’an-nullamento in sede giurisdizionale od in via di autotutela), ma non determina l’estinzione dell’esecuzione esattoriale, neppure «nella misura in cui essa si tra-duca nell’inattività del concessionario che diserti due udienze consecutive»

31. Piuttosto, è da ritenersi che la misura cautelare, come priva temporaneamente il creditore del potere d’impulso, così lo esenta temporaneamente dall’onere d’impulso, con la conseguenza che la forzata inattività dell’agente della riscos-sione, che diserti due consecutive udienze alle quali non poteva partecipare in costanza di sospensione, non può ridondare in suo danno, né quindi integrare la fattispecie estintiva prevista dall’art. 631 c.p.c. La sospensione rende quie-scente il processo esecutivo, interrompendo (e non sospendendo) i termini pe-rentori a carico del creditore, i quali ricominciano a decorrere per l’intera (e non per la residua) durata dal giorno della prima udienza che, dopo la sospen-sione, il giudice dell’esecuzione ha fissato su istanza delle parti (art. 298, comma 2, c.p.c., applicabile al processo esecutivo)

32. A seguito della sospen-sione l’agente della riscossione non può compiere atti espropriativi; e se non-dimeno vi provveda, il debitore può proporre non opposizione all’esecuzione (vietata dall’art. 57, D.P.R. n. 602/1973), eccependo la sopravvenuta (e ben-ché provvisoria) inefficacia del ruolo

33, bensì opposizione agli atti esecutivi. Il provvedimento di sospensione del ruolo opera quindi alla stregua dell’inibi-toria dell’efficacia esecutiva del titolo, disposta dal giudice davanti al quale pende la relativa impugnazione (art. 623 c.p.c.), risolvendosi in causa di so-spensione esterna del processo esecutivo. È soltanto con l’annullamento del ruolo, che sia stato previamente sospeso, che l’espropriazione diventa impro-seguibile: nelle more, resta quiescente e si conservano gli effetti sostanziali e processuali del pignoramento. Intervenuto l’annullamento, l’agente della ri-scossione deve senza indugio rinunciare agli atti; se non vi provvede, il debi-tore può chiedere al giudice dell’esecuzione, con istanza ex art. 486 c.p.c., di rilevare il difetto sopravvenuto di titolo esecutivo e di dichiarare improcedibi-le il processo espropriativo. spunti per una ricerca, in Giur. it., 1984, IV, p. 312 ss., spec. p. 320; BOVE, L’esecuzione forzata ingiusta, Torino, 1996, p. 65, nota 12.

31 Come ritenuto da ARIETA-DE SANTIS, op. cit., p. 1377 s. 32 Cass., 20 aprile 1991, n. 427, in Giur. it., 1992, I, 1, p. 121. 33 Così ARIETA-DE SANTIS, op. cit., p. 1378.

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La fattispecie del difetto di titolo esecutivo, rilevabile d’ufficio o deducibile in via di opposizione d’ordine, è integrata anche qualora l’agente della riscos-sione proceda nei confronti di soggetto diverso da quello che risulta obbligato ex titulo, spettando al procedente dimostrare che l’esecutato è successore a ti-tolo universale o particolare del contribuente iscritto a ruolo. Non è a tal fine necessaria l’opposizione all’esecuzione, atteso che le questioni relative alla le-gittimazione attiva e passiva, come sono rilevabili d’ufficio nel processo di-chiarativo (salvo il limite del giudicato interno), così sono rilevabili d’ufficio nel processo esecutivo; anzi, mentre nel primo la legittimazione rappresenta una condizione dell’azione diversa dall’esistenza del diritto, nel secondo si identifica con la titolarità del diritto di procedere ad esecuzione forzata e nella correlativa soggezione all’azione esecutiva, per come risultano non meramen-te affermati dalle parti, ma documentati dal titolo esecutivo

34. Il difetto di le-gittimazione si risolve quindi in difetto di titolo

35, come tale rilevabile d’uffi-cio e non necessitante di apposita opposizione

36. Peraltro, poiché l’atto espro-priativo compiuto da (o ad istanza di) soggetto non titolato o nei confronti di soggetto diverso dal debitore ex titulo è affetto da vizio proprio, per inesisten-za di un presupposto processuale (il titolo esecutivo, che non individua in quei soggetti il creditore ed il debitore), resta salva la facoltà del debitore di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. nel termine di venti giorni dal compi-mento di ciascun atto, contestualmente invocando la sospensione del proces-so esecutivo.

34 Osserva LA CHINA, op. cit., p. 308 che il titolo esecutivo «è condizione necessaria e suf-ficiente della legittimazione e titolarità del diritto di procedere ad esecuzione forzata». Vi è difetto di legittimazione attiva quando l’esecuzione è promossa da soggetto diverso da quello che dal titolo risulta creditore (op. cit., p. 315); difetto di legittimazione passiva quando l’e-secuzione è promossa contro soggetto diverso da quello che dal titolo risulta debitore (op. cit., p. 326).

35 Secondo MANDRIOLI, Opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Enc. dir., XXX, 1980, p. 434 s., il difetto originario del titolo esecutivo può essere assoluto (come nell’ipotesi di sentenza inesistente ex art. 161, comma 2, c.p.c. o priva di contenuto condannatorio) o rela-tivo, «in quanto riferito alla direzione soggettiva od oggettiva dell’azione esecutiva», minac-ciata od esercitata «da un soggetto o contro un soggetto diversi da quelli che nel titolo ese-cutivo risultano come titolari rispettivamente attivo o passivo del rapporto sostanziale», ag-giungendo che in questi casi l’opposizione ex art. 615 c.p.c. investe l’azione esecutiva sotto il profilo della legittimazione attiva o passiva.

36 Così, invece, LA CHINA, op. cit., p. 326. Ma l’A. afferma pure che l’ufficiale giudiziario deve rifiutarsi di procedere a pignoramento se richiestone da soggetto diverso dal creditore ti-tolato (op. cit., p. 315): ciò equivale a riconoscere che il difetto di legittimazione/titolarità deve essere rilevato d’ufficio.

Massimo Cirulli 39

3. Titolo esecutivo tributario, concorso di creditori ed opposizione di merito

La possibilità di contestare l’esistenza di un valido ed efficace titolo esecu-tivo tributario mediante l’istanza endoesecutiva o l’opposizione d’ordine cir-coscrive il deficit di tutela (dichiarativa e cautelare) all’opposizione di merito, fondata sull’allegazione di fatti impeditivi, modificativi od estintivi del credito erariale. In luogo dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., vietata dall’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, non sono esperibili quei rimedi alternativi, perché il giudice dell’esecuzione non può conoscere del diritto sostanziale tutelato, dovendosi a tal fine introdurre, per iniziativa del debitore, un processo di cognizione esterno a quello esecutivo. In altri termini, l’ufficio può e deve rilevare l’inesi-stenza del titolo esecutivo in senso documentale, non in senso sostanziale

37, essendo privo dei poteri istruttori e decisori necessari ai fini dell’accertamento della fattispecie costitutiva del credito

38. Il giudice dell’esecuzione può negare la tutela chiesta dal creditore per le medesime ragioni per le quali l’ufficiale giudiziario può rifiutare gli atti del suo ministero (e quindi per inesistenza, materiale o giuridica, del titolo esecutivo, o perché l’esecuzione sia promossa

37 LUISO, op. cit., p. 59 ss. La distinzione tra titolo in senso sostanziale e titolo in senso formale (e quindi tra l’accertamento in base al quale si procede ed il documento in cui l’ac-certamento è consacrato), teorizzata dalla dottrina classica [CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, III ed., Napoli, 1965 (rist.), p. 242], è stata successivamente precisata nei seguenti termini: il titolo in senso sostanziale è la fattispecie da cui sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione materiale protetta; il titolo in senso formale è il documento che rappresenta in modo incompleto la fattispecie del diritto di procedere ad esecuzione forzata, in quanto non dà evidenza ad eventuali fatti modificativi od estintivi, po-steriori alla formazione del documento (ad es., la sospensione o la riforma della sentenza di primo grado), rilevanti per l’esistenza del titolo in senso sostanziale. Ciò posto, l’art. 474 c.p.c. si riferisce al titolo in senso sostanziale e quindi alla fattispecie del diritto di procedere ad esecuzione forzata, completa dei suoi elementi costitutivi, impeditivi, modificativi ed estinti-vi, mentre l’art. 475 c.p.c. al titolo in senso documentale; eventuali divergenze tra il titolo in senso documentale ed il titolo in senso sostanziale possono essere fatte valere dal debitore con l’opposizione all’esecuzione; l’ufficio si limita a constatare l’esistenza del titolo in senso docu-mentale, sulla cui base deve procedere, salva l’opposizione del debitore che conduca all’accer-tamento, con pienezza di cognizione ed all’esterno del processo esecutivo, dell’inesistenza del titolo in senso sostanziale (LUISO, op. cit., p. 34 ss.).

38 A tale conclusione perviene anche OLIVIERI, Opposizione all’esecuzione, sospensione in-terna ed esterna, poteri officiosi del giudice, in www.Judicium.it, par. 11, argomentando che, se si ammettesse il potere di rilevare fatti lato sensu estintivi, si concederebbe al giudice dell’esecu-zione il potere di pronunciarsi sulla fattispecie costitutiva del credito, in assenza di domanda di parte e senza autorità di giudicato: ciò che «la legge sembra escludere proprio attraverso la previsione dell’opposizione all’esecuzione, costruita come azione di accertamento dell’ine-sistenza dell’azione esecutiva».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 40

da o contro soggetti diversi da quelli ex titulo), ma non può sindacare l’esi-stenza del diritto sostanziale risultante dal titolo esecutivo

39, trattandosi di questione “endoesecutivamente irrilevante”, salvo che in fase distributiva

40. Nell’espropriazione esattoriale gli unici fatti estintivi che possono venire in

rilievo sono quelli posteriori alla notificazione della cartella di pagamento o dell’accertamento esecutivo, pur trattandosi di esecuzione fondata su titoli di formazione stragiudiziale (rectius, paragiudiziale

41): sia quando si proceda in forza del ruolo o dell’avviso di accertamento (che, limitatamente alle imposte dirette, all’IRAP ed all’IVA, ha efficacia esecutiva), sia nell’ipotesi che il giudi-ce tributario abbia parzialmente accolto il ricorso del contribuente, rideter-minando l’imponibile o l’imposta

42. La sentenza ha natura costitutiva, risol-

39 ROMANO, Titolo esecutivo, in Dig. disc. priv., sez. civ., Agg., V, 2010, p. 992; ID., Espro-priazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, p. 23 ss. Diverso l’avviso di LA CHI-NA, op. cit., p. 440 ss., secondo il quale il giudice dell’esecuzione potrebbe rilevare d’ufficio la nullità del contratto-titolo esecutivo ex art. 1421 c.c., con ordinanza impugnabile con l’oppo-sizione ex art. 617 c.p.c. Ma così opinando cade la distinzione tra cognizione ed esecuzione, potendo l’ufficio esecutivo emettere una pronuncia di contenuto sostanzialmente dichiarati-vo dell’inesistenza del credito, che come tale dovrebbe essere soggetta ad appello ed idonea al giudicato materiale. Si potrebbe tuttavia alternativamente ritenere che il provvedimento abbia effetto endoprocessuale, sì da non pregiudicare il rinnovato esercizio dell’azione esecu-tiva: ma la questione non può essere esaminata in questa sede. Sui poteri del giudice del-l’esecuzione e sui limiti ai quali soggiace il controllo del titolo esecutivo v. SATTA, Commenta-rio al codice di procedura civile, III, Milano, 1966, p. 124 ss., secondo il quale l’ufficio deve «limitarsi alla constatazione della sussistenza di una fattispecie formale di titolo».

40 V. l’articolato ragionamento di FORNACIARI, Esecuzione forzata e attività valutativa. In-troduzione sistematica, Torino, 2009, p. 192 ss. La questione, come accennavo, è opinabile; la soluzione esposta nel testo è quella accolta dalla dottrina prevalente.

41 Tra i titoli giudiziali ed i titoli stragiudiziali la giurisprudenza ha collocato un tertium genus: i titoli di formazione paragiudiziale (Cass., 26 ottobre 1991, n. 11421, in motivazione; Cass., 2 ottobre 1991, n. 10269, in motivazione; Cass., 24 settembre 1991, n. 9944, in moti-vazione, richiamate da Cass., sez. un., 17 novembre 2016, n. 23397, in motivazione, par. 9), altrimenti definiti dalla dottrina di formazione amministrativa, i quali accertano irretrattabil-mente l’esistenza e l’ammontare del credito vantato da un ente pubblico quando siano rima-sti inoppugnati da parte dell’intimato (VACCARELLA, op. cit., p. 108) e per i quali vige quindi il c.d. onere dell’impugnazione, talché i vizi dell’atto debbono essere fatti valere nel termine e con il mezzo previsti dalla legge (LUISO, op. cit., p. 247). In tale categoria rientrano l’ordinanza-ingiunzione, il ruolo, gli atti impoesattivi.

42 La giurisprudenza inquadra il processo tributario nella categoria dei giudizi di impu-gnazione-merito, non di impugnazione-annullamento, traendone la conseguenza che il giu-dice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere so-stanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, non potendo com-mettere all’ufficio finanziario la conseguente rideterminazione dell’imposta dovuta dal con-

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vendosi nella parziale caducazione dell’atto impositivo, senza peraltro conte-nere una implicita ed accessoria condanna del contribuente: ed invero, in di-sparte la generale inammissibilità nel diritto processuale comune di siffatta pronuncia (che violerebbe i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato)

43, la decisione del giudice tributario non contiene un ordine di pagamento a carico dell’obbligato, ma incide sul potere impositi-vo dell’ente creditore, il quale deve rideterminare il tributo sulla base del deci-sum. La sentenza non è titolo esecutivo, ma fonte del vincolo conformativo a carico dell’amministrazione finanziaria; non condanna, ché a tal fine sarebbe necessaria una domanda riconvenzionale condizionata da parte dell’ente, di-retta a procurarsi un titolo esecutivo che sostituisca quello impugnato, per l’i-potesi che sia rescisso (secondo la tecnica propria dell’opposizione all’esecu-zione minacciata od iniziata in forza di titolo di formazione stragiudiziale)

44, laddove nel giudizio tributario non v’è luogo per domande riconvenzionali, incompatibili con la struttura impugnatoria del processo

45. La decisione, quin-di, come non sostituisce la dichiarazione del contribuente e l’accertamento dell’ufficio finanziario

46, così non sostituisce il ruolo o l’atto impoesattivo. Se invece si volesse apparentare la giurisdizione tributaria alla giurisdizione am-ministrativa estesa al merito, si dovrebbe riconoscere alla decisione che, cumu-lando fase rescindente e fase rescissoria, sostituisse o riformasse l’atto impugna-to natura formalmente giurisdizionale, ma sostanzialmente amministrativa

47, che quindi non muterebbe la matrice stragiudiziale del preteso titolo esecutivo. tribuente (così, da ultimo, Cass., 28 giugno 2016, n. 13294). Il principio era stato già enun-ciato da Cass., 28 agosto 2013, n. 19710, in Riv. giur. trib., 2014, p. 47, con nota di BASILAVEC-CHIA, La sentenza tributaria terzo atto di accertamento?, ove la critica dell’affermazione secon-do cui la decisione ha contenuto sostitutivo sia della dichiarazione del contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, integrando un terzo atto di accertamento.

43 In argomento v. TRINCHI, Osservazioni critiche sul contenuto della condanna implicita, in AA.VV., Il processo esecutivo, cit., p. 261 ss.

44 Così già LIEBMAN, Le opposizioni di merito nel processo d’esecuzione, Roma, 1931, p. 231, al cui insegnamento si è uniformata la dottrina successiva.

45 Giurisprudenza costante: v., ex multis, Cass., 20 febbraio 2013, n. 4145. 46 BASILAVECCHIA, La sentenza tributaria terzo atto di accertamento?, cit., p. 49 ss. 47 Il proprium della giurisdizione di merito consiste nell’attribuzione al giudice amministra-

tivo di un potere non meramente demolitorio, ma anche totalmente o parzialmente sostitu-tivo dell’atto impugnato. Come avverte NIGRO, Giustizia amministrativa, III ed., Bologna, 1983, p. 295, «è dubbio però se con questa attività si rimanga ancora nell’ambito della giuri-sdizione», o se piuttosto, come ritiene l’A., il giudice esplichi una funzione amministrativa, che concorre con quella giurisdizionale. Non dissimile la ricostruzione di F. SATTA, Giustizia amministrativa, Padova, 1986, p. 449 ss., secondo il quale si è in presenza di «un giudizio che

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L’efficacia esecutiva della decisione non può trarsi dall’art. 68, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 546/1992, in forza del quale in pendenza del processo il tri-buto deve essere pagato «per l’ammontare risultante dalla sentenza» della commissione tributaria provinciale che abbia accolto il ricorso

48, trattandosi di disposizione sulla riscossione frazionata dell’imposta lite pendente, né dal-l’art. 62 bis, D.Lgs., cit., che ammette la sospensione dell’esecutività della sen-tenza impugnata con ricorso per cassazione: norma che si riferisce alla deci-sione di condanna emessa in favore del contribuente, non essendo quella pro Fisco titolo esecutivo

49. La decisione non può quindi concretare un nuovo ti-tolo esecutivo di formazione giudiziale, sostitutivo di quello stragiudiziale ca-ducato, pena la violazione del principio di tipicità degli atti-documenti legit-timanti l’esercizio dell’azione esecutiva, che per rientrare nel catalogo dell’art. 474 c.p.c. necessitano dell’espressa previsione di legge, attributiva della vis executiva.

Ne segue che, secondo i principi generali, l’opposizione di merito dovreb-be ammettersi anche per eccepire fatti impeditivi, modificativi od estintivi del credito erariale anteriori alla formazione del titolo esecutivo, senza soggiacere ai noti limiti della litispendenza e del giudicato che invece, quando sia impu-gnato un titolo di formazione giudiziale, sono di ostacolo alla deducibilità di fatti pregressi

50. Tuttavia, nel processo tributario la prima regola va coordina-ta con la previsione di un termine di decadenza, al quale è sottoposta l’impu-gnazione degli atti. Pertanto, il contribuente non può contestare la ridetermi-

è e non è giudizio, nel senso che, secondo il disegno evidenziato dalla legge, si articola in una fase rescindente, propria del giudizio, ed in una fase rescissoria, propria della funzione am-ministrativa».

48 Potrebbe indurre in errore Cass., 22 dicembre 2011, n. 28542, così massimata: «In tema di contenzioso tributario, il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento emessa ex art. 68 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non può essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa che si concluda il procedimento riguardante l’impugnazione della sentenza in base alla quale è stata emessa la cartella, non sussistendo alcun rapporto di pregiu-dizialità atteso che la pretesa erariale azionata con la cartella è fondata su una sentenza e, quin-di, su un titolo diverso (corsivo mio) rispetto all’avviso di accertamento la cui legittimità è anco-ra sub iudice, poiché, altrimenti, il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza in questione sarebbe surrettiziamente surrogato con la sospensione del giudizio di impugnazione della cartella di pagamento». Il “titolo diverso” non è, infatti, un titolo esecutivo giudiziale, ma è la fonte giudiziale, sostitutiva del ruolo o dell’avviso di accertamento esecutivo, del potere impositivo, rimodulato a seguito dell’accoglimento parziale del ricorso.

49 GLENDI, Primi approcci giurisprudenziali alla “nuova” inibitoria in pendenza di ricorso per cassazione nel processo tributario, in Riv. giur. trib., 2016, p. 819.

50 In tal senso v., per tutti, MANDRIOLI, op. cit., p. 440 ss.

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nazione dell’imposta, conseguente al parziale accoglimento del suo ricorso, allegando in via di opposizione all’esecuzione fatti anteriori alla formazione del nuovo titolo esecutivo; se la decisione, in forza della quale si è proceduto al-l’iscrizione a ruolo, è passata in giudicato, resta preclusa la deduzione di even-tuali vizi di attività e di giudizio, salva soltanto l’ipotesi della c.d. sentenza ine-sistente per difetto di sottoscrizione (art. 161, comma 2, c.p.c.); se invece la pronuncia è ancora soggetta alle impugnazioni ordinarie, le doglianze vanno af-fidate al congruo mezzo, non all’opposizione all’esecuzione. In coerenza con la struttura impugnatoria del processo tributario, i fatti lato sensu estintivi, an-teriori alla notificazione dell’atto impugnato, vanno quindi tempestivamente eccepiti dinanzi al giudice speciale.

È tuttavia possibile che il pignoramento non sia stato preceduto dalla noti-fica della cartella di pagamento o dell’avviso di accertamento esecutivo, ovve-ro che la notifica sia giuridicamente inesistente. Il giudice tributario non può conoscere dell’impugnazione di atti successivi all’intimazione ad adempiere (art. 2, D.Lgs. n. 546/1992), né quindi dei vizi del pignoramento, sindacabili dal giudice ordinario. Il pignoramento esattoriale non preceduto dalla notifica degli atti preliminari (cartella di pagamento e, decorso l’anno dalla relativa no-tifica, intimazione ad adempiere ex art. 50, D.P.R. n. 602/1973) è perciò solo nullo, così come è affetto da nullità il pignoramento di diritto comune non preceduto dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto; la nullità va tempe-stivamente dedotta con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., restando altrimenti sanata per acquiescenza del debitore

51; al potere di opposizione corrisponde infatti l’onere di opposizione, essendo la perentorietà del termine intesa a fa-vorire il rapido consolidamento dell’atto viziato, onde prevenire l’estensione della nullità agli atti successivi.

Al contribuente si offre altresì, in via concorrente e non alternativa 52, il ri-

51 Nel senso che, se non è proposta opposizione ex art. 617 c.p.c., il vizio del pignoramen-to, derivante dall’omessa notifica del titolo esecutivo e/o del precetto, resta sanato v. ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 125.

52 Non vale insomma la regola electa una via, non datur recursus ad alteram, non potendosi limitare l’accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale con l’imporgli la scelta tra l’op-posizione agli atti esecutivi ed il ricorso al giudice tributario. L’accoglimento della prima è in-fatti immediatamente ma non definitivamente satisfattiva dell’interesse dell’esecutato, in quan-to caduca il processo esecutivo in corso, ma non impedisce all’agente della riscossione di no-tificare la cartella di pagamento e di procedere ad un nuovo pignoramento. Invece, se il giu-dice tributario dichiara che la cartella non è stata validamente notificata entro il termine di decadenza, il giudicato che si forma sulla sentenza preclude il rinnovato esercizio dell’azione esecutiva, per accertata estinzione del credito.

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corso al giudice tributario contro l’atto la cui notificazione avrebbe dovuto pre-cedere il pignoramento, al fine di contestare la pretesa impositiva. A tal fine, il contribuente può limitarsi ad eccepire che l’avviso di accertamento o la cartel-la di pagamento non sono stati validamente notificati entro i termini di deca-denza rispettivamente previsti, conseguendone l’estinzione del credito eraria-le, oppure contestare tali atti anche per motivi di merito. Il gravame va propo-sto entro sessanta giorni dalla notifica del pignoramento

53, ma l’impugnazio-ne si dirige contro l’atto prodromico non notificato (e quindi contro il ruolo e la cartella di pagamento), non contro l’atto iniziale dell’espropriazione forza-ta, sottratto al sindacato del giudice speciale. La fattispecie è parzialmente ana-loga a quella della cartella di pagamento emessa per la riscossione di sanzioni amministrative, che non sia stata preceduta dalla rituale notifica dell’ordinan-za-ingiunzione o del verbale di contestazione: anche in tal caso il debitore può avvalersi del mezzo di tutela che non aveva potuto esperire contro il titolo ese-cutivo non notificatogli (la tempestiva opposizione all’ordinanza od al verbale), pur discutendosi se debba proporre opposizione ex art. 22, L. n. 689/1981 av-verso tali atti presupposti, con funzione recuperatoria del rimedio non tempe-stivamente esperito e nel termine di trenta giorni dalla notifica della cartella, o se sia ammissibile l’opposizione esecutiva, svincolata da tale termine

54. Nell’e-secuzione esattoriale il divieto dell’opposizione di merito comporta che il con-tribuente, colpito da pignoramento non preceduto dagli atti preliminari (cartel-la e, decorso l’anno dalla relativa notifica, intimazione di pagamento), può im-pugnarli davanti al giudice tributario nel termine di decadenza, se vuole conse-

53 Insegna Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412, in Riv. dir. trib., 2007, II, p. 531, con nota di INGRAO che la cartella di pagamento assolve la funzione di rendere edotto il destina-tario del credito iscritto a ruolo, «entro un termine stabilito a pena di decadenza della prete-sa tributaria»; l’omissione della notificazione comporta pertanto un vizio della sequenza pro-cedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dall’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, di esercitare il proprio diritto di di-fesa a seguito della notificazione dell’avviso di mora, e che consente dunque al contribuente di impugnare quest’ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presup-posto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già all’agente della riscossione, che se reso destinatario dell’impugnazione ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudi-ce tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabi-le nella specie un litisconsorzio necessario.

54 La questione è stata rimessa dalla III sezione al Primo Presidente, per l’eventuale asse-gnazione alle Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria 28 ottobre 2016, n. 21957, nella quale si dà atto del contrasto sul punto tra la remittente e la II sezione.

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guirne la caducazione con effetti non circoscritti all’esecuzione in corso, impre-giudicata l’opposizione ex art. 617 c.p.c. contro il pignoramento. Spetterà alla commissione tributaria provinciale investita del ricorso contro l’atto preparato-rio dell’esecuzione forzata adottare, su istanza del contribuente e nel concorso delle condizioni di cui all’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, la misura inibitoria, che fungerà da causa di sospensione esterna del processo esecutivo.

Le considerazioni che precedono valgono per l’ipotesi che la notifica della cartella di pagamento sia stata omessa. Se invece è stata eseguita, ma risulta affetta da un vizio che induce nullità, opera la sanatoria prevista in via generale dall’art. 156, comma 3, c.p.c., richiamato dal successivo art. 160: se il contri-buente oppone il pignoramento sul rilievo che la notifica della cartella era vizia-ta, dimostra di conoscerne l’esistenza ed il contenuto, talché la conseguita piena conoscenza dell’atto, benché invalidamente notificato, ha effetto sanante

55. L’opposizione al pignoramento non può invece supplire all’omessa notifica dell’atto prodromico, in quanto mai reso noto al destinatario

56. Per determinare l’anticipata chiusura non satisfattiva dell’esecuzione esat-

toriale è necessario, ma anche sufficiente, che sia estromesso l’agente della ri-

55 Cass., 27 novembre 2015, n. 24235 ha statuito che il giudice adito con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso l’atto di pignoramento esattoriale può pronunciare la nullità dell’atto consequenziale solo se la notificazione della cartella di pagamento o del-l’intimazione ad adempiere sia stata totalmente omessa ovvero sia giuridicamente inesisten-te, mentre qualora la notificazione sia soltanto nulla deve procedere a verificare l’eventuale ricorrenza della sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo, come avviene per la nullità della notificazione del titolo esecutivo e/o del precetto. La decisione richiama Cass., 17 marzo 2006, n. 5906, che riconosce all’opposizione al precetto che si assume invalidamente notificato efficacia sanante. La risalente Cass., 31 gennaio 1967, n. 284, in Riv. dir. proc., 1968, p. 366, con nota di SALVATI, Opposizione agli atti esecutivi e nullità della notificazione del precetto, ha ritenuto che anche l’opposizione a pignoramento convalidi ex tunc la notifica, as-seritamente nulla, del titolo esecutivo e del precetto.

La dottrina è divisa. CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, V ed., Roma, 1956, p. 109 s. ritiene che l’opposizione preventiva al precetto invalidamente notificato abbia l’effetto di sanare il vizio. Di contrario avviso FURNO, Disegno sistematico, cit., p. 181 ss., p. 272; D’ONOFRIO, Commento al codice di procedura civile, II, II ed., Torino, 1951, p. 185; ZANZUC-CHI, Diritto processuale civile, III, V ed., a cura di Vocino, Milano, 1964, p. 313; SALVATI, op. cit., p. 366 s. Articolata la posizione di ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, III ed., Napoli, 1957, p. 358, mentre ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 118 ss. di-stingue: la nullità della notificazione del titolo esecutivo o del precetto vizia l’atto successivo, contro il quale è proponibile l’opposizione ex art. 617 c.p.c.; invece l’opposizione che fosse proposta contro l’atto nullamente notificato andrebbe rigettata per insussistenza del vizio, sanato ex art. 156, comma 3, c.p.c.

56 TARZIA, Omessa notificazione del titolo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 1050.

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scossione. I creditori intervenuti titolati, in deroga alle norme di diritto pro-cessuale comune, sono privi di poteri di impulso, essendo unicamente am-messi a concorrere al riparto (art. 54, D.P.R. n. 602/1973)

57, stante il caratte-re di “autotutela controllata” propria dell’espropriazione in discorso

58. Non opera pertanto la regola di fonte pretoria, enunciata con riferimento all’esecu-zione ordinaria, secondo la quale la sopravvenuta caducazione del titolo ese-cutivo del pignorante non impedisce ai creditori intervenuti titolati di chiede-re la vendita

59; la posizione dei creditori che accedono all’espropriazione esat-toriale è subordinata a quella del pignorante, nella cui inerzia (volontaria od imposta dall’accertata improseguibilità dell’esecuzione ad istanza dell’agente della riscossione) non possono provocare il compimento di atti della fase li-quidativa. Pertanto, la rinuncia agli atti da parte dell’agente della riscossione, prima della vendita, estingue il processo esecutivo ancorché non vi abbiano aderito i concorrenti cum titulo

60, mentre il consenso degli interventori è ne-cessario soltanto se la rinuncia interviene nella fase satisfattiva

61. L’art. 61, D.P.R. n. 602/1973 prevede infatti che l’esecuzione si estingue se prima della

57 GIORGETTI, Profili, cit., p. 786. 58 L’espressione, coniata da ALLORIO, op. cit., p. 567, è richiamata da MICHELI, Corso di di-

ritto tributario, VII ed., Torino, 1984, p. 345, che nega la legittimazione dei creditori concor-renti a provocare il compimento di atti espropriativi.

59 Tale è il principio enunciato da Cass., sez. un., 7 gennaio 2014, n. 61, in Riv. dir. proc., 2014, p. 481, con nota di CAPPONI, Le Sezioni unite e l’“oggettivizzazione” degli atti dell’espro-priazione forzata; in Riv. es. forz., 2014, pp. 191, 297, con note di G. MONTELEONE, PILLONI, RUSSO, V. MONTELEONE; in Giusto proc. civ., 2014, p. 487, con nota di MAJORANO, Carenza sopravvenuta del titolo esecutivo originario e poteri di impulso del creditore intervenuto cum titu-lo: la decisione delle Sezioni unite. V. pure il contributo di RUSSO, Vecchi e nuovi problemi in te-ma di intervento dei creditori nell’esecuzione (note a margine di Cass. S.U. n. 61 del 7 gennaio 2014), in Giusto proc. civ., 2015, p. 511 ss.

60 Così GIORGETTI, Profili, cit., p. 806, la quale ulteriormente osserva come, proprio in ra-gione della riserva al procedente del potere di impulso, la diserzione di due udienze consecu-tive da parte di costui determina l’estinzione ex art. 631 c.p.c., non impedita dall’eventuale partecipazione di un creditore intervenuto (in tal senso v. ARIETA-DE SANTIS, op. cit., p. 1377; SOLDI, op. cit., 1677; D’ADAMO, Le ipotesi di estinzione del procedimento di espropriazio-ne, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, cit., p. 1222). Nel senso che se il pa-gamento del credito risultante dal ruolo viene eseguito dopo il pignoramento l’esecuzione si estingue, senza che i creditori intervenuti possano impedirlo, salvo che abbiano proceduto a pignoramento successivo, v. COSTANTINO, Le espropriazioni forzate speciali, cit., p. 76, nota 89. Tuttavia secondo CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, XII ed., Milano, 2013, p. 111 ai terzi creditori sarebbe precluso il pignoramento successivo: ma si tratta di pe-tizione di principio.

61 SOLDI, op. cit., p. 1677; D’ADAMO, ibidem.

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vendita il debitore od un terzo paga il debito risultante dal ruolo, senza esigere che siano soddisfatti anche i creditori intervenuti

62. Benché l’interventore non possa provocare il compimento di atti della fase

espropriativa, ma soltanto partecipare alla fase satisfattiva, il debitore può pro-porre opposizione ex art. 615 c.p.c. per contestare il diritto del creditore inter-venuto. L’esecutato parrebbe difettare d’interesse ad escludere, prima della ven-dita, il creditore intervenuto, la cui partecipazione è in quella fase tamquam non esset e quindi inidonea a pregiudicarlo, tanto che neppure l’estinzione è subordinata alla rinuncia del creditore acceduto. Tuttavia, la sentenza che ac-coglie l’opposizione produce effetti non circoscritti all’esecuzione in corso, di-versamente dall’ordinanza che risolve la controversia distributiva, ed accerta con autorità di giudicato l’inesistenza del potere di procedere ad esecuzione forzata, procurando al debitore una utilità processuale diversa e maggiore di quella conseguibile con l’opposizione in sede distributiva, fermo l’identico ef-fetto materiale di escludere l’interventore dal riparto

63.

4. L’azione di accertamento negativo

È possibile che il fatto estintivo del debito sopravvenga alla scadenza del termine per l’impugnazione dinanzi al giudice tributario non soltanto degli atti preliminari, ma anche del pignoramento, che non sia stato preceduto dalla noti-fica della cartella. Si supponga che in pendenza dell’esecuzione il contribuente abbia pagato il debito; oppure che l’atto impositivo sia stato annullato, con sen-

62 SOLDI, op. cit., 1677. Diversamente orientato CASTORO, op. cit., pp. 111, 119, ad avviso del quale l’art. 61 cit. «probabilmente comprende anche le somme dovute ai creditori inter-venuti muniti di titolo esecutivo», ritenendo nella specie applicabile l’art. 629, comma 1, c.p.c., non derogato dall’art. 61, D.P.R. n. 602/1973, operante soltanto in assenza di inter-venti. Può replicarsi che se l’interventore titolato non può chiedere la vendita, essendo privo del potere di impulso, l’esecuzione che non si estinguesse a seguito della rinuncia del pigno-rante resterebbe in stato di quiescenza sine die, nuocendo al debitore (che continuerebbe ad essere soggetto agli effetti pregiudizievoli della trascrizione del pignoramento) senza giovare ai creditori intervenuti, in violazione del principio di ragionevole durata del processo. La ri-nuncia ex art. 629 prima della vendita costituisce esercizio, sia pure in negativo, del potere di provocare il compimento di atti espropriativi, sì da essere riservata ai creditori che di tale po-tere siano muniti. Invece dopo la vendita i creditori non sono più gravati da oneri propulsivi, essendo la fase satisfattiva retta dall’iniziativa dell’ufficio: perciò la rinuncia deve provenire da tutti gli intervenuti, che vantano eguale diritto processuale al riparto.

63 Sul rapporto tra i due mezzi di tutela v. CIRULLI, La distribuzione del ricavato. Le contro-versie distributive, in AA.VV., Codice commentato delle esecuzioni civili, cit., p. 691 ss.

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tenza (benché non ancora passata in giudicato) dal giudice tributario 64 o dal-

l’ente impositore in via di autotutela, ma nondimeno l’agente della riscossione dia impulso all’espropriazione. Nel secondo caso il provvedimento, giudiziale od amministrativo, rescinde il titolo, talché il contribuente può proporre oppo-sizione ex art. 617 c.p.c. contro ciascun atto esecutivo, viziato dal difetto di un presupposto processuale. Nel primo caso, invece, il titolo in senso documentale sopravvive, mentre cessa di esistere il titolo in senso sostanziale (in ragione del-la sopravvenuta estinzione del debito), ma tale contestazione integra opposi-zione di merito, non proponibile dinanzi al giudice ordinario, né allegabile a fondamento dell’istanza ex art. 486 c.p.c., mediante la quale l’ufficio non può essere investito dell’accertamento della situazione materiale tutelata (v. supra).

Ad evitare che il contribuente, pur non essendo più obbligato, debba subi-re impotente la vendita del bene pignorato, con effetti irreversibili, salvo il di-ritto al risarcimento del danno causatogli dall’agente della riscossione (art. 59, D.P.R. n. 602/1973), si deve individuare un mezzo preventivo di tutela giuri-sdizionale, che sarebbe ineffettiva ove intervenisse ad esecuzione compiuta, non potendo il risarcimento per equivalente pecuniario del bene espropriato comportare (per la sua natura di surrogato del diritto leso) la piena restitutio in integrum del soggetto passivo: si deve impedire che il pregiudizio si consu-mi con l’aggiudicazione, che sopravvive alla chiusura (per estinzione tipica o per improcedibilità atipica) del processo esecutivo

65. La dottrina processual-civilistica ha giustamente lamentato l’irrazionalità di un sistema che, stante il divieto dell’opposizione all’esecuzione, esclude «in radice, ed inammissibil-mente, la rilevanza giuridica di qualsiasi fatto – anche totalmente estintivo del credito – posteriore al momento della formazione del titolo e pur se questo fatto è qualificato estintivo ex lege del procedimento»

66 dall’art. 61, D.P.R. n. 602/1973.

64 In tema di riscossione dei tributi, l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento diven-gono illegittime a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuen-te, annulla l’atto impositivo da esse presupposto, poiché tale pronuncia fa venir meno, indi-pendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell’atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria (Cass., 27 luglio 2012, n. 13445; in senso conforme v. Cass., 10 luglio 2008, n. 19078; Cass., 22 set-tembre 2006, n. 20526).

65 Per considerazioni di carattere sistematico sulla necessità di un rimedio preventivo contro l’esecuzione forzata ingiusta, che si consuma con la vendita, rinvio a CIRULLI, La so-spensione del processo esecutivo, Milano, 2015, p. 5 ss.

66 VACCARELLA, op. cit., 121. Per analoghi rilievi v. COSTANTINO, Le espropriazioni forzate speciali, cit., p. 81 ss.

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Le soluzioni che si offrono all’interprete sono almeno tre: a) illegittimità costituzionale dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui non ammette l’opposizione all’esecuzione anche per motivi diversi da quelli concernenti la pignorabilità dei beni, essendo ius receptum che tale disposizione configura una fattispecie di improponibilità assoluta della domanda, per carenza nell’or-dinamento di una norma che riconosca e tuteli la posizione giuridica dedotta in giudizio

67; b) esperibilità di un’azione di accertamento negativo, con la quale il soggetto ingiustamente esecutato chiede al giudice ordinario di accertare l’e-stinzione del debito tributario, con l’effetto di rendere improseguibile l’esecu-zione esattoriale e, nelle more, di sospenderla dall’esterno in via cautelare ati-pica (essendo la sospensione riservata al giudice dell’esecuzione)

68; c) pro-ponibilità di tale domanda al giudice tributario, che dovrebbe rendere la pro-nuncia dichiarativa, potendo interinalmente sospendere dall’esterno l’esecu-zione

69. Alle ipotesi sub b) e c) sembrerebbe doversi preferire, sia pure in via resi-

duale, quella sub a). L’opposizione di merito introduce, infatti, una controver-

67 Cass., 18 novembre 2013, n. 25855; Cass., 13 gennaio 2006, n. 165; Cass., 10 giugno 2004, n. 11038; Cass., sez. un., 9 aprile 1999, n. 212, in Foro it., 2000, I, p. 149, con nota di COSTANTINO, La tutela del soggetto passivo nell’esecuzione esattoriale; in Giust. civ., 2000, I, p. 867, con nota di ASPRELLA, All’esame delle Sezioni unite i classici dilemmi in tema di esecuzione esattoriale prima del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che dall’improponibilità assoluta della do-manda trae l’inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione diretto all’individua-zione del giudice legittimato a provvedere sull’opposizione all’esecuzione esattoriale e sulla connessa istanza di sospensione.

68 Si tratterebbe di un’azione di accertamento negativo, non soggetta alle regole di com-petenza e rito dettate dagli artt. 27, 615 e 616 c.p.c. (e quindi non articolata in due fasi, la prima sommario-cautelare dinanzi al giudice dell’esecuzione, la seconda, a cognizione piena, davanti al giudice competente per materia o valore del forum executionis), bensì a quelle di carattere generale, analogamente a quanto avviene nelle ipotesi di impugnazione dei provve-dimenti di iscrizione ipotecaria (Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667) e di fermo di beni mobili registrati (Cass., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15354): misure non esecutive, né pre-liminari e strumentali all’esecuzione forzata, bensì afflittivo-coercitive, dirette ad indurre il con-tribuente ad adempiere, impugnabili dinanzi al giudice ordinario od a quello tributario (in ra-gione della diversa natura del credito garantito) per motivi sia di merito che di rito.

69 Per l’ammissibilità, anche ad esecuzione iniziata, dell’azione di accertamento negativo del debito nei confronti dell’ente impositore, non impedita dall’art. 54, D.P.R. n. 602/1973, v. CASTORO, op. cit., p. 115, il quale richiama, a conforto della sua opinione, Cass., sez. un., 22 dicembre 1971, n. 3738, in CED Cassazione, rv. 355543, così massimata: «L’art. 209, ultimo comma, d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, condizionando al compimento della esecuzione fi-scale l’esercizio dell’azione di risarcimento danni contro l’esattore, non preclude la facoltà di proporre, in pendenza della procedura esattoriale esecutiva, azione di accertamento negativo del debito di imposta nei confronti dell’ente impositore».

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 50

sia che, se fosse proposta prima ed indipendentemente dall’inizio dell’esecu-zione forzata, sarebbe devoluta al giudice competente a conoscere del rappor-to sostanziale controverso

70. Poiché viene in questione l’accertamento nega-tivo di un debito tributario, la giurisdizione spetta al giudice speciale, quando l’esecuzione sia promossa per la riscossione coattiva di un tributo. Ma il pro-cesso tributario ha struttura impugnatoria, con sottoposizione ad un termine di decadenza e tipizzazione degli atti impugnabili (art. 19, D.Lgs., cit.), né quindi sono ammissibili azioni dichiarative

71; gli atti esecutivi non sono d’al-tronde impugnabili dinanzi al giudice tributario, in ragione del limite interno previsto dall’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, piuttosto che della controversa tassa-tività dell’elenco contenuto nel successivo art. 19 (oggetto di interpretazione estensiva da parte della giurisprudenza: v. infra). Resta pertanto escluso che il contribuente possa gravarsi contro il pignoramento esattoriale dinanzi alla commissione tributaria provinciale; nondimeno, se il primo atto dell’espro-priazione forzata non è stato preceduto dalla notifica della cartella, è ammissi-bile il ricorso contro il ruolo (analogamente a quanto avviene qualora il pi-gnoramento non sia stato preceduto dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto: v. art. 617 c.p.c., comma 2)

72, da proporsi entro sessanta giorni dalla legale conoscenza del pignoramento, in alternativa od in concorso con l’opposizione agli atti esecutivi, riservata al giudice ordinario e rientrante nella competenza per materia del Tribunale.

70 In senso sostanzialmente conforme v. SEGRÈ, Della competenza per materia e valore, in AA.VV., Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, I, 1, Torino, 1973, p. 210.

71 Sulla improponibilità assoluta dinanzi al giudice tributario di domande di mero accer-tamento negativo del debito d’imposta v. Cass., 13 settembre 2013, n. 20947; Cass., 15 mar-zo 2013, n. 6610; Cass., 30 novembre 2012, n. 21392; Cass., sez. un., 15 ottobre 2009, n. 21890 (la quale esclude tanto la proponibilità del regolamento di giurisdizione, quanto l’attribuzione, in via residuale, della controversia al giudice ordinario); Cass., sez. un., 27 set-tembre 2006, n. 20889; Cass., sez. un., 22 luglio 2004, n. 13793.

72 Sulla inoppugnabilità del pignoramento dinanzi al giudice speciale, stante l’evidenziato limite interno, la giurisprudenza tributaria è consolidata (CTP Varese, 14 gennaio 2013, n. 7; CTR Milano, 3 luglio 2012, n. 113; CTP Pavia, 26 gennaio 2012, n. 15; CTP Novara, 23 luglio 2010, n. 89, in Giur. merito, 2010, p. 2892, con nota di SCALINCI). Resta salva l’ipotesi, considerata nel testo, che il pignoramento non sia stato preceduto dalla notifica della cartel-la: ma in tal caso è questa, non quello a formare oggetto di impugnazione (Cass., sez. un., 5 luglio 2011, n. 14667; CTP Caserta, 13 giugno 2011, n. 212, in Giur. merito, 2011, p. 2835; CTP Milano, 27 ottobre 2009, n. 255, in Corr. trib., 2009, p. 3925, con nota di VOZZA; CTP Piacenza, 29 giugno 2009, n. 71; contra: CTP Bari, 18 maggio 2011, n. 83, in Giur. merito, 2011, p. 2835, sull’erronea premessa che l’atto presupposto non notificato può essere impugnato qualora anche l’atto successivo rientri nel catalogo di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, il che si risolve nel negare l’accesso alla tutela giurisdizionale contro il ruolo).

Massimo Cirulli 51

5. Segue: incompatibilità con la struttura impugnatoria del processo tributario

Tuttavia, anche la soluzione sub a) si rivela impraticabile, per le implica-zioni che ne deriverebbero sul piano processuale. Alla declaratoria di illegit-timità costituzionale parziale dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973 (con estensione alla riscossione coattiva delle imposte del regime previsto per i contributi pre-videnziali dall’art. 29, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46

73) dovrebbe seguire l’applicazione degli artt. 615 e 616 c.p.c., sia pure nei limiti della compatibilità. Il giudice dell’esecuzione, assunto il provvedimento sulla sospensione (previa valutazione dei presupposti di cui all’art. 60, D.P.R. n. 602/1973, che costitui-sce lex specialis rispetto all’art. 624 c.p.c., esigendo la delibazione non soltanto dei gravi motivi, sub specie di probabile fondatezza del gravame, ma anche di un periculum in mora qualificato dall’estremo della gravità ed irreparabilità), non potrebbe infatti rimettere le parti dinanzi al giudice ordinario competen-te per materia o valore

74, ma dovrebbe assegnare termine perentorio per l’in-troduzione della fase a cognizione piena davanti al giudice tributario. Si avreb-be quindi una translatio tra giurisdizioni diverse, d’altronde ammissibile in li-nea generale. Per il resto sarebbero integralmente applicabili le norme sulla reclamabilità del provvedimento, positivo o negativo, adottato sulla domanda cautelare e sulla possibile conversione della sospensione in estinzione.

Sarebbe soltanto l’esecuzione esattoriale ad offrire materia per la rimessione della causa di merito al giudice tributario. Prima che la regola della translatio iu-

73 La disposizione prevede che per le entrate tributarie diverse da quelle elencate dall’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 e per quelle non tributarie non si applica il divieto di cui all’art. 57, D.P.R. n. 603/1972 «e le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie». Ma già Corte cost., 18 luglio 1997, n. 239, in Giur. it., 1998, p. 321, con nota di MALATESTA, aveva dichiarato illegittimo l’art. 17, L. 3 gennaio 1981, n. 6 (norme in mate-ria di previdenza per gli ingegneri e gli architetti), nella parte in cui, rinviando alle norme previ-ste per la riscossione delle imposte sui redditi, impediva al debitore, nell’ipotesi in cui conte-stasse l’esistenza o l’entità del debito contributivo, di proporre opposizione all’esecuzione di-nanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.

74 A questa conclusione sembra invece pervenire Trib. Trieste, 19 agosto 2015 (ord.), che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 57, D.P.R. n. 602/1973, in rife-rimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., nella parte in cui vieta l’opposizione all’esecuzione per ragioni diverse dall’impignorabilità (il provvedimento è pubblicato nella G.U. del 12 ottobre 2016, n. 41 – S.O. n. 195/2016; alla data del 10 giugno 2017 la questione risultava pendente). Secondo il giudice rimettente, se la disposizione censurata fosse espunta dall’ordinamento, il contribuente potrebbe difendersi contro l’esecuzione esattoriale ingiusta esperendo il rime-dio ex art. 615 c.p.c. «avanti al giudice ordinario in funzione di giudice dell’esecuzione»: af-fermazione con la quale deve convenirsi, ma limitatamente alla fase sommario-cautelare, im-pregiudicata la cognizione del merito da parte del giudice tributario.

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dicii fosse estesa al rapporto tra giurisdizioni diverse, la Cassazione si era occu-pata della controversia promossa in via di opposizione all’esecuzione dal debi-tore sostituto nei confronti del creditore sostituito, incidentalmente afferman-do la improponibilità da parte del contribuente di un’azione di mero accerta-mento negativo del debito d’imposta, «non solo davanti al giudice ordinario ma anche davanti al giudice speciale tributario, poiché il ricorso accordato dalla legge al soggetto passivo dell’obbligazione d’imposta ha per oggetto soltanto specifici atti dell’amministrazione finanziaria di accertamento, d’imposizione, ovvero di rifiuto di restituzione di somme riscosse», ed altresì negando al giu-dice ordinario il potere di conoscere, ancorché incidenter tantum, della legittimi-tà della ritenuta d’acconto operata dal sostituto, trattandosi non di punto, né di questione, bensì di causa pregiudiziale, che deve essere decisa in contradditto-rio con l’amministrazione finanziaria e con autorità di giudicato sostanziale dal-la commissione tributaria

75. Tuttavia, successivamente la Suprema Corte ha ri-

75 Cass., sez. un., 5 febbraio 1988, n. 1200, in Giur. it., 1988, I, 1, p. 1771, con nota di TE-SAURO, L’immunità giurisdizionale del sostituto d’imposta, enunciò il seguente principio di di-ritto: «Poiché la ritenuta fiscale d’acconto costituisce l’oggetto di un’obbligazione strumen-tale ed accessoria rispetto alla – eventuale e futura – obbligazione d’imposta, di cui agevola la riscossione, e resta perciò compresa nell’ampia nozione di rapporto tributario, la controver-sia sulla legittimità di tale ritenuta è devoluta alla cognizione esclusiva delle commissioni tri-butarie anche se la relativa questione venga dedotta in una controversia tra privati, non po-tendo formare oggetto di cognizione incidenter tantum, perché deve per legge essere decisa con efficacia di giudicato e nel contraddittorio con l’amministrazione finanziaria. Pertanto, nel giudizio di opposizione promosso dal datore di lavoro contro l’esecuzione instaurata dal lavoratore per il pagamento di spettanze retributive, ritenute a titolo di IRPEF, il giudice or-dinario deve sospendere la causa di opposizione, che resta affidata alla sua cognizione, fino alla definizione della causa pregiudiziale, che può essere attivata sia dal sostituto d’imposta (da-tore di lavoro) che dal sostituito (lavoratore)». Nella specie, un lavoratore era stato licenzia-to e successivamente reintegrato iussu iudicis, con condanna del datore a pagargli la retribu-zione di £ 2.000.000; il datore aveva corrisposto la minor somma di £ 1.799.000, al netto del-la ritenuta d’acconto di £ 201.000, versata all’esattore; il lavoratore aveva intimato precetto per il pagamento del suo preteso residuo credito di £ 201.000 e proceduto a pignoramento mobiliare; il debitore si opponeva all’esecuzione, sospesa dal pretore, che rimetteva la causa al Tribunale, ritenuto competente per materia; riassunta la causa, il creditore proponeva istanza di regolamento preventivo di giurisdizione; la Suprema Corte ha dichiarato «la giuri-sdizione del giudice tributario in ordine alla causa pregiudiziale concernente la legittimità della ritenuta d’acconto, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sull’opposi-zione all’esecuzione», postulando l’obbligatoria sospensione per pregiudizialità dell’opposi-zione fino alla decisione della lite tributaria, promuovibile dal sostituto o dal sostituito in via di impugnazione del denegato rimborso della ritenuta. Il principio è stato riaffermato da Cass., sez. un., 6 settembre 1990, n. 9202; Cass., sez. un., 16 marzo 1999, n. 141; Cass., sez. un., 12 gennaio 2007, n. 418, in Riv. dir. proc., 2007, p. 1643, con nota di CORRADO, Brevi os-servazioni sui rapporti tra processo civile e processo tributario, in tema di controversie tra sosti-

Massimo Cirulli 53

visto il suo orientamento, ritenendo le controversie tra sostituto d’imposta e so-stituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenu-te alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamen-te, devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto eserci-tato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatisti-co, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario

76. Contro la possibilità che la causa di merito sull’opposizione ex art. 615 c.p.c.

sia rimessa, esaurita la fase sommaria, dal giudice dell’esecuzione alla commis-sione tributaria provinciale depone in primo luogo la riserva contenuta nell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, che esclude dalla giurisdizione speciale, nel-le materie ivi indicate, «le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento» e, ove pre-vista, della successiva intimazione, per le quali continuano ad applicarsi le di-sposizioni del D.P.R. n. 602/1973. Se l’argomento testuale non fosse dirimen-te, dovrebbe aggiungersi la notazione di carattere sistematico circa l’incompa- tuto e sostituito: la controversia fra sostituito e sostituto d’imposta relativa alla legittimità delle ritenute d’acconto operate dal secondo è devoluta (ancorché insorta in sede di opposi-zione all’esecuzione promossa dal lavoratore per il pagamento di spettanze retributive tratte-nute a titolo di IRPEF) alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie (la qua-le comunque non esclude la giurisdizione del giudice ordinario sulla predetta opposizione al-l’esecuzione), atteso che l’indagine sulla legittimità della ritenuta non integra una mera que-stione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta una causa di natura tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario anche dell’amministrazione finanziaria; tale principio non soffre de-roga né quando la controversia stessa sia insorta soltanto fra sostituito e sostituto, né quando siano scaduti i termini di decadenza previsti dalla legge per chiedere la restituzione delle somme versate all’amministrazione finanziaria, atteso che tale scadenza incide sulla fondatezza e sull’ammissibilità dell’azione da proporre innanzi al giudice tributario, ma è priva di effetti sulla giurisdizione dello stesso, «non essendo prevista dall’ordinamento alcuna giurisdizione residuale dell’autorità giudiziaria ordinaria a seguito dell’improponibilità, inammissibilità o in-fondatezza della domanda devoluta alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie»; peraltro, il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può sospendere il processo ex art. 295 c.p.c. prima che la controversia sia promossa dinanzi al giudice tributario, ma «dovrà sospen-dere tale giudizio solo a seguito dell’effettiva proposizione innanzi al giudice tributario della causa pregiudiziale e fino alla definitiva decisione della stessa. In mancanza di tale giudizio tri-butario, resta esclusa per il giudice ordinario la possibilità di esaminare la questione predetta (e, quindi, le ragioni dell’assunta non debenza della ritenuta) anche quando siano maturate deca-denze legali che impediscono la cognizione della causa pregiudiziale da parte del suindicato giudice speciale».

76 Cass., sez. un., 26 giugno 2009, n. 15031; in senso conforme v. Cass., sez. un., 8 aprile 2010, n. 8312; Cass., sez. un., 8 novembre 2012, n. 19289.

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tibilità tra struttura impugnatoria del processo tributario ed oggetto dell’op-posizione esecutiva: con la conseguenza che il giudice speciale, dinanzi al qua-le la causa fosse tempestivamente riassunta, dovrebbe dichiarare improponi-bile la domanda, se qualificata di mero accertamento negativo del debito d’im-posta per il quale l’agente della riscossione procede in executivis, ovvero, se configurata l’opposizione quale mezzo di impugnazione del pignoramento e degli atti successivi, dichiararla inammissibile per difetto di tipicità, sul rilievo che il gravame è esperibile nei confronti dei soli atti elencati nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, ove non figurano le misure esecutive

77. La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 57, comma 1, lett. a), D.P.R. n.

602/1973 non rimedierebbe quindi al deficit di tutela giurisdizionale contro l’esecuzione esattoriale iniziata o proseguita nonostante l’estinzione del debi-to tributario (potendo invece eccepirsi con strumenti diversi dall’opposizione ex art. 615 c.p.c. il difetto originario o sopravvenuto di titolo esecutivo). Il giudice dell’esecuzione (ammesso che possa ritenersi munito della potestà cau-telare pur non potendo conoscere del merito, devoluto alla giurisdizione tri-butaria)

78 potrebbe forse provvedere sull’istanza di sospensione; ma se la cau-tela fosse negata il contribuente non potrebbe ottenere dal giudice speciale una pronuncia nel merito, caducatoria degli atti esecutivi, per le ragioni dianzi esposte; mentre se la sospensione fosse disposta l’agente della riscossione po-trebbe impedirne la conversione in misura estintiva dell’esecuzione, riassu-mendo tempestivamente la causa dinanzi al giudice tributario (arg. ex art. 624, comma 3, c.p.c.), che tuttavia dovrebbe definire il processo con una pronun-cia di mero rito (stante l’inammissibilità di azioni dichiarative), con il risultato

77 La questione viene elusa da Cass., sez. un., 5 luglio 2011, n. 14667, che nel cassare sen-za rinvio la sentenza con la quale il Tribunale aveva accolto l’opposizione del contribuente all’esecuzione promossa dall’agente della riscossione, in relazione a tasse automobilistiche non pagate, ha rimesso le parti «innanzi alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente». La Suprema Corte, pur rilevando che il debitore era insorto contro un pigno-ramento presso terzi, «cioè un atto dell’esecuzione che sarebbe escluso dalla giurisdizione del giudice tributario» ex art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, osserva che, «tuttavia, l’oggetto della con-troversia era costituito non da un atto dell’esecuzione, bensì dalla contestata fondatezza del titolo esecutivo, cioè delle cartelle esattoriali mediante le quali l’ente creditore (Regione Mo-lise) aveva esercitato la pretesa tributaria che la contribuente riteneva non dovuta: sicché trattandosi di valutare l’an del tributo (nel caso “tassa automobilistica”) la giurisdizione non poteva che appartenere al giudice tributario».

78 Sui rapporti tra giurisdizione cautelare e giurisdizione di merito v., anche per ulteriori indicazioni, MUSCARDINI, Giurisdizione e competenza, in AA.VV., Il processo cautelare, IV ed., a cura di Tarzia-Saletti, Padova, 2011, p. 325 ss.; RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino, 2015, p. 274 ss.

Massimo Cirulli 55

che l’esecuzione resterebbe quiescente sine die, conservandosi gli effetti del pignoramento, non rimossi dalla sospensione.

Sembra votato all’insuccesso, quindi, il pur apprezzabile tentativo della dot-trina di ritenere ammissibile il ricorso al giudice tributario contro il pignora-mento, che sia stato preceduto dalla notifica della cartella, quando l’interesse ad agire sorga in capo al contribuente a seguito dell’inizio dell’esecuzione for-zata nonostante la pregressa estinzione del debito: ricorso che sarebbe propo-nibile entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica del pigno-ramento e diretto ad eccepire non eventuali vizi originari della cartella, ma sol-tanto il fatto estintivo sopravvenuto, che ha reso inefficace il ruolo e sine titulo l’espropriazione su di esso fondata

79. Il limite interno alla giurisdizione tribu-taria previsto dall’art. 2, D.Lgs. n. 546/1992 non sembra infatti derogabile, sen-za che in contrario rilevi la prevista impugnabilità di atti che, benché posterio-ri alla cartella ed all’intimazione, non hanno natura esecutiva, quali l’iscrizione di ipoteca immobiliare ed il fermo di beni mobili registrati

80. Peraltro, l’impu-gnazione del pignoramento davanti alla commissione tributaria provinciale sa-rebbe preclusa qualora il fatto estintivo, costituito dall’adempimento dell’ob-bligazione, sopravvenisse alla scadenza del termine decadenziale, decorrente dalla notifica dell’atto esecutivo.

L’inizio dell’espropriazione forzata, con il pignoramento, segna il discrimen tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria. Se il pignoramento non è sta-to preceduto dalla notifica della cartella, al contribuente si offre non l’alterna-tiva, ma il cumulo tra l’impugnazione del ruolo, per vizi propri, dinanzi al giu-dice tributario e l’opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice ordinario, onde denunciare la nullità del primo atto esecutivo per motivi di rito (v. su-pra, n. 2). Il sistema non abilita invece il debitore a proporre opposizione al-l’esecuzione, per motivi di merito, davanti al giudice ordinario.

Resta allora insoddisfatta l’esigenza di munire il contribuente di adeguata tutela contro l’esecuzione esattoriale ingiusta, non essendo a tal fine sufficien-te il rimedio postumo dell’azione risarcitoria contro l’agente della riscossione ex art. 59, D.P.R. n. 602/1973. La domanda può essere proposta dinanzi al giudice ordinario, infatti, o prima che l’esecuzione abbia avuto inizio

81, o do-po che sia stata conclusa. Tuttavia, l’art. 59 cit. vieta implicitamente al contri-

79 RENDA, op. cit., p. 1937. 80 V., rispettivamente, Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667 e Cass., sez. un., 22 lu-

glio 2015, n. 15354, che hanno predicato la natura non esecutiva, bensì afflittivo-coercitiva delle misure, dirette ad indurre il contribuente ad adempiere.

81 Cass., 8 marzo 2003, n. 3523; Cass., sez. un., 15 giugno 1991, n. 6794.

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buente di agire contro l’esattore (o concessionario od agente della riscossio-ne) in costanza del processo espropriativo, ma non gli impedisce di agire con-tro l’ente impositore, affinché sia accertata l’inesistenza del credito erariale

82. Ne segue che, nonostante l’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c., dopo il pignoramento il contribuente potrebbe proporre domanda di accer-tamento negativo del debito, che sarebbe devoluta al giudice tributario, il qua-le dovrebbe tuttavia dichiararla improponibile, in ragione del suo contenuto meramente dichiarativo; né quindi potrebbe nelle more esercitare la potestà cautelare ai sensi dell’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, sia per inesistenza di uno specifico atto impugnato e quindi sospendibile, sia per insussistenza del fumus boni iuris, non essendo la domanda accoglibile nel merito (talché difetterebbe il nesso di strumentalità funzionale tra misura cautelare e decisione plena co-gnitione).

E se pure volesse postularsi (ma senza fondamento positivo né razionale) la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere di siffatta domanda, dovreb-be dubitarsi dell’idoneità del rimedio a provocare la definitiva improseguibili-tà (e, nelle more, l’interinale sospensione) del processo esecutivo. Infatti, l’esecuzione esattoriale è caratterizzata dalla scissione fra titolarità del credito (che resta in capo all’ente impositore) e titolarità dell’azione esecutiva (attri-buita all’agente della riscossione)

83. Il giudizio di accertamento sarebbe propo-nibile nei confronti dell’ente impositore, non dell’agente della riscossione (con-tro il quale il contribuente non può agire se non ad esecuzione conclusa)

84; il giudice adito dovrebbe essere considerato alla stregua del giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo (pur non essendo richiesto di annullare il ruolo, bensì di dichiarare inesistente il debito), munito del potere di sospen-sione cautelare ex art. 700 c.p.c.

85, contro la cui applicabilità per sospendere

82 Cass., 18 novembre 2013, n. 25855. Il principio era stato enunciato, con riferimento all’abrogato art. 209, D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (che conteneva una disposizione analo-ga a quella vigente), da Cass., sez. un., 22 dicembre 1971, n. 3738.

83 Scissione che – come ricorda COSTANTINO, La tutela del soggetto passivo nell’esecuzione esattoriale, cit., p. 152 – ha un precedente storico nel sistema adottato in diritto comune per la riscossione coattiva delle decime dovute agli enti ecclesiastici.

84 La domanda risarcitoria non è infatti proponibile prima che il danno sia divenuto attua-le, con il trasferimento forzato; il compimento dell’esecuzione, da condizione di fondatezza della domanda, è convertito dalla legge in condizione di ammissibilità dell’azione; il processo contro l’esattore ha natura di accertamento in sede contenziosa, non esecutiva, non essendo finalizzato al controllo della legittimità dell’esecuzione forzata (ALLORIO, op. cit., p. 259 ss.).

85 Per un discusso precedente in tal senso v. Trib. Napoli, 29 aprile 1999, in Foro it., 2000, I, p. 150, con nota di COSTANTINO, La tutela del soggetto passivo nell’esecuzione esattoriale, cit.:

Massimo Cirulli 57

l’efficacia esecutiva del titolo od il processo esecutivo sono tuttavia note le re-sistenze della dottrina

86. Insomma, del potere di accertare l’inesistenza del debito tributario sono privi sia il giudice speciale, che dovrebbe dichiarare improponibile la domanda di mero accertamento negativo, sia il giudice ordi-nario, che dovrebbe declinare la giurisdizione.

In definitiva, lo strumento idoneo allo scopo di rendere prima quiescente e poi improseguibile l’esecuzione esattoriale ingiusta è rappresentato dall’istan-za ex art. 486 c.p.c., quando il contribuente solleciti il rilievo officioso del di-fetto di titolo esecutivo (salva l’opposizione agli atti esecutivi), non venendo in discussione il rapporto sostanziale, ma soltanto la verifica di un presupposto processuale; mentre l’opposizione di merito, fondata su fatti estintivi del cre-dito erariale (adempimento, definizione agevolata), non è proponibile dinan-zi a nessun giudice, neppure a quello tributario, stanti i limiti derivanti dagli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546/1992 e dalla struttura del processo.

Il divieto di proporre opposizione di merito contro l’agente della riscos-sione è d’altronde coerente con l’accennata scissione (che costituisce il pro-prium dell’esecuzione esattoriale) fra titolarità del credito e titolarità dell’azio- nella specie, è stata disposta la sospensione ex art. 700 dell’efficacia esecutiva della cartella emessa per la riscossione di crediti tributari, in pendenza del giudizio di accertamento nega-tivo del debito promosso dal contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria; causa di merito che sarebbe devoluta al giudice ordinario secondo Cass., sez. un., 10 marzo 1992, n. 2852, «siccome intesa alla tutela del diritto soggettivo del contribuente a non essere obbligato a prestazioni patrimoniali se non nei casi contemplati dalla legge». Ma il richiamo a quel precedente si rivela non pertinente, atteso che all’epoca la controversia promossa dal contribuente per contestare il potere impositivo del consorzio di bonifica (oggetto dell’ar-resto di legittimità) era sottratta al giudice tributario.

Per la sospendibilità in via cautelare atipica del ruolo formato per la riscossione di tributi, quando la controversia sia devoluta al giudice ordinario, v. Trib. Venezia, 16 novembre 1996, in Riv. giur. trib., 1997, p. 281, con nota di CONSOLO.

Prima dell’attribuzione al giudice tributario della potestà cautelare, Cass., sez. un., 5 mar-zo 1980, n. 1471, in Giust. civ., 1980, I, p. 1603, con nota di MICHELI; in Giur. it., 1980, I, 1, p. 1274 con nota di GLENDI si era pronunciata negando la sospendibilità ope iudicis del ruolo, trattandosi di potere all’epoca riservato all’intendente di finanza, il cui provvedimento era im-pugnabile davanti al giudice amministrativo. In argomento v. pure MALAGÙ, Questioni in te-ma di giurisdizione in materia di sospensione cautelare dell’esecuzione esattoriale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 607 ss.

86 TOMMASEO, I provvedimenti d’urgenza, Padova, 1983, p. 185; ARIETA, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., II ed., Padova, 1982, p. 90 ss.; FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956, p. 57 ss.; MONTESANO, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile, Napoli, 1955, p. 44 s. Nel processo tributario, la concedibilità di misure cautelari atipiche è stata negata da BATISTONI FERRARA, Tutela cautelare e processo tributario, in AA.VV., I processi speciali. Studi offerti a Virgilio Andrioli dai suoi allievi, Napoli, 1979, p. 103 ss.

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ne esecutiva. Nell’esecuzione di diritto comune quel rimedio è concesso al debitore per contestare il diritto sostanziale tutelato, risultante dal titolo ese-cutivo, mediante l’allegazione di fatti impeditivi, modificativi od estintivi. Le-gittimo contraddittore dell’opposizione non può che essere, quindi, il titolare del diritto contestato (tanto che, nell’opposizione contro il ruolo formato per la riscossione di crediti previdenziali, è prevista la necessaria partecipazione al giudizio dell’ente impositore: art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999): ma non è tale l’agente della riscossione, mero adiectus solutionis causa, che agisce per la riscossione coattiva di un credito altrui

87. È vero che il contribuente è legitti-mato ad eccepire l’inespropriabilità dei beni pignorati, in eccezione al divieto di opporsi all’esecuzione esattoriale: ma è noto che tale forma di opposizione non investe né il titolo, né il credito, ma soltanto la direzione oggettiva dell’a-zione esecutiva

88. Non appare d’altronde incompatibile con l’unicum rappresentato da un’e-

spropriazione forzata promossa da soggetto diverso dal creditore l’impugna-bilità degli atti esecutivi con l’opposizione di rito, strumento di controllo della legittimità formale e non della giustizia sostanziale dell’esecuzione. Oggetto della fase a cognizione piena che segue l’adozione dei provvedimenti indila-

87 Merita pertanto consenso Cass., 16 giugno 2016, n. 12415, ove si rinvengono affermati i seguenti principi: a) l’agente della riscossione agisce in forza del ruolo, che costituisce titolo esecutivo, del quale solo deve dare dimostrazione, senza dover provare anche l’esistenza del credito, se contestato dal soggetto passivo con l’opposizione di merito; b) l’esecutato, con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., può dedurre anche fatti che attengono all’esistenza del credi-to iscritto a ruolo ovvero all’identificazione del soggetto debitore risultante dal ruolo, ma con le seguenti precisazioni: b) legittimato passivo è l’ente impositore, non l’agente della riscos-sione; b) qualora si tratti di crediti di natura tributaria, le opposizioni all’esecuzione non sono ammesse, se non per contestare la pignorabilità dei beni; b) qualora si tratti di crediti di natura non tributaria, le opposizioni all’esecuzione sono ammesse senza limiti; tuttavia, non possono essere eccepiti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi del credito che avreb-bero dovuto essere fatti valere in sede di formazione del titolo esecutivo; occorre pertanto verificare se e quando l’iscrizione a ruolo sia divenuta definitiva; in tale eventualità, potranno essere dedotti con opposizione all’esecuzione soltanto i fatti sopravvenuti alla definitività del-l’accertamento (in motivazione, par. 3.1). Le considerazioni che precedono implicano, quanto al riparto dell’onere della prova, che in presenza di titolo esecutivo formatosi nei confronti di un determinato soggetto, contro il quale l’esecuzione sia iniziata, spetta al debitore ex titulo, che si opponga all’esecuzione, «dare la prova del fatto sopravvenuto che rende inopponibile od ineseguibile nei suoi confronti il titolo esecutivo, spettando all’opposto, creditore proce-dente, soltanto la prova che il titolo esecutivo esiste ed è stato emesso appunto nei confronti del soggetto esecutato (o che quest’ultimo sia successore del soggetto contemplato nel tito-lo)», e tale regola vale anche nel caso di opposizione all’esecuzione esattoriale, se ammessa dinanzi al giudice ordinario (in motivazione, par. 3.2).

88 MANDRIOLI, op. cit., p. 437.

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zionabili ex art. 618 c.p.c. non è l’accertamento con autorità di giudicato del credito contestato dall’opponente (come nell’opposizione di merito), tanto che la competenza è attribuita ratione materiae al Tribunale davanti al quale pende l’esecuzione forzata

89. Invece la competenza a conoscere dell’opposizione all’esecuzione è determinata in ragione non soltanto del valore, ma anche del-la materia (artt. 17 e 616 c.p.c.); e poiché la competenza si correla al thema de-cisum, «per cui da ogni norma che assegna una questione pregiudiziale alla co-gnizione del giudice per essa competente si ricava la volontà della legge che il giudizio su di essa non sia semplice preparazione logica della decisione prin-cipale, ma parte integrale di questa»

90, la sentenza resa sull’opposizione di merito è idonea al giudicato sostanziale circa l’esistenza del diritto risultante dal titolo esecutivo. Orbene, una pronuncia siffatta non può essere resa dal giudice ordinario, quando ad essere controversa sia l’esistenza del credito tri-butario per il cui soddisfacimento si procede in executivis, trattandosi di lite devoluta al giudice speciale; mentre il giudice dell’opposizione agli atti esecu-tivi, adito dal contribuente qualora l’esecuzione esattoriale sia iniziata o pro-seguita nonostante il difetto originario o sopravvenuto di titolo, deve limitarsi ad accertare la carenza di tale presupposto processuale, senza che si renda ne-cessaria l’indagine, benché meramente incidentale, circa l’esistenza del credito.

6. La tutela dinanzi al giudice tributario

L’agente della riscossione resta in definitiva estraneo ad ogni vicenda rela-tiva all’esistenza ed all’ammontare del credito

91: è ragionevole, quindi, che non possa essere reso destinatario dell’opposizione di merito all’esecuzione. La tu-tela del contribuente contro l’esecuzione iniziata o proseguita nonostante l’i-nesistenza del titolo esecutivo è assicurata dall’opposizione di rito o dall’istan-za endoesecutiva; ma il soggetto passivo non può restare sfornito di mezzi di tutela contro l’esecuzione iniziata o proseguita nonostante l’estinzione del de-bito iscritto a ruolo, all’effetto di prevenire l’intangibile vendita forzata.

Si può a tal fine ipotizzare che il contribuente, il quale abbia soddisfatto il credito erariale, vanamente chiedendo all’ente impositore di ordinare all’a-gente della riscossione di rinunciare agli atti, impugni dinanzi al giudice tribu-

89 V., se vuoi, CIRULLI, La competenza nelle opposizioni esecutive, in AA.VV., Codice com-mentato delle esecuzioni civili, cit., p. 2422 ss.

90 ORIANI, Opposizione all’esecuzione, cit., p. 598. 91 COSTANTINO, La tutela del soggetto passivo nell’esecuzione esattoriale, cit., p. 153.

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tario il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza e chieda l’adozione di una misura cautelare che sospenda dall’esterno l’esecuzione esattoriale. Al «rifiuto espres-so o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti» (impugnabile davanti al giudice tributario ai sensi del-l’art. 19, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 546/1992) potrebbe equipararsi, in via di interpretazione estensiva

92, il silenzio-rifiuto serbato dall’ente impositore sul-l’istanza del contribuente diretta a provocare l’adozione di un provvedimento che espressamente vincoli l’agente della riscossione, sulla premessa dell’inte-grale soddisfacimento del credito per il quale si procede in executivis, a provoca-re l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 61, D.P.R. n. 602/1973. Si tratterebbe di proposizione anticipata della domanda di restituzione del rica-vato della vendita, che altrimenti sarebbe indebitamente devoluto all’ammini-strazione finanziaria nonostante la pregressa estinzione del debito tributario: una condictio indebiti preventiva, funzionalmente (ed anche strutturalmente, trattandosi di processo di cognizione esterno a quello esecutivo, benché devo-luto ad una giurisdizione speciale) simile all’opposizione all’esecuzione, ove se ne condivida la natura di azione di ingiustificato arricchimento esercitata in via anticipata, prima che il debitore abbia subito il depauperamento del suo patrimonio per effetto della vendita forzata

93.

92 Sull’ammissibilità dell’interpretazione estensiva del catalogo degli atti impugnabili ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 v. Cass., sez. un., 11 maggio 2009, n. 10672, in Riv. dir. trib., 2009, II, p. 539, con nota di INGRAO: nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto impugnabile dinanzi al giudice tributario (già prima dell’espressa previsione in tal senso recata dall’art. 35, comma 26 quinquies, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, conv. nella L. 4 agosto 2006, n. 248) il preavvi-so di fermo amministrativo ex art. 86, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, relativo ad una pre-tesa creditoria dell’ente pubblico di natura tributaria, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c. l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legit-timità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 cit., «in quanto tale elen-cazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della pubblica amministrazione, che in conseguenza del-l’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. 28 dicembre 2001, n. 448». Per un’altra ipotesi di interpretazione estensiva dell’art. 19 cit., in caso di rigetto dell’istanza di annullamento in via di autotutela dell’avviso di accertamento, v. Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3774.

93 L’opposizione di merito all’esecuzione è stata configurata come azione di arricchimen-to ex art. 2041 c.c., esercitata in via anticipata dal debitore, il quale invoca una tutela inibito-ria nei confronti del creditore che senza giusta causa ha promosso l’attività esecutiva; l’oppo-nente vuole evitare di subire un ingiusto depauperamento, che sarebbe causato dall’esecu-zione forzata; la sentenza che accoglie l’opposizione revoca la domanda esecutiva, secondo

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La fattispecie potrebbe alternativamente ricondursi alla previsione dell’art. 19, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 546/1992, che ammette l’impugnabilità del diniego o della revoca di agevolazioni o del rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari: categoria nella quale rientra qualunque prov-vedimento idoneo ad incidere sul rapporto tributario, ivi compreso, dunque, il silenzio serbato dall’amministrazione finanziaria sull’istanza di riconoscimen-to di un’esenzione o agevolazione, che deve essere qualificato come silenzio-rifiuto

94. Con il domandare all’ente impositore di provocare l’estinzione del processo esecutivo, il contribuente chiederebbe infatti di essere liberato dal-l’azione espropriativa, che ha il suo fondamento materiale nel rapporto obbli-gatorio tributario, ormai estinto in conseguenza dell’adempimento.

La tutela giurisdizionale del contribuente resterebbe in definitiva riservata al giudice tributario, qualora l’espropriazione esattoriale fosse proseguita no-nostante l’estinzione del debito iscritto a ruolo, valendosi il debitore non del-l’azione di accertamento negativo (improponibile davanti al giudice speciale), ma del tipico rimedio impugnatorio contro il silenzio dell’amministrazione fi-nanziaria. Spetterebbe quindi al giudice tributario accertare il carattere satisfat-tivo del pagamento eseguito dal contribuente e la conseguente estinzione del-l’obbligazione, con l’effetto di rendere improseguibile l’azione esecutiva, men-tre sarebbe riservata al giudice dell’esecuzione, all’esito della decisione, la di-chiarazione di improcedibilità del processo espropriativo, non coltivabile dai creditori intervenuti cum titulo, sprovvisti di poteri di impulso.

Le ardite ipotesi che precedono si espongono, tuttavia, a plurimi rilievi. Ad essere oggetto di impugnazione dinanzi al giudice tributario sarebbe il silen-zio serbato dall’amministrazione finanziaria sulla domanda del contribuente di rimborso o di definizione agevolata; ebbene, in disparte la dubbia ammissi-bilità di una istanza anticipata rispetto al sorgere del diritto alla ripetizione del-l’indebito pagamento forzoso, conseguente alla futura ed eventuale devolu-zione del ricavato della vendita all’agente della riscossione

95, all’accoglimento del ricorso seguirebbe la condanna dell’ufficio finanziario al rimborso di quanto una tecnica analoga a quella dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (art. 2932 c.c.), in quanto tiene luogo della dichiarazione del creditore di rinunciare agli atti (BO-VE, op. cit., p. 88 ss., spec. p. 105 ss.).

94 Cass., 30 giugno 2016, n. 13394. 95 Incertus an, incertus quando, incertus quantum, poiché l’esecuzione potrebbe risultare to-

talmente o parzialmente infruttuosa per l’agente della riscossione, che in sede di distribuzio-ne del ricavato fosse postergato a creditori concorrenti di grado poziore. La specialità dell’e-spropriazione forzata tributaria non implica, infatti, alcuna deroga alle regole del concorso (MANCUSO, op. cit., p. 546).

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dovesse riscuotere all’esito della vendita, non la dichiarazione di inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata.

La pronuncia non avrebbe, quindi, effetto inibitorio dell’esecuzione in cor-so, né caducatorio degli atti espropriativi medio tempore compiuti; per contro, legittimerebbe – paradossalmente – la prosecuzione del processo espropriati-vo, pur quando condannasse l’amministrazione finanziaria al rimborso non del futuro ed eventuale pagamento forzoso, ma del pagamento volontariamente eseguito dal contribuente ante executionem, in tal caso risorgendo l’obbligazio-ne tributaria che era stata adempiuta, e quindi il contribuente sarebbe legitti-mamente assoggettato alla sanzione esecutiva. Né la liquidazione forzosa del bene pignorato potrebbe essere prevenuta in via cautelare: il giudice tributa-rio può sospendere, ai sensi dell’art. 47, D.Lgs. n. 546/1992, l’atto impugnato e quindi il diniego espresso di rimborso, con l’effetto di imporre all’ammini-strazione il riesame del provvedimento (analogamente a quanto avviene nel-l’ipotesi di sospensione di atti negativi da parte del giudice amministrativo), ma non l’efficacia esecutiva del titolo, non impugnato, in forza del quale si procede.

In definitiva, la soluzione, pur rispettosa del criterio di riparto tra giurisdi-zione ordinaria e giurisdizione tributaria, fondato sulla natura della controver-sia, non soddisferebbe l’esigenza di munire il contribuente di un mezzo di tu-tela contro l’esecuzione ingiusta idoneo a prevenire, mediante l’interinale so-spensione e la successiva pronuncia caducatoria degli atti espropriativi, il pre-giudizio irreversibile che si consumerebbe con la vendita forzata.

7. La lite distributiva e l’eccezione di estinzione

La rassegnata constatazione dell’inesistenza di un rimedio impugnatorio esperibile dinanzi al giudice tributario per arrestare (prima in via provvisoria e strumentale, mediante una misura cautelare sospensiva, quindi in via definiti-va, mercé una sentenza che invalidi ex tunc gli atti compiuti ed inibisca pro fu-turo il compimento di atti ulteriori, di contenuto analogo a quello della deci-sione che accoglie l’opposizione all’esecuzione, e la cui natura – dichiarativa o costitutiva – non è necessario in questa sede indagare) l’esecuzione esattoria-le coltivata nonostante l’estinzione del debito tributario deve indurre l’inter-prete a proseguire la ricerca, all’interno del sistema, di un mezzo alternativo di protezione del contribuente ingiustamente sottoposto all’espropriazione li-quidativa, mediante la quale si consuma l’effetto ablativo del bene pignorato.

Nella fase satisfattiva, quando il vincolo del pignoramento si è trasferito dal

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bene al prezzo ricavato dalla vendita 96, può infatti ammettersi – non rinve-

nendosi nel D.P.R. n. 602/1973 un esplicito divieto in tal senso – che il con-tribuente sollevi contestazione ai sensi dell’art. 512 c.p.c., negando l’esistenza del credito tributario, ma con l’unico effetto di impedire la consegna del rica-vato all’agente della riscossione

97. La lite distributiva è infatti strutturalmente e funzionalmente diversa dall’opposizione all’esecuzione, la cui preclusione non può quindi tradursi in causa ostativa alla contestazione da parte del contri-buente (già espropriato del bene, ma non ancora espropriato del relativo prez-zo) dell’an e del quantum del credito per il quale si procede esecutivamente.

Non potrebbe in contrario addursi l’argomento che, onde risolvere la con-testazione, il giudice dell’esecuzione dovrebbe accertare esistenza e contenuto del rapporto obbligatorio tributario: materia che eccede la sua competenza giu-risdizionale. Trattasi, infatti, di questione conosciuta e decisa incidenter tan-tum, senza autorità di giudicato, ai limitati fini dell’accertamento del diritto pro-cessuale al concorso, che costituisce l’oggetto della controversia sia nella fase sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, sia nella eventuale e consecutiva fase a cognizione piena dinanzi al Tribunale in unico grado, investito dell’oppo-sizione (nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c.) avverso il provve-dimento reso dal primo. La controversia è infatti devoluta al giudice ordina-rio, ancorché la cognizione del rapporto sostanziale sia riservata ad un giudice speciale, proprio in ragione dell’oggetto processuale della lite

98. Tuttavia, si tratta di strumento di tutela che si rivela inidoneo, proprio in ra-

gione dell’essere utilizzabile soltanto dopo la vendita (non essendo la contesta-zione proponibile prima del deposito del progetto di distribuzione), a preve-nirne gli effetti traslativi. Non si può ammettere che il contribuente debba subi-re impotente l’espropriazione del bene pignorato, salvo poter impedire l’espro-priazione del denaro ricavato dall’alienazione coattiva, nonostante abbia soddi-sfatto il credito per il quale procede l’agente della riscossione: nonostante il di-

96 Secondo la classica impostazione di CARNACINI, Contributo alla teoria del pignoramento, Padova, 1936, p. 12 ss.

97 Corte cost., 23 febbraio 2007, n. 55, in Giur. cost., 2007, p. 1, nel giudicare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 54 (ora 57) D.P.R. n. 602/1973, ha statuito che l’esclusione delle opposizioni del debitore contro l’esecuzione esattoriale «non concerne casi relativi alla assegnazione e distribuzione del ricavato della vendita, non essendo in quella fase ipotizzabile una limitazione della tutela dei corrispondenti diritti soggettivi ai rimedi en-doprocedimentali». La pronuncia si riferisce alle contestazioni sollevabili nella fase satisfat-tiva dell’esecuzione esattoriale da parte dei creditori intervenuti: ma non v’è ragione per ne-garne l’applicabilità anche alle contestazioni a latere debitoris.

98 V., anche per ulteriori riferimenti, CIRULLI, La distribuzione del ricavato, cit., p. 681 ss.

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vieto dell’opposizione di merito, deve esistere uno strumento che non sanzioni l’illecito commesso dal procedente (a tal fine essendo concessa al contribuente l’azione risarcitoria ex art. 61, D.P.R. n. 602/1973), ma lo prevenga; un rimedio ex ante, non ex post, che in quanto successivo alla consumazione dell’illecito non può essere pienamente satisfattivo, sempre residuando quello che Carne-lutti definiva «un margine di torto irreparabile», sì che «la pratica del diritto insegna come valga meglio non subire il danno che farselo risarcire»

99. Non è vano ricordare che la natura del credito per il quale l’esattore pro-

cede in executivis giustifica l’attribuzione di un privilegio sostanziale, accor-dato in considerazione della causa del credito (art. 2745 c.c.) e rilevante nel rapporto con i creditori concorrenti, ma non anche la privazione di mezzi di efficace tutela del debitore contro l’esecuzione ingiusta

100. Al debitore può essere preclusa l’opposizione di merito all’esecuzione esattoriale per ragioni connesse ai limiti interni della giurisdizione tributaria ed alla tipi-cità degli atti impugnabili davanti al giudice speciale, ma non l’esperibilità di un rimedio alternativo finalizzato ad arrestare l’esecuzione in corso, pe-na la surrettizia reintroduzione del principio del solve et repete

101, del quale

99 CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1926, p. 74. 100 In senso sostanzialmente conforme v. BELLÈ, Riscossione in forme esattoriali di crediti

non tributari e tutela giurisdizionale, in Riv. dir. proc., 1999, p. 532 ss.; MANCUSO, op. cit., p. 546; COSTANTINO, La tutela del soggetto passivo nell’esecuzione esattoriale, cit., p. 153, il quale osserva che il riferimento alla natura del credito tributario «non vale a giustificare i limiti alla difesa del soggetto passivo». Vanno a tal fine richiamate le considerazioni di COSTANTINO, Le espropriazioni forzate speciali, cit., pp. 17 ss., 71 ss. circa la giustificazione della tutela espropriativa speciale prevista per la riscossione coattiva di crediti tributari, non incompati-bile con il rinvio alle regole del codice di rito contenuto nell’art. 2910, comma 1, c.c., che ele-va il processo espropriativo disciplinato dal Libro III «ad archetipo di tutti i procedimenti speciali diversamente disciplinati» (op. cit., p. 21). Dopo aver ricordato (richiamando l’inse-gnamento di CHIOVENDA, Principii, cit., p. 196 ss.) che nel processo dichiarativo l’adozione di modelli di tutela giurisdizionale differenziata rispetto a quella ordinaria può essere motiva-ta o da ragioni di economia processuale o dalla natura della situazione sostanziale dedotta in giudizio, l’A. osserva che nell’espropriazione forzata il diritto materiale tutelato ha sempre contenuto pecuniario: non può dunque venire in rilievo, per giustificare la deroga alle norme processuali comuni, la causa del credito, che già costituisce ragione del privilegio accordato dalla legge (art. 2745 c.c.) in sede di distribuzione del ricavato, sì da non poter giustificare un regime processuale di eccezione. Quanto all’altro criterio, la necessità di accelerare e sempli-ficare la fase liquidativa dovrebbe essere comune a tutti i creditori, mentre viene soddisfatta soltanto quando l’esecuzione sia promossa da alcuni, talché «non l’economia processuale, ma le qualità soggettive del creditore procedente possono contribuire a cogliere il fonda-mento della specialità delle forme dei processi espropriativi» (op. cit., p. 32).

101 Principio espresso dall’art. 6, comma 2, L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, a tenore del quale «in ogni controversia d’imposte gli atti di opposizione per essere ammissibili in giudi-

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il divieto di opposizione ex art. 615 c.p.c. costituisce applicazione 102.

De iure condendo, potrebbe ipotizzarsi l’estensione alla riscossione coattiva dei crediti tributari del regime di tutela previsto dall’art. 29, D.Lgs. n. 46/1999 per i crediti non tributari e per quelli tributari estranei alla giurisdizione spe-ciale: entrate alle quali non si applica l’art. 57, comma 1, D.P.R. n. 602/1973 «e le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie»

103. Tuttavia, alla ragionevolezza di tale opzione (che do-vrebbe essere il risultato di una valutazione discrezionale da parte del legisla-tore) si oppone il rilievo che la cognizione del rapporto obbligatorio tra ente impositore e soggetto passivo, quando l’esecuzione esattoriale sia promossa per la riscossione coattiva di un credito tributario, è riservata al giudice specia-le, al quale non può essere utilmente rimessa dal giudice dell’esecuzione (esau-rita la fase cautelare con la concessione od il diniego della sospensione) la fase di merito. Infatti, stanti il limite interno alla giurisdizione tributaria segnato dall’inizio dell’esecuzione forzata e l’improponibilità di azioni di mero accer-tamento, la commissione tributaria provinciale, davanti alla quale la causa fos-se tempestivamente riassunta, non potrebbe pronunciarsi sull’opposizione.

Ma è proprio nel testo unico della riscossione che può rinvenirsi un effica-ce rimedio a disposizione del soggetto passivo, qualora l’esecuzione esattoria-le sia proseguita nonostante il pagamento del debito iscritto a ruolo, dei rela-

zio dovranno accompagnarsi dal certificato di pagamento dell’imposta, eccetto il caso che si tratti di domanda di supplemento». La norma è stata dichiarata costituzionalmente illegit-tima da Corte cost., 31 marzo 1961, n. 641, in Riv. dir. proc., 1961, p. 641, con nota di MAF-FEZZONI, Motivi e limiti di efficacia della abolizione del “solve et repete”; in Giur. cost., 1961, p. 139, con note di TREVES, Exit solve et repete ed ESPOSITO, Considerazioni sulla morte del “solve et repete”; in Riv. dir. fin., 1961, II, p. 101, con nota di NAPOLITANO, Illegittimità costituzionale del “solve et repete”.

102 Così, con riferimento all’art. 209, comma 2, D.P.R. n. 645/1958 (sostanzialmente ri-prodotto dal vigente art. 57, D.P.R. n. 602/1973), TARZIA, I rimedi contro l’esecuzione esatto-riale e la Costituzione, cit., p. 616, sul rilievo che se il previo pagamento del tributo era elevato a condizione di ammissibilità «per gli atti di opposizione in ogni controversia d’imposte» (art. 6, comma 2, L. n. 2248/1865) non era configurabile un’opposizione all’esecuzione, come rimedio distinto dall’ordinaria azione di accertamento negativo della pretesa tributaria. Per analoga considerazione, vigenti gli artt. 72 e 73, R.D. 17 ottobre 1922, n. 1401 (che con-cedevano al contribuente i soli rimedi del ricorso amministrativo all’intendente di finanza e dell’azione risarcitoria contro l’esattore ad esecuzione conclusa), v. MONTESANO, Sulla fun-zione dell’esecuzione esattoriale, cit., p. 922.

103 Per un’applicazione della norma v. Cass., sez. un., 9 novembre 2009, n. 23667, che ha ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c. contro la cartella di pagamento di san-zioni irrogate dal Garante per la concorrenza ed il mercato, trattandosi di materia sottratta alla giurisdizione del giudice tributario.

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tivi accessori e delle spese, sempre che il contribuente non si sia tempestiva-mente avvalso della facoltà di rendere la dichiarazione prevista dall’art. 1, com-ma 538, L. 24 dicembre 2012, n. 228 (nel testo modificato dall’art. 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159)

104 e l’ente impositore non abbia disposto la so-spensione o lo sgravio, dandone comunicazione all’agente della riscossione

105. In tal caso, l’art. 61, D.P.R. n. 602/1973 prevede infatti che «il procedimento di espropriazione si estingue», se il pagamento viene eseguito prima della ven-dita, senza che a tal fine sia richiesta la dichiarazione di rinuncia ex art. 629 c.p.c. da parte dell’agente della riscossione né dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, privi di poteri di impulso (v. supra, n. 3). Pertanto, il debi-tore può eccepire l’estinzione dinanzi al giudice dell’esecuzione ed impugnare con il reclamo ex art. 630 c.p.c. l’eventuale provvedimento negativo

106. Con-

104 La disposizione prevede che «a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla notifica, da parte del concessionario per la riscossione, del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa dal concessionario il contri-buente presenta al concessionario per la riscossione una dichiarazione anche con modalità telematiche, con la quale venga documentato che gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati: a) da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; b) da un provvedi-mento di sgravio emesso dall’ente creditore; c) da una sospensione amministrativa comun-que concessa dall’ente creditore; d) da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte; e) da un pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente alla formazione del ruolo stesso, in fa-vore dell’ente creditore».

105 Il comma 539 prevede infatti che nei dieci giorni successivi alla data di presentazione della dichiarazione del contribuente «il concessionario per la riscossione trasmette all’ente creditore la dichiarazione presentata dal debitore e la documentazione allegata al fine di ave-re conferma dell’esistenza delle ragioni del debitore ed ottenere, in caso affermativo, la solle-cita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informati-vi. L’ente creditore, tramite apposito canale telematico, a mezzo posta elettronica certificata oppure a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, comunica al debitore l’esito dell’esa-me della dichiarazione, dando altresì comunicazione al concessionario del provvedimento di sospensione o sgravio ovvero conferma della legittimità del debito iscritto a ruolo», restando nelle more sospeso il termine di efficacia del pignoramento previsto dall’art. 53, D.P.R. n. 602/1973. La disciplina è completata dal comma 540: se l’ente creditore non invia la comu-nicazione, il vano decorso del termine di duecento giorni dalla dichiarazione del contribuen-te comporta l’annullamento di diritto delle partite iscritte a ruolo. In argomento v. amplius VINCRE, Le attività che precedono l’esecuzione forzata, in AA.VV., Codice commentato del pro-cesso tributario, cit., p. 1111 ss.

106 Può dunque estendersi al regime vigente la soluzione proposta, sotto l’impero del D.P.R. n. 645/1958 (che all’art. 204 recava una disposizione di pressoché identico contenuto), da

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tro l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione il reclamo è invece proponibile da parte dell’agente della riscossione, ma non dei creditori intervenuti, che in de-roga all’art. 630, comma 3, c.p.c. sono privi della legittimazione al gravame, non potendo dare impulso all’esecuzione nell’inerzia del pignorante

107. Si ritiene che l’estinzione sia comunque rilevabile d’ufficio, anche oltre la

prima udienza successiva al verificarsi dell’evento estintivo 108. L’affermazione

sottintende che il pagamento rende inefficace il titolo esecutivo, il cui soprav-venuto difetto è soggetto a rilevazione officiosa, talché l’istanza del debitore degrada a mera imploratio iudicis officii e non soggiace a termini di decadenza. Mentre nell’esecuzione ordinaria è dubbio che il giudice dell’esecuzione pos-sa rilevare d’ufficio un fatto estintivo dell’obbligazione, quale l’adempimento, non potendo accertare l’inesistenza del diritto risultante dal titolo esecutivo (essendo a tal fine necessario un processo di cognizione esterno a quello ese-cutivo ed introdotto per iniziativa del debitore), nell’esecuzione esattoriale il pagamento integra causa estintiva del processo, anziché motivo di opposizio-ne, vietata dall’art. 57, D.P.R. n. 602/1973.

Nel pronunciare sull’eccezione, il giudice dell’esecuzione (ed il collegio in sede di reclamo) accerta incidentalmente, senza autorità di giudicato, che il credito erariale è stato interamente soddisfatto. Poiché trattasi di cognizione endoesecutiva

109, la pronuncia può essere resa (analogamente a quanto avviene ove sorga controversia in sede distributiva) anche da un giudice privo della

TARZIA, Le nuove disposizioni sulla esecuzione esattoriale, cit., p. 115 s., il quale avvertiva che, ove il fascicolo non fosse ancora pervenuto al giudice dell’esecuzione, il debitore avrebbe po-tuto proporre l’eccezione di estinzione mediante ricorso, sul quale l’ufficio avrebbe provve-duto con ordinanza. Perplesso sulla possibile iniziativa del debitore COSTANTINO, Le espro-priazioni forzate speciali, cit., 75, nota 89, stante la preclusione delle opposizioni esecutive e l’ammissibilità del solo ricorso all’intendente di finanza.

107 Gli intervenuti possono invece reclamare l’ordinanza dichiarativa dell’estinzione se il pagamento in favore dell’agente della riscossione è stato eseguito dopo la vendita (così an-che D’ADAMO, op. cit., p. 1223). In tal caso, infatti, quel pagamento non è sufficiente ad inte-grare la fattispecie estintiva, dovendo essere soddisfatti anche i creditori concorrenti, che van-tano un diritto processuale sul ricavato della vendita. Resta fermo che l’estinzione posteriore alla vendita non infirma il trasferimento forzoso del bene pignorato, soltanto implicando la consegna del ricavato del debitore (art. 632, comma 2, c.p.c.), che ne è ancora proprietario.

108 IANNICELLI, L’estinzione del processo esecutivo, in AA.VV., Codice commentato delle ese-cuzioni civili, cit., p. 1751.

109 La proposizione dell’eccezione di estinzione non dà infatti luogo, di per sé, all’instau-razione di un giudizio di cognizione, in quanto provoca un incidente di carattere esecutivo, destinato a concludersi con ordinanza, emessa dal giudice dell’esecuzione in quanto tale (ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 38, nota 96).

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competenza giurisdizionale sul merito del rapporto tributario ed in contrad-dittorio con un soggetto che è titolare dell’azione esecutiva, ma non del credi-to. Questo rapido ed efficace mezzo di controllo interno sull’esecuzione esat-toriale supplisce all’assenza di un controllo esterno, impedito dal divieto di opposizione all’esecuzione, che non viene eluso mediante l’eccezione di estin-zione, con la quale non si contesta il diritto di procedere ad esecuzione forza-ta, ma si denuncia che il processo è perento, o per inattività del creditore

110 o per integrale soddisfacimento del credito, che di regola non si risolve in causa estintiva dell’esecuzione: ma l’art. 61, D.P.R. n. 602/1973 detta una regola di-versa, ricollegando al pagamento della sorte iscritta a ruolo e degli accessori la mors executionis.

Quando si verifica una causa estintiva del processo esecutivo, che venga nondimeno proseguito, la tutela del debitore è affidata all’eccezione ex art. 630 c.p.c., piuttosto che all’opposizione ex art. 615 c.p.c.

111. Poiché l’estinzio-ne del processo non estingue l’azione, l’opposizione costituirebbe mezzo di tutela sproporzionato allo scopo, provocando l’instaurazione di un processo dichiarativo, definito con sentenza idonea al giudicato sostanziale, pur quan-

110 Con riferimento all’estinzione dell’esecuzione esattoriale per omesso esperimento del primo incanto nel termine di novanta giorni dal pignoramento, Cass., sez. un., 19 agosto 2003, n. 12095, in Foro it., 2004, I, p. 121 ha espressamente negato l’equiparazione del rime-dio all’opposizione all’esecuzione, ritenendo che spetti al giudice ordinario, quale giudice dell’esecuzione, pronunciarsi sull’eccezione.

111 Per un’applicazione del principio v. Cass., 30 agosto 2013, n. 19960: «Qualora il giu-dice dell’esecuzione, in presenza di pregresse rinunce degli altri creditori all’esecuzione, di fronte a una rinuncia dell’ultimo creditore dichiari l’estinzione del processo esecutivo anziché nella sua totalità, soltanto nel rapporto fra ultimo rinunciante e debitore, il mezzo di tutela esperibile da quest’ultimo è il reclamo ai sensi dell’art. 630, comma 3, c.p.c. Ne consegue che ove invece il debitore, di fronte alla prosecuzione del processo esecutivo, reagisca con un’op-posizione e il giudice dell’esecuzione qualifichi la stessa come opposizione all’esecuzione con statuizione che poi risulti passata in cosa giudicata interna, la Corte di cassazione, allorquan-do sia investita di un ricorso in cui si contesti la fondatezza dell’opposizione così qualificata, poiché detto giudicato non riguarda le condizioni di fondatezza e segnatamente quelle del-l’opposizione, può e deve ravvisare che l’azione come qualificata non poteva essere proposta, in quanto doveva essere esperita con il detto reclamo e, quindi, cassare senza rinvio la sen-tenza impugnata ai sensi del comma 3 dell’art. 382 c.p.c.». In senso conforme v. Cass., 15 luglio 2016, n. 14449, che dall’impugnabilità esclusivamente con il reclamo dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione in tema di estinzione (abbiano accolto o rigettato la relativa istanza proposta dal debitore ovvero abbia il giudice omesso di pronunziarsi) deduce l’inam-missibilità delle opposizioni del debitore, ex artt. 615 o 617 c.p.c., per far valere l’improsegui-bilità dell’esecuzione dopo il verificarsi del fatto estintivo; la sentenza che abbia pronunciato sul merito dell’opposizione va pertanto cassata senza rinvio, stante l’improponibilità assoluta del rimedio (Cass., 11 giugno 2008, n. 15463).

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do non fossero controversi né il diritto processuale alla tutela esecutiva né il diritto sostanziale tutelato e neppure l’espropriabilità dei beni pignorati, ma soltanto la persistenza di quello specifico processo, che si assume estinto. Non sembra conforme al principio di economia processuale che si debba impegna-re la funzione giurisdizionale cognitiva per accertare se la rinuncia sia valida ed efficace o se siano stati osservati i termini perentori, il cui inutile decorso provoca la mors executionis, o se i creditori abbiano disertato due udienze con-secutive, essendo all’uopo sufficiente la rilevazione endoesecutiva, soggetta al controllo del collegio, la cui sentenza

112 è soggetta ad appello trattato in ca-mera di consiglio, con innegabile semplificazione delle forme rispetto al pro-cesso ordinario di cognizione. Né si avverte la necessità che la pronuncia di-chiarativa dell’estinzione sia presidiata dalla vis iudicati, esaurendo i suoi effet-ti nel dichiarare perento il processo esecutivo, senza pregiudicare il rinnovato esercizio dell’azione. Vanno invece impugnati con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. e non con il reclamo gli atti consequenziali alla dichiarazione di estin-zione, se adottati ai sensi dell’art. 632 c.p.c.

113. Le notazioni che precedono non si sottraggono, tuttavia, all’obiezione che

la decisione dell’eventuale reclamo assume in ogni caso la forma della senten-za appellabile. L’incidente endoesecutivo provocato dall’istanza al giudice del-l’esecuzione, sollecitatoria del rilievo officioso dell’estinzione, può essere segui-to da un processo di cognizione, sia pure semplificato (essendo soggetto al ri-to camerale ex art. 130 disp. att. c.p.c.), introdotto con il reclamo

114, configu-rato alla stregua di un autonomo processo di cognizione, avente struttura lato sensu impugnatoria e funzione meramente rescindente, articolato in due gradi di merito

115. La peculiarità della fattispecie estintiva disegnata dall’art. 61, D.P.R. n. 602/1973, non apparentabile alle ipotesi tipiche di estinzione previ-ste dagli artt. 629 ss. c.p.c., consiste d’altronde nel ricollegare la mors executio-nis non alla rinuncia od all’inerzia del creditore, bensì al soddisfacimento del credito risultante dal ruolo, e quindi in definitiva all’estinzione dell’azione ese-cutiva, che invece per principio non è pregiudicata dall’anticipata chiusura del

112 Diversamente che nel processo di cognizione, sul reclamo il collegio provvede in ogni caso con sentenza (SATTA, L’esecuzione forzata, IV ed., Torino, 1963, p. 259).

113 Cass., 19 dicembre 2014, n. 27031: nella specie, trattavasi dell’ordinanza di liquidazio-ne delle spese in favore del creditore procedente.

114 Sulla natura cognitiva della fase aperta con la proposizione del reclamo contro l’ordi-nanza con la quale il giudice dell’esecuzione dichiara l’estinzione o rigetta la relativa eccezio-ne v. ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, cit., p. 38, nota 96.

115 IANNICELLI, op. cit., p. 1789 s.

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processo 116. Il collegio investito del reclamo (e la Corte d’Appello dinanzi alla

quale fosse impugnata la sentenza) dovrebbe quindi decidere la sorte non sol-tanto della specifica esecuzione esattoriale colpita dall’estinzione, ma anche della persistente legittimazione dell’agente della riscossione all’azione esecu-tiva, con effetti che potrebbero ritenersi non circoscritti all’esecuzione in cor-so. L’accertamento che il soggetto passivo ha pagato il debito iscritto a ruolo, i relativi accessori e le spese si sostanzierebbe nella dichiarazione di sopravve-nuta improseguibilità dell’espropriazione esattoriale, per estinzione del diritto sostanziale tutelato e quindi dello strumentale diritto processuale alla tutela esecutiva; e tale declaratoria – potrebbe obiettarsi – eccede la giurisdizione del giudice ordinario, investendo il rapporto impositivo, la cui cognizione è riservata al giudice tributario. L’impedimento non sarebbe rimosso neppure se, ad onta del nomen iuris, si inquadrasse l’ipotesi nominata di chiusura anti-cipata non satisfattiva del processo esecutivo prevista dall’art. 61, D.P.R. n. 602/1973 nella categoria dell’improcedibilità, piuttosto che dell’estinzione: conseguendone l’impugnabilità del provvedimento, positivo o negativo, sul-l’istanza del debitore con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., anziché con il recla-mo

117. Anche in tal caso avrebbe luogo, infatti, una fase a cognizione piena, nella quale si riproporrebbe la questione di giurisdizione sopra accennata. Al cospetto di tali rilievi, l’interprete potrebbe essere indotto a considerare irre-clamabile il provvedimento sull’estinzione, certamente non impugnabile da-vanti al giudice tributario, in ragione del noto limite interno alla giurisdizione speciale di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. Ma la conclusione, che si tradurrebbe nel privare le parti di qualunque strumento di controllo del provvedimento del giudice dell’esecuzione, va rifiutata, in quanto limitativa del diritto di difesa.

Se però si assegna anche alla decisione in sede di reclamo un valore mera-mente endoprocessuale, non diverso da quello proprio del provvedimento im-pugnato, e si riconosce natura meramente formale al giudicato che si forma sulla sentenza (che quindi non accerta in via principale l’inesistenza del credi-to, ma soltanto l’improseguibilità dell’esecuzione), allora l’indagine circa il ca-rattere satisfattivo del pagamento (e, per converso, l’estinzione del debito tri-butario iscritto a ruolo) degrada a questione incidentale, come tale conosciuta e decisa incidenter tantum da giudice privo della competenza giurisdizionale a

116 Sul punto la dottrina è unanime: v., anche per ulteriori indicazioni, IANNICELLI, op. cit., p. 1752.

117 Sul regime impugnatorio dell’ordinanza che dispone la c.d. estinzione atipica v. IAN-NICELLI, op. cit., p. 1734 ss.

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pronunciare, con autorità di giudicato, sul rapporto obbligatorio: si tratta di una regola non diversa da quella che informa la decisione delle controversie distributive. D’altronde, mi sembra che in tal senso deponga anche la riserva della decisione sul reclamo al Tribunale (in composizione collegiale) davanti al quale pende l’esecuzione, quali che siano la natura e l’ammontare del credi-to per il quale si procede, che pertanto non può formare oggetto di cognizione principale, stante la correlazione tra competenza e thema decidendum; laddove se la legge avesse voluto prevedere l’accertamento non meramente incidenta-le del credito, avrebbe individuato il giudice competente in ragione della ma-teria o del valore.

In conclusione, il contribuente che abbia pagato il debito iscritto a ruolo e gli accessori può eccepire l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 61, D.P.R. n. 602/1973 nella prima udienza utile successiva o mediante ricor-so al giudice dell’esecuzione, il quale – in ossequio ai principi del giusto pro-cesso – deve provvedere nel contraddittorio delle parti e quindi con ordinan-za, previa fissazione dell’udienza, della quale deve essere notiziato il solo agen-te della riscossione, non avendo i creditori intervenuti, benché titolati, il pote-re di interloquire sull’estinzione prima della vendita. L’ufficio accerterà il ca-rattere satisfattivo o non satisfattivo del pagamento e, nel primo caso, dichia-rerà l’estinzione, con provvedimento reclamabile dal procedente.

Peraltro, qualora il pagamento sia ritenuto non integrale (non compren-dendo, ad es., gli interessi o le spese), il giudice dell’esecuzione non potrà li-mitarsi a rigettare sic et simpliciter l’istanza, ma dovrà adeguare l’oggetto del processo esecutivo all’intervenuta parziale estinzione del diritto sostanziale ri-sultante ex titulo, ordinando anche d’ufficio la riduzione del pignoramento, con prosecuzione del processo limitatamente ai beni di valore corrispondente al minor credito erariale. Qualora si tratti di espropriazione immobiliare, la ridu-zione della pretesa tributaria, per effetto del pagamento eseguito dal contri-buente, al di sotto del limite di centoventimila euro, previsto per l’accesso a tale forma di tutela esecutiva da parte dell’agente della riscossione ex art. 76, com-ma 1, lett. b), D.P.R. n. 602/1973, si tradurrà in causa di improseguibilità. L’ammontare del credito, originario o residuo, costituisce infatti presupposto speciale dell’espropriazione immobiliare esattoriale, il cui difetto ne impedi-sce l’inizio ovvero la prosecuzione

118. Trattandosi di presupposto processuale,

118 Cass., 30 dicembre 2014, n. 27525, premessa la natura processuale della norma che ha introdotto il limite di valore (inizialmente di ottomila euro, successivamente elevato a ven-timila e da ultimo a centoventimila), ne ha sancito l’immediata applicabilità alle esecuzioni in corso, giudicando infondata l’opposizione ex art. 617 c.p.c. dell’agente della riscossione con-

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la relativa inesistenza, originaria o sopravvenuta, è rilevabile d’ufficio, simil-mente a quanto avviene per il titolo esecutivo; il debitore può sollecitare tale rilevazione mediante istanza ex art. 486 c.p.c. oppure può impugnare con l’op-posizione ex art. 617 c.p.c. ciascun atto esecutivo, compiuto dall’esattore no-nostante la violazione del divieto legislativo e quindi affetto da vizio proprio e non derivato da quello degli atti anteriori.

8. L’esecuzione per debito prescritto

Nei precedenti paragrafi ho riservato attenzione all’ipotesi dell’esecuzione esattoriale iniziata o proseguita nonostante il difetto originario o sopravvenu-to del titolo esecutivo ovvero l’estinzione del debito iscritto a ruolo, proponen-do l’individuazione di rimedi alternativi all’opposizione di merito, vietata dal-l’art. 57, D.P.R. n. 602/1973. Tra i fatti estintivi del diritto materiale ex titulo rientra, tuttavia, anche la prescrizione, che costituisce possibile materia del-l’opposizione all’esecuzione promossa in forza di titolo di formazione para-giudiziale quando sia maturata successivamente alla notificazione dell’atto, do-vendo quella anteriormente compiutasi dedursi in via di tempestiva impugna-zione del titolo davanti al giudice competente. La prescrizione del credito tri-butario maturata prima della notificazione della cartella va eccepita davanti al giudice speciale mediante rituale impugnazione di tale atto

119, mentre la pre-scrizione che maturi successivamente non può essere elevata a motivo di op-posizione ex art. 615 c.p.c.

L’eventualità che il credito tributario abbia a prescriversi successivamente alla notificazione della cartella è tutt’altro che rara, quando il diritto sia sog-getto a prescrizione quinquennale. Sul ruolo non impugnato non si forma, in-fatti, la cosa giudicata, trattandosi di atto amministrativo, talché non è appli- tro il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione, ritenuto che il credito fosse infe-riore alla somma di ottomila euro e che il processo esecutivo fosse pertanto divenuto impro-cedibile, aveva revocato l’aggiudicazione e disposto la restituzione del prezzo all’aggiudicata-rio. La precedente Cass., 12 settembre 2014, n. 19270 aveva dichiarato del pari immediata-mente applicabile lo ius superveniens in tema di divieto di sottoporre ad espropriazione esat-toriale l’unico immobile di proprietà del debitore ivi anagraficamente residente, destinato ad abitazione non di lusso: donde l’improcedibilità dell’esecuzione pendente.

119 L’attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie si estende infatti ad ogni questione relativa all’an o al quantum del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell’esecuzione tributaria, sicché vi rientra anche l’eccezione di prescrizione dedotta tramite l’impugnazione della cartella esattoriale, che è atto prodromico all’esecuzione (Cass., sez. un., 3 maggio 2016, n. 8770).

Massimo Cirulli 73

cabile l’art. 2953 c.c. 120. Se viene minacciata l’espropriazione esattoriale per la

riscossione coattiva di un credito prescrittosi dopo la notificazione della car-tella, il contribuente non può proporre opposizione di merito, ma il suo dirit-to di azione non resta impedito, potendo egli giovarsi di un diverso e pari-menti efficace mezzo di tutela giurisdizionale, con effetti inibitori dell’esecu-zione minacciata ovvero caducatori dell’esecuzione iniziata e compiuta, re-stando comunque impregiudicata la vendita, protetta dall’art. 187 bis disp. att. c.p.c., salva la dimostrata collusione tra l’agente della riscossione e l’aggiudica-tario (art. 2929 c.c.).

Infatti, decorso l’anno dalla notificazione della cartella senza che l’esecu-zione sia stata iniziata, l’agente della riscossione deve notificare al contribuen-te l’intimazione ex art. 50, comma 2, D.P.R. n. 602/1973; poiché tale atto rientra tra quelli impugnabili dinanzi al giudice tributario [art. 19, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 546/1992], l’intimato ha il potere, ma anche l’onere, di cen-surarlo tempestivamente dinanzi alla commissione tributaria provinciale, se vuole eccepire la prescrizione maturata medio tempore

121. In tal caso il grava-

120 «Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente pre-visto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazio-ne di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applica-zione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definiti-vo» (Cass., sez. un., 17 novembre 2016, n. 23397).

121 Cass., sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832 ha dichiarato la giurisdizione del giudice tributario a conoscere dell’impugnazione del sollecito di pagamento della tassa automobili-stica, ancorché il contribuente si limiti ad eccepire la prescrizione del credito: ed invero, «fa-cendosi valere mediante l’eccezione di prescrizione un fatto estintivo dell’obbligazione tribu-taria, conoscere della causa spetta al giudice che abbia giurisdizione in merito a tale obbliga-zione»; né, sotto altro profilo, può ritenersi violato il limite interno alla giurisdizione tributa-ria, non essendo quel sollecito atto esecutivo, bensì prodromico all’esecuzione forzata, in quanto assimilabile all’intimazione ex art. 50, D.P.R. n. 602/1973.

L’onere di impugnare l’intimazione non sussiste quando sia inoperante il divieto di pro-porre opposizione all’esecuzione, come nella riscossione coattiva di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate ai sensi della L. n. 689/1981: in tal caso il debitore, benché non sia insor-to contro l’intimazione di pagamento, può eccepire la prescrizione del credito, maturata suc-

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me assolve la medesima funzione dell’opposizione preventiva a precetto per motivi di merito (art. 615, comma 1, c.p.c.), atteso che l’intimazione tiene luogo del precetto in rinnovazione, reiterato dopo che il primo precetto, con-tenuto nella cartella, si era perento per decorso del termine annuale di effica-cia. V’è peraltro una differenza di struttura tra i due istituti, in quanto l’azione del contribuente è sottoposta ad un termine di decadenza, che invece non è espressamente previsto dall’art. 615, comma 1, c.p.c. La giurisdizione del giu-dice tributario permane anche a seguito del pignoramento, eseguito dall’agen-te della riscossione in pendenza del termine per l’impugnazione dell’atto pro-dromico, dirigendosi il ricorso contro questo, non contro quello, che è sot-tratto al sindacato del giudice speciale. La commissione tributaria provinciale può sospendere ex art. 47, D.Lgs. n. 546/1992 l’efficacia dell’intimazione, così inibendo il pignoramento, ovvero, se l’espropriazione sia iniziata, determi-nando la sospensione esterna del processo esecutivo; la cautela opera quindi alla stregua della sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., pur avendo ad oggetto l’omologo del precetto (l’intimazione), non del titolo esecutivo (il ruolo). Se la sospensione è negata, l’espropriazione segue il suo corso, fino a quando non intervenga la sentenza di accoglimento del ricorso, che caduca ex tunc gli atti esecutivi compiuti, ma senza infirmare la vendita, salvo il disposto dell’art. 2929 c.c. L’annullamento dell’intimazione, posteriore alla vendita, ma anteriore all’attribuzione o distri-buzione del ricavato, comporta che la quota spettante all’agente della riscos-sione vada consegnata al contribuente, in assenza di creditori concorrenti in-soddisfatti; se la sentenza interviene dopo la chiusura del processo esecutivo, il debitore ingiustamente esecutato ha diritto alla restituzione di quanto ri-scosso sine causa dal creditore procedente; in entrambi i casi è salvo il diritto dell’espropriato al risarcimento del danno ex art. 96, comma 2, c.p.c.

Se l’onere di impugnazione dell’intimazione di pagamento non è tempe-stivamente adempiuto, la prescrizione non può essere fatta valere: il contri-buente soggiace all’esecuzione forzata, compiuta la quale potrebbe forse ri-petere il pagamento coattivo

122, non ostandovi il divieto di cui all’art. 2940 c.c., che presuppone la spontaneità del pagamento, esclusa dalla costituzio-

cessivamente alla formazione del titolo, con l’opposizione di merito a seguito del pignoramen-to (Cass., 2 agosto 2016, n. 16024).

122 Per un precedente in tal senso v. Cass., 8 agosto 1978, n. 3856, in Giust. civ., 1979, I, p. 513, con nota di COSTANZA, Sul pagamento del debito prescritto; nella specie, è stato giudicato ripetibile da parte del contribuente il pagamento dell’imposta di registro prescritta, eseguito dopo la notificazione dell’avviso di liquidazione del tributo.

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ne in mora 123 e, a fortiori, dall’esecuzione forzata. La preclusione della condic-

tio indebiti sembra derivare, tuttavia, non dall’intangibilità del risultato dell’a-zione esecutiva (principio della cui validità può dubitarsi

124), ma dalla defini-tività dell’intimazione, contro la quale è apprestato un rimedio sottoposto a termine decadenziale, la cui inosservanza impedisce l’allegazione postuma di fatti estintivi della pretesa erariale. La stabilità del pagamento forzoso si ricol-lega, in altri termini, non alla conclusione del processo esecutivo, che ha fun-zione satisfattiva e non dichiarativa (talché deve soddisfare un diritto esisten-te, non potendo costituire un rapporto materiale inesistente), ma al consoli-damento del titolo esecutivo tributario, rimasto inoppugnato, laddove la ripe-tibilità postuma dell’indebito eliderebbe la maturata decadenza.

123 Cass., 18 settembre 2014, n. 19654; Cass., 17 aprile 1996, n. 3636; Cass, 8 agosto 1978, n. 3856.

124 Sullo stato della controversa questione v. CIRULLI, La distribuzione del ricavato, cit., p. 629 ss.

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Giovanni Girelli

L’ENUNCIAZIONE DELLA LIBERALITÀ INDIRETTA NELL’ATTO DI COMPRAVENDITA

DI IMMOBILI O AZIENDE

THE INDICATION OF THE INDIRECT DONATION IN THE PURCHASE DEED OF REAL PROPERTIES AND BUSINESSES

Abstract L’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, prevede che l’imposta sulle successioni e donazioni non si applichi a quelle liberalità (dirette ed indirette) che siano collegate ad atti di trasferimento o costituzione di diritti immobiliari per i quali sia prevista la debenza dell’imposta di registro (in misura proporzionale) o del-l’IVA. La norma, che trova la sua ratio nell’evitare la duplicazione del prelievo tri-butario su atti o fatti imponibili inseriti in un contesto negoziale oggettivamente unitario, opera a prescindere dalla presenza nell’atto di compravendita della dichia-razione da parte del compratore che il prezzo è pagato grazie alla fruizione della pre-cedente liberalità. La necessità della detta dichiarazione ancorerebbe, infatti, l’e-sclusione prevista dalla detta norma ad un requisito di carattere meramente forma-le non espressamente menzionato dalla disposizione in questione. Parole chiave: donazione, liberalità indiretta, enunciazione, imposta sulle succes-sioni e donazioni, compravendita diritti immobiliari Pursuant to Art. 1, para. 4-bis of Legislative Decree no. 346 of 31 October 1990, inher-itance and donation tax does not apply to those gifts (direct and indirect) that are linked to acts of transfer or creation of property rights, for which registration tax (in a proportional measure) or VAT shall be paid. The purpose of the abovementioned provi-sion is to avoid double taxation on acts or facts included in an objectively unitary con-tractual context. Moreover, Art. 1, para. 4-bis, applies regardless the presence in the deed of sale of the buyer’s statement that the price has been paid thanks to a previous donation. The need of such statement, in fact, would link the exclusion provided by para. 4-bis to a merely formal requirement that is not expressly mentioned in the discipline. Keywords: gift, indirect gifts, indication, inheritance and donation tax, purchase of real property rights

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La natura e la ratio dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. – 3. Il collegamento tra l’acquisto dell’immobile e la liberalità ai sensi dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

L’orientamento recentemente espresso per la prima volta dalla Corte di Cassazione offre l’occasione per chiarire l’ambito di applicazione dell’esclu-sione prevista dall’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 alla fre-quente ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’ac-quisto del bene dal terzo (venditore) con somme elargite da un familiare (do-nante) al compratore (donatario) prima della stipula dell’atto di compraven-dita soggetto ad imposta di registro o ad IVA

1. Trattasi di uno schema negoziale che la dottrina comunemente individua,

assieme ad ulteriori fattispecie, quali l’adempimento del terzo 2 o il contratto a

1 La Corte di Cassazione, sez. trib., ha esaminato tale questione con sent. 24 giugno 2016, n. 13133 (in Banca dati Pluris). Sulla qualifica, poi, di tale schema negoziale quale donazione indiretta di immobile e non donazione diretta di denaro, vedasi già Cass., sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282. In tale sentenza, i giudici di legittimità, dopo aver distinto l’ipotesi della donazione diretta di denaro, che sia stato successivamente impiegato dal figlio in un acquisto immobiliare, da quella del denaro elargito dal donante quale mezzo per l’acquisto dell’immobile in capo al figlio, ossia specificamente ed inequivocabilmente finalizzato a tale acquisto, hanno affermato il principio secondo cui nel caso di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e di intestazione dello stesso bene ad un altro soggetto, che il disponente ha inteso in tal modo beneficiare, costituendo la vendita mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario del detto trasferimento, si ha non già donazione diretta di denaro ma donazione indiretta dell’immobile, poiché, se-condo la volontà del disponente, al quale aderisce il donatario, di quest’ultimo bene viene arricchito il patrimonio del beneficiario. In senso conforme, più di recente v. ex multis, Cass., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231; Cass., sez. I, 15 novembre 1997, n. 11327; Cass., sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass., sez. II, 16 aprile 2015, n. 7822 (tutte in Banca dati Pluris).

2 In tale ipotesi il terzo – di solito un familiare – effettua il pagamento del prezzo della compravendita in favore del venditore per puro spirito di liberalità nei confronti del compra-tore. In tale caso, peraltro, il terzo potrà intervenire nell’atto traslativo della proprietà o, co-me più frequentemente accade nella prassi, potrà consentire al compratore-beneficiario di utilizzare assegni ad esso intestati per pagare il prezzo al venditore.

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favore del terzo 3, sotto la nozione di «intestazione di immobile in nome al-

trui» 4.

Per tali fattispecie è convinzione della Corte di Cassazione che, sebbene il contribuente provi in punto di fatto il collegamento tra il denaro oggetto di liberalità e l’acquisto dell’immobile, per vedersi riconosciuta l’esclusione di cui all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, è necessario anche che tale collegamento sia espressamente dichiarato nell’atto di compravendita soggetto ad imposta di registro o ad IVA. Risulterebbe, pertanto, insufficiente la detta dimostrazione fattuale intervenendo essa dopo la stipula dell’atto di acquisto. Ciò in quanto, secondo i giudici di legittimità, per consolidato orien-tamento giurisprudenziale, l’esenzione dal tributo e, più in generale, la frui-zione di un beneficio fiscale, presuppone l’esplicito esercizio dell’opzione cor-rispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato, a pena di decadenza dal beneficio, del farne espressa dichiarazione in atto. Ebbene, proprio l’esegesi dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, merita di essere affrontata nel presente lavoro alla luce di quanto già evidenziato in merito dalla Suprema Corte.

2. La natura e la ratio dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346

L’art. 1, comma 4 bis 5, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, dopo aver specifica-

to che l’imposta sulle successioni e donazioni si applica anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione

6, esclude espressamente

3 Qui la compravendita interviene tra donante e venditore, con deviazione degli effetti reali in favore del terzo donatario. Sull’ammissibilità del contratto a favore di terzi ad effetti reali, vedasi ANGELONI, Del contratto a favore di terzi, in Commentario del Codice Civile, a cura di Scia-loja-Branca, Bologna-Roma, 2004, p. 99 ss.

4 In tale ambito si indicano quegli atti di liberalità mediante i quali il disponente, con l’accordo del beneficiario, intende far conseguire a quest’ultimo la proprietà di un diritto im-mobiliare – ceduto da un soggetto terzo – a titolo gratuito. Per una dettagliata disamina degli schemi negoziali riconducibili a tale dicitura, vedasi CARNEVALI, Intestazione di beni sotto no-me altrui, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1996 e IACCARINO, Liberalità indirette, Milano, 2011, p. 45 ss.

5 Comma aggiunto dall’art. 69, comma 1, lett. a), L. 21 novembre 2000, n. 342. 6 Il tema delle liberalità indirette ai fini del tributo sulle donazioni ha occupato in modo

diffuso dottrina e giurisprudenza nel corso degli anni. Tutt’oggi non vi è unanimità di vedute circa il perimetro della rilevanza impositiva della fattispecie. Infatti, la posizione più radicale (BUSANI, La tassazione delle donazioni “indirette” e delle donazioni “informali” (stipulate in Ita-lia e all’estero), in Riv. trim. dir. trib., 2016, pp. 565-573), sostiene che per le liberalità indirette

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l’applicabilità della detta imposta alle donazioni e alle liberalità indirette che siano collegate ad atti di trasferimento di diritti immobiliari per i quali sia pre-vista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o del-l’IVA. non risultanti da atti soggetti a registrazione non sussista l’obbligo impositivo. Per le liberalità indirette risultanti, poi, da atti soggetti a registrazione (che siano diverse da quelle per cui è pre-visto già l’esonero da tassazione ai sensi dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. n. 346/1990) non sus-sisterebbe parimenti l’obbligo di registrazione e, quindi, di tassazione a meno che il contri-buente intenda volontariamente rendere palese, nell’ambito del procedimento di accerta-mento di altri tributi, l’avvenuto trasferimento patrimoniale a titolo gratuito. In termini ana-loghi v. anche SALANITRO, Brevi appunti sulla tassabilità della donazione informale, in Riv. dir. trib., 2012, II, pp. 281-282. La tesi, sebbene venga articolata sulla base di una attenta e pun-tuale disamina delle norme del D.Lgs. n. 346/1990, appare essere, invero, riferita a dati te-stuali che portano a conclusioni che si rilevano eccessivamente formali lasciando in ombra l’effetto ottenuto a mezzo della liberalità indiretta sintomatico di capacità contributiva. Si sottolinea, peraltro, come il riferimento operato dall’art. 2, comma 47, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (conv. con modif. dalla L. 24 novembre 2006, n. 286) – che, come noto, ha reintro-dotto, con alcune modificazioni, l’imposta sulle successioni e donazioni, ai trasferimenti di beni o diritti “a titolo gratuito” rende non semplice sostenere l’irrilevanza impositiva delle li-beralità indirette, a prescindere dal fatto che risultino o meno da un atto soggetto a registra-zione. Sul punto v. anche GHINASSI, La fattispecie impositiva del tributo successorio, Pisa, 2014, pp. 46, 52-54, che afferma con decisione che le liberalità indirette ricadano nell’alveo dell’im-ponibilità quali atti a titolo gratuito. Anche STEVANATO, Le liberalità tra vivi nella riforma del diritto successorio, in AA.VV., L’imposta sulle successioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 248, valorizzando il disposto di cui agli artt. 1, comma 1, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 che prevede l’imponibilità dei trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi – e 56 bis del medesimo decreto – che parla di liberalità diverse dalle donazioni – ritiene as-soggettabili a tassazione (e, quindi, accertabili) anche le liberalità indirette risultanti da comportamenti materiali o risultanti da atto scritto non soggetto a registrazione. La giuri-sprudenza di legittimità è ferma nel sostenere la imponibilità delle liberalità indirette, si veda: Cass., sez. trib., 24 giugno 2016, n. 13133, cit.; Cass., sez. trib., 18 gennaio 2012, n. 634; Cass., sez. trib., 29 ottobre 2010, n. 22118 (ambedue in Banca dati Pluris). La casistica non è, invero, molto ricca in quanto in concreto le liberalità indirette, se non enunciate in atti sot-toposti a tassazione, difficilmente vengono palesate a meno che sia lo stesso contribuente che le espliciti ad esempio in un procedimento di accertamento in materia di imposte sui red-diti. Da altro punto di vista, ossia ragionando in termini di assetti negoziali gratuiti od onero-si, poi, argomenta G. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni. Trust e patti di famiglia, II ed., Padova, 2008, pp. 136-150, sostenendo che l’imposta di donazione possa colpire solo negozi ove la causa sia gratuita. L’Autore, quindi, conclude che esulino da detta imposta le liberalità indirette realizzate a mezzo atti la cui causa sia onerosa. FEDELE, Le innovazioni nella legge n. 342 del 2000, le definizioni della ratio del tributo. I rapporti con l’imposta di registro, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, cit., pp. 64-66, invece, ritiene che qualsiasi liberalità, pur se attuata con schemi negoziali del tutto o solo in parte onerosi, può essere sottoposta al tributo sulle donazioni se il fine liberale è reso esplicito dalla parte che richieda, appunto, la tassazione dell’atto con finalità di liberalità a mezzo dell’imposta sulle donazioni.

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Sebbene la norma sia chiara nell’escludere l’applicabilità dell’imposta a quelle liberalità (dirette ed indirette) che siano “collegate” ad atti di trasferi-mento soggetti ad imposta di registro o ad IVA, si è visto che la giurispruden-za di legittimità ritiene che l’esplicita dichiarazione, in seno all’atto di com-pravendita dell’immobile, di tale collegamento (ovvero della circostanza che il denaro necessario per l’acquisto del bene provenisse in tutto o in parte da un atto di liberalità di un familiare) sia requisito essenziale per poter “benefi-ciare” dell’esenzione dall’imposta. Tale esplicita dichiarazione, invero, secon-do l’indirizzo interpretativo detto, costituirebbe l’unico elemento idoneo a mettere in condizione l’Amministrazione finanziaria di rilevare la “scelta” del contribuente di voler “beneficiare” dell’esenzione dal tributo e di verificare, conseguentemente, l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità della fattispecie posta in essere.

Ebbene, appare evidente come alla base di tale statuizione ruolo fonda-mentale abbia rivestito la qualificazione dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ot-tobre 1990, n. 346, quale norma di agevolazione e, più precisamente, quale norma di esenzione d’imposta.

Tuttavia, a parere di chi scrive, la qualificazione della norma operata dalla Corte di Cassazione non appare condivisibile.

Ed infatti, l’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, più che configurarsi quale esenzione d’imposta, sembra essere una vera e propria e-sclusione d’imposta, in quanto trattasi di disposizione volta a circoscrivere la situazione colpita dal tributo e non di disposizione recante una disciplina giu-ridica speciale. Ed invero, la dottrina

7 che da tempo si è occupata delle classi-ficazioni e distinzioni delle fattispecie impositive – tema su cui da più parti si è ritenuto di dover indagare, attesa l’estrema varietà delle fattispecie presenti nell’ordinamento tributario e l’indifferenza del legislatore nel qualificarle in modo corretto

8 – ha avuto modo di soffermarsi, in particolare, sulle differenze sussistenti tra le norme disciplinanti le esenzioni e le esclusioni tributarie.

Le norme che prevedono le esclusioni tributarie hanno la funzione di de-limitare i confini della fattispecie impositiva: esse esprimono la scelta del legi-

7 V. fra gli altri, BERLIRI, Corso istituzionale di diritto tributario, I, Milano, 1975, p. 207; FEDELE, Esclusioni ed esenzioni nella disciplina dell’IVA, in Riv. dir. sc. fin., 1973, I, p. 147 ss.; MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1989, p. 164 ss.

8 Di tale avviso sono, ex multis, MOSCHETTI-ZENNARO, Agevolazioni fiscali, in Dig. disc. priv. IV, sez. comm., I, 1987, p. 3 ss.; FICHERA, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 32; LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, I, Pa-dova, 1994, p. 407.

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slatore di individuare correttamente solo quei fatti che siano reale manifesta-zione della specifica capacità contributiva che il medesimo vuole colpire con una determinata imposta. Tali norme, secondo la dottrina maggioritaria, non rivestono carattere di specialità, in quanto operano in modo sistematico nel delimitare l’ambito oggettivo del tributo in chiave con la ratio ad esso sotte-sa

9. Esse, poi, possono essere ricondotte a quelle ipotesi ove il presupposto astrattamente considerato imponibile dalla norma venga già colpito da altro tributo o se ne presuma l’inesistenza per la sua modesta entità o per la sua marginalità

10. Le norme che prevedono le esenzioni, invece, si configurano come vere e

proprie disposizioni speciali, in quanto dettano una specifica disciplina giuri-dica per situazioni nelle quali si verifica il fenomeno economico colpito dalla norma impositiva. Le esenzioni, a differenza delle esclusioni, introducono del-le deroghe alle regole designate, in ordine al presupposto del tributo, dalla norma impositrice, esonerando dall’imponibilità fattispecie che altrimenti rientrerebbero nell’ambito applicativo del tributo stesso

11. Secondo parte del-la dottrina, poi, solo le esenzioni possono essere ricondotte alla più ampia ca-tegoria delle norme agevolative – distinguendosi da queste ultime per il solo fatto di incidere non sul quantum dell’imposizione, ma sull’an – in quanto trat-tasi di disposizioni introdotte dal legislatore per tutelare interessi extrafiscali

12. In pratica, la distinzione tra esclusioni ed esenzioni d’imposta si fonda sulla

differenziazione tra norme volte a circoscrivere la situazione colpita dal tribu-to e norme che dettano una disciplina giuridica derogatoria di quella medesi-ma situazione. Di conseguenza, mentre le esclusioni d’imposta sono rinveni-bili nelle ipotesi in cui la mancata applicazione del tributo è giustificata da va-lutazioni di estraneità relative al tributo stesso, si è in presenza di un’esenzio-ne nel caso in cui il beneficio fiscale mira a creare posizioni di favore, in fun-zione del perseguimento di determinate finalità decise dal legislatore

13. In ul-

9 Così, fra gli altri, RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007, p. 142. 10 V. A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1960, p. 132 e GALLI, Esenzio-

ni ed esclusioni tributarie. Conseguenze per l’imposta complementare e per l’imposta sulle società, in Giur. imp., 1962, p. 539 ss.

11 V. BASILAVECCHIA, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), in Rass. trib., 2002, p. 425.

12 V., fra gli altri, FICHERA, op. cit., p. 31. 13 Così LA ROSA, Esenzione (diritto tributario), in Enc. dir., XV, 1966, p. 569. Contrario a

tale ricostruzione è D’AMATI, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, in Noviss. Dig. it., App., II, 1981, p. 155, il quale mette in dubbio la possibilità di distinguere l’ipotesi di esclusione da quella di esenzione tributaria.

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tima analisi, le esclusioni sono determinate da considerazioni che possono qua-lificarsi in termini di mancanza di capacità contributiva che sarebbe colpita da quel tributo; le esenzioni, viceversa, hanno un valore soltanto strumentale in funzione di finalità per lo più estranee all’ordinamento tributario, per cui deve dirsi che esse derogano alla normale disciplina dei tributi.

Ebbene, sommariamente enucleata nei termini di cui sopra la distinzione tra norme di esenzione e norme di esclusione d’imposta, sembra potersi soste-nere che l’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 si configuri qua-le esclusione d’imposta, in quanto trattasi di norma con cui il legislatore – per-seguendo l’obiettivo di evitare una duplicazione del prelievo tributario su una fattispecie imponibile che, sebbene composta da due distinti negozi

14, è mani-festazione di un’unica capacità contributiva – ha circoscritto l’ambito di ap-plicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni e non introdotto una de-roga alla regola generale di imponibilità delle liberalità.

Quanto qui affermato, oltre ad essere perfettamente coerente con il dato testuale della norma – ove si legge che «l’imposta non si applica nei casi …» – e la ratio della stessa – da individuarsi, come detto, proprio nella volontà del legislatore di evitare una duplicazione del prelievo tributario su una fattispecie impositiva sostanzialmente unica

15 – risulta confermato dal fatto che le libera-lità indirette collegate ad atti di trasferimento di diritti immobiliari, per i quali sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale o dell’IVA, proprio in quanto escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta

14 La norma, difatti, fa riferimento sia alle donazioni che ad “altre liberalità” collegate ad atti concernenti il trasferimento di diritti immobiliari o di aziende. Nel caso della donazione diretta, è evidente la presenza di due distinti negozi, ovvero la donazione e la compravendita dell’immobile. Il caso della donazione indiretta di un immobile, invece, è stato inquadrato dalla dottrina civilistica come un negozio indiretto il quale risulta strutturato, però, non co-me unico negozio, ma come due distinti negozi tra loro collegati, dei quali il primo è qualifi-cato negozio-mezzo, produttivo degli effetti normali ed il secondo – negozio-fine – accessorio e integrativo, intimamente connesso al primo, con il quale le parti, d’accordo tra di loro, colmano la differenza tra il negozio-mezzo e lo scopo ulteriore da loro perseguito. Su tale ri-costruzione della donazione indiretta di un immobile, vedasi TORRENTE, La donazione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1956, p. 20 e CAPOZZI, Successioni e donazioni, II, Milano, 2002, p. 865.

15 V. MONTELEONE, Il nodo delle liberalità indirette, in L’imposta sulle successioni e donazio-ni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 340. Contra: GAFFURI, Note riguardanti la novellata im-posta sulle successioni e donazioni, in Rass. trib., 2007, p. 444, il quale, evidenziando la valenza agevolativa dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, ne individua la sua ratio nella volontà del legislatore di evitare una eccessiva tassazione per un’ipotesi frequente nella pratica (elargizione da parte di familiari di somme di denaro per l’acquisto di una casa) che esso ha ritenuto meritevole di tutela.

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sulle successioni e donazioni, non concorrono ad erodere la franchigia even-tualmente spettante al donatario-compratore dell’immobile o dell’azienda

16. La norma di esclusione opera direttamente senza rendere necessario l’in-

tervento “attivo” del contribuente in quanto è già il legislatore che esclude, appunto, la rilevanza impositiva della fattispecie a prescindere dalle scelte o-perate dal contribuente. Pertanto, per la disciplina di cui all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 non viene ravvisata la necessità della espli-cita richiesta di applicazione del precetto da parte del contribuente, il quale, a tal fine, non può conseguentemente essere considerato onerato del farne e-spressa dichiarazione in atto. Ed infatti, la dichiarazione detta appare obbliga-toria quando il privato sia chiamato dal legislatore a scegliere un regime impo-sitivo più favorevole rispetto a quello ordinario, come avviene talvolta, ma non sempre, per le ipotesi di esenzione o di agevolazione d’imposta

17. In tali ultimi casi appare logico imporre – a pena di decadenza – di richiedere il beneficio e dover dichiarare, secondo le diverse modalità indicate dal legislatore, di pos-sedere i requisiti richiesti dalla norma di esenzione/agevolazione. Se, invece, nessuna “scelta” è richiesta al contribuente non appare sostenibile che esso sia onerato dall’effettuare qualsivoglia esplicita opzione. In ipotesi di esclusione, difatti, il contribuente non deve compiere alcuna scelta ma semplicemente fruire del regime così come disciplinato dal legislatore.

Orbene, l’analisi della natura e della ratio dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, rende evidente come il contribuente (donatario-com-pratore) non è di certo tenuto ad indicare nell’atto di compravendita di voler-si “avvalere” dell’esclusione prevista dalla detta norma, la quale, proprio in quanto esclusione d’imposta, è incentrata solo sul dato dell’obiettivo colle-gamento tra la liberalità (diretta o indiretta) ed il trasferimento di diritti im-mobiliari o di aziende assoggettabile ad imposta proporzionale di registro o

16 V. GHINASSI, L’istituto del “coacervo” nella nuova imposta sulle successioni e donazioni, in Rass. trib., 2007, p. 737 ss.; CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Rilevanza fiscale delle libe-ralità indirette nell’attività notarile, Studio n. 135-2011/T, a cura di Petteruti, p. 13.

17 Si pensi all’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 in tema di acquisto della prima abitazione (c.d. “prima casa”) da parte di ciascun contribuente attra-verso l’applicazione di un regime agevolato. Come noto, per fruire di tale regime – ovvero l’applicazione dell’aliquota pari al due per cento, in luogo dell’aliquota ordinaria – è la stessa Nota II-bis) dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 a richie-dere al contribuente – a pena di decadenza – di dichiarare nell’atto traslativo della proprietà di possedere i tre requisiti richiesti dalla norma. Naturalmente non tutti i regimi di esenzione o di agevolazione sono legati alla esplicita scelta da parte del contribuente di avvalersene: si pensi al regime di esenzione dell’IVA di cui all’art. 10, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

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ad IVA. Ove risulti tale collegamento, difatti, si è automaticamente in presen-za di una fattispecie esclusa dal campo di applicazione dell’imposta sulle suc-cessioni e donazioni.

3. Il collegamento tra l’acquisto dell’immobile e la liberalità ai sensi dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346

Abbiamo sopra riscontrato la motivazione principale secondo cui l’esclu-sione prevista dall’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 ad una liberalità indiretta collegata ad un atto di compravendita regolarmente assog-gettato ad imposta di registro o ad IVA non imponga la esplicitazione di tale liberalità nell’atto di trasferimento dell’immobile. Vi sono, comunque, ulterio-ri ragioni che inducono l’interprete alla medesima conclusione a prescindere dalla classificazione quale esclusione ovvero esenzione della disciplina in pa-rola, e che vengono qui di seguito enunziate.

In primo luogo, dalla lettura del testo della norma in esame non si evince alcun riferimento circa il presunto onere del contribuente di dichiarare e-spressamente nell’atto pubblico, soggetto ad imposta di registro o ad IVA, il collegamento tra la liberalità ed il trasferimento del diritto immobiliare, né tantomeno emerge che l’Amministrazione finanziaria debba essere edotta del-la “scelta” operata per tale regime. Non a caso, come visto in precedenza, di-fatti, il legislatore tributario, se ritiene essenziale che il contribuente, per fruire di un beneficio, non solo possieda i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal-la norma, ma anche che li dichiari apertamente nell’atto pubblico, ne impone espressamente l’enunciazione

18. In secondo luogo, appare doveroso sottolineare come l’Agenzia delle En-

trate, in relazione alla citata agevolazione c.d. “prima casa” ai fini dell’imposta di registro, abbia riconosciuto la possibilità per il contribuente di beneficiare del regime agevolato ivi previsto anche nel caso in cui le dichiarazioni previste dalla legge siano state omesse nell’atto pubblico. In diversi documenti di pras-si amministrativa

19, difatti, è stato correttamente affermato il principio secon-do cui ciò che conta per l’applicazione del beneficio fiscale di cui all’art. 1 del-la Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131 è che sussistano i

18 Il riferimento è alla già citata Nota II-bis) dell’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131.

19 V. Circolare Ag. Entrate, 12 agosto, 2005, n. 35/E; Risoluzione Ag. Entrate, 2 ottobre 2006, n. 110; Circolare Ag. Entrate, 29 maggio 2013, n. 18/E, tutte in Banca dati fisconline.

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requisiti previsti dalle legge, ben potendo la dichiarazione di sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi al momento della stipula dell’atto di trasfe-rimento essere resa in atto integrativo redatto secondo le medesime formalità giuridiche. In altre parole, purché ricorrano i presupposti previsti dalla legge per fruire dell’agevolazione, si è condivisibilmente ritenuto di poter dare al contribuente la possibilità di rendere la dichiarazione di sussistenza dei detti presupposti anche successivamente.

Pertanto, anche a voler superare l’inequivoco dato letterale dell’art. 1, com-ma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 – e, per l’effetto, ritenere che il con-tribuente abbia l’onere di dichiarare espressamente nell’atto pubblico, soggetto ad imposta di registro o ad IVA, il collegamento tra la liberalità ed il trasferi-mento del diritto immobiliare – l’Amministrazione finanziaria, in ottemperanza al generale principio della prevalenza della sostanza sulla forma, nonché al principio di cui all’art. 10, L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del con-tribuente), il quale stabilisce espressamente che i rapporti tra l’Ente imposito-re ed il contribuente debbano essere improntati al principio di leale collabora-zione e buona fede, ove rilevi un effettivo collegamento tra la liberalità ed il trasferimento del diritto immobiliare, dovrebbe, anziché ritenere inapplicabi-le l’esclusione in questione, consentire al contribuente di rendere la dichiara-zione di tale collegamento successivamente, in un atto integrativo redatto se-condo le medesime modalità dell’atto pubblico – soggetto a imposta di registro o ad IVA – con cui ha acquistato il diritto immobiliare o l’azienda

20. In terzo luogo, deve essere ricordato che l’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ot-

tobre 1990, n. 346 si applica non solo alle liberalità indirette, ma anche alle donazioni in senso proprio (ovvero a quelle redatte per atto pubblico ai sensi dell’art. 782 c.c.). In tali ipotesi, difatti, onerare il contribuente (compratore-beneficiario) di dichiarare il più volte citato collegamento nell’atto di com-

20 Né vale a smentire quanto sopra affermato la posizione rinvenibile nella Circolare 16 novembre 2000, n. 207/E del Ministero delle Finanze (in Banca dati fisconline), ove in meri-to all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, è stato affermato che «per tutti gli acquisti immobiliari finanziati da terzi sarà possibile dichiarare in atto che il pagamento è av-venuto a cura del soggetto donante, così da consentire alle famiglie di rendere trasparenti i loro rapporti economici (ad esempio, la dazione di denaro dal padre al figlio ovvero il paga-mento del relativo prezzo da parte del padre per l’acquisto di una casa)». Ed infatti, nella detta circolare si legge che è “possibile” e non “prescritto” di dichiarare in atto il collegamen-to fra la liberalità e l’acquisto immobiliare. A parere di chi scrive, poi, la trasparenza cui fa ri-ferimento il Ministero delle Finanze non ha alcuna interferenza con i profili fiscali. Ed invero, la Circolare sembra riferirsi alla trasparenza delle liberalità in ambito familiare, con l’obietti-vo di evitare che un domani, al momento della successione ereditaria, possano sorgere con-testazioni e liti fra gli eredi del donante.

Giovanni Girelli 87

pravendita soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale o ad IVA potrebbe risultare privo di senso o, addirittura, impossibile. L’esempio è l’ipo-tesi di acquisto del diritto immobiliare o dell’azienda con prezzo dilazionato che il contribuente paghi con quanto ricevuto da una elargizione – successiva alla stipula del rogito notarile – all’uopo effettuata da un terzo o da un familia-re

21. In tale fattispecie, come è evidente, al fine di veder applicata l’esclusione in questione, il contribuente sarà tenuto, semmai, a menzionare il predetto col-legamento nell’atto di donazione appositamente stipulato.

In quarto luogo, poi, occorre compiere un parallelismo con quanto avviene sul fronte dell’accertamento del reddito – che, nel caso di acquisto di un immo-bile ritenuto non in linea con l’ammontare dei redditi dichiarati, viene gene-ralmente operato dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 38, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600

22. È stato già sopra esplicitato che l’A-genzia delle Entrate viene per lo più a conoscenza della donazione indiretta solo quando essa è concretamente esplicitata dallo stesso contribuente. Il pri-vato (compratore-beneficiario), difatti, al fine di vincere la presunzione del Fi-sco secondo cui egli abbia acquistato l’immobile con somme illegittimamente sottratte a tassazione, dichiara di aver acquistato il detto bene con somme che gli erano state preventivamente elargite da un terzo a lui vicino (dal genitore). Ebbene, – per evidenti ragioni di coerenza – se si afferma che il beneficio del-l’esclusione dalla sottoposizione all’imposta sulle donazioni è subordinato al-l’espressa indicazione della liberalità indiretta nell’atto di compravendita, in quanto solo così è certo il collegamento tra la provvista ricevuta e il successivo pagamento del prezzo dell’immobile, allo stesso modo nella procedura di ac-certamento del reddito, per il contribuente, per superare la presunzione del Fi-sco, deve essere considerato sufficiente produrre l’atto pubblico di acquisto del-l’immobile, ove sia, appunto, presente la dichiarazione da esso effettuata circa il fatto che il denaro necessario per l’acquisto del bene provenga in tutto o in parte da un atto di liberalità di un familiare. Non gli dovrebbero essere richie-

21 V. GHINASSI, La fattispecie impositiva del tributo successorio, cit., p. 81, il quale non con-divide la posizione assunta da STEVANATO, op. cit., p. 267, secondo cui nel caso di donazione diretta l’unica ipotesi di collegamento ex art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, tra la liberalità e il trasferimento del diritto immobiliare o dell’azienda sarebbe quella della do-nazione modale di cui all’art. 793 c.c., ove il donante vincoli espressamente il beneficiario ad utilizzare il denaro per l’acquisto del diritto immobiliare o dell’azienda. Si osservi, peraltro, co-me anche in tale ipotesi la dichiarazione del collegamento non risulti, comunque, dall’atto pub-blico di trasferimento del diritto immobiliare, ma dall’atto di donazione.

22 Per la disamina di tale figura di accertamento sul reddito, vedasi TINELLI, L’accertamen-to sintetico del reddito complessivo nel sistema dell’Irpef, Padova, 1993, passim.

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ste, insomma, anche le risultanze della documentazione bancaria (come, ad e-sempio, copia del bonifico bancario o dell’assegno circolare) da cui sia possi-bile evincere (con indubitabile certezza) che egli ha acquistato l’immobile con somme che effettivamente provengono da un atto di liberalità.

Sennonché, anche condivisibilmente, per maggioritario consolidato orien-tamento giurisprudenziale

23, è imposta, al fine di vincere la presunzione di cui all’art. 38, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la produzione di documenti che consentano di rilevare la tracciabilità della movimentazione bancaria effettua-ta dal familiare o terzo al contribuente che ha acquistato l’immobile.

La ragione della condivisibile posizione ermeneutica, peraltro, è facilmente individuabile. Ed infatti, l’atto pubblico – quale è il rogito notarile – è il docu-mento redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale il quale, ai sensi del-l’art. 2700 c.c., fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del do-cumento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle par-ti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua pre-senza o da lui compiuti. In quanto tale, l’atto pubblico fa piena prova non del-la veridicità dei fatti attestati nell’atto, ma che le dichiarazioni attestanti quei fatti sono state fatte in presenza del pubblico ufficiale da quei soggetti

24. Ebbene, atteso che l’atto pubblico non fa prova della veridicità delle dichia-

razioni ivi contenute, non sorprende che la giurisprudenza, nell’ambito della procedura di accertamento del reddito, chieda al contribuente di provare do-cumentalmente la provvista oggetto dell’atto di liberalità che esso dichiara es-sere avvenuta, proprio in quanto la dichiarazione della liberalità eventualmen-te presente nell’atto con cui ha acquistato l’immobile potrebbe non risponde-re al vero.

Tale prova, peraltro, è essenziale non solo a fini tributari ma, anche, a fini meramente civilistici. Ed infatti, sempre la giurisprudenza di legittimità ha sta-bilito che in caso di donazione indiretta di un immobile, per verificare se tale bene rientri o meno nella comunione legale dei coniugi di cui agli artt. 177 ss. c.c., l’attestazione del notaio, dell’avvenuto pagamento del corrispettivo del-l’immobile con denaro donato dal genitore al figlio, non può considerarsi suf-ficiente, trattandosi di mera presa d’atto della dichiarazione resa al riguardo dal-l’acquirente

25. Pertanto, il coniuge acquirente dell’immobile non potrà ritene-

23 V. ex multis, Cass., sez. trib., 26 gennaio 2016, n. 1332 (in Banca dati fisconline). 24 V. MAZZAMUTO, Tutela giurisdizionale dei diritti, in BESSONE, Istituzioni di diritto privato,

Torino, 2009, p. 1139. 25 Ciò proprio in quanto, secondo la Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto

pubblico forma piena prova soltanto della provenienza del documento dal pubblico ufficiale

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re assolto l’onere probatorio su di esso gravante in forza dell’atto pubblico di compravendita, dovendo esso provare che l’immobile è frutto di donazione in-diretta attraverso prove documentali che attestino il movimento di denaro ef-fettuato dal genitore al fine di pagare il corrispettivo dovuto per l’acquisto del-l’immobile.

Ebbene, alla luce di tutti gli elementi sopra illustrati, appare evidente come ciò che rilevi ai fini dell’applicabilità dell’esclusione di cui all’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 sia solo il dato di un obiettivo collegamento tra la liberalità (diretta o indiretta) ed il trasferimento del diritto immobiliare o dell’azienda assoggettabile ad imposta proporzionale di registro o ad IVA e che di tale collegamento il contribuente sia in grado di darne prova. La dichiarazio-ne di tale collegamento nell’atto di compravendita dell’immobile o dell’azienda, come visto, oltre a mal conciliarsi con la natura e la ratio dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, àncora l’applicazione dell’esclusione d’imposta in questione ad un requisito di carattere meramente formale, non richiesto dal legislatore e che, peraltro, non è comunque idoneo a dimostrare l’effettiva esi-stenza del collegamento richiesto dalla norma.

4. Considerazioni conclusive

La natura e l’ambito di applicazione dell’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ot-tobre 1990, n. 346 seguono, quindi, i seguenti criteri.

Per l’esclusione (e non l’esenzione) prevista dalla citata norma, ciò che ri-leva è la sussistenza di un obiettivo collegamento tra la liberalità (diretta o in-diretta) ed il trasferimento del diritto sull’immobile o sull’azienda. Che tale col-legamento sia espressamente menzionato dal contribuente nell’atto di com-pravendita del bene non appare essere, invece, requisito necessario.

L’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, non compie, difatti, alcun riferimento, neanche implicito, circa un presunto onere del contribuen-te di dichiarare espressamente nell’atto pubblico, soggetto ad imposta pro-porzionale di registro o ad IVA, il collegamento tra la liberalità ed il trasferi-mento del diritto: la norma, proprio in quanto prevede un’esclusione d’impo-sta, è incentrata solo sul dato dell’obiettivo collegamento tra la liberalità (di- che lo ha redatto, nonché delle dichiarazioni rese dalle parti rese dinanzi a lui o degli altri fat-ti che egli attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, e non anche della veridici-tà intrinseca delle predette dichiarazioni (v. Cass., sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494, in Banca dati Pluris).

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retta o indiretta) ed il trasferimento del diritto sull’immobile o sull’azienda. Per-tanto, ove risulti tale collegamento ed ove il contribuente riesca a documentar-lo, si è automaticamente in presenza di una fattispecie esclusa dal campo di ap-plicazione dell’imposta sulle donazioni senza che, a tal fine, rivesta alcun rilievo la dichiarazione eventualmente presente nell’atto. Peraltro, è stato evidenziato come una tale dichiarazione, ove presente, non avrebbe alcuna utilità, atteso che comunque il contribuente è sempre tenuto, sia ai fini civilistici, sia ai fini tributari, a fornire una prova documentale circa il fatto di aver acquistato il bene con somme di denaro che gli sono state preventivamente elargite, per spirito di liberalità, da un terzo (solitamente un familiare).

Da ultimo, non può non evidenziarsi come ragionando in termini differenti, la mera assenza formale dell’enunciazione, comporterebbe per il contribuente – seppur in possesso dei requisiti richiesti dall’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 – di dover subire una doppia imposizione, trovandosi co-stretto a pagare sia l’imposta di registro, sia l’imposta sulle successioni e dona-zioni, su una fattispecie espressione di una medesima capacità contributiva: doppia imposizione, che, invero, con la disposizione in questione il legislatore ha, appunto, inteso evitare.

In conclusione, attesi, anche i notevoli risvolti pratici della questione qui affrontata – ciò in quanto, per prassi contrattuale, la liberalità indiretta spesso non viene esplicitata dai contribuenti nell’atto di acquisto di un immobile o di un azienda, al fine di non creare intralci alla futura circolazione dei detti beni

26 –

26 Si evidenzia, peraltro, che la Corte di Cassazione, nella sent. 12 maggio 2010, n. 11496 (in Banca dati Pluris), ha statuito che alla riduzione delle liberalità indirette non si può appli-care il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria d’immobile (art. 560 c.c.). A ciò conseguirebbe che l’acquisizione ri-guarda il controvalore, mediante il metodo dell’imputazione, come nella collazione (art. 724 c.c.). La riduzione delle donazioni indirette non mette, invero, in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano dalla circolazione dei beni. Viene quindi a mancare il mecca-nismo di recupero reale della titolarità del bene. Il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta, dev’essere ottenuto dal legittimario sacrificato con le modalità tipiche del diritto di credito. Osserva IACCARINO, Circolazione dei beni: la Cassazione conferma che gli acquisti provenienti da donazioni indirette sono sicuri, in Notariato, 2010, p. 514, che con la detta pronuncia la Corte di Cassazione ha recepito l’orientamento dottrinario prevalente (v. MEN-GONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XLIII, 2, IV ed., Milano, 2000, p. 255; CAR-NEVALI, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in AA.VV., Studi in onore di Mengoni, I, Milano, 1995, p. 131 ss.; AMADIO, Gli acquisti dal benefi-ciario di liberalità non donative, in Riv. not., n. 4, 2009, p. 819 ss.) secondo cui alle donazioni indirette non può applicarsi il meccanismo del recupero reale.

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è auspicabile che si consolidi un diverso orientamento giurisprudenziale ri-spetto a quello sopra citato, e, conseguentemente, la giurisprudenza di legit-timità ritenga applicabile l’art. 1, comma 4 bis, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 anche alle ipotesi ove il collegamento, purché sussistente, tra la liberalità ed il trasferimento del diritto, non sia menzionato nell’atto pubblico.

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Annalisa Pace

I PROFILI FISCALI DELLA FAMIGLIA TRANSNAZIONALE NELLA GIURISPRUDENZA ADEGUATRICE

DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE

TAX ASPECTS OF THE CROSS-BORDER FAMILY IN THE CASE LAW OF THE COURT OF JUSTICE OF THE EUROPEAN UNION

Abstract La globalizzazione a cui da anni si assiste non ha risparmiato i nuclei familiari che, sempre più spesso, esorbitano dai ristretti confini di un unico Stato. Ciò spesso de-termina conflitti tra regole di ordinamenti distinti che non sempre le legislazioni nazionali sono in grado di risolvere, e che, troppo spesso, finiscono per danneggia-re gli appartenenti a quel nucleo familiare, esponendo quelle relazioni, connotate da profili di transnazionalità, a trattamenti deteriori. In questo contesto si apprezza l’in-tervento della Corte di Giustizia che, nonostante la normativa europea non ponga tra i suoi obiettivi in modo chiaro la tutela della famiglia, cerca di rimuovere le fre-quenti discriminazioni normative che si registrano anche in ambito fiscale. Parole chiave: tassazione della famiglia, famiglia transnazionale, libertà europee, giurisprudenza della CGUE, legislazione europea sulla famiglia The ongoing globalisation has also involved family units, which, more frequently, are not limited within the national boundaries of a sole State. This often determines conflicts between rules of different national systems, which not always States are able to solve and often damage the members of such family, exposing those cross-border relationships to discriminatory treatments. In this context, the intervention of the Court of Justice of the European Union is extremely important, since – notwithstanding EU law does not clearly address the protection of family units among its goals – it removes the frequent discrimi-nation also having tax nature. Keywords: family taxation, cross-border family unit, fundamental freedoms, CJEU’s case law, European family law

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SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I sistemi di tassazione della famiglia: la tassazione per parti nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. – 3. Il requisito della “residenza” nel riconoscimento dei carichi familiari e la sua evoluzione. – 3.1. Il caso Imfeld e Garcet. – 3.2. La risposta del legislatore italiano. – 4. La “transnazionalità” delle agevolazioni per l’abitazione familiare. – 5. Prime conclusioni.

1. Premessa

La globalizzazione della società contemporanea, a cui da anni stiamo assi-stendo, tra i suoi molteplici effetti offre, con sempre maggiore frequenza, si-tuazioni in cui il nucleo familiare esorbita dai ristretti confini di un unico Sta-to: sia perché i componenti dello stesso hanno diverse nazionalità/residenze, sia perché l’attività degli stessi membri del nucleo familiare viene svolta in Sta-ti diversi e, quindi, con regole diverse rispetto a quelle che trovano applicazio-ne alla struttura della famiglia in quanto tale

1. Ciò spesso determina conflitti tra regole di ordinamenti distinti che non

sempre le legislazioni nazionali sono in grado di risolvere, ma che, soprattutto, troppo spesso finiscono per danneggiare gli appartenenti a quel nucleo fami-liare, esponendo quelle relazioni, connotate da profili di transnazionalità, a trat-tamenti deteriori.

Ebbene, quando questo contrasto si traduce in una violazione di quelle li-bertà economiche fondamentali che sono alla base della legislazione europea, l’intervento della Corte di Giustizia rappresenta l’espressione più suggestiva di quell’azione europea che negli ultimi decenni (come gli stessi studiosi della materia europea registrano) ha visto la Corte «impegnata in un preciso e pro-grammatico piano di azione teso ad accaparrare spazi di intervento sempre più estesi con correlativa erosione delle prerogative degli Stati membri»

2. Nonostante la normativa europea non ponga tra i suoi obiettivi in modo

chiaro la tutela della famiglia 3 e l’armonizzazione in tema di imposizione di-

1 Nella relazione della Commissione alla proposta di decisione (anno 2010) del Consi-glio che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, 24 marzo 2010, COM (2010)104 def., emerge che nell’Unione so-no circa 122 milioni i matrimoni e circa 16 milioni (13%) sono internazionali; esemplificando: nel 2007 circa 300.000 matrimoni su 2.400.00 hanno avuto carattere internazionale.

2 QUEIROLO-SCHIANO DI PEPE, Lezioni di diritto dell’Unione Europea e relazioni familiari, Torino, 2010, p. 174.

3 Come viene osservato in Lezioni di diritto dell’Unione Europea, cit., p. 169 ss., «L’Unione

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retta sia ancora una pura aspirazione 4, sempre più spesso assistiamo ad inter-

venti della Corte di Giustizia che cercano di rimuovere le frequenti discrimi-nazioni normative che si registrano in ambito fiscale nel caso in cui il contri-buente e la propria famiglia non esauriscano il loro rilievo in un ambito terri-toriale circoscritto come quello relativo ad un unico Stato membro

5. europea non ha, ad oggi, una specifica competenza per l’approvazione di atti vincolanti in ambito di diritto materiale di famiglia [...] Ma c’è di più: i previgenti trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione non contenevano alcun riferimento alla famiglia (ad eccezione dell’art. 67.5 TCE): del termine non si trovava traccia in nessun articolo che attribuisse competenze, in via esclusiva o concorrente, alle istituzioni europee». Sul punto SCHERPE, The Present and the Future of European Family Law, Northampton, MA, 2016, osserva, in senso analogo, che benché sull’esistenza di un diritto di famiglia europeo il dibattito sia aperto, al momento nessuna istituzione ha sul punto una competenza specifica, sebbene ci siano iniziative come quelle che provengono dalla Commissione sul Diritto di famiglia eu-ropeo, che sta cercando, per l’appunto, di definire i principi europei in materia di diritto di famiglia; tuttavia tali principi non possono essere riconosciuti come vincolanti per tutti, né questa è l’intenzione della Commissione. Ancora, CARBONE, Riforma della famiglia: consi-derazioni introduttive, in Famiglia e diritto, 2013, p. 225, sottolinea la necessità di un nuovo diritto di famiglia di livello europeo.

4 Non a caso parla di “coordinamento” MELIS, Coordinamento fiscale nell’Unione Europea, in Enc. dir., Annali I, 2007, p. 397, e la stessa Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza C-246/89, sottolinea che «se è pur vero che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto eu-ropeo, la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto europeo». Questa giurisprudenza è espressione della c.d. “Hubbard rule” (C-20/92) secondo cui l’efficacia del diritto comunitario (rectius europeo) non può variare a seconda dei diversi settori del diritto nazionale nei quali esso può spiegare i suoi effetti. Sul punto si rinvia alle considerazioni di VAN THIEL, Free Movement of Persons and Income Tax Law: the European Court in Search of Principles, Amsterdam, 2002, p. 155. L’autore, in particolare, osserva che sono innumerevoli i casi in cui la Corte indica chiaramente che la materia della tassazione diretta non può più dir-si riservata alla sovranità degli Stati membri.

5 È TIZZANO, Ruolo della Corte di Giustizia nella prospettiva dell’Unione Europea, in AA.VV., Scritti in onore di Predieri, III, Milano, 1996, p. 1459, che già osservava che: «Nessuna altra istituzione comunitaria ha svolto, come la Corte di Giustizia, un’azione così incisiva e deter-minante nel connotare le caratteristiche del sistema comunitario e nell’imprimere una straor-dinaria accelerazione in direzione del rafforzamento e del processo di integrazione». Parla di vera e propria funzione creativa BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, p. 134. Sul ruolo di “attore principale” della Corte di Giustizia la letteratura è sterminata. Si citano tra gli altri, con una particolare attenzione al ruolo che la stessa svolge nell’ambito tributario, i più re-centi: DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010; SACCHETTO (a cura di), Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino, 2011; DI PIETRO-TASSANI, I principi europei del diritto tributario, Padova, 2014; AA.VV., I tributi nella giurisprudenza delle Corti – Profili applicativi degli istituti tributari tra Giudice nazionale e Giu-dice comunitario, a cura di Ingrosso-Fiorentino, Napoli, 2015; DI PIETRO, Il ruolo dei principi europei per un nuovo ordinamento tributario, in I Venerdì di Dir. e prat. trib., Genova 14-15 ot-

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Dalla oramai storica sentenza Schumacker 6 ai più recenti arresti delle pro-

nunce Beker e Beker 7, Ettwein

8 e Imfeld e Garcet 9, assistiamo ad un percorso

giurisprudenziale che, in maniera sempre più chiara, si propone di colmare i ritardi e le incertezze non solo dei legislatori interni, ma soprattutto di quello europeo, in materia di fiscalità della famiglia transnazionale

10. E se i sociologi, prendendo in prestito il linguaggio astronomico, parlano di “costellazioni fa-miliari”

11 per fare riferimento a quelle strutture familiari complesse che di-scendono dalla ricomposizione di nuclei familiari separati, si potrebbe utiliz-zare l’espressione “galassia familiare” per indicare il fenomeno della famiglia transnazionale i cui membri provengono e/o operano in un ambito territoria-le più ampio che va ben oltre i classici confini nazionali, e non solo, con tutte le implicazioni che ne derivano. Si tratta di un fenomeno in netta espansione che giustifica l’attenzione, come si vedrà oltre (par. 5), della stessa Commis-sione europea.

tobre 2016, II, p. 111. Ricchi di spunti sono gli interventi di SACCHETTO, FRANZÈ, MAISTO e PISTONE, raccolti nel volume dedicato agli 80 anni di Diritto e Pratica Tributaria, Genova 9-10 febbraio 2007, Il Diritto Tributario nella Giurisprudenza, che si occupano proprio dell’in-fluenza sul diritto tributario nazionale della Corte di Giustizia.

6 C-279/93 del 14 febbraio 1995, che ha prodotto quella che, oramai, viene comunemen-te indicata come la “dottrina Schumacker” per indicare l’orientamento di Corte di Giustizia che da quella sentenza ha preso le mosse relativamente alle vicende di quei contribuenti che, ricevendo la maggior parte del reddito familiare nello Stato in cui lavorano, che è diverso da quello in cui risiedono con la famiglia, non riescono beneficiare dei benefici di legge né nello Stato di residenza né in quello della fonte. Sul punto si v. LAROMA JEZZI, Integrazione negativa e fiscalità diretta. L’impatto delle libertà fondamentali sui sistemi tributari dell’Unione Europea, Pisa, 2012, in part. p. 177.

7 C-168/11 del 28 febbraio 2013. 8 C-425/11 del 28 febbraio 2013. 9 C-303/12 del 12 dicembre 2013. 10 Sono CARBONE-QUEIROLO, Unione Europea e diritto di famiglia: la progressiva inva-

sione degli spazi riservati alla sovranità statale, in Dir. fam. e Unione europea, Torino, 2008, p. 24, a segnalare che si sta assistendo «ad un costante avanzamento della giurisprudenza comunitaria a decidere questioni, formalmente, lasciate al diritto dei Paesi membri» ed il diritto di famiglia è proprio uno di questi. Opera un attento esame della giurisprudenza europea sulle tematiche della fiscalità della famiglia DEL FEDERICO, Imposte dirette ed indi-rette in ambito europeo ed internazionale, in Nuovo Diritto di famiglia, tomo III, Milano, 2015, p. 529, par. 3.

11 AA.VV., Nuove costellazioni familiari: le famiglie ricomposte, a cura di Mazzoni, Milano, 2002.

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2. I sistemi di tassazione della famiglia: la tassazione per parti nella giurispru-denza della Corte di Giustizia

Come emerge dalla letteratura economica, la progressività dell’imposizio-ne reddituale rende non indifferente la scelta di tassare il reddito individuale o quello familiare. Se la tassazione familiare trova la sua giustificazione nella con-siderazione che la capacità contributiva del singolo non dipende solo dal pro-prio reddito individuale, ma è indiscutibilmente influenzata «dalle risorse del nucleo cui appartiene», l’opzione verso la tassazione individuale si fonda es-senzialmente sulla necessità di riconoscere a ciascuno la “sovranità” di sceglie-re come impiegare le proprie risorse. In quest’ultima ipotesi, l’imposta viene applicata sul reddito di ciascun componente il nucleo familiare e, tutt’al più, si tiene conto di familiari a carico con meccanismi di deduzione dall’imponibile e/o di detrazione dall’imposta. La scelta della tassazione familiare, invece, im-plica che l’aliquota media dell’imposta dipenda dal reddito familiare comples-sivo. Questo secondo meccanismo può prevedere differenti schemi di tassazio-ne. I più diffusi sono il cumulo dei redditi e la tassazione per parti.

Nel primo, che ha trovato applicazione in Italia nella prima versione del-l’IRPEF introdotta a decorrere dal 1° gennaio 1973

12, l’aliquota è una funzione della somma dei redditi dei familiari, mentre, nel caso di tassazione per parti, l’aliquota è una funzione della somma dei redditi del nucleo familiare divisa per un certo numero di parti. Queste, nel classico sistema di splitting, sono tradizio-nalmente rappresentate dai due coniugi che nel calcolo dell’imposta pesano esattamente allo stesso modo, mentre nell’altro, del quoziente familiare, ogni membro della famiglia interviene nel calcolo dell’imposta, ma a ciascuno vie-ne attribuito uno specifico peso. Nel primo, l’imposta si applica sul reddito com-plessivo dei due coniugi che verrà diviso per due e, se ci sono figli, è prevista l’applicazione di detrazioni e deduzioni; nel quoziente, invece, la tassazione prende a riferimento non la produzione del reddito ma il suo utilizzo: la capa-cità contributiva viene misurata dal reddito potenzialmente spendibile della famiglia, rapportando le entrate complessive di cui gode il nucleo familiare al-la numerosità dello stesso. Non sono previsti meccanismi di detrazione per carichi che sono sostituiti da un diverso criterio di calcolo dell’imposta.

12 Per un compiuto excursus storico si v. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, Parte I, I modelli di tassazione dei redditi familiari, Torino, 2012, e GIOVANNINI, La rilevanza dei rapporti familiari nelle imposte sui redditi, in Il Nuovo Diritto di Famiglia, tomo III, Milano, 2015, p. 375.

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La scelta tra tassazione individuale o tassazione familiare è densa di riper-cussioni sia a livello economico che a livello sociale. Come è stato messo in evidenza

13, solo il sistema di tassazione individuale è neutrale rispetto alla scelta tra le varie forme di convivenza, mentre il cumulo dei redditi disincen-tiva il matrimonio e la tassazione per parti lo incentiva. Sotto l’altro profilo, quello dell’offerta di lavoro, è stato rilevato che un sistema di tassazione indi-viduale, potendo penalizzare le famiglie monoreddito, produce l’effetto (posi-tivo) di incentivare l’offerta di lavoro del secondo coniuge, a differenza dei si-stemi di tassazione per parti e del cumulo che, al contrario, essendo neutrali rispetto al fatto che uno stesso reddito sia percepito da uno o più soggetti, per l’effetto non incentivano il secondo coniuge ad offrire lavoro. D’altro canto, pe-rò, la tassazione individuale rappresenta un forte stimolo ad utilizzare sistemi di elusione attraverso l’imputazione fittizia dei redditi mobiliari ed immobilia-ri ai membri economicamente più deboli, mentre il cumulo dei redditi e la tas-sazione per parti sono neutrali rispetto a tale fenomeno.

Spesso questi sistemi di tassazione convivono all’interno di un medesimo meccanismo impositivo. Volendo usare una ripartizione per aree geografiche e limitandoci ai principali paesi dell’Unione emerge che: nell’area francofona (dove le politiche familiari sono assai generose ed articolate), la Francia e il Lus-semburgo prediligono un modello di tassazione familiare che si fonda esclusi-vamente sul quoziente, mentre in Belgio i contribuenti possono optare tra tas-sazione individuale e quoziente coniugale; nell’area tedesca, la Germania con-sente di scegliere tra lo splitting e la tassazione individuale, mentre in Austria è vigente solo un sistema di tassazione individuale che prevede, però, un regime

13 Sul punto si v. RAPALLINI, Il quoziente familiare: valutazione di un’ipotesi di riforma del-l’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Working Paper, n. 475, 2006; sulla possibile intro-duzione del quoziente familiare nel nostro ordinamento alla luce del principio contenuto nella legge di delega n. 408/1990 (art. 19), si rinvia alle puntuali osservazioni di VISCO, Ra-zionalità ed effetti della proposta di introduzione del quoziente familiare, in Riv. dir. trib., n. 1, 1991. Va altresì ricordato che lo stesso Visco, in qualità di Viceministro dell’Economia e Fi-nanze, nel 2007 ha sollecitato l’istituzione, presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze Ezio Vanoni, di una commissione che ha avuto il compito di ricostruire la storia del-l’imposta sui redditi delle persone fisiche e degli strumenti di sostegno alle famiglie, di indi-viduare eventuali criticità, di prospettare ipotesi di intervento per migliorare e rendere più coerente l’assetto degli istituti oggetto di analisi. La Commissione ha concluso il proprio la-voro nel febbraio del 2008 ed i risultati sono contenuti in un Libro bianco intitolato: L’impo-sta sui redditi delle persone fisiche e il sostegno alle famiglie, edito come supplemento n. 1 della Rivista Tributi, 2008. Per un quadro esauriente sulle tipologie di scelte degli Stati europei in tema di tassazione e benefici alle famiglie si v. MESSERE, Taxing and Aiding EU Families, in IBFD, December 2003, p. 443.

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assai articolato di detrazioni con il quale si riesce a tener conto anche delle e-sigenze delle famiglie monoreddito; nell’area scandinava, che non prevede for-me di interventi diretti a favore delle famiglie, ma che pure presenta un forte sviluppo di un sistema di welfare, la scelta è per un sistema di tassazione di tipo squisitamente individuale al fine di rendere più allettante il lavoro femminile retribuito; l’area anglofona, che pure presenta un sistema di tassazione indivi-duale, fino ad un paio di decenni fa utilizzava un sistema di cumulo che vedeva i redditi della moglie imputati al marito, considerato l’unico contribuente del nucleo familiare; infine i paesi dell’area mediterranea, quali Italia e Spagna, ca-ratterizzati per l’assenza di politiche coerenti e che presentano interventi fram-mentari, adottano sistemi di tassazione individuale con i classici correttivi delle deduzioni e detrazioni

14. Nella propria giurisprudenza la Corte di Giustizia si è trovata in più occa-

sioni a doversi pronunciare sulla legittimità dell’utilizzo, da parte di nuclei fa-miliari transnazionali, di meccanismi di tassazione più favorevoli, come quelli per parti, ed è stato proprio grazie alla sua illuminata giurisprudenza che sono caduti limiti come quello che originariamente riguardava lo splitting nell’ordi-namento tedesco. È, infatti, grazie alla oramai storica sentenza Schumacker che nel 1995 venne introdotta nell’ordinamento tedesco una modifica legisla-tiva che consente non solo ai coniugi residenti in Germania di poter godere di tale sistema di tassazione, ma anche a quei nuclei familiari i cui componenti, pur non avendo il domicilio o la residenza abituale in Germania, siano cittadini di uno degli Stati UE. La Corte di Giustizia, pur riconoscendo che: «... allo stato attuale del diritto comunitario la materia delle imposte dirette non rien-tra, in quanto tale, nella competenza della Comunità», affermò con forza che «ciò non toglie tuttavia che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare le acom-petenze loro attribuite nel rispetto del diritto comunitario». In particolare, fa-

14 Le fonti sono AVY-YONAH-SARTORI-MARIAN, Global Perspectives on Income Taxation Law, Oxford, 2011, pp. 67-75; PIERDONATI, Piani nazionali e politiche familiari: sfide e oppor-tunità per l’Italia, Relazione tenuta al Seminario Europeo, Bologna 27-28 settembre 2010; SOLER ROCHE, Family Taxation in Europe, London, 1999. Deve altresì notarsi che i benefici alle famiglie molto spesso non si risolvono in un meccanismo fiscale, ma in molti sistemi eu-ropei i benefici fiscali vengono affiancati da meccanismi non fiscali, ma di natura sociale, co-me assegni familiari, e altre forme di benefici in danaro. Va osservato che questi benefici (a differenza di quelli fiscali) sono disciplinati in maniera puntuale a livello europeo: il Reg. 29 aprile 2004, n. 883 tra l’altro, prevede che sia lo Stato in cui il cittadino europeo svolge la sua attività ad erogare tali tipologie di benefici e non quello di residenza (art. 11, par. 3). Offre un interessante spaccato della tassazione europea della famiglia l’interessante volume di SACCHET-TO (a cura di), La tassazione della famiglia: aspetti nazionali e comparati, Catanzaro, 2010.

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cendosi scudo del diritto alla libera circolazione delle persone 15, la Corte sot-

tolineò che esso «implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sul-la cittadinanza, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda in parti-colare la retribuzione». La conseguenza è che i lavoratori devono godere nel territorio di un altro Stato membro diverso da quello di cittadinanza delle stes-se agevolazioni fiscali riconosciute ai lavoratori nazionali, non potendo tolle-rarsi che uno Stato membro tratti un cittadino di un altro Stato membro – che avvalendosi del proprio diritto di libera circolazione svolga la propria attività lavorativa nel territorio del primo Stato, pur rimanendo residente con la sua famiglia altrove – meno favorevolmente di un cittadino nazionale che si trovi nella sua stessa situazione

16. Il principio è divenuto una costante nella giurisprudenza della Corte: ne tro-

viamo conferma, tra le altre, nella sentenze Asscher 17 e Gschwind

18 dove può leggersi che «Pur se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario, astenendosi quindi da qualsiasi discriminazio-ne, palese o dissimulata, basata sulla cittadinanza».

E, ancora, più di recente, nella sentenza Ettwein 19. La vicenda ha riguardato

due coniugi tedeschi i quali, entrambi lavoratori autonomi in Germania, pur continuando a prestare in tale Stato la loro attività professionale, decidono di trasferirsi in Svizzera. Il problema sorge quando, decisi a continuare nell’uti-lizzo del meccanismo dello splitting, si sono visti eccepire che la Svizzera non è né uno Stato membro dell’Unione né uno Stato a cui si applichi l’Accordo SEE, che è una delle condizioni per poter fruire del citato meccanismo agevo-

15 Si ricorda che la libertà di circolazione ha rappresentato il primo strumento che in or-dine cronologico ha consentito alla Comunità europea di occuparsi di diritto di famiglia, Diritto di famiglia e Unione Europea, cit., p. 176. La famiglia viene definita “istituto accessorio” alla pie-na realizzazione della libertà di circolazione come emergeva dallo stesso Reg. n. 1612/1968 che assicurava al migrante, inteso come colui che, cittadino di uno Stato membro, si trasferisce presso un altro Stato membro per svolgere un’attività retribuita, il diritto ad essere accompa-gnato dai propri familiari (p. 200).

16 L’approccio della Corte è basato sul c.d. “principio di non discriminazione” che si fon-da sul presupposto che gli Stati membri non possono imporre misure fiscali discriminatorie nei confronti dei cittadini di altri Stati membri, sul punto si v. Corte di Giustizia, 28 gennaio 1986, C 270/83, dove il principio è stato scolpito.

17 27 giugno 1996, C-107/94. 18 14 settembre 1999, C-391-97. 19 28 febbraio 2013, C-425/11. In senso analogo si v. Corte di Giustizia, 25 gennaio 2007,

C-329/05, in Riv. dir. trib., 2007, IV, p. 87, con nota di commento di NASTRI, La tassazione del reddito in presenza di coniuge non residente ed il regime fiscale delle detrazioni.

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lato di tassazione nel caso di soggetti non residenti. Ciò nonostante, la Corte è tornata a ribadire come il punto centrale della questione sia non ostacolare una delle libertà fondamentali, quale quella di circolazione delle persone, ri-servando trattamenti diversi (e deteriori) ai lavoratori non residenti di uno Stato che pure si trovino oggettivamente nella stessa situazione di coloro che risiedono nello stesso Stato svolgendo una analoga attività. Quando la situa-zione personale e familiare non può essere presa adeguatamente in considera-zione nello Stato di residenza, perché difetta la produzione di reddito che lo consentirebbe, è gioco forza che un simile riconoscimento sia garantito dallo Stato della fonte.

3. Il requisito della “residenza” nel riconoscimento dei carichi familiari e la sua evoluzione

Nell’ambito dei meccanismi impositivi del reddito utilizzati dagli Stati eu-ropei, uno dei sistemi maggiormente diffusi per tenere conto della situazione familiare del contribuente è quello delle deduzioni dall’imponibile e delle de-trazioni dall’imposta. Non solo negli ordinamenti in cui, come quello italiano, la tassazione è squisitamente di tipo individuale

20, ma anche in sistemi come quello tedesco o belga, in considerazione della appartenenza del contribuente ad un nucleo familiare del quale fanno parte soggetti privi di una propria ca-pacità contributiva o, comunque, con una capacità contributiva talmente ri-dotta da non poterli considerare autosufficienti, il legislatore, nel calcolo dell’im-posta reddituale, riconosce la possibilità di portare in diminuzione, dal reddi-to lordo o dall’imposta lorda, talune spese e/o importi predeterminati che ser-vono, per l’appunto, a tener conto della circostanza che la capacità contributiva del contribuente è condivisa con altri membri del nucleo familiare e, quindi, a parità di valore assoluto, la risorsa reddituale disponibile è comunque inferiore a quella di un single o di nuclei familiari che non siano monoreddito.

Solitamente vengono riconosciute spese (come quelle mediche o di istru-zione) sostenute nell’interesse di membri della famiglia ovvero specifici im-porti (c.d. detrazioni per carichi di famiglia) per tener conto della numerosità

20 La tassazione è individuale anche in quei sistemi fiscali che, come la Germania e gli Sta-ti Uniti o la Francia, utilizzano meccanismi di tassazione per parti: rispettivamente, lo splitt-ing e il quoziente familiare. Lo stesso sistema di tassazione reddituale italiano, quando ancora utilizzava un meccanismo di imposizione cumulativa, si caratterizzava per un criterio di tas-sazione individuale.

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e della composizione del nucleo familiare 21. Salvo casi eccezionali, nel calcolo

dell’imposta netta la detrazione viene riconosciuta fino a concorrenza dell’im-posta lorda ed è quindi inidonea a determinare un credito nei confronti del-l’Amministrazione finanziaria

22. Questi meccanismi di deduzione e detrazione, con i quali, come si è sotto-

lineato, i sistemi fiscali cercano di tenere conto della situazione personale e familiare dei contribuenti, operano diversamente a seconda che trovino appli-cazione nei confronti di contribuenti residenti o non residenti

23. Come è no-to, i moderni sistemi di tassazione reddituale non attribuiscono rilievo alcuno alla cittadinanza, d’altro canto, la valenza spaziale delle disposizioni tributarie fa sì che sia la residenza il principale criterio di collegamento per giustificare la tassazione all’interno o all’esterno dei confini territoriali di ciascuno Stato. In particolare, la tassazione dei soggetti residenti, nei moderni sistemi fiscali, è informata al criterio del c.d. world wide income taxation (c.d. tassazione del red-dito globale) mentre i non residenti vengono tassati solo per i redditi prodotti all’interno dello Stato. Ebbene, nel calcolo del tributo reddituale, per questi ultimi (non residenti), le deduzioni e le detrazioni di solito subiscono un ri-

21 Nell’ordinamento italiano le detrazioni per carichi di famiglia vengono riconosciute a favore del coniuge e dei figli a carico e anche a favore di altri familiari a carico a condizione, pe-rò, che siano conviventi con il contribuente, v. art. 12, comma 1, lett. da a) a d), T.U.II.DD. ap-provato con D.Lgs. n. 917/1986. Perché un membro del nucleo familiare possa essere consi-derato a carico è necessario che abbia un reddito non superiore a 2.840,51 euro, al lordo de-gli oneri deducibili. Questa rigida predeterminazione è oggetto di aspre critiche essendo sta-to messo in evidenza come possa innescare un fenomeno c.d. “trappola della povertà”, sul punto v. RAPALLINI, op. cit.

22 Questa regola trova la sua eccezione, nell’ambito delle detrazioni per carichi di fami-glia, nella detrazione che l’art. 12 cit. al comma 1 bis) riconosce in presenza di «almeno quat-tro figli a carico»: l’importo di 1.200 euro, infatti, se non trova capienza nell’imposta lorda, genera un credito per la parte corrispondente che il contribuente potrà utilizzare l’anno suc-cessivo ovvero chiedere a rimborso.

23 È VAN THIEF, op. cit., p. 468 ss., a ricordare che la dottrina ha identificato un ampio numero di differenziazioni in materia di tassazione basate sulla residenza all’interno delle legi-slazioni nazionali che costituiscono evidenti ipotesi di discriminazione, tra le quali, per l’ap-punto, emergono le deduzioni/detrazioni riconosciute in maniera differenziata ai residenti e ai non residenti. L’autore, peraltro, sottolinea che anche nei casi in cui gli Stati membri sem-brano assicurare un analogo regime ai residenti e ai non residenti la discriminazione è in ag-guato: come quando in materia di deduzioni e/o detrazioni le riconoscano anche ai non re-sidenti, ma a condizione che siano state sostenute all’interno dei loro confini nazionali. Si tratta in particolare del caso Bachman (C-204/1990), nel quale la Corte ha affermato l’in-compatibilità della legislazione dello Stato belga che subordinava la deducibilità di certi con-tributi d’assicurazione contro la malattia e l’invalidità o contro la vecchiaia e la morte alla con-dizione che essi fossero stati versati nello stesso Stato.

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dimensionamento. Prendendo le mosse dalla convinzione che il non residente verrà tassato per la parte più cospicua della sua capacità reddituale nello Stato di residenza, si è sempre ritenuto che debba essere quest’ultimo a riconoscere, nella loro generalità, le spese di produzione del reddito nell’ambito di quella tassazione, mentre lo Stato in cui singole fattispecie reddituali possono essere prodotte potrà tutt’al più consentire le deduzioni e/o le detrazioni specifiche, inerenti strettamente alle tipologie di reddito ivi prodotte.

Nell’ordinamento italiano, ad esempio, il meccanismo di tassazione IRPEF ha sempre concesso al non residente la possibilità di dedurre oneri quali i ca-noni, i livelli, i censi gravanti sul reddito degli immobili situati nel territorio dello Stato italiano e le indennità per la perdita dell’avviamento corrisposte per disposizioni di legge al conduttore in caso di cessazione della locazione di im-mobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo

24, e di detrarre le fatti-specie elencate nell’art. 13, che sono strettamente inerenti ad alcune forme reddituali, come i redditi di lavoro dipendente (ivi inclusi quelli di pensione) o ad alcune specifiche tipologie di redditi di lavoro autonomo, oltre ad alcune ipotesi di detrazioni di cui al successivo art. 15. L’art. 24 (nella attuale nume-razione, ma già art. 21 nella formulazione antecedente la riforma del 2004) presenta poi una formula conclusiva che esclude che il non residente possa u-tilizzare il sistema di detrazione per carichi di famiglia. La logica sottesa ad una simile scelta è evidente: il non residente, che pure si trovi nello Stato ita-liano dove produce reddito, avrà la sua famiglia nello Stato di residenza, dove sopporta le spese per il mantenimento della stessa, e che, quindi, gli ricono-scerà le citate detrazioni.

Su questa dicotomia nel riconoscimento di benefici fiscali di carattere per-sonale e/o familiare nei confronti di contribuenti residenti o non residenti, la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi con la ben nota sentenza Schumacker. La vicenda occorsa al Sig. Schumacker, cittadino belga che lavo-rava in Germania, dove svolgeva la sua attività di lavoratore dipendente e che si era visto negare dal Finanzmat, in forza di una regola analoga a quella illu-strata per l’ordinamento italiano, la possibilità di «prendere in considerazione la sua situazione personale e familiare», ha rappresentato, infatti, la prima oc-casione per la Corte di Giustizia di intervenire sulla questione.

Pur ammettendo che non è di per sé discriminatorio distinguere all’interno di uno stesso ordinamento il trattamento fiscale di un residente e di un non

24 V. art. 24, D.Lgs. n. 917/1986; si tratta di deduzioni strettamente inerenti al reddito fondiario; diversa invece la finalità delle deduzioni elencate nelle lett. g), i) ed l) del medesimo art. 24, comma 2, che mirano piuttosto ad incentivare le contribuzioni ai soggetti ivi elencati.

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residente, potendosi cioè legittimamente escludere che quest’ultimo benefici di talune agevolazioni fiscali che vengono riconosciute in maniera esclusiva ai residenti

25, nel caso di specie la Corte ha dovuto ammettere che la situazione era ben diversa visto che, producendo il Sig. Schumacker «la parte essenziale del sue risorse imponibili» in Germania, egli non aveva la possibilità di veder-si riconosciute in Belgio le agevolazioni derivanti dalla sua situazione persona-le e familiare: «la discriminazione (si legge nella parte motiva della sentenza) consiste nel fatto che la situazione personale e familiare di questo non residente non è presa in considerazione né nello Stato di residenza né in quello dell’oc-cupazione». Ecco quindi che il principio cardine sotteso alla tassazione dei non residenti, che vuole che sia lo Stato di residenza a tenere conto della si-tuazione personale e familiare del contribuente, quando, come nel caso in di-scussione, non riesce a funzionare correttamente, deve lasciare il passo al prin-cipio europeo della parità di trattamento (art. 48 del Trattato CE) che esige che «nello Stato dell’occupazione la situazione personale e familiare dello stra-niero non residente sia presa in considerazione come per i cittadini nazionali residenti e che gli siano concesse le stesse agevolazioni fiscali».

Il principio viene riaffermato nella sentenza Asscher 26 e trova una nuova

espressione nella pronuncia del 12 dicembre 2002, C-385/00 che ha riguardato la situazione del Sig. de Groot, cittadino olandese, residente nei Paesi Bassi, che aveva svolto la sua attività lavorativa in diversi Stati membri

27. Il Sig. de Groot si lamentava del fatto di non aver potuto portare in deduzione dai red-diti esteri, in qualità di non residente, gli assegni alimentari dovuti alla moglie divorziata, e, d’altro canto, di non averli potuti conteggiare integralmente nel calcolo dell’imposta olandese, considerato che l’ordinamento dello Stato di residenza (i Paesi Bassi) glielo impediva (art. 3, decreto 21 dicembre 1989 re-lativo alla norme di prevenzione della doppia imposizione). Anche in questo caso la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’art. 48 del Trattato CE risultasse violato visto che la normativa olandese impediva al contribuente, per il sol fat-to di essere titolare di redditi esteri, di tener conto integralmente dei vantaggi fiscali personali cui pure astrattamente avrebbe avuto diritto in qualità di resi-

25 La Corte osserva che: «La situazione del residente è diversa, in quanto nello Stato di residenza è di regola concentrata la parte essenziale dei suoi redditi. Peraltro, questo Stato di-spone in genere di tute le informazioni necessarie per valutare la capacità contributiva globa-le del contribuente, tenuto conto della sua situazione personale e familiare».

26 Corte di Giustizia, 27 giugno 1996, C-107/94. 27 Per un compiuto esame della stessa e dei problemi che ne scaturiscono in termini di

compatibilità europea delle disposizioni tributarie, si rinvia a MELIS, Trasferimento della resi-denza fiscale e imposizione sui redditi, Milano, 2009, p. 69.

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dente olandese, incidendo, cioè, negativamente su quella libertà di circolazio-ne che è principio cardine dell’Unione

28. Analoga è la conclusione raggiunta dalla Corte nella sentenza Beker & Be-

ker 29, sebbene il principio utilizzato sia, diversamente che nei casi precedenti,

quello statuito dall’art. 63 TFUE relativo alla libera circolazione dei capitali. Nella vicenda sottoposta alla sua attenzione, i coniugi Beker, entrambi residenti in Germania, dove svolgevano le loro attività principali, lamentavano il trat-tamento deteriore riservato loro dall’ordinamento tedesco in materia di spese personali e familiari per aver realizzato redditi di capitale di fonte estera. In particolare, la percezione di redditi di capitale di fonte estera aveva determi-nato il pagamento nei rispettivi Stati di origine di una ritenuta alla fonte che la legislazione tedesca consente di imputare fino a concorrenza dell’imposta te-desca dovuta sui medesimi redditi. La normativa tedesca prevede un limite massimo dell’imputazione della ritenuta alla fonte subita che è calcolato molti-plicando l’importo dell’imposta dovuta secondo la tabella per il rapporto tra l’importo dei redditi di origine estera e la somma totale dei redditi del contri-buente. Ciò che i coniugi Beker hanno contestato è che nel calcolo di «que-st’ultima somma non si tiene conto delle spese speciali e degli oneri straordi-nari in quanto spese relative alle esigenze della vita quotidiana o alla situazio-ne personale, mentre dette spese sono computate nel calcolo dell’imposta sul reddito dovuta secondo la tabella». La Corte, dopo aver rammentato in mate-ria di libera circolazione di capitali alcuni suoi precedenti

30 e aver richiamato le conclusioni raggiunte nel caso de Groot

31, ha ritenuto che «i contribuenti re-sidenti in uno Stato membro che hanno percepito una parte dei loro redditi all’estero sono svantaggiati rispetto ai contribuenti residenti nel medesimo

28 In senso conforme anche la sent. 1° luglio 2004, C 169/03 relativa alle vicende del Sig. Wallentin cittadino tedesco che svolgeva la sua attività lavorativa in Svezia.

29 Sent. 28 febbraio 2013, C-168/11. 30 Secondo cui le misure vietate dall’art. 63, par. 1, TFUE, comprendono quelle che sono

idonee a dissuadere i non residenti dal fare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di detto Stato membro dal farne in altri Stati (così sentt. 25 gennaio 2007, Festersen, C-370/05, 18 dicembre 2007, C-101/05; 10 febbraio 2011, HariboLakritzen Hans Riegel e OsterreichischeSalinen, C-436/08 e C-437/08).

31 Dove se al par. 90 la Corte ha ribadito che, in via di principio, spetta allo Stato di resi-denza concedere al contribuente la totalità dei vantaggi fiscali connessi alla sua situazione per-sonale e familiare, poiché è questo lo Stato in grado di valutare al meglio la capacità contribu-tiva personale del contribuente, visto che è in questo che il contribuente ha il centro dei suoi interessi personali ed economici, ciò non è sempre vero: un simile obbligo per lo Stato di re-sidenza ricorre solo quando il contribuente percepisce la quasi totalità o la totalità dei suoi redditi imponibili nello stesso, sent. 12 dicembre 2002, de Groot, C-385/00.

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Stato membro che hanno percepito in quest’ultimo l’integralità dei loro redditi e che beneficiano di conseguenza dell’integralità delle deduzioni corrisponden-ti alle spese speciali e agli oneri straordinari in quanto spese relative alle esigen-ze della vita quotidiana o alla situazione personale o familiare. Pertanto, una ta-le differenza di trattamento è atta a dissuadere persone assoggettate in via prin-cipale all’imposta in uno Stato membro dall’investire i loro capitali in società aventi sede in un altro Stato membro o in uno Stato terzo». Se ne è, quindi, fat-to conseguire che una simile normativa costituisce «una restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 63 TFUE».

3.1. Il caso Imfeld e Garcet

Questa sintetica rassegna viene chiusa con l’esame della pronuncia Imfeld e Garcet

32 che, sebbene si inserisca a pieno titolo in quella che viene oramai tradizionalmente chiamata “dottrina Schumacker”, contiene alcune statuizioni che appaiono almeno in parte innovative

33. La vicenda, lo si ricorda, ha riguardato i coniugi Imfeld e Garcet, residenti

in Belgio e con due figli a carico. Il Signor Imfeld è un avvocato che esercita la sua attività e produce il suo reddito in maniera pressoché esclusiva in Germa-nia, mentre la Sig.ra Garcet è impiegata in Belgio. Il reddito della famiglia (di cui il reddito del marito rappresenta la quota più importante) viene tassato in Belgio, che è lo Stato di residenza dei due coniugi. La situazione personale e familiare dei due coniugi viene presa in considerazione in entrambi gli Stati (Germania e Belgio) almeno in parte. Nel sistema di tassazione tedesco, il Sig. Imfeld beneficia di un’agevolazione per i figli a carico nella forma di una quota di reddito esente da imposta (Freibetrag für Kinder), ma viene tassato come individuo singolo, senza cioè poter beneficiare del regime di tassazione con-giunta di cui possono beneficiare i contribuenti coniugati e non stabilmente separati che sono soggetti a imposizione in Germania, benché residenti in un altro Stato membro, perché mancano i requisiti di legge. Per la precisione, il reddito del Sig. Imfeld imponibile in Germania è inferiore al 90% dei redditi

32 Sent. 12 dicembre 2013, C-303/12, Guido Imfeld and Natalie Garcet v. Belgian State. 33 In tal senso tra gli altri, NIESTEN, Growing impetus for Harmonization of Personal and

Family Allowances: Current State of Affairs of the Schumacker – Doctrine after imfeld and Garcet, in EC Tax Review, n. 4, 2015, p. 185; PEETERS, Mobility of EU Citizens and Family Taxation: A Hard to Reconcile Combination, in EC Tax Review, n. 3, 2014, p. 118; CERIONI, Guido Imfeld and Nathalie Garcet v. Belgian State: A Continuation of the Schumacker Doctrine?, in 2 Brit. Tax Review, 2014, p. 132, che si interroga proprio sui rapporti tra la sentenza Imfeld e Garcet e la c.d. “dottrina Schumacker”.

Annalisa Pace 107

complessivi della famiglia, da un lato, e, dall’altro, il reddito della Sig. Garcet è superiore sia alla soglia assoluta dei 12.372 euro sia alla soglia relativa del 10% del reddito complessivo previsto dalla normativa fiscale tedesca. Nel sistema di tassazione belga, il Sig. Imfeld, benché non sia sottoposto ad imposizione, vede incluso il reddito tedesco nel calcolo dell’imposta belga (che viene paga-ta dalla moglie) e lo stesso entra a far parte della base imponibile per la con-cessione dei benefici previsti dalla normativa belga per i familiari a carico, con l’effetto, però, di vederseli accordati in misura inferiore rispetto all’ipotesi in cui entrambi i coniugi avessero redditi di fonte belga. In definitiva, il beneficio riservato dalla legislazione belga per i figli a carico viene perso (almeno in par-te) se il coniuge con il reddito più elevato guadagna il proprio reddito all’este-ro. La questione, rimessa alla Corte di Giustizia dal giudice belga, è se la mo-dalità di calcolo dell’agevolazione fiscale possa dirsi conforme alla normativa europea visto che l’applicazione della stessa ad una situazione transfrontaliera produce effetti diversi (in senso peggiorativo) rispetto a quelli derivanti dalla sua applicazione ad una coppia di coniugi con redditi belgi; va altresì precisa-to che sebbene il giudice del rinvio avesse sollevato i dubbi di compatibilità rispetto all’art. 39 CE (ora art. 45 TFUE) relativo alla libera circolazione dei la-voratori, la Corte ha ritenuto che più correttamente il giudizio debba riguar-dare l’art. 43 CE (ora 49 TFUE) sulla libertà di stabilimento.

Di fronte all’eccezione dello Stato belga che ha negato l’aggravio impositi-vo nei confronti dei coniugi Imfeld e Garcet, visto che il Sig. Imfeld non aveva dovuto versare in Germania un’imposta superiore a quella che avrebbe versa-to in Belgio e che, comunque, la sua situazione personale e familiare era già sta-ta presa in considerazione in Germania per cui il Regno del Belgio sarebbe stato integralmente liberato da ogni obbligo al riguardo, la Corte nega che a giustifi-cazione dell’effetto peggiorativo che il Sig. Imfeld ha dovuto sopportare possa essere invocato da uno dei due Stati questa sorta di effetto compensativo per cui la concessione della agevolazione da parte dello Stato tedesco liberi da ogni obbligo lo Stato belga

34. D’altro canto, lo Stato belga sottolinea che, pur ammettendo la restrizione

della libertà lamentata, «essa sarebbe in ogni caso giustificata dalla necessità di salvaguardare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri». In par-

34 Al par. 61 può leggersi: «Uno Stato membro non può, infatti, invocare l’esistenza di un’agevolazione concessa unilateralmente da un altro Stato membro, nel caso di specie lo Stato membro nel quale il Sig. Imfeld lavora e percepisce la totalità dei suoi redditi, per sottrarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato, segnatamente in forza delle sue disposi-zioni in materia di libertà di stabilimento».

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ticolare, proprio richiamando i precedenti della Corte (Schumacker e de Groot) il Governo belga segnala che ignorare che i redditi del Sig. Imfeld sono esone-rati da tassazione in Belgio e trasferire sul coniuge che nello stesso viene tassa-to la parte di agevolazione di cui il primo non ha potuto beneficiare non solo non sostanzia una violazione del Diritto dell’Unione, ma, piuttosto, produce una lesione del «diritto del Regno del Belgio di esercitare la propria compe-tenza fiscale in relazione alle attività svolte nel suo territorio da tale coniuge». Se non che la Corte, proprio richiamando i suoi precedenti (de Groot e Beker), ricorda che simili argomentazioni non possono consentire allo Stato di resi-denza di sottrarsi alla responsabilità che sullo stesso grava in materia di dedu-zioni di tipo personale e familiare «a meno che una convenzione non svincoli tale Stato dall’obbligo di prendere in considerazione solo esso la situazione personale e familiare dei contribuenti residenti nel suo territorio e che in par-te svolgono la loro attività economica in un altro Stato membro» o a meno che tale Stato (quello dell’occupazione) non garantisca di prendere in consi-derazione esso stesso la situazione personale e familiare di tali contribuenti. Eb-bene, trasferendo nel caso in contestazione simili argomentazioni la Corte os-serva, da un lato, che la convezione del 1967 tra Belgio e Germania non con-tiene alcun obbligo per lo Stato in cui il contribuente svolge la sua attività di prendere in considerazione la sua situazione personale e familiare e, dall’altro, che il riconoscimento integrale da parte del Belgio delle deduzioni di tipo per-sonale e familiare al cittadino belga che lavora altrove non pregiudicherebbe in alcun modo il potere impositivo dello stesso. Il problema rilevato dalla Corte è che gli effetti restrittivi della normativa belga operano non tanto sul reddito del Sig. Imfeld, bensì su quello del suo coniuge, la Sig.ra Garcet, visto che, a causa dell’occupazione estera del Sig. Imfeld, la stessa si è vista privata dell’a-gevolazione dello Stato di residenza (e, cioè, della concessione del supplemento di quota di reddito esente da imposta per figli a carico).

Come i primi commentatori hanno correttamente rilevato, ciò che colpi-sce nella pronuncia è che l’argomento già utilizzato nella sentenza de Groot

35, in quella in esame è stato portato all’estrema conseguenza di ritenere inin-fluente, sulla situazione di obbligo che caratterizza lo Stato della residenza, la circostanza che nello Stato dell’occupazione il contribuente abbia già fruito di agevolazioni per la sua situazione personale e familiare con il rischio, cioè, che

35 Possibilità per lo Stato della residenza di liberarsi dai suoi obblighi di prendere in con-siderazione la situazione personale o familiare del contribuente residente attraverso la stipula di apposite convenzioni ovvero attraverso la constatazione che lo Stato di occupazione ac-cordi tali benefici, parr. 99 e 100 della sent. de Groot.

Annalisa Pace 109

lo stesso fruisca di simili vantaggi due volte. In definitiva, ciò che la Corte san-ziona è l’automatismo che caratterizza la normativa belga che non consente allo Stato di residenza di assicurare trattamenti perfettamente identici ai con-tribuenti residenti nel caso in cui loro stessi o i loro congiunti esercitino le lo-ro attività all’estero. Questo rappresenta una grave violazione delle libertà eu-ropee; a voler usare le parole della Corte «È l’automaticità di detta perdita che, a prescindere dal trattamento fiscale riservato al Sig. Imfeld in Germania, lede la libertà di stabilimento. Quindi, il fatto che [...] la situazione personale e familiare del Sig. Imfeld sia stata parzialmente presa in considerazione in Germania ai fini della sua tassazione come persona non coniugata e che egli abbia pertanto potuto beneficiare di un’agevolazione fiscale, non può essere in-vocata dal Governo belga per dimostrare l’assenza di una restrizione alla liber-tà di stabilimento». In definitiva, ciò che sembra emergere è che anche se il Sig. Imfeld avesse per avventura beneficiato integralmente delle agevolazioni personali e familiari in Germania, la soluzione della Corte probabilmente sa-rebbe stata identica. Il doppio vantaggio che ne potrebbe derivare è il frutto di normative nazionali indipendenti e ciò sembra non disturbare la Corte impe-gnata nel suo ruolo esclusivo di garante del diritto europeo

36.

3.2. La risposta del legislatore italiano

Nell’ordinamento italiano il punto d’arrivo di questa innovativa giurispru-denza è rappresentato dal comma 3 bis aggiunto all’art. 24 del TUIR, modifica con la quale il legislatore, dopo una serie di interventi estemporanei

37, final-mente sembra aver avuto “il coraggio” dimettere a sistema la regola codificata dalla c.d. “dottrina Schumacker”. La disposizione dell’art. 24 cit. (rubricato “Determinazione dell’imposta dovuta dai non residenti”), presenta, infatti, a de-correre dal periodo di imposta 2014 un innovativo comma 3 bis con il quale, relativamente ai residenti nell’Unione Europea o in uno degli Stati aderenti

36 In questo senso anche NIESTEN, op. cit., p. 192, e CERIONI, op. cit. 37 Il riferimento è alle disposizioni che seguono con le quali, a partire dal periodo d’impo-

sta 2007, è stata estesa anche ai non residenti la possibilità di fruire delle detrazioni per cari-chi di famiglia disciplinate dall’art. 12 del TUIR a condizione che il non residente non goda di «alcun beneficio fiscale connesso ai carichi familiari»; v. art. 1, commi 1324-1326, L. 31 di-cembre 2006, n. 296, modificato dall’art. 6, comma 4 quater, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in L. 28 gennaio 2009, n. 2; dall’art. 1, comma 54, L. 13 dicembre 2010, n. 220; dall’art. 29, comma 6 bis, D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, conv. in L. 24 febbraio 2012, n. 14; dall’art. 1, comma 526, L. 24 dicembre 2012, n. 228 ed infine dall’art. 9, comma 5 quater, D.L. 30 di-cembre 2013, n. 150, conv. con modif. in L. 27 febbraio 2014, n. 15.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 110

all’Accordo sullo spazio economico europeo, sono state sterilizzate le regole restrittive che, come si è visto in precedenza (par. 3), la disposizione nei primi tre commi riserva in generale ai non residenti. La norma, adottata per con-formarsi ai rilievi espressi a suo tempo dalla Commissione europea, ha pro-dotto l’atteso effetto di archiviazione della procedura di infrazione che era sta-ta aperta nei confronti dello Stato Italiano

38. La norma, nella formulazione vi-gente

39, prevede che nei confronti dei residenti in territori esteri, che garanti-scono un adeguato scambio di informazioni, possano trovare applicazione le disposizioni contenute negli artt. da 1 a 23 del TUIR. In definitiva, a decorre-re dal 1° gennaio 2014 anche per i non residenti dei citati Paesi trovano appli-cazione tutte le regole di determinazione dell’imposta valide per i residenti, co-mprese le deduzioni dell’art. 10 e le detrazioni degli artt. 12 e successivi. La norma, però, pone alcune condizioni: in primo luogo, il non residente deve aver prodotto nel territorio dello Stato italiano almeno il 75% del suo reddito totale e, in secondo luogo, non deve aver goduto di analoghe agevolazioni fi-scali nello Stato di residenza

40.

38 Il riferimento è alla procedura d’infrazione n. 2013/2027 con la quale la Commissione aveva ritenuto non compatibili con la normativa europea alcuni aspetti del trattamento fisca-le applicato ai c.d. “non residenti Schumacker”. In particolare, la Commissione aveva punta-to il dito contro l’art. 24 TUIR che, nella formulazione originaria, mentre consentiva ai sog-getti residenti in Italia di detrarre, dal reddito ivi prodotto, tutti i carichi familiari corrispon-denti alle tipologie elencate agli articoli precedenti, ammetteva i non residenti a detrarre solo alcuni dei carichi familiari in questione. La Commissione, nonostante gli interventi attuati con i provvedimenti elencati nella nota precedente, si era dichiarata non soddisfatta in quan-to l’estensione ivi prevista si rivolgeva a tutti i non residenti e non in specie ai non residenti in condizione Schumacker, e aveva portata transitoria (visto che era operativa fino al 2013). L’inserimento del comma 3 bis ha portato all’archiviazione della procedura.

39 Il comma 3 bis è stato oggetto di un successivo intervento normativo, ex art. 1, comma 954, L. 28 dicembre 2015, n. 208, con decorrenza 1° gennaio 2016, che, probabilmente, nel-l’intenzione del legislatore ne avrebbe dovuto migliorare la formulazione, ma che in verità ha reso il primo periodo della disposizione quasi sgrammaticato. La disposizione, nella formula-zione attuale, trova applicazione nei confronti di «soggetti non residenti nel territorio italia-no che assicuri un adeguato scambio di informazioni», essendo venuto meno il riferimento espresso ai Paesi UE e a quelli aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo; il pro-nome relativo “che” letteralmente non può che riferirsi al territorio italiano, ma, in verità, vuole fare riferimento a tutti quei territori diversi da quello italiano ove i non residenti in Ita-lia abbiano scelto di dimorare. Va, infine, segnalato che diversamente dal testo di normativa primaria, la formulazione dell’art. 1 del decreto ministeriale attuativo (D.M. 21 settembre 2015), continua a fare riferimento ai Paesi UE e agli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico europeo che assicurino un adeguato scambio di informazione mantenendo cioè la dizione che era presente nella norma primaria prima del secondo intervento.

40 Il citato decreto attuativo (D.M. del 2015), in verità, aggiunge che le agevolazioni fisca-

Annalisa Pace 111

La formulazione della disposizione bene esprime gli orientamenti della Corte di Giustizia sopra esaminati: se è vero, infatti, che «in via di principio, deve essere lo Stato di residenza a preoccuparsi di assicurare al contribuente i benefici fiscali personali e familiari, d’altro canto ove il residente percepisca i propri redditi quasi esclusivamente nello Stato della fonte, quest’ultimo non può rifiutarsi di tenere conto della situazione personale e familiare dell’inte-ressato qualora ciò non sia possibile nello Stato di residenza».

Alla luce, però, della sentenza Imfeld e Garcet c’è da chiedersi se il sistema italiano, nella sua complessità, sia in grado di garantire quella effettiva parità che la Corte oramai richiede e che non riguarda solo i residenti e i non resi-denti, ma, come nella vicenda Imfeld e Garcet due coniugi residenti nel mede-simo Stato di cui uno, però, lavora e paga le imposte all’estero, situazione che, a causa di certi automatismi della legislazione belga, come visto, porta il co-niuge tassato in Belgio a godere di un trattamento deteriore rispetto a quello di cui avrebbe goduto se l’altro coniuge avesse lavorato e fosse stato tassato in Belgio. Di certo, il carattere individuale della tassazione che connota il sistema italiano, anche nel caso di soggetti legati da vincoli familiari, sembra porre la citata normativa al riparo da criticità evidenti, tuttavia i meccanismi che con-notano alcune tipologie di detrazioni per carichi di famiglia non consentono di escludere in assoluto che possa verificarsi una simile eventualità. Un esempio può aiutare a chiarire meglio il problema. Come noto le detrazioni per i figli a carico (ex art. 12 del TUIR) sono ripartite nella misura del 50% tra i genitori (non legalmente ed effettivamente separati) ovvero, previo accordo tra gli stes-si, spettano al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. Ebbene, è di tutta evidenza che la situazione di due coniugi residenti nel territorio dello Stato italiano, dove vivono, lavorano e vengono tassati, non sarà perfettamente sovrapponibile a quella di un altro nucleo familiare in cui uno dei due (caso mai quello che ha il reddito più elevato) lavora all’estero (do-ve si ipotizza che verrà anche tassato) e che per questa circostanza il coniuge tassato in Italia, che non presenta la capienza sufficiente per fruire del benefi-cio nella sua integralità, lo perda in tutto o in parte senza possibilità di trasfe-rirlo all’altro coniuge.

li (oneri deducibili e oneri detraibili) non devono essere godute in nessun altro Paese, speci-ficazione che esorbita dai limiti della normativa primaria, ma che bene ne esprime il significa-to completo: il legislatore italiano non vuole correre rischi circa una duplicazione dei bene-fici di cui il non residente beneficerà.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 112

4. La “transnazionalità” delle agevolazioni per l’abitazione familiare

L’immobile in cui la famiglia dimora assume un ruolo centrale nella vita del nucleo familiare ed è una simile considerazione che consente di attrarre nel-l’ambito delle disposizioni fiscali a favore della famiglia le discipline di favore che la stragrande maggioranza dei sistemi fiscali riserva agli immobili che as-solvono alla funzione di “abitazione familiare”

41. Gli strumenti che i vari ordinamenti offrono sono variegati: dalla possibili-

tà di dedurre gli interessi relativi al contratto di mutuo stipulato per l’acquisto, alla previsione di aliquote agevolate per le imposte sui trasferimenti che sono dovute in occasione del trasferimento della proprietà; dalla totale o parziale esenzione ai fini di imposizioni di tipo patrimoniale ad analoghi regimi in sede di imposizione reddituale.

Se i presupposti e le stesse definizioni di immobile destinato all’uso abita-tivo proprio e dei familiari spesso, nell’ambito dei diversi regimi impositivi, non coincidono

42, un elemento appare trasversale: l’esigenza che l’immobile insi-sta all’interno dei confini dello Stato membro che concede il regime di favore.

Nel sistema italiano, ai fini dell’imposizione reddituale, l’immobile che può definirsi “abitazione principale” gode di un esonero dall’imposizione grazie alla previsione di una deduzione dall’imponibile che ne neutralizza la valenza red-dituale. A questo fine l’abitazione principale viene definita come «quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente»

43. Analoga la definizione contenuta nella disposizione che assicura la detrazione per oneri relativamente agli inte-ressi passivi pagati in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili con-tratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale

44. Ai fini dell’imposizione patrimoniale l’originaria riduzione dell’imposizio-

ne riservata all’abitazione principale nell’ambito ICI era collegata al dato for-male della residenza anagrafica

45 a cui si aggiunse poi la precisazione che «Per

41 È TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, Parte II, Tra favore e limiti del siste-ma, Torino, 2015, p. 82, che osserva che in materia di immobili non c’è una vera e propria disciplina di favore per la famiglia visto che il legislatore parla genericamente di contribuen-te; tuttavia il riferimento che viene fatto “ai familiari” consente di attrarre molte delle agevo-lazioni ivi previste tra quelle a favore della famiglia.

42 È sempre TURCHI, op. ult. cit., p. 107, che parla di “polisemanticità” del concetto di abi-tazione principale.

43 V. art. 10, comma 3 bis, TUIR. 44 Art. 15, comma 1, lett. b), TUIR. 45 Così art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992.

Annalisa Pace 113

abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la pos-siede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari di-morano abitualmente»

46. Nel sistema patrimoniale vigente (IMU), il legisla-tore ne aveva escluso fin dalla sua istituzione l’applicazione all’abitazione prin-cipale ed alle pertinenze della stessa, chiarendo che «per effettiva abitazione principale» si intende «l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio ur-bano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmen-te e risiede anagraficamente»

47. Per inciso, va segnalato che il dato formale della residenza anagrafica, che tanti dubbi aveva sollevato nella vigenza della imposizione ICI, risulta sterilizzato in ambito IMU dalla precisazione che ove i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la resi-denza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevola-zioni per l’abitazione principale si applicano per un solo immobile, rivendican-do cioè all’abitazione principale, quale sede naturale del nucleo familiare, il ca-rattere di unicità

48. Ai fini dell’imposta sui trasferimenti, inoltre, l’acquisto dell’immobile da a-

dibire ad abitazione principale viene agevolato riservando a simili operazioni aliquote assai contenute. D’altro canto, l’esigenza di evitare l’indebito utilizzo di simili regimi di favore, ha indotto il legislatore ad escludere che l’immobile possa essere ceduto nei cinque anni successivi, salvo che entro l’anno della ven-dita si provveda al riacquisto di altro immobile da destinare nuovamente ad abitazione principale.

Ebbene, la circostanza che simili regimi possano trovare applicazione solo nei confronti di immobili che si trovino nel territorio del medesimo Stato mem-bro che riconosce il beneficio è stata oggetto di pronuncia da parte della Cor-te di Giustizia

49 che, ancora una volta, in applicazione di quei principi di libera circolazione che informano il sistema europeo, si è pronunciata su di una ma-teria le cui competenze spettano agli Stati membri che, però, come si è già se-gnalato, devono esercitarle in conformità al diritto dell’Unione.

La questione, sottoposta alla sua attenzione, ha riguardato l’esenzione che l’ordinamento portoghese riserva alle plusvalenze derivanti dalla cessione a ti-tolo oneroso di beni immobili adibiti ad abitazione principale qualora, nei due anni successivi, il ricavato della vendita venga utilizzato per il riacquisto di un

46 Ultimo periodo dell’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992 inserito dall’art. 1, comma 173, L. n. 296/2006 a decorrere dal 1° gennaio 2007.

47 Art. 8, comma 3, D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23. 48 Art. 13, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214. 49 Sent. 26 ottobre 2006, C-345/05.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 114

immobile avente la stessa destinazione, a condizione che sia situato sul terri-torio portoghese

50. Nella vicenda, la Commissione ha sollevato la questione ritenendo che una

simile disposizione rappresenti una grave restrizione alle libertà fondamentali ostacolando i cittadini portoghesi nell’esercizio del proprio diritto di libera circolazione. L’eccezione sollevata dalla Repubblica portoghese, che una simi-le disposizione sancisce solo uno sgravio fiscale ad hoc che non viola di certo gli artt. 39 e 43 del Trattato CE, non è stata condivisa dai giudici europei a pa-rere dei quali la disposizione «è idonea a restringere l’esercizio dei diritti con-siderati, poiché ha quantomeno un effetto dissuasivo nei confronti dei contri-buenti che intendono vendere i loro beni immobili per stabilirsi in uno Stato membro diverso dalla Repubblica portoghese», visto che il riacquisto fuori dai confini nazionali è soggetto ad un trattamento fiscale svantaggioso

51. Come la disciplina portoghese anche quella italiana (sebbene nel diverso

ambito dell’imposizione indiretta) prevede uno strumento idoneo ad evitare la decadenza dal c.d. beneficio per l’acquisto della prima casa ove il proprietario la venda prima che siano trascorsi 5 anni: si richiede che entro un anno dall’a-lienazione dell’immobile che ha fruito dei citati benefici il contribuente pro-ceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale. Benché la norma non precisi in maniera espressa (a differenza di quella por-toghese) che il riacquisto debba riguardare un immobile situato sul territorio italiano, una rigorosa interpretazione sistematica, oltre che meramente lettera-le, non può che giungere ad una simile conclusione che ora, però, alla stregua dell’orientamento della Corte di Giustizia appena esaminato, solleva più di una perplessità proprio sotto il profilo della compatibilità con il diritto dell’Unione.

Analoga osservazione può riguardare l’istituto del credito d’imposta riserva-to a coloro che una volta ceduta l’abitazione, a suo tempo acquistata fruendo dei benefici previsti per la prima casa ai fini dell’imposta di registro e dell’IVA, entro un anno dalla vendita, acquistano un’altra abitazione non di lusso (anche se non ultimata)

52. Il credito d’imposta è pari all’ammontare dell’imposta di registro o dell’IVA corrisposta in relazione al primo acquisto agevolato e, in

50 Così art. 10 del codice delle imposte sui redditi delle persone fisiche (Còdigo do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Singulares) approvato con D.L. 30 novembre 1988, n. 442.

51 Si tratta dell’approccio basato sul c.d. “divieto di restrizioni”, che si fonda sul principio in base al quale uno Stato membro non può imporre misure fiscali che possano costituire una barriera all’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato o che possano renderne l’esercizio meno attrattivo.

52 V. art. 7, L. 23 dicembre 1998, n. 448.

Annalisa Pace 115

ogni caso, non può essere superiore all’imposta dovuta in relazione al secondo acquisto. Anche in tal caso una lettura adeguatrice, che tenga conto della giu-risprudenza europea esaminata, dovrebbe consentire di riconoscere un simile beneficio anche a chi, dopo aver venduto l’immobile in Italia, ne riacquisti uno all’estero dove, ad esempio, si è trasferita la famiglia; unica condizione, però, è che egli continui a manifestare una qualche capacità impositiva in Italia visto che, trattandosi di un credito d’imposta che per espressa previsione normativa non dà luogo a rimborsi, è necessario essere titolare di tributi in Italia da cui poterlo portare in diminuzione

53.

5. Prime conclusioni

L’interesse manifestato dalla Corte di Giustizia sugli aspetti qui esaminati, ben lungi dall’esaurire il suo rilievo nel ristretto ambito fiscale, si ritiene che debba essere contestualizzato in quel costante ed incessante impegno della giu-risprudenza europea volto a garantire la tutela della famiglia.

Sempre nell’ambito della tutela delle libertà fondamentali, gli interventi del-la Corte a favore dei famigliari dei lavoratori mostrano un trend costante

54 dal quale emerge «l’importanza di garantire la tutela della vita familiare dei citta-dini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato»

55. La tutela della famiglia, sebbene sia conseguenziale alla tutela della libertà di

circolazione dei lavoratori (tutela che nella giurisprudenza della Corte di Giu-stizia ha da sempre un estremo rilievo), non per questo assume un carattere secondario. Come è emerso dalle esperienze giurisprudenziali che sono state richiamate, si tratta di un importante tassello di un puzzle complesso che ha,

53 Come la stessa Agenzia delle Entrate ha sottolineato con propria circolare (29 maggio 2013, n. 18/E, par. 3.11.1), il credito d’imposta può essere portato in diminuzione oltre che dei tributi dovuti sulla base del riacquisto anche dell’IRPEF dovuta in base alla prima dichia-razione successiva al nuovo acquisto ovvero alla dichiarazione da presentare nell’anno in cui è stato effettuato il riacquisto stesso ovvero in compensazione con i tributi e contributi dovu-ti ai sensi del D.Lgs. n. 241/1997.

54 Sul punto si rinvia alla ricca rassegna contenuta in RIMOLI (a cura di), Immigrazione ed integrazione, dalla prospettiva globale alle realtà locali, II, Napoli, 2014; in particolare si rinvia alla ricca rassegna di SCACCIA, La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea in tema di straniero, in Diritto all’Unità familiare, Cap. VI, p. 455.

55 Così sent. 11 luglio 2002, C-60/00, Carpenter, punto 38, confermata da sent. 25 luglio 2002, C-459/99, MRAX.

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come obiettivo ultimo, quell’esigenza di armonizzazione alla quale l’Unione la-vora fin dalla sua istituzione.

Lo confermano: l’adozione, da parte della Commissione, nel dicembre 2010, di una comunicazione sulla rimozione degli ostacoli fiscali transnazionali per i cittadini europei

56 e, a distanza di un anno, di un’altra comunicazione per com-battere gli ostacoli fiscali transnazionali in materia di successione, oltre ad altri importanti documenti

57. Si rammenta, ad esempio, che nell’aprile 2014 la Commissione ha indetto

due consultazioni pubbliche: la prima, per avere informazioni sui problemi fiscali incontrati dai cittadini europei quando operano attraverso i confini de-gli Stati dell’UE; la seconda, per conoscere analoghi problemi in materia di imposta di successione.

Sempre nell’aprile 2014 è stata emanata la Direttiva 58 sulle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei medesimi. Quest’ultima, in particolare, ha tra i suoi obiettivi assicurare l’uniforme accesso ai benefici sociali e fiscali ai lavoratori dell’U-nione e ai membri del loro nucleo familiare, nella circolazione all’interno del-l’Unione in applicazione e a salvaguardia di quelle libertà di movimento che il Trattato sul Funzionamento dell’Unione tutela.

La leva delle libertà europee, come è emerso, è di certo il più formidabile degli strumenti che si ha disposizione per raggiungere quella integrazione, non solo culturale, e quella parità di trattamento da parte degli ordinamenti giuri-dici degli Stati membri che sono insopprimibili anche nell’ambito fiscale.

A differenza di quello che si verificava in passato, infatti, la tassazione non è più una “faccenda privata” dello Stato membro e questo fenomeno di integra-zione fiscale, lo si percepisce chiaramente, ha nella famiglia uno degli attori più importanti.

56 COM (2010)769, Rimuovere gli ostacoli fiscali transfrontalieri per i cittadini dell’UE, che individua una serie di problemi fiscali transfrontalieri e suggerisce le soluzioni e le azioni che la Commissione avvierà, e, più in generale, annuncia l’intenzione della Commissione di pro-muovere la discussione sul tema tra gli Stati membri e i soggetti interessati.

57 La COM (2011)864 del 15 dicembre 2011, Eliminare gli ostacoli transfrontalieri legati alle imposte di successione nell’UE, una Raccomandazione (2011/856) sugli sgravi per evitare la doppia tassazione nelle successioni e un Working Paper (SEC 2011/1488) sulla medesima tematica.

58 Direttiva 2014/54/UE del 16 aprile 2014.

José A. Rozas 117

José A. Rozas

LA CONTRADDITTORIA EVOLUZIONE DEL DIRITTO TRIBUTARIO SPAGNOLO NELL’OTTICA DEL GIUSTO PROCESSO

THE CONTRADICTORY EVOLUTION OF SPANISH TAX LAW FROM THE PERSPECTIVE OF FAIR TRIAL

Abstract Nonostante la scarsa armonizzazione primaria in materia di processo tributario, in linea di principio lo sviluppo degli ordinamenti tributari nazionali europei dovreb-be essere ispirato dalle pronunce delle Corti internazionali e della Corte costituzio-nale a difesa dei diritti del contribuente ad un giusto processo e ad una buona am-ministrazione. Di particolare rilievo, al riguardo, è la problematica della prova della pretesa tributaria all’interno dell’accertamento (c.d. istruttoria “primaria”) e del pro-cesso tributario (c.d. istruttoria “secondaria”), la quale può trovare fertile ispirazio-ne nella giurisprudenza della Corte EDU. Nell’ordinamento tributario spagnolo, purtroppo, la tendenza dei più recenti svi-luppi normativi va in senso esattamente contrario a quanto affermato dalla giuri-sprudenza europea. La riforma della LGT del 2003 1, che è stata approvata per la

Questo articolo è il risultato della rielaborazione della relazione tenuta al V Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Tributario, su “Funzione tributa-ria e processo”, svoltosi a Torino, il 28 ottobre 2016, dove sono stato invitato a presentare una comunicazione in materia di “Ampliamento del sistema probatorio processuale secondo gli orientamenti CEDU”. Devo ringraziare il Consiglio direttivo dell’Associazione, ed in par-ticolare la Prof.ssa Coppa ed il Prof. Amatucci per questa opportunità; ancora devo ringra-ziare la Dott.ssa Anna Rita Ciarcia, per la sua collaborazione nella revisione linguistica, ed il Dott. Alessandro Turina, per la ricerca di bibliografia, ma non per la responsabilità del con-tenuto, che è soltanto mia.

1 Dal punto di vista delle fonte del Diritto processuale tributario il nostro ordinamento è fondamentalmente più semplice di quello italiano, dal momento che in Spagna vi è una Leg-ge generale tributaria (d’ora in poi LGT), che regola tutti i tributi, erariali, regionali e locali; il titolo terzo della Legge disciplina l’applicazione dei tributi, i principi e le norme comuni ai

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maggioranza delle Camere negli ultimi mesi della legislatura precedente (i.e. L. n. 34/2015) è chiaramente restrittiva dei diritti e garanzie del contribuente. La finalità di questo articolo è quella di analizzare l’armonizzazione giudiziale delle regole del diritto processuale tributario, alla luce della più recente evoluzione della normativa tributaria spagnola, al fine di evidenziare che, purtroppo, non appare suffi-ciente o, addirittura, può presentare il rischio di segnalare all’Amministrazione quali norme andrebbero riformate per rinforzare la sua posizione di parte nei procedi-menti e nei processi tributari. Sarebbe, dunque, auspicabile l’introduzione di uno “Statuto del contribuente europeo” per assicurare il diritto del contribuente ad una buona amministrazione tributaria. Parole chiave: giusto procedimento, buona amministrazione, diritto tributario spa-gnolo, armonizzazione fiscale, prova Despite the poor primary harmonization concerning the tax trial, in principle the deve-lopment of European countries’national tax systems should be inspired by the judgments of international and constitutional courts in defense of taxpayer’s rights to a fair trial and sound administration. In this respect, the problem of proving the tax claim during administrative investigations (so-called “primary” assessment) and during tax litigation (so-called “secondary” assessment) appears particularly important and it may find fer-tile inspiration in the ECtHR’s case law. In the Spanish tax system, unfortunately, the tendency of the latest regulatory develop-ments is going exactly in the opposite direction of what is expressed in European case law. The 2003 LGT reform, which has been approved by the majority in the Parlia-ment during the last months of the previous legislature (i.e. Law no. 34/2015), is clear-ly restrictive of taxpayer’s rights and guarantees. The purpose of this article is to analyze the judicial harmonization of rules on tax trial, in the light of the most recent evolution of Spanish tax law, in order to point out that, unfortunately, it does not appear sufficient or it even poses a risk to report to Tax Au-thorities which standards should be reformed for strengthening its position as a party in tax administrative and judicial proceedings. Therefore, it would be desirable to intro-duce a “European Taxpayer Bill of Rights” aimed at ensuring the right to be subject to a sound tax administration. Keywords: due process of law, good tax administration; spanish tax law; tax evidence, ECtHR’s case law

procedimenti d’accertamento, ispezione e riscossione; il titolo quarto è dedicato al Diritto sanzionatorio tributario e l’ultimo, il titolo quinto, regola la revisione amministrativa degli atti tributari. Nell’ultima riforma sono stati aggiunti a questi tradizionali cinque titoli, che provengono dalla prima Legge Generale Tributaria del 1963, un sesto, per quanto riguarda i passaggi processuale tra il procedimento tributario e quello penale nel perseguimento dei reati tributari, e l’ultimo, il settimo, che regola in forma specifica il procedimento di recupero degli aiuti di Stato, una volta dichiarati non dovuti dall’Unione Europea.

José A. Rozas 119

SOMMARIO: 1. La paradigmatica evoluzione dell’ordinamento processuale tributario spagnolo. – 2. Le preclu-sioni probatorie. – 3. La ragionevole durata dei procedimenti. – 4. Il diritto al processo e la regola del solve et repete. – 5. Il doppio binario nel reato fiscale. – 6. Dal diritto al giusto processo al dirit-to ad una buona amministrazione. – 7. Conclusioni.

1. La paradigmatica evoluzione dell’ordinamento processuale tributario spa-gnolo

La prima versione della nostra LGT viene dal lontano 1963 2. All’epoca, pro-

babilmente, non era priorità del legislatore preservare i diritti e le garanzie del contribuente nell’applicazione dei tributi. Dopo l’approvazione della Costitu-zione spagnola (1978) e due riforme della LGT (1985 e 1995), non efficaci nel cercare di equilibrare le posizione delle parte nei procedimenti, sono stati necessari vent’anni per arrivare all’approvazione di un vero Statuto del contri-buente, la L. 26 febbraio 1998, n. 1, Statuto dei diritti e garanzie dei contri-buenti.

Con l’inizio del nuovo secolo fu, infine, approvata la prima LGT dell’attua-le periodo costituzionale

3; la nuova legge ha mantenuto la struttura di quella del 1963 ed ha inserito nel suo interno le disposizioni contenute nella L. n. 1/1998 che, quindi, è stata abrogata.

Da quando sono in vigore le disposizione particolari che regolano i diritti e le garanzie del contribuente, prima con la L. n. 1/1998 e poi con la LGT del 2003, l’evoluzione della giurisprudenza ha rappresentato una vera sfida per l’Amministrazione tributaria, che ha avuto una percentuale di sconfitte giudi-ziali veramente significativa; dalle stime (non ufficiali) pubblicate si deduce che, tra la fase amministrativa e quella giudiziale dei ricorsi, tenendo conto della variabile costituita dall’assenza di cifre ufficiale, le sconfitte dell’Ammini-strazione sono circa del 50%

4. La litigiosità tributaria non si è fermata ma è cre-

2 V. L. 28 dicembre 1963, n. 230 (d’ora in poi, LGT 1963). 3 V. L. 17 dicembre 2003, n. 58 (d’ora in poi, LGT 2003). 4 A questa conclusione arriva ALONSO GONZÁLEZ, Propuestas para disminuir la litigiosidad

fiscal en España a la luz del Derecho comparado, Collegi Oficial de Gestors Administratius de Catalunya, 2014, p. 14; con riferimento agli autori che hanno fatto dei calcoli statistici sull’ar-gomento: PASTOR PRIETO-MARÍN-BARNUEVO FABO, La litigiosidad tributaria: un análisis ju-rídico y económico, in Estudios de Hacienda pública, IEF, 2005; FERREIRO LAPATZA (a cura di),

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 120

sciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni 5. Diversamente, nello stesso

periodo, non è cambiato molto né il modello normativo né quello organizza-tivo e funzionale per la risoluzione dei conflitti e delle controversie nei rapporti tributari. Al di là delle proposte volte, per esempio, a dare un carattere volon-tario alla fase amministrativa dei ricorsi

6, o ad introdurre un modello coopera-tivo nella risoluzione delle controversie

7, la verità è che il sistema spagnolo dell’amministrazione della giustizia tributaria è sempre rimasto lo stesso dal lontano 1963.

Dopo più di dieci anni dall’approvazione della nuova LGT del 2003, il Mi-nistero delle Finanze preparò un disegno di legge di riforma che, infine, è sta-to approvato con la L. 21 settembre 2015, n. 34. Questa riforma, relativamen-te al sistema dell’amministrazione della giustizia tributaria e al processo tribu-tario innanzi ai Tribunales económico-administrativos

8, non introduce nessun cambio significativo, nessuna modifica veramente sostanziale

9. Invece, quello che veramente è importante della riforma del 2015 è una

sorta di reazione dell’Amministrazione a fronte delle sconfitte che le sue pre-tese hanno subito innanzi ai Tribunali, come conseguenza del recepimento del-le norme sui diritti e sulle garanzie del contribuente

10. La justicia tributaria en España. Informe sobre las relaciones entre la Administración y los contribuyentes y la resolución de conflictos entre ellos, Madrid, 2005.

5 Nella fase amministrativa dei ricorsi, la memoria pubblicata dal Ministero delle Finanze registra un numero di ricorsi nel 2014 di 207.053, che, in confronto al numero registrato nel 1998, 161.291, indica una crescita di circa il 78% (http://www.minhafp.gob.es/Documentacion/ Publico/TEAC/Memorias%20TEAC/MEMORIA%202014%20TRIBUNALES%20ECONO MICO%20ADMINISTRATIVOS.pdf).

6 V. AEDAF, Propuesta de modificación del carácter preceptivo de la vía económico-admini-strativa, Papers, n. 7, 2012.

7 V. ESPEJO POYATO, Resolving Tax Disputes, in FMI, 2012. 8 Nel Diritto spagnolo la revisione degli atti tributari prevede una prima fase amministra-

tiva innanzi alla Commissione regionale (Tribunal económico administrativo regional) e/o alla centrale (Tribunal económico administrativo central) ed una seconda fase giudiziale, innanzi al giudice (juez contencioso administrativo) e/o alla Corte regionale (Tribunal Superior de Justicia) con una eventuale fase di cassazione – fino adesso molto rara – innanzi alla Corte di Cassazione (Tribunal Supremo).

9 V. LLORENS SELLÉS-VIRGILI MORENO, Los recursos y reclamaciones en vía económico administrativa, in AA.VV., Comentarios a la Ley General Tributaria al hilo de su reforma, Las Rozas (Madrid), 2016, pp. 351-405.

10 «También debe tenerse en cuenta que, en situaciones caracterizadas por la existencia de un conflicto previo, puede ocurrir que una modificación legislativa responda a la decisión de afianzar, mediante la misma, la posición mantenida por la Administración cuando ésta se ha visto perjudi-cada por determinadas decisiones jurisprudenciales». SOLER ROCH, Deber de contribuir y derecho

José A. Rozas 121

L’origine di questa riforma si rinviene in un progetto elaborato dalla Dire-zione generale dei tributi del Ministero delle Finanze nel 2013. Successivamen-te, nel 2014, una Commissione di esperti elaborò un rapporto sulla riforma del sistema tributario spagnolo

11 con l’incarico esplicito di non presentare, però, nessuna proposta sulla normativa generale dei tributi e sul processo tribu-tario, ma di concentrare la sua attenzione sulla regolamentazione speciale delle imposte. Il Consiglio di Stato ed il Consiglio della Magistratura nelle relazioni sul disegno di legge della riforma della LGT del 2015 hanno precisato che il contenuto della riforma proviene direttamente dal Ministero delle Finanze, sen-za l’intervento di altri protagonisti che partecipano alla formazione e tassazioni dei tributi: magistratura, commercialisti, avvocati e accademici

12. Il percorso parlamentare del progetto, conclusosi in estate, è stato velocissimo, senza di-scussioni rilevanti nelle Commissioni legislative e senza emendamenti sostan-ziali

13. Nei paragrafi successive si cercherà di evidenziare questa sconvolgente

conclusione: l’introduzione di una sorta di statuto del contribuente nella nor-mativa generale tributaria spagnola – nel 1998/2003 – ed il suo riconoscimento da parte della giurisprudenza tributaria ha provocato una reazione di difesa nell’Amministrazione tributaria, che ha promosso una riforma della LGT in- de propiedad en el ámbito de protección de los derechos humanos, in GARCÍA BERRO (dir.), Derechos fundamentales y Hacienda pública. Una perspectiva europea, Pamplona (Navarra), 2015, p. 42

11 http://www.minhafp.gob.es/es-ES/Prensa/En%20Portada/2014/Documents/Informe%20 expertos.pdf. Ultima consulta, 5 marzo 2017.

12 «La tramitación se ha llevado a cabo en el ámbito de la Secretaría de Estado de Hacienda. Concretamente, ha sido fruto de la colaboración conjunta de la Dirección General de Tributos (DGT) y sus órganos que se mencionan, el Tribunal Económico-Administrativo Central (TEAC) y la Agencia Estatal de Administración Tributaria (AEAT) y los órganos de esta entidad que se mencionan». Dictamen del Consejo de Estado sobre el Anteproyecto de reforma de la LGT, del 9 aprile 2015 (http://www.boe.es/buscar/doc.php?id=CE-D-2015-130#top). Sia il Consiglio di Stato che quello della Magistratura hanno ritenuto che numerosi articoli del disegno di legge non sono adeguati ad una concezione equilibrata del giusto processo alla luce della giuri-sprudenza europea e costituzionale. I loro pareri, purtroppo, non sono state tenuti in consi-derazione né dal Governo e né dalla maggioranza parlamentare che lo ha sostenuto.

13 Il 17 luglio del 2015 è stato pubblicato nel Bollettino ufficiale della Camera dei deputati la relazione agli emendamenti proposti dai deputati al progetto di legge presentato dal gover-no (http://www.congreso.es/public_oficiales/L10/CONG/BOCG/A/BOCG-10-A-146-3.PDF), soltanto quattro giorni dopo è stato approvato, praticamente senza alcun emendamento, l’intero progetto di legge (http://www.congreso.es/public_oficiales/L10/CONG/BOCG/A/ BOCG-10-A-146-4.PDF) e, infine il 16 settembre, dopo le vacanze estive, è stata approvata la legge (http://www.congreso.es/public_oficiales/L10/CONG/BOCG/A/BOCG-10-A-146-7.PDF).

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 122

dirizzata a rafforzare la sua posizione di parte nell’obbligazione tributaria ed a svuotare di contenuto i diritti inizialmente riconosciuti al contribuente. Cer-tamente, almeno, qualche disposizione in tal senso è sparita dai progetti mini-steriali, forse per paura di qualche condanna della Corte costituzionale o di quelle internazionali.

Una volta che l’Amministrazione ha capito i suoi punti deboli – a seguito di decisioni giudiziali che hanno dichiarato il suo agire contrario alla legge e, di conseguenza, hanno annullato gli atti impositivi da essa emanati – sembra che abbia deciso di attivarsi per far cambiare la legge nazionale: in spagnolo c’è un modo di dire per spiegare questo atteggiamento per risolvere i proble-mi: «muerto el perro, se acabó la rabia». Visto che la legge riconosce al contri-buente un livello di protezione che non s’adegua all’agire dell’Amministrazio-ne tributaria, la legge viene cambiata ed il problema, così, è risolto: l’Ammini-strazione continua a lavorare conformemente ai suoi interessi di parte, adesso, però, sostenuta da una legge che è stata modificata per ridurre il livello di pro-tezione e di garanzia dei diritti del contribuente.

2. Le preclusioni probatorie

Sia per la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che viene espressamente riconosciuta dall’art. 10, comma 2, della Costituzione spagno-la, sia dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea

14, che forma parte integrante del Diritto primario dell’Unione Europea, dalla entrata in vi-gore del Trattato di Lisbona del 2009, non si può negare l’applicazione della disciplina del giusto processo, o procedimento, nel Diritto tributario

15. Nell’evoluzione temporale della giurisprudenza della Corte Europea dei

Diritti dell’Uomo, ciò che è stato messo in discussione, in particolare con la Sentenza Ferrazzini16, è la possibilità di applicare questi principi nell’ambito del processo tributario; in virtù di interpretazione restrittiva dell’art. 6 CEDU, la Corte ha ritenuto, infatti, che non potesse applicarsi tale articolo alle liti fi-

14 V. DOCE, Serie C, 14 dicembre 2007, n. 303. 15 V. GREGGI, Il giusto procedimento nel diritto tributario europeo, in TASSANI (a cura di),

Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, Roma, 2009, pp. 173-193; DELLA VAL-LE, Il giusto processo tributario. La giurisprudenza della CEDU, in Rass. trib., n. 2, 2013, p. 435.

16 V. Ferrazzini c. Italia, GC, ricorso n. 44759/98, ECHR 2001-VII. BILANCIA-CALIFANO-DEL FEDERICO-PUOTI, Convenzione dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, Torino, 2014.

José A. Rozas 123

scali per l’esplicito riferimento della norma a «diritti e doveri di carattere civi-le ed all’accusa penale»

17. Più recentemente, infine, la Corte ha riconosciuto l’applicabilità dei principi del giusto processo anche alle procedure tributarie, sia quelle d’accertamento, che quelle di revisione e, soprattutto, quelle di na-tura sanzionatoria o tributario-penale

18. In materia di prova, nel disegno di legge di riforma della LGT emanato dal

Ministero 19 era previsto un nuovo comma dell’articolo relativo alla prova nei

procedimenti accertativi dei tributi che stabiliva una forte preclusione probatoria:

«Art. 106, comma 6 – Una vez realizado el trámite de audiencia o, en su caso, el de alegaciones, no podrá incorporarse al expediente ni ser tenida en cuenta más documentación acreditativa de los hechos en el procedimiento de aplicación de los tributos o en la resolución de recursos o reclamaciones, salvo que el obligado tributario demuestre la imposibilidad de haberla aportado antes de finalización de dicho trámite».

Questa regola, alla fine sparita dal progetto di legge, prevedeva, dunque, una rigida preclusione della prova non soltanto nella fase istruttoria, primaria e se-condaria, dell’accertamento, ma anche nella fase di revisione del debito tributa-rio. Tale limitazione appare assolutamente contraria al modo in cui si dovrebbe concepire la revisione amministrativa e giudiziale degli atti tributari, che non rappresenta solo una revisione degli errori collegati alla nullità o annullabilità dell’atto impositivo, ma che, invece, consiste in una vera e propria giurisdizio-ne piena che dovrebbe accertare (nel merito) con giudizio la verità.

La L. n. 34/2015 – ha modificata, in un altro senso, le regole della prova in ambito tributario per quanto riguarda la fattura

20:

17 V. DÍAZ RAVN, La jurisprudencia del Tribunal Europeo de Derechos Humanos en materia tributaria, Pamplona (Navarra), 2016, p. 46 ss.; MARTÍNEZ MUÑOZ, La aplicación del Convenio Europeo de Derechos Humanos en materia tributaria: un análisis jurisprudencial, Pamplona (Navarra), 2002; VAN BRUSTEM, L’art. 6.1 de la CSDEH et le contentieux fiscale: une exclusion fondée sur une especifité (de plus en plus) discutable, in Revue de Droit fiscal, n. 46, 2007.

18 V. per tutte, Jussila c Finlandia, CG, ricorso n. 73053/01, e Ravon c. Francia, ricorso n. 18497/03. GREGGI, The Protection of Human Rights and the Right to a Fair Tax Trial in the Light of the Jussila Case, in Intertax, vol. 35, Issue 11, 2007, p. 610. Per una ricostruzione teorica del problema v. PERRONE, Art. 6 della CEDU, diritti fondamentali e processo tributario: una rifles-sione teorica, in Riv. dir. trib., n. 10, 2013, p. 919.

19 Per chiarezza, nella presentazione del progetto così come emanato dal Ministero era in-dicato che: «Se precisa también el límite temporal en el que los obligados tributarios pueden apor-tar nuevas pruebas».

20 Si sottolineano le modifiche aggiunte nell’articolo precedente.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 124

«Art. 106, comma 4 – Los gastos deducibles y las deducciones que se practi-quen, cuando estén originados por operaciones realizadas por empresarios o profe-sionales, deberán justificarse, de forma prioritaria, mediante la factura entregada por el empresario o profesional que haya realizado la correspondiente operación que cumpla los requisitos señalados en la normativa tributaria.

Sin perjuicio de lo anterior, la factura no constituye un medio de prueba privi-legiado respecto de la existencia de las operaciones, por lo que una vez que la Administración cuestiona fundadamente su efectividad, corresponde al obligado tributario aportar pruebas sobre la realidad de las operaciones».

La modifica nel primo paragrafo è per lo più grammaticale, pertanto, rimane la tradizionale preclusione amministrativa della fattura come mezzo di prova, ovvero che essa non è ammissibile se non rispetta i requisiti stabiliti dalle nor-me tributarie

21. La seconda, invece, aggiunge una regola nuova all’onere della prova. Se l’Amministrazione “cuestiona fundadamente” l’effettività della fattu-ra, sarà il contribuente obbligato a provare, in un altro modo, la reale esistenza dell’operazione indicata in fattura. Non sarà ammessa, dunque, la sola fattura come unico mezzo di prova.

A questo punto si stabilisce una sorta di limitazione della prova particolare. La fattura ha perso, comunque, la sua validità nel momento in cui l’Ammini-strazione esprima qualche dubbio sulla sua congruità alla realtà commerciale. Da questa regola si potrebbe dedurre che, d’ora in poi, nell’attività commer-ciale il contribuente dovrà stare attento a precostituire la prova della sua atti-vità con altri mezzi di prova diversi dalle fatture, in virtù del fatto che, per leg-ge, l’Amministrazione può chiedere questo rafforzamento della prova quan-do, “fundadamente”, manifesti qualche dubbio sulla realtà di quello che viene indicato in fattura.

Un argomento molto dibattuto dalla dottrina italiana è la legittimità della preclusione del giuramento e della prova testimoniale nel processo tributario in virtù dei principi costituzionali del giusto processo

22. Sul punto il Diritto spa-gnolo non prevede tale preclusione così radicale, ma appare più garantista, al-

21 V. R.D. 30 novembre 2012, n. 169, sugli obblighi di fatturazione (https://www.boe.es/ boe/dias/2012/12/01/pdfs/BOE-A-2012-14696.pdf).

22 V. CIARCIA, La valutazione e l’utilizzo della prova nel processo tributario, Roma, 2013, p. 97. FORTUNA, Il divieto della prova testimoniale e il giusto processo tributario, in Il Fisco, n. 19, 2007, parte 1, p. 2715; Il divieto della prova testimoniale nel giudizio tributario dopo gli inter-venti della consulta sulla convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Il Fisco, n. 5, 2008, parte 1, p. 805. MANONI, Utilizzabilità di dichiarazioni di terzi quale possibile correttivo al divieto di prova testimoniale: quali riflessi sul diritto di difesa?, in Il Fisco, n. 46, 2014, parte 1, p. 4535.

José A. Rozas 125

meno formalmente. Non è permesso, infatti, all’organo di revisione processuale dell’atto amministrativo negare, per principio, la prova testimoniale, ma sol-tanto prevedere l’amissione di quelle attività probatorie ritenute “pertinente” per la prova dei fatti “relevantes”

23. Comunque, la discrezionalità dell’organo di re-visione – di natura amministrativa nel Diritto spagnolo – è considerevole. In realtà, nella pratica è poco frequente, direi quasi inesistente, questo tipo di prova.

3. La ragionevole durata dei procedimenti

Un altro principio basilare del diritto ad un giusto processo, come parte es-senziale del diritto ad un corretto agire dell’Amministrazione, nonché dell’ob-bligo dell’Amministrazione di svolgere in maniera adeguata le funzione e le potestà che le sono state riconosciute per garantire un sistema tributario effi-ciente e giusto, è rappresentato dal fattore tempo, ovvero la ragionevole dura-ta dei procedimenti e dei processi

24. L’Amministrazione dovrebbe fare uno sforzo continuo per svolgere il suo

lavoro limitando al massimo possibile gli inconvenienti per il contribuente 25,

tra i quali ci sono i disagi che sono frequenti in qualunque procedimento di accesso, ispezione o verifica.

A tal proposito la vecchia LGT del 1963 e la normativa amministrativa del procedimento d’ispezione, erano del tutto insensibile a questo discorso. La normativa prevedeva solo che la fase accertativa dell’Amministrazione si po-teva svolgere fino a che essa avrebbe raccolto tutte le prove necessarie per emanare l’atto amministrativo: i termini delle diverse fasi procedimentali era-

23 Art. 236, comma 4, LGT: «Las pruebas testificales, periciales y las consistentes en decla-ración de parte se realizarán mediante acta notarial o ante el secretario del tribunal o el funcionario en quien el mismo delegue que extenderá el acta correspondiente. No cabrá denegar la práctica de pruebas relativas a hechos relevantes, pero la resolución que concluya la reclamación no entrará a examinar las que no sean pertinentes para el conocimiento de las cuestiones debatidas, en cuyo caso bastará con que dicha resolución incluya una mera enumeración de las mismas, y decidirá sobre las no practicadas».

24 V. CARRASCO GONZÁLEZ, El derecho a una buena Administración: La exigencia de plazos razonables en los procedimientos tributarios, in GARCÍA BERRO (dir.), op. cit., pp. 169-194.

25 «La aplicación del sistema tributario se basará en los principios de proporcionalidad, eficacia y limitación de costes indirectos derivados del cumplimiento de obligaciones formales y asegurará el respeto de los derechos y garantías de los obligados tributarios» (art. 3, comma 2, LGT 2003).

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 126

no preclusivi, quindi, solamente per il contribuente. L’Amministrazione, dunque, non aveva alcun limite temporale nella fase istruttoria di accesso e di ispezione

26. Questa situazione viene modificata con la L. n. 1/1998, trasfusa, poi, nella

LGT 2003, con la quale viene fissato un limite temporale generale dei proce-dimenti di “gestión”, di sei mesi, ed un altro di 12 mesi, che si potrebbe esten-dere a 24, per quelli di “inspección”

27. Il termine era di decadenza per il proce-dimento di “gestión” ed invece si poteva prorogare in caso di interruzione giu-stificate o non causate dall’Amministrazione, per quanto riguarda quello di “inspección”. Questo cambiamento epocale ha obbligato i funzionari dell’Am-ministrazione tributaria a lottare contro il tempo nella loro attività, e ha pro-vocato un aumento dei contenziosi relativamente al corretto modo di applica-re le regole sul computo del tempo nei procedimenti d’ispezione; ciò ha por-tato all’annullamento, da parte degli organi della giustizia tributaria, di molti avvisi d’accertamento

28.

26 Art. 105, comma 2, LGT 1963: «La inobservancia de plazos por la Administración no implicará la caducidad de la acción administrativa, pero autorizará a los sujetos pasivos para reclamar en queja». Art. 42, R.D. 25 aprile 1986, n. 939, con il quale venne approvato il Reglamento general de la Inspección de los tributos: «Las actuaciones inspectoras se darán por concluidas cuando, a juicio de la Inspección, se hayan obtenido los datos y pruebas necesarios para fundamentar los actos de gestión que proceda dictar …».

27 Non è facile, dal punto di vista linguistico, spiegare l’iter procedimentale tributario spagnolo con le categorie italiane. Nel sistema spagnolo non esiste la Guardia di finanza ed, invece, c’è una chiara divisione nella struttura dell’Agenzia delle Entrate, ed anche nella or-ganizzazione dell’attività accertativa. Vi sono due Dipartimenti, uno, c.d., di “gestión”, che si occupa dell’accertamento e controllo formale di tutto quello dichiarato dai contribuenti, ed uno, c.d. di “inspección”, dove s’istruisce l’indagine in merito a tutto quello non dichiarato dai contribuenti, ed al controllo sostanziale di quello ormai dichiarato. Tra questi due Dipartimen-ti c’è la fase dell’accertamento di tutto quello dichiarato ma non liquidato nella forma che l’Amministrazione considera regolare e che termina con la “regularización” degli atti ammini-strativi d’accertamento, gli “avvisi d’accertamento” che possono essere emanati, con diversi li-miti e in diversi procedimenti (verificación, comprobación de valores, comprobación limitada, in-spección) sia da parte degli organi di “gestión” sia da parte di quelli di “inspección”. Una volta de-terminato l’importo del debito tributario, se non viene pagato, la riscossione esecutiva del-l’importo è affidata ad un terzo Dipartimento operativo dell’Agenzia dell’Entrate, quello di “re-caudación” che, invece, a differenza di quello che accadeva in Italia con Equitalia, non ha nessu-na responsabilità rispetto ai debiti non riscossi per l’Assicurazione pubblica sociale, che vengo-no regolati, liquidati e gestiti unilateralmente dall’Amministrazione della “Seguridad Social”.

28 Su questo argomento, v. dell’autore, La dimensión del tiempo en el actuar de la inspección, in Crónica Tributaria (IEF), n. 100, 2001, pp. 61-70 (http://hdl.handle.net/2445/55045); e, più recentemente, con tutti i dati della battaglia giudiziale a questo proposito, SESMA SÁN-CHEZ, Concepto y cómputo de las dilaciones en los procedimientos tributarios, in Nueva Fiscali-dad, n. 4, 2011, pp. 9-63.

José A. Rozas 127

La reazione dell’Amministrazione tributaria a questa lunga battaglia giudi-ziale sulla ragionevole durata dei procedimenti d’ispezione è stata chiara e ni-tida. Nella recente regolamentazione dei termini nel procedimento d’ispezio-ne sono stati limitati i diritti del contribuente a fronte di una azione ammini-strativa tempestiva. Da una regolamentazione del termino massimo del pro-cedimento amministrativo d’ispezione di 12 mesi, 24 nella caso di complessi-tà nell’attività istruttoria, siamo passati rispettivamente a 18 e 27 mesi. Nella pratica quasi sempre saranno 27 mesi, dal momento che questo termine si applica per tutti quegli enti obbligati a presentare, insieme ai propri conti, l’in-formativa di revisione

29. Oltre ad un termine generale così lungo, più di due anni d’ispezione, è pre-

visto, persino, la possibilità di estenderlo di altri tre o sei mesi per le c.d. “cau-se di estensione”. Una di queste cause è l’individuazione di mezzi di prova nuovi individuati dopo l’emanazione dell’avviso d’accertamento o della deci-sione di utilizzare’ l’accertamento sintetico presuntivo per mancanza di colla-borazione, o in presenza di una contabilità del tutto inattendibile.

Con questa regola si può dire che sia abbastanza, forse troppo, garantita la protezione dei poteri dell’Amministrazione di disporre in maniera tempestiva di tutti i mezzi di prova a disposizione del contribuente. Infatti, quando il con-tribuente presenta tardivamente le prove, il termine procedimentale viene al-lungato. La prima pretesa dell’Amministrazione di limitare la capacità di dife-sa del contribuente, e di conoscenza della verità per gli organi d’istruzione o revisione, stabilendo il divieto di presentare delle prove, anche durante la fase di revisione, oltre che nella fase endoprocedimentale d’udienza, si appalesa chiaramente contraria alle previsioni basilari dei diritti fondamentali del con-tribuente e di quello di un corretto agire dell’Amministrazione. Sul punto, la stessa Amministrazione che si appresa a presentare il disegno di leggi, ha final-mente capito, che era andata troppo oltre le sue pretese, ma, comunque, non lascia indifferente il significato delle sue pretese: limitare la capacità di difesa del contribuente, e la ricerca della verità.

Un’altra regola relativa alla ragionevole durata dei procedimenti è stata abolita con l’ultima riforma della LGT. Prima della riforma se l’organo d’ispe-zione interrompeva la sua attività per più di sei mesi, la conseguenza, stabili-ta dalla legge, era la decadenza del procedimento. La conseguenza che si

29 Sono tenuti a presentare l’informativa gli enti che per due anni presentano, almeno, due di questi dati: cifra d’affari superiore a otto milione d’euro, un patrimonio di più di quat-tro milioni d’euro, o più di 50 impiegati (R.D.L. n. 1/2010 legge sulle società di capitale); la parte più significativa dei procedimenti di ispezione ha come oggetto questo tipo di società.

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aveva, però era che la verifica precedente non avrebbero avuto efficacia dal punto di vista del computo dei termini complessivi di prescrizione del credi-to tributario. La legge di riforma ha giustificato l’abrogazione di questa rego-la per la sua mancanza di applicazione; la verità, però, è che dalla giurispru-denza si capisce che per l’abrogazione, abbia giocato un ruolo importante il proposito di restringere i diritti del contribuente, e non, invece, la sua man-cata applicazione.

Ancora è abbastanza chiara l’intenzione della riforma di estendere le facol-tà dell’ispezione a fatti di molto anteriori al fine di rideterminare la realtà. Nel nuovo art. 66 bis LGT 2003, oltre alla nuova redazione dell’art. 115, si preve-de “il diritto” – secondo la norma, quando in realtà si tratta del potere – del-l’Amministrazione di chiedere spiegazione al contribuente su fatti molto lon-tani nel tempo con conseguenze sull’accertamento di debiti tributari ancora non prescritti

30. In tal modo si andrà a modificare la qualificazione tributari di atti e negozi posti in essere in periodi già prescritti con l’obiettivo di accertare la non deducibilità di una spesa o l’imputazione di un reddito collegati ad atti e negozi, che hanno avuto applicazione nell’accertamento di debiti tributari che sono soggetti all’attività di ispezione.

Dalla riforma si vede con chiarezza che la volontà dell’Amministrazione non è accorciare, bensì estendere, la durata dei procedimenti d’ispezione e la retroattività del suo ambito a fatti e negozi conclusi in tempi molto lontani.

Per concludere questo discorso sul diritto del contribuente ad una durata ragionevole dei procedimenti e dei processi tributari, basti pensare alla esten-sione del tempo nella ricerca della res giudicata nella fase amministrativa, e del debito tributario in quella giudiziale, nel Diritto spagnolo. Dopo una fase istruttoria nell’ambito del procedimento di ispezione che si potrebbe facil-mente durare due anni e mezzo, arriva il primo avviso d’accertamento, che si potrebbe mettere in discussione nella fase amministrativa di revisione del suo contenuto (económico-administrativo) che potrebbe durare, in media, altri due anni e mezzo, sempre che non si decida di approfittare del diritto, rico-nosciuto dalla LGT del 1963, di ritenere rigettata la pretesa di parte dopo un anno della presentazione del ricorso, per effetto del silenzio amministrativo negativo. La fase giudiziale della lite (contencioso-administrativo), poi, dura

30 In questo caso è più che evidente la volontà dell’Amministrazione, con questa modifica della legge tributaria, di fermare una giurisprudenza contraria ai suoi interessi di parte (SSTS 2 febbraio e 20 settembre 2012, 4 novembre 2013, 6 marzo e 4 luglio 29014). Sull’art. 66 bis l’informativa del Consiglio Generale della Magistratura sulla riforma della LGT considera «po-co riguroso desde un punto de vista conceptual que se predique la imprescriptibilidad respecto de las facultades de comprobación e investigación». V. SOLER ROCH, op. cit., pp. 42-43.

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altri tre/quattro anni circa oltre, se è possibile, il giudizio in cassazione (altri 3 anni). Tutto sommato, siamo circa a dieci anni. Tempi giusti? Buona ammini-strazione?

4. Il diritto al processo e la regola del solve et repete

Un’altra manifestazione del diritto ad un giusto processo, sicuramente la più elementare, è il diritto, appunto, al processo. Nessun ordinamento giuri-dico rispettoso della clausola di Stato di Diritto, sicuramente non quello spa-gnolo, potrebbe negare il diritto del contribuente a discutere in sede giudizia-le la legittimità di una disposizione generale amministrativa o di un atto am-ministrativo. Dai tempi della LGT del 1963 la nostra normativa generale tri-butaria stabilisce, comunque, questo come principio generale

31. Questo riconoscimento non significa, però, di per sé stesso, che sia ad ogni

caso garantito l’accesso del cittadino alla giustizia di modo che si possa assicu-rare che il Diritto tributario ordinario nonché il sistema di amministrazione della giustizia tributaria, sia conforme alle esigenze di quello che la Costituzio-ne spagnola, all’art. 24, definisce “tutela giudiziale effettiva”. Non basta, quin-di, la sola tutela ma essa deve essere effettiva.

In questo senso, la riforma della LGT del 2015 ha consacrato in modo ve-ramente inspiegabile quello che già l’Amministrazione praticava, sebbene con-trariamente a qualche orientamento giurisprudenziale non del tutto chiaro. Una sorta di solve et repete che, sebbene non sia così definitiva, nelle sue con-seguenze funziona così.

Per sua natura, la giustizia amministrativa deve portare a rivedere quanto eccepito dall’Amministrazione ma non ad emettere un nuovo atto diverso da quello che è stato annullato. Una volta emessa la sentenza sulla fondatezza dell’atto amministrativo bisogna verificare le conseguenze che la decisione avrà sulle pretese eccepite da tutte e due le parti nel processo.

La decisione giudiziale – ed a questo punto non c’è bisogno di distinguere, nel Diritto spagnolo, se provenga o meno da un organo propriamente giurisdi-zionale o semplicemente amministrativo – si può muovere in tre sensi:

i) rigettare del tutto le pretese del contribuente;

31 Art. 6, LGT 2003: «El ejercicio de la potestad reglamentaria y los actos de aplicación de los tributos y de imposición de sanciones tienen carácter reglado y son impugnables en vía administra-tiva y jurisdiccional en los términos establecidos en las leyes».

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ii) accogliere del tutto le pretese del contribuente; iii) accogliere parzialmente le pretese del contribuente.

Nelle ultime due ipotesi, la lite non termina, per il contribuente, con l’an-nullamento della prima decisione amministrativa. Se il potere impositivo del credito tributario non si fosse prescritto nel frattempo, l’Amministrazione po-trebbe emettere un nuovo avviso d’accertamento; questo nuovo atto sarebbe emanato alla luce dei fatti provati nella fase contenziosa ed in conformità con l’interpretazione della normativa contenuta nella decisione giudiziale.

A questo punto, nel caso di accoglimento completo delle pretese del con-tribuente, la giurisprudenza spagnola ha individuato una, a mio parere debole, distinzione tra motivi “sostanziali” e motivi “formali”

32. I primi verrebbero a coincidere con una illegittima interpretazione delle norme tributarie di diritto materiale; i secondi sarebbero il risultato della mancata applicazione delle norme che regolano il divenire del procedimento o processo tributario, di di-ritto formale. Se le cause fossero della prima natura, l’Amministrazione non potrebbe emettere un nuovo avviso di accertamento. Se, invece, fossimo nel secondo caso, allora si potrebbe riprendere il procedimento dal momento in cui l’Amministrazione ha commesso l’errore segnalato dalla Corte, ripararlo, e “risanare” l’atto amministrativo annullato.

Nel caso dell’accoglimento parziale delle pretese del contribuente è chiaro che, in ogni caso, bisognerà emanare un nuovo avviso d’accertamento. A que-sto punto, sia per accoglimento parziale o sia per accoglimento totale per mo-tivi di forma, verrà emanato un nuovo avviso d’accertamento; il problema che si pone è quando individuare la data entro cui si potrà esigere il pagamento.

Se si considera il nuovo avviso d’accertamento, come ritiene l’Amministra-zione, come una correzione di quello precedente, la data per il pagamento sa-rebbe quella dell’atto dichiarato contrario alla legge. In ogni caso bisognereb-be versare gli interessi di mora per tutto il tempo trascorso dall’emanazione del primo avviso d’accertamento – attenzione, atto dichiarato nullo dall’orga-no amministrativo o da quello giudiziale – ed il pagamento del nuovo avviso d’accertamento rivisto alla luce della decisione giudiziale. Voglio dire, dai due ai … dieci anni di ‘interessi di mora’. E questo quando hai vinto la causa!

Questo è quello che attualmente, dopo qualche sconfitta dell’Amministra-zione

33, stabilisce con chiarezza il secondo paragrafo del nuovo comma 7 del-l’art. 150 LGT 2003:

32 V. per tutte, le SSTS dell’11 febbraio 2010, 19 novembre 2012, 15 e 29 settembre 2014. 33 V. STS del 14 giugno 2012.

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«Se exigirán intereses de demora por la nueva liquidación que ponga fin al procedimiento. La fecha de inicio del cómputo del interés de demora será la misma que, (…), hubiera correspondido a la liquidación anulada y el interés se devengará hasta el momento en que se haya dictado la nueva liquidación».

A questo punto, la legge tributaria stabilisce che il contribuente dovrà ver-sare quello che nel Diritto civile si chiama la “mora creditori”, ovvero quella che proviene della mancanza di diligenza del creditore. L’Amministrazione tributa-ria ha emesso un avviso di accertamento, così viziato da essere dichiarato con-trario alla legge, sia per motivi sostanziali, sia per motivi formali, come distingue la giurisprudenza spagnola. Il processo tributario per la revisione dell’atto, di-chiarato, dall’organo amministrativo, contrario alla legge, termina con l’annul-lamento del primo avviso di accertamento che viene sostituito da uno nuovo, adesso, conforme al Diritto. La LGT 2003, così come riformata nel 2015, sta-bilisce che sarà il contribuente – che non ha fatto altro che subire l’illegittima attività dell’Amministrazione, ed il penoso percorso giudiziale per vedere ri-conosciuti i propri diritti – quello che dovrà versare la compensazione econo-mica per il danno patrimoniale che tutto ciò ha prodotto all’Erario.

Un vecchio adagio latino afferma che nemo auditu propiam turpitudinem al-legans … tranne l’Amministrazione tributaria spagnola che, persino quando ha sbagliato nell’emanazione di un avviso d’accertamento dichiarato nullo dall’or-gano giudiziale, può richiedere al contribuente gli interessi di mora per il pa-gamento intempestivo del debito tributario, la riparazione del danno patrimo-niale causato dalla stessa Amministrazione, per la sua mancanza di diligenza nella formazione del primo avviso d’accertamento

34. La conclusione di questo “romanzo” legislativo è chiara. Se, veramente, nel

Diritto tributario spagnolo si contempla la possibilità di sospendere l’esecu-zione del credito tributario quando la sua legittimità si discute in sede ammi-nistrativa o giudiziale, la realtà è che quella sospensione costituisce un rischio patrimoniale straordinario. Persino quando il contribuente riesce, dopo anni, a vincere la causa, si espone a un nuovo avviso d’accertamento nel quale gli sa-ranno richiesti gli interessi di mora. Comunque, tra il pagare prima e il pagare dopo, conviene sempre farlo prima e dopo, ma solo dopo, discutere con l’Am-ministrazione: solve et repete.

34 V. BAEZA DÍAZ-PORTALES, Retroacción de actuaciones, defectos formales e intereses de demora, in BOSCH (ed.), Comentarios a la Ley General Tributaria al hilo de su reforma, Las Rozas (Madrid), 2016, p. 301.

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5. Il doppio binario nel reato fiscale

Nel Diritto spagnolo, da quando sono stati disciplinati con la riforma tri-butaria della democrazia, dell’anno 1977, i reati fiscali, c’è stata sempre una certa confusione dal punto di vista formale tra l’autonomia del procedimento di ispezione ed il processo penale, tra l’istruttoria amministrativa e quella giu-diziale tributaria. Quello che si definisce, nella dottrina italiana, come “il dop-pio binario”

35. Dopo diverse vicende, e senza una soluzione che possa soddisfare tutte le

parte coinvolte in questo complesso incrocio del Diritto processuale con quello tributario e quello penale, la riforma della LGT del 2015 ha dedicato tutto un nuovo titolo della legge, il sesto, a stabilire delle regole specifiche per questi casi.

Probabilmente la maggiore difficoltà per risolvere in modo semplice ed ef-ficiente la questione, deriva della circostanza che, in questi processi, parteci-pano figure professionali che parlano, ognuna, linguaggi un po’, o molto, diffe-renti. Dalla parte dell’Amministrazione ci sono gli ispettori delle finanze – pra-ticamente tutti laureati in Economia, e non in Giurisprudenza – e gli avvocati dello Stato. Dalla parte penale c’è la procura ed i magistrati. Nel mezzo, il con-tribuente, normalmente accompagnato dalla sua “squadra” legale nella quale convivono penalisti e commercialisti. È evidente che ogni professionista vede le cose dal suo particolare punto di vista e cerca di portare la causa all’interno del suo specifico settore, dove si sente più al sicuro.

La soluzione legale si può qualificare in diversi modi, tranne uno: non è, per niente, semplice, anzi, è veramente complesso e spesso utilizzata, dunque, solo a fare incrementare le cause. Infatti gli avvocati sono molto contenti di questa riforma in quanto è abbastanza chiaro che farà crescere la loro cliente-la. In ogni scelta che ha dovuto fare il redattore della riforma il cammino se-guito è stato quello di limitare i diritti del contribuente e di rafforzare le pre-rogative dell’Amministrazione, nell’accertamento e nell’esecuzione del credi-to tributario, cercando sempre di evitare la presenza del giudice amministrativo.

La regola, fino ad ora, seguita dal legislatore spagnolo, era quella di, in pre-senza di una notitia criminis, sospendere il procedimento amministrativo ed aspettare la fine di quello penale per riattivare, o chiudere in modo definitivo, quello amministrativo. Invece adesso, non è più così. L’ispettore deve emana-

35 Non si può approfondire questo argomento in Diritto tributario spagnolo senza consul-tare la monografia di ESPEJO POYATO, Administración tributaria y jurisdicción penal en el delito fiscal, Madrid, 2013.

José A. Rozas 133

re un primo avviso d’accertamento con una prima liquidazione del debito tri-butario che avrà, da quel momento, efficacia esecutiva, senza ricorso davanti al giudice amministrativo ed prescindere dal procedimento penale. Soltanto il giudice penale potrebbe, e con limiti legali, sospendere il pagamento di questa prima liquidazione.

La motivazione per limitare il diritto al ricorso contro questo primo avviso di accertamento, sarebbe il carattere cautelare, nell’attesa della decisione del giudice penale. Ma, alla fine, il risultato è che bisogna pagare in assenza di co-sa giudicata.

Un altro modo per rafforzare l’esecuzione e la riscossione del debito tribu-tario è la limitazione della libertà da parte del giudice penale, della sua indipen-denza, per quanto riguarda la sospensione della pena di privazione di libertà (ovvero la prigione). Se il contribuente viene condannato con sentenza penale per un reato fiscale, nel Diritto spagnolo il giudice può evitare al delinquente di andare in galera solo in alcuni casi: ad es. quando la condanna è di meno di due anni ed è la prima condanna per quel delinquente. Dal 2015, nel caso di reato fiscale, il giudice soltanto può evitare al contribuente, il delinquente, di andare in galera quando abbia proceduto al pagamento integrale del debito tri-butario.

Un ulteriore esempio del modo in cui la riforma ha voluto limitare i diritti del contribuente nella fase del procedimento di ispezione, che può sfociare in un processo penale, è l’aver aggravato la sanzione, a carico del contribuente, per mancata collaborazione, nella fase istruttoria, con gli ispettori delle finanze. In senso giustamente contrario a quello proposto da parte della dottrina, per conciliare il diritto a non dichiarare contro se stesso, è la garanzia dell’eserci-zio dei poteri amministrativi per l’accertamento della verità

36. A questo pro-posito, il modo sicuramente più semplice per evitare il contrasto con le regole del giusto processo, per quanto riguarda il diritto a non fornire dichiarazioni contro se stesso, e l’obbligo di collaborare con gli ispettori nella fase istrutto-ria del procedimento d’accertamento nonché nel passaggio tra il procedimen-to tributario amministrativo e quello penale, consiste nell’abrogazione delle sanzione per mancata collaborazione. Tuttavia ciò non si è verificato, anzi, le sanzioni, a mano a mano, sono diventate più pesante.

36 V. HERRERA MOLINA, Los derechos a guardar silencio y a no declarar contra sí mismo en el procedimiento inspector, in Impuestos, 1997, II. LÓPEZ DÍAZ, El derecho a no autoinculparse y a no declarar contra sí mismo en el procedimiento sancionador en materia tributaria, in XIX Jornadas Latino-americanas de Direito Tributário, Lisboa, 1998.

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6. Dal diritto ad un giusto processo al diritto ad una buona amministrazione

Il cambio che si vorrebbe nella costruzione di un Diritto processuale tribu-tario veramente all’altezza di quello che dovrebbe essere un ordinamento giu-ridico rispettoso della clausola dello Stato di Diritto, sarebbe quello di svilup-pare in modo adatto il ruolo istituzionale dell’Agenzia dell’Entrate come un servizio a disposizione del cittadino nella cura dell’Erario. La questione non è tanto che il contribuente venga tutelato, con i suoi diritti fondamentali, nella risoluzione dei conflitti con l’autorità amministrativa ma, soprattutto, che nel-l’attività ordinaria del rapporto d’imposta i procedimenti amministrativi e l’at-tività dei funzionari responsabili vengano indirizzati non solo a ricostruire in modo preciso gli auto accertamenti volontari ed a punire gli errori commessi nella fase precedente al controllo dell’adempimento degli obblighi tributari, ma anche ad aiutare il contribuente in ogni passaggio del debito tributario.

In questo senso, sono tanti e di diverso ordine i principi e le regole che do-vrebbero informare l’ordinamento del Diritto processuale tributario, nel ri-spetto di quello che si può definire come il diritto ad una buona amministra-zione

37. Insisto, non tanto dal punto di vista avversativo, nella logica del dirit-to di difesa del contribuente “ferito” o leso dall’attuazione amministrativa, ma dal punto di vista, più costruttivo, della preoccupazione dell’Amministrazione di offrire a tutti un servizio di qualità per riuscire a sviluppare le sue funzione nel modo più efficiente e equitativo possibile, in modo tale che ognuno vera-mente versi quello che deve versare in base alla propria capacità contributiva. Soltanto a titolo d’esempio, oltre a quelli già citati nei paragrafi precedenti, si possono riportare tre manifestazione di buona, o cattiva, amministrazione: a) il contradittorio endoprocedimentale; b) la ragionevolezza come criterio di decisione nell’ambito della prova; e c) la proporzionalità come misura dei mezzi di prova

a) Il contradittorio endoprocedimentale

L’ispirazione per comprendere cosa significhi il diritto ad una buona am-ministrazione deriva, chiaramente, da cosa significa il diritto ad un giusto pro-cesso. Con le dovute particolarità che derivano dalle naturale differenza tra un processo penale strettamente garantista e dove si gioca con la libertà, il dono

37 MALHERBE, La buena Administración en Derecho fiscal: Los derechos fundamentales, in FERNÁNDEZ MARÍN-FORNIELES GIL (eds.), Derecho comunitario y procedimiento tributario, Bar-cellona, 2010, pp. 271-291.

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più prezioso dopo la vita, ed un processo amministrativo di massa, all’interno del quale si cerca di accertare l’importo del contributo dovuto alla spesa pub-blica, la realtà è che il cuore di tutte due è essenzialmente lo stesso.

L’art. 6 CEDU sancisce il diritto al contraddittorio nel Diritto processale che, chiaramente, si può estendere, anche, alla fase endoprocedimentale

38. Que-sto diritto al contraddittorio oltre ad essere una garanzia dei diritti del contri-buente ad un giusto processo o procedimento, si può vedere anche come una manifestazione del diritto ad una buona amministrazione, la cui origine si rin-viene nel Diritto della Unione Europea, tramite le tradizione giuridiche dei suoi Stati membri

39. Allo stesso modo, può essere espressione del bisogno del-l’Amministrazione alla collaborazione con il contribuente per lo svolgimento efficace e giusto della propria attività di accertamento

40. Nel Diritto spagnolo non è stata recepita questo orientamento italiano

41 del diritto al contradittorio, inteso come l’obbligo dell’Amministrazione a dialo-gare col contribuente, tramite istituti partecipativi (ad es. la richiesta di chia-rimenti), nella fase di controllo amministrativo indirizzata alla ricostruzione della verità, come «strumento diretto a garantire non solo il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva»

42. Infatti, nella fase endoprocedimentale viene riconosciuto solo un laconico diritto ad essere ascoltato (derecho de audiencia) ma non ad essere contradetto. Invece,

38 V. della CEDU, Ravon, Jussila, già quotate, e Chambaz c. Switzerland, ricorso n. 1163/04 e sentenza Sopropè, C-C-349/07, della Corte di Giustizia UE oltre par. 4. V. AMATUCCI, Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 275. MULEO, L’applicazione dell’art. 6 CEDU anche all’istrut-toria tributaria a seguito della sentenza del 21 febbraio 2008 della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Ravon e altri c. Francia e le ricadute sullo schema processuale vigente, in Riv. dir. trib., n. 7-8, 2008, p. 198. IORIO, Il diritto al contraddittorio secondo la CGUE fra Carta dei diritti fondamentali dell’UE e normativa doganale, in INGROSSO-FIORENTINO (a cura di), I tri-buti nella giurisprudenza delle Corti, Napoli, 2015, p. 365. I diritti fondamentali del contri-buente non sarebbero veramente garantiti in modo ragionevole se soltanto venissero rispet-tati e protetti nella fase processuale e non, invece, nel procedimento amministrativo.

39 In realtà la giurisprudenza europea «afferma che il diritto ad una buona amministrazione rientra tra i principi generali dello Stato di diritto comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri» (PICCOLO, Il contraddittorio nel diritto comunitario e nelle esperienze europee comparate, in TASSANI (a cura di), op. cit., p. 217, n. 40). MAZZAGRECO, I limiti all’attività im-positiva nello Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2011, p. 70.

40 V. STRIANESE, La tax compliance nell’attività conoscitiva dell’Amministrazione finanzia-ria, Roma, 2014; SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990.

41 V. FANTOZZI, Diritto tributario. Violazioni del contradditorio e invalidità degli atti tributa-ri, Torino, 2012.

42 Sentenza della Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184.

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nel Diritto processuale civile, il diritto ad essere ascoltato – de audiencia – viene inseparabilmente legato al diritto ad essere contradetto – al contradictorio – dal momento che, un diritto a presentare osservazioni – alegaciones nella espressio-ne spagnola – a cui non fa seguito un vero diritto a sentire l’opinione dell’Am-ministrazione su quello che è stato detto, sarebbe un diritto senza contenuto vero. Non serve a niente argomentare se l’Amministrazione fa finta e non si prende la responsabilità di contro dedurre. Sarebbe uno strano diritto di esse-re ascoltato come vengono ascoltati i pazzi. Il diritto sancito dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea è quello “di essere ascol-tato”: come posso sapere che sono stato ascoltato se nella risposta, ovvero nell’atto amministrativo, non si trova traccia dei miei argomenti

43?

b) La ragionevolezza come criterio di decisione nell’ambito della prova

La giurisprudenza britannica fa una distinzione, secondo me utile anche in materia di prova, tra razionalità – rationality – ed ragionevolezza – reasonable-ness – dal momento che nella valutazione dei mezzi di prova utilizzati dal con-tribuente nel processo bisognerebbe fare un’analisi della logica (rationality) che ci sia tra i fatti e le conseguenze – causa ed, effetto – ma, anche, una giustifica-zione proporzionale (reasonableness) di quello che si vuole dimostrare.

Per esempio, nell’ambito dei prezzi di trasferimenti in una operazione di ristrutturazione societarie bisognerebbe dimostrare la logica imprenditoria-le delle decisione prese (rationality) e dimostrare, con dei mezzi di prova suf-ficienti, che quella logica ha una base certa nella realtà commerciale (reaso-nableness)44.

La prova dei fatti, comunque, deve essere adatta a quello che si vuole di-mostrare. Non si tratta tanto di una questione di quantità bensì di qualità. La logica, rationality, di quello che viene richiesto dall’Amministrazione al contri-buente per ricostruire la verità di quello che è successo la dovrebbe capire chiunque. Quello che non si può spiegare normalmente obbedisce ad una lo-gica che non è quella di garantire la protezione degli interessi generali, della comunità, ma quella di servire agli interessi corporativi, dei funzionari che ge-stiscono i procedimenti.

43 Nel Diritto portoghese si stabilisce, giustamente, così nell’art. 60,comma 7, della Lei General Tributaria: «Os elementos novos suscitados na audição dos contribuintes são tidos obligatoriamente em conta na fundamentação da decisão». Sull’argomento vedi PICCOLO, op. cit., p. 202.

44 V. CAÑABATE, Precios de transferencia en las operaciones de reestructuración empresarial, Madrid, 2016.

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Quando, per esempio, il diritto spagnolo chiede ad un qualsiasi ente sog-getto all’Imposta sui redditi delle persone giuridiche, con rapporti di vincolo corporativo con un’altra società all’estero, la documentazione relativa ai prezzi di trasferimento, che nell’ambito dell’OCSE solamente viene richiesta a quelle multinazionali, MNEs, con una cifra d’affari superiore ai 750 milioni di euro, è evidente che sta andando al di là di quello che è ragionevole. La documenta-zione, la c.d. informativa country-by-country, soltanto può essere richiesta a quest’ultima categoria di società di grandi dimensioni. Non ha senso, ed è contrario alla logica di una buona amministrazione, chiedere buona parte di queste informazione a qualsiasi società con vincoli all’estero, caricando in maniera straordinaria di obblighi inutile e molto costosi quelle che non sono in una situazione di rischio d’evasione.

c) La proporzionalità come misura dei mezzi di prova

In questo stesso senso, un altro principio, riconosciuto in ambito europeo, chiamato a regolamentare l’attività istruttoria dell’Amministrazione e le rego-le sulla prova tributaria, è quello della proporzionalità nei procedimenti tribu-tari

45, che nella giurisprudenza costituzionale, europea e della CEDU, gioca un ruolo fondamentale come limite alla potestà impositiva degli Stati

46. Nel Di-ritto spagnolo, per esempio, dal 2012 sono stati stabiliti obblighi specifici d’in-formazione sugli attivi del contribuente residente con reddito prodotto all’e-stero, con pesantissime conseguenze sanzionatorie nel caso di mancata pre-sentazione, o inadeguatezza, delle dichiarazioni47. Un esame della proporzio-nalità di questi obblighi, alla luce delle disposizione di scambio automatico d’informazioni finanziaria tra gli Stati membri dell’Unione Europea e quelli

45 V. PETRILLO, Il principio di proporzionalità nell’azione amministrativa di accertamento tri-butario, Roma, 2015; «In particolare, già nella citata giurisprudenza degli anni ’80 era ravvisa-bile la connessione tra la proporzionalità e alcune problematiche tributarie oggi al centro del-l’attenzione della dottrina: il regime delle prove e l’uso delle presunzioni, l’effettività dell’e-sercizio del diritto alla prova contraria, l’efficacia dei controlli» (MONDINI, Principio di pro-porzionalità ed attuazione del tributo: verso la costruzione di un principio generale del procedi-mento tributario, in T. TASSANI (a cura di), op. cit., p. 80); TEJERIZO LÓPEZ, El principio de pro-porcionalidad y los procedimientos tributarios, F. FERNÁNDEZ MARÍN-FORNIELES GIL (eds.), Derecho comunitario y procedimiento tributario, Barcellona, 2010, pp. 87-105.

46 V. FONTANA, Diritti fondamentali e «giusta» imposizione nella giurisprudenza delle Corti nazionali e dei Giudici europei, in INGROSSO-FIORENTINO (a cura di), op. cit., p. 297.

47 V. ALARCÓN GARCÍA, La obligación tributaria de información sobre activos en el extranjero, Madrid, 2016.

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firmati sulla base degli accordi OSCE sul Common Standard Exchange of In-formation, rivela che la maggior parte dei detti requisiti non è necessaria – per-ché già in possesso dell’Amministrazione – e che, invece provoca un importan-te costo di adempimento a carico del contribuente – tax compliance cost – senza che si traduca, poi, in un miglioramento sostanziale dell’informazione ammini-strativa necessaria per l’accertamento dei debiti tributari.

In termini di proporzionalità questi obblighi vanno al di là di quello che è idoneo, necessario e proporzionale in senso stretto. Se l’Amministrazione è già in condizione di conoscere le informazioni finanziarie relative ai redditi esteri del contribuente, per il tramite dello scambio automatico di informazione con fini tributari, da quei Paesi dell’Unione Europea, o dagli altri che applicano i procedimenti di trasparenza delle informazioni, non si dovrebbero richiedere a nessun altro tali dati. Invece, per esempio, sarebbe ragionevole chiedere al con-tribuente informazioni su beni per i quali, alla data odierna, non gli viene richie-sta alcuna informazione o che, tra l’altro, non rientrano nello scambio automa-tico con altri paesi, come, per esempio, l’oro d’investimento o gli oggetti d’arte.

7. Conclusioni

L’esperienza spagnola nel recepimento dei diritti del contribuente nella realtà normativa ed applicativa del Diritto processuale tributario non è proprio soddisfacente. Dalla vecchia legge generale tributaria del lontano 1963, nella quale non si contemplava in alcuno modo uno statuto del contribuente, fino alla L. n. 1/1998, in tema di diritti e garanzie del contribuente, sono stati re-cepiti nel nostro ordinamento tributario generale una serie di principi e nor-me che si possono concepire come quello che nel Diritto anglo-americano si definisce come taxpayers bill of rights

48. Purtroppo, l’evoluzione nella pratica di queste regole e principi, diritti e ga-

ranzie del contribuente nel procedimento tributario, ha generato una grande conflittualità tributaria ed una notevole giurisprudenza nella risoluzione di queste liti. L’Amministrazione, tante volte sconfitta in conseguenza dell’appli-cazione dello statuto del contribuente, ha cercato ed, alla fine, è riuscita a far approvare, una riforma della LGT, quella della L. n. 34/2015, chiaramente re-strittiva dei diritti dei contribuente. La nuova legge è tesa a rafforzare la posi-

48 V. BAKER-PISTONE, General Report, in The Practical Protection of Taxpayers’fundamental Rights, Cahiers de Droit Fiscal International, vol. 100, n. 2, 2015, pp. 17-68.

José A. Rozas 139

zione dell’Amministrazione nello svolgimento dei rapporti d’imposta, a garanti-re il pagamento cautelare del debito tributario ed a rendere più difficile la fase contenziosa delle decisione amministrative, per quanto riguarda l’accertamen-to, la liquidazione e la riscossione del credito tributario.

L’unico modo per stravolgere questa evoluzione negativa del Diritto pro-cessuale tributario spagnolo sarebbe attraverso una vera armonizzazione eu-ropea, attenta non soltanto a proteggere l’integrità del credito tributario rico-noscendo alle Amministrazioni tributarie i giusti strumenti di lotta contro la frode fiscale – come lo scambio automatico di informazioni o le regole armo-nizzate sull’abuso del Diritto – ma anche a tutelare il contribuente nei suoi di-ritti alla buona amministrazione, come viene stabilito dall’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea

49, inserita nel Diritto primario europeo attraverso il suo riconoscimento nell’art. 6, comma 1, TUE. Una Di-rettiva sullo statuto del contribuente europeo

50, a questo proposito, potrebbe fissare, insieme a dei principi generali come la ragionevolezza e la proporzio-nalità degli obblighi e doveri formali del contribuente, delle regole precise in materia di, per esempio:

– prescrizione del debito tributario; – decadenza dei procedimenti; – mezzi di prova; – durata ragionevole dei procedimenti; – potere dell’Amministrazione tributaria nella fase istruttoria dei procedi-

menti di controllo, accertamento e riscossione.

49 «Diritto ad una buona amministrazione: 1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione.

2. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato, prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio;

– il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legit-timi interessi della riservatezza e del segreto professionale;

– l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati

dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai prin-cipi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

4. Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del tratta-to e deve ricevere una risposta nella stessa lingua».

50 «Nella giurisprudenza comunitaria, infatti, non c’è, o almeno non c’è ancora, la consa-pevole affermazione di uno statuto dei diritti del contribuente europeo, perché non c’è anco-ra la percezione di un contribuente europeo, di uno status connesso non alla qualità di fattore della produzione ma alla cittadinanza europea» (MONDINI, op. cit., p. 96).

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 140

La realtà è che l’Amministrazione non concepisce la sua funzione di accer-tamento come ricerca collaborativa della verità, ma come ricostruzione con-traddittoria del debito tributario, con finalità di riscossione e punitiva. In que-sto senso si percepisce una approssimazione negativa dell’Amministrazione nell’attuazione dei diritti del contribuente, visti come qualcosa che interferi-sce con il proprio obiettivo di ricercare redditi occultati o non dichiarati, d’accordo con la legge. Invece, bisognerebbe superare questa visione contra-stante del rapporto tributario inteso come un confronto tra gli interessi gene-rali, perseguiti dai funzionari dell’Amministrazione tributaria, e quelli dei cit-tadini, ma addivenire ad una visione collaborativa del rapporto tributario che si potrà realizzare soltanto con il lavoro e la partecipazione del contribuente – e dei suoi rappresentanti – nelle fasi di accertamento, liquidazione e riscos-sione del debito tributario 51. Occorre considerare il diritto al giusto processo o procedimento come parte integrante del diritto ad una buona amministra-zione, di qualità. Mentre sto per chiudere questo articolo, è intervenuto in merito il Magistrato José Diaz Delgado, della Corte spagnola di Cassazione, con un magnifico parere 52 e con una proposizione in linea con quanto detto in precedenza: “plantear cuestión prejudicial al Tribunal de Justicia de la Unión Europea, sobre la compatibilidad de los preceptos legales cuestionados con lo dispuesto en el artículo 47 de la Carta Europea de Derechos Fundamentales que consagra el derecho a la tutela judicial en un plazo razonable y a través de un juicio justo, donde impere el principio de igualdad de armas en el proceso”.

51 Cfr. dell’autore Los sistemas de relaciones cooperativas: una perspectiva de Derecho com-parado desde el sistema tributario español, in Documentos de trabajo del IEF, n. 6/2016; CAL-DERÓN CARRERO e QUINTAS SEARA, Cumplimiento tributario cooperativo y buena gobernanza fiscal en la era BEPS, Cizur Menor, 2015.

52 Sentenza n. 525 del 27 marzo 2017.

Alessandro M. A. Tropea 141

Alessandro M. A. Tropea

IL LIMITE AL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI AVENTI NATURA TRIBUTARIA

THE LIMITATION TO THE RIGHT OF ACCESS TO TAX ADMINISTRATIVE DOCUMENTS

Abstract La trasparenza dell’attività amministrativa è un canone generale dell’azione della Pubblica Amministrazione. La principale applicazione di questo principio consen-te di disporre delle informazioni relative all’agire pubblico, anche mediante l’acces-so ai documenti amministrativi. Tuttavia, l’ordinamento dell’Unione Europea e quello degli Stati membri disciplinano, seppur diversamente, il limite all’ostensio-ne dei documenti aventi natura tributaria, con lo scopo di tutelare il preminente in-teresse fiscale. Parole chiave: interesse fiscale, trasparenza amministrativa, attività istruttoria, do-cumenti amministrativi, diritto di accesso Administrative transparency is a general objective of Public Administration. The main practical implementation of this principle allows the availability of information linked to public activities, also through the access to administrative documents. However, the European Union and the legal systems of Member States limit, although differently, the access to documents having a tax nature, with the aim of protecting the paramount tax interest. Keywords: tax interest, administrative transparency, preliminary investigations, ad-ministrative documents, right of access

SOMMARIO: 1. Il diritto di accesso e le sue eccezioni nell’ordinamento dell’Unione Europea. – 2. L’accesso agli atti nell’ordinamento italiano: diritto ed eccezioni. – 3. Il limite all’accesso dei documenti tributa-ri come tutela dell’interesse fiscale. – 4. Spunti giurisprudenziali in materia di accesso agli atti tri-butari – 5. Conclusioni.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 142

1. Il diritto di accesso e le sue eccezioni nell’ordinamento dell’Unione Europea

Nella formulazione originaria del diritto dell’Unione Europea, non era ri-conosciuto ai cittadini degli Stati membri un diritto di accesso agli atti delle istituzioni, quali il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione

1. Ciò era giustificato dal fatto che il Trattato di Roma

2 non attribuiva alle istituzioni comunitarie alcun potere di incidere direttamente sulla situazione giuridica dei cittadini, nemmeno era prevista la preminenza del diritto comu-nitario sul diritto interno

3. Per di più, la Comunità non era dotata di un apparato amministrativo e, di

conseguenza, non era avvertita l’esigenza di riconoscere ai consociati il diritto di accedere ai documenti interni delle istituzioni

4. Dunque, in sede comunitaria, diversamente che nei singoli ordinamenti

degli Stati membri, la segretezza era ancora la regola e l’accesso l’eccezione. Dopo un lungo e travagliato iter legislativo, il Trattato di Lisbona, entrato

in vigore il 1° dicembre 2009 5, ha rappresentato il traguardo di un percorso

1 Per una compiuta analisi del diritto di accesso agli atti amministrativi nel diritto dell’U-nione Europea, senza pretesa di esaustività, v. GALETTA, Diritto amministrativo nell’Unione eu-ropea, Torino, 2014, p. 9; DONATI, L’accesso ai documenti nel diritto dell’Unione, in COLAPIE-TRO (a cura di), Il diritto di accesso e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990, Napoli, 2012, p. 123; GALETTA, L’accesso ai documenti am-ministrativi, in AA.VV., La pubblica amministrazione e il suo diritto, Bologna, 2012, p. 264; CHI-TI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2011, p. 447; ID., Trasparenza e governance ammini-strativa nel diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2006, p. 280; BIGNAMI, Tre generazioni di diritti di partecipazione nei procedimenti amministrativi europei, in CASSESE-BIGNAMI (a cura di), Il procedimento amministrativo europeo, Milano, 2004, p. 98; SANDULLI, L’accesso ai documenti nell’ordinamento comunitario, in Giorn. dir. amm., 1996, p. 448.

2 Il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) e il Trattato della Co-munità economica dell’energia atomica sono stati entrambi firmati a Roma il 25 marzo 1957. I “Trattati di Roma” sono entrati in vigore il 1° gennaio 1958.

3 Sono state le sentenze della Corte di Giustizia Costa c. Enel, 15 luglio 1964, C-6/64, e Simmenthal, 9 marzo 1978, C-106/77, ad individuare il fondamento teorico della preminen-za delle norme comunitarie sul diritto interno dei singoli Stati membri. Le regole comunita-rie «si impongono per forza propria, non potendo incontrare ostacolo nelle norme interne, qualunque sia il loro rango».

4 GALETTA, Diritto amministrativo nell’Unione europea, cit., p. 13. 5 Il Trattato di Lisbona è stato formulato a seguito del fallimento dell’introduzione della

c.d. Costituzione europea. Essa fu firmata dagli Stati membri il 29 ottobre 2004, con la sotto-scrizione del Trattato di Roma. La sua entrata in vigore era subordinata alla ratifica parla-mentare o elettorale da parte di tutti gli Stati membri, ma il negativo esito referendario di Francia e Paesi Bassi bloccarono il processo di approvazione. Con il Trattato di Lisbona, no-to anche come il Trattato di Riforma, sono stati recepiti gran parte dei punti stabiliti dalla Costituzione europea.

Alessandro M. A. Tropea 143

normativo volto a valorizzare il diritto di accesso agli atti in Europa. L’art. 15 del TFUE prevede infatti che gli organi (politici) e gli organismi (amministra-tivi) dell’Unione devono operare nel modo più trasparente possibile, garan-tendo ai cittadini degli Stati membri il diritto di accesso a tutti i documenti del-le istituzioni, diritto i cui limiti devono essere stabiliti mediante regolamenti del Parlamento e del Consiglio europeo.

Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, recepita dal Trattato di Lisbona, ha dedicato un’apposita disposizione al diritto di acces-so

6, riconoscendogli natura di principio fondamentale dell’ordinamento del-l’Unione Europea

7. Secondo l’art. 42 della Carta, l’istanza di accesso da parte del privato non deve essere subordinata alla prova di un interesse (concreto ed attuale), in quanto la richiesta non è sempre preordinata alla tutela di una propria posizione giuridica soggettiva, ma risponde al principio generale di tra-sparenza

8, quale strumento di controllo democratico dell’operato delle istitu-zioni europee

9. Il diritto di accesso è attualmente disciplinato dal Reg. CE n. 1049/2001,

adottato dal Parlamento e dal Consiglio d’Europa il 30 maggio 2001. L’art. 4 indica i casi che legittimano le istituzioni, una volta interrogate dai

cittadini (residenti e non residenti UE), ad opporre il diniego all’esibizione dei documenti. Le eccezioni sono fondate sul c.d. “test di pericolosità”, secondo il quale l’accessibilità ad un atto è concessa se non rischia di ledere interessi spe-cifici preminenti, quali, fra gli altri, l’interesse alla stabilità della politica finanzia-ria, monetaria ed economica dell’Unione Europea

10.

6 Il 7 dicembre 2000 è stata solennemente proclamata la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nota come Carta di Nizza, originariamente destinata ad essere inserita nella seconda parte della Costituzione europea. Sul punto, v. AZZENA, Le forme di rilevanza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in DE SIERVO (a cura di), La difficile Costituzione europea, Bologna, 2001, p. 249.

7 In materia di diritto ad una buona amministrazione, come principio sancito dalla CEDU, v. GALETTA, Il diritto ad una buona amministrazione fra diritto UE e diritto nazionale e le novità dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in CIVITARESE MATTEUCCI-GUARRIELLO-PUOTI (a cura di), Diritti fondamentali e politiche dell’Unione europea dopo Lisbona, Rimini, 2013, p. 71 ss.

8 Con riferimento alla prima giurisprudenza sul punto, v. Trib. I grado, 18 dicembre 1992, cause riunite T-10/92, T-11/92, T-12/92 e T-15/92, Ciminteries CBR SA e altri c. Commissione.

9 PIERRO, Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria e il diritto al contraddit-torio preventivo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2016, p. 193.

10 L’art. 4, Reg. CE n. 1049/2001 indica, come interessi preminenti dell’Unione Europea, anche l’interesse pubblico alla sicurezza, alla difesa e alle questioni di carattere militare, oltre che l’interesse alla segretezza in materia di relazioni internazionali.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 144

Limitatamente alla materia tributaria, l’ordinamento europeo non ha pre-visto, in maniera esplicita, alcuna eccezione alla esibizione degli atti ammini-strativi tributari. Marginalmente, l’art. 4, par. 2, del Reg. CE n. 1049/2001 ha disposto che le istituzioni, a meno che non vi sia un interesse pubblico preva-lente alla divulgazione, possono impedire l’esibizione dei documenti contenen-ti informazioni sugli «obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisio-ne contabile», poste in essere dagli organismi europei. Tra questi vi rientrano gli atti relativi alle ispezioni e alle indagini volte a tutelare l’interesse finanzia-rio dell’Unione

11. Il limite del diritto di accesso, così inteso, verte sostanzialmente sui docu-

menti di indagine fiscale svolte dagli organismi europei, funzionali a contrastare l’evasione di risorse dell’Unione Europea.

Come noto, anche se le istituzioni europee non sono state mai preordinate a salvaguardare (direttamente) la “ragion fiscale”

12 dell’Unione 13, tuttavia, nel

corso del tempo, l’ordinamento si è dotato di una serie di organismi preordi-nati a tutelare il proprio interesse finanziario

14.

11 Per una ricostruzione sistematica della giurisprudenza europea in tema di interessi tri-butari dell’Unione Europea e quelli di tutela dei contribuenti, da ultimo, v. ENRICO TRAVERSA-EDOARDO TRAVERSA, La protezione dei diritti dei contribuenti nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in Dir. prat. trib. int., 2016, p. 465.

12 In generale, il diritto tributario dell’Unione Europea ha sempre avuto ad oggetto, da una parte, la produzione di norme volte ad armonizzare il sistema tributario dei singoli Stati mem-bri; dall’altra, la produzione di norme volte a salvaguardare le “risorse proprie” dell’Unione. Con riferimento a queste ultime, occorre precisare che la tutela dell’interesse fiscale della co-munità, inteso come attenzione alla sollecita riscossione delle risorse, è un compito riservato agli Stati membri, i quali, ai sensi degli artt. 197 e 325 del TFUE, devono prevedere misure idonee, anche coordinate tra loro, volte a contrastare le frodi che ledono l’interesse finanziario dell’Unione. La locuzione “ragion fiscale” è stata utilizzata da Gian Antonio Micheli per identi-ficare l’interesse fiscale, inteso come la pronta e sollecita riscossione delle risorse finanziarie necessarie per il regolare funzionamento dell’apparato pubblico, v. MICHELI, Capacità contri-butiva reale e presunta, in Giur. cost., 1967, I, p. 1350. Sul punto v., inoltre, DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, p. 82.

13 Il quadro legislativo che presiede e tutela l’interesse finanziario dell’Unione Europea è composto da due livelli di garanzie. Da una parte, la cooperazione internazionale obbliga gli Stati membri ad una intensa collaborazione amministrativa affinché vi sia, in tutta l’Unione, una corretta applicazione delle norme tributarie e una pari intensità della lotta all’evasione fi-scale. Tale cooperazione, da ultimo disciplinata per mezzo della Direttiva 15 febbraio 2011, n. 16, è incentrata principalmente sullo scambio di informazioni sensibili tra le amministrazio-ni, permettendo ad una autorità fiscale di perseguire la legalità tributaria anche presso altri or-dinamenti.

14 Quando si fa riferimento agli organismi preordinati a tutelare l’interesse finanziario del-l’Unione Europea, occorre distinguere quelli dotati (effettivamente) di un potere autoritativo e

Alessandro M. A. Tropea 145

Ad esempio, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) 15 è l’unico

degli organismi centralizzati europei attualmente impegnati nella lotta agli il-leciti di rilevanza transnazionale, con particolare riferimento alla tutela delle ri-sorse proprie dell’Unione, derivanti principalmente dai dazi doganali, dall’IVA e dalle accise

16. Per cui, dall’azione amministrativa di indagine posta in essere dall’OLAF o

da un altro organismo di cooperazione europea, sovente i cittadini chiedono di accedere agli atti relativi alle indagini condotte.

Ebbene, è proprio nella fase di accesso agli atti di indagine fiscale che inter-vengono le limitazioni al principio di trasparenza previste dall’art. 4 del Reg. CE n. 1049/2001.

Sul punto è interessante valutare la posizione assunta dalla Corte di Giu-stizia UE.

Da un primo filone giurisprudenziale è possibile rinvenire che l’organo am-ministrativo, interrogato dal contribuente, può opporre il diniego all’accesso tutte le volte in cui l’esibizione dei documenti del procedimento di indagine fiscale, anche se concluso in sede comunitaria, rischia di pregiudicare la suc-cessiva indagine che le autorità dei singoli Stati membri dovranno condurre. che godono di autonomia propria, quali l’OLAF, da quelli istituiti per effetto di una aggregazio-ne delle varie amministrazioni statali, quali, ad esempio, l’Eurofisc. Quest’ultimo, istituito per ef-fetto del Reg. UE n. 904/2010, può essere definito un programma comune di contrasto alle frodi IVA mediante l’aggregazione dei poteri di controllo appartenenti alle singole amministra-zioni finanziarie degli Stati membri, ma non è un vero organo amministrativo dell’Unione.

15 L’OLAF è stato istituito dalla Commissione europea con decisione 28 aprile 1999, n. 352, cui hanno fatto seguito il Reg. CE n. 1073/1999. Il Reg. UE 11 settembre 2013, n. 883, ha abrogato i precedenti regolamenti, razionalizzando l’intera disciplina. L’istituzione dell’OLAF risponde all’esigenza di rendere più efficaci la tutela degli interessi finanziari comunitari e l’at-tività di contrasto alle frodi, in considerazione della natura di bene comune delle risorse finan-ziarie dell’Unione e della dimensione spesso transnazionale delle aggressioni che le stesse subi-scono. Il legislatore europeo ha deciso, dunque, di costituire un servizio investigativo sovrana-zionale con il compito di affiancare e rafforzare i sistemi anti-frode degli Stati membri, ai quali spetta in via prioritaria, per espressa disposizione dei trattati, il compito di provvedere alla protezione degli interessi finanziari comunitari.

16 Precisamente, le risorse proprie dell’Unione Europea possono essere classificate il tre macro aree. In primo luogo, vi sono le c.d. “risorse proprie tradizionali”, istituite dal Consi-glio con decisione del 21 aprile 1970. Esse sono rappresentate dai dazi doganali, dai dazi agricoli nonché dai contributi del settore dello zucchero. La seconda categoria di risorse de-riva dall’IVA. Una percentuale del gettito IVA degli Stati membri è trasferita all’Unione. In-fine, vi è la c.d. risorsa propria basata sul “reddito nazionale lordo” (RNL). Questa risorsa consiste in un prelievo sul reddito prodotto dagli Stati membri mediante l’applicazione di una aliquota stabilità annualmente in sede di programmazione della politica finanziaria del-l’Unione Europea.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 146

Infatti, l’esibizione anticipata di tali documenti, cioè prima che l’autorità nazionale dia seguito all’indagine già condotta in sede europea, potrebbe pre-giudicare la possibilità di contrastare, in concreto, il comportamento illegitti-mo del contribuente; il quale, se dovesse prendere conoscenza degli atti di in-dagine che lo riguardano, potrebbe porre in essere specifici comportamenti in-dirizzati a depistare l’attività di accertamento finale

17. In questo caso la giurisprudenza fa riferimento ad un diritto di accesso “dif-

ferito”, non ad un vero e proprio diniego: l’accesso ai documenti di indagine potrà infatti essere autorizzato solo dopo che l’atto di accertamento, emesso dalle autorità nazionali, sarà stato opposto (notificato) al contribuente, atteso che, dopo questa fase procedimentale, non residuerà alcun pericolo di “perdi-ta di efficacia” dell’azione di indagine già svolta in sede europea.

Sotto un altro profilo, la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che è pos-sibile limitare l’accesso anche quando il procedimento di indagine fiscale si è concluso con l’emissione (notifica) del provvedimento amministrativo finale da parte dell’autorità nazionale nei confronti del contribuente

18. Ciò perché la divulgazione di documenti potrebbe rendere pubblici meto-

di di verifica o tecnologie di investigazione utilizzati in sede europea, tali da compromettere l’efficacia dei futuri accertamenti.

Questa ultima circostanza impone alle istituzioni europee interrogate di agire con segretezza, contrapponendo ai soggetti richiedenti il c.d. diniego per-manente all’accesso agli atti di indagine fiscale.

Dunque, la ratio sottesa all’applicazione del diniego permanente o del dif-ferimento temporaneo del diritto di accesso sarebbe collegata alla necessità di tutelare la stabilità finanziaria dell’Unione.

17 V. CGUE, 14 novembre 2013, LPN c. Commissione, causa C-514/11 e C-605/11; CGUE, 21 luglio 2011, My Travel c. Commissione, causa C-506/08; Trib. I grado, 21 maggio 2014, Lian Catinis c. Commissione, causa T-447/11; Trib. I grado, 12 settembre 2013, Besselink c. Consiglio, causa T-331/11; Trib. I grado, 6 luglio 2006, Franchet e Byk c. Commissione, causa T-391/03 e T-70/04.

18 V. CGUE, 27 febbraio 2014, Commissione c. EnBW, causa C-365/12; CGUE, 28 giugno 2012, Commissione c. Edition Odile Jacob, causa C-404/10; CGUE, 29 giugno 2010, Commis-sione c. Technische Glaswerke Il menau, causa C-139/07; CGUE, 1° luglio 2008, Svezia e Turco c. Consiglio, cause C-39/05 e C-52/05. Particolare rilevanza assume la recente sentenza del Trib. I grado, 26 maggio 2016, causa T-110/05.

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2. L’accesso agli atti nell’ordinamento italiano: diritto ed eccezioni

Il diritto di accesso disciplinato in ambito nazionale è applicazione di vari principi dell’ordinamento giuridico italiano ed in particolare dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, del principio di traspa-renza, del principio di difesa, nonché di quello di informazione

19. Il diritto di accesso deve essere analizzato, innanzitutto, nel suo rapporto

con il principio del buon andamento, dell’imparzialità e della trasparenza del-l’amministrazione, desunti dall’art. 97 Cost.

20. Questi assumono valenza di postulati generali, i quali si traducono apoditticamente nel dovere dell’autori-tà pubblica di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorir-ne lo svolgimento imparziale

21. Il principio della trasparenza, regola generale dell’azione amministrativa, as-

sume, dunque, una duplice natura: quella di obiettivo che il legislatore si pro-pone di perseguire a tutti i livelli dell’ordinamento; quella di canone operativo al quale nessuna autorità amministrativa può sottrarsi.

Il diritto all’ostensione trova in questi postulati sia il suo fondamento che il suo limite: se da una parte il diritto alla conoscenza degli atti è attuazione dei

19 La letteratura riguardante il diritto di accesso agli atti amministrativi è pressoché am-pia. Senza pretesa di esaustività, ci si limita ad indicare alcune tra le opere a cui si è fatto rife-rimento. Partendo dai più recenti, v. M.A. SANDULLI, Il diritto di accesso ai documenti ammini-strativi: l’attualità di un istituto a vent’anni dalla legge n. 241 del 1990, in COLAPIETRO (a cura di), op. cit., p. 39; ID., Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., IV Agg., 2000, p. 2; A. SIMONATI, I principi del diritto di accesso, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, p. 1066; CIVITARESE MATTEUCCI-DEL FEDERICO, Azio-ne amministrativa ed azione impositiva tra autorità e consenso, Milano, 2010. Di rilevante inte-resse giuridico sono le opere di ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, p. 241; MERUSI, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970, p. 162. Con riferimento alle opere di carattere divulgativo, v. CARINGELLA-GAROFOLI-SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti ammini-strativi, Milano, 2007, p. 7; CARINGELLA, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostan-ziali e processuali, Milano, 2005.

20 V. BIFULCO-CELOTTA-OLIVETTI, Commentario alla Costituzione, Milano, 2015, p. 32. 21Sul punto MERICHI, Procedimento amministrativo e diritto d’accesso ai documenti, Mi-

lano, 2002, p. 20; PUBUSA, Diritto di accesso ed automazione. Profili giuridici e prospettive, Torino, 2006, p. 84. La trasparenza e la pubblicità sono principi da tenere distinti, in quan-to non è detto che se sussiste la prima esiste anche la seconda. Un atto che è pubblico non per questo è trasparente. Ciò significa che la trasparenza diventa un mezzo con il quale i cittadini verificano l’osservanza del potere esercitato, accertano la conformità degli inte-ressi sociali coinvolti dall’agire pubblico, per far si che la Pubblica Amministrazione agisca in modo leale ed equo. In questo modo viene garantita l’efficienza, la trasparenza e il buon andamento.

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principi di trasparenza, dall’altra esso non può tradursi in una sorta di richie-sta collettiva, esercitabile da chiunque, tale da compromettere il buon anda-mento dell’amministrazione.

Oltre ai suddetti postulati, il diritto di accesso va osservato in rapporto al principio di difesa. Secondo il disposto degli artt. 24 e 113 Cost., la conoscen-za degli atti amministrativi potrebbe rappresentare il soddisfacimento (antici-pato) del diritto di difesa del cittadino in ambito procedimentale

22. Per principio generale, la Pubblica amministrazione agisce, come detto, in

ossequio ai principi costituzionali, con imparzialità, trasparenza e nel rispetto del principio di buon andamento, evitando discriminazioni e disparità di trat-tamento tra i cittadini, nonché preservando la legalità delle proprie decisioni. Dunque, essa agisce secondo giustizia.

La conoscenza dei documenti della Pubblica Amministrazione, pertanto, pone il privato nella condizione di verificare se la stessa ha operato nel rispetto della legge e capire quali sono state le ragioni che hanno portato l’amministra-zione ad assumere specifiche condotte e decisioni.

Per cui, il privato ove riscontri, per tramite dell’accesso, che l’amministra-zione abbia agito in maniera difforme alla legge, non perseguendo il fine di giustizia in sede procedimentale, egli sarà legittimato ad adire l’autorità giuri-sdizionale per riportare la fattispecie entro il parametro legale

23. Dunque, seguendo tale impostazione, la tutela giurisdizionale dei diritti del

privato può essere considerata una estrema ratio, da attivare (ex post) solo se il fine di giustizia non è stato perseguito (ex ante) dall’amministrazione in se-de procedimentale

24. Infine, il diritto di accesso può essere anche inteso come attuazione del di-

22 V. CALABRÒ, La funzione giustiziale nella pubblica amministrazione, Torino, 2012, pas-sim; GIUFFRIDA, Il “diritto” ad una buona amministrazione pubblica e profili sulla sua giustizia-bilità, Torino, 2012, passim. Per una più ampia analisi del tema, tra i contributi significativi meno recenti, diffusamente, v. BACHELET, La giustizia amministrativa nella Costituzione ita-liana, in AA.VV., Scritti giuridici, Milano, 1981.

23 In relazione alla funzione giustiziale dell’Amministrazione Pubblica, si sottolinea l’im-portanza del pensiero di BARONE, La giurisprudenza tra tendenze nuove e remote vecchie: la pubblicità degli atti amministrativi, in Foro amm., 1969, p. 201. Particolare interesse assu-me, ai fini tributari, il pensiero di ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 11. Per le opere più recenti, v. LOGOZZO, L’Amministrazione finanziaria come organo di giu-stizia nel pensiero di Allorio, in Dir. prat. trib., 2015, p. 831; DE MITA, Maestri del diritto tri-butario, Milano, 2013, p. 29; GAFFURI, Il magistero di Enrico Allorio in diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1990, p. 399.

24 CALABRÒ, op. cit., p. 83.

Alessandro M. A. Tropea 149

ritto all’informazione 25, sancito dall’art. 21 Cost.

26. Il diritto di accedere ai do-cumenti dell’amministrazione – secondo questa prospettiva – acquista il ca-rattere di un diritto all’informazione qualificato

27, comportando un obbligo in capo alla Pubblica amministrazione di permettere, al cittadino richiedente, l’accesso ai documenti, con lo scopo di renderlo informato

28. Il diritto di accesso ha trovato cittadinanza nel nostro ordinamento in un tem-

po relativamente recente. Difatti, esso è stato introdotto dalla L. n. 241/1990 e, solo con le successive LL. n. 15 e n. 80/2005, tale diritto è stato elevato a prin-cipio generale dell’ordinamento

29. In particolare, con la L. n. 15/2005, il diritto di accesso, in virtù delle sue rilevanti finalità di interesse pubblico generale, è stato riportato tra i livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali sanciti dall’art. 117, comma 2, Cost.

30. Prima di tali riforme, l’accesso agli atti veniva configurato come un mero

interesse legittimo 31. L’amministrazione veniva percepita come un organo do-

tato del potere di sottrarre o di concedere all’istante la lettura del documento. Attualmente, sia la dottrina che la giurisprudenza

32 considerano questa tesi oramai superata per via delle predette riforme: dunque, è irrilevante la qualifi-cazione dell’acceso come diritto soggettivo o interesse legittimo, atteso che l’amministrazione agisce in posizione di neutralità; ad essa spetta il compito di garantire situazioni soggettive fondamentali dell’individuo.

In particolare, nel testo originario della L. n. 241, l’art. 22 disponeva che «al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne

25 LOIODICE, Informazione, in Enc. dir., XXI, 1971, p. 483.

26 VALASTRO, Commento all’art. 21, in CELOTTO-OLIVETTI-PUGIOTTO (a cura di), Com-mentario della Costituzione, Torino, 2006, p. 451.

27 V. Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 1993, n. 530.

28 PIERRO, op. cit., p. 193.

29 TOMEI, La nuova disciplina dell’azione amministrativa. Commento alla legge n. 241/1990 aggiornato alle leggi nn. 15 e 80/2005, Padova, 2005, passim.

30 M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, cit. 31 BACCARINI, Commento all’art. 22, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione am-

ministrativa, cit., p. 1034. 32 In giurisprudenza, v. Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6; Id., 20 aprile 2006, n.

7. Il supremo consesso ha rilevato l’irrilevanza della qualificazione dell’accesso come diritto soggettivo o interesse legittimo, atteso che la sua eventuale lesione non determina immedia-tamente alcuna incisione negativa sulla sfera giuridico-patrimoniale dell’istante, ripercuo-tendosi su di essa solo in via indiretta. Dunque, il Consiglio di Stato, pur non approfondendo la natura giuridica del diritto di accesso agli atti, ha sancito il carattere strumentale e funzio-nale alla tutela di interesse giuridicamente rilevanti. Nello stesso senso, v. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1772.

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lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse, per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge»

33. La disposizione, come detto, è stata riformulata dall’art. 15, L. 11 febbraio

2005, n. 15, nel senso che il diritto di accesso è «il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi»

34. Dunque, sotto il profilo soggettivo, il diritto di accesso è riconosciuto a

«chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevan-ti». La situazione giuridicamente rilevante, evocata dal comma 1 dell’art. 22, non coincide necessariamente con una posizione di diritto soggettivo o di in-teresse legittimo, essendo sufficiente la sussistenza di un interesse “personale e concreto” del privato a conoscere gli atti detenuti o formati dall’amministra-zione

35. Facendo riferimento agli ultimi interventi legislativi in materia di traspa-

renza della pubblica amministrazione, il legislatore, con il D.Lgs. n. 150/2009, ha introdotto una nuova definizione di accessibilità totale: per la prima volta, si è accennato ad un concetto di trasparenza inteso come obbligo dell’ammi-nistrazione di riportare le proprie informazioni sui siti internet della Pubblica Amministrazione. Ciò al fine di migliorare l’efficienza dell’amministrazione e tentare di prevenire la corruzione attraverso una maggiore trasparenza.

Successivamente, il D.Lgs. n. 33/2013, c.d. Testo unico sulla trasparenza, attuativo della legge delega 6 novembre 2012, n. 190, ha introdotto l’accesso civico ai dati dell’amministrazione, con l’obiettivo di reprimere e prevenire le forme di illegalità nella Pubblica Amministrazione

36. Da ultimo, il D.Lgs. n. 97/2016, di attuazione dell’art. 7 della legge delega

7 agosto 2015, n. 124, che modifica il predetto D.Lgs. n. 33/2013, ha introdot-to in Italia il c.d. Freedom of information act (FOIA)

37. Trattasi di un modello

33 SCOCA, Diritto amministrativo, Torino, 2015, IV ed., p. 86. 34 CARINGELLA, op. cit., p. 24.

35 M.A. SANDULLI, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, cit., p. 39.

36 Sulla recente modifica normativa del diritto di accesso, v. TAR Napoli, sez. VI, 13 apri-le 2016, n. 1793.

37 La novità più significativa del D.Lgs. n. 97/2016 è rappresentata dall’introduzione dell’accesso civico secondo il modello FOIA. All’accesso procedimentale classico di cui agli artt. 22 ss., L. n. 241/1990, necessariamente collegato alle specifiche esigenze del richiedente (need to know), si è aggiunto il cosiddetto accesso civico, mutuato dall’esempio degli ordina-menti anglosassoni, che garantisce all’intera collettività il diritto di conoscere gli atti adottati dalla Pubblica Amministrazione in funzione di controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena realizzazione del principio di trasparenza (right to know). Per cui, il prin-

Alessandro M. A. Tropea 151

generale, adottato da diversi ordinamenti, che permette a chiunque, indipen-dentemente dalla titolarità di situazioni giuridiche rilevanti, l’accesso ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati.

In definitiva, se nel passato il segreto era la regola e la pubblicità l’eccezio-ne, oggi si può dire che, con l’introduzione della L. n. 241/1990 e con il D.Lgs. n. 97/2016, è vero il contrario: a fronte dell’esercizio del diritto di ac-cesso, la pubblica amministrazione può opporre il proprio rifiuto, solo in co-stanza di un “superiore interesse”, previsto dalla legge, il quale potrebbe esse-re pregiudicato da una potenziale conoscenza delle informazioni.

Le ipotesi di esclusione dell’accesso sono elencate nell’art. 24 della L. n. 241/1990, in relazione al c.d. accesso classico, e nell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33/2013, in riferimento al c.d. accesso civico.

In particolare, si tratta di ipotesi cui il legislatore collega il rifiuto (inteso come differimento del diritto di accesso o diniego permanente) per evitare un pregiudizio agli interessi pubblici, quali la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la stabilità finanziaria ed econo-mica dello Stato, nonché le ipotesi di tutela delle attività ispettive condotte dalle autorità amministrative.

Tralasciando i dettagli della materia, si rileva che le limitazioni all’accesso ci-vico, rispetto alle limitazioni sancite dall’art. 24 della L. n. 241/1990, presenta-no maglie molto larghe, perché non identificano in modo puntuale le eccezioni all’accesso, potendo riservare alle amministrazioni qualche grado di discrezio-nalità nel definire accessibile o non accessibile un documento sensibile.

3. Il limite all’accesso dei documenti tributari come tutela dell’interesse fiscale

Il principio di trasparenza in ambito tributario, come si vedrà, non assume rilievo in modo assoluto ed incondizionato, ma deve essere posto in relazione con altri interessi, al ricorrere dei quali è possibile comprimere la trasparenza del fisco

38. Tuttavia, preme osservare che non consentire l’accesso ai documenti tribu-

tari non si traduce nella necessità dell’ordinamento di rendere oscuro ai con- cipio di trasparenza, con tale intervento normativo, è stato declinato in termini “universali”, come accessibilità dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

38 In materia di trasparenza del fisco, per tutti, v. PIERRO, op. cit., p. 193; DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, passim.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 152

tribuenti l’operato dell’amministrazione finanziaria, ma risponde piuttosto al-la tutela di un interesse generale superiore, che potrebbe essere minacciato dalla conoscenza di tali atti

39. Dunque, il diniego all’accesso dovrebbe essere opposto dall’amministra-

zione finanziaria al contribuente-richiedente sulla base di un “giudizio di peri-colosità” individuato dalla legge, senza che l’ente interrogato possa esprimere alcuna valutazione.

Il giudizio di pericolosità dovrebbe essere, pertanto, un “mezzo di misura”, uno “strumento di valutazione”, mediante il quale l’ordinamento tributario può agevolmente individuare la “soglia di minaccia” di un interesse preminen-te meritevole di tutela. Al superamento del limite, dunque, l’amministrazione finanziaria risulterebbe legittimata a restringere tale diritto.

Nel dettaglio delle disposizioni normative, come già accennato, il nostro legislatore ha predisposto un sistema di limitazione del diritto di accesso agli atti tributari articolato su tre livelli gerarchici.

Dapprima vi è l’art. 24, comma 1, L. n. 241/1990 40, seguono poi i regola-

menti governativi di delegificazione di cui all’art. 17, comma 2, L. n. 400/1988 (cfr. art. 24, comma 6, L. n. 241/1990) e i regolamenti delle singole ammini-strazioni di cui all’art. 17, comma 3, L. n. 400/1988 (cfr. art. 2, comma 3, L. n. 241/1990).

Sicché, le disposizioni a cui fare riferimento sono la lett. b), comma 1, del-l’art. 24 citato e il D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, il quale enumera le categorie di documenti tributari sottratti all’accesso

41.

39 AA.VV., Bene comune e interesse pubblico, Milano, 2011. L’espressione interesse pubbli-co è di largo uso nel linguaggio del diritto amministrativo ed, in particolare, nel diritto tribu-tario. A questo termine, parte della dottrina tributaria tende ad attribuire il significato di “bene comune”, distinto dall’interesse privato. Altra parte della dottrina qualifica l’interesse pubbli-co come “interesse generale”, inteso come interesse comune alla generalità delle persone ap-partenente ad un certo gruppo in riferimento ad un pubblico potere.

40 Per una compiuta analisi dell’art. 24, L. n. 241/1990, diffusamente, v. CARINGELLA, op. cit., p. 15; M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti, cit., p. 2.

41 Gli spunti dottrinali riguardanti il diritto di accesso agli atti aventi natura tributaria è pressoché ampio. Senza pretesa di esaustività, si citano, fra gli autori più rilevanti, DEL FEDE-RICO, L’evoluzione del procedimento nell’azione impositiva: verso l’amministrazione di risultato, in Riv. trim. dir. trib., 2013, p. 851; MARCHESELLI, Il giusto procedimento tributario. Principio e disciplina, Padova, 2012; BAMBINO, Accesso agli atti dell’Amministrazione finanziaria e tutela del contribuente, in Rass. trib., 2012, p. 1557; CINGANO, La trasparenza dell’attività amministra-tiva ed i limiti al diritto di accesso nei procedimenti tributari in rapporto alla correttezza delle re-lazioni internazionali, in Dir. prat. trib., 2012, p. 1039; CIARCIA, L’accesso partecipativo e l’ac-cesso conoscitivo dal diritto amministrativo al diritto tributario, in Dir. prat. trib., 2011, p. 1153;

Alessandro M. A. Tropea 153

La lett. b) in commento dispone una esclusione all’accesso dei documenti fiscali, rimandando la regolamentazione di tale eccezione «alle particolari nor-me di settore», cioè al citato D.M. n. 603/1996

42. Il decreto, agli artt. 2, 3 e 4, dispone l’inaccessibilità di tutti i documenti re-

lativi alle attività ispettive e di indagine fiscale, la cui diffusione potrebbe com-promettere la politica tributaria dello Stato

43 e, in particolare, la quantifica-zione del gettito fiscale desumibile dall’attività di accertamento

44. Sono sot-tratti all’accesso, inoltre, anche i rapporti della Guardia di finanza e delle Agen-zie fiscali concernenti l’attività di ispezione e controllo condotta nei confronti dei contribuenti

45. Ebbene, per delineare la natura dell’“interesse superiore”, in presenza del

quale l’amministrazione finanziaria dovrebbe negare l’ostensione degli atti tri-butari, è necessario verificare come detta limitazione si atteggia nei vari seg-menti dell’azione impositiva, quali l’iniziativa del fisco, l’istruttoria, l’emana-zione dell’atto finale, la fase di contraddittorio e di partecipazione del contri-buente.

Una siffatta analisi, ovviamente, deve poggiare sull’assodato principio che il procedimento tributario è la derivazione del procedimento amministrativo, con la conseguenziale applicazione della L. n. 241/1990 anche all’ambito tri-butario

46, sia pure con i limiti sanciti dall’art. 13, secondo cui le disposizioni LUPI-DI SIENA-BASILAVECCHIA, Accesso agli atti: dai T.A.R. semaforo verde con alcune chiusure, in Dialoghi trib., 2010; BASILAVECCHIA, Impossibile l’accesso agli atti tributari, in Corr. trib., 2008, p. 3093; PIANTAVIGNA, Osservazioni sul procedimento tributario dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, p. 44; CIPOLLA, La prova tra proce-dimento e processo tributario, Padova, 2005; VIOTTO, I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, Milano, 2002, p. 325.

42 Il decreto del Ministero delle Finanze n. 603/1996 non individua singoli tipi di docu-menti tributari che devono essere sottratti all’accesso, bensì individua semplicemente delle categorie. Per cui, se il singolo documento è riconducibili ad una delle categorie previste dal decreto, l’autorità pubblica è vincolata a negare il diritto all’ostensione, senza che quest’ulti-ma possa esercitare alcun apprezzamento discrezionale. In particolare, l’art. 2 circoscrive l’i-naccessibilità della categoria di documenti attinenti alla sicurezza e alla difesa nazionale; l’art. 3 prevede l’inaccessibilità dei documenti riguardanti le determinazioni della politica monetaria e valutaria; l’art. 4 sancisce l’inammissibilità dei documenti concernenti la sicurezza pubblica; l’art. 5 dichiara inammissibili i documenti fiscali riferite a persone, gruppi ed imprese. Per mag-giori dettagli sull’argomento, v. Circolare del Ministero delle Finanze, 28 luglio 1997, n. 213/S.

43 A questo proposito, v. Cons. Stato, 12 maggio 2014, n. 2422; Cons. Stato, 30 novembre 2009, n. 7486; Cons. Stato, 21 ottobre 2008, n. 5144; Cons. Stato, 21 settembre 2006, n. 5569.

44 V. art. 3, comma 1, lett. a), D.M. n. 603/1996.

45 V. art. 4, comma 1, lett. h) e i), D.M. n. 603/1996.

46 La legge generale sull’azione amministrativa si pone quindi come pilastro di tutta l’attivi-

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relative alla partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano ai procedimenti tributari

47. Andando nel particolare, come noto, nella generale sequenza procedurale,

il versamento dei tributi si attua attraverso l’azione spontanea del contribuen-te che si uniforma alla legge, rispetto al quale l’intervento dell’amministrazio-ne finanziaria è solo eventuale

48. Dunque, l’atto di accertamento dell’autorità fiscale e la conseguente azione

di riscossione sono espressione di un’attività eventuale, di “secondo grado”, il cui fine è quello di riportare il comportamento del contribuente al parametro legale

49. Astrattamente, dunque, la sollecita riscossione delle risorse da parte dello

Stato presuppone che vi sia stata una compiuta azione di accertamento in ca-po ai contribuenti

50. Ciò impone che, sia l’iniziativa che l’istruttoria dell’amministrazione finan-

ziaria, fasi prodromiche all’adozione del provvedimento finale, siano state svol-te con riservatezza e celerità, con completezza degli elementi raccolti e, dun- tà delle pubbliche amministrazioni, ed anche dell’attività amministrativa in materia tribu-taria. Sul punto, v. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela: lezioni sul processo tributario, Torino, 2013, p. 72; CIVITARESE MATTEUCCI-DEL FEDERICO, op. cit.; MARCHE-SELLI, Il giusto procedimento tributario, cit., p. 61; ID., Accertamenti tributari e tutela del con-tribuente. Poteri e diritti nelle procedure fiscali, Milano, 2010, p. 115; SELICATO, L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, p. 128; LA ROSA, Amministrazio-ne finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, p. 29. Per la manualistica, v. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2015, p. 331; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2013, p. 164; DE MITA, Principi di diritto tributario, VI ed., Milano, 2011, p. 305.

47 DEL FEDERICO, L’evoluzione del procedimento nell’azione impositiva, cit., p. 860; LUPI, La disciplina delle entrate, in CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto ammi-nistrativo speciale, III, Milano, 2003, p. 2647.

48 Sul punto, BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 210. Secondo l’autore, le attività funzionali al corretto versamento dei tributi sono quelle demandate al con-tribuente, il quale è l’unico soggetto responsabile ad individuare la normativa tributaria da ap-plicare alla verificazione del fatto tassabile e, per l’effetto, procedere al corretto versamento del-le imposte.

49 In estrema sintesi, l’emanazione dell’atto di accertamento rappresenta il generale dis-senso dell’amministrazione finanziaria rispetto a quanto rappresentato dal contribuente sulla base dei propri comportamenti.

50 La giurisprudenza della Corte costituzionale ha fatto dell’interesse fiscale il discrimine per legittimare o meno, nell’ordinamento tributario, tutte quelle deroghe ai principi generali che governano e reggono l’azione amministrativa. Sul punto, v. Corte cost., 10 giugno 2010, n. 198; Corte cost., 6 dicembre 2002, n. 522; Corte cost., 10 febbraio 1997, n. 37; Corte cost., 12 dicembre 1984, n. 283.

Alessandro M. A. Tropea 155

que, giungendo alla veridicità dei fatti da contestare al contribuente 51; sicché,

l’ordinamento deve impedire che la partecipazione del privato, anche mediante l’accesso agli atti, diventi una indebita ingerenza nella gestione dell’interesse pubblico, che è, appunto, la sollecita riscossione delle imposte.

Difatti, laddove l’attività preparatoria dell’accertamento dovesse risultare incompleta a causa di una indebita partecipazione del contribuente-interessa-to, verrebbe sacrificata la pronta e sollecita riscossione delle effettive imposte dovute.

Invece, dopo l’emanazione del provvedimento finale, quindi dopo che l’i-struttoria è stata conclusa, l’amministrazione finanziaria, per rendere parteci-pe il contribuente dei fatti a lui contestati, deve rendersi “trasparente”, con-sentendo all’interessato di essere sentito in contraddittorio

52 e di estrarre co-pia dei documenti tributari necessari per una sua puntuale conoscenza dei ri-lievi mossi

53. Sicché, l’esercizio da parte del contribuente del diritto di acces-so, dopo la notifica dell’atto di accertamento, non pregiudicherebbe alcun in-teresse pubblico, anzi, esso rappresenta la piena manifestazione del diritto di difesa dell’interessato sottoposto a controllo fiscale.

In questa ottica, le Agenzie fiscali e la Guardia di finanza non possono di-screzionalmente decidere quali atti possono formare oggetto di accesso

54, ne’ possono negare la conoscibilità perpetua degli atti richiesti: in primo luogo, le autorità sono tenute ad osservare la legge, cioè a svolgere un mero compito amministrativo

55, vincolato alla protezione di un interesse pubblico individuato dal legislatore, l’interesse fiscale

56; in secondo luogo, se i documenti richiesti

51 VIOTTO, op. cit., p. 184.

52 In tema di contraddittorio, da ultimo, v. GIOVANNINI, Il contraddittorio endoprocedimenta-le, in Rass. trib., 2017, I, p. 11. Per le opere monografiche, v. RAGUCCI, Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009, passim; TUNDO, Procedimento tributario e difesa del con-tribuente, Padova, 2013, passim; ID., La partecipazione del contribuente alla verifica tributaria, Padova, 2012, passim.

53 PIANTAVIGNA, op. cit., p. 70.

54 Con particolare riguardo alla discrezionalità tipica dell’amministrazione finanziaria, si rimanda a LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 241; COMELLI, Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Padova, 2012, p. 43. Si veda, per la rilevanza storiografica, PERRONE, Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano, 1969, p. 27.

55 L’amministrazione finanziaria, come già osservato, in sede di accesso agli atti ammini-strativi aventi natura tributaria, deve attenersi alle prerogative sancite dal D.M. n. 603/1996, in ordine al quale l’esclusione all’ostensione deve avvenire se il documento richiesto rientra nelle categorie stabilite dal regolamento medesimo.

56 Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204. La Corte costituzionale ha specificato che l’accesso agli atti è un diritto soggettivo e non un interesse legittimo. L’esercizio di tale diritto non richiede

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fanno riferimento ad un procedimento di accertamento già concluso 57, le au-

torità non possono negare l’accesso al contribuente-richiedente visto che non vi è più pericolo di pregiudicare l’efficacia dell’azione di controllo.

4. Spunti giurisprudenziali in materia di accesso agli atti tributari

Dall’introduzione della L. n. 241/1990, il diritto all’ostensione degli atti aventi contenuto tributario è stato oggetto di numerose pronunce giurispru-denziali, per mezzo delle quali sono state affrontate diverse questioni contro-verse, relative all’esercizio del diritto da parte del contribuente e alla portata del limite opposto dall’autorità fiscale.

Il dibattito giurisprudenziale è tutt’ora aperto e attiene principalmente al rapporto tra l’accesso (e dunque la trasparenza) e la riservatezza dell’azione del fisco.

Ciò che risulta pacifico in giurisprudenza è che l’autorità fiscale deve man-tenere la riservatezza degli atti tributari (siano essi rapporti ispettivi o sempli-ce documentazione probatoria) fino alla conclusione del procedimento di ac-certamento, che avviene mediante la notifica del provvedimento finale di ac-certamento.

Le pronunce della giustizia amministrativa in materia di accesso agli atti tributari possono essere suddivise in quattro distinte macro aree, a seconda del tipo di documento che si richiede di esibire.

Precisamente, è possibile individuare, in primo luogo, la giurisprudenza ri-guardante l’accesso agli atti tributari attinenti alla fase istruttoria del fisco; in secondo luogo, la giurisprudenza relativa alle richieste di ostensione dopo l’av-venuta notifica del provvedimento finale al contribuente; poi, esistono speci-fiche pronunce amministrative che attengono agli atti della riscossione; infine, nel corso degli ultimi anni, sono state poste al vaglio della giustizia amministra-tiva questioni relative al diritto di accesso agli atti tributari non funzionali alla l’intervento di un potere pubblico. Secondo tale impostazione, l’amministrazione agisce da un punto di vista funzionale in posizione di neutralità, cui spetta il compito di garantire situa-zioni soggettive fondamentali dell’individuo. Essa avrebbe, per certi versi, la veste di arbitro, in quanto è chiamata ad operare un corretto bilanciamento tra il diritto di accesso ed il dirit-to alla riservatezza. Sul tema, v. M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministra-tivi, cit., p. 76; BACCARINI, op. cit., p. 1034. Sotto il profilo giurisprudenziale, v. Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1772; Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974.

57 Sulla natura del provvedimento amministrativo, v., per tutti, VILLATA-RAMAJOLI, Il prov-vedimento amministrativo, Torino, 2017.

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tutela di diritti connessi al documento che si chiede di esibire (quali, nella mag-gior parte dei casi, documenti necessari alla difesa contro l’azione dell’erario), ma funzionali alla tutela di altri diritti.

Ebbene, con riferimento all’accesso ai tipici documenti relativi all’istrutto-ria dell’amministrazione finanziaria, il Consiglio di Stato, in sede giurisdizio-nale, ha affermato che «(...) l’esclusione dell’accesso alla documentazione del procedimento tributario di cui al citato art. 24, comma 1, lett. b), [deve], in base ad una lettura costituzionalmente orientata della disposizione anzidetta, essere temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tribu-tario, non rilevandosi esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusio-ne di adozione del provvedimento definitivo di accertamento dell’imposta do-vuta» (Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2016, n. 1026; Cons. Stato, sez. IV, 13 novembre 2014, n. 5588)

58. Invece, quello che ancora oggi appare controverso sono le domande di esi-

bizione di specifici documenti fatte dai contribuenti, che l’amministrazione finanziaria continua a ritenere “segreti”, pur essendovi una giurisprudenza che ha già ampiamente chiarito la materia oggetto di dibattito.

Per esempio, sovente si ricorre all’accesso per richiedere all’amministra-zione finanziaria di esibire l’autorizzazione rilasciata dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrare o dal Comandante Regionale della Guardia di fi-nanza, funzionale ad eseguire i controlli sui conti correnti dei contribuenti

59. L’amministrazione interpellata continua a negare l’accesso pur in presenza

di una consolidata giurisprudenza, che ha fissato il principio in ordine al quale «Il diritto di accesso ai documenti amministrativi (...) non può essere eserci-tato nei confronti dell’autorizzazione all’acquisizione della documentazione bancaria – rilasciata dal direttore regionale delle entrate o, per la guardia di fi-nanza, dal comandante della zona – se non al termine del procedimento pre-paratorio alla formazione del procedimento tributario (...). La mancata ado-

58 Nello stesso senso v. Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4821; Cons. Stato, sez. VI, 15 febbraio 2012, n. 766; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2011, n. 389; Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 53; Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5144. Da ultimo, v. an-che TAR Campania, sez. I, 16 maggio 2016, n. 1239; TAR Lombardia, sez. III, 16 marzo 2015, n. 739; TAR Sicilia, sez. IV, 11 luglio 2012, n. 1831; TAR Sicilia, sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4746.

59 V. art. 32, comma 1, n. 7, e art. 33, commi 2 e 6, D.P.R. n. 600/1973. Per una compiuta analisi sull’accertamento tributario, v. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 72; CIVITARESE MATTEUCCI-DEL FEDERICO, op. cit.; MARCHESELLI, Il giusto procedi-mento tributario, cit., p. 61; ID., Accertamenti tributari e tutela del contribuente, cit., p. 115; SE-LICATO, op. cit., p. 61; LA ROSA, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, cit., p. 11; VIOTTO, op. cit.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 158

zione dell’atto impositivo, concludendosi il procedimento con l’archiviazione, preclude la insorgenza del necessario profilo di interesse alla ostensione del documento» (TAR Campania, sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 606; TAR Cam-pania, sez. I, 16 maggio 2016, n. 1239)

60. Con riferimento, invece, alla giurisprudenza sull’accesso agli atti tributari

dopo che l’avviso di accertamento è stato notificato al contribuente, si aprono ulteriori questioni.

È il caso trattato dalla sezione IV del Consiglio di Stato con la sent. 31 marzo 2015, n. 1706: un contribuente aveva ricevuto dall’Agenzia delle Entrate di Sassari un avviso di pagamento relativo all’omesso versamento di ritenute d’ac-conto che, invero, avrebbe dovuto essere effettuato dai suoi clienti.

Dopo aver integralmente corrisposto l’importo intimato, il contribuente aveva chiesto all’Ufficio di esibire l’elenco dei nominativi che non avevano o-perato i versamenti delle ritenute IRPEF, ma l’amministrazione ha opposto il diniego all’accesso, perché, secondo l’Ufficio, ciò avrebbe consentito al ri-chiedente di conoscere dati sensibili di terzi.

Il TAR della Sardegna accoglieva il ricorso del contribuente, affermando che questi conservava un proprio interesse a conoscere le generalità dei sosti-tuti d’imposta inadempienti, perché, sulla base di tali informazioni, l’impren-ditore avrebbe potuto coordinare con maggiore sicurezza i successivi rapporti commerciali con tali soggetti, evitando, s’è del caso, qualsiasi rapporto eco-nomico futuro. La tesi è stata condivisa dal Consiglio di Stato che ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, difatti, ai sensi del comma 7 del-l’art. 24 della legge sul procedimento amministrativo, il richiedente, al fine di tutelare un proprio interesse, attuale e concreto, deve poter accedere alle in-formazioni detenute dall’amministrazione

61. Sempre il Cons. Stato, sez. IV, con la sent. 21 ottobre 2008, n. 5144 ha

giudicato il caso di un contribuente che aveva esperito ricorso avverso il di-niego opposto dall’Agenzia delle Entrate, in relazione all’accesso ad un parere interno, richiesto dalla Direzione Provinciale di Milano alla superiore Direzio-ne Regionale della Lombardia. Sulla base di questo parere interno, la Direzio-ne provinciale dell’Agenzia delle Entrate, in pendenza del processo tributario,

60 Le medesime argomentazioni sulla questione dell’esibizione dell’autorizzazione rila-sciata ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 7, D.P.R. n. 600/1973, sono rinvenibili in Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2016, n. 1026; Cons. Stato, sez. V, 23 settembre 2015, n. 4452; Cons. Stato, sez. III, 26 giugno 2015, n. 3214; Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2015, n. 1897; TAR Marche, sez. I, 19 febbraio 2016, n. 98.

61 Nello stesso senso, v. Cons. Stato, sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4046; TAR Lazio, sez. III, 14 luglio 2014, n. 7511; TAR Lombardia, sez. III, 6 novembre 2013, n. 2437.

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aveva disposto una autotutela parziale degli avvisi di accertamento origina-riamente impugnati dal contribuente. Questi, al fine di verificare le ragioni che hanno determinato l’autotutela dell’Ufficio, aveva richiesto di prendere visio-ne ed estrarre copia del parere interno, accesso negato appunto.

Il Collegio giudicante ha disposto che «(...) il diritto di accesso rispetto ad un atto endoprocedimentale non può essere limitato al solo caso in cui il con-tribuente intenda contestare la legittimità dell’atto finale dello specifico pro-cedimento, ma deve essere esteso a tutti i casi in cui la conoscenza del mede-simo si configuri come strumentale ad un pieno esercizio della tutela giurisdi-zionale con rifermento all’impugnazione anche di altri atti collegati»

62. L’accesso agli atti in ambito tributario è adottato dai contribuenti anche

per conoscere la notitia criminis formulata alla Procura della Repubblica dal-l’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di finanza. In questi casi, il contribuen-te accede agli atti per conoscere gli elementi di rilevanza penale che, in ambito tributario, comportano il raddoppio dei termini di accertamento

63. Sul punto, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che «(...) l’ordina-

mento giuridico non tutela il diritto all’anonimato del denunciante (...), anzi (...), impone una precisa assunzione di responsabilità a carico dello stesso, per altro verso, non può in tal modo comprimersi il diritto costituzionalmente ga-rantito alla tutela giurisdizionale. Ciò a maggior ragione nel caso in cui la de-nuncia presentata, per un verso intende offrire alla verifica all’autorità giudi-ziaria la notitia criminis, e quindi la possibilità di verifica della sussistenza nel fatto degli elementi costitutivi del reato, per altro verso, costituisce il presup-posto per l’estensione di una verifica fiscale ad altra annualità, e quindi l’avvio di un ulteriore procedimento di verifica tributaria» (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4769)

64.

62 V. Cons. Stato, sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 527; TAR Campania, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 1347. Nello stesso senso, v. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1768; Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 461; TAR Umbria, sez. I, 5 novembre 2015, n. 513.

63 In particolare, la L. n. 208/2015, all’art. 1, commi 130, 131 e 132, ha riformato la disci-plina dei termini di accertamento, prevedendo che, per gli avvisi relativi ai periodi d’imposta 2016 e successivi, venga eliminata la regola del raddoppio e l’estensione dei termini per l’ac-certamento; mentre, per gli avvisi relativi ai periodi d’imposta precedenti (fino al 2015), è stata prevista l’applicazione dei previgenti termini ordinari di accertamento e l’operatività del rad-doppio soltanto in presenza di notitia criminis trasmessa all’Autorità giudiziaria competente prima della scadenza dei termini ordinari (art. 1, comma 132, per il quale «il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini»).

64 V. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1363; Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre

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Altra circostanza dibattuta in giurisprudenza riguarda il diniego opposto dall’autorità fiscale alla richiesta di estrarre copia degli avvisi di accertamento ormai notificati e dunque esecutivi. In questi casi, l’amministrazione finanzia-ria interrogata sostiene spesso che non sussiste alcun interesse (alla difesa) in capo al contribuente, visto che i termini di impugnazione degli atti provvedi-mentali risultano spirati.

Ebbene, la giurisprudenza pare non condividere le considerazioni del fisco. Da ultimo, la sent. n. 1337, emessa dalla sezione III del TAR del Lazio il 29 gennaio 2016, e la sent. n. 3820, emessa dalla sezione VI del TAR della Cam-pania il 17 luglio 2015, hanno specificato che «(...) La valutazione da parte del-l’amministrazione, circa la sussistenza di un interesse concreto, diretto e attuale all’accesso è limitata al solo giudizio estrinseco sull’esistenza di un legittimo bisogno di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché esso non sia preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione am-ministrativa, espressamente vietato dall’art. 24, comma 3, della L. n. 241 del 1990 (...). Pertanto il diritto di accesso può essere esercitato anche indipen-dentemente dall’esistenza di una lesione immediata della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere o a partecipare alla formazione di quelli successivi (...). Per tale ragione non vale l’eccezione dell’amministrazione secondo cui sarebbe ormai decorso il termine per impu-gnare gli atti di accertamento tributario innanzi alla competente Commissio-ne Tributaria» (TAR del Lazio, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 1337)

65. Un altro filone giurisprudenziale riguarda i casi di accesso ai documenti

tributari appartenenti a soggetti diversi dal richiedente. Nella prassi quotidiana può capitare, per esempio, che un figlio chieda atti tributari del genitore de-funto, oppure, un socio di società chieda all’amministrazione finanziaria atti di accertamento che possono riguardare dati relativi ad un altro socio.

In questi casi, la giurisprudenza non ha negato tout court l’accesso al richie-dente per tutelare la riservatezza di terzi. Difatti, se il terzo richiedente motiva puntualmente all’ente interrogato la consistenza e la portata del proprio inte-resse all’accesso, questo deve essere consentito. 1996, n. 1043; Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 1996, n. 297. Con riferimento alla sentenza del Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, si rimanda all’annotazione di CIPOLLA, Diritto di difesa del contribuente ed accesso informativo alla “notitia criminis”, in GT-Riv. giur. trib., 2012, p. 55.

65 In questo senso v. Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 617; Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 2006, n. 1789; TAR Lazio, sez. I, 19 maggio 2009, n. 480.

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È stato il caso esaminato dal TAR della Campania con sent. 9 marzo 2016, n. 1347: un contribuente aveva subìto un accertamento sulla rendita catastale di immobili di sua proprietà. L’Agenzia delle Entrate, in sostanza, aveva mag-giorato la rendita catastale di tali immobili in applicazione del c.d. metodo comparativo, prendendo a base le rendite catastali di altre unità immobiliari. Il contribuente ha richiesto dunque di conoscere le rendite catastali prese a fondamento della rettifica, al fine di verificare la correttezza dell’operato del-l’amministrazione. L’Ufficio ha opposto il rifiuto all’esibizione, affermando che i dati richiesti riguardavano terze persone; sicché, il rilascio di tali infor-mazioni avrebbe «compromesso il diritto alla riservatezza di terzi».

Contrariamente all’assunto dell’Ufficio, il collegio giudicante ha disposto che: «(...) non può la sola ed estrinseca circostanza per cui un dato documen-to, oggetto di una istanza di accesso, afferisce a persona diversa dal richieden-te essere ritenuta sufficiente per negare il diritto di accesso» (TAR Campa-nia, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 1347)

66. Da ultimo, occorre esaminare la giurisprudenza che riconosce la legittimità

del diniego di accesso agli atti tributari relativi ad indagini sorte per effetto dello scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie di diversi Stati.

Trattasi delle note vicende internazionali di furto di informazioni banca-rie da parte di ex dipendenti degli istituti di credito, spesso situati in paradisi fiscali, vedi, fra tutte, la “lista Falciani”, “lista Pessina” o la recentissima “lista Vaduz”.

Questa tipologia di limitazione del diritto di accesso agli atti tributari è di tipo permanente e non, come quelle sopra citate, semplicemente differito fino alla conclusione del procedimento finale di accertamento.

Mediante la sent. 9 dicembre 2011, n. 6472 seguita poi dalle sentt. 28 feb-braio 2012, n. 1111 e 28 marzo del 2012, n. 1818, il Consiglio di Stato ha de-finitivamente chiarito che i documenti tributari, detenuti dall’amministra-zione finanziaria nazionale, a seguito di uno scambio di informazioni avvenu-to con autorità fiscali di altri Paesi, non possono formare oggetto di esibizio-ne, anche quando l’atto di accertamento è stato notificato al contribuente-richiedente, perché ciò pregiudicherebbe le relazioni internazionali intratte-nute dallo Stato con detti Paesi

67.

66 Nello stesso senso, v. Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2014, n. 617; TAR Campania, sez. I, 15 maggio 2013, n. 1103.

67 Le medesime considerazioni giuridiche sono rinvenibili in Cons. Stato, sez. IV, 5 no-vembre 2012, n. 5615; TAR Lazio, sez. II, 17 gennaio 2012, n. 487.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 162

Pertanto, in ipotesi di richieste di accesso a documenti di indagine fiscale aventi il carattere della transnazionalità, il principio di trasparenza cede il pas-so al segreto, così da salvaguardare gli interessi pubblici dall’oggettiva messa in pericolo della sicurezza, della difesa nazionale e della tutela delle relazioni internazionali.

Le citate sentenze, difatti, dispongono che «(...) ciò che sottrae, dunque, il documento all’accesso non è, o non è solo, la sua puntuale appartenenza ad una categoria nominata, bensì l’oggettiva messa in pericolo degli interessi pub-blici di sicurezza e difesa nazionale e tutela delle relazioni internazionali, deri-vante dall’accesso al medesimo»

68. Tali considerazioni sono state confermate nella recente sent. 17 dicembre

2015, n. 14229, emessa dal TAR del Lazio, nella quale è stata dichiarata la le-gittimità del diniego all’accesso ai documenti fiscali detenuti dall’amministra-zione finanziaria per via di una cooperazione intervenuta con le autorità dei Paesi Bassi e dell’Ungheria.

Infine, come detto, il diritto di accesso agli atti aventi natura tributaria co-involge anche i documenti detenuti dall’agente della riscossione.

La giurisprudenza amministrativa ha affermato che «(...) l’interesse del con-tribuente all’ostensione degli atti propedeutici a procedure di riscossione è riconosciuto anche in via legislativa, mediante la previsione di obblighi in ca-po al concessionario per la riscossione. Invero, l’art. 26, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (...) recita: “Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento” ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del con-tribuente o dell’amministrazione» (TAR Campania, sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 606; TAR Campania, sez. VI, 13 luglio 2016, n. 3534)

69. Il concessionario della riscossione, pur in presenza di tale consolidata giu-

68 In materia di scambio di informazioni e conseguente diniego all’accesso degli atti tribu-tari per la tutela delle relazioni internazionali dello Stato, v. MULEO, Acquisizioni probatorie illegittime e vizi dell’atto: il caso della lista Falciani, in Rass. trib., 2016, p. 147; ARMELLA, Uti-lizzabilità della lista Vaduz e prove illegittime nel processo tributario, in Corr. trib., 2016, p. 691; SCAGLIA, Termine raddoppiato per gli accertamenti tributari relativi alla c.d. “lista Pessina”, in Rass. trib., 2014, p. 1123; BAMBINO, Scambio di informazioni e utilizzabilità dei dati: il caso del-la “lista Falciani”, in Rass. trib., 2014, p. 1317; MARCHESELLI, Lista Falciani e diritti fondamen-tali del contribuente indagato, in Corr. trib., 2013, p. 2462; BAMBINO, Accesso agli atti dell’Am-ministrazione finanziaria, cit., p. 1557; CIARCIA, op. cit., p. 1153.

69 Si veda anche Cons. Stato, sez. IV, 9 giugno 2015, n. 2834; Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1705; Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2422; Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486; TAR Lazio, sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1338.

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risprudenza, continua a dichiarare talvolta il suo difetto di legittimazione pas-siva avanti al Giudice amministrativo, adito dal contribuente. Invero, «[d]eve essere affermata la legittimazione passiva di Equitalia (...) atteso che la predet-ta società gestisce, in regime di concessione, il servizio pubblico di riscossione e, perciò, è tenuta a garantire l’accesso a fronte dell’interesse del privato di ve-rificare eventuali illegittimità nell’azione di riscossione» (TAR Lazio, sez. II bis, 4 agosto 2016, n. 9123)

70. Sempre il TAR del Lazio, mediante la sent. n. 9662/2016, ha affermato che

il contribuente, condebitore solidale di un altro soggetto passivo, ha diritto ad ottenere da Equitalia l’accesso agli atti relativi all’esecuzione esperita nei con-fronti del predetto condebitore, al fine di conoscere l’ammontare di quanto re-cuperato e il titolo con il quale l’agente della riscossione ha agito. Queste in-formazioni permettono al contribuente di verificare l’entità del residuo credito vantato da Equitalia nei suoi confronti, dopo le azioni di riscossione già effet-tuate presso il condebitore (TAR Lazio, sez. III, 12 settembre 2016, n. 9662)

71. L’ultima macro area della giurisprudenza amministrativa attiene alle ri-

chieste del cittadino di estrarre copia di documenti fiscali riguardanti sog-getti terzi, affinché l’istante, sulla base di tali documenti, tuteli il proprio in-teresse giuridico completamente non connesso al documento che si chiede di esibire.

Ad esempio, è il caso del coniuge, che per quantificare con esattezza l’am-montare dell’assegno divorzile in sede civile, chiede all’amministrazione finan-ziaria di estrarre copia delle dichiarazioni fiscali e dei rapporti finanziari del-l’altro coniuge.

La giurisprudenza amministrativa, effettuando un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione del documento e il diritto alla riservatezza dei terzi, non si è opposta a tale tipologia di richiesta, atteso che «il comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990 dispone che deve essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridi-ci» (TAR Puglia, sez. III, 3 febbraio 2017, n. 94; TAR Veneto, sez. I, 19 gen-naio 2017, n. 61)

72.

70 Vedi anche Cons. Stato, sez. VI, 15 febbraio 2012, n. 766; Cons. Stato, sez. IV, 11 feb-braio 2011, n. 925.

71 FARRI, Accesso agli atti in fase di riscossione e imparzialità dell’esecuzione, in Riv. dir. trib., 2016, suppl. online.

72 In materia di accesso agli atti tributari del coniuge, nelle more del procedimento di di-

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Tuttavia, come affermato dal Consiglio di Stato, la tutela degli interessi propri non può avvenire mediante la richiesta indiscriminata di documenti fi-scali di terzi fatta all’amministrazione finanziaria.

Questo insegnamento arriva dalla sent. 22 dicembre 2014, n. 6342: nel cor-so di un procedimento civile per risarcimento danni, il convenuto aveva richie-sto all’Agenzia delle Entrate di Piacenza le dichiarazioni dei redditi dell’attore, al fine di provare, davanti al Giudice civile, che il suo inadempimento non aveva assolutamente creato alcun danno al predetto attore. Tale prova, secon-do il convenuto, sarebbe stata ricavata dall’assenza di decremento del volume di fatturato dell’attore, pur sussistendo comunque un inadempimento contrat-tuale riconducibile al convenuto.

Il collegio interrogato ha negato un siffatto diritto di accesso ai documenti fi-scali di terzi, affermando che, pur sussistendo la strumentalità tra il diritto di ac-cesso e il predetto giudizio civile, «non è consentito dall’ordinamento (...) sa-crificare la riservatezza del controinteressato sulla scorta di interessi vaghi, non concreti e neppure attuali» (Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6342)

73. Come si vede, la giurisprudenza in materia di accesso agli atti tributari è

molto ampia, essa varia dall’accesso ai documenti istruttori a quello relativo ai documenti fiscali di terzi. In assenza di una chiara normativa sul punto, detto contenzioso non mira a placarsi.

Traendo conclusivamente le fila di quanto illustrato, dalla recente giurispru-denza in materia di acceso agli atti tributari si individuano due insegnamenti: il primo è che il contribuente ha il diritto di chiedere e di esaminare i provvedi-menti, anche di terzi, quando vi sia un interesse preminente da tutelare; il se-condo è che solo il legislatore può individuare le categorie di documenti da sot-trarre all’accesso, perché lesive di diritti generali preminenti al diritto di accesso del singolo, non sussistendo alcun margine di apprezzabilità in capo all’ammi-nistrazione.

5. Conclusioni

Le argomentazioni che precedono consentono di affermare che il diritto di accesso agli atti tributari non si identifica con il generico ed indistinto interes- vorzio, v. Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472; TAR Lazio, sez. III, 21 ottobre 2013, n. 9036.

73 V. Cons. Giust. Amm. Sic., sent., 28 novembre 2014, n. 643.

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se di ogni contribuente a verificare il buon andamento dell’attività ammini-strativa, né esso è preordinato ad un controllo generalizzato dell’operato del-l’amministrazione finanziaria

74. Il diritto del contribuente di informarsi mediante l’accesso agli atti tributari

è un diritto che può essere sacrificato in ragione del superiore interesse dello Stato che, come desunto, consiste nella sollecita e pronta riscossione delle ri-sorse necessarie a garantire le funzioni pubbliche essenziali

75. In particolare, l’inaccessibilità ai documenti tributari, come disposto dagli

artt. 2, 3 e 4, D.M. n. 603/1996, impone all’amministrazione finanziaria di ma-ntenere il segreto nei confronti del contribuente, affinché concluda, senza in-terferenze o fughe di notizie, il procedimento istruttorio.

Infatti, la violazione di tale segretezza potrebbe inficiare i risultati delle ve-rifiche condotte nei confronti del contribuente, agevolando l’inquinamento delle prove e, dunque, pregiudicare l’efficacia dell’accertamento finale. Trami-te il segreto delle attività di indagine, appunto, verrebbe integralmente tutela-to l’interesse fiscale dello Stato, che i contribuenti sottoposti a controllo si suppone abbiano pregiudicato.

Sulla base di queste premesse, la giurisprudenza, come visto, ha espresso un consolidato indirizzo in ordine al quale il diniego all’accesso ai documen-ti tributari ha come obiettivo specifico quello di mantenere il riserbo dell’at-tività istruttoria condotta dall’autorità fiscale, finché l’azione di accertamen-to non è stata conclusa mediante la notifica dell’atto finale al contribuente

76.

74 In tema di natura e funzione del diritto di accesso conoscitivo, v. Cons. Stato, 12 gen-naio 2011, n. 116; Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2010, n. 7183; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2820; Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 1992, n. 193.

75 V. BERGONZINI, I limiti costituzionali quantitativi all’imposizione fiscale, I, Napoli, 2011; FALSITTA, Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008; DE MITA, Interesse fiscale, cit., p. 81; ID., Fisco e Costituzione, I, Milano, 1987; BORIA, L’interesse fiscale, Torino, 2002; ANTONINI, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano, 1996; MATTEUCCI, Organiz-zazione del potere e libertà. Storia del costituzionalismo moderno, Torino, 1976; MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973; ID., (voce) Capacità contributiva, in Enc. giur., V, 1988; ID., La capacità contributiva, in AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994.

76 In materia di poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, v. MARCHESELLI, Il giu-sto procedimento tributario, cit.; ID., Accertamenti tributari e tutela del contribuente, cit.; VANZ, I poteri conoscitivi e di controlli dell’amministrazione finanziaria, Padova, 2012, p. 85; VIOTTO, op. cit., p. 91; LA ROSA, Sui riflessi procedimentali e procedurali delle indagini tributarie irregola-ri, in Riv. dir. trib., 2002, p. 292; SCHIAVOLIN, Poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, in Riv. dir. trib., 1994, p. 915; SALVINI, La partecipazione del privato all’accertamento, Padova, 1990, p. 156.

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Difatti – secondo tale consolidato orientamento – se, per assurdo, il con-tribuente dovesse essere legittimato ad esercitare il diritto di accesso durante il procedimento (interno) di formazione dell’atto impositivo, potendo cono-scere le informazioni a suo carico, da ciò potrebbe derivare, in generale, un pregiudizio all’azione di indagine, posto che il soggetto controllato potrebbe essere messo nelle condizioni di “depistare” le prove dimostrative della sua in-fedeltà fiscale

77. Invece, permettere al contribuente la conoscibilità degli atti tributari solo

dopo che l’attività istruttoria a suo carico è stata conclusa, dunque, solo dopo che l’azione di accertamento è divenuta “puntuale” ed “immodificabile”, me-diante la notifica del provvedimento finale, consentirebbe all’amministrazio-ne finanziaria di tutelare integralmente l’interesse fiscale

78. Tuttavia, contrariamente a quanto fissato dalla citata giurisprudenza, oc-

corre osservare che, durante la fase istruttoria, non sempre il segreto è funzio-nale ad evitare l’inquinamento delle prove, ciò perché tale pericolo non sussi-ste in presenza di documenti non modificabili dal contribuente

79. Ad esempio, quando l’autorità fiscale, nel pieno della fase istruttoria, noti-

fica dei questionari a soggetti collegati al contribuente sottoposto a controllo, oppure, quando l’Ufficio richiede alla banca documenti relativi all’attività fi-nanziaria del contribuente, o ancora, quando l’amministrazione recupera pre-cisi documenti durante una attività di accesso nei locali del contribuente, in tutti questi casi il contribuente è già di fatto a conoscenza dello svolgimento di una verifica nei suoi confronti e, comunque, non è nelle condizioni di poter distruggere, occultare o modificare i documenti compromettenti già in pos-sesso dell’amministrazione finanziaria

80. Quindi, al ricorrere di tali circostanze, il segreto del fisco non parrebbe pre-

ordinato a salvaguardare alcun interesse. Anzi, per certi versi, escludere il con-tribuente dalla partecipazione a questo tipo di procedimenti istruttori po-trebbe risultare quasi un abuso dei poteri di polizia tributaria da parte dell’am-ministrazione finanziaria.

77 V. LA ROSA, Accesso agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del diritto di riservatezza, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 1109; CIPOLLA, Diritto di difesa del contribuente, cit., p. 55.

78 Con particolare riferimento agli strumenti di tutela dell’interesse fiscale, v. BORIA, op. cit., p. 458.

79 Sul punto, limitatamente alla funzionalità del contraddittorio tra l’amministrazione fi-nanziaria e contribuente, v. GIOVANNINI, op. cit., p. 13.

80 V. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 209; VIOTTO, op. cit., p. 335; PIANTAVIGNA, op. cit., p. 71.

Alessandro M. A. Tropea 167

In definitiva, pur in presenza di norme specifiche sulla partecipazione del contribuente al procedimento tributario, improntate sempre più alla cultura del dialogo, non esiste ad oggi una regola di carattere generale che imponga una co-mune gestione delle informazioni tra autorità fiscale e contribuente, anteriore alla formazione dell’atto impositivo, tale da consentire all’amministrazione fi-nanziaria di svolgere appieno la sua primaria funzione giustiziale già in sede amministrativa.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 168

Alessandro Turchi 169

Alessandro Turchi

L’AZIONE TRIBUTARIA DI IMPUGNAZIONE FRA MODELLI TRADIZIONALI E RECENTI

INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI

THE TAX ACTION OF IMPUGNATION BETWEEN TRADITIONAL MODELS AND RECENT JURISPRUDENTIAL INTERPRETATIONS

Abstract L’articolo esamina alcuni profili problematici afferenti alla natura e al contenuto dell’azione tributaria di impugnazione. Dopo un rapido excursus sui sistemi nor-mativi previgenti, considera in chiave critica la teoria della c.d. “impugnazione-merito” tuttora propugnata dalla Corte di Cassazione, facendo richiamo a diver-se sue recenti applicazioni. Si sofferma quindi sulla giurisprudenza con cui la stessa Corte ha esteso il novero degli atti autonomamente impugnabili in giudi-zio e devoluto alle Commissioni le liti di accertamento negativo dei debiti d’im-posta promosse, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, dal terzo pignorato. Termina con alcune osservazioni in ordine alla scelta, espressa dalle Sezioni Uni-te, di valorizzare il processo tributario come momento di definizione “sostanzia-le” dell’obbligazione d’imposta, anche a prescindere da errori o inadempimenti del contribuente. Parole chiave: processo tributario, impugnazione, rettificabilità della dichiarazione, ruolo del giudice tributario, definizione “sostanziale” del tributo The article examines some issues related to the nature and contents of challenging tax acts before courts. After a brief excursus on the previously applicable regulatory system, it critically considers the theory of the so-called “impugnation-merits” still supported by the Italian Supreme Court (ISC), by recalling its most recent decisions. It then focuses on the case law through which the ISC has extended the number of tax acts autono-mously challengeable and transferred to Tax Courts the litigation concerning the “nega-tive assessment” of the tax liability, brought against the Tax Authorities, by the garnish-ee. The present work ends with some remarks on the choice, expressed by the ISC’s

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Grand Chamber, to enhance the tax trial as the phase of “substantive” determination of the tax obligation, regardless errors or non-performances of the taxpayer. Keywords: tax litigation, appeal, rectifiability of the tax return, role of the tax judge, “substantive” determination of the tax

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’azione tributaria nei sistemi antecedenti alla riforma del 1992. – 3. L’azione di impugnazione nel sistema vigente. I malintesi della teoria della “impugnazione-merito”. – 4. L’au-tonoma impugnabilità di atti non elencati e l’accertamento negativo del debito d’imposta nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. – 5. Oggetto e funzione del processo tributario nelle sentt. n. 13378/2016 e n. 17757/2016 delle Sezioni Unite.

1. Premessa

Negli ultimi tempi la Corte di Cassazione ha affrontato diverse questioni riguardanti il contenuto e gli effetti dell’azione tributaria di impugnazione e, di conseguenza, la portata e i limiti della tutela giurisdizionale apprestata dal-l’ordinamento ai contribuenti interessati. Alcune pronunce si sono limitate a ribadire princìpi e sintagmi ormai noti, come quello della c.d. “impugnazione-merito”; altre hanno proseguito – e, si può forse dire, concluso – l’operazione interpretativa, in atto già da alcuni anni anche sulla scorta di princìpi elaborati dalla Corte di Giustizia, volta a delineare un quadro sistematico in parte nuo-vo, in cui il processo tributario viene concepito non solo come il momento della tradizionale tutela demolitoria (o sostitutiva) nei confronti degli atti del-l’ente impositore, ma anche come luogo in cui far valere situazioni giuridiche soggettive diverse dal diritto potestativo all’annullamento, mai prima aziona-te, che permettono al contribuente di (chiedere al giudice di) ridurre la base imponibile o l’imposta dovuta e ricondurre il prelievo al suo “giusto” assetto.

Le conclusioni cui questa giurisprudenza giunge sono spesso condivisibili. A volte, tuttavia, esse non convincono perché forzano i limiti posti dalla legge all’oggetto del processo e ai poteri del giudice; altre volte, le perplessità deri-vano dal richiamo a formule equivoche e in realtà ininfluenti ai fini della deci-sione (quale appunto quella della “impugnazione-merito”); altre ancora, le soluzioni adottate sembrano non garantire ai contribuenti il livello di tutela che le premesse motivazionali parevano lasciar invece presagire.

Alessandro Turchi 171

2. L’azione tributaria nei sistemi antecedenti alla riforma del 1992

La disciplina del processo tributario dettata dai decreti n. 1639/1936 e n. 1516/1937 non conteneva particolari previsioni in ordine alla tipologia e al contenuto delle azioni spettanti ai contribuenti. Si parlava di «risoluzione in via amministrativa di controversie» relative a imposte dirette e indirette; il con-tribuente poteva «reclamare contro l’operato dell’ufficio», e le commissioni potevano accertare in via autonoma la base imponibile, anche aumentando l’imposta pretesa dall’ufficio o mutando il relativo titolo. In questo contesto, era dubbia la stessa natura giurisdizionale degli organi decidenti, e i problemi principali consistevano nella ricerca di adeguati strumenti di tutela dei singoli a fronte della potestà impositiva dell’amministrazione.

La dottrina tradizionale riteneva che il reclamo del contribuente introdu-cesse un’azione dichiarativa, volta all’accertamento dell’an e del quantum del rapporto d’imposta, direttamente derivante dalla legge. In questa prospettiva, il procedimento avanti alle commissioni manteneva carattere amministrativo e si inseriva, quale fase d’impugnazione dell’accertamento, nel complesso iter di determinazione dell’imposta. La tutela dei diritti soggettivi del contribuen-te era riservata al giudice ordinario, chiamato ad accertare l’inesistenza del credito vantato dal fisco e, se del caso, a disporre il rimborso

1. Altri autori avvertirono la contraddizione di fondo insita in un sistema che,

mentre attribuiva alla finanza poteri autoritativi nella fase di attuazione del pre-lievo, correlava la nascita del debito d’imposta al mero realizzarsi del presup-posto di fatto previsto dalla norma, e proposero nuovi modelli ricostruttivi, considerando l’accertamento come atto dichiarativo, espressione di «un’ob-bligazione che gli preesiste, e che si collega non ad una potestà della quale l’at-to stesso sarebbe estrinsecazione, ma ad altra, autonoma, fonte (la legge)»

2.

1 GIANNINI, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937, poi trasfuso ne I concetti fonda-mentali del diritto tributario, Torino, 1956. In senso analogo v. PUGLIESE, Istituzioni di diritto finanziario, Padova, 1937, e TESORO, Princìpi di diritto tributario, Bari, 1938.

2 CAPACCIOLI, L’estimazione semplice, in Riv. dir. fin., 1957, I, p. 80 ss. Tramite l’avviso di accertamento, la finanza avrebbe semplicemente comunicato al destinatario «il proprio parere circa il quantum della base imponibile», senza imporre alcun vincolo in via unilaterale; in pre-senza del presupposto di fatto del tributo, la disciplina del rapporto d’imposta sarebbe piutto-sto emersa, quale «risultato finale della procedura di accertamento», dalla decisione della com-missione tributaria o dalla combinazione dell’avviso con il consenso o con l’inerzia del con-tribuente. L’Autore imputava alla teoria gianniniana di aver voluto «tenere i piedi sulle due staffe: quella della fonte legale dell’obbligo d’imposta, del valore dichiarativo dell’accertamento sull’an e sul quantum, del diritto soggettivo del contribuente, e quella della potestà d’imperio

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 172

Sul versante processuale, ne derivava che anche le liti sulla liquidazione del-l’imponibile sarebbero rientrate fra le fattispecie dell’accertamento (assieme alla dichiarazione, all’avviso e al concordato), e il giudizio avanti alle commis-sioni, seppur instaurato in impugnazione dell’atto, avrebbe riguardato il “me-rito” del rapporto. Le liti sull’an (e, in genere, sulle questioni di diritto) avreb-bero invece formato oggetto di autonome azioni dichiarative. Solamente nel primo caso la presenza dell’atto avrebbe assunto rilievo ai fini del decorso del termine decadenziale di impugnazione; avanti al giudice ordinario, la lite sul-l’an avrebbe invece potuto essere promossa nonostante la definitività dell’ac-certamento (purché nel rispetto del termine legale di prescrizione), e sarebbe stata orientata non al riesame della sentenza della commissione in sede di gra-vame, ma al sindacato di legittimità dell’atto in vista di una statuizione sui suoi effetti

3. Il problema della natura e della tipologia delle azioni esperibili avanti alle

commissioni tributarie fu diversamente impostato da Enrico Allorio, che ela-borò una nuova concezione del processo tributario, fondata su un diverso mo-do di intendere l’efficacia degli atti emanati dall’amministrazione.

A differenza delle precedenti ricostruzioni, la teoria alloriana si basava sullo schema norma-potere-fatto, che portava a riconoscere alle norme d’imposta l’effetto di attribuire alla finanza il potere di regolare in concreto il rapporto e di costituire l’obbligazione. All’avviso di accertamento erano quindi riconosciu-te natura provvedimentale ed efficacia costitutiva dell’obbligazione d’imposta, anche in difetto di presupposto. Sul terreno processuale, ciò comportava l’esi-stenza di un diritto potestativo di impugnazione dell’atto illegittimo a favore del contribuente, e correlativi poteri d’annullamento (accertamento costituti-vo) in capo alle commissioni e al giudice ordinario

4. dell’amministrazione e dell’atto d’accertamento come atto d’autorità». Occorreva invece sce-gliere: «o si ritiene che vi siano potestà di imperio e atto amministrativo, e allora bisogna ne-gare la fonte direttamente legale del debito d’imposta, negare il diritto soggettivo del contri-buente, affermare il valore costitutivo dell’atto di accertamento; oppure si sostiene che l’obbli-go d’imposta nasce dalla legge, che la posizione del contribuente è di diritto soggettivo e che l’atto di accertamento è solo dichiarativo, ma allora occorre abbandonare la potestà d’impe-rio e il carattere autoritario dell’atto d’imposizione, in punto di determinazione dell’an e del quantum del debito» (81).

3 CAPACCIOLI, L’accertamento tributario, in Riv. dir. fin., 1966, I, p. 31 ss. In senso conforme BATISTONI FERRARA, La determinazione della base imponibile nelle imposte indirette, Napoli, 1964, p. 124 ss., e RUSSO, Diritto e processo nella teoria dell’obbligazione tributaria, Milano, 1969, p. 164 (con riferimento alle imposte indirette) e p. 368 ss. (con riguardo alle imposte dirette).

4 Si vedano le Nuove riflessioni sulla teoria generale del processo tributario, in Pagine integra-

Alessandro Turchi 173

A fianco delle azioni costitutive (impugnatorie), trovavano spazio azioni di condanna dell’amministrazione al rimborso dei tributi indebitamente percetti; azioni esecutive basate sull’iscrizione a ruolo o sull’ingiunzione fiscale e volte alla soddisfazione del credito d’imposta; azioni di accertamento costitutivo in funzione di impugnazione dell’esecuzione forzata, sotto i due profili della le-gittimità sostanziale o formale del titolo esecutivo (corrispondenti alle oppo-sizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi del processo civile)

5. Una più dettagliata disciplina del ricorso e dell’azione tributaria fu intro-

dotta dal D.P.R. n. 636/1972. L’art. 16 contemplava infatti azioni di impu-gnazione e di condanna; l’art. 20 prevedeva una particolare azione accessoria di condanna, volta alla restituzione dei versamenti provvisori; l’art. 38 regola-va il rilascio della formula esecutiva sulle sentenze di condanna.

Nonostante la rigida struttura impugnatoria del giudizio, la dottrina rimase divisa sul modo di intendere l’oggetto del processo e i poteri del giudice e del-le parti: da alcuni riconoscendosi alle commissioni e alla Corte d’Appello po-teri di annullamento dell’atto impugnato

6, da altri continuandosi a configura-re il processo come giudizio di accertamento della lesione del diritto soggetti-vo del cittadino

7. La riforma del 1972 avvicinò il processo tributario a quello civile, ma ripre-

se anche aspetti tipici dei giudizi impugnatori e, in ispecie, del giudizio ammi-nistrativo. Venne introdotto il principio di tassatività degli atti impugnabili in luogo della norma che consentiva di reclamare «contro l’operato dell’uffi-cio», e si delineò una scansione logica e cronologica dei ricorsi che rispec- tive al Diritto processuale tributario, V ed., Torino, 1969, p. 573 ss. La norma «non funzio-na ponendo il singolo e la finanza immediatamente di fronte, in un rapporto giuridico già perfetto di diritti e doveri reciproci, tosto che s’avveri il fatto economico che dà base al-l’imposta»; il privato ha invece interesse «a ottenere che un potere vincolato sia esercitato in maniera conforme al vincolo», e l’esercizio di tale potere produce l’effetto costitutivo dell’obbligazione tributaria: «se ne deduce con piena naturalezza che, se l’imposizione non abbia rispettato quell’“interesse legittimo”, debba operare nei riguardi di essa una giurisdi-zione d’annullamento».

5 Le basi teoriche, le implicazioni pratiche e l’attualità del pensiero alloriano sono state recentemente richiamate da TESAURO, Imposizione e processo tributario nel pensiero di Enrico Allorio, in Rass. trib., 2016, p. 17 ss., il quale ha evidenziato che la concezione impugnatoria del processo tributario, sempre sostenuta dal giurista vercellese, «non è più, come un tempo, estranea alla giurisprudenza, che, da un trentennio, riconosce alle commissioni poteri di an-nullamento degli atti impugnati».

6 TESAURO, Profili sistematici del processo tributario, Padova, 1980, p. 25 ss.; GLENDI, L’og-getto del processo tributario, Padova, 1984, p. 209 ss.

7 RUSSO, Processo tributario, in Enc. dir., XXXVI, 1987, p. 770 ss.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 174

chiava quella dell’attività amministrativa di controllo e di riscossione 8; si ac-

centuarono gli aspetti formali del rito mediante la dettagliata previsione del contenuto del ricorso e delle modalità della sua presentazione

9; fu nuova-mente riconosciuto alle parti il potere di produrre documenti, depositare me-morie e dedurre eccezioni e motivi aggiunti «ancorché non indicati nel ricor-so» (non rientrando infatti i motivi fra gli elementi che il ricorso doveva con-tenere ab origine a pena di inammissibilità), e alle commissioni quello di diffe-rire l’udienza di discussione nei casi in cui tali attività fossero avvenute in mo-do da ledere il principio del contraddittorio.

Le modifiche apportate dal D.P.R. n. 739/1981 cambiarono in modo non trascurabile il quadro generale, aggravando per un verso la posizione del ri-corrente a vantaggio di quella del fisco, e intervenendo per altro verso – alme-no sul piano testuale – sul contenuto dei poteri delle commissioni. Nel preve-dere che anche i motivi di ricorso dovessero essere indicati fin da subito a pe-na di inammissibilità, la novella comportò un’ulteriore formalizzazione del ri-to e rese necessaria una più rigorosa disciplina dei motivi aggiunti, da allora deducibili solo fino alla data di comunicazione dell’avviso di udienza (salvo il caso di deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti)

10. La posizione processuale della finanza venne invece rafforzata dalla possibilità di rinnovo a impulso giudiziale dell’atto impugnato, con conseguente sanatoria dei vizi lamentati dal ricorrente, eccezion fatta per la decadenza e per il difetto di motivazione.

In merito al problema della natura del giudizio tributario di impugnazione, la Corte di Cassazione mantenne un atteggiamento ambivalente, distinguen-do a seconda del tipo di vizio dell’atto impugnato. I vizi formali avrebbero comportato il mero annullamento dell’atto, inidoneo a svolgere la funzione di “veicolo d’accesso” alla giurisdizione sul merito, mentre in presenza di vizi so-

8 Ai sensi dell’art. 16, comma 2, D.P.R. n. 636/1972, il ricorso contro l’ingiunzione o il ruolo era ammesso «soltanto se tali atti non sono stati preceduti dalla notificazione dell’avvi-so di accertamento o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie, ovvero per vizi loro propri».

9 La cui inosservanza era sanzionata dall’inammissibilità o dall’improcedibilità del ricorso stesso (artt. 15 e 17, D.P.R. n. 636/1972). Nel previgente sistema, il contenuto del ricorso era indicato dalla legge nel solo caso di impugnazione avanti alla commissione centrale (art. 46, R.D. n. 1516/1937), mentre le modalità di proposizione del reclamo erano le stesse pre-viste per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi (art. 23, R.D. n. 1516/1937 e art. 43, R.D.L. n. 1639/1936).

10 Artt. 15 e 19 bis del novellato D.P.R. n. 636/1972.

Alessandro Turchi 175

stanziali il processo avrebbe avuto ad oggetto proprio il “merito” del rapporto, cioè l’accertamento dell’obbligazione tributaria

11. Il D.P.R. n. 636/1972 non contemplava azioni di mero accertamento né

azioni cautelari. La giurisprudenza ritenne che l’azione di mero accertamento non fosse proponibile né avanti al giudice ordinario (cui erano sottratte tutte le liti sui tributi elencati dall’art. 1), né avanti alle commissioni, a causa della struttura impugnatoria del processo, che poteva essere instaurato solo a segui-to della notifica di un determinato provvedimento della finanza

12. Anche l’a-zione cautelare era esclusa, perché non prevista in modo espresso dalla legge e non considerata una “componente essenziale della tutela giurisdizionale” in materia tributaria

13. Per quanto concerne le azioni di impugnazione, l’art. 16, D.P.R. n. 636/1972

distingueva tra atti autonomamente o non autonomamente impugnabili. I pri-mi erano espressamente elencati, ma l’elenco veniva interpretato in maniera e-stensiva.

L’iscrizione a ruolo era equiparata a un provvedimento impositivo per-ché, in presenza di uno degli atti impugnabili (e quindi anche del ruolo), l’art. 16, comma 6 impediva di chiedere il rimborso dell’imposta nel termine biennale dal versamento. Si riteneva pertanto che, se non impugnato, il ruo-lo comportasse sempre la definitività del rapporto d’imposta e non consen-tisse il rimborso delle somme eventualmente versate

14. Questa tesi è soste-nuta ancor oggi dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina, nonostan-te l’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 non contenga più una norma analoga a quel-la ora richiamata.

11 V. ad esempio Cass., 23 marzo 1985, n. 2085, in Giur. it., n. 1, 1986, I, p. 908, con speci-fico riguardo al vizio di omessa motivazione previsto dall’art. 21, D.P.R. n. 636/1972.

12 Cass., sez. un., 17 giugno 1988, n. 4120, in Mass. Giur. it., 1988, p. 555; Id., sez. un., 6 novembre 1993, n. 10999, in Corr. trib., 1993, p. 3220.

13 Come affermò la Corte costituzionale nella nota sent. 1° aprile 1982, n. 63, in Foro it., 1982, I, c. 1216. Qualche pretore, pur escludendo la possibilità di chiedere la sospensione dei provvedimenti impositivi o di riscossione avanti al giudice ordinario, riconobbe però poteri cautelari in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. alle stesse commissioni, sul rilievo che la tutela d’ur-genza esprimesse un principio di carattere generale e non fosse incompatibile con la struttura del processo speciale d’imposta.

14 Si veda sul punto Cass., sez. un., 9 giugno 1989, n. 2786, in Rass. trib., 1989, II, p. 733, seguita, fra le altre, da Id., 14 dicembre 1989, n. 5606, in Mass. Giur. it., 1989, p. 697; Id., 22 giugno 1993, n. 789, in Giur. it., n. 1, 1994, I, p. 221; Id., 30 maggio 1997, n. 4867, in Mass. Giur. it., 1997, p. 466 (tutte relative a ricorsi volti a ottenere il rimborso dell’Ilor versata in base a ruo-li non impugnati e poi dichiarata incostituzionale).

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 176

Il ruolo era impugnabile per vizi propri, cui venivano ricondotti anche gli errori commessi dal contribuente in sede di dichiarazione: in quest’ultimo ca-so, si assisteva al fenomeno dell’impugnazione di un atto di per sé legittimo, ma inficiato dall’erroneità di un suo atto presupposto.

Quanto alle domande di rimborso, l’art. 16 regolava sia il procedimento amministrativo che l’azione giurisdizionale, esperibili nei soli casi in cui si trat-tasse di versamenti diretti e mancassero atti impugnabili. In presenza di un di-niego espresso di rimborso, avente natura provvedimentale ed efficacia costitu-tiva, era necessario proporre azione di impugnazione, affiancata dall’azione ac-cessoria di condanna alla restituzione di quanto versato. In caso di silenzio-ri-fiuto di rimborso, avente semplice natura di presupposto processuale (spa-tium deliberandi), l’unica azione esperibile era quella di condanna, proponibile nel termine prescrizionale.

3. L’azione di impugnazione nel sistema vigente. I malintesi della teoria della “impugnazione-merito”

3.1. Il vigente processo tributario resta modellato sul disegno del 1972, anche se oggi le commissioni conoscono «tutte le controversie aventi ad og-getto i tributi di ogni genere e specie» e può quindi parlarsi di una omogeneiz-zazione della tutela in chiave costitutiva.

Le tipologie di azione sono più numerose rispetto al passato, perché la leg-ge prevede espressamente, oltre alle azioni di impugnazione e di rimborso, l’a-zione cautelare e il ricorso in ottemperanza.

Altre tipologie di azione (nullità, accertamento mero o preventivo) sono state prospettate in riferimento alle modifiche apportate alla disciplina degli atti amministrativi dalla L. n. 15/2005 e alla mutata interpretazione dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 da parte della giurisprudenza di legittimità: ma, in realtà, non sembrano configurabili nel nostro processo. La Corte di Cassazione ha ritenuto esperibile avanti alle commissioni l’azione di accertamento del debi-to di restituzione dell’ente impositore ai sensi dell’art. 549 c.c.: soluzione che – come si vedrà – desta ampi margini di perplessità.

In realtà, la struttura impugnatoria del processo tributario ne circoscrive l’oggetto al contenuto del provvedimento impugnato e ai motivi di impugna-zione (che corrispondono ai vizi dell’atto): una volta proposto il ricorso, non è ammesso l’ampliamento dell’oggetto del giudizio, salva l’integrazione dei mo-tivi nel caso previsto dall’art. 24, D.Lgs. n. 546/1992. Non sono ammesse a-zioni preventive di accertamento, volte a ottenere sentenze che statuiscano

Alessandro Turchi 177

sull’esistenza o sul contenuto di un’obbligazione tributaria non ancora costi-tuita.

Quanto alla natura e agli effetti dell’impugnazione, la dottrina appare tut-tora divisa fra chi considera il processo tributario come processo di annulla-mento (totale o parziale) dell’atto impugnato, avente ad oggetto la verifica dei vizi formali e sostanziali del provvedimento lamentati dal ricorrente e la con-seguente pronuncia di una sentenza costitutiva dell’effetto di annullamento

15, e chi ritiene invece che il processo serva ad accertare, tramite il ricorso di parte (e fatte salve le ipotesi di vizi formali dell’atto), l’an e il quantum di un rapporto d’imposta che nascerebbe ex lege e che il provvedimento impugnato – come la sentenza della commissione – verrebbe soltanto ad acclarare

16.

3.2. In giurisprudenza è ricorrente la massima secondo cui il processo tri-butario «non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito, in quanto diretto non alla sola eliminazio-ne giuridica dell’atto impugnato ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria»

17. Una volta verificata l’esistenza del vizio del provvedimento lamentato dal ricorrente, la commissione tributaria avrebbe quindi il potere e dovere di statuire sull’assetto del rapporto controverso e di quantificare l’imposta effettivamente dovuta. La commissione, una volta ravvi-sata la parziale infondatezza della pretesa dell’amministrazione, non dovrebbe annullare in parte l’atto impugnato, ma «esaminare nel merito la pretesa tribu-taria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte»

18. Ad esempio, a fronte delle contrapposte richieste di annullamento dell’av-

viso di rettifica di maggior valore (da parte del contribuente) e di conferma dello stesso (da parte dell’ufficio), il giudice potrebbe “collocarsi in una posi-zione mediana” e rideterminare il valore del bene, accertato in misura pari al

15 TESAURO, Manuale del processo tributario, II ed., rist. agg., Torino, 2014, p. 75 ss.; FAL-SITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, VIII ed., Padova, 2012, p. 579; GLENDI, Processo tributario, in Enc. giur. Treccani, Agg., XIII, Roma, 2005, p. 1 ss.

16 BATISTONI FERRARA-BELLÈ, Diritto tributario processuale, V ed., Padova, 2014, p. 97 s.; FRANSONI, Il ricorso e l’introduzione del giudizio, in RUSSO, Manuale di diritto tributario. Il pro-cesso tributario, II ed., Milano, 2013, p. 150 ss.

17 Così, fra le più recenti, Cass., 3 agosto 2016, n. 16154, in Banca dati Leggi d’Italia; Id., 28 giugno 2016, n. 13294, ibidem; Id., 18 settembre 2015, n. 18448, in Boll. trib., 2015, p. 1583.

18 Cass., 23 novembre 2016, n. 23812, in Banca dati Leggi d’Italia; Id., 16 settembre 2016, n. 18229, ibidem.

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valore venale in comune commercio, sulla base del valore catastale, cui lo stesso contribuente abbia fatto espresso richiamo

19; così come potrebbe ridurre le sanzioni irrogate nell’avviso di accertamento e determinarne l’entità nei limiti delle richieste delle parti, anche sulla base di una norma più favorevole so-pravvenuta, la cui applicazione «non può considerarsi domanda nuova, né te-ma esorbitante dai limiti del giudizio, ma rientra pienamente nel potere dove-re decisorio» del giudice stesso

20. Il carattere di “impugnazione-merito” del processo tributario, avente quale «connaturato obiettivo l’accertamento della pretesa tributaria», non farebbe nemmeno dubitare dell’ammissibilità dell’ap-pello proposto dall’ufficio senza un’espressa domanda di conferma dell’atto impositivo, perché la legittimità dell’atto «è la sostanza del processo tributa-rio», e la domanda di conferma «è un contenuto implicito ed imprescindibile delle difese dell’ufficio, come lo è della domanda di annullamento di una sen-tenza che sia stata sfavorevole alle posizioni dell’amministrazione»

21. Si afferma anche che il giudice di merito, che rilevi l’erronea inclusione

dell’IVA tra i maggiori ricavi accertati dall’ufficio e la necessità di abbattere maggiori presumibili costi, correlati a maggiori presunti ricavi, non deve prov-vedere al parziale accoglimento dell’appello del contribuente, ma alla «de-terminazione dell’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovu-te»

22. In analoga prospettiva, si riconosce alla commissione tributaria il pote-re di verificare se le quotazioni OMI siano inquadrabili tra gli elementi di pro-va idonei a sorreggere la valutazione estimativa di un immobile in multipro-prietà, «operando, se del caso, una motivata valutazione sostitutiva quanto al merito della pretesa tributaria»

23. Il potere del giudice tributario di effettuare una «motivata valutazione so-

stitutiva» del “merito” della pretesa fiscale viene richiamato anche per esclu-dere che, in ipotesi di sgravio parziale del ruolo, siano necessarie la formazio-ne di un nuovo ruolo e l’emissione di una nuova cartella con importo rettifica-to, potendo la commissione procedere direttamente all’“accertamento del rap-porto” nei limiti segnati dal provvedimento di sgravio

24. Infine, dato che l’annullamento dell’avviso di accertamento per motivi so-

stanziali «comprende tutti gli aspetti sostanziali relativi al reddito accertato,

19 Cass., 17 giugno 2015, n. 12469, in Banca dati Leggi d’Italia. 20 Cass., 23 novembre 2016, n. 23812, cit. 21 Cass., 22 luglio 2016, n. 15188, in Banca dati Leggi d’Italia. 22 Cass., 28 giugno 2016, n. 13297, in Banca dati Leggi d’Italia. 23 Cass., 30 settembre 2016, n. 19466, in Banca dati Leggi d’Italia. 24 Cass., 3 agosto 2016, n. 16154, cit.

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ivi compresi la sua natura ovvero la sua entità», il giudice d’appello che riten-ga insussistente la prova presuntiva del maggior reddito accertato quale reddi-to d’impresa non dovrebbe annullare in toto l’accertamento, ma verificare se gli elementi forniti dall’ufficio siano comunque idonei a fondare la prova pre-suntiva di un reddito non dichiarato «ancorché, in ipotesi, di natura diversa (ad esempio di lavoro dipendente e non di impresa) e/o, eventualmente, di entità diversa da quella indicata nell’avviso opposto»

25. Al “giudizio di merito” sul rapporto non si potrebbe pervenire nei soli casi

di vizi formali dell’atto impugnato, in presenza dei quali il giudice «dovrebbe arrestarsi all’invalidazione di esso, con ciò non omettendo affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente esplicando-la». Il provvedimento impugnato sarebbe insomma il “veicolo di accesso” al giudizio di “merito”, cui si potrebbe appunto pervenire solo per il tramite del-l’impugnazione di un atto privo di vizi di forma

26.

3.3. Le sentenze ora citate si richiamano alla teoria della “impugnazione-merito”, ma sembrano potersi inquadrare anche in una prospettiva diversa da quella assunta dalla Suprema Corte, perché, in realtà, non presuppongono né la natura dichiarativa delle azioni di impugnazione proposte dal ricorrente, né la natura sostitutiva delle sentenze delle commissioni. La quantificazione del-l’imposta accertata nei limiti delle domande di parte, il ricalcolo delle sanzioni in base allo ius superveniens, la conferma dell’iscrizione a ruolo per la parte non sgravata dall’ufficio, la determinazione del valore dell’immobile o dei ricavi dell’impresa in misura ridotta rispetto a quella accertata rappresentano infatti altrettante ipotesi di annullamento parziale del provvedimento impugnato, riconducibili de plano nell’ambito di un sistema processuale ricostruito in chiave costitutiva (non sostitutiva)

27. Non persuade invece la pronuncia che ha dichiarato ammissibile l’appello

dell’ufficio, privo di un’espressa domanda di conferma dell’atto impositivo, ri-

25 Cass., 17 giugno 2016, n. 12562, in Banca dati Leggi d’Italia. 26 Cass., 5 dicembre 2014, n. 25764, in Banca dati Leggi d’Italia; Id., 28 agosto 2013, n.

19767, ibidem. 27 Lo evidenzia molto bene TESAURO, Il processo tributario tra modello impugnatorio e mo-

dello dichiarativo, in Rass. trib., 2016, p. 1046, osservando che «il giudice tributario può pro-nunciare sia sentenze che annullano in toto l’atto impositivo, sia sentenze che lo annullano in parte (ad esempio quando riducono la stima di una base imponibile, o annullano solo alcune delle “riprese” contenute nell’avviso)», sicché «se il giudice riconosce che una parte dell’at-to è legittima, non vi è motivo per pensare che la sostituisca e la riproduca con identico con-tenuto» (1050).

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chiamando il carattere di “impugnazione-merito” del processo e consideran-do la domanda di conferma «contenuto implicito ed imprescindibile delle di-fese dell’ufficio». L’art. 53, D.Lgs. n. 546/1992 impone di indicare nel ricorso in appello l’oggetto della domanda, seppur senza l’uso di formule particolari: la domanda di conferma dell’avviso di accertamento non può dunque ritener-si automaticamente ricompresa nelle difese dell’ufficio, ma dev’essere propo-sta in maniera autonoma (anche mediante richiesta di riforma della sentenza di primo grado favorevole al contribuente).

Nemmeno pare corretto ritenere che il “merito” del rapporto controverso comprenda «tutti gli aspetti sostanziali relativi al reddito accertato», e il giu-dice possa, in difetto di prova del maggior reddito d’impresa accertato, riqua-lificare il reddito come di lavoro dipendente e rideterminarne l’ammontare. Non spetta infatti al giudice sostituirsi agli uffici nell’attività di accertamento: come accadrebbe appunto se la commissione ricercasse e applicasse criteri di qualificazione dell’imponibile non utilizzati in via amministrativa, sulla base di un giudizio “di merito” autonomo da quello compiuto dall’ufficio. Anche i cri-teri di qualificazione dell’imponibile, prescelti in sede di accertamento, con-corrono con le domande di parte a fissare i limiti dell’eventuale giudizio tribu-tario, e rappresentano – o dovrebbero rappresentare – un ostacolo all’eserci-zio di asseriti poteri sostitutivi da parte delle commissioni.

Del resto, la stessa Corte di Cassazione afferma che il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’ufficio assume la veste di attore in senso so-stanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quan-to riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi. Sulla base di questo principio, si è correttamente ritenuto che la novità della domanda pro-posta in appello debba essere verificata «in stretto riferimento alla pretesa ef-fettivamente avanzata nell’atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati»

28, e si è altrettanto corretta-mente richiesta, già nel ricorso introduttivo, la specifica indicazione dei moti-vi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale, «con l’indicazione delle ragioni giuridiche e di fatto per le quali l’atto impu-gnato è radicalmente nullo o annullabile»

29. Se il contribuente deve allegare

28 Cass., 23 novembre 2016, n. 23916, in Banca dati Leggi d’Italia; Id., 4 novembre 2016, n. 22512, ibidem.

29 Cass., 18 marzo 2016, n. 5405, in Banca dati Leggi d’Italia.

Alessandro Turchi 181

sin da subito, senza poter poi modificare, le ragioni giuridiche a base della propria domanda di annullamento, lo stesso principio deve valere per l’ammi-nistrazione, che non può mutare in corso di causa i presupposti giuridici della rettifica: ciò che è precluso alle parti dovrebbe allora essere impedito anche al giudice, a meno di volergli attribuire prerogative non previste dalla legge e del tutto avulse dal sistema.

In realtà, il “merito” della lite tributaria è rappresentato dalla sussistenza o meno del diritto all’annullamento dell’atto impugnato fatto valere dalla parte ricorrente, e la sentenza che riconosce tale diritto produce effetti costitutivi (non sostitutivi), perché elimina l’atto impugnato senza sostituirsi ad esso. Non esiste nessuna necessaria correlazione fra giudizio “di merito” e sentenza so-stitutiva: in materia tributaria, anzi, il giudizio “di merito” si conclude con una sentenza (non sostitutiva, bensì) dichiarativa o costitutiva, a seconda del fatto che il ricorso venga respinto o accolto

30. Se la commissione avesse il potere di sostituire l’avviso di accertamento,

dovrebbe anche avere la possibilità di esercitarlo negli stessi limiti e con gli stessi effetti con cui lo esercita l’amministrazione finanziaria. Ma la Suprema Corte esclude giustamente che ciò possa accadere, quando vieta al giudice di merito di introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto e ravvisa vi-zio di ultra o extrapetizione se il giudice «interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato)»

31. Ecco dunque un ul-

30 Sull’inesistenza di poteri sostitutivi in capo alle commissioni tributarie v. fra gli altri TESAURO, Manuale, cit., p. 206 ss.; BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, II ed., Torino, 2013, p. 147 ss.; RANDAZZO, Rapporto tra iscrivibilità a ruolo degli importi non conte-stati e decadenza dell’Amministrazione finanziaria, in Riv. giur. trib., 2013, p. 584, a opinione del quale «la lite condotta dentro il processo nato dall’impugnazione di un atto espressione del potere impositivo non ha altra emergenza che non sia quella del controllo giurisdizionale dell’atto impugnato», e «il sindacato del giudice si concentra sull’operato dell’ufficio, che fa da oggetto e da limite alla sua cognizione, restandogli preclusa ogni valutazione di elementi del presupposto rimasti estranei al contenuto del provvedimento impugnato». Ne deriva che «gli effetti della sentenza in questi casi non potranno essere valutati alla stregua di una nor-ma sostanziale, in quanto essi sono tutti concentrati e si risolvono sull’effetto di (eventuale) mo-dificazione giuridica dell’atto impugnato. La sentenza è allora destinata a non avere un conte-nuto di accertamento di rapporti tra le parti e, nel caso venga confermato l’atto impugnato (per insussistenza dei vizi eccepiti dal ricorrente), essa non avrà effetto sostitutivo del prov-vedimento».

31 Cass., 11 maggio 2016, n. 9555, in Banca dati Leggi d’Italia.

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teriore malinteso della teoria della “impugnazione-merito” che, prima, rico-nosce alle commissioni tributarie il potere di decidere sulla base di una “moti-vata valutazione sostitutiva” dell’avviso di accertamento, ma esclude poi che l’accertamento possa essere sostituito nella parte relativa alla ricostruzione fattuale della fattispecie imponibile.

4. L’autonoma impugnabilità di atti non elencati e l’accertamento negativo del debito d’imposta nella giurisprudenza della Corte di Cassazione

A partire dal 2005 la Corte di Cassazione ha elaborato, e poi consolidato, una giurisprudenza intesa a svalutare la portata dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 e la tassatività dell’elenco degli atti autonomamente impugnabili in esso con-tenuto. Questa giurisprudenza si è di fatto sostituita al legislatore, sino a indi-viduare nuove tipologie di azione sganciate dalla domanda di impugnazione di provvedimenti autoritativi.

4.1. La svalutazione della tassatività dell’elenco degli atti impugnabili ha

preso le mosse dalla nota sentenza con cui, nel 2005, le Sezioni Unite hanno devoluto al giudice tributario le controversie promosse in impugnazione del rifiuto espresso o tacito di autotutela. A giudizio della Suprema Corte, infatti, la generalizzazione della giurisdizione tributaria operata dalla L. n. 448/2001 avrebbe investito le commissioni di tutte le liti in cui «si faccia questione di uno specifico rapporto tributario o di sanzioni inflitte da uffici tributari», e indirettamente modificato anche l’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, perché «l’aver consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi si traduce nella possibilità, per il contribuente, di rivolgersi al giudice tributario quando l’amministrazione manifesti, anche attraverso il si-lenzio rigetto, la convinzione che il rapporto tributario debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare»

32. Bisognerebbe dunque verificare, caso per caso, se l’atto notificato al contribuente esprima una “con-vinzione” dell’ente impositore e definisca “termini” dell’obbligazione tributa-ria tali da generare un interesse ad agire qualificato ai sensi dell’art. 100 c.p.c.

In successive occasioni, la Corte ha affermato che «ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria, debbono essere qualificati come avvisi di accertamen-

32 Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776, in Rass. trib., 2005, p. 1732, con nota di DO-NATELLI, Osservazioni critiche in tema di ammissibilità dell’impugnazione del diniego di autotu-tela innanzi alle Commissioni tributarie.

Alessandro Turchi 183

to o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, compiuta e non condizionata, ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi del-l’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto»

33. Non si parla di “convinzione”, ma di pretesa “definita, compiuta e non condi-zionata”: di un atto cioè che, pur non rivestendo una delle forme previste dall’art. 19, pare comunque assumere la sostanza del provvedimento autorita-tivo e giustificare la reazione in chiave impugnatoria del contribuente.

Tant’è vero che, in diversi casi, il problema è stato proprio quello di indivi-duare la natura e gli effetti dell’atto emanato dall’ufficio, al fine di stabilirne l’autonoma impugnabilità in giudizio. Si pensi ai pareri negativi resi dalla Di-rezione regionale dell’Agenzia delle Entrate sulle istanze di disapplicazione della disciplina riguardante le società di comodo, o alle comunicazioni emana-te in esito ai controlli formali delle dichiarazioni: atti in ordine ai quali la stes-sa Corte ha assunto indirizzi non uniformi, negando a volte e affermando in altre la sussistenza di una pretesa “compiuta” e la conseguente autonoma im-pugnabilità

34. In conclusione, la Corte svaluta l’elenco dell’art. 19, ma questa svalutazio-

ne si traduce solo in alcuni casi nel riconoscimento di un interesse ad agire del contribuente svincolato dall’esistenza di un provvedimento autoritativo. In altri casi – e sono la maggioranza – il ricorso viene comunque concepito come reazione agli effetti provvedimentali dell’atto emanato dall’ufficio, e il caratte-re propriamente impugnatorio del processo non viene disconosciuto. Senon-ché, in entrambe le serie di ipotesi i giudici di legittimità ritengono che, pro-prio a causa della mancata elencazione dell’atto da impugnare nell’art. 19, il ricorso non sia necessario ma facoltativo, e il contribuente possa impugnare, senza alcuna preclusione, il provvedimento tipico (avviso di accertamento, iscrizione a ruolo) che verrà poi adottato dall’ufficio

35.

33 Così, ex multis, Cass., sez. un., 26 luglio 2007, n. 16428, in Il Fisco, n. 1, 2007, p. 4633; Id., 13 settembre 2013, n. 20940, ibidem; Id., 11 luglio 2014, n. 16055, in Il Fisco, n. 1, 2014, p. 3186.

34 L’impugnabilità delle comunicazioni con cui l’ufficio invita a fornire dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi è stata ad esempio esclusa dalla citata Cass., sez. un., 26 luglio 2007, n. 16428 (trattandosi di atti che manifesta-no «una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto definitivo»), ma riconosciuta da Id., 11 maggio 2012, n. 7344, in Boll. trib., 2012, p. 1547 (portando gli stessi a conoscenza del contribuente «una pretesa impositiva compiuta»).

35 «L’elencazione tassativa degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario non esclu-

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Questo orientamento lascia perplessi. In primo luogo, esso appare privo di base testuale, perché l’art. 19 non

giustifica l’estensione dell’impugnazione ad atti non elencati e non assimila-bili, nella natura e negli effetti, a quelli elencati. Una cosa è ammettere l’im-pugnazione di provvedimenti non menzionati dalla legge ma sicuramente riconducibili al novero di quelli elencati (qual era l’avviso di liquidazione, non menzionato nella primigenia versione dell’art. 16, D.P.R. n. 636/1972); altra cosa ritenere impugnabili atti che – come il diniego di autotutela o la comunicazione dell’esito del controllo informatico – incidono sulla sfera giuridica del destinatario in modo del tutto particolare, e non producono gli stessi effetti di quelli impositivi. Il processo tributario si promuove con ri-corso, e il ricorso serve a chiedere l’annullamento di un provvedimento lesi-vo, immediatamente idoneo a pregiudicare il destinatario. Non avrebbero senso altrimenti la previsione di un rigido termine decadenziale per l’eser-cizio della relativa azione, né il rigoroso sistema di inammissibilità previsto dagli artt. 18 e 22, D.Lgs. n. 546/1992.

Non persuade, da parte della Corte, il richiamo all’art. 2 dello stesso decre-to e all’avvenuta generalizzazione della giurisdizione tributaria. L’art. 2 ha de-voluto alle commissioni tutte le liti tributarie, ma non ha interferito con l’art. 19 (e le Sezioni Unite lo hanno riconosciuto nel 2005, rimettendo al giudice di merito la valutazione in ordine alla concreta impugnabilità del diniego di autotutela). Il contribuente non può impugnare, e il giudice non può annulla-re, atti che, pur attenendo alla materia tributaria, non hanno natura provve-dimentale, non costituiscono l’obbligazione d’imposta e non generano un im-mediato bisogno di tutela. Anche questo principio era assodato prima del re-virement giurisprudenziale di cui s’è detto, e reggeva la distinzione – formaliz- de la facoltà del contribuente di impugnare innanzi al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco (come l’avviso di pagamento bonario) allorquando essi con-tengano la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria, ma la mancata im-pugnazione di un atto, non espressamente indicato nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, conte-nente la manifestazione di detta pretesa tributaria, nel termine di cui all’art. 22, D.Lgs. n. 546/1992, non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19» (Cass., sez. un., 8 otto-bre 2007, n. 21045, in Riv. giur. trib., 2008, p. 507, con nota di TABET, Verso la fine del princi-pio di tipicità degli atti impugnabili?, che critica la sentenza «quando riconosce al contribuen-te un interesse all’azione anche prima che la pretesa tributaria si esprima attraverso un atto autoritativo; ciò equivale infatti a negare che il legislatore del processo tributario abbia cano-nizzato l’interesse al ricorso puntualizzandolo in atti tipici, senza lasciare all’interprete il compi-to di scrutinare quando l’interesse alla tutela sia attuale e quando no»). Si vedano anche Id., 16 maggio 2012, n. 7687, in Banca dati Leggi d’Italia, e Id., 19 marzo 2014, n. 6398, ibidem.

Alessandro Turchi 185

zata dallo stesso art. 19 – fra atti autonomamente e atti non autonomamente impugnabili avanti alle commissioni.

Anche sul piano sistematico l’indirizzo assunto dalla Corte di Cassazione non persuade.

Per quanto attiene alla ritenuta impugnabilità di atti non provvedimentali, es-so finisce per introdurre nel nostro processo un’azione di (mero) accertamento dell’inesistenza della pretesa tributaria non prevista dal D.Lgs. n. 546/1992 e tradizionalmente estranea ai poteri decisori delle commissioni e alla struttura del processo tributario

36. Non si comprende fra l’altro entro quale termine tale

36 In questa prospettiva si muove anche Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704, in Riv. giur. trib., 2016, p. 34 ss., che ammette l’impugnazione della cartella di pagamento di cui, a causa dell’invalidità della relativa notifica, il contribuente sia venuto a conoscenza solo attra-verso un estratto di ruolo rilasciato dall’agente della riscossione, non ostando a ciò l’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, «in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto succes-sivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gra-voso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, ri-spetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione». Nel commentare la Pronuncia, CERIONI, La Cassazione riforma il processo tributario: dalle azioni impugnatorie a quella di accertamento dell’obbligazione tributaria, in Riv. giur. trib., 2016, p. 46, osserva che, sul piano sistematico, essa «conferma l’evoluzione del modello legale fondato sull’“impu-gnazione di atti tipici” verso un processo volto a un generalizzato controllo della legittimità dell’attività amministrativa svolta dalle Agenzie fiscali, attraverso l’esercizio delle azioni di annullamento, accanto a quelle di mero accertamento negativo delle pretese impositive, ov-vero del rapporto obbligatorio d’imposta, secondo la concezione cara alla teoria dichiarativa dell’obbligazione tributaria». Si veda anche CORDA, Riflessioni in merito all’impugnabilità del-l’estratto di ruolo, in Riv. dir. trib., 2016, II, p. 199, che ritiene «quantomeno illogica» la ne-gazione, da parte delle Sezioni Unite, dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo in sé considera-to, sembrando più coerente ammetterne l’impugnabilità «in una sostanziale assimilazione tra ruolo ed estratto, senza distinzioni formalistiche, poiché attraverso quest’ultimo atto il contribuente viene a conoscere la pretesa impositiva mai o, comunque, invalidamente co-municata in precedenza».

L’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo era stata esclusa da Cass., 20 marzo 2013, n. 6906, ivi, 2013, p. 585, in quanto atto interno, non noto al contribuente e inidoneo a con-cretizzare un interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. La Pronuncia è stata commentata in senso critico da CARINCI, Impugnazione del ruolo: l’interesse ad agire torna (inspiegabilmente) ad esse-re ancorato all’idoneità dell’atto a definire effetti pregiudizievoli per il contribuente, ibidem, p. 587 ss., anche sulla base dell’orientamento, ora esaminato, favorevole ad ammettere l’impu-gnazione di tutti gli atti idonei a portare a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata: «ebbene, non può certo mettersi in dubbio che il ruolo soddisfi tutte le e-vocate caratteristiche prescritte per l’impugnazione di un atto in commissione tributaria: il

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azione dovrebbe essere proposta: se nel termine decadenziale dei 60 giorni fissato dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992, o in quello prescrizionale tipico delle azioni dichiarative.

Quanto invece all’impugnazione degli atti non elencati ma recanti – in tesi – una pretesa “definita, compiuta e non condizionata”, si può innanzitutto os-servare che i provvedimenti tipici a disposizione degli uffici per formalizzare la pretesa impositiva sono numerosi, sicché non sembra agevole delineare, al lo-ro fianco, una diversa categoria di atti che, pur destinati allo stesso scopo, as-sumerebbero una forma differente. Non si vede in sostanza perché nell’ordi-namento dovrebbero coesistere due tipologie di atti identici nella sostanza e negli effetti, ma diversi nella forma e nel regime processuale: gli uni impugna-bili in via necessaria, gli altri in via facoltativa.

Senza considerare le incertezze operative e l’ingiustificata proliferazione del contenzioso che finiscono per derivarne. Se portata alle logiche conseguenze, l’assimilazione degli atti elencati dall’art. 19 a quelli comunque idonei a ester-nare una “definita e compiuta” pretesa impositiva dovrebbe comportare per entrambi la necessità dell’impugnazione nel termine dei 60 giorni, e la defini-tività in caso contrario. Con il rischio, per i contribuenti, di vedersi precluso il ricorso contro l’avviso di accertamento o contro il ruolo in caso di mancato ricorso contro il parere negativo della Direzione regionale o contro la comu-nicazione dell’esito del controllo formale della dichiarazione.

Soluzione dirompente, della cui impraticabilità la stessa Corte di Cassa-zione si è subito resa conto. È stata quindi elaborata la figura dell’impugna-zione facoltativa dell’atto non elencato: tertium genus, non previsto dalla leg-ge, fra l’impugnazione autonoma dei provvedimenti elencati e l’impugnazione non autonoma degli atti non elencati, prodromici all’emanazione dei primi

37. ruolo costituisce invero l’atto che individua e definisce la pretesa, destinata ad essere sola-mente trascritta sulla cartella di pagamento; inoltre, ne integra il titolo esecutivo per la ri-scossione coattiva».

37 Come osserva TESAURO, Il processo tributario, cit., p. 1044, «l’impugnabilità può essere ammessa solo per atti che producono effetti lesivi e che, se non impugnati nei termini, diven-tano definitivi. Qui, invece, l’impugnazione è ammessa per atti che, impugnati o no, sono senza effetti. Se l’impugnazione è facoltativa, è dubbio che possa essere definita impugnazio-ne. Non è neppure chiaro se sia soggetta a termine. In realtà, si ammette – senza dirlo – l’a-zione di mero accertamento, contraddicendo il principio secondo cui il ricorrente non può agire in via preventiva, con azione di mero accertamento». V. altresì CIPOLLA, Processo tribu-tario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 976, secondo cui «l’impugnazione facoltativa è una contradictio in terminis: nel modello impugnatorio propriamente detto, l’atto/provvedimento impugnabile o è impu-gnato (ed allora non diventa definitivo) oppure non è impugnato (ed allora l’unica chance del

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Ma l’impugnazione facoltativa non rientra nel sistema delle azioni previste dal D.Lgs. n. 546/1992, e crea più problemi di quanti non risolva. Chi impu-gna l’atto non elencato rischia infatti di sentirsi dichiarare inammissibile il ri-corso, mentre chi non lo impugna rischia – lo si è detto – di vedersi respingere il ricorso proposto contro il provvedimento successivamente emanato dall’uf-ficio, a causa della (ritenuta) preclusione conseguente all’omessa impugna-zione dell’atto precedente

38.

4.2. Due sentenze pronunciate nel 2014 dalle Sezioni Unite hanno pro-spettato una nuova tipologia di azione nel processo tributario, avente ad og-getto l’accertamento del credito d’imposta del contribuente nei confronti del-l’Agenzia delle Entrate, coinvolta nel giudizio quale terzo pignorato ai sensi dell’art. 549 c.p.c. Secondo le Sezioni Unite, la lite di accertamento del credito d’imposta vantato dal debitore pignorato nei confronti dell’Agenzia rientre-rebbe nella giurisdizione delle commissioni, e la dichiarazione resa in giudizio dal funzionario dell’Agenzia in merito all’insussistenza di detto credito sareb-be espressione di un potere impositivo sindacabile in via giurisdizionale. Al giudizio di accertamento dovrebbero partecipare, in veste di litisconsorti ne-cessari, tutti i soggetti interessati, ossia il creditore procedente, il debitore ese-cutato e la stessa Agenzia delle Entrate

39. La sentenza tocca un punto nevralgico dell’attuale assetto del sistema di

tutela giurisdizionale in materia tributaria, che emerge nelle ipotesi in cui l’en- contribuente è l’autotutela amministrativa). Se invece l’atto non ha natura provvedimentale e non rientra comunque nell’elenco dell’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, è inidoneo a cristallizzare i suoi effetti: ma non perché il contribuente abbia proposto ricorso; quanto per-ché è la natura stessa dell’atto che … esclude alla radice la possibilità che l’atto diventi defini-tivo. In un modello impugnatorio trasformare sul piano delle situazioni soggettive l’impu-gnazione da un onere (il cui mancato assolvimento nel termine di legge si traduce in deca-denza) in una facoltà (il cui mancato esercizio non esplica alcun effetto) è una forzatura che finisce con lo snaturare la natura propria del modello».

38 Soluzione che pare «perfettamente armonica con il sistema» a FRANSONI, Spunti rico-struttivi in tema di atti impugnabili nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, I, p. 1009. Se-condo l’Autore, infatti, «la previsione di altri atti impugnabili, diversi da quelli indicati nel-l’art. 19, non è dettata dall’esigenza di moltiplicare le occasioni di tutela, ma da quella di ri-conoscere ai contribuenti tutte (e sole) le occasioni che il sistema giustifica … In questo quadro, non è quindi assolutamente contraddittorio prevedere l’integrazione dell’elenco de-gli atti impugnabili e, al tempo stesso, annettere alla mancata impugnazione di questo atto le conseguenze, in termini di “definitività”, che da questa scelta derivano».

39 Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773, in Il Fisco, n. 1, 2014, p. 1084; Id., sez. un., 5 maggio 2014, n. 9570, in Riv. giur. trib., 2014, p. 849.

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te impositore non viene coinvolto nella lite in qualità di parte resistente, autri-ce dell’atto impugnato o del silenzio-rifiuto di rimborso di cui si controverte, ma compare sulla scena processuale in posizione più defilata, quale terzo sog-getto interessato da azioni volte a far accertare situazioni giuridiche diverse dal diritto all’annullamento dell’atto o alla condanna al rimborso del tributo. Il criterio adottato per ripartire la giurisdizione fra le commissioni e il giudice ordinario è quello della sussistenza (o meno) dello schema potestà-soggezio-ne: se lo schema appare configurabile, la lite è devoluta alle commissioni; al-trimenti, a decidere sarà il giudice ordinario, perché la causa riguarda soltanto privati e non tocca la legittimità dell’azione amministrativa

40. Anche questo orientamento suscita perplessità. Innanzitutto, non sembra configurabile nella fattispecie esaminata lo sche-

ma potestà-soggezione, in difetto di un qualsiasi provvedimento emanato dal-l’Agenzia delle Entrate, che si limita a negare il proprio debito avanti al giudi-ce dell’esecuzione. Le Sezioni Unite ritengono che la dichiarazione negativa del funzionario dell’Agenzia costituisca «espressione del potere impositivo ad essa spettante»: ma l’affermazione non convince, perché non si vede come il fatto di negare davanti al giudice l’esistenza di un debito possa essere assimila-to all’esercizio del potere impositivo, nella sua forma provvedimentale o in quella del silenzio-rifiuto di rimborso. La dichiarazione negativa prevista dagli artt. 548 e 549 c.p.c. non manifesta potestà e non determina soggezione; non si traduce in un atto autoritativo né in un’inerzia qualificata dalla legge; non è indirizzata al contribuente ma al giudice; non incide sulla genesi o sull’attua-zione di rapporti obbligatori d’imposta, ma produce i soli effetti processuali che a essa tipicamente si ricollegano.

In secondo luogo, la tesi secondo cui i giudizi di accertamento dei crediti d’imposta regolati dall’art. 549 c.p.c. dovrebbero essere radicati avanti alle commissioni tributarie incontra seri ostacoli di ordine sistematico. Infatti, il ricorrente verrebbe a chiedere al giudice speciale di accertare un debito del-l’Agenzia delle Entrate non nei suoi confronti (come avviene nelle liti di rimborso), ma nei confronti di un terzo, debitore esecutato in un procedi-mento di civile espropriazione: l’azione difetterebbe di legitimatio ad causam, perché lo stesso ricorrente non si affermerebbe titolare di alcun diritto (di

40 In quest’ultimo caso, la sentenza non produce alcun effetto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate: Cass., sez. un., 26 giugno 2009, n. 15031, in Giur. it., 2009, p. 2553 (in materia di sostituzione) e Id., sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2064, in Boll. trib., 2011, p. 1038 (in tema di rivalsa IVA).

Alessandro Turchi 189

annullamento o rimborso) verso l’Agenzia, affermando invece il diritto di credito di un altro soggetto (unico “contribuente”, peraltro inerte). Inoltre, non essendo riconducibile l’azione esercitata a nessuna delle tipologie note al nostro processo, la commissione tributaria dovrebbe eccedere dai confini della propria tradizionale potestà decisoria e comportarsi come il giudice ordinario, accertando l’obbligo del terzo e provvedendo al riguardo secondo le norme del codice di rito.

La sentenza è stata pronunciata con riferimento al sistema processuale civi-le antecedente alle modifiche dell’art. 549 c.p.c. che, nel 2013 e nel 2015, han-no mutato la disciplina e gli effetti dell’accertamento giurisdizionale dell’ob-bligo del terzo. Il novellato art. 549 c.p.c. dispone infatti che, se sulla dichiara-zione del terzo sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiara-zione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell’esecuzione, su istanza di par-te, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddit-torio tra le parti e con il terzo. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedi-mento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c. Sulla base di questo nuovo regime, si deve oggi ritenere che la decisione del giudice verta soltanto su una situazione soggettiva strumentale all’esecuzione, e che – per quanto ora interessa – la giurisdizione ordinaria rimanga ferma anche quando il credito pignorato attiene a materia riservata alla giurisdizione di un giudice speciale, e anche in presenza dello schema potestà-soggezione evocato dalla Suprema Corte. Nessuna azione di accertamento dell’obbligo del terzo risulta dunque esperibile avanti alle commissioni tributarie.

5. Oggetto e funzione del processo tributario nelle sentt. n. 13378/2016 e n. 17757/2016 delle Sezioni Unite

Un richiamo infine a due recenti sentenze con cui le Sezioni Unite si sono espresse in tema di emendabilità in bonam partem delle dichiarazioni dei red-diti e di utilizzabilità dei crediti IVA non dichiarati negli anni di formazione. Nel decidere delle relative questioni, entrambe le pronunce considerano an-che la prospettiva processuale e la valorizzano nella ricerca di soluzioni intese a tutelare il diritto dei contribuenti al riconoscimento degli errori commessi e all’esercizio dei crediti d’imposta anche in assenza di alcuni degli adempimen-ti richiesti dalla legge. Come accennato, le conclusioni raggiunte non paiono del tutto soddisfacenti, e vanno comunque adeguate alle modifiche normative

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 190

introdotte dall’art. 5, D.L. n. 193/2016 alla disciplina della rettificabilità delle dichiarazioni tributarie

41. La sent. n. 13378 individua tre diverse modalità di rettifica in melius della

dichiarazione dei redditi: presentazione di una dichiarazione integrativa in di-minuzione, entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito even-tualmente risultante ex art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322/1998; domanda di rimborso dei versamenti diretti già eseguiti, entro l’ordinario termine decaden-ziale di quarantotto mesi ex art. 38, D.P.R. n. 602/1973; e impugnazione giu-risdizionale del provvedimento eventualmente emanato dall’ufficio, «indipen-dentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa e dal-l’istanza di rimborso»

42. Tralasciando qui il discorso riguardante la correttezza e la coerenza siste-

matica dei due primi rimedi 43, e soffermando l’attenzione sull’ultima parte della

41 Come noto, l’art. 5, D.L. n. 193/2016, sostituito dalla legge di conversione n. 225/2016, ha sostituito i commi 8 e 8 bis dell’art. 2, D.P.R. n. 322/1998 e integrato l’art. 8 dello stesso decreto, uniformando i termini di rettificabilità in malam e in bonam partem delle dichiara-zioni dei redditi, dell’IRAP, dei sostituti e dell’IVA, che ora coincidono con quelli di accer-tamento. Ha modificato inoltre l’art. 1, comma 640, lett. b), L. n. 190/2014, prevedendo che il differimento degli ordinari termini di accertamento, conseguente alla presentazione della dichiarazione integrativa, operi con riguardo “ai soli elementi” (non più “agli elementi”) og-getto di integrazione.

42 Cass., sez. un., 30 giugno 2016, n. 13378, in Riv. giur. trib., 2016, p. 936, con nota di NUSSI, L’emendabilità della dichiarazione: l’occasione persa dalle Sezioni Unite. La sentenza è stata seguita da altre pronunce, fra cui Id., 28 settembre 2016, n. 19126, in Banca dati Leggi d’Italia («la necessità della preventiva dichiarazione al Comune dell’esistenza di una perti-nenza può essere superata dalla prova offerta dal contribuente, nel procedimento contenzio-so instaurato per contestare la pretesa tributaria, della pertinenzialità dell’area stessa in forza di principi già espressi dalle Sezioni Unite, sia pure con riferimento alla dichiarazione dei redditi, trattandosi di omissione emendabile in sede giudiziale atteso il diverso piano su cui operano le norme in materia di accertamento e riscossione rispetto a quelle che governano il processo tributario»); Id., 9 novembre 2016, n. 22379, ibidem; Id., 21 dicembre 2016, n. 26550, ibidem («in tema di incentivi fiscali per la ricerca scientifica, il credito d’imposta con-cesso dall’art. 5 della legge n. 449 del 1997 può essere opposto dal contribuente in sede giu-diziaria anche qualora egli sia incorso nella decadenza di cui all’art. 6, d.m. n. 275/1998 per non aver indicato il credito nella pertinente dichiarazione dei redditi o in una tempestiva di-chiarazione integrativa, sempre che in giudizio i requisiti sostanziali del credito d’imposta siano provati dal contribuente o incontestati dal fisco»).

43 Su cui v. STEVANATO, Integrabilità della dichiarazione ‘in bonam partem’ tra limiti imma-ginari e aperture apparenti, in Corr. trib., 2016, p. 2481 ss. È solo il caso di osservare che la prima alternativa individuata dalle Sezioni Unite risulta oggi superata dalla norma secondo cui, salva l’applicazione delle sanzioni e del ravvedimento operoso, le dichiarazioni dei redditi, dell’IRAP, dei sostituti e dell’IVA possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi

Alessandro Turchi 191

motivazione, riguardante appunto le forme e il contenuto della tutela giurisdi-zionale, va segnalato come la soluzione adottata dalla Suprema Corte valorizzi indubbiamente il momento processuale e gli riservi un ruolo di chiusura del sistema, concependo l’azione di impugnazione quale extrema ratio cui ricorre-re in situazioni nelle quali non paiono più praticabili né la dichiarazione ridut-tiva né la domanda di rimborso. La sentenza riconosce infatti ai contribuenti il potere di impugnare avvisi di accertamento e ruoli viziati non già nella parte re-lativa alla ricostruzione della maggior base imponibile, ma in quella riproduttiva dell’imponibile erroneamente dichiarato, a prescindere dal decorso dei termini previsti per la dichiarazione riduttiva o per la domanda di rimborso. In questo senso, essa apre la strada a giudizi di impugnazione del tutto peculiari, aventi ad oggetto provvedimenti di imposizione viziati da errori dichiarativi dei con-tribuenti, non rilevati in sede di accertamento e dunque – deve ritenersi – in-ficianti anch’essi la legittimità dell’atto impugnato: errori che, se riconosciuti in sede processuale, potrebbero permettere la restituzione di imposte indebi-tamente versate e non richieste a rimborso entro gli ordinari termini di legge.

Tale soluzione muove(va) da premesse opinabili laddove differenzia(va) la disciplina delle dichiarazioni integrative in malam e in bonam partem, esclu-dendo che queste ultime potessero essere presentate dopo la scadenza del ter-mine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello dell’errore. Offre però ai contribuenti una diversa chance di tutela, correlata appunto all’impugnazione dei provvedimenti notificati in rettifica delle dichia-razioni non emendate

44. Chance che la legge concede ora espressamente, la-sciando «ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, an-che in sede di accertamento o di giudizio», errori che abbiano inciso sull’ob-bligazione tributaria e determinato l’indicazione di un maggior imponibile, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito

45. quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito, mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini ordinari di decadenza stabiliti dagli artt. 43, D.P.R. n. 600/1973 e 57, D.P.R. n. 633/1972.

44 Con la conseguenza, ben evidenziata in dottrina, per cui, in certe situazioni (quali ad esempio la dichiarazione di perdite inferiori a quelle effettive), l’unico modo per ottenere la ret-tifica «sarebbe paradossalmente quello di sperare di ricevere un avviso di accertamento e in sede di opposizione allo stesso far valere l’errore commesso» (STEVANATO, op. cit., p. 2491).

45 Art. 2, comma 8 bis e art. 8, comma 6 quinquies, D.P.R. n. 322/1998, come modificati dall’art. 5, D.L. n. 193/2016. Per un primo commento alla norma si vedano FRANSONI-PA-DOVANI, Nuovi termini per la rettifica della dichiarazione: il legislatore semplifica e corregge la Cassazione, in Corr. trib., 2016, p. 3369, i quali osservano che «la scelta normativa in esame rafforza il convincimento che l’idea … secondo cui il processo possa essere sempre e in ogni

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Sul piano sistematico, si potrà forse sostenere che ciò rappresenti un’ulte-riore conferma giurisprudenziale della natura di “impugnazione-merito” del nostro processo, venendo il giudice a “sostituire” all’imponibile accertato dal-l’ufficio quello rideterminato sulla base della rettifica dell’errore commesso dal contribuente e non rilevato in sede di accertamento. Tanto più che, in cer-te situazioni, l’errore potrebbe addirittura interessare annualità d’imposta e di-chiarazioni diverse da quella accertata. Anche in questi casi, tuttavia, può par-larsi di annullamento parziale del provvedimento amministrativo e ritenersi che – analogamente a quanto visto sopra – nel riconoscere l’errore di parte e il conseguente minor debito d’imposta la commissione provveda a eliminare in parte qua il provvedimento impugnato, senza sostituirsi all’ufficio. Sotto que-sto profilo, la modifica normativa del 2016 ha ampliato il concetto di vizio proprio dell’atto impugnabile

46, e impone oggi una lettura più liberale dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992.

L’accertamento giudiziale del diritto controverso (il “merito” del rapporto, secondo la terminologia utilizzata) è valorizzato anche dalla sent. n. 17757 che, nel risolvere il problema della spettanza del credito IVA non dichiarato nell’anno di formazione, richiama expressis verbis la pronuncia n. 13378 oltre alla giurisprudenza eurounitaria

47, e afferma il principio di diritto secondo cui «la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta, risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo caso il luogo in cui l’esigenza della giusta tassazione può essere realizzata a prescindere dal-l’applicazione dei corretti moduli procedimentali è inficiata alla base dalla constatazione che le soluzioni processuali sono necessariamente episodiche, mentre la complessità del sistema è tale da imporre soluzioni “a regime” le quali sono garantite solo dal corretto previo svolgi-mento della fase di accertamento».

46 Nel commentare la sent. n. 13378/2016, NUSSI, op. cit., p. 943, osserva che, nella visio-ne sistematica da essa adottata, «la tutela del contribuente viene anticipata, ponendosi al di fuori della tradizionale impostazione che limita ai c.d. vizi propri i motivi di ricorso avverso gli atti impositivi, e ciò nel quadro di una precisa tendenza giurisprudenziale volta a depoten-ziare l’agire procedimentale, onde consentire al giudice di sostituirsi alla funzione ammini-strativa. L’atto impugnato, insomma, è considerato come mera occasione di intervento giu-diziale a tutto tondo, a prescindere dalla latitudine del previo agire amministrativo. Inutile evidenziare che simile “deriva”, ove la giurisdizione esula dai propri ambiti ed opera in fun-zione di supplenza, non sia condivisibile».

47 In particolare, Corte di Giustizia UE, 11 dicembre 2014, in causa C-590/13 (Idexx La-boratories Italia), in Il Fisco, n. 1, p. 273, e Id., 18 ottobre 2012, in causa C-525/11 (Mednis), in L’Iva, n. 12, 2012, p. 55, cui adde Id., 28 luglio 2016, in causa C-332/15 (Astone), in Corr. trib., 2016, p. 3142.

Alessandro Turchi 193

anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione». Pertanto, il diritto di detrazione «non può essere negato nel giudizio di impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concre-to, ovvero non controverso, che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo di imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati a operazioni imponibili»

48. Ancora una volta, il sistema processuale viene in aiuto al contribuente che,

«in presenza di situazioni legali e veritiere», non abbia adempiuto agli obblighi di dichiarazione, e gli permette di rimediare «in via di eccezione direttamente nel processo», allegando quale “ragione d’impugnazione” del ruolo emesso a seguito di controllo automatizzato l’errore commesso e l’effettiva spettanza del credito. È infatti il processo tributario «il contesto privilegiato nel quale l’esigen-za della giusta imposizione trova la sua armonica realizzazione a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire ed agevolare l’azione amministrativa».

Il richiamo ai princìpi di capacità contributiva e di collaborazione e buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco, oltre che alla necessità di garantire la neutralità dell’IVA, supporta il discorso delle Sezioni Unite e ne rafforza la por-tata sistematica. A differenza della Pronuncia n. 13378, quella in esame consi-dera però «in disparte i casi di decadenza o prescrizione» e riconosce la de-trazione dell’eccedenza IVA non dichiarata solo se esercitata «entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno suc-cessivo a quello in cui il diritto è sorto».

Vengono dunque fissati precisi limiti temporali all’esercizio del diritto del contribuente: il che incrina la linearità della motivazione della sentenza e con-trasta con le affermazioni appena segnalate circa l’esigenza di assicurare la giu-sta imposizione in sede processuale «a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire e agevolare l’azione amministrativa», e di mantenere le par-ti in posizione di parità, posto che – secondo quanto ritengono le stesse Se-zioni Unite – il fisco potrebbe contestare in giudizio l’esistenza del credito di-chiarato anche dopo il decorso dei termini di accertamento, in base al princi-pio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum

49.

48 Cass., sez. un., 8 settembre 2016, n. 17757, in Corr. trib., 2016, p. 3133, con nota di CENTORE, La dichiarazione IVA con efficacia formale e sostanziale.

49 Come statuito da Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5069, in Riv. giur. trib., 2016, p. 473, con nota di GARGIULO, Sulla rettifica delle ‘dichiarazioni a credito’ tra processo ed azione am-ministrativa.

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 194

Si ha insomma l’impressione che la Suprema Corte non voglia spingersi troppo in avanti, e si preoccupi delle conseguenze che potrebbero derivare dalla rigorosa applicazione del principio della piena accertabilità del credito del con-tribuente nel “privilegiato contesto” processuale. Così facendo, tuttavia, essa giunge a conclusioni che smentiscono le premesse del ragionamento e crea una frattura rispetto ai citati precedenti in tema di emendabilità della dichiarazio-ne dei redditi e di disconoscimento del credito d’imposta dichiarato. Frattura tanto più evidente se si considera che proprio la sent. n. 17757 dichiara appli-cabili all’IVA i princìpi di diritto enunciati dalla pronuncia n. 13378, «attesa la comunanza della disciplina dichiarativa e rettificativa nazionale fissata dall’art. 8, comma 6, d.p.r. n. 322 del 1998».

195

GIURISPRUDENZA

SOMMARIO: Cass, sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 – Pres. Teresi, Rel. Aceto, con nota di

R. Cordeiro Guerra-S. Dorigo, Residenza fiscale delle società ed esterovesti-zione: note a margine della sentenza Dolce & Gabbana della Cassazione penale (Tax residence of companies and (fictitious) relocation abroad: some remarks on the Dolce & Gabbana decision issued by the Italian Supreme Court)

Cass., sez. trib., 24 novembre 2016-16 dicembre 2016, n. 26050 – Pres. Chindemi, Est. Stalla, con nota di A. Fedele, Ha ancora un senso il “coacervo” delle do-nazioni? La difficile conciliazione di dati testuali ed esigenze sistematiche (Is there still a reason for the cumulus between donatum and relictum? The difficult conciliation between the written rules and systematic needs)

Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586 – Pres. Bielli, Rel. Olivieri, con nota di C. Scaglione, Reverse charge nelle operazioni intracomunitarie: IVA detraibile in caso di violazioni formali (Reverse charge in intra-Community transactions: deductible VAT in case of formal infringements)

DOTTRINA RTDT - n. 1/2017 196

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 197

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 – Pres. Teresi, Rel. Aceto

Reati tributari – Abuso del diritto – “dolo di elusione” e “dolo di evasione” – Diffe-renze. Reati tributari – Condotte elusive – Società estere controllate da imprese italiane – "domicilio fiscale" – Criteri di individuazione – Modalità. Omessa dichiarazione – Società esterovestita – Costruzioni di puro artificio – Esi-stenza di ragioni extrafiscali.

In materia di reati tributari, il “dolo di elusione”, ossia la generica volontà consapevole di avvalersi degli strumenti negoziali previsti dagli artt. 37 e 37-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per ottenere vantaggi fiscali non dovuti, non si identifica con il dolo specifico di evasione che, in quanto integrato dalla deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo, esprime un disvalore ulteriore idoneo a selezionare gli illeciti penalmente rilevanti da quel-li che tali non sono.

Ai fini della configurabilità di illeciti penali in relazione a condotte poste in essere al solo scopo di eludere l’imposizione tributaria, nel caso di società con sede legale estera controllata da impresa avente sede in Italia ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. è necessario che il giudice ac-certi – attraverso le regole del processo penale e, quindi, rifuggendo da inversioni dell’onere della prova frutto del ricorso alle presunzioni tributarie – se il “domicilio fiscale” estero sia una costruzione di puro artificio, individuabile alla luce dei criteri fissati dall’art. 162 d.P.R. 1986, n. 917 e degli indici elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le so-cietà cd. “casella postale” o “schermo” o, invece, corrisponda ad una entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o statuto.

Il fenomeno dell’esterovestizione inquadra un abuso del principio della libertà di stabi-limento di matrice comunitaria, che può essere sussunto, sotto il profilo oggettivo e sogget-tivo, nel reato di omessa dichiarazione, solo laddove sia comprovato che si siano adottate strutture di puro artifizio, e non già nei casi dove la creazione di veicoli societari esteri ri-sponda a significative ragioni extrafiscali connesse alla riorganizzazione di un gruppo. A tali fini non rileva da dove promanino gli impulsi volitivi, né l’esercizio del potere di dire-zione e coordinamento, naturalmente radicato in capo agli organi della capogruppo, con-tando solamente l’attività effettivamente svolta nel territorio estero.

(Omissis) 14. Prima di esaminare le eccezioni di natura sostanziale sollevate dai ricorrenti è ne-

cessario richiamare alcuni principi espressi dalla già citata sentenza di questa Corte n. 7739 del 2012 che, nel richiamare quanto condivisibilmente affermato da Sez. U, n. 1235 del 28 ottobre 2010, Giordano, ha ribadito che “il sistema sanzionatorio in materia fisca-le ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente,

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all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’in-teresse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali”.

14.1. Il Collegio condivide pienamente questa affermazione alla cui base – come ri-corda la sentenza n. 7739 del 2012 – “vi è il fondamentale principio di legalità, che si specifica nei principi di determinatezza e tassatività” che, si ricorda, sono a loro volta scolpiti dagli artt. 13 e 25 Cost.

14.2. Il diritto penale tributario si caratterizza per la sua specialità che gli deriva dalla particolare materia che ne costituisce l’oggetto, ma resta pur sempre diritto penale, dirit-to cioè dei comportamenti ritenuti lesivi di beni giuridici o di valori ad essi preesistenti, non diritto degli atti o degli interessi regolati dalle norme tributarie e certamente non dell’obbligazione tributaria.

14.3. In quanto “diritto penale”, esso si caratterizza per la sua natura autonoma e co-stitutiva rispetto alle altre branche del diritto, essendo stata da tempo ripudiata, per l’in-candescenza del suo oggetto (la libertà personale), la teoria della funzione meramente sanzionatoria di istituti di altri rami del diritto.

14.4. Il diritto penale tributario non fornisce l’armamentario necessario a reprimere la violazione degli obblighi tributari altrove disciplinati. Non v’è dubbio che il comune og-getto di tutela sia il dovere di concorrere alle spese pubbliche, previsto dall’art. 53 Cost., quale specifica articolazione del più generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., ma tale tutela non viene penalmente perseguita in modo indiretto, sanzionando pura-mente e semplicemente gli obblighi tributari altrove disciplinati nell’an, nel quomodo e nel quando. Al legislatore penale tributario non sta a cuore il recupero del gettito fiscale evaso, né il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, ma esclusivamente la rie-ducazione dell’autore della lesione del bene giuridico protetto, che costituisce lo scopo essenziale della sanzione penale (art. 27 Cost.).

14.5. La funzione della pena, l’inviolabilità della libertà personale che viene in gioco, la ineliminabile valorizzazione degli elementi soggettivi della condotta che innervano e danno sostanza alla natura esclusivamente personale della responsabilità penale e alla fun-zione rieducativa della pena, impongono una lettura “autonoma” delle norme penali tri-butarie, secondo i canoni interpretativi che l’inviolabilità del bene potenzialmente a rischio impongono (i soli “casi e modi previsti dalla legge” – scilicet penale – entrata in vigore prima del fatto commesso).

14.6. Il disvalore espresso dalla condotta penalmente sanzionata, dunque, deve esse-re individuato esclusivamente all’interno della norma che la descrive che deve essere a sua volta applicata in conformità ai principi di stretta legalità, tassatività e determinatez-za che governano l’interpretazione della legge penale, rifuggendo pertanto dalle sempre possibili suggestioni che il comune oggetto della materia trattata può comportare e che possono determinare il rischio sia di non ammesse interpretazioni analogiche che di scor-ciatoie probatorie volte ad attrarre nella fattispecie penale la pura e semplice constata-zione dell’inadempimento dell’obbligo tributario che la norma stessa non ritiene sufficien-te ai fini della punibilità dell’autore.

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14.7. La presenza nella fattispecie penale di elementi normativi altrove disciplinati non può rappresentare la falla attraverso la quale il travaso di istituti giuridici di altri rami del diritto possa geneticamente mutare la norma penale. Gli elementi normativi della fattispecie sono parte integrante di una norma che ha ad oggetto, come detto, i comporta-menti e dunque la persona prima di tutto e persegue interessi diversi da quelli disciplinati dalla fonte di appartenenza.

14.8. È in questo contesto che deve essere trattato il tema dell’elusione fiscale che la sentenza di questa Corte n. 7739 del 2012 ritiene penalmente rilevante in considerazio-ne del richiamo (indiretto e ai fini della punibilità) che ne fa il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 16, ma che il Collegio reputa vada risolto esclusivamente nell’ambito di ogni singola fat-tispecie penale e nei limiti in cui concorra, come si vedrà, ad individuarne non la condot-ta ma esclusivamente il suo oggetto e nei limiti in cui la rigorosa interpretazione della nor-ma lo consente.

14.9. Si può sin d’ora anticipare, infatti, che le condotte elusive di cui al D.P.R. 29 set-tembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, e art. 37 bis, non solo non esauriscono il disvalore dell’illecito tributario penalmente sanzionato, ma non estendono ad esse nemmeno la tipi-cità delle singole fattispecie incriminatrici che devono invece rimanere saldamente ancora-te alle condotte tassativamente e specificamente previste per ciascuno reato. La condotta elusiva, in buona sostanza, non è di per sé penalmente sanzionata e non legittima interpre-tazioni estensive della fattispecie penale, né l’adozione di criteri di accertamento del rea-to che attingano a piene mani alle presunzioni (semplici) tributarie.

(Omissis) 16.17. L’obbligo di presentare la dichiarazione annuale dei redditi e dell’imposta sul

valore aggiunto grava, dunque, sulle società che per la maggior parte del periodo di im-posta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel terri-torio dello Stato (imposta sui redditi) e che hanno sede legale o anche solo amministra-tiva in Italia (imposta sul valore aggiunto).

16.18. Il dato unificante è costituito, pertanto, dal “domicilio fiscale” che tuttavia, se stabilito d’ufficio dall’amministrazione finanziaria, si identifica, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nella “sede amministrativa” (sull’unicità del domicilio fiscale ai fini del-l’imposizione diretta e indiretta, cfr. Cass. civ., Sez. 5, n. 11170 del 10/05/2013, Rv. 626921).

16.19. Ai fini della individuazione della “sede amministrativa” dell’ente possono sen-z’altro essere utilizzati i criteri in base ai quali viene individuata la “sede effettiva” della persona giuridica di cui all’art. 46 c.c., comma 2, da sempre indicata dalla giurisprudenza delle Sezioni Civili di questa Corte di cassazione nel luogo nel quale la società ha il cen-tro effettivo di direzione e di svolgimento della sua attività, ove cioè risiedono gli ammi-nistratori, sia convocata e riunita l’assemblea sociale, si trovino coloro che hanno il pote-re di rappresentare la società, il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentra-mento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della pro-pulsione dell’attività dell’ente e nel quale, dunque hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i

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suoi dipendenti (Cass. civ. Sez. 5, n. 2869 del 07/02/2013, Rv. 625688; Cass. civ. Sez. 1, n. 995 del 25/03/1958, Rv. 882188; Cass. civ. Sez. 3, n. 1671 del 22/06/1963; Cass. civ. Sez. 1, n. 1183 del 14/04/1969, Rv. 339775; Cass. civ. Sez. 3, n. 1249 del 18/04/1969, Rv. 339877; Cass. civ. Sez. 2, n. 3028 del 13/10/1972, Rv. 360788; Cass. civ. Sez. L, n. 335 del 02/02/1976, Rv. 379018; Cass. civ. Sez. L, n. 2472 del 24/04/1981, Rv. 413253; Cass. civ. Sez. L, n. 7037 del 13/04/2004, Rv. 572032; Cass. civ. Sez. L, n. 6021 del 12/03/2009, Rv. 607263; Cass. civ. Sez. 1, n. 6559 del 20/03/2014, Rv. 630604; cfr. al-tresì la giurisprudenza della Corte di Giustizia che più avanti verrà illustrata).

16.20. La definizione di sede amministrativa, dunque, si fonda su un criterio di effet-tività gestionale dell’impresa che ha rilevanza anche ad altri fini: la sede principale del-l’impresa che individua il tribunale competente a dichiararne il fallimento (R.D. 16 mar-zo 1942, n. 267, art. 9), si identifica con il luogo nel quale l’imprenditore svolge prevalen-temente la sua attività amministrativa e direttiva (Cass. civ. Sez. 1, n. 441 del 14/01/1995, Rv. 489701; Cass. civ. Sez. 1, n. 151 del 10/01/1996, Rv. 495293, che parla di “centro propulsore dell’impresa”); la sede effettiva costituisce valido luogo alternativo per le no-tifiche da effettuare nei confronti delle società con personalità giuridica (Cass. civ. Sez. L. n. 6021 del 2009, cit.), se non privilegiato, quando conosciuta dal terzo (Cass. civ. Sez. 1, n. 6559 del 2014, cit.).

16.21. Non diversamente, la giurisprudenza delle Sezioni Penali di questa Suprema Corte è stata costante nell’affermare che l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero sussiste se detta società, ha stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territo-rio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obbli-ghi contrattuali e dell’espletamento dei servizi (Sez. 3, n. 29724 del 26/05/2010, Casta-gnara, Rv. 248109; Sez. 3, n. 7080 del 24/01/2012, Barretta, Rv. 252102; Sez. 3, n. 32091 del 21/02/2013, Mazzeschi, Rv. 257043; nonché, Sez. 3, n 1811 del 30/10/2013, Pinhas, Rv. 258367).

16.22. Il criterio di effettività che induce a preferire la sede amministrativa dell’ente-persona giuridica quale luogo nel quale viene fissato d’ufficio il suo domicilio fiscale è del resto omogeneo a quello in base al quale esso è attribuito alla persona fisica nel comune ove svolge in modo continuativo la propria attività (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 59, comma 1).

16.23. Alla “direzione effettiva” della persona giuridica, quale criterio per l’individua-zione del suo domicilio fiscale, fa riferimento anche la Convenzione stipulata tra Italia e Lussemburgo intesa a evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio ed a prevenire la frode e le evasioni fiscali, ratificata con L. 14 agosto 1982, n. 747, il cui art. art. 4 (intitolato “domicilio fiscale”), così recita: “1. l’espressione residente di uno Stato contraente designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga (...) 3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona

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fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residen-te dello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.

(Omissis) 16.28. Il criterio della “direzione effettiva” quale luogo di individuazione del domici-

lio fiscale può non essere sufficiente e comunque comportare evidenti storture applicati-ve nel caso di società controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, soprattutto nei casi in cui il capitale sociale della controllata è interamente di proprietà della controllante.

16.29. Identificare “tout court” la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi deci-sionali può in questi casi comportare conseguenze aberranti ove esso dovesse identifi-carsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo.

16.30. Tale approccio ermeneutico si pone addirittura in contrasto con la presunzio-ne di “eterodirezione” della società controllata che costituisce la “ratio” della disciplina di cui all’art. 2497 c.c. e segg., di cui al Capo 9° del titolo 5° del libro 5°, come sostituito dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 5, e in particolare con quanto espressamente pre-vede l’art. 2497 sexies c.c., secondo il quale “si presume salvo prova contraria che l’atti-vità di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359”.

16.31. Il fenomeno della “direzione unitaria delle imprese del gruppo” era peraltro già considerato e disciplinato a vari fini dal legislatore degli anni 1990 (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 61; D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 12; D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 90; si vedano anche la L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 10, comma 1 bis; il D.Lgs. 9 apri-le 1991, n. 127, art. 25), si che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, richiamando le fonti appena citate, aveva affermato che “il quadro normativo (...) si è evoluto nel senso dell’ormai consolidata acquisizione del fenomeno economico giuridico – connotato dalla unicità di un disegno imprenditoriale dettato da un’impresa controllante e più collegate imprese controllate – del c.d. gruppo di imprese o della impresa di gruppo” (Cass. civ. Sez. 1, n. 22280 del 17/10/2006, Rv. 594628), traendone la conseguenza della ineleggibilità a consigliere regionale, prevista dalla L. 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, n. 10, per “i legali rap-presentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario ... della regio-ne” anche per i legali rappresentanti, dirigenti e amministratori di società per azioni delle quali la Regione detenga anche indirettamente la maggioranza del capitale azionario (nello stesso senso anche Cass. civ. Sez. 1, n. 15026 del 03/07/2007, Rv. 598051).

(Omissis) 16.41. Quello che rileva, dunque, è che in caso di società controllate i criteri per ri-

condurre a tassazione in Italia i redditi prodotti all’estero sono ulteriori e diversi da quel-li tradizionalmente elaborati dalla giurisprudenza per localizzare la “sede amministrati-va” e individuare il domicilio fiscale.

16.42. Il legislatore fiscale in questi casi, non potendo prescindere da un fenomeno economico preesistente, e comunque noto e disciplinato ad altri fini anche da altri rami dell’ordinamento, non potendo dunque far ricorso alla provenienza dell’impulso voliti-

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vo, ha fatto ricorso a criteri diversi o comunque integrativi di natura oggettiva quali l’e-sercizio effettivo dell’attività industriale o commerciale o la non artificiosità dell’insedia-mento estero volto a conseguire vantaggi fiscali non indebiti.

16.43. Si avrà modo di vedere più avanti come il concetto di “costruzione artificiosa” sia stato mutuato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di “libertà di stabilimento”; per il momento è sufficiente rilevare come tali scelte si pongano sostan-zialmente in linea con quanto più in generale prevedeva sin dalla sua introduzione l’art. 37 bis – “Disposizioni antielusive”, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (introdotto dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 7, comma 1) – secondo il quale “sono inopponibili all’ammi-nistrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ra-gioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributa-rio e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

16.44. Il controllo societario è fenomeno disciplinato anche dalla già citata L. 14 agosto 1982, n. 747, di ratifica ed esecuzione della Convenzione tra Italia e Lussemburgo. L’art. 5, nel definire il concetto di “stabile organizzazione” in modo del tutto sovrapponibile a quan-to già prevede il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162, cit., stabilisce che “il fatto che una società residente di uno Stato contraente controlli o sia controllata da una società residente del-l’altro Stato contraente ovvero svolga la sua attività in questo altro Stato (sia per mezzo di una stabile organizzazione oppure no) non costituisce di per sé motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi delle dette società una stabile organizzazione dell’altra”.

16.45. Ora, se si considera che per “stabile organizzazione” si intende, tanto ai fini della Convenzione, quanto del legislatore nazionale: a) una sede di direzione; b) una suc-cursale; c) un ufficio; d) un’officina; e) un laboratorio; f) una miniera, una cava o altro luo-go di estrazione di risorse naturali; g) un cantiere di costruzione o di montaggio la cui du-rata oltrepassa dodici mesi (art. 5, comma 2 della Convenzione e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162, comma 2), ne consegue che se la società controllata esercita (effettivamente) la propria attività anche solo utilizzando un ufficio localizzato in Lussemburgo, il rapporto di controllo societario impedisce di ritenere detto ufficio stabile organizzazione estera dell’impresa italiana.

16.46. Ulteriore criterio di giudizio può esser tratto dall’art. 9 della Convenzione che così disciplina le “imprese associate”:

“allorché: a) un’impresa di uno Stato contraente partecipa direttamente o indiretta-mente alla direzione, al controllo o al capitale di un’impresa dell’altro Stato contraente, o b) le medesime persone partecipano direttamente o indirettamente, alla direzione, al controllo o al capitale di una impresa di uno Stato contraente e di un’impresa dell’altro Stato contraente, e, nell’uno e nell’altro caso, le due imprese, nelle loro relazioni com-merciali o finanziarie, sono vincolate da condizioni accettate o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni, sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condi-zioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati in conseguenza”.

16.47. La partecipazione delle medesime persone al controllo diretto o indiretto di

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altra impresa non è circostanza che di per sé comporta l’assoggettamento degli utili pro-dotti dalla controllata all’imposizione del paese di residenza della controllante, ma costi-tuisce elemento che, alle specifiche condizioni previste dalla norma, determina un diver-so calcolo degli utili, non diversamente, del resto, da quanto accade per il calcolo degli utili prodotti dalla stabile organizzazione dell’impresa situata in uno Stato contraente diverso (art. 7, comma 2 della Convenzione).

16.48. La validità del ricorso ai criteri della effettività dell’attività e della non artificio-sità dell’insediamento estero non è smentita affatto dalla circostanza che a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 4 luglio 2006 la residenza nello Stato degli am-ministratori della società controllante costituisce, ai fini dell’imposizione diretta, criterio presuntivo di individuazione in Italia della sede amministrativa della società controllata.

16.49. Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 13, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, ha inserito nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, il seguente comma 5 bis: “Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del codice civile, nei soggetti di cui al comma 1, lettere a) e b), se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in preva-lenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

16.50. Premesso che la norma riguarda le società estere che detengono il controllo di società residenti in Italia (e che “GADO S.a.r.l.” è società controllata e non controllan-te), va in ogni caso evidenziato che nemmeno per il legislatore tributario la residenza ita-liana dei componenti del consiglio di amministrazione della società estera controllante prova la sede effettiva italiana della controllante, ma comporta solo l’inversione dell’one-re della prova a carico di quest’ultima.

16.51. È una presunzione fiscale (semplice) che non legittima la traslazione nel pro-cesso penale dello stesso criterio di giudizio, né autorizza salti logici come quello secon-do il quale la sostituzione del consiglio di amministrazione di “GADO S.a.r.l.” con per-sona residente in Lussemburgo o comunque il trasferimento della sede legale in Italia concorre a provare che la sede estera fosse fittizia.

16.52. Il capitale sociale di “GADO S.a.r.l.” è interamente di proprietà di “Dolce & Gabbana Luxemburg S.a.r.l.”, società anch’essa di diritto lussemburghese il cui intero ca-pitale sociale è detenuto dalla holding italiana “D&G S.r.l.”, a sua volta posseduta per l’80% ed in pari misura dagli imputati G.S. e D. D., e per il restante 20% dalla famiglia D. “GADO S.a.r.l.” è perciò società controllata, ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma, 1, dalla “D&G S.r.l.”.

16.53. L’accertamento in ordine allo svolgimento effettivo dell’attività e alla consisten-za non artificiosa dell’insediamento estero appartiene al fatto ed è essenziale.

16.54. Tale accertamento (soprattutto in ordine alla consistenza minima che un in-sediamento deve avere per non essere considerato una costruzione di puro artificio) de-ve essere condotto secondo criteri interpretativi che tengano conto delle indicazioni che

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provengono dallo stesso legislatore nazionale ed Europeo e degli approdi giurispruden-ziali della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in tema di diritto di stabilimento (sancito e disciplinato dall’art. 49 e segg. del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).

16.55. Da questo punto di vista, il ricorso à criteri normativamente fissati per definire la “stabile organizzazione” (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162, e art. 5, Convenzione Italo-lussemburghese) può essere certamente utile.

(Omissis) 16.75. Il costante richiamo alle costruzioni di puro artificio volte ad abusare indebi-

tamente a fini fiscali del diritto di libertà di stabilimento pone in linea con la giurispru-denza Europea l’identico richiamo del già citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167, comma 8 bis.

16.76. Non appartiene alla “ratio decidendi” di questo processo – per quanto oltre si vedrà – precisare se i concetti di “centro di attività stabile” (richiamato nella direttiva 77/388/CEE, applicabile “ratione temporis”) e “stabile organizzazione”, già oggetto di contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza civile di questa Corte, siano tra loro sovrapponibili oppure no. È però un dato di fatto che la più recente direttiva in ma-teria di IVA (n. 2006/112/CE) ha fatto riferimento alla “stabile organizzazione” (pur non definendola) abbandonando il concetto di “centro di attività stabile”.

16.77. Il legislatore nazionale, invece, ha sempre fatto riferimento, in materia di imposi-zione diretta, al concetto di “stabile organizzazione”, normativamente e positivamente di-sciplinato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162. Non si intravede motivo, pertanto, per il quale tale definizione non possa essere, in base all’interpretazione sistematica, utilizzata per definire anche la stabile organizzazione rilevante ai fini dell’imposizione indiretta.

16.78. Ne consegue che se un “ufficio” può essere ritenuto sufficiente a integrare una “stabile organizzazione” (tanto più se, come nel caso di specie, ad esso era stato succes-sivamente addetto del personale in pianta stabile, così soddisfacendo anche il requisito richiesto ai fini della sua definizione come “centro di attività stabile”, non trattandosi di una pura e semplice installazione), la sua esistenza può essere utilmente valutata quale luogo di effettivo esercizio di un’attività di impresa. Di certo il giudice non può adottare un criterio interpretativo che limiti, di fatto, la libertà di stabilimento. Nella sua ampia discrezionalità organizzativa e nell’ambito della libertà di impresa, riconosciuta anche dalla nostra Costituzione (art. 42), l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni.

16.79. Il punto, infatti, non è questo, ma verificare se a tale “ufficio” corrisponda una “costruzione di puro artificio” volta a lucrare benefici fiscali oppure no. “Costruzione ar-tificiosa” e “indebito vantaggio fiscale” vanno di pari passo: il vantaggio fiscale non è in-debito sol perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale (ma anche contributiva, previdenziale), lo è se è ottenu-to attraverso situazioni non aderenti alla realtà, di puro artificio che rendono conseguen-temente “indebito” il vantaggio fiscale.

(Omissis)

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16.85. Quel che in conclusione rileva ai fini della presente indagine è la ricorrenza, ancora una volta, di tre concetti tra loro assolutamente complementari: “costruzione di puro artifizio”, “finalità prevalente di elusione”, “libertà di scelta tra carichi fiscali diver-si”. Ma quel che deve essere chiaro è che se non v’è costruzione artificiosa, non v’è abuso.

16.86. Si può pertanto affermare il principio che: a) la sede amministrativa dei soggetti diversi dalle persone fisiche rilevante ai fini della individuazione del “domicilio fiscale” ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 59, comma 1, si identifica nel centro effettivo di dire-zione e di svolgimento della sua attività, ove cioè risiedono gli amministratori, sia convoca-ta e riunita l’assemblea sociale, si trovino coloro che hanno il potere di rappresentare la so-cietà, il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente e nel quale, dunque hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti; b) in caso di so-cietà con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, non può costi-tuire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana; c) in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponda ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria at-tività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto; d) per accertare la natura arti-ficiosa o meno della società estera si può fare utile riferimento ai criteri indicati dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162, per definire la “stabile organizzazione” o a quelli elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le società c.d. “casella postale” o “schermo”; e) si tratta in ogni caso di accertamenti che appartengono alla ricostruzione del fatto-reato e che, in quanto tali, devono essere condotti dal giudice in modo autonomo, secondo le re-gole di giudizio proprie del processo penale che non tollerano inammissibili inversioni dell’onere della prova frutto del ricorso alle presunzioni fiscali.

(Omissis) 17.6. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, fornisce, invece, un criterio legale di accer-

tamento dell’imposta o della maggiore imposta dovuta (così il comma quinto) secondo il quale gli specifici atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, modificativi o estintivi del-l’obbligazione tributaria ed in esso tassativamente elencati, sono inopponibili all’ammi-nistrazione finanziaria se privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rim-borsi, altrimenti indebiti. In tal caso l’imposta è determinata esclusivamente in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inoppo-nibile all’amministrazione.

17.7. La norma codifica un principio ritenuto dalla giurisprudenza delle Sezioni Civi-li di questa Corte ad essa preesistente (Cass. civ., Sez. U, n. 30055 del 23/12/2008, Rv. 605850, cit.), in base al quale il giudice tributario in precedenza poteva incidentalmente dichiarare la nullità dei contratti del tutto privi di causa perché privi di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta o perché volti esclusivamente a ottenere in-

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debiti vantaggi fiscali (su tale argomento – e sulla possibilità che il giudice tributario po-tesse accertare incidentalmente la nullità e quindi l’inopponibilità di tali contratti all’am-ministrazione finanziaria – sì vedano Cass. civ., Sez. 5, n. 20398 del 21/10/2005, Rv. 584630, nonché Cass. civ., Sez. 5, n. 25374 del 17/10/2008, Rv. 605520, con ampi ri-chiami alla giurisprudenza comunitaria già citata in precedenza. La sentenza n. 25374 del 2008 riguardava proprio l’accertamento dei confronti della Part Service Srl, poi parte in causa del processo definito dalla Corte di Giustizia nella già citata sentenza 21 feb-braio 2008 in causa C-425/06).

17.8. In quanto criterio legale di accertamento dell’obbligazione tributaria in ogni suo aspetto, non v’è dubbio che le disposizioni antielusive di cui all’art. 37 bis, cit., hanno rilevanza anche in sede penale ai fini dell’accertamento non solo della “imposta effetti-vamente dovuta” ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. f), ma anche della quanti-ficazione degli “elementi attivi o passivi” che, ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. b), concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

17.9. Trattandosi di elementi costitutivi del reato, non v’è altrettanto dubbio che, in disparte il fine di evasione di cui oltre si dirà, il giudice penale deve procedere in modo del tutto autonomo al loro accertamento secondo le regole e i criteri di giudizio imposti dalla Costituzione (la presunzione di innocenza, prima di ogni altro) e prescritti dal co-dice di procedura penale (Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280; Sez. 3, n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089; Sez. 3, n. 21213 del 26/02/2008, De Cicco; Sez. 3, n. 37335 del 15/07/2014, Buonocore, Rv. 260188).

17.10. Sicché sarà necessario accertare la concorrente sussistenza dei seguenti pre-supposti: a) la natura dell’operazione (onde ricondurla ad una di quelle individuate dal-l’art. 37 bis, comma 3, cit.); b) l’assenza di valide ragioni economiche; c) l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario; d) il conseguimento di riduzio-ni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.

È sufficiente che manchi anche uno solo dei predetti presupposti per escludere, sul piano oggettivo, la natura elusiva dell’operazione.

17.11. È bene perciò precisare, alla luce anche delle più ampie considerazioni già svolte nel precedente capitolo, che il conseguimento di un risparmio di imposta non rende l’o-perazione di per sé priva di valida ragione economica quando non ne costituisca lo sco-po esclusivo o predominante. Sicché, per esempio, il carattere elusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non neces-sariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (Cass. civ., Sez. 5, n. 1372 del 21/01/2011, Rv. 616371, cit.; nello stesso senso, Cass. civ., Sez. 5, n. 4604 del 26/02/2014, Rv. 630063).

17.12. In questa delicata operazione ricostruttiva, di natura squisitamente fattuale, il giudice penale non può, come detto, far ricorso alle presunzioni tributarie semplici che, comportando l’inversione dell’onere della prova, sovvertono alla radice il principio della presunzione di innocenza dell’imputato, nemmeno quando ricorrono i casi previsti dal

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D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, (così come non può direttamente stabilire l’imposta effettivamente dovuta in base agli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis, convertito con modificazioni dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni e integrazioni, o alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e segg.). Il giudice penale può utilizzare le informazioni e i dati acquisiti dagli uffici finan-ziari nell’ambito delle attività di cui al D.P.R. n. 600 del 1970, artt. 31 bis, 32 e 33, ma non può avvalersi degli stessi criteri di giudizio ivi previsti per l’accertamento presuntivo dell’imposta dovuta giustificato, sul piano fiscale, dal comportamento non collaborativo del contribuente, né gli è preclusa la possibilità di acquisire e utilizzare, a fini di accerta-mento del reato, gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi dal contribuente che quest’ultimo può utilizzare in sede tributaria solo se dimostri di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici finanziari per cause a lui non imputabili (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 3 e 4). In conformità a quanto prevede l’art. 220 disp. att. c.p.p., può utilizzare, a fini di ricostruzione del fatto, il processo verbale di ac-certamento o di constatazione (ma non le valutazioni e i giudizi in essi contenuti) e le giustificazioni e i chiarimenti sollecitati in sede pre-contenziosa al contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 4, purché tali atti siano stati redatti e as-sunti prima che emergano anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato (Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Rv. 220291; cfr. altresì Sez. 3, n. 1969 del 21/01/1997, Rv. 206944; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Rv. 242523; Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Rv. 246599, che hanno ribadito il principio secondo il quale è causa di inutilizzabilità dei risultati probatori la violazione delle disposizioni del codice di proce-dura penale la cui osservanza, nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza di indizi di reato).

17.13. L’indagine che pertanto il giudice penale deve compiere deve essere volta al-l’accertamento autonomo e diretto dei presupposti che impediscono all’operazione, che si dimostri elusiva, di concorrere alla determinazione della “imposta effettivamente do-vuta” ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. f).

17.14. Ove si dovesse dimostrare l’esistenza di un’imposta effettivamente dovuta su-periore a quella dichiarata (o non dichiarata affatto) e/o di componenti positive di red-dito inferiori a quelle effettive o di elementi passivi fittizi, l’indagine non avrebbe accerta-to altro che alcuni degli elementi costitutivi del reato, quelli che qualificano, sul piano oggettivo, l’offesa degli interessi erariali e giustificano (ma non esauriscono) la rilevanza penale della condotta. Ma tale indagine non assorbe quella relativa all’accertamento del dolo specifico di evasione che nei reati dichiarativi concorre a tipizzare la condotta.

17.15. La volontà del contribuente di dichiarare un’imposta consapevolmente calco-lata in base ad una qualsiasi delle operazioni elusive di cui al D.P.R. n. 600, art. 37 bis, ha ad oggetto uno degli elementi costitutivi del reato (l’entità dell’imposta dovuta e gli elementi attivi e passivi che concorrono a definirla), e non è pertanto sufficiente a prova-re il “dolo di evasione” la cui sola sussistenza trasforma l’imposta effettivamente dovuta e non dichiarata in un’imposta “evasa”.

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17.16. Le disposizioni antielusive, dunque, hanno rilevanza in sede penale esclusiva-mente quali norme che concorrono a definire, sul piano oggettivo, alcuni degli elementi normativi della fattispecie: la “imposta effettivamente dovuta” e/o gli “elementi attivi o passivi”. La volontaria elusione dell’imposta effettivamente dovuta, pertanto, si traduce, sul piano penale, nella consapevolezza di alcuni degli elementi costitutivi del reato e non è pertanto sufficiente a integrare il fine di evasione, che quella consapevolezza presuppone.

17.17. Altrimenti ragionando si corre il rischio di identificare il dolo specifico di evasione con la pura e semplice constatazione della assenza di una valida ragione economica del-l’operazione elusiva e del risultato ottenuto (l’indebita riduzione o rimborso di imposta).

Un’operazione dogmaticamente errata che trasformerebbe il dolo specifico di evasione nella generica volontà di dichiarare al Fisco un’imposta inferiore a quella dovuta (o di non dichiararla affatto) nella consapevolezza della natura elusiva dell’operazione utilizzata per indicare elementi passivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi. Con l’ulteriore inaccettabile rischio di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2, e art. 5, comma 4, e di far sostanzialmente resuscitare la contravvenzione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, già prevista dall’abrogato D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 1, comma 1, convertito con L. 7 agosto 1982, n. 516, che questa Corte ha già affermato non essere in continuità normativa con il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, anche e proprio per la necessità del dolo specifico di evasione, in precedenza non richiesto (Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, Sagone, Rv. 217374).

17.18. Il reato, è illecito di modo; il dolo di evasione è volontà di evasione dell’imposta mediante le specifiche condotte tipizzate dal legislatore penale-tributario, non puramente e semplicemente attraverso quelle che il legislatore fiscale ritiene non opponibili nei con-fronti dell’amministrazione finanziaria. Se per il legislatore penale tributario nemmeno l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, o le false rappresentazioni contabili e i mezzi fraudolenti per impedire l’accertamento delle imposte, sono sufficienti ad attribuire penale rilevanza alle condotte di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 3, essendo necessario il fine di evasione, a maggior ragione il “dolo di elusione” non solo non può essere ritenuto suffi-ciente a integrare, sul piano soggettivo, i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, ma nemmeno può essere confuso con il dolo di evasione. La volontà elusiva prova la consape-volezza della sussistenza dell’obbligazione tributaria e del suo oggetto, e dunque di uno o alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie, non prova il fine ulteriore della condotta.

17.19. Ne consegue che l’esclusivo perseguimento di un risparmio fiscale (o, a mag-gior ragione, la presenza anche solo marginale di ragioni extrafiscali) se può valere a qua-lificare l’operazione come elusiva (e dunque a definire l’an e il quantum dell’imposta ef-fettivamente dovuta e non dichiarata) non è di per sé sufficiente a dimostrare il dolo di evasione, sopratutto quando l’operazione economica sia reale ed effettiva.

(Omissis) 19. Le conclusioni. 20. La sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5. 20.1. Appare a questo punto chiaro l’errore di diritto nel quale sono incorsi i Giudici

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 209

di merito secondo i quali la “esterovestizione” della società “GADO S.a.r.l.”, coerente-mente all’impostazione accusatoria confezionata nella rubrica, deriva dal fatto che si trat-tava di società “apparentemente localizzata nel Principato di Lussemburgo ma di fatto gestita in (Omissis)”. “Apparente localizzazione” e “gestione di fatto” sono i termini di un’endiadi che ha logicamente condizionato la soluzione dell’intera vicenda, esaminata senza tenere in considerazione la concorrente ed incontestata sussistenza delle robuste ragioni extrafiscali ispiratrici della riorganizzazione del gruppo “Dolce & Gabbana” che scardinano la coerenza intrinseca del ragionamento accusatorio, conducendolo verso approdi lontani sia dai principi di diritto sopra affermati sia dai temi di indagine, quasi del tutto inesplorati e per certi versi – quando lo sono stati – contraddittoriamente risol-ti, circa la realtà dell’insediamento lussemburghese, l’effettività dell’attività ivi svolta, le ragioni stesse della scelta del Lussemburgo quale sede della nuova società. Tema difen-sivo, quest’ultimo, ampiamente articolato dal D.A. che nei proprio atto di appello aveva inutilmente sollecitato l’audizione dei testimoni, mai sentiti perché revocati in primo grado, che avrebbero dovuto riferire proprio sulle ragioni per le quali era stato scelto di collocare la sede legale in (Omissis).

20.2. Valuterà il Giudice di rinvio, se alla luce del riesame dell’intero compendio pro-batorio, che dovrà essere condotto in ossequio ai principi di diritto sopra enunciati, sarà necessario l’ulteriore approfondimento istruttorio sollecitato dal D. A.

20.3. Appare però sin d’ora chiara l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione che, nel ritenere la fittizia allocazione estera di “GADO S.a.r.l.”, stigmatizza più volte la mancanza di autonomia gestionale e finanziaria della B. (prima) e della Be. (poi) perché agivano in base a direttive provenienti da Milano e veicolate dalle mail (gran parte delle quali del 2004) attraverso le quali si manifestava la provenienza italiana del reale “mana-gement” della società. In disparte l’errore metodologico di non interpretare affatto tale flusso di informazioni alla luce del complesso intreccio organizzativo e funzionale che in-tercorre tra una controllata e la sua controllante capo-gruppo, che fisiologicamente si risol-ve in un rapporto tra uffici e personale dell’una e dell’altra (altro tema del tutto trascurato), resta difficile comprendere quale autonomia gestionale e finanziaria dovessero avere due semplici dipendenti per poter qualificare l’insediamento lussemburghese in termini di ef-fettiva realtà. Una valutazione di tale natura avrebbe avuto un significato coerente se ogget-to ne fosse stata l’attività del legale rappresentante (eventualmente “eterodiretto”), ma ciò avrebbe comportato la coerente attribuzione al D.A. della figura dell’amministratore inter-posto che non risulta affatto (ed anzi deve essere esclusa) dalla lettura delle sentenze di merito. Si comprende, in realtà, che dietro quel ripetuto richiamo alla mancanza di auto-nomia gestionale e finanziaria si cela l’ispirazione di fondo dell’intera decisione: la predi-sposizione degli aspetti gestionali ed organizzativi dell’attività di “GADO S.a.r.l.” intera-mente in Italia, lasciando alla sede lussemburghese i soli compiti esecutivi.

Con il che, però, si ammette che qualcosa in (Omissis) effettivamente si faceva, sì da giustificare una sede amministrativa collocata in una struttura diversa da quella legale e i costi del personale dapprima distaccato, quindi direttamente assunto, che vi operava. Ma il tema, come detto, travolto da un’impostazione errata che ha spostato l’attenzione

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più sul “chi dicesse cosa”, piuttosto che sul “cosa si facesse” realmente, è stato del tutto trascurato e comunque risolto senza tener conto dei principi ampiamente illustrati in precedenza in ordine alla libertà di stabilimento, alle costruzioni puramente artificiose, alla effettività dell’attività svolta dalla controllata estera. Alcuna conseguenza, natural-mente, può essere tratta, sul punto, dal fatto che il personale dipendente continuasse ad avere rapporti con i consulenti storici (fiscali e del marchio) del gruppo, perché il Giudi-ce del rinvio dovrà rivalutare le prove al solo fine di accertare se “GADO S.a.r.l.” operas-se realmente in conformità esclusivamente al suo oggetto sociale.

20.4. È su questo punto che le ragioni difensive hanno il proprio fondamento. Si è già detto, infatti, che ai fini della domiciliazione fiscale non è necessario che l’attività di im-presa venga svolta in Italia, ma la verifica dell’esercizio estero di tale attività costituisce pur sempre condizione imprescindibile per accertare la natura fittizia o meno dell’inse-diamento e, dunque, la sua esterovestizione.

(Omissis).

Residenza fiscale delle società ed esterovestizione: note a margine della sentenza Dolce & Gabbana

della Cassazione penale

Tax residence of companies and (fictitious) relocation abroad: some remarks on the Dolce & Gabbana decision issued

by the Italian Supreme Court

Abstract Il tema della residenza fiscale delle società risente dei condizionamenti dovuti al contesto economico di crisi, con l’esigenza dello Stato di aumentare il gettito e l’ap-proccio conforme dell’Amministrazione Finanziaria e di parte della giurisprudenza tributaria. La sentenza resa dalla Cassazione penale nel caso dei due noti stilisti mostra un orientamento diverso, influenzato dalla concezione pragmatica che muo-ve il giudice penale ma frutto in ogni caso di una approfondita e multidisciplinare disamina del contesto normativo vigente. Ne scaturisce un assetto, probabilmente idoneo a produrre effetti anche nel settore propriamente fiscale, nel quale la resi-denza degli enti deve essere determinata sulla base dell’individuazione dell’effettiva localizzazione del centro amministrativo e operativo, a prescindere dagli impulsi volitivi che possono promanare dai soci ovunque residenti.

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 211

Parole chiave: residenza fiscale, esterovestizione, stabile organizzazione, costru-zioni di puro artificio, abuso del diritto The issue of tax residence of companies is affected by the constraints due to the economic crisis, with the need of the State to increase revenue followed by the conform approach of national tax authorities and part of tax judges. The decision issued by the criminal chamber of the Italian Supreme Court on the case of two well-known fashion designers shows a different approach, influenced by the pragmatic conception that moves the crim-inal case law, but result of a thorough and multidisciplinary analysis of the current regu-latory environment. The outcome is a structure, probably adequate for producing effects also in the field of taxation, in which corporate residence shall be determined by identify-ing the effective place of the administrative and operational center, regardless of voli-tional impulses that may come from members resident somewhere else. Keywords: tax residence, fictitious relocation abroad, permanent establishment, wholly artificial arrangements, abuse of law

SOMMARIO: 1. La vicenda e la questione preliminare dell’influenza di istituti tributari in sede penale. – 2. La residenza fiscale delle società nella prospettiva tributaria ... – 3. ... e la sua ricostruzione penalisti-ca. – 4. L’ambigua valorizzazione della nozione di stabile organizzazione. – 5. Costruzioni di puro artificio e l’inevitabile influenza del diritto UE. – 6. Il rischio di sovrapposizione tra esterovestizio-ne e abuso del diritto. – 7. Conclusioni: l’influenza della pronuncia sulla nozione tributaria di re-sidenza fiscale.

1. La vicenda e la questione preliminare dell’influenza di istituti tributari in sede penale

La complessa vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti gli stilisti Dolce e Gabba-na, oltre all’eco mediatica conseguente alla notorietà dei medesimi, ha offerto nel tem-po e nel susseguirsi delle pronunce spunti di particolare interesse su rilevanti que-stioni tributarie, dalla punibilità dell’elusione alla legittimazione dell’Agenzia delle Entrate a costituirsi parte civile nel processo penale 1. Con la sentenza che si annota 2, ancora una volta la Cassazione penale affronta e risolve in modo originale alcune pro-blematiche particolarmente vive nell’attuale contesto fiscale: il concetto di residenza delle società, l’esterovestizione e l’abuso del diritto. Si analizzeranno nel dettaglio nei

1 Si fa riferimento, in particolare, alla sent. 28 febbraio 2012, n. 7739 emessa dalla II sezione penale della Corte di Cassazione.

2 Cass., sez. III pen., sent. 30 ottobre 2014, n. 43809.

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paragrafi che seguono i contenuti delle argomentazioni della Suprema Corte: si può sin da ora anticipare come l’approccio seguito da quest’ultima sia apprezzabile e nel-la sostanza condivisibile quanto agli esiti, sebbene permangano alcune perplessità sia sulla linearità del metodo seguito sia, in parte, sul merito delle soluzioni interpretati-ve prospettate.

In via di fatto, il cuore della vicenda riguardava la presunta esterovestizione della società di diritto lussemburghese GADO, che era stata costituita per fungere da cas-saforte dei marchi in precedenza detenuti personalmente dai due stilisti. A seguito di una complessa riorganizzazione del gruppo, infatti, si era passati da una situazione nella quale i marchi venivano concessi in uso dalle persone fisiche alle società opera-tive italiane, verso il pagamento di royalties che venivano quindi assoggettate ad im-posizione in Italia; ad una nella quale, invece, i marchi erano detenuti, previo confe-rimento, dalla società di diritto lussemburghese, che continuava a cederli in licenza alle società italiane ed a ricevere i relativi canoni, ovviamente assoggettandoli al ben più favorevole regime fiscale di quello Stato. Le contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria, dopo una serie di aggiustamenti, si erano dunque concentrate sulla effet-tività della localizzazione della GADO in Lussemburgo; effettività che veniva negata sulla base di elementi che sarebbero stati tali da evidenziare la direzione in Italia del-le sue attività e quindi l’assenza di autonomia nella gestione ordinaria della società. Sul piano penale, tale situazione conduceva ad imputare ai due stilisti, reputati ammi-nistratori di fatto della GADO, e ad altri soggetti, compresi gli amministratori di di-ritto, il delitto di omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. n. 74/2000.

Sia il Tribunale di Milano che la Corte d’Appello dichiaravano i due stilisti colpe-voli del delitto di cui sopra, reputando che la collocazione della GADO in Lussem-burgo fosse stata effettuata in modo fraudolento e non rispondesse ad una situazione di effettività. La Corte d’Appello, in particolare, dava atto della circostanza che la complessa riorganizzazione dell’intero gruppo di moda rispondeva a precise esigen-ze di natura economica; tuttavia, la scelta del Lussemburgo, ordinamento dotato di una tassazione molto leggera per le royalties; e soprattutto la mancanza di autonomia degli organi sociali, di fatto diretti dall’Italia, inducevano i giudici di merito a rite-nere fittizia la localizzazione della sede della società e, dunque, a ravvisare l’omesso adempimento degli obblighi dichiarativi in capo ai suoi amministratori, di fatto e di diritto.

Le questioni che, in questo modo, giungevano all’attenzione della Cassazione ri-guardavano tutte istituti di diritto tributario. Vi era infatti da verificare se la residenza fiscale di GADO potesse o meno collocarsi al di fuori dello Stato di formale incorpo-razione, nella specie in Italia; e se la disciplina dell’abuso del diritto potesse in qual-che modo interagire con la regolamentazione della residenza. Si trattava, poi, di com-prendere se le elaborazioni che di tali concetti si trovano effettuate nella branca di ori-gine potessero influenzare il giudice penale ovvero se questo fosse libero di offrire una sua peculiare prospettiva del fenomeno. Ebbene, nell’orientarsi in quest’ultima dire-zione, peraltro in coerenza con un indirizzo ampiamente consolidato nella giurispru-

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 213

denza penalistica 3, la Cassazione compie un percorso ermeneutico non scevro da pro-fili di originalità, nel quale istituti propri del diritto tributario vengono reinterpretati avvalendosi dello strumentario penalistico, seguendo un procedimento che supera cer-tamente la rigida separazione che sarebbe imposta dal principio del doppio binario 4 senza tuttavia eliminare l’autonoma valutazione, in fatto ed in diritto, che al giudice penale è in qualche modo connaturata 5. La sentenza perviene così, adottando tra l’al-tro un apprezzabile approccio multiordinamentale, a delineare una nozione “penale” di residenza fiscale delle società che ben potrebbe influenzare, come si dirà in chiu-sura del presente scritto, le elaborazioni sul terreno – allo stato assai più malfermo – del diritto tributario.

2. La residenza fiscale delle società nella prospettiva tributaria ...

Come si è accennato, la principale questione giuridica che la Cassazione ha dovu-to affrontare ha riguardato la collocazione della residenza fiscale di GADO, società costituita secondo le leggi del Lussemburgo ma che l’autorità inquirente riteneva es-sere gestita dall’Italia e dunque ivi residente. In effetti, in tanto può sostenersi la ri-correnza in concreto della fattispecie di omessa dichiarazione, in quanto si ravvisi che l’ente, tramite i suoi amministratori, ha il dovere giuridico di presentare la dichiara-zione annuale dei redditi in Italia. E tale ultimo accertamento, a sua volta, dipende dall’individuazione del luogo ove la società ha la propria sede, essendo noto che gli enti residenti sono assoggettati al principio worldwide e, dunque, debbono dichiarare ed assoggettare alle regole fiscali domestiche i redditi ovunque prodotti nel mondo 6.

Su tale punto decisivo, la sentenza assume un atteggiamento pragmatico, che è tipico del modus argomentativo dei giudici penali. Essa prende infatti le mosse dalla norma del TUIR che definisce la residenza fiscale delle persone giuridiche, nell’ovvia considerazione che tale concetto trova in prima battuta la propria genesi nell’ordina-mento tributario; ma rispetto ad essa, apporta poi la propria peculiare prospettiva

3 Sul punto, si veda PERUZZA, Il ruolo del procedimento tributario nella determinazione dell’imposta evasa ai fini del giudizio penale, in Riv. trim. dir. trib., 2015, p. 509 ss.

4 Sul “doppio binario” e sulla sua graduale attenuazione si vedano MARELLO, Evanescenza del prin-cipio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario, in Riv. dir. trib., 2013, p. 269 ss.; e PISTOLESI, Crisi e prospettive del principio del ‘doppio bina-rio’ nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 29 ss.

5 Sostiene la giurisprudenza che – con riferimento al PVC – il giudice non debba limitarsi «a con-statarne l’esistenza» ma «proceda a specifica, autonoma valutazione degli elementi in esso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde» (Cass., sez. III pen., sent. 10 giugno 2014, n. 24319).

6 Sul regime impositivo dei residenti e dei non residenti, v. CORDEIRO GUERRA, La doppia imposi-zione internazionale, in ID. (a cura di), Diritto tributario internazionale. Istituzioni, II ed., Padova, 2016, p. 363 ss.

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interpretativa che le consente di pervenire ad un concetto assolutamente originale di residenza.

La Cassazione penale dimostra di avere ben chiaro il dibattito aperto nel settore tributario in merito all’individuazione dei criteri di collegamento più idonei a mani-festare l’inserimento dell’ente nell’ordinamento italiano: si trovano infatti richiamati sia l’orientamento che fa riferimento a criteri formali, principalmente la sede legale o il luogo dell’incorporazione; sia quello che, invece, privilegia criteri di natura sostan-ziale, ovvero fondati sulla sede reale o effettiva della società ricavabile dalla concreta operatività della stessa 7.

L’art. 73, comma 3, D.Lgs. n. 917/1986, in effetti, sembra porsi a cavallo delle due tendenze, stabilendo che «ai fini delle imposte sui redditi si considerano resi-denti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la se-de legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Sta-to». In tal modo, il legislatore tributario italiano – in parte uniformandosi ai criteri introdotti in materia di diritto internazionale privato dall’art. 25 della legge di rifor-ma 8 – ha apparentemente posto sullo stesso piano gli uni e gli altri, massimizzando il perimetro di operatività della residenza fiscale italiana con l’obiettivo di attrarre sot-to la potestà impositiva nazionale il maggior numero di fattispecie soggettive. Da que-sto punto di vista, la norma sulla residenza delle persone fisiche corrisponde perfet-tamente al paradigma volto ad affermare la sottoposizione di un ente alle norme fi-scali interne sui redditi ovunque prodotti nel mondo estendendo e moltiplicando i fattori di collegamento, ancorché labili, con l’ordinamento domestico.

In modo condivisibile, la sentenza in commento evidenzia come la disposizione tri-butaria si traduca, di fatto, in una supremazia della sede effettiva su quella formale. Quest’ultima, infatti, è destinata ad assumere rilevanza solo laddove ogni ulteriore ele-mento di collegamento della società – dal luogo in cui si formano le decisioni fon-damentali a quello in cui essa svolge il proprio core business – si collochi all’esterno del-l’ordinamento italiano. In tutti gli altri casi, che verosimilmente saranno i più numerosi, invece, si rivela decisivo l’uno o l’altro dei due criteri sostanziali enunciati dalla norma.

I pregi, nell’ottica dello Stato impositore, dei criteri di collegamento di natura so-stanziale – principalmente, la possibilità di attribuire la residenza fiscale a enti che, di fatto, nel loro quotidiano operare presentano significativi punti di contatto con l’or-

7 Per una analisi della dicotomia tra le due interpretazioni si veda MELIS, Trasferimento della resi-denza fiscale e imposizione sui redditi, Milano, 2009, p. 163 ss.

8 L’art. 25, L. n. 218/1995, ha adottato come criterio di collegamento principale per le società il luogo di costituzione, prevedendo poi due criteri sussidiari (sede dell’amministrazione e oggetto prin-cipale). Va, comunque, osservato che le due norme non sono del tutto coincidenti: mentre infatti l’art. 73 del TUIR richiama più criteri di collegamento ponendoli di fatto sullo stesso piano (in modo che basta che sia verificata la collocazione in Italia di uno solo di essi, per la maggior parte del periodo di imposta, per attribuire all’ente la qualifica di residente a fini fiscali), l’art. 25 della legge di riforma pare privilegiare il criterio della costituzione, mentre i due ulteriori criteri sostanziali ivi elencati potrebbero operare solo in via sussidiaria.

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dinamento nazionale a prescindere dal luogo in cui la società si è formata o in cui ri-sulta registrata la sede legale – sono, peraltro, controbilanciati, nella prassi, dalla mag-giore difficoltà di accertamento che si accompagna alla verifica della collocazione della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale. Mentre, infatti, la sede le-gale costituisce un criterio di immediata verificabilità, l’individuazione degli elementi di fatto capaci di rivelare l’esistenza entro il territorio dello Stato della sede dell’am-ministrazione o dell’oggetto principale offre numerosi e non preventivabili aspetti di opinabilità e di incertezza. Un simile assetto si riflette nell’atteggiamento ondivago del-la giurisprudenza tributaria, negli ultimi anni sollecitata più volte ad esprimersi con riferimento a casi di esterovestizione societaria.

Ciò ha riguardato in particolare il criterio della sede dell’amministrazione che, tra i tre criteri espressamente previsti dall’art. 73 è quello che, da un lato, non ha una de-finizione in positivo 9; dall’altro, forse proprio in conseguenza di ciò, viene il più delle volte invocato per ricondurre in Italia la residenza di società costituite in altra giuri-sdizione. Esso, in assenza di altre specificazioni, potrebbe sottintendere tanto lo svol-gimento di attività amministrative, intendendosi per tali quelle connesse al funzio-namento ordinario e day-by-day dell’ente; quanto la realizzazione di attività di dire-zione, ovvero di indirizzo dell’attività della società, le quali a loro volta possono de-clinarsi in attività di decisione strategica, riferita cioè alle linee fondamentali dirette al perseguimento delle finalità statutarie dell’ente, e di mera supervisione della gestio-ne ordinaria. Sul punto, la giurisprudenza più recente ha assunto una posizione chia-ra, operando una netta distinzione tra lo svolgimento di mere attività amministrative, aventi una portata esecutiva e come tali inidonee a contribuire alla collocazione della residenza, e l’assunzione delle “scelte gestionali fondamentali”, che costituiscono il noc-ciolo della sede dell’amministrazione 10.

Tuttavia, una volta individuato il concetto rilevante di “amministrazione”, si pone l’ulteriore problema di selezionare i soggetti che possono porla in essere. Così, sem-pre per proseguire con un esempio, assunta la nozione di sede dell’amministrazione come riferita al luogo ove si definiscono le linee guida fondamentali e prospettiche della vita della società, sorge immediatamente il dilemma se a tal fine rilevi l’attività dei consiglieri di amministrazione svolta nel contesto delle riunioni formali del board oppure se, come certa giurisprudenza recente pare avvalorare, debba essere valorizzato il luogo in cui la proprietà, e dunque i soci, maturano i propri convincimenti sulla ge-stione dell’impresa al di fuori delle sedi a ciò deputate 11. Con le ulteriori possibili

9 La sede legale è quella che risulta dall’atto costitutivo o da successivi atti modificativi cui deve es-sere data adeguata pubblicità. Secondo l’art. 73, comma 4, del TUIR, l’oggetto principale coincide con «l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitu-tivo o dallo statuto». Laddove manchino tali indicazioni, esso si determina in base all’attività effetti-vamente esercitata nel territorio dello Stato (comma 5).

10 Cass., sez. trib., sent. 22 aprile 2015, n. 8196. 11 Si osserva che «il luogo ove, episodicamente e senza renderlo noto a terzi, gli amministratori

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complicazioni che, in casi di tal genere, si possono porre qualora si sia in presenza di una pluralità di soci.

A fronte di siffatte complicazioni, la giurisprudenza tributaria non ha sempre mo-strato un atteggiamento univoco, manifestando via via approcci ambigui apparente-mente connotati più da aneliti di tipo politico che non genuinamente giuridico. Esem-pio di ciò che si dice è la sentenza della sezione tributaria della Cass., 23 ottobre 2013, n. 24007, nella quale la Suprema Corte ha affermato che «sede dell’ammini-strazione è quella da cui provengono gli impulsi volitivi inerenti all’attività di gestio-ne dell’ente, essa rappresenta, in altri termini, il momento essenziale nello svolgersi della vita della società, nel quale i rapporti a contenuto patrimoniale della stessa ven-gono voluti ed economicamente determinati». In quel caso, sono stati valorizzati per la collocazione della sede dell’amministrazione in Italia una serie di elementi (soci della società estera sono tutte società italiane, alcuni membri del CdA sono residenti in Italia, la sede legale in Lussemburgo è presso un ente di domiciliazione) ritenuti indicativi dell’assunzione effettiva nel nostro ordinamento delle decisioni fondamen-tali per la gestione dell’ente. Per quanto mosso da un intento di semplificazione, un simile orientamento non appare esente da criticità: così non è chiaro come possa ri-levare la residenza in Italia di “alcuni” dei membri del Consiglio di amministrazione della società, senza dar conto della provenienza degli altri che in ipotesi potrebbero anche essere numericamente preponderanti; ed ancora, in assenza di una verifica di tipo comparativo, volta cioè a verificare quali attività decisionali o gestionali siano svolte presso la sede estera, si finisce per dare preponderante rilievo ad un elemento puramente interno, quello della formazione degli impulsi volitivi, che specie in un con-testo collegiale potrebbe tuttavia non risultare decisivo per le assunzioni delle delibe-razioni dell’ente o comunque essere modificato all’esito della discussione svolta nelle sedi statutarie preposte.

L’indirizzo che valorizza la collocazione in Italia degli impulsi volitivi, in definiti-va, conduce ad ampliare in modo abnorme il perimetro della residenza fiscale delle società nel nostro ordinamento ancorandolo tuttavia ad elementi di non facile verifi-cabilità e quindi forieri di incertezza (per il contribuente) e di arbitrio (per l’Ammi-nistrazione Finanziaria ma anche per il giudice).

3. ... e la sua ricostruzione penalistica

L’approccio penalistico, pur ponendosi nel solco della giurisprudenza tributaria nel senso della valorizzazione di criteri di effettività, appare assai più limpido nel de- concertano decisioni direzionali non basta, da solo, ad integrare la sede dell’amministrazione, difettando per l’appunto quel liason permanente e tangibile con l’ordinamento che solo giustifica l’attribuzione della residenza» (CORDEIRO GUERRA, L’esterovestizione al vaglio dei giudici di merito, in Giust. Trib., 2008, p. 565 ss.).

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lineare gli elementi rivelatori di una simile situazione di effettività, ravvisandoli nel luogo ove la società non solo è fisicamente insediata, ma intrattiene anche tutti quei rapporti che, a seconda del suo oggetto, risultano indispensabili per il normale svol-gimento delle attività tipiche di questo. Svanisce, invece, ogni interesse per gli impul-si volitivi o comunque per le procedure di formazione interna della volontà dell’ente prive di adeguata e percepibile esteriorizzazione. Così la sentenza in commento af-ferma che «la definizione di sede amministrativa (...) si fonda su un criterio di effet-tività gestionale dell’impresa”, a ciò restando estraneo “il luogo nel quale si assumo-no le decisioni strategiche e dal quale partono gli impulsi decisionali”, potendosi ve-rificare in questo caso “conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della poli-tica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo» 12.

L’idea di fondo del ragionamento della Cassazione è, dunque, che la residenza, in quanto nozione decisiva al fine di valutare l’assoggettamento dell’ente ai doveri pre-visti dalla legislazione fiscale domestica, debba fondarsi su elementi rivelatori di ciò che realmente a tal fine conta, ovvero l’inserimento di quello nel tessuto economico e sociale dello Stato. Inserimento che passa dalla ricognizione di un aspetto materia-le statico – sede, dipendenti, strutture organizzative di supporto – nonché di uno re-lazionale, concernente lo svolgimento delle attività amministrative, i rapporti con fornitori e clienti, i contratti con intermediari finanziari e così via.

Rispetto a queste circostanze, evidenzia la sentenza, come all’interno della strut-tura si formano le linee strategiche che poi troveranno attuazione e ostensione attra-verso siffatta struttura non assume rilievo, in quanto trattasi di profilo che non è de-stinato a trovare manifestazione esterna. Occorre evitare, sembra ammonire la sen-tenza, le situazioni foriere di ambiguità: ciò che accadrebbe se si pretendesse di an-corare il giudizio di inserimento nell’ordinamento a fattori non univoci in quanto privi di percettibilità oggettiva da parte dei terzi. Da qui, ancora una volta condivisi-bilmente anche sulla scorta di ampia elaborazione dottrinale 13, la preoccupazione della sentenza di precisare i confini tra asservimento dell’ente estero alla controllante italiana ed i casi, del tutto fisiologici, di influenza di quest’ultima nel contesto dei nor-mali rapporti di gruppo 14.

Si superano in tal modo le incertezze manifestate dalla giurisprudenza tributaria, valorizzando l’esigenza di accertare gli elementi in fatto oltre ogni ragionevole dub-bio, dunque in senso oggettivo ed immediatamente percepibile. Si coglie in sostanza, nel condivisibile ragionamento della sentenza, l’influenza del tipo di giudizio che ca-

12 Parr. 16.20 e 16.29 della sentenza. 13 Per un esame della questione, V. ANTONINI, Brevi riflessioni in merito alle interrelazioni tra rappor-

ti di controllo, oggetto principale e stabile organizzazione (nota a Cass., sez. trib., n. 13579/2007), in Riv. dir. trib., 2008, V, p. 142 ss.

14 Si veda, in particolare, il par. 20.3 della sentenza.

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ratterizza il processo penale, nel quale l’accertamento dei fatti deve avvenire sulla ba-se di circostanze non solo positivamente provate, ma anche di carattere oggettivo, non essendo viceversa utilizzabili, almeno in via di principio 15, né presunzioni né ele-menti indiziari che confondono il movente interno con la condotta effettivamente percepibile all’esterno.

Tale risultato si deve apprezzare anche in un’ottica sistematica che pure la sen-tenza in qualche modo richiama 16. Proprio perché volta ad individuare la sede effet-tiva della società, la ricostruzione dovrebbe essere posta in essere in un’ottica globa-le, ovvero comparando il grado di inserimento manifestato nell’ordinamento proce-dente e quello che il medesimo ente può rivelare in altro e diverso sistema statale. La sede reale dovrebbe, infatti, essere tendenzialmente unica e, perciò, essere individua-ta attraverso una attenta opera di comparazione e di conseguente valutazione di tutti gli elementi denotativi di un collegamento che siano a disposizione dell’autorità ita-liana. Vi è, invece, la tendenza da parte dell’Amministrazione Finanziaria – peraltro contrastata in tempi recenti dalla giurisprudenza specie di merito 17 – ad acconten-tarsi di una ricognizione degli elementi di inserimento della società nel territorio na-zionale e a reputarli sufficienti per l’attribuzione della residenza, senza tuttavia in al-cun modo porre la questione della possibile sussistenza di circostanze di pari o mag-giore rilevanza tali da orientare la collocazione altrove della sede reale, e conseguen-temente della residenza fiscale.

Un approccio, questo, che se può comprendersi alla luce dell’esigenza dello Stato di massimizzare il proprio gettito fiscale, mal si concilia con l’esigenza di condurre con rigore, sul piano del diritto, l’indagine circa la collocazione della sede effettiva dell’ente. Ciò, ancor più, se si pone mente alla circostanza che, di regola, le disposi-zioni domestiche omettono di fornire una definizione accurata dei concetti di sede dell’amministrazione o di oggetto principale, attribuendo così all’interprete, princi-

15 Non si tratta, peraltro, di un indirizzo univoco. Così, la Cassazione ha affermato che in certi casi le presunzioni tributare possono essere tenute in considerazione dal giudice penale, il quale può conside-rarne gli esiti come indizi da sottoporre peraltro ad autonomi riscontri senza necessariamente dover seguire le valutazioni seguite dagli uffici finanziari (Cass., sez. III pen., sent. 5 giugno 2014, n. 23489). Si può citare, altresì, il ruolo crescente della prova logica per la prova dei delitti presupposto del rici-claggio. La Cassazione ritiene che non sia necessaria la prova diretta di tali delitti funzionali al riciclag-gio, essendo sufficiente la mera prova logica della provenienza delittuosa delle utilità oggetto delle operazioni contestate o altrimenti che essi risultino, sulla base degli elementi di fatto, almeno astrat-tamente configurabili. Si veda, tra le altre, Cass., sez. pen., sent. 15 ottobre 2008, n. 495.

16 L’esigenza che l’Amministrazione Finanziaria assuma un approccio bilaterale ben si coglie nel pas-saggio ove la Cassazione ricorda che «ai fini della domiciliazione fiscale non è necessario che l’attività di impresa venga svolta in Italia, ma la verifica dell’esercizio estero di tale attività costituisce pur sem-pre condizione imprescindibile per accertare la natura fittizia o meno dell’insediamento e, dunque, la sua esterovestizione» (par. 20.4).

17 V. CTR Roma, sent. 3 febbraio 2014, n. 1694.

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palmente all’Amministrazione Finanziaria, una discrezionalità così ampia da sconfi-nare nell’arbitrio 18.

In questo contesto, a maggior ragione nei casi come quello oggetto della sen-tenza relativi a fattispecie intracomunitarie, si deve valorizzare la centralità del ri-corso allo scambio di informazioni quale strumento procedurale per la determina-zione dell’effettivo inserimento dell’ente nello Stato di incorporazione. La logica della determinazione della residenza, nel caso di fattispecie transfrontaliere, è in-fatti quella del confronto, dal momento che solo in tal modo appare possibile for-mulare quel giudizio di prevalenza che è connaturato all’attribuzione della qualifi-ca di residente a enti che presentano legami con due o più ordinamenti. Allo stesso modo, deve essere data adeguata rilevanza alle certificazioni, provenienti dallo Sta-to di incorporazione ed attestanti la residenza ivi della società per esservi effetti-vamente amministrata 19.

Nella giurisprudenza tributaria prevale, invece, una logica unilaterale, evidente-mente inadeguata rispetto a fattispecie nelle quali la comparazione tra ciò che si veri-fica all’interno dell’ordinamento nazionale e ciò che, in ipotesi, può essere ravvisabile nel diverso ordinamento di incorporazione della società costituisce il fulcro del pro-cedimento di attribuzione della residenza. Una tendenza che costituisce una chiara violazione dei principî di mutuo riconoscimento e leale cooperazione tra gli Stati membri affermati in seno all’ordinamento europeo e che costituiscono strumenti in-dispensabili per affrontare in modo adeguato la problematica in esame. Anche da que-sto punto di vista, dunque, l’indirizzo della sentenza Dolce & Gabbana si rivela con-divisibile, nella misura in cui – valorizzando una nozione di effettività e oggettiva rico-noscibilità dei criteri di inserimento rilevanti – richiama elaborazioni europee e quindi, seppur prevalentemente per implicito, il conseguente strumentario, ivi compreso quel-lo afferente alla cooperazione internazionale.

4. L’ambigua valorizzazione della nozione di stabile organizzazione

La sentenza giunge, quindi, a far proprio uno dei due indirizzi presenti nell’elabo-razione tributaria della residenza, cui si è fatto cenno retro, ed individua la regola se-condo la quale la sede effettiva, rilevante ai fini della collocazione della residenza fi-scale della società, va individuata nel luogo ove si trova la struttura organizzata che abitualmente svolge le attività tipiche dell’ente e caratterizzanti il suo business.

Ebbene, per corroborare ulteriormente una simile conclusione, che appare peral-

18 Per una analisi dei diversi e non sempre condivisibili approcci assunti dalla giurisprudenza di merito italiana sul punto, si veda CORDEIRO GUERRA, op. ult. cit., p. 565 ss.

19 DORIGO, Residenza fiscale delle società e libertà di stabilimento nell’Unione europea, Padova, 2012, p. 286 ss.

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tro condivisibile anche in un’ottica fiscale 20, la Cassazione valorizza un diverso istituto del diritto tributario, ovvero la stabile organizzazione, per dimostrare come anch’essa renda palese la scelta del legislatore di privilegiare i collegamenti con l’ordinamento che si sostanziano in elementi oggettivi ed attinenti allo svolgimento dell’attività ti-pica dell’ente 21.

Non sfugge come un simile approccio desti qualche perplessità, atteso che la sta-bile organizzazione riguarda i soggetti non residenti e, quindi, costituisce nozione antitetica a quella di residenza 22. Certamente, mediante la stabile organizzazione il legislatore individua un collegamento rilevante per il nostro ordinamento, ma pur sempre tale da non configurare la residenza e, dunque, non confondibile con l’ogget-to principale e con la sede dell’amministrazione 23. Inoltre, la nozione di stabile orga-nizzazione privilegia l’aspetto operativo legato allo svolgimento dell’attività tipica dell’impresa, prescindendo da – o, comunque, ponendo in secondo piano – l’idonei-tà della struttura organizzativa e dal suo effettivo inserimento nel contesto economi-co e sociale del luogo.

L’equivoco tra le due nozioni, peraltro, non è nuovo. Esso è stato in qualche modo alimentato, in passato, dalla stessa Amministrazione Finanziaria, la quale aveva formu-lato una “riserva”, in realtà denominata osservazione, al Commentario all’art. 4, par. 3, del Modello OCSE. Secondo tale osservazione, l’Italia affermava la propria libertà di prendere in considerazione, nella determinazione del luogo di direzione effettiva di un ente, «anche il luogo ove l’attività principale e sostanziale dell’ente è esercitata». In questo modo, non solo – come da più parti notato – si appiattiva la nozione di sede dell’amministrazione su quella di oggetto principale; ma, soprattutto, si apriva la strada

20 In generale sulla residenza delle persone giuridiche, si vedano MARINO, La residenza nel diritto tribu-tario, Padova, 1999; e MELIS, Il trasferimento della residenza fiscale nell’imposizione sui redditi, Roma, 2008.

21 V. par. 16.55 ss. della sentenza. L’interpretazione di cui si parla nel testo è stata analizzata in sen-so critico da CERRATO, Sui confini tra esterovestizione societaria e stabile organizzazione (nota a Cass., sez. III pen., n. 32091/2013 e Cass., sez. III pen., n. 16001/2013), in Riv. dir. trib., 2013, V, p. 55 ss.

22 L’ordinamento italiano, facendo applicazione del criterio worldwide, sottopone come noto ad im-posizione i soggetti fiscalmente residenti per i redditi ovunque prodotti nel mondo; e quelli non resi-denti, al contrario, per i soli redditi originati da fonti situate nel nostro ordinamento. Nel caso dei sog-getti esercenti attività di impresa, si pone la questione del trattamento fiscale dei redditi che essi, qua-lora residenti in un’altra giurisdizione, producano in Italia. Le imprese, infatti, pur essendo enti unitari il più delle volte agiscono – e, dunque, producono base imponibile – in una pluralità di mercati; con la conseguenza che occorre delineare un concetto che consenta di distribuire in modo adeguato l’eserci-zio del potere impositivo tra i vari ordinamenti in ipotesi interessati da questo fenomeno. Ad un siffat-to obiettivo risponde la nozione di stabile organizzazione, la quale perciò serve per garantire l’imposi-zione in Italia di redditi prodotti da soggetti non residenti. Ne consegue che, da un punto di vista teo-rico, residenza e stabile organizzazione sono due concetti antitetici. Sulla sovrapposizione giurispru-denziale dei due concetti, v. MELIS, Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile organizza-zione: problemi ancora aperti e possibili soluzioni, in Dir. prat. trib., Parte I, 2014, p. 29 ss.

23 Lo nota MAISTO, Brevi riflessioni sul concetto di residenza fiscale di società ed enti nel diritto interno e convenzionale, in Dir. prat. trib., 1989, I, p. 1358 ss., p. 1364.

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ad un possibile ravvicinamento di siffatta nozione con il concetto di stabile organizza-zione, anch’esso fondato sullo svolgimento di una attività che può senz’altro dirsi so-stanziale avuto riguardo alla struttura della branch in Italia 24. Superata una simile inter-pretazione in ambito tributario, ove non se ne ravvisa quasi più traccia, essa è ora tran-sitata nel contesto della giurisprudenza penale, sfruttando la già ricordata impronta so-stanzialista che la connota; ma anche qui, i dubbi sulla correttezza di essa permangono.

Si può osservare infatti che, di regola, la stabile organizzazione non individua che una parte dell’attività complessivamente svolta dall’ente non residente e come tale è incapace di delineare quell’univoco inserimento nell’ordinamento richiesto per l’at-tribuzione della residenza. Occorre, nel caso di più segmenti di attività che si collo-chino in varie giurisdizioni, effettuarne una valutazione comparativa che dia la preva-lenza all’ordinamento nel quale l’inserimento è più rilevante. Altro è – e forse è in questo contesto che più si può apprezzare la sollecitazione della Cassazione penale – laddove l’attività della branch esaurisca quella dell’ente non residente, nel qual caso un impatto sulla collocazione della residenza può dirsi inevitabile, per quanto sem-pre in modo che i due concetti si escludano a vicenda.

Comunque sia, la vicenda appare rilevante ai fini dell’esame che si sta svolgendo in quanto mette in evidenza la peculiarità dell’approccio penalistico a concetti propri del diritto tributario 25, improntato su una autonoma attribuzione di significato fina-lizzata al raggiungimento di uno scopo, legato all’effettivo accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali, per il quale non si esita anche a integrare nozioni (co-me quella della residenza) con riferimenti che nel diritto tributario difficilmente po-trebbero essere sostenuti sul piano tecnico 26.

5. Costruzioni di puro artificio e l’inevitabile influenza del diritto UE

Un aspetto meritevole di enfasi nel complessivo approccio della Cassazione pe-nale nella sentenza che si annota riguarda la valorizzazione, nel senso dell’esclusività di criteri di collegamento di tipo effettivo, della giurisprudenza europea. Si tratta di una novità, essendo mancata fino ad oggi anche nella giurisprudenza tributaria una particolare sensibilità verso questo profilo. Un simile approccio va senza dubbio con-

24 V. CERRATO, op. cit., p. 71. 25 Un autore che si è occupato di recente della questione ha sottolineato la “buona maturità” della

Corte di cassazione nell’affrontare le tematiche concernenti residenza fiscale e stabile organizzazione (DELLA VALLE, Residenza e stabile organizzazione, in Rass. trib., 2016, p. 871 ss., p. 885).

26 Osserva ancora CERRATO, op. cit., p. 56, che «l’insistenza con cui negli ultimi anni la nozione di residenza fiscale delle società viene ricostruita dalla Cassazione penale richiamando il concetto di sta-bile organizzazione pone il dubbio che l’apparente confusione terminologica celi in realtà la convin-zione che la nozione di residenza della società sia comunque influenzata dal luogo di svolgimento delle attività sociali».

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diviso, considerato sia lo specifico contesto in fatto che caratterizzava la vicenda sot-toposta al vaglio della Cassazione, che riguardava una società appartenente ad un al-tro Stato membro dell’Unione; sia la sensibilità per i temi europei che da tempo per-corre la riflessione in ambito tributario e che in questo caso il giudice penale ha rite-nuto essenziale scandagliare. Una novità ancora più apprezzabile se si considera che il diritto dell’Unione Europea non contempla una definizione a sé stante di ciò che debba intendersi, in positivo, per “società fiscalmente residente in uno Stato mem-bro” e di quali siano, pertanto, i criteri di collegamento a tal uopo accettati dal legi-slatore dell’Unione, operandosi di regola un rimando a quanto stabilito negli ordi-namenti degli Stati membri. Di conseguenza, per quanto non adeguatamente moti-vata, la scelta della Cassazione di trarre dal contesto sovranazionale indirizzi per sta-gliare i criteri di collegamento ritenuti corretti per l’attribuzione della residenza ap-pare il condivisibile sintomo di una apertura multilivello della giurisprudenza interna al dialogo con altre fonti e con altre giurisdizioni.

Nelle direttive adottate nella materia della fiscalità diretta si rinviene, infatti, una definizione sostanzialmente identica, secondo la quale società di uno Stato membro è quella che «secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro sia considerata co-me avente il domicilio fiscale in tale Stato membro e, ai sensi di una Convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con un paese terzo, non sia considerata co-me avente tale domicilio fuori della Comunità» 27. Come si vede, il testo si guarda bene dal fornire una definizione di società residente di portata europea ai fini della disciplina fiscale che tali direttive introducono, ma si limita a rinviare alle regole in-terne, preoccupandosi semmai di evitare che venga estesa la disciplina della direttiva ad enti collocati al di fuori del territorio dell’Unione.

Anche in questo settore, tuttavia, come in molti altri nei quali il diritto positivo non è ancora stato in grado di influire (anche a causa del meccanismo di adozione degli atti normativi dell’Unione centrato sull’unanimità), le indicazioni più rilevanti provengono dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE. Si assiste ad un feno-meno nel quale – per quanto, in una materia ancora non armonizzata a livello euro-peo come quella delle imposte dirette, gli Stati restino ampiamente liberi di deter-minare il contenuto del concetto di residenza fiscale – tuttavia nel momento in cui la

27 Art. 3, lett. b), Direttiva n. 2009/133/CE del Consiglio del 19 ottobre 2009 relativa al regime fi-scale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi e al trasferimento della sede sociale di un SE e di una SCE tra Stati membri. Di tenore identico è anche l’art. 2, lett. b), Direttiva n. 90/435/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990 concernente il regime fiscale comune applicabile alle so-cietà madri e figlie di Stati membri diversi (oggi confluito nell’art. 2, lett. b), Direttiva n. 2011/96/UE del Consiglio del 30 novembre 2011 di rifusione della precedente direttiva madre-figlia, entrata in vigore il 18 gennaio 2012). L’art. 3, lett. a), della Direttiva n. 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003 concer-nente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, invece, richiama espressamente la nozione di “residenza a fini fiscali”, peraltro ancora una volta rinviando a quanto stabilito dal legislatore nazionale.

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scelta unilateralmente operata si riveli anche solo in potenziale contraddizione con il generale divieto di non discriminazione e con il rispetto delle libertà fondamentali di circolazione, allora il diritto dell’Unione, tramite l’intervento della Corte di Giustizia UE, consente di sindacare gli elementi posti dalla legislazione nazionale a fondamen-to dell’attribuzione di residenza.

Correttamente, la sentenza Dolce & Gabbana richiama come la possibilità di un simile sindacato sia stata teoricamente affermata dalla Corte UE con riferimento alla compatibilità dei sistemi fiscali nazionali con la libertà di stabilimento 28. Per tale fondamentale libertà, come del resto per tutte le libertà previste dal Trattato, l’ap-proccio della giurisprudenza europea si è da sempre caratterizzato per una particola-re attenzione alla loro difesa, specie nei confronti di misure fiscali nazionali che aves-sero una portata restrittiva nei confronti delle medesime. Così, costituisce jus recep-tum quello secondo cui devono considerarsi quali restrizioni siffatte «tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio» della libertà di stabilimento 29.

Ebbene, di particolare rilievo al fine dell’individuazione dei criteri di collegamen-to si rivela essere l’elaborazione della Corte di Giustizia UE sul concetto di «costru-zione di puro artificio»: essa offre, infatti, numerosi spunti per l’individuazione delle circostanze minime di inserimento di un ente nell’ordinamento di uno Stato mem-bro utili per l’attribuzione della residenza fiscale secondo il criterio della sede reale.

Va ricordato che, secondo i Giudici europei, perché sia rinvenibile una «costru-zione di puro artificio» è necessario che, oltre al ricorrere di un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un indebito vantaggio fiscale, sussistano ele-menti oggettivi «dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabili-mento non sia stato raggiunto» 30. La Corte ha, quindi, evidenziato, ragionando a con-trariis, gli elementi di fatto idonei a manifestare un effettivo inserimento e, dunque, l’avvenuto rispetto del diritto di stabilimento. Due, in particolare, risultano essere le caratteristiche che siffatto insediamento deve possedere per poter essere considerato “genuino”: una materiale, relativa alla sussistenza di «elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica (...) in termini di locali, di personale e di attrezzature» 31; l’altra, invece, operativa, attinente cioè all’at-

28 Par. 16.54: «L’accertamento in ordine allo svolgimento effettivo dell’attività e alla consistenza non artificiosa dell’insediamento estero (...) deve essere condotto secondo criteri interpretativi che ten-gano conto delle indicazioni che provengono dallo stesso legislatore nazionale ed europeo e degli approdi giurisprudenziali della Corte di giustizia delle Comunità europee in tema di diritto di stabilimento».

29 Corte di Giustizia UE, sez. V, 17 ottobre 2002, causa C-79/01 Payroll, in Racc., p. I-08923, par. 26. Nello stesso senso, v. ex pluribus Corte di Giustizia UE, sez. V, 15 gennaio 2002, causa C-439/99 Commissione c. Italia, in Racc., p. I-00305, par. 22.

30 Così, Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 12 settembre 2006, causa C-196/04 Cadbury Sch-weppes, in Racc., p. I-7995, par. 64.

31 Ibidem, par. 67.

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tività che mediante siffatta struttura la società pone in essere e che deve mostrare i contorni di una effettiva attività economica 32. La Corte, quindi, si è concentrata sul profilo organizzativo, valorizzando «il livello di presenza fisica della SEC in termini di locali, di personale e di attrezzature» 33. Vi è da ritenere che la Corte abbia preferi-to accantonare gli ulteriori test che erano stati proposti dall’Avvocato Generale, sic-come fondati su circostanze (l’effettività dell’attività svolta e il valore economico del-la stessa) di tipo valutativo e, perciò, prive di quei requisiti di oggettività e certezza che invece sono reputate essere essenziali ai fini della riconoscibilità dell’insedia-mento nei confronti dei terzi.

L’impatto di tale elaborazione sul nostro ordinamento si può cogliere proprio in relazione alle pronunce di giudici di merito 34, le quali – pur in presenza di società co-stituite secondo il diritto di un altro Stato membro dell’Unione – non hanno esitato a reputarle esterovestite (e, come tali, residenti in Italia) sulla base della ritenuta col-locazione in Italia dei meccanismi decisionali – una situazione spesso presunta a par-tire dalla residenza italiana dei soci o della controllante 35 – e dell’esclusiva finalità fiscale sottesa all’apparente localizzazione della società all’estero.

Si tratta di orientamenti che la Cassazione, e ad avviso di chi scrive a ragione, ri-tiene non idonei, proprio alla luce delle indicazioni desumibili dal diritto dell’Unione Europea. Da un lato, infatti, la finalità di ottenere un risparmio di imposta che può aver mosso la collocazione di una società in un altro Stato membro, diverso da quello

32 Appare particolarmente interessante ricordare che, subito dopo la sentenza Cadbury Schweppes e nell’intento di adeguare il proprio sistema CFC a quanto indicato dalla Corte di Giustizia UE, il Ministro delle Finanze tedesco ha adottato un decreto con il quale ha escluso l’applicabilità di tale disciplina alle società controllate situate nello spazio europeo le quali dimostrino di: svolgere regolarmente attività d’impresa nello Stato di stabilimento; impiegare un numero di managers e dipendenti adeguato allo svol-gimento di tali attività in modo indipendente; generare il proprio reddito mediante attività direttamente svolte sul mercato ovvero, nel caso di prevalenza di passive income infragruppo, fornire un servizio capace di produrre valore aggiunto per la società collegata (decreto del 8 gennaio 2007, richiamato da BECKER-HÖLSCHER-LOOSE, Impact of ECJ’s Cadbury Schweppes decision on German tax planning, in Tax Notes Int’l, 2007, p. 879 ss.). Come si vede, la Germania, nell’adeguarsi alla dottrina delle “costruzioni di puro artifi-cio”, si è concentrata sugli aspetti organizzativi e operativi dell’attività della controllata, lasciando da parte, invece, profili più incerti come la residenza dei soci o il luogo di assunzione delle decisioni.

33 Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 12 settembre 2006, causa C-196/04 Cadbury Schweppes, in Racc., p. I-7995, par. 67.

34 Si tratta delle sentenze CTP Firenze, sez. I, 24 settembre 2007, n. 75; CTP Firenze, sez. XVI, 13 ottobre 2007, n. 108; CTP Belluno, sez. I, 14 gennaio 2008, n. 174, tutte con nota di CORDEIRO GUER-RA, in Giust. Trib., 2008, p. 565 ss.

35 Si veda la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Belluno richiamata nella nota che precede, ove si trova affermato che «elementi sintomatici della esterovestizione vanno individuati inoltre nella circostanza che il capitale sociale del soggetto esterovestito sia riconducibile ad una socie-tà di capitali per lo più costituita da un unico socio o da più soci appartenenti alla stessa famiglia deten-trice della totalità o quasi delle relative azioni o quote del capitale sociale del soggetto esterovestito; per quanto riguarda l’amministrazione del soggetto esterovestito, essa è per lo più affidata a persone fisiche che risiedono in Italia (...)».

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 225

di appartenenza degli azionisti, non dovrebbe ex se rilevare, ancorché sia quella pre-valente, in omaggio a quanto più volte affermato dalla Corte di Giustizia 36. Dall’al-tro, la residenza dei soci o della capogruppo viene considerata, come si è visto, circo-stanza di per sé irrilevante ai fini della collocazione della residenza della società nel contesto dell’Unione Europea 37. Infine, ed in ogni caso, l’equazione che gli orienta-menti appena richiamati finiscono per avvalorare – la sede della società costituita in altro Stato membro si colloca là dove risiedono i suoi soci, in quanto ivi si formano gli impulsi volitivi che, poi, previa formalizzazione nelle sedi statutariamente a ciò depu-tate, ne guideranno l’attività – si pone in contrasto con l’esigenza di certezza e cono-scibilità per i terzi delle circostanze di fatto assunte a base della localizzazione della società. Per di più, il richiamo agli impulsi volitivi, come mera formazione interna dei contorni delle decisioni strategiche per la vita della società, finisce per consentire al-l’Amministrazione Finanziaria di ricondurre nel territorio dello Stato la sede dell’am-ministrazione dell’ente pressoché in ogni caso, realizzando così un evidente ostacolo alla libertà di stabilimento.

Vi è, dunque, una discrasia tra i limiti sostanziali posti dal diritto dell’Unione, come si è visto legati all’esigenza di garantire l’effettività dell’insediamento sotteso all’attribuzione di residenza, ed il prevalente approccio interpretativo manifestato dalla giurisprudenza interna – e, di fatto, avallato dalla prassi dell’Amministrazione Finanziaria – volto ad estendere la possibilità di predicare la residenza italiana di enti creati altrove in nome della lotta all’esterovestizione e dell’esigenza di intercettare flussi di imponibile ancorché prodotti all’estero 38. E rispetto a questa discrasia, la sentenza in commento tenta di porre rimedio, valorizzando le elaborazioni europee che peraltro, anche alla luce di conformi indizi reperiti nel nostro ordinamento fisca-le 39, appaiono come la mera conferma di un principio già in quest’ultimo esistente.

36 Si veda ancora una volta la sentenza Cadbury Schweppes, nella quale si legge che «la circostanza che una società estera sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggio-sa non costituisce per se stessa un abuso» della libertà di stabilimento (C-196/04, par. 37).

37 Giova ancora una volta ricordare che è nella logica stessa della libertà di stabilimento che un soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, residente in uno Stato membro collochi una società da es-so controllata nell’ordinamento di un diverso Stato membro. Ritenere che valga questa circostanza a ricondurre nel primo la residenza fiscale dell’ente significherebbe negare in tutti i casi la possibilità di avvalersi della predetta libertà e di goderne i conseguenti eventuali vantaggi di natura tributaria.

38 Ciò, tra l’altro, con non secondarie ricadute sui soci di minoranza della società esterovestita; i quali rimarranno spettatori della riconduzione alla fiscalità di un altro ordinamento dell’ente e, quindi, del potenziale duplice prelievo sui relativi redditi, e vedranno di fatto violata nei loro confronti la di-versa libertà di circolazione dei capitali (che, come noto, si applica alla detenzione di partecipazioni in una società tali da non consentire l’esercizio di una sicura influenza sulla stessa).

39 Appare di interesse il riferimento della sentenza alla recente modifica della disciplina domestica sulle CFC, con l’introduzione di un nuovo comma 8 bis all’art. 167 TUIR dedicato ai casi di società controllata avente sede in uno Stato membro dell’Unione europea. La Cassazione penale sottolinea, al riguardo, la circostanza che in questo contesto «la prova dell’effettivo svolgimento, da parte della so-cietà o altro ente non residente, di un’attività industriale o commerciale, come sua principale attività,

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Di tale mutato atteggiamento costituisce conferma anche la posizione che l’A-genzia delle Entrate ha assunto nel contesto della procedura di infrazione, poi archi-viata, sollecitata dall’Associazione dei dottori commercialisti ed avente ad oggetto la presunzione di residenza di cui all’art. 73, comma 5 bis, D.P.R. n. 917/1986. In una comunicazione, indirizzata alla Commissione nel contesto della procedura, l’Ammi-nistrazione Finanziaria italiana ha osservato che la prova dell’inserimento dell’ente nel diverso ordinamento dello Stato membro ai fini del radicamento della residenza può riguardare aspetti non predeterminabili in via generale ed astratta. Ha, quindi, valorizzato in particolare quegli «elementi concreti da cui risulti (...) il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipulazione dei contratti e le operazioni finanziarie e banca-rie siano effettivamente realizzate» 40. Si tratta di una posizione che appare in linea con quanto desumibile dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia circa gli elemen-ti di fatto indicativi di un effettivo inserimento della società nell’ordinamento che la ospita. Essa sembra aver riguardo agli aspetti più propriamente organizzativi e gestio-nali dell’ente, dotati di un connotato di ostensibilità verso i terzi e capaci di eviden-ziare che la società partecipa alla vita economica e sociale dello Stato ospite e, perciò, ha effettivamente esercitato il proprio diritto di stabilimento nello spazio europeo.

Sembra, dunque, in questo approccio scolorirsi il rilievo dei profili di controllo o comunque proprietari, a favore di una valutazione che, come insegna l’approccio pe-nalistico della Dolce & Gabbana, va effettuata caso per caso mettendo in relazione la particolare attività che la società è chiamata a svolgere nello Stato e l’assetto organiz-zativo e gestionale ivi presente nella sua idoneità a realizzare siffatte funzioni. Ciò che, come la stessa amministrazione riconosce, non ostacola il riconoscimento della residenza in altro Stato membro anche di società holding 41.

6. Il rischio di sovrapposizione tra esterovestizione e abuso del diritto

La parte della sentenza che appare meno lineare nel suo percorso argomentativo è quella che si sofferma sull’abuso del diritto e tenta di dare una lettura dei fenomeni di esterovestizione alla luce di tale concetto. Il confronto tra residenza ed abuso po-teva dirsi inevitabile, attesa l’ampia elaborazione che si è avuta sul punto nella giuri-

nello Stato o nel territorio nel quale ha sede, impedisce l’imputazione al soggetto controllante dei red-diti conseguiti dal controllato» (par. 16.38); ciò che evidenzia l’atteggiamento del legislatore fiscale volto a privilegiare «il dato dell’esercizio effettivo dell’attività quale elemento selettivo della ricondu-cibilità o meno in Italia dei redditi prodotti all’estero» (par. 16.39).

40 Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, Prot. 19 marzo 2010, n. 39678. 41 «Si tratta, ad ogni evidenza, di un principio di carattere generale e che, come tale, trova applica-

zione in occasione della verifica della residenza a prescindere dall’attività in concreto esercitata dalla società (nel caso oggetto della risoluzione n 312/E quest’ultima svolgeva attività di holding pura e, quindi, di tipo finanziario)» (comunicazione Prot. n. 2010/39678, cit., nota 2).

Cass., sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809 227

sprudenza tributaria. Tuttavia, la pronuncia appare ambigua sul punto e, pur perve-nendo come si dirà ad un esito interpretativo ancora una volta condivisibile, percor-re una via eccessivamente tortuosa tra l’altro in un momento nel quale il nuovo art. 10 bis, L. n. 212/2000 era già entrato in vigore (pur non facendone la Cassazione menzione alcuna) e dunque la problematica avrebbe forse potuto essere risolta più semplicemente 42. In effetti, in alcuni passaggi la motivazione sembra adombrare una possibile, seppur limitata, rilevanza penale dell’abuso, per quanto solo laddove la con-dotta rientri nella fattispecie astratta prevista da una specifica norma incriminatri-ce 43. Pare di cogliervi una certa ritrosia da parte dei giudici a smentire nettamente la propria precedente posizione 44, tra l’altro manifestata nell’ambito della medesima vicenda, per quanto il radicale mutamento del contesto renda più che giustificata una diversa interpretazione.

L’equivoco è da tempo presente nelle elaborazioni giurisprudenziali e si connette all’affermarsi in quel contesto del concetto di “esterovestizione”. L’espressione sot-tende la condotta del contribuente che si adopera per dar vita ad una situazione di ap-parente collocazione in altro ordinamento di una società che al contrario resta radicata nel contesto del sistema giuridico italiano. L’estraneità dell’ente rispetto a quest’ulti-mo rappresenterebbe dunque un mero vestito, che tuttavia nasconderebbe in realtà una sostanza di segno differente: vi sarebbe, in definitiva, una dissociazione tra profi-lo formale, che punta verso l’ordinamento di incorporazione, e quello sostanziale, che invece secondo l’Amministrazione Finanziaria riconduce l’intera struttura al nostro ordinamento. Sebbene manchi una definizione positiva di ciò che costituisca una so-cietà esterovestita, la giurisprudenza ha provato a delinearne la portata in più occa-sioni: è così gradualmente emersa una nozione secondo la quale per esterovestizione si intende «la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello naziona-

42 Sulla nuova norma, senza pretesa di esaustività, si vedano CONTRINO-MARCHESELLI, Luci e ombre nella struttura dell’abuso fiscale ‘riformato’, in Corr. trib., 2015, p. 3787 ss.; FIORENTINO, L’art. 10-bis e il coordinamento delle norme antielusive nazionali, in AMATUCCI-CORDEIRO GUERRA (a cura di), L’evasione e l’elusione fiscale in ambito nazionale e internazionale, Roma, 2016, p. 31 ss.; GALLO, La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1315 ss.; GIOVANNINI, Elusione fiscale, abuso del diritto e sanzione, in Riv. guar. fin., 2015, p. 663 ss.; SCUFFI, La codificazione dell’abuso del diritto se-condo il d.lgs. n. 128/2015, in Riv. dir. trib., 2015, p. 249 ss.; ZIZZO, La nozione di abuso nel nuovo art. 10-bis dello statuto dei diritti del contribuente, in Corr. giur., 2015, p. 1337 ss. In particolare, sulla previsione di non punibilità delle condotte elusive in sede penale, v. su tale indubbia novità, v. SAMMARTINO, San-zionabilità dell’elusione fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 403 ss.; e DI SIENA, La criminalizzazione dell’elusio-ne fiscale e dell’abuso del diritto. Un caso irrisolto della giurisprudenza penale tributaria, in Riv. trim. dir. trib., 2015, p. 333 ss.

43 Si veda, in particolare, il par. 17.8 della sentenza. 44 Si allude alla già ricordata sent. n. 7739/2012, con la quale la II sezione penale aveva aperto alla

possibilità che condotte elusive fossero rilevanti a fini penali, purché si fosse in presenza di una con-dotta specificamente sussumibile in una fattispecie di legge, non bastando la mera esistenza di una clausola antielusiva di matrice giurisprudenziale.

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le, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale» 45. Il feno-meno della esterovestizione, allora, si caratterizza secondo questo orientamento da un punto di vista oggettivo, realizzandosi una apparente localizzazione in altro Stato pur rimanendo l’attività propria dell’impresa in Italia; nonché da uno soggettivo, essen-do i suoi proprietari mossi dall’intento di sottrarre i redditi prodotti tramite tale ente agli obblighi fiscali imposti dalla nostra legislazione.

In casi di questo genere non siamo in presenza di un particolare atteggiarsi, nel contesto della disciplina sulla residenza, del fenomeno dell’abuso del diritto. L’abu-so, infatti, si caratterizza per la realizzazione di una fattispecie in assenza dei requisiti previsti dalla legge allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale che, nelle concrete spe-cifiche condizioni, non risulterebbe spettante: prevale, dunque, l’elemento soggetti-vo, il fine di perseguire un risultato fiscalmente vantaggioso, ma si presuppone co-munque che la fattispecie sia stata effettivamente posta in essere e sia, per ciò stesso, percepibile nei suoi connotati costitutivi. Nel caso dell’esterovestizione, al contrario, siamo al cospetto di una occultata presenza effettiva dell’ente nel nostro ordinamen-to, di una situazione cioè nella quale il manifestato collegamento con lo Stato estero produce l’effetto di nascondere la reale situazione di fatto alle autorità italiane. Per-tanto, si deve parlare di vera e propria evasione, trattandosi di un caso nel quale una società a tutti gli effetti italiana si proclama residente a fini fiscali in altro Stato e fa in modo di apparire come tale 46. D’altra parte, la riconduzione del fenomeno dell’este-rovestizione ad una fattispecie abusiva produce l’effetto di introdurre nel contesto della definizione della residenza un elemento soggettivo, legato al perseguimento di un vantaggio fiscale, che non appare assolutamente necessario al fine di integrarla.

Si può ipotizzare che l’orientamento favorevole ad una lettura in chiave elusiva dei fenomeni di esterovestizione derivi da un acritico appiattimento della giurispru-denza interna sulla giurisprudenza europea, che spesso utilizza in via alternativa con-cetti – elusione, abuso, evasione – che trovano invece negli ordinamenti nazionali ambiti applicativi ben delimitati. In questo senso, è ancora più rimarchevole che la Cassazione penale, pur attingendo come si è visto ampiamente alle elaborazioni eu-ropee, abbia tuttavia concluso per l’irrilevanza delle condotte abusive rispetto ai casi di esterovestizione, e dunque di omessa dichiarazione, mancando in esse quel dolo di evasione che invece è tipico delle fattispecie penal-tributarie. Viene, pertanto, cor-rettamente condivisa quella posizione della dottrina tributaria che, all’indomani dell’in-troduzione dell’art. 10 bis nello Statuto, ha ravvisato il carattere essenziale dell’abuso nell’assenza di fraudolenza, viceversa tipica dell’evasione.

45 Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2869, in De Jure. 46 Appare, quindi, condivisibile la posizione espressa di recente da un autore, il quale ha rilevato che «la

fittizia collocazione all’estero della residenza fiscale nulla ha a che vedere con i tratti caratterizzanti l’abu-so», essendo viceversa al cospetto di una “condotta evasiva” (DELLA VALLE, op. cit., p. 881). Si veda anche quanto sostenuto da CORDEIRO GUERRA-DORIGO, Le norme tributarie italiane relative a fattispecie con ele-menti di estraneità, in CORDEIRO GUERRA (a cura di), Diritto tributario internazionale, cit., p. 485 ss., p. 508.

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7. Conclusioni: l’influenza della pronuncia sulla nozione tributaria di residenza fiscale

Si è già sottolineato come il punto di arrivo del ragionamento della Cassazione nella sentenza Dolce & Gabbana sia condivisibile, per quanto il percorso argomenta-tivo utilizzato appaia in alcune sue parti poco ortodosso rispetto a nozioni proprie del diritto tributario. Resta aperta, ovviamente, la questione se un orientamento di tal fatta, e dunque la nozione di residenza fiscale delle società che ne scaturisce, pos-sa influenzare anche la percezione di tale nozione nell’ordinamento di origine, ovve-ro quello fiscale. Le forzature che, come si è detto, caratterizzano l’interpretazione offerta dalla Cassazione penale potrebbero ostacolare, almeno in prima battuta, un simile travaso. Tuttavia, ciò che resta, al di là del percorso seguito, è l’elaborazione conclusiva, ovvero l’ancoraggio della residenza a elementi oggettivamente capaci di manifestare ai terzi dove l’ente agisce e persegue il proprio obiettivo statutario.

Ebbene, da questo punto di vista sembra auspicabile che anche la giurisprudenza tributaria pervenga al medesimo risultato. A ben guardare, anzi, la posizione sostan-zialista della Cassazione penale, avulsa dai tecnicismi a cui talvolta i giudici tributari sono troppo propensi, si rivela coerente con la giustificazione e la funzione del tribu-to nel nostro ordinamento: la connotazione della sede dell’amministrazione come il luogo ove avviene l’effettiva ed ostensibile gestione dell’ente richiama l’esigenza di inserimento e fruizione dei servizi e delle infrastrutture dello Stato ospite, i quali fon-dano e delimitano quel doveroso concorso alle spese pubbliche che rappresenta il cuore dell’art. 53 Cost. Insomma, ha senso – in primis proprio nell’ottica fiscale – concepire la residenza alla stregua di indici di inserimento che prescindano da profili formali e si fondino invece sui legami che la società, nei suoi caratteri organizzativi e relazionali, manifesti in modo univoco con l’assetto economico e sociale dello Stato.

In quest’ottica, si comprende altresì l’espunzione, che ne deriva in via di indi-spensabile corollario, di quei criteri evanescenti, elaborati dalla prassi dell’Ammini-strazione Finanziaria, riferiti alla formazione interna degli indirizzi dell’ente. In parti-colare, l’interpretazione che valorizza la collocazione degli impulsi volitivi contrad-dice la necessità di valorizzare il collegamento tra la struttura operativa propria della società e l’ordinamento che effettivamente la ospita, finendo per operare un distacco tra nozione di residenza e funzione che le è attribuita in seno all’ordinamento.

Sembra perciò auspicabile che la sollecitazione proveniente dalla giurisdizione pe-nale venga recepita da quella tributaria e possa modellare la ricostruzione del concet-to di residenza fiscale anche nel contesto propriamente tributario. Occorre, proprio per evitare siffatte complicazioni e rendere la nozione di residenza più certa nei suoi connotati di fondo e coerente con i fondamenti del sistema, privilegiare una defini-zione di sede dell’amministrazione che prescinda dalle episodiche assunzioni di de-cisioni fondamentali e dia invece rilievo al luogo ove la società vive ed opera nella sua quotidianità, dove cioè essa non solo ha una struttura chiaramente percepibile

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dai terzi, ma anche pone in essere i rapporti (con i clienti o le banche, ad esempio) nei quali si sostanzia la sua attività tipica 47.

In questa stessa direzione, peraltro, si muovono le esperienze internazionali, nelle quali da tempo è emersa l’insoddisfazione per la riconduzione della residenza a crite-ri di tipo formale e si è fatta strada la tesi secondo la quale solo elementi di collega-mento sostanziale e per di più sottratti alla sfera esclusivamente soggettiva possono efficacemente rappresentare l’inserimento dell’ente nel tessuto sociale ed economico dello Stato che dà sostanza appunto alla residenza fiscale 48.

La recente tendenza della giurisprudenza a superare il tradizionale doppio bina-rio tra procedimento penale e procedimento tributario, a favore di una più agevole circolazione dei modelli e degli strumenti interpretativi tra l’uno e l’altro, sembra fa-vorire la trasmigrazione della posizione espressa nella sentenza in commento al set-tore tributario: del resto, appare del tutto irragionevole che nell’ambito di uno stesso ordinamento il medesimo concetto conosca latitudini interpretative differenziate. Pre-so atto che i canoni previsti dal D.Lgs. n. 74/2000 sono divenuti ormai obsoleti, sa-rebbe opportuno che il legislatore intervenisse per disciplinare un nuovo tipo di rap-porto tra ambito penale e ambito tributario, fondato su un dialogo rispettoso delle ine-vitabili differenze di fondo che li contraddistingue reciprocamente. La sentenza Dol-ce & Gabbana appare suggerire un approccio equilibrato che, anche al di là della spe-cifica questione affrontata, potrebbe costituire un utile modello per successive rifles-sioni da parte del legislatore.

Roberto Cordeiro Guerra

Stefano Dorigo

47 Va detto che i giudici tributari di merito, in alcune pronunce più recenti, paiono porsi nella me-desima linea interpretativa. Così, si è osservato che «deve ritenersi che quel che rileva, ai fini della con-figurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni eco-nomiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno, se, cioè, l’operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consisten-do nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà eco-nomica», rigettando così l’affermata esterovestizione di una società olandese sulla base della constata-zione che essa, oltre ad essere stata ivi costituita, abbia uffici e paghi le imposte nel paese di collocazio-ne (CTR Roma, sez. 41, sent. 3 febbraio 2014, n. 1694).

48 Nell’ambito dei lavori conclusivi del progetto BEPS, l’OCSE ha previsto la modifica alla tie-breaker rule dell’art. 4 del Modello OCSE, suggerendo di eliminare ogni riferimento a metodi specifici per l’individuazione della effettiva collocazione della sede delle persone giuridiche e rimettendo ogni valutazione ad una procedura amichevole tra gli Stati coinvolti. A meno di non voler sottoporre la condotta delle società all’imprevedibile arbitrio delle amministrazioni finanziarie, si deve ritenere che queste debbano condurre la trattativa seguendo i più recenti orientamenti internazionali, favorevoli ad una valorizzazione di elementi di contatto effettivi e sostanziali con l’ordinamento. Sulla novità, v. DO-RIGO-MASTELLONE, L’evoluzione della nozione di residenza fiscale delle persone giuridiche nell’ambito del Progetto BEPS, in Riv. dir. trib., 2015, V, p. 35 ss.

Cass., sez. trib., 24 novembre 2016-16 dicembre 2016, n. 26050 231

Cass., sez. trib., 24 novembre 2016-16 dicembre 2016, n. 26050 – Pres. Chin-demi, Est. Stalla

Imposta sulle successioni e le donazioni – Coacervo del donatum con il relictum – Funzione antielusiva – Sopravvivenza alle modifiche normative – Non sussiste

Nella sua formulazione originaria, l’imposta di successione prevista dal TUS era de-terminata ex art. 7 con aliquote progressive a scaglioni. A seguito dell’abrogazione di tale previsione normativa, la norma non può trovare applicazione. Consegue l’abrogazione im-plicita dell’istituto del cumulo delle donazioni pregresse (cosiddetto coacervo) regolato dal-l’art. 8, comma 4, D.Lgs. n. 346/1990 (Tus) previsto ai soli fini della determinazione del-l’aliquota progressiva da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Gli eredi di P.M.A., deceduta il (Omissis), propongono quattro motivi di ricorso per

la cassazione della sentenza n. 47/24/10 del 21 aprile 2010, con la quale la commissione tributaria regionale Lombardia ha ritenuto legittimi – in accoglimento degli appelli, riu-niti, proposti dall’agenzia delle entrate – gli avvisi di liquidazione notificati per il paga-mento dell’imposta principale di successione derivante dalle due dichiarazioni da loro presentate. In particolare, la commissione tributaria regionale ha ritenuto che la maggior imposta richiesta dall’amministrazione finanziaria fosse effettivamente dovuta, in ragio-ne della permanente applicabilità alla successione in oggetto dell’istituto del coacervo tra relictum e donatum; così come già previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, e ritenuto applicabile pur dopo l’introduzione della “nuova” imposta di successione di cui alla L. n. 286 del 2006. Ciò con riguardo al valore delle donazioni effettuate dalla P., il 26 giugno 2006, a favore di taluni eredi.

L’agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE p. 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 viola-

zione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47, 48, 50 e 52 conv. c.m. L. n. 286 del 2006 e ss.mm., nonché D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4; per avere la CTR ritenuto legittima la maggiorazione del valore complessivo dei beni devoluti ad alcuni eredi in ragione di un istituto (il cumulo, o coacervo, delle donazioni con i beni

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ereditari) non più applicabile, perché incompatibile con il nuovo regime dell’imposta di successione di cui alla L. n. 286 del 2006, disciplinante la successione in oggetto.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000 art. 3 e del principio di irretroattività delle norme tributarie; posto che, quand’anche si fosse ritenuto applicabile tale istituto, esso non avrebbe potuto riguarda-re, in forza appunto del principio di irretroattività, donazioni effettuate, come nel caso di specie, prima dell’entrata in vigore della L. n. 286 del 2006 e, segnatamente, nel periodo (2001/2006) nel quale l’imposta sulle donazioni era stata soppressa. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 36. Per avere la commissione tributaria regionale ravvisato la solidarietà passiva in capo agli ere-di per la maggiore imposta accertata, nonostante che la nuova imposta sulle successioni fosse applicata sul valore della quota spettante al singolo erede in ragione del rapporto di parentela, e non sul valore globale dell’asse ereditario; con conseguente venir meno, per incompatibilità, della solidarietà passiva.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nullità della sentenza per mancata esposizione dei motivi di diritto posti a fondamento della decisione, ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4); per non avere la commissione tributaria re-gionale argomentato – se non in maniera generica, apodittica ed apparente – sulle ragio-ni che deponevano a fondamento della soluzione giuridica prescelta.

p. 2. Quest’ultimo motivo, di natura preliminare perché involgente un’ipotesi di radi-cale nullità della sentenza per violazione di norma procedurale, è infondato.

Va infatti considerato che la sentenza qui impugnata ha individuato in maniera chiara ed univoca le ragioni giuridiche del convincimento di applicabilità, anche alla successio-ne in oggetto, dell’istituto del “coacervo” tra relitto e donato. Ciò è stato fatto in maniera sintetica e concisa, ma senza con ciò ingenerare dubbi di sorta sulla esatta individuazione (della quale i ricorrenti hanno del resto mostrato, nella formulazione degli altri motivi di ricorso, di aver avuto piena ed esauriente contezza) del percorso interpretativo recepito dal giudice regionale con riguardo alla successione di leggi nel tempo e, segnatamente, alla affermata relazione di compatibilità tra tale istituto e le caratteristiche fondamentali della nuova disciplina dell’imposta di successione di cui alla L. n. 286 del 2006.

Ciò va ribadito anche con riguardo alle ulteriori e specifiche problematiche della di-sciplina applicabile alle donazioni antecedenti all’apertura della successione in questio-ne, e della solidarietà passiva tra i coeredi.

p. 3. È invece fondato – con effetto assorbente della seconda e terza censura – il pri-mo motivo di ricorso. L’istituto del “coacervo” era previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, secondo cui: “Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai le-gatari (...); il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o lega-tario. (...)”. Questa previsione doveva però – già prima della reintroduzione dell’imposta di registro con il D.L. n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006, applicabile alla succes-

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sione in esame ritenersi superata e svuotata di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità; ciò in ragione del fatto che il cumulo delle donazioni era espressamente li-mitato “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7”; va-le a dire, delle aliquote progressive di cui alla tariffa allegata al D.Lgs. n. 346 del 1990. Il sistema impositivo mediante aliquote progressive era tuttavia già venuto meno, ben pri-ma dell’apertura della successione in oggetto, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 69, com-ma 1, lett. c) (recante aliquote fisse in ragione del grado di parentela).

Non mancano plurimi e convergenti precedenti giurisprudenziali di legittimità (Cass. nn. 29739/08; 5972/07; 8489/97) secondo cui la previsione di cui al citato D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4, – prescrivente il coacervo del donatum con il relic-tum – non era finalizzato a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (og-getto di autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire una forma di “riunione fittizia” nella massa ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell’aliquota da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti. Il sistema della “riunione fittizia”, in altri termini, operava in funzione chiaramente antielusiva, così da evitare che il compendio ere-ditario venisse sottratto all’imposizione progressiva mediante preordinate donazioni in vita da parte del de cujus.

Ora, fermo restando che – come poc’anzi evidenziato – il “cumulo” non sortiva effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinativo dell’aliquota progressiva, si ri-tiene logica e coerente conseguenza che, eliminata quest’ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell’asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo. Né, una volta differenziate le aliquote di legge sulla base del criterio primario non dell’ammontare crescente del compendio ere-ditario ma del rapporto di parentela, poteva residuare alcuna ratio antielusiva.

In tale situazione normativa sono poi sopravvenute la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni (1.383/01) e la sua re-istituzione (D.L. n. 262 del 2006 conv. in L. n. 286 del 2006). Disciplina, quest’ultima, che ha anche formalmente eliminato, abro-gandola espressamente nell’art. 2, comma 52, la norma (D.Lgs. n.– 346 del 1990, art. 7, commi da 1 a 2 quater) che costituiva, come detto, il riferimento e presupposto impre-scindibile del citato art. 8, comma 4.

È vero che la disciplina qui applicabile (L. n. 286 del 2006, art. 2, comma 50) richia-ma, “per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54” le disposizioni del D.Lgs. n. 346 del 1990 “in quanto compatibili”, ma le ragioni di incompatibilità del cu-mulo ex art. 8 cit. permangono e trovano conferma anche alla luce della disciplina della reintrodotta imposta di successione; applicata anch’essa secondo aliquote fisse sul valore complessivo dei beni devoluti a ciascun erede o legatario in ragione del rapporto di pa-rentela.

Né può ritenersi che il cumulo ex art. 8 cit. sia tuttora vigente al residuale fine di indi-viduare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta.

Da un lato, la lettera e la ratio dell’art. 8, comma 4 erano inequivoche nel limitare la rilevanza del cumulo “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”, e non altrimenti (così come ritenuto anche dalla citata giurisprudenza di legittimità); dall’al-

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tro, la L. n. 286 del 2006 ha rimodulato il regime di franchigia sull’imposta di successio-ne e sulle donazioni (art. 2, comma 49), anche mediante abrogazione (comma 50 cit.) della disposizione (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, comma 2 quater come introdotto dalla L. n. 342 del 2000, art. 69) che precludeva la fruizione della franchigia sulla prima impo-sta qualora già fatta valere, e fino alla concorrenza del valore di fruizione, sulla seconda.

Dal che si evince ulteriore e definitivo elemento di incompatibilità del cumulo posto a base della maggiore imposta di cui agli avvisi di liquidazione in oggetto.

La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la

decisione nel merito ex art. 384 c.p.c. mediante accoglimento dei ricorsi introduttivi dei contribuenti.

Le spese di legittimità e merito vengono compensate, in ragione della relativa novità della specifica questione interpretativa.

P.Q.M.

LA CORTE – rigetta il quarto motivo di ricorso; – accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo e del terzo; – cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi dei contribuenti; – compensa le spese di legittimità e merito. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 24 novembre 2016. Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2016.

Ha ancora un senso il “coacervo” delle donazioni? La difficile conciliazione di dati testuali ed esigenze sistematiche

Is there still a reason for the cumulus between donatum and relictum? The difficult conciliation between the written rules and systematic needs

Abstract La Corte di Cassazione avalla una interpretazione testuale del dato normativo giungendo ad affermare l’abrogazione tacita dell’istituto del coacervo tra dona-tum e relictum. Nel presente contributo si evidenzia come l’esegesi testuale porti

Cass., sez. trib., 24 novembre 2016-16 dicembre 2016, n. 26050 235

tendenzialmente a risultati contraddittori, al limite della discriminazione irragio-nevole. Parole chiave: imposta sulle successioni e donazioni, coacervo, interpretazione te-stuale, interpretazione sistematica, discriminazione The Supreme Court endorses a textual interpretation of relevant rules, reaching the re-sult of silent abrogation of the mechanism of cumulus between donatum and relictum. This paper shows how a textual interpretation inevitably leads to contradictory results, almost discriminatory. Keywords: inheritance and donation taxes, cumulus, textual interpretation, systematic interpretation, discrimination

Nella sentenza annotata 1 la Cassazione assume a fondamento della sua decisione un’affermazione di principio in sé non condivisibile, ma adduce anche un argomento testuale fondato, dedotto però da modifica legislativa di cui non risultano chiare le ragioni sistematiche.

L’affermazione di principio muove dal, condivisibile, rilievo che il c. d. “coacer-vo” delle donazioni non comportava una rideterminazione della base imponibile sul cui importo (maggiorato del valore delle donazioni) applicare l’aliquota, ma era originariamente funzionale alla determinazione dell’aliquota applicabile, per trarne la logica e coerente conseguenza che, eliminata la progressività dell’aliquota, sin dal 2000 fissata in misura proporzionale, «non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo».

Peraltro la Corte riconosce al “coacervo” natura “antielusiva” (perché rivolto a contrastare la sottrazione del compendio ereditario all’imposizione progressiva «me-diante preordinate donazioni in vita da parte del de cuius»). Quest’ultima afferma-zione risulta però erronea, in quanto il “coacervo” costituisce una tecnica per l’appli-cazione, in via ordinaria e generale, della progressività, sul presupposto, da sempre accolto dal legislatore tributario, che le liberalità in vita sono mere “anticipazioni” dell’attribuzione successoria, nell’ottica dell’unitario tributo sulle attribuzioni libera-li. Insomma, non si tratta di norma antielusiva, ma di un ordinario criterio applicati-vo, operante a prescindere da qualsiasi presunto intento elusivo.

1 E su cui si vedano i commenti di DENORA, Imposta sulle successioni: il coacervo del donatum con il relictum non serve più?, in Riv. dir. trib., supplemento online dell’11 gennaio 2017 e in Giur. imp., n. 1, 2017; MASTROIACOVO, La Cassazione sancisce l’abrogazione tacita del coacervo del donatum con il relic-tum, in Riv. dir. trib., 2017, II, p. 87 ss.; GHINASSI, Tacitamente abrogato il coacervo delle donazioni fatte in vita, in Corriere trib., 2017, 613 ss.; PURI, Riflessioni sulla sopravvivenza del coacervo, in Notariato, 2017, 77; si veda anche Cass., sez. trib., 11 maggio 2017, n. 11677, che conferma la rilevanza del “coa-cervo” per la determinazione dell’imposta dovuta sulle donazioni.

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Risulta evidente, quindi, che l’affermazione su riportata contiene un’eccessiva ge-neralizzazione. La progressività del tributo non si ottiene esclusivamente mediante la previsione di aliquote progressive: si può realizzare una moderata progressività di-sponendo un abbattimento alla base, anche se combinato con un’aliquota propor-zionale. La “franchigia” è appunto un abbattimento alla base, quindi l’imposta sulle successioni e donazioni mantiene ancor oggi la caratteristica di “imposizione progres-siva”, almeno quando opera la franchigia stessa. Non è dunque congruente l’afferma-zione che, adottata l’“aliquota fissa”, il coacervo non ha più ragion d’essere.

D’altronde, che il coacervo sia funzionale e coerente con la residua disciplina an-che dopo l’introduzione dell’aliquota proporzionale risulta chiaramente, a livello te-stuale, dall’art. 57, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990 (originariamente analogo all’art. 8, comma 4), nel quale l’art. 69, comma 1, lett. q), L. n. 342/2000 ha soppresso proprio l’inciso «ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 56», lasciando inalterata la previsione del “coacervo” delle donazioni anteriori, oggi non collegato formalmente all’aliquota ed alla sua natura.

Pertinente risulta, invece, il rilievo che la disposizione, introdotta con la medesi-ma L. n. 342/2000 (art. 69, comma 1, lett. c), contenente un espresso diniego della franchigia per la parte già “usufruita” per le donazioni, è stata “abrogata” dall’art. 2, comma 52, D.L. n. 262/2006, nel testo (totalmente) modificato dalla legge di con-versione n. 286/2006. Tuttavia la ratio di tale “abrogazione” non è chiara (e non può certo aiutarci una considerazione in termini sistematici delle disposizioni in materia di imposta sulle successioni e donazioni introdotte con quella legge, per questa parte caratterizzata, parrebbe, da scelte irrazionali ed incongrue).

In un tentativo di razionalizzazione si potrebbe ipotizzare che, in sede di conver-sione del decreto legge del 2006, si sia delineata l’idea di distinguere l’imposta sulle successioni da quella sulle donazioni rendendo la determinazione della prima del tutto indipendente e non influenzata dall’applicazione della seconda; conseguentemente, la franchigia nel calcolo dell’imposta sulle successioni per causa di morte (ed eventi equiparati) spetterebbe per intero anche se eredi e successori hanno già usufruito della franchigia stessa nella determinazione delle imposte dovute su donazioni in lo-ro favore effettuate in vita dal de cuius. Questa, peraltro, parrebbe proprio la prospet-tiva in cui si è posta la Cassazione nella sentenza che qui si annota, nella quale si con-traddice dunque la risalente concezione delle donazioni come anticipazioni succes-sorie, ragione prima e fondamento dell’unificazione della disciplina fiscale di tutti gli incrementi patrimoniali, per liberalità tra vivi o per successione a causa di morte, at-tuata con la riforma degli anni 1971-1972. L’indirizzo interpretativo adottato dalla Corte porterebbe, non solo a ritenere che “non vi sia più spazio” per l’obbligo di in-dicare, nella denunzia di successione, gli estremi delle donazioni fatte dal defunto agli eredi e legatari e per la relativa sanzione (artt. 29, comma 1, lett. f), e 51, comma 3, D.Lgs. n. 346/1990; si veda anche il nuovo modello di dichiarazione di recente approvato), ma anche a negare la possibilità stessa di qualificare come “vantaggio in-

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debito” ex art. 12 bis, L. n. 212/2000 la fruizione dell’intera franchigia, sia nella de-terminazione dell’imposta dovuta sulla donazione (magari in articulo mortis) che nel calcolo di quella dovuta sulla successione.

Suscita tuttavia perplessità la circostanza che, nel testo originario del D.L. n. 262/2006, in cui si assoggettavano ad imposta di registro tutti i «trasferimenti di immobili o diritti reali immobiliari, azioni, obbligazioni, altri titoli o quote sociali» per atti a titolo gratuito o per successione a causa di morte, quindi, data l’autonoma rile-vanza di ciascun fatto imponibile, ben si poteva optare per l’irrilevanza delle prece-denti liberalità, si disponeva invece, espressamente, doversi tener conto, ai fini del-l’applicazione dei (limitati) abbattimenti alla base ivi previsti, delle precedenti attri-buzioni liberali (art. 6, comma 4 e 5).

D’altra parte, l’effettivo “intento” del legislatore del 2006 risulta di difficile indivi-duazione nell’intero contesto degli interventi sulla disciplina dell’imposta sulle suc-cessioni e donazioni. Ma anche dalle modifiche in precedenza apportate al Testo Unico del 1990 e poi non abrogate risulta difficile desumere significati utili per una ricostruzione sistematica. Come è noto, le aliquote progressive dell’imposta sulle suc-cessioni e donazioni furono sostituite da aliquote proporzionali con L. 21 novembre 2000, n. 342 (art. 69, comma 1, lett. c); con la stessa legge, che non ha soppresso, nell’art. 8, comma 4, T.U., l’inciso «ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili ai sensi dell’art. 7», fu inserito (sempre dall’art. 69, comma 1, lett. c) il com-ma 2 quater dell’art. 7 T.U., così formulato «Le disposizioni di cui ai commi 2 e 2 bis» (relativi alle franchigie nel calcolo dell’imposta sulle successioni) «non si applicano qualora il beneficiario si sia avvalso delle previsioni dell’art. 56» (relativo alle fran-chigie nel calcolo dell’imposta sulle donazioni) «nei limiti di valore di cui abbia usu-fruito» (come si è visto, questa disposizione fu poi abrogata nel 2006). Sembrerebbe, allora, che il legislatore abbia, all’epoca, considerato irrilevante l’intero comma 4 del-l’art. 8, disciplinando espressamente, con il comma 2 quater dell’art. 7, l’“imputazione” alla franchigia sulle successioni di quella già “usufruita” sulle donazioni. Ed è appunto sull’irrilevanza dell’art. 8, comma 4, e sull’abrogazione dell’art. 7, comma 2 quater che si fonda il ragionamento della Cassazione. Ma se prendiamo in considerazione l’art. 57, comma 1, del medesimo T.U., che disciplina, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, il “coacervo” delle precedenti donazioni dallo stesso donante al mede-simo donatario, vediamo che la L. n. 342/2000: ha soppresso, nell’art. 57, comma 1, l’inciso «ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 56», del tutto analogo a quello mantenuto invece in vita nel comma 4 dell’art. 8; ha lasciato inalterato il secondo periodo del medesimo comma 1 dell’art. 57, così formu-lato: «Agli stessi fini» (che sono però i fini espunti dal primo periodo) «il valore glo-bale netto di tutti i beni e diritti complessivamente donati è maggiorato di un importo pari al valore complessivo di tutte le donazioni anteriormente fatte ai donatari e il valo-re delle quote spettanti o dei beni e diritti attribuiti a ciascuno di essi è maggiorato di un importo pari al valore delle donazioni anteriormente fatte al donatario».

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Dunque il testo del primo comma dell’art. 57 T.U., non più modificato dopo l’in-tervento di cui alla L. n. 342/2000, induce a conclusioni opposte a quelle a cui è per-venuta la Cassazione riferendosi esclusivamente agli artt. 7 ed 8 ed agli interventi le-gislativi del 2006, induce cioè a ritenere che la disciplina del “coacervo” non è irrilevan-te dopo l’introduzione delle aliquote proporzionali (anzi di tale circostanza si da im-plicitamente atto sopprimendo il richiamo alla disciplina delle aliquote) ed è esplici-tamente riferita alla determinazione delle “franchigie”. Si noti, peraltro, che questa disciplina delle franchigie era espressamente richiamata nell’art. 14, comma 1, L. n. 383/2001 per applicarla alle donazioni e liberalità fra vivi a favore di soggetti diversi dal coniuge e dai parenti in linea retta o, altrimenti, fino al quarto grado, assoggettate a registro, ma con una franchigia, ai sensi dell’art. 13 della stessa L. n. 383/2001.

In questa prospettiva, il coacervo ha ben ragione di essere e di operare proprio con riguardo alla determinazione degli abbattimenti alla base e l’abrogazione del com-ma 2 quater dell’art. 7 non è più decisiva, stante la vigenza della disposizione sul coa-cervo, appunto, che consente la “neutralizzazione” dell’abbattimento già goduto.

Per converso, nella prospettiva cui si rivolge la motivazione della sentenza anno-tata, la negazione dell’operatività del coacervo, perché inconcepibile una volta sop-presse le aliquote progressive, non può non riflettersi sull’efficacia del disposto del-l’art. 57 T.U., mettendo in discussione, anche per le donazioni, la visione unitaria delle attribuzioni liberali dallo stesso disponente al medesimo beneficiario, con la conseguenza che già si affaccia l’ipotesi della spettanza dell’intero abbattimento per ogni donazione (neanche lo “spezzatino” sarebbe “abusivo” se cadesse la ratio della considerazione unitaria).

Il caso in esame pone in evidenza i gravi problemi di “tenuta sistematica” di un istituto che oggi risulta da un dettato normativo originariamente unitario e coerente espressione di scelte sistematiche complessive, ma gravemente pregiudicato, proprio nell’intrinseca coerenza, da ripetuti interventi, tecnicamente parziali, ma espressione ciascuno di una diversa “visione” del tributo. In questo contesto, l’esegesi testuale por-ta tendenzialmente a risultati contraddittori, al limite della discriminazione irragio-nevole, i criteri sistematici scontano la necessità di scelte valoriali, non sempre age-volate dalla stratificazione degli interventi legislativi.

Personalmente, mantenendo una concezione unitaria del tributo sugli incrementi patrimoniali gratuiti, riterrei, questa volta, preferibile la “dottrina del fisco”, che, ai fini del calcolo delle franchigie, riduce ad unità tutte le attribuzioni liberali o succes-sorie provenienti al contribuente da un dato soggetto. Le considerazioni che precedo-no evidenziano la frammentazione e le carenze testuali, cui dovrebbe porre rimedio il legislatore; in mancanza, il compito dell’interprete si fa difficile e gli esiti cui per-viene restano aleatori.

Andrea Fedele

Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586 239

Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586 – Pres. Bielli, Rel. Olivieri

IVA – Operazioni intracomunitarie – Regolare fatturazione – Inversione contabile – Mancata registrazione di fatture passive – Violazioni formali – Irrilevanza – Diritto di detrazione IVA – Ammissibilità – Rispetto degli obblighi sostanziali – Neutrali-tà fiscale e principio di proporzionalità

Nell’ambito di operazioni intracomunitarie per beni o servizi resi da parte di soggetti non residenti, che abbiano emesso regolari fatture consegnate al cessionario/committente italiano, l’omessa annotazione di tali fatture nei registri IVA degli acquisti e delle vendite, in attuazione del principio di neutralità fiscale, non determina la perdita del diritto alla de-trazione. Devono, però, essere soddisfatte le condizioni sostanziali di esigibilità dell’impo-sta dovuta dal cessionario/committente e della destinazione dei beni e servizi ad operazio-ni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita all’Amministrazione finan-ziaria in sede di verifica.

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(...) Con avviso di accertamento in rettifica notificato ad ABACUS S.p.A., a seguito di verifica definita con PVC n. 178/2002 regolarmente notificato, veniva contestata la maggiore imposta dovuta a titolo IVA per l’anno 1998 in conseguenza di operazioni intracomunitarie (prestazioni di servizi e di consulenza) fatturate dai soggetti residenti negli altri Stati membri ma non annotate dalla società nel registro Iva, nonché per in-debita detrazione per l’intero – anziché nella misura del 50% consentita dalla legge – della imposta versata sugli importi delle “bollette” relative all’utilizzo di telefoni cellu-lari. Con lo stesso atto venivano irrogate le sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 5 e 6.

La Commissione provinciale, decidendo sul ricorso della contribuente, che aveva impugnato l’avviso limitatamente al primo rilievo fiscale (omessa registrazione delle fatture ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3), dichiarava illegittima la pretesa tributaria relativa alle operazioni intracomunitarie, confermando per il resto l’atto impositivo.

La decisione della CTP, impugnata in grado di appello dall’Ufficio finanziario, veniva confermata dalla Commissione tributaria della regione Lombardia, con sentenza in data 17.2.2006 n. 14, che riteneva infondata – in quanto in contrasto con la giurisprudenza di merito e di legittimità e con la dottrina – la tesi dell’Ufficio appellante secondo cui l’im-

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posta a debito, anche in caso di regolare autofatturazione, sarebbe stata comunque do-vuta, rilevando che, nel caso di specie, la mancata annotazione delle fatture nei registri contabili integrava una infrazione meramente formale atteso che l’imposta a debito risul-tava equivalente all’imposta a credito, con la conseguenza che la pretesa dell’Ufficio do-veva essere dichiarata illegittima, tanto in relazione alla maggiore Iva, quanto alla sanzio-ne pecuniaria che non poteva essere irrogata stante il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione, af-fidato a due mezzi, la Agenzia delle Entrate, al quale ha resistito con controricorso la at-tuale società contribuente TNS Infratest s.p.a.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo con il quale la Agenzia fiscale deduce la violazione e falsa applica-

zione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16, comma 3, artt. 19 e ss., artt. 25 e 27, e dell’art. 1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondato.

1.1. La Agenzia ricorrente a sostegno del motivo fornisce una interpretazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3 del tutto avulsa dal contesto normativo di rife-rimento ed incompatibile con la interpretazione vincolante – per gli Stati membri – for-nita dalla giurisprudenza comunitaria.

1.2. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3 – nel testo vigente ratione temporis – pone una deroga alla soggettività passiva dell’imposta (riconosciuta dal comma 1 “ai sog-getti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili) nel caso di ope-razioni imponibili effettuate nel territorio dello Stato italiano da soggetti cedenti o presta-tori non residenti, e privi di una stabile organizzazione ovvero di un rappresentante fiscale autorizzato, rispettivamente, aventi sede o residenza nello Stato in cui è trasferito il bene od eseguita la prestazione”.

Verificandosi tale situazione in ipotesi di “operazione intracomunitaria”, l’ordina-rio sistema degli obblighi di contabilizzazione della imposta armonizzata non può operare in quanto (nella vigenza della “temporanea” disciplina transitoria degli scambi tra soggetti residenti in diversi Paesi membri di cui al D.L. n. 331 del 1993 conv. in L. n. 427 del 1993 – nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18), occorre distinguere la ipotesi in cui il cedente/ prestatore rimane sogget-to passivo (e quindi è tenuto a versare l’Iva applicata) nel Paese in cui risiede, ove la operazione sia effettuata nei confronti di un cessionario/committente “non soggetto passivo Iva” (id est nei confronti di un consumatore finale), dalla ipotesi in cui, invece, il cessionario/committente sia un soggetto passivo Iva: in quest’ultimo caso la disci-plina transitoria prevede un meccanismo che sottrae al versamento della imposta il ce-dente/prestatore, ove sia comprovato l’effettivo materiale trasferimento del be-ne/prestazione dal territorio dello Stato membro di origine a quello dello Stato mem-bro destinatario, venendo ad essere assoggettata ad imposta la operazione, in tal caso, nello Stato membro del cessionario/committente che, pertanto, acquista la qualità di

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soggetto passivo tenuto a versare l’Iva – applicando l’aliquota vigente nel proprio Pae-se – allo Stato membro in cui risiede.

A tale modificazione soggettiva, ex latere debitoris, nel rapporto tributario con il Fi-sco, corrisponde inevitabilmente una “inversione” degli obblighi di fatturazione e regi-strazione che vengono a gravare, appunto in virtù del predetto comma 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, sull’acquirente del bene od utilizzatore dei servizi (“gli obblighi re-lativi alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti residenti all’estero ... devono essere adempiuti dai cessionari o committenti che acquistino i beni od utilizzino i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professione”) il quale è tenuto, pertanto, ad integrare la fattura ricevuta (D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 1) o ad emettere (auto)fattura (D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 5) ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, e ad annotarla nel registro Iva ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, “come se fosse” il cedente/prestatore (D.L. n. 331 del 1993, art. 47, comma 1).

Venendo ad operare soltanto figurativamente, nel caso di specie, l’istituto dell’adde-bito della imposta a titolo di rivalsa D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 18, identificandosi nel medesimo soggetto la qualità di cedente/prestatore e di cessionario/committente, ed es-sendo, quindi, l’acquirente/utilizzatore, al tempo stesso, tenuto a versare all’Erario l’Iva liquidata in (auto)fattura – in qualità di soggetto passivo – e legittimato ad esercitare il diritto alla detrazione della imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 – in qualità di ac-quirente di beni o servizi nell’esercizio della impresa, arte o professione –, previa annota-zione della (auto)fattura anche nel registro degli acquisti D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 (D.L. n. 331 del 1993, art. 47, comma 1), si verifica, evidentemente, nella ipotesi con-siderata, una emersione meramente contabile della operazione intracomunitaria, senza alcun gettito fiscale, atteso che la iscrizione nei registri IVA della medesima imposta liqui-data nella fattura, sia “a debito” che “a credito”, determina una automatica compensa-zione tra l’Iva dovuta – in conseguenza della inversione della soggettività passiva – dal cessionario/committente e quella dallo stesso portata in detrazione, in tal modo realiz-zandosi il principio di neutralità fiscale nelle operazioni intracomunitarie effettuate tra soggetti passivi d’imposta.

1.3. Tanto premesso e dovendo aggiungersi soltanto che la “ratio legis” del complesso meccanismo fiscale-contabile, realizzato dalla disciplina temporanea degli scambi intra-comunitari, deve essere ravvisata nella esigenza di prevenire frodi fiscali che, in quanto realizzate da soggetti residenti in Paesi diversi, possono presentare notevoli difficoltà di accertamento e di efficace contrasto da parte della autorità di ciascuno Stato membro, la questione di diritto che viene sottoposta a questa Corte si riduce alla verifica delle con-seguenze giuridiche della inosservanza da parte del cessionario/committente degli ob-blighi di fatturazione e registrazione, sostenendo la Agenzia fiscale che la irrogazione di sanzioni pecuniarie per la violazione di tali obblighi non esaurirebbe le pretese erariali derivanti dal rapporto tributario, in quanto la violazione, apparentemente solo formale, rifluirebbe invece sulla struttura sostanziale della obbligazione tributaria sotto il duplice profilo: a) della sottrazione all’imposta dell’importo relativo alla operazione intracomu-

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nitaria per cui non è stata emessa (auto)fattura, con conseguente evasione IVA; b) della insussistenza – in caso di omessa fatturazione e/o registrazione della operazione intra-comunitaria – del diritto a portare in detrazione la imposta.

1.4. Premesso che l’Agenzia fiscale sembra confondere le diverse operazioni che at-tengono alla (auto)fatturazione ed alla annotazione della fattura nei registri obbligatori, tenuto conto che, a quanto emerge dalla sentenza di appello, la contestazione formulata con l’avviso di rettifica concerneva esclusivamente la “mancata annotazione” nei registri degli acquisti e delle vendite di 91 fatture passive (dunque regolarmente emesse) che la società committente aveva ricevuto da soggetti comunitari per prestazioni di ricerche di mercato e di altri servizi da quelli fornite (sent. CTR pag. 2 e 3), la questione controver-sa sembra piuttosto doversi circoscrivere al fatto se la omessa annotazione a debito ed a credito degli importi indicati nelle predette 91 fatture (puntualmente esaminate dai ver-balizzanti, come emerge dagli stralci del PVC n. 178/2002 riportati nella sentenza di ap-pello) determini l’obbligo di versamento della relativa imposta, ovvero se, invece, anche in presenza di tale violazione, operi egualmente il principio di neutralità fiscale mediante il meccanismo di automatica compensazione della imposta a debito ed a credito non trovando applicazione le sanzioni pecuniarie.

1.5. La tesi secondo cui la violazione predetta determina “la perdita del diritto” (alla compensazione, ovvero alla contestuale detrazione dell’Iva a credito), non trova riscon-tro in alcun referente normativo specifico comunitario o nazionale, dovendo per contro tenersi conto che l’intero sistema normativo del tributo armonizzato (al tempo regolato dalla Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977) è fondato sul princi-pio di neutralità della imposta (volto a traslare l’onere economico del tributo sul consu-matore finale), e che tale principio è stato costantemente interpretato in senso sostanzia-le (e non meramente formale) dalla giurisprudenza comunitaria.

1.6. Con specifico riferimento al diritto alla detrazione Iva l’art. 21 paragr. 1 lett. c) della Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977, applicabile “ratione tem-poris” (secondo cui è soggetto passivo d’imposta colui che “indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in altro documento che ne fa le veci”) la sentenza della Corte di giustizia in data 13.12.1989 in causa C-342/87, Genius Holding BV, interpretando l’art. 21 paragr. 1, lett. c) della VI direttiva (che qualifica soggetto passivo d’imposta colui che “indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in altro documento che ne fa le ve-ci”), ha definitivamente chiarito, infatti, che il diritto alla detrazione implica indefetti-bilmente la effettiva debenza della imposta indicata in fattura, non essendo pertanto suf-ficiente a consentire l’esercizio del diritto alla detrazione la mera indicazione in fattura della imposta qualora questa “non corrisponda ad un’operazione determinata, perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA”.

La giurisprudenza comunitaria ha precisato inoltre che, in difetto di una specifica di-sciplina dettata dalla Sesta direttiva, spetta agli Stati membri adottare, nei rispettivi ordi-namenti interni, le norme idonee a consentire la rettifica e correzione di eventuali errori formali o materiali, mediante misure idonee a realizzare il principio della neutralità del-

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l’IVA (consentendo il recupero della imposta erroneamente indicata in fattura, ed inde-bitamente versata al Fisco dal soggetto passivo ovvero non potuta portare in detrazione dal soggetto che l’aveva versata in rivalsa) e che, comunque, garantiscano la Comunità dal rischio di perdita del gettito fiscale determinato da condotte fraudolente (cfr. Corte giustizia sentenza 19.9.2000 in causa C-454/98, Schmeink & amp; Cofreth AG e Man-fred Strobel, punti 47-49), dovendo tali misure – laddove impongano l’adempimento di specifici oneri probatori e formali – non eccedere rispetto a quanto è necessario al perse-guimento di tale scopo (principio di proporzionalità) e realizzare un bilanciamento dei contrapposti interessi dei singoli operatori e della Comunità (cfr. Corte giustizia sentenza 21.3.2000, in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa, punto 52), tenendo fermo che il recupero della imposta indebita è subordinato alla verifica della buona fede del contribuente, salvo che questi abbia eliminato in modo oggettivo ogni potenzialità dan-nosa per l’Erario determinata dalla erronea fatturazione della imposta (cfr. Corte giusti-zia 19.9.2000, in causa C-454/98 Schmeink & amp; Cofreth AG e Manfred Strobel, punti 58-61 e 70; Corte giustizia sentenza in data 11.4.2013, C-138/12, Rusedespred OOD, punti 23-30).

1.7. Tali principi sono stati ulteriormente puntualizzati nelle sentenze del Giudice Europeo in data 8.5.2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a. (con rife-rimento alla disciplina della Sesta direttiva 77/388 del 17.5.1977 e succ. mod. ed in particolare al sistema della inversione contabile previsto per gli acquisti intracomuni-tarì dall’art. 21 paragr. 1 lett. a) e b) nel testo integrato dall’art. 28 octies, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3 e D.L. n. 331 del 1993, art. 47, n. 1)), in data 21.10.2010, causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV ed in data 12.7.2012, causa C-284/11, EMS Bulgaria Transport OOD (queste ultime con riferimento alla ordinaria disciplina della detrazione IVA contenuta negli artt. 167, 168 e 178 della di-rettiva 2006/112).

Per quanto concerne in particolare la inosservanza di taluni obblighi aggiuntivi ed altre irregolarità contabili relative alle formalità di esercizio del diritto a detrazione de-terminate dagli Stati membri (a ciò autorizzati dall’art. 18, n. 1, art. 22, nn. 2 e 4, art. 28 septies, n. 2 e art. 28 nonies n. 7 e 8 – relativi agli scambi intracomunitari – Sesta Di-rettiva, dagli artt. 214 e 273 dirett. 2006/112), la predetta giurisprudenza è ferma nel principio che:

– il diritto alla detrazione IVA in quanto modalità di attuazione del principio di neu-tralità fiscale è da porre a fondamento del sistema del tributo armonizzato e non può pertanto trovare di norma alcun limite (cfr. Corte giustizia sentenze: in data 18.12.1997, cause riunite C-286/94, C-340 e 401/95, C-47/96, Molenheide; in data 21.3.2000, in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa; in data 1.4.2004, causa C-90/02, Bocke-muhl; in data 8.5.2008, Ecotrade cit.; in data 16.2.2012, causa C-118/11, EON Aset Me-nidjmunt; in data 12.7.2012, EMS, cit.); il presupposto costitutivo del diritto alla detra-zione deve individuarsi esclusivamente nella duplice condizione: a) che la obbligazione in rivalsa, avente ad oggetto la imposta detraibile, sia stata adempiuta dal soggetto passivo ovvero sia divenuta esigibile (art. 17, paragr. 1, VI dirett.; art. 167, dirett. n. 2006/112); b)

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che il soggetto passivo abbia destinato i beni e servizi acquistati/utilizzati per i quali è tenuto in rivalsa al pagamento della imposta, “ai fini di sue operazioni soggette ad impo-sta” (art. 17, paragr. 2, VI dirett.; art. 168, paragr. 1, dirett. n. 2006/112): le altre formali-tà che caratterizzano le modalità di esercizio del diritto rimangono estranee alla fattispe-cie costitutiva del diritto a detrazione, configurando meri “obblighi formali a fini di con-trollo” la cui violazione non autorizza affatto gli Stati membri “a precludere al soggetto passivo l’esercizio di tale diritto” (cfr. Corte giustizia 21.10.2010, causa C-385/09, Nide-ra, cit. – con riferimento alla violazione dell’obbligo, di cui all’art. 213 dirett. 2006/112, di dichiarare preventivamente, per la registrazione ai fini IVA, l’inizio dell’attività eco-nomica).

Il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige pertanto il riconoscimento al soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’Iva a monte, tutte le volte che siano ri-spettate le condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi (cfr. Corte giustizia 8.5.2008, Ecotrade, cit., punto 63, con riferimento all’inadempimento degli ob-blighi formali della autofatturazione della doppia annotazione nei registri acquisti e ven-dite, previsti dall’art. 18, n. 1 e art. 22, n. 7 ed 8 – nella versione ex art. 28 septies e art. 28 nonies – 6 dirett. e dal D.L. n. 331 del 1993, art. 47, comma 1 in attuazione del sistema della “inversione contabile” previsto per gli acquisti intracomunitari; id. 21.10.2010, Ni-dera, punti 47-51 cit.; id. 12.7.2012, EMS, cit., punto 71): l’adempimento degli obblighi formali, pertanto, assume rilevanza ai fini dell’accertamento del diritto a detrazione sol-tanto nelle misura in cui risulti necessario a fornire alla Amministrazione finanziaria le “informazioni indispensabili a consentirle in linea di principio di verificare se i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, circostanza che comunque spetta al giudice nazionale accertare” (cfr. Corte giustizia sentenza 12.7.2012, EMS, cit. punto 72 – in cui si specifi-ca che tale situazione si verifica nel caso in cui la “cessione intracomunitaria non è stata dissimulata e le informazioni relative ad essa sono reperibili nella contabilità del soggetto passivo”; id. sentenza 8.5.2008 Ecotrade, cit., punto 64 – le informazioni indispensabili relative alla operazione intracomunitaria, erano ritracciabili, nel caso di specie, 1-nelle fatture passive emesse dai soggetti prestatori di servizi residenti in altro Paese membro, 2-nel registro Iva degli acquisti, ove tali fatture erano state annotate, erroneamente, in esenzione d’imposta, non essendo state invece, come dovuto, annotate anche nel regi-stro Iva degli acquisti, con conseguente omessa indicazione nella dichiarazione fiscale annuale dell’ammontare della relativa imposta).

1.8. Parallelamente alle decisioni del Giudice di Lussemburgo viene a collocarsi la giurisprudenza di questa Corte laddove, premesso che il diritto alla detrazione si pone rispetto al diritto al rimborso della eccedenza d’imposta come mera modalità alternativa di attuazione del principio di neutralità dell’IVA, è stato ripetutamente affermato che inadempimenti concernenti obblighi formali posti a carico del soggetto passivo ai fini dell’esercizio dei diritti indicati, non possono determinare la “perdita” del diritto stesso. In conseguenza è stato precisato che la PA non può recuperare il credito che abbia già rimborsato, verificando “ex post” che non era stato indicato dal contribuente nella di-

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chiarazione annuale IVA, qualora tale credito emerga dalle scritture contabili e non ven-gano contestati i fatti costitutivi del diritto (cfr. Corte Cass. n. 22250/2012), e ciò in quanto il diritto al rimborso sorge a favore del soggetto passivo ai sensi della normativa interna e delle norme comunitarie al momento stesso in cui la imposta diviene esigibile, dunque, normalmente al momento della realizzazione della operazione di cessione di beni o prestazione di servizi, e non invece in seguito all’adempimento delle formalità previste per l’esercizio della opzione detrazione/rimborso dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (cfr. Corte Cass. n. 10808/2012).

Più esplicitamente questa Corte ha statuito che “in tema di IVA, l’adempimento degli obblighi di tenuta, registrazione e conservazione delle fatture, con le modalità, le forme e i tempi stabiliti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, pur potendo per eventuali violazioni comportare l’applicazione di sanzioni amministrative, non costituisce ‘con-ditio sine qua non’ per il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta, ove si acquisisca, anche altrimenti, la prova certa dell’avvenuto effettivo versamento di quan-to dovuto, atteso che, ai sensi dell’art. 18, n. 1, lett. d) e art. 22 della direttiva del Con-siglio CEE 77/388, come modificata dalla direttiva CEE 2000/17, e secondo l’inter-pretazione della Corte di Giustizia CE nella sentenza dell’8 maggio 2008, in cause riu-nite C-95/07 e C-96/07, il principio di neutralità fiscale impone il riconoscimento della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto se gli obblighi sostanziali siano stati soddisfatti, anche in caso di inosservanza da parte del soggetto passivo di obblighi formali posti da uno Stato membro” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 28.7.2010 n. 17588 – er-ronea annotazione nel registro degli acquisti di fatture relative ad operazioni intracomu-nitarie indicate erroneamente come “escluse” dalla imposta; id. 5 sez. 5.5.2010 n. 10819 – omessa autofatturazione-; id. 5 sez. 25.11.2011 n. 24912 – emissione dell’autofattura in unica copia; id. 5 sez. 20.3.2013 n. 6925; id. 5 sez. 3.4.2013 nn. 8038 ed 8039 – omessa autofatturazione per prestazioni di servizi di consulenza resi da soggetto non residente).

A tale indirizzo sembra peraltro essersi convertita anche la stessa Agenzia delle Entra-te che, con la risoluzione del 6.3.2009 n. 56, ha rilevato che il diritto alla detrazione deve essere salvaguardato anche nel caso in cui gli “obblighi sostanziali” siano assolti non spontaneamente ma a seguito di controllo, fatta salva l’applicazione delle sanzioni pecu-niarie.

1.9. I dubbi emersi nella giurisprudenza di questa Corte in ordine alla esatta definizione dei requisiti sostanziali del diritto alla detrazione IVA e degli adempimenti meramente formali, hanno dato luogo ad ordinanza di rimessione della questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, che è stata recentemente risolta dalla Corte di giustizia UE con sen-tenza 11.12.2014, in causa C-590/13, Idexx Laboratories Italia s.r.l., che, con riferimento al “regime transitorio di tassazione degli scambi tra Stati membri” contenuto nella Sesta di-rettiva agli artt. 28 septies-28 nonies, che trova applicazione anche nella presente controver-sia, hanno definitivamente chiarito che: “Nell’ambito degli acquisti intracomunitari di beni imponibili, si deve rammentare, in primo luogo, che, per effetto dell’applicazione del regi-me di autoliquidazione istituito dall’art. 21, paragrafo 1, lett. d), della sesta direttiva, non si

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verifica alcun versamento dell’IVA tra il venditore e l’acquirente del bene, ove quest’ultimo è debitore, per l’acquisto effettuato, dell’IVA a monte, potendo al tempo stesso, in linea di principio, detrarre la stessa imposta, cosicché nulla è dovuto all’amministrazione finan-ziaria” (punto 33) “38 ... dal punto 63 della sentenza Ecotrade (EU:C:2008:267) e dalla precedente giurisprudenza della Corte (v., inter alia, sentenze Uszodaepito, C-392/09, EU:C:2010:569, punto 39; Nidera Handelscompagnie, C-385/09, EU:C:2010:627, pun-to 42; EMS-Bulgaria Transport, C-284/11, EU:C:2012:458, punto 62, nonché Fatorie, EU:C:2014:50, punto 35) emerge che, nell’ambito del regime di autoliquidazione, il prin-cipio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi. 39 Diversa può essere la soluzione se la violazione di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei re-quisiti sostanziali (sentenza EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 71 e giuri-sprudenza ivi citata). 40 Conseguentemente, l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo (v., in tal senso, sentenza EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 62 e giurisprudenza ivi citata)”.

La Corte di Lussemburgo, con la medesima sentenza, ha poi statuito (punto 41) che i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione sono esclusivamente quelli previsti dal-l’art. 17 della Sesta direttiva (tali sono: 1) la esigibilità della imposta: ai sensi dell’art. 10 paragr. 2 VI direttiva “Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esi-gibile all’atto della cessione di beni o della prestazione di servizi”; 2) la natura di sogget-to passivo di colui che esercita il diritto; 3) l’impiego dei beni e servizi importati od ac-quistati “a monte” nell’esercizio dell’attività economica, e dunque la effettuazione di operazioni imponibili IVA), concludendo che la inosservanza delle prescrizioni formali dettate dall’art. 18, paragr. 1, lett. d) e dall’art. 22 della 6 direttiva n. 388/1977 e succ. mod., ove non siano tali da determinare l’impossibilità di pervenire aliunde alla prova dei requisiti sostanziali predetti, “non può determinare la perdita del diritto medesimo” (cfr. dispositivo).

1.10. Orbene nel caso di specie non pare dubbio che l’Agenzia fiscale intenda desu-mere la “perdita” del diritto a detrazione (e corrispondentemente la maggiore debenza IVA nel periodo di imposta verificato) sull’assioma – sconfessato dalla giurisprudenza sopra richiamata – secondo cui il mancato adempimento degli obblighi formali (omes-sa annotazione nei registri acquisti e vendite delle 91 fatture passive) verrebbe a deter-minare la insussistenza della fattispecie costitutiva del diritto. La tesi deve essere respin-ta in quanto l’Amministrazione finanziaria, da un lato, trasferisce indebitamente, in as-senza di espressa previsione normativa, sul piano dei presupposti di validità della situa-zione giuridica attiva riconosciuta al contribuente (in base esclusivamente alla duplice condizione indicata al precedente paragr. 1.7, secondo trattino, della presente motiva-zione), elementi formali estrinseci alla fattispecie, in quanto – come ammesso dalla

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stessa Agenzia – previsti esclusivamente al fine di consentire le verifiche da parte del-l’Erario dei vari passaggi del bene o del servizio e di evitare in tal modo “una cesura nel-la serie documentale di ogni passaggio, serie che è costituita appunta dalle fatture di volta in volta emesse” (ricorso pag. 6); dall’altro, prospetta infondatamente una “inter-pretatio abrogans” delle norme prescrittive degli adempimenti predetti, non tenendo conto che tali adempimenti vengono direttamente a rilevare sul piano della prova del diritto alla detrazione, nel senso che il contribuente che non osservi meticolosamente le prescrizioni stabilite dalla normativa dello Stato membro, verrà ad esporsi al rischio di non poter assolvere “aliunde” la prova del tipo di operazione effettuata, laddove difetti-no altri elementi documentali certi dai quali l’Amministrazione verificatrice possa co-munque acquisire quelle “informazioni indispensabili per accertare che i ‘requisiti so-stanziali’ previsti dalle norme comunitarie per l’esercizio del diritto alla detrazione sia-no stati in concreto soddisfatti”.

1.11. Pertanto, rispondendo al quesito formulato in calce al primo motivo, va enun-ciato il seguente principio di diritto:

“nell’ambito di operazioni intracomunitarie per beni o servizi resi da parte di soggetti residenti in altri Paesi membri i quali hanno emesso regolari fatture consegnate al ces-sionario/committente italiano, che – ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. b) della sesta direttiva nella versione risultante dall’art. 28 octies, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 44, comma 1 conv. in L. n. 427 del 1993, applicabile ratione temporis – assume la posizione di soggetto tenuto al pagamento della imposta, la omessa annotazione di tali fatture nei registri IVA degli acquisti e delle vendite ai fini della com-pensazione dell’Iva a debito con l’Iva a credito in attuazione del principio di neutralità fiscale, non determina la perdita del diritto alla detrazione, laddove siano state soddisfat-te le condizioni sostanziali della esigibilità della imposta dovuta dal cessionario/commit-tente e della destinazione dei beni o servizi, da quello acquistati od utilizzati, ad opera-zioni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con cer-tezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita alla Amministrazio-ne finanziaria in sede di verifica”.

2. Il secondo motivo con il quale la Agenzia ricorrente censura la sentenza di appel-lo per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16 (recte 17), comma 3, artt. 19 e ss., artt. 25 e 27, e dell’art. 1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è inam-missibile.

2.1. La parte ricorrente asserisce che erroneamente i Giudici territoriali avrebbero ravvisato nella fattispecie una falsa ipotesi di reciproca elisione della imposta a debito ed a credito, in quanto, mentre il credito erariale era da ritenersi certo, meramente eventua-le – in quanto rimesso alla incognita scelta del contribuente – doveva ritenersi, invece, l’esercizio del diritto alla detrazione del corrispondente importo.

2.2. Il “quesito di diritto” ex art. 366 bis c.p.c. appare manifestamente inidoneo a consentire alla Corte la enunciazione del principio di diritto. Del tutto tautologico e privo di riferimento al caso concreto, è infatti l’interrogativo posto dalla Agenzia fisca-

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le se, nella ipotesi in cui il soggetto committente/cessionario non impieghi il servizio o bene acquistato “a monte” nella effettuazione di operazioni imponibili “a valle”, debba ritenersi – evidentemente – escluso il diritto alla detrazione. Proprio in quanto tale condizione viene relegata allo stato di astratta ipotesi, al pari dell’altra ipotetica condi-zione prospettata nel quesito dalla Agenzia fiscale per cui, pur avendo effettuato ope-razioni imponibili “a valle”, è “... possibile che il contribuente ometta di portare in de-trazione l’IVA già versata ...” (cfr. ricorso pag. 7), la censura si palesa assolutamente scollegata con la fattispecie concreta e risulta altresì inconferente rispetto alla questio-ne decisa dalla CTR. Non risulta, infatti, che l’Ufficio finanziario abbia eccepito nel corso del giudizio di merito che la società, a fronte degli acquisti intracomunitari, non avesse effettuato alcuna operazione imponibile “a valle”, né che, in relazione all’anno d’imposta 1998, avesse rinunciato a portare in detrazione l’IVA assolta sulle fatture attive. Da quanto emerge dalla lettura della sentenza di appello e dallo stesso ricorso, infatti, nell’avviso di accertamento veniva contestata esclusivamente alla società la de-benza della maggiore IVA, in quanto le novantuno fatture passive, ricevute dai presta-tori di servizi residenti in altri Stato membro, non erano state ritenute da sole suffi-cienti, in difetto di adempimento degli altri obblighi formali di registrazione, ad estin-guere, attraverso il meccanismo del “reverse charge”, il debito IVA della società acqui-rente verso lo Stato: massima questione veniva invece sollevata in ordine alla mancata effettuazione di operazioni imponibili “a valle” da parte della società, tale da impedire l’applicazione del sistema (di inversione contabile o “reverse charge”) della “automatica elisione dell’IVA a debito ed a credito” sulle operazioni di acquisto intracomunitarie “a monte”. Correttamente, pertanto, la CTR, in assenza di specifiche allegazioni dedotte con i motivi di gravame, non ha svolto accertamenti sul punto, limitandosi, come ri-chiesto dai limiti dell’oggetto della controversia devoluta alla sua cognizione, ad af-fermare che il sistema degli scambi intracomunitari disciplinato nel periodo transitorio dalle norme comunitarie, trasferendo sul cessionario/committente l’obbligo di versa-mento della imposta, consente al medesimo soggetto passivo di realizzare la compen-sazione con la corrispondente Iva a credito.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato (infondato il primo motivo; inam-missibile il secondo motivo), dovendo disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità, essendo intervenuta la pronuncia interpretativa della Corte di Giustizia nelle more del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte: – rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legitti-

mità.

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Reverse charge nelle operazioni intracomunitarie: IVA detraibile in caso di violazioni formali

Reverse charge in intra-Community transactions: deductible VAT in case of formal infringements

Abstract La Corte di Cassazione si è occupata dell’ammissibilità del diritto alla detrazione IVA per le operazioni intracomunitarie, nei casi di mancato adempimento di ob-blighi formali da parte di soggetti passivi italiani. Sono state affrontate questioni già oggetto di precedenti interventi della giurisprudenza, nazionale nonché europea, valorizzandosi il principio di neutralità che impone il riconoscimento della detra-zione dell’imposta sul valore aggiunto, laddove gli obblighi sostanziali siano stati soddisfatti, anche se taluni obblighi formali risultino omessi dai soggetti passivi. La sentenza, dunque, si innesta nell’evoluzione promossa dalla Corte di Giustizia che ha ripetutamente interpretato detto principio di neutralità in senso sostanziale. In tale ottica la sentenza afferma, condivisibilmente, il principio secondo cui il sogget-to cessionario o committente, che riceve regolari fatture da altro soggetto non resi-dente, è tenuto al pagamento dell’imposta e non può vedersi negato dall’Ammini-strazione il diritto alla detrazione dell’imposta, nel caso non abbia provveduto al-l’annotazione di tali fatture sui registri IVA degli acquisti e delle vendite, in quanto ciò non costituisce una violazione sostanziale, sempre che l’Amministrazione sia in possesso di tutta la documentazione che attesti la sussistenza dei requisiti sostan-ziali dell’operazione. Parole chiave: IVA, operazioni intracomunitarie, inversione contabile, violazione formale, detrazione IVA The Supreme Court dealt with the matter of the eligibility of the right to deduct VAT for intra-Community transactions, in cases of non-compliance with formal requirements by Italian taxable persons. Several issues, already faced by national and European case law, allow to enhance the principle of neutrality, which requires the recognition of the right to deduct VAT, provided substantive obligations have been satisfied, and regard-less some formal requirements were omitted by taxpayers. Accordingly, the decision is aligned with the CJEU’s streamlined case law, which has repeatedly interpreted the principle of tax neutrality in a substantive manner. In this view, the decision affirms, in a shareable way, the principle that the recipient of goods or services, which receives regular invoices issued by a non-resident taxable person, is liable to pay VAT and, consequently, Tax Authorities cannot deny the right of deduction, in case the recipient has not record-ed such invoices into VAT registers on purchases and sales: this omission, in fact, does

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not constitute a substantive infringement, provided that the Tax Authorities hold all the documents showing that the transaction effectively took place. Keywords: VAT, intra-Community transactions, reverse charge, formal infringement, VAT deduction

SOMMARIO: 1. Le questioni affrontate dalla Suprema Corte. – 2. Quadro normativo di riferimento nel regime di inversione contabile. – 3. Violazioni formali e sostanziali e prevalenza della sostanza sulla for-ma. – 4. Neutralità fiscale e principio di proporzionalità. – 5. Conclusioni.

1. Le questioni affrontate dalla Suprema Corte

La Corte di Cassazione 1, preso atto dell’evoluzione giurisprudenziale avutasi nel-la Corte di Giustizia 2 in tema di neutralità dell’IVA, ha valorizzato il principio in base al quale, qualora l’Amministrazione abbia la disponibilità di tutta la documentazione e di tutti gli elementi atti a dimostrare la natura sostanziale dell’operazione, non può essere disconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA 3 nell’ambito delle operazioni intracomunitarie (per beni e servizi resi da parte di soggetti residenti in altri Paesi

1 Sentenza della Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586. Si veda il commento di SASSARA, L’omessa registrazione della fattura intracomunitaria non impedisce

la detrazione IVA, in Il Fisco, n. 12, 2016, p. 1175 ss. in cui l’autore vede con favore la decisione della Suprema Corte che, ponendosi in continuità con quanto espresso in precedenti sentenze, ha risolto la questione applicando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

2 Tra le pronunce richiamate, particolare importanza assumono le sentenze Idexx Laboratories Ita-lia S.r.l., Corte di Giustizia UE, sez. VIII, 11 dicembre 2014, causa C-590/13 e Ecotrade, Corte di Giu-stizia CE, sez. III, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07.

3 In merito a tale questione si v. BASILAVECCHIA, Gli adempimenti per il reverse charge, in Rass. trib., n. 2, 2014, p. 327 ss. L’Autore, nel commentare l’ordinanza della Cass., 7 novembre 2013, n. 25035, af-ferma che, salva l’esistenza di limiti oggettivi o soggettivi alla detraibilità dell’IVA, non si potrà preten-dere un recupero di maggiore imposta dovuta dal contribuente qualora lo stesso ometta di integrare con IVA e poi rilevare le operazioni intracomunitarie. Dunque, la violazione anche se sostanziale (rec-tius non meramente formale), potrà dar luogo all’applicazione di una sanzione amministrativa, ma non al recupero di maggiore imposta. Pertanto, la questione dovrà avere eventualmente solo una rilevanza sanzionatoria, considerando altresì che la sanzione di cui all’art. 6, comma 9 bis, D.Lgs. n. 471/1997, che è edittalmente fissata in misura dal 100 al 200% dell’imposta afferente, risulta sproporzionata ri-spetto all’effettiva lesività del comportamento e che, avendo la violazione natura meramente formale, alla stessa non possa applicarsi detta sanzione in virtù di quanto disposto dall’art. 10, comma 3, L. n. 212/2000 (Statuto del Contribuente). Si vedano altresì: SABBI, Diritto di detrazione e violazioni formali nel regime di inversione contabile nell’Iva (ivi, p. 295) e PACITTO, Omessa registrazione degli acquisti intra-comunitari e detrazione Iva (ivi, p. 837).

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membri) nei casi in cui il cessionario/committente italiano non abbia applicato cor-rettamente la procedura di inversione contabile (c.d. reverse charge), che ha natura formale e non sostanziale 4.

La controversia trae origine dal fatto che una società italiana, ABACUS S.p.a., per l’anno di imposta 1998, a seguito di una verifica fiscale, ha ricevuto un avviso di ac-certamento in cui veniva contestata la maggiore imposta dovuta a titolo di IVA per operazioni intracomunitarie fatturate da soggetti stabiliti in altri Stati membri, ma non annotate dalla società nei registri IVA, in violazione degli artt. 46 e 47, D.L. n. 331/1993.

Tali norme, vigenti pro tempore, disciplinavano la procedura di contabilizzazione e rilevazione delle operazioni intracomunitarie 5 secondo il meccanismo dell’inver-sione contabile 6, che si basa sulla previa numerazione ed integrazione delle fatture ricevute e successiva annotazione degli acquisti sia nel registro delle vendite (art. 23, D.P.R. n. 633/1972) che in quello degli acquisti (art. 25 del cit. D.P.R.).

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la società ha omesso la registrazione delle fatture ricevute da soggetti residenti in altri Stati membri, ai sensi dell’art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 (nel testo vigente ratione temporis) e, a seguito di ac-certamento, ha presentato ricorso alla Commissione Provinciale competente la qua-le ha dichiarato l’illegittimità della pretesa tributaria relativa alle operazioni intraco-munitarie.

L’Agenzia delle Entrate ha poi impugnato in appello la decisione della Commis-sione tributaria di I grado sostenendo che l’imposta a debito, anche in caso di regola-re autofatturazione, sarebbe stata comunque dovuta. La Commissione tributaria re-gionale ha confermato la decisione in I grado non accettando le doglianze dell’Am-ministrazione in quanto ritenute infondate: la mancata annotazione delle fatture nei registri contabili rappresenta una violazione meramente formale, non invece di natu-ra sostanziale, visto che l’imposta a credito e a debito coincidono (non si palesa alcun

4 Nelle operazioni intracomunitarie, il cessionario o committente, sulla base delle disposizioni di cui agli artt. 46 e 47, D.L. n. 331/1993, è tenuto a numerare ed integrare le fatture ricevute e ad anno-tarle distintamente nei registri delle vendite e degli acquisti (ai fini dell’esercizio del diritto alla detra-zione dell’imposta) rispettivamente ai sensi degli artt. 23 e 25, D.P.R. n. 633/1972.

5 Per una disamina congiunta della disciplina interna e comunitaria applicata alle operazioni intra-comunitarie si v. FALSITTA, Manuale di diritto tributario – Parte speciale – Il Sistema delle imposte italia-ne, Padova, 2014, Cap. VI, p. 861. Si v. anche AA.VV., Manuale di Diritto tributario internazionale, a cura di UCKMAR-CORASANITI-DÈ CAPITANI DI VIMERCATE-CORRADO OLIVA, II ed., Padova, 2012, Cap. III, p. 178 ss.

6 Nel sistema di inversione contabile, l’esistenza contemporanea delle due partite contabili (doppia annotazione nel registro delle fatture emesse e ricevute), che sono tra loro di segno oppo-sto, nello stesso anno d’imposta in cui avviene l’acquisto, comporta una compensazione tra l’IVA dovuta dal cessionario/committente e quella che lo stesso ha portato in detrazione, escludendo in tal modo qualsiasi riflesso sull’ammontare dei versamenti da eseguire e realizzando il principio di neutralità fiscale.

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gettito fiscale) e non sussistono limitazioni di alcun genere alla detrazione dell’im-posta sugli acquisti 7.

A parere della Commissione tributaria di II grado l’Agenzia ha interpretato la di-sposizione di cui all’art. 17, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 in modo assolutamente difforme ed inconferente rispetto all’interpretazione data dalla giurisprudenza co-munitaria 8 o nazionale 9 prevalenti e favorevoli al diritto di detrazione dell’imposta, anche in caso di mancato rispetto, totale o parziale, degli obblighi di autofatturazio-ne e di registrazione delle fatture nei registri IVA.

L’Agenzia delle Entrate, infine, ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di Cassa-zione, sostenendo che la violazione di cui trattasi è solo nell’apparenza formale, ma nella realtà influirebbe sulla struttura sostanziale dell’obbligazione tributaria sia per la sottrazione dall’imposta dell’importo relativo alle operazioni intracomunitarie, per le quali non è stata emessa fattura, che per l’insussistenza del diritto di portare in de-trazione l’imposta sugli acquisti (in caso di mancata registrazione dell’operazione intracomunitaria).

A tale contestazione il giudice di legittimità ha risposto affermando che la tesi se-condo cui la suddetta violazione determina la perdita del diritto alla detrazione dell’imposta non trova riscontro in alcuna disposizione normativa comunitaria o na-zionale, sottolineando che tutto il sistema normativo dell’IVA si basa sul principio di neutralità dell’imposta e che lo stesso è stato sempre interpretato in termini sostan-ziali e non formali dalla giurisprudenza comunitaria 10.

7 Si pensi al caso del pro rata generale o a limitazioni dovute alla natura dell’acquisto. 8 Sent. Idexx Laboratories Italia S.r.l., Corte di Giustizia UE, 11 dicembre 2014, causa C-590/13;

sent. Tóth, Corte di Giustizia CE, 6 settembre 2012, causa C-324/11; sent. Ain rs R dlihs, Corte di Giusti-zia CE, 19 luglio 2012, causa C-263/11; sent. EMS-Bulgaria Transport, Corte di Giustizia CE, 12 luglio 2012, causa C-284/11; sent. Uszodaépìt, Corte di Giustizia CE, 30 settembre 2010, causa C-392/09; sent. Nidera Handelscompagnie, Corte di Giustizia CE, 21 ottobre 2010, causa C-385/09; sent. Ecotra-de, Corte di Giustizia CE, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07.

9 Per l’orientamento maggiormente sostanzialistico a favore del diritto di detrazione v. sentt.: Cass., 13 maggio 2016, n. 9825; Id., 4 febbraio 2016, n. 3589; Id., 24 settembre 2015, n. 18924; Id., 15 aprile 2015, n. 7576; Id., 6 settembre 2013, n. 20486; Id., 29 maggio 2013, n. 13332; Id., 3 aprile 2013, nn. 8038 e 8039; Id., 28 giugno 2012, n. 10808; Id., 25 novembre 2011, n. 24912; Id., 26 ottobre 2011, n. 22250; Id., 28 luglio 2010, n. 17588; Id., 5 maggio 2010, n. 10819.

Viceversa, per l’orientamento formalistico e restrittivo, v. sentt.: Cass., 15 luglio 2015, n. 14767; Id., 23 ottobre 2013, n. 24022; Id. 11 settembre 2013, nn. 20771 e 20774; Id., 20 marzo 2013, n. 6925; e in parte Cass., sez. un., 27 dicembre 2010, n. 26126.

10 In merito al diritto di detrazione IVA, al principio di neutralità di tale imposta e a quello di pro-porzionalità, la sentenza in commento richiama svariate pronunce del giudice europeo: sent. Genius Holding BV, 13 dicembre 1989, causa C 342/87 in merito all’interpretazione dell’art. 21, par. 1, lett. c) della IV Direttiva 77/388/CEE del Consiglio; sent. Schmeink & Cofreth AG e Manfred Strobel, 19 set-tembre 2000, causa C-454/98; sent. Gabalfrisa, 21 marzo 2000, cause riunite C 110/98 e C-147/98; sent. Rusedespred OOD, 11 aprile 2013, causa C-138/12.

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2. Quadro normativo di riferimento nel regime di inversione contabile

Occorre dedicare qualche parola sul meccanismo di inversione contabile 11 in quan-to, proprio nell’ambito di applicazione di questo regime, si registrano diverse irrego-larità e violazioni che provocano la reazione dell’Amministrazione Finanziaria 12, pur non generando, normalmente, un debito d’imposta.

Facendo una prima considerazione sulla regola generale di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 17, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 13, è previsto che sono tenuti al ver-samento dell’imposta all’Erario i soggetti che effettuano le cessioni di beni o le pre-stazioni di servizi imponibili 14. Sono state introdotte però delle deroghe al meccani-smo generale di funzionamento dell’imposta, al fine di combattere i fenomeni di fro-de 15 in materia di IVA, che hanno enucleato il regime transitorio 16 in attesa di una

11 In tal senso si v. SALVINI, L’Iva tra origine e destinazione. Il reverse charge nell’IVA comunitaria e nell’IVA interna, in Atti del Convegno di Ravenna “Sovranità fiscale degli stati tra integrazione e decen-tramento”, Quaderno di giurisprudenza delle imposte, 2006, p. 223 ss.

12 Come ad esempio la mancata annotazione della fattura e/o dell’autofattura o l’individuazione del corretto regime da applicare, si pensi alla determinazione di un’operazione come esente o non im-ponibile.

13 Il comma 1 dell’articolo citato non è stato sostituito dal D.Lgs. n. 18/2010, in vigore dal 20 feb-braio 2010. Tale decreto è invece intervenuto sostituendo i commi 2, 3 e 4 dell’art. 17, D.P.R. n. 633/1972.

14 La normativa comunitaria disciplina tale regola generale nell’art. 193 della Direttiva n. 2006/112/CE. 15 Sull’applicazione dell’inversione contabile, quale deterrente ai meccanismi fraudolenti in ambito

IVA, si v. GIOVANARDI, Le frodi IVA. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, p. 266 ss. L’autore espone i pos-sibili pericoli del mancato funzionamento del sistema di reverse charge, che può non eliminare comple-tamente il rischio di frode IVA, e sostiene che sia da escludere la possibilità di applicare tale metodica a tutte le operazioni assoggettate ad IVA. In merito, si v. anche MOSCHETTI, “Diniego di detrazione per consapevolezza” nel contrasto alle frodi IVA. Alla luce dei principi di certezza del diritto e di proporzionali-tà, Padova, 2013.

16 Il regime transitorio si ispira al criterio della tassazione nel paese di origine per le cessioni a con-sumatori finali (operazioni c.d. B2C), mentre per gli scambi tra soggetti passivi IVA (transazioni B2B) resta un meccanismo di detassazione dei beni ceduti con trasporto in altro Stato membro e, specular-mente, di applicazione dell’IVA che vige in quest’ultimo Stato, attuato attraverso adempimenti da par-te dell’acquirente. Tale regime, che inizialmente è stato applicato in attesa del passaggio al regime de-finitivo basato, ai sensi dell’art. 402 della Direttiva 2006/112/CE, sul criterio della tassazione nel paese di origine, è divenuto di fatto permanente. In forza del regime di tassazione nel paese di origine, alle cessioni di beni tra diversi Stati dell’Unione Europea va applicata l’IVA dello Stato del soggetto cedente e il cessionario, se agisce quale soggetto passivo di imposta (transazioni B2B), potrebbe detrarre tale impo-sta da quella sulle sue operazioni attive. Gli Stati hanno, fino ad oggi, osteggiato l’introduzione del regime definitivo, in quanto resta difficile accettare la deduzione di un’imposta riscossa da un altro Stato, non-ché modificare le aliquote necessarie a limitare i diversi livelli di tassazione ed eliminare, di conseguen-za, gli effetti distorsivi della concorrenza dovuti all’applicazione di un’imposta minore. La Commissione europea ed i Paesi membri dell’Unione Europea sono stati coinvolti in numerosi dibattiti finalizzati al superamento dell’impasse dovuto al passaggio tanto sperato, e allo stesso tempo combattuto, dal regime transitorio a quello definitivo. Da ultimo, la Commissione ha proposto l’abbandono del principio di tas-

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disciplina uniforme e realmente armonizzata di tutta l’IVA e perché si è ritenuto es-sere l’unico strumento utilizzabile per definire le transazioni ricevute da soggetti non facenti parte dell’Unione Europea (c.d. autofattura).

In virtù di tali deroghe, con la Direttiva 2006/69/CE del 24 luglio 2006 (che modifica la Direttiva 77/388/CEE), il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri ad introdurre un sistema di inversione degli obblighi contabili, in capo ai soggetti passi-vi, in particolari settori produttivi 17. Questo sistema ha subito nel tempo delle modi-fiche, ma è stato mantenuto con la Direttiva 2006/112/CE che lo disciplina nell’art. 199 18 e prende il nome di “inversione contabile” o reverse charge.

L’obbligo di inversione contabile comporta che il cessionario di beni o destinata-rio di servizi è tenuto ad integrare la fattura emessa dal cedente, soggetto non resi-dente, senza addebito dell’imposta: assolverà l’imposta a debito in luogo del cedente, conservando il diritto alla detrazione qualora non siano previsti limiti oggettivi o soggettivi all’esercizio dello stesso, nel rispetto del principio generale e sostanziale di neutralità dell’IVA.

Nel novero delle operazioni soggette al sistema di reverse charge rientrano gli ac-quisti intracomunitari disciplinati, nel nostro ordinamento, dalla specifica disposizione di cui all’art. 38, D.L. n. 331/1993. La particolarità di tali acquisti è data dall’esecu-zione dell’operazione che avviene tra due soggetti passivi stabiliti in differenti Stati membri, determinando la tassazione nel paese di destinazione 19: dal punto di vista territoriale, dunque, l’operazione è imponibile ai fini IVA nel Paese di destinazione e non in quello di origine, ovvero in quello in cui il bene è stato introdotto, realizzan-dosi ciò attraverso il sistema dell’inversione contabile 20. sazione nel paese di origine, orientandosi verso quello di tassazione a destinazione in modo da rendere il sistema di imposizione più semplice. È necessario, però, pensare a come attuare tale cambiamento e come affrontare la suddivisione delle operazioni B2B e B2C. Sul punto si v. FALSITTA, op. cit.

Sull’attuale obbligatorietà dell’inversione contabile (non vi è più una facoltà in capo al soggetto non residente) e sulle modalità operative della stessa si veda ampiamente SALVINI, Il «reverse charge» nelle prestazioni di servizi transnazionali, in Corr. trib., n. 12, 2010, p. 936 ss.

17 Tale regime è stato introdotto inizialmente in settori particolari ad alto rischio di frode come il commercio di rottami e di oro industriale, ed ora anche nel settore edile.

18 Il sistema di inversione rappresenta un sistema di contabilizzazione, applicato in particolare per gli acquisti da soggetti non residenti nell’Unione Europea con il meccanismo dell’autofatturazione e/o per gli acquisti intracomunitari di beni e servizi sotto forma di inversione contabile, in cui l’obbligo di pagamento dell’imposta ricade in capo al cessionario del bene o committente del servizio (invece che sul cedente o prestatore), a condizione che questi operino nell’esercizio di impresa, arti o professioni.

19 Nel punto 43 della sentenza Idexx Laboratories Italia, Corte di Giustizia UE, 11 dicembre 2014, causa C-590/13, si legge che «Per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari di beni imponibili, i requi-siti sostanziali esigono, come emerge dall’art. 17, paragrafo 2, lettera d) della sesta direttiva (Direttiva 77/388/CEE), che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia pari-menti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di pro-prie operazioni imponibili».

20 Più precisamente, l’art. 38, D.P.R. n. 633/1972, stabilisce che l’IVA si applica agli acquisti intra-

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Nel sistema di tassazione in esame, il soggetto cedente deve emettere la fattura senza addebito dell’imposta, che dovrà essere numerata ed integrata dall’acquirente cessionario 21 (in alcuni casi deve emettere l’autofattura), applicando l’aliquota vigente nel proprio Paese, e poi autoliquidata dallo stesso esercitando il diritto alla detrazio-ne della relativa imposta già iscritta a debito 22, quando non sia limitato, realizzando così la neutralità dell’operazione 23.

Quando non sono presenti limitazioni all’esercizio della detrazione dell’imposta, nei casi di inversione contabile, gli effetti derivanti dalla sua applicazione sono neutri così come è stato confermato più volte dalla giurisprudenza comunitaria, la quale ha af-fermato che l’inosservanza degli obblighi formali, da parte del cessionario/committente soggetto passivo, non può comportare il disconoscimento del diritto di detrazione.

Il diritto alla detrazione è parte costitutiva del meccanismo impositivo dell’IVA consentendo di rispettare il principio di neutralità della stessa, pertanto, salvi casi ec-cezionali, non può essere soggetto a limitazioni. Per casi eccezionali, la giurispruden-za comunitaria intende le ipotesi di frode e di abuso del diritto, viste dalla stessa co-me uniche possibilità di diniego del diritto alla detrazione 24. L’indetraibilità dell’Im-posta, però, è conforme alla disciplina IVA non solo per vizi legati alla presenza di fenomeni di frode, ma anche per vizi oggettivi in cui vi rientrano la mancanza di ine-renza o i vizi procedimentali 25. comunitari di beni effettuati nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o di arti o professioni. L’effettuazione dell’acquisto si verifica nel momento della consegna nel territorio dello Stato al cessio-nario ovvero, se il trasporto è realizzato con mezzi di questo, dell’arrivo nel luogo di destinazione.

21 Si veda l’art. 46, D.L. n. 331/1993. 22 Tale autoliquidazione avviene sulla base delle regole di cui all’art. 47, D.L. n. 331/1993 che pre-

vede la doppia distinta annotazione delle fatture di acquisto intracomunitario nei registri delle vendite e degli acquisti.

Sugli obblighi di registrazione si v. COMELLI, Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, p. 821 ss. 23 Nel punto 29 della sentenza Fatorie, Corte di Giustizia UE, 6 febbraio 2014, causa C-424/12, si

legge che «in applicazione del regime dell’inversione contabile, non avviene alcun pagamento di IVA tra il prestatore ed il beneficiario di servizi, e che quest’ultimo è debitore, per le operazioni effettuate, dell’IVA a monte, pur potendo in linea di principio detrarre questa stessa imposta in modo tale che al-l’Amministrazione tributaria non sia dovuto alcun importo».

24 In tal senso v. sentenze della Corte di Giustizia europea, Marks Pen, 21 febbraio 2014, causa C-18/13 e Italmoda, 18 dicembre 2014, causa C-131/13 che indicano quale unico temperamento all’in-transigenza sulla partecipazione ad una frode la buona fede del soggetto passivo, che va comunque sempre dimostrata. Si veda anche la sent. Tóth, Corte di Giustizia europea, 6 settembre 2012, causa C-324/11 in cui si legge che è possibile negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detra-zione solo quando si dimostri, sulla base di elementi oggettivi, che lo stesso soggetto passivo, cessiona-rio dei beni o destinatario dei servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe do-vuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si inseriva in un’evasione dell’iva commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali operazioni di cessione o prestazione.

25 V. CENTORE, Indetraibilità genetica e procedimentale; due pesi ed una sola misura, in Corr. trib., n. 12, 2014.

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Un’ulteriore ipotesi che comporta l’applicazione del meccanismo di inversione contabile riguarda i casi di omessa fatturazione da parte del cedente o prestatore. Per gli acquisti intracomunitari rileva la disposizione di cui all’art. 46, comma 5, D.L. n. 331/1993 che prescrive l’emissione dell’autofattura (o della fattura integrativa nel caso in cui venga indicato un corrispettivo inferiore rispetto a quello reale) se non si è ricevuta apposita fattura dal cedente ed il momento da considerare, quale parame-tro per tale regolarizzazione, è quello di effettuazione dell’operazione.

3. Violazioni formali e sostanziali e prevalenza della sostanza sulla forma

Quanto all’analisi in merito alla natura delle violazioni, va innanzitutto precisato che le stesse possono essere distinte genericamente in formali o sostanziali: quelle for-mali, a differenza di quelle sostanziali, non incidono sulla determinazione dell’impo-nibile e/o dell’imposta, però, astrattamente parlando, potrebbero avere carattere so-stanziale, ma per il comportamento tenuto dal contribuente vengono ad essere con-siderate infrazioni meramente formali in quanto non capaci di determinare un debi-to di imposta 26. Se analizziamo il versante delle sanzioni applicabili alle violazioni commesse 27, si deve ricordare che l’art. 10, comma 3 dello Statuto dei diritti del con-tribuente (L. n. 212/2000) stabilisce espressamente che «Le sanzioni non sono co-munque irrogate quando la violazione (...) si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta» 28.

26 Per un’analisi teorica del problema si veda più diffusamente DEL FEDERICO, Le sanzioni ammini-strative nel diritto tributario, Milano, 1993; ID., Statuto del contribuente, illecito tributario e violazioni for-mali, in Rass. trib., n. 3, 2003, p. 855 ss. Sulla funzione dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contri-buente, nel rispetto del principio di proporzionalità, si v. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed inte-grazione giuridica europea – Contributo allo studio della prospettiva italiana, Milano, 2010, Cap. II, p. 279 ss. secondo cui il legislatore italiano non ha recepito completamente nello Statuto del contri-buente tutte le influenze del diritto europeo ed in tal senso segnala che l’art. 10 cit., da un lato, ha valo-rizzato la tutela dell’affidamento ed il principio di buona fede e, dall’altro, ha innestato il principio di proporzionalità nell’illecito tributario, prevedendo la non punibilità delle violazioni meramente forma-li. Aggiunge, inoltre, che la non punibilità delle violazioni meramente formali riveste un ruolo significa-tivo in quanto, non solo è espressione del principio europeo di proporzionalità, ma rappresenta anche uno stimolo importante verso la concezione sostanzialistica dei rapporti tributari.

27 Sulla problematica delle sanzioni improprie si v. DEL FEDERICO, Le sanzioni improprie nel sistema tributario, in Riv. dir. trib., fasc. 6, 2014, p. 693.

28 Si evidenzia che l’ampio ambito delle sanzioni amministrative previste nei casi di violazione degli obblighi sottostanti al meccanismo di reverse charge non è stato ancora affrontato in modo attento e definitivo dai giudici nazionali, neanche mediante rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Infatti, non esiste un principio comunitario che imponga agli Stati membri di rendere uniforme il comportamento sanzionatorio, ma, ad esempio, nella sentenza Ecotrade si rileva che la violazione per mancata applica-zione dell’inversione contabile non può essere soggetta a sanzione al punto tale da rimettere in discussio-ne il diritto alla detrazione, ma può essere stabilita una sanzione pecuniaria, purché proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa. Invece, la sentenza Idexx non si esprime affatto in merito alle sanzio-

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Nella sentenza in commento, vengono richiamate alcune significative pronunce della Corte di Giustizia europea, tra le quali spicca, per la vicinanza delle problemati-che affrontate, la sentenza Idexx Laboratories Italia S.r.l., causa C-590/13 29 che ha de-finitivamente risolto il contrasto sviluppatosi nella giurisprudenza della Suprema Cor-te di legittimità in merito alla natura formale delle violazioni e alla conseguente spet-tanza del diritto alla detrazione 30.

Si legge, infatti, nella sentenza, che i dubbi che nel tempo hanno afflitto la Corte di Cassazione sulla corretta definizione dei requisiti sostanziali del diritto alla detra-zione IVA e degli adempimenti meramente formali, hanno portato gli stessi giudici a richiedere l’intervento interpretativo della Corte europea dando luogo all’ordinanza di rimessione della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE 31. In detta sentenza, in cui si fa menzione delle precedenti pronunce della stessa Corte di Giustizia UE in ni applicabili in caso di omesso reverse charge, questo perché l’ordinanza della Cassazione non preve-deva alcun quesito specifico in merito a tale questione. Sul punto, la giurisprudenza nazionale di legit-timità ritiene univocamente che nei casi di omesso reverse charge, a prescindere dalla soluzione relativa alla detraibilità o meno dell’imposta, è applicata la sanzione più grave che va dal 100 al 200% della rela-tiva imposta (art. 6, comma 9 bis, primo periodo, del D.Lgs. n. 471/1997), benché da tale violazione non scaturisca alcun danno erariale (l’unico beneficio previsto è l’applicazione di una sanzione ridotta, pari al 3% dell’imposta, qualora la stessa sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dalla controparte). È evidente che una simile sanzione assume la stessa natura di un diniego di detrazione. È utile ricorda-re che alcuni Paesi hanno modificato la disciplina sanzionatoria quando la violazione commessa non dia luogo ad alcun debito d’imposta, escludendo del tutto la sanzione nel caso della Germania o ridu-cendola al 10% nel caso della Spagna. Sarebbe questa la strada che il nostro legislatore dovrebbe segui-re, in tal modo rispettando il principio generale di proporzionalità e, di riflesso, quello di neutralità che sono alla base del meccanismo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (su tali principi si dirà meglio infra, par. 4). Al riguardo si v. FALSITTA, op. cit., p. 884, nota 200.

Sui profili sanzionatori si vedano anche: SALVINI, Il «reverse charge», cit., p. 936 ss. secondo cui «(...) dovrebbe evitarsi di reiterare (...) il trattamento sanzionatorio, ingiustificatamente penalizzante e contrario al principio comunitario di proporzionalità tra illecito e sanzione, attualmente vigente (...) per le violazioni in materia di acquisti intracomunitari, assoggettate al pagamento della sanzione piena per omessa fatturazione; e ciò anche se da esse non consegue alcuna evasione di imposta, stante il di-ritto del soggetto passivo, sancito dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza “Ecotrade”), alla detra-zione dell’imposta anche in caso di accertamento di omessa autofatturazione»; ID., Prospettive di ri-forma del sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib., n. 2, 2015, p. 545 ss., in cui l’autore sottolinea il mancato intervento da parte del legislatore delegato sulla graduazione del sistema delle sanzioni am-ministrative in relazione alla gravità dei comportamenti che viene affidata solo ad una restrizione dell’ambito di applicazione delle sanzioni penali.

29 I principi enunciati in questa pronuncia comunitaria sono stati ripresi per la prima volta nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 13 marzo 2015, n. 5072, che conferma la natura esclu-sivamente formale delle violazioni relative all’omesso o irregolare reverse charge, non comportando dunque il venir meno dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta, per gli acquisti provenienti da soggetti non residenti. Per un approfondimento sul tema v.: PEIROLO, Iva detraibile anche in caso di omesso o irregolare reverse charge, in Il Fisco, n. 15, 2015, p. 1485 ss.; SUTICH, Forma e sostanza negli ob-blighi di integrazione delle fatture estere, in L’IVA, n. 2, 2015, p. 33 ss.

30 Si v. BASILAVECCHIA, Inadempimenti formali nell’inversione contabile, in Corr. trib., n. 6, 2015, p. 403 ss. 31 In merito al rinvio pregiudiziale si v. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridi-

ca europea, cit., p. 133 ss.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2017 258

merito al principio di neutralità dell’IVA e ai requisiti formali e sostanziali, i giudici europei hanno confermato che «(...) il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passi-vi. (...) Diversa può essere la soluzione se la violazione di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali. (...) Conseguentemente, l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddi-sfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimo. (...) A tal riguardo, si deve precisare che i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’articolo 17 della sesta direttiva, intitolato “Origine e portata del diritto a [detrazione]”. (...) Per contro, i requisiti formali del diritto a de-trazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabi-lità, di fatturazione e di dichiarazione. Tali requisiti sono contenuti negli articoli 18 e 22 della sesta direttiva (...)».

Volendo soffermarsi sul dettato normativo di cui all’art. 17, par. 2, lett. d) della Direttiva 77/388/CEE 32, si evince che gli obblighi di natura sostanziale sono: a) l’e-sigibilità dell’imposta all’atto della cessione dei beni o della prestazione dei servizi, b) la natura di soggetto passivo di colui che esercita il diritto, c) l’impiego dei beni e servizi importati o acquistati “a monte” nell’esercizio dell’attività economica.

In pratica, dal momento in cui l’Agenzia delle Entrate dispone di tutte le infor-mazioni necessarie per accertare il rispetto di detti requisiti sostanziali, non può ne-garsi il diritto alla detrazione nei casi in cui il soggetto passivo italiano non abbia ap-plicato la procedura di inversione contabile, avente natura formale e non sostanziale. Diversa sarebbe l’ipotesi in cui la violazione degli obblighi formali impedisse la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali, ma non è questo il caso. Inoltre, è chiaro che l’imposta resterà dovuta nei casi in cui, qualora venisse applicato il meccanismo di reverse charge, il soggetto cessionario/committente è tenuto a versare il tributo, to-talmente o parzialmente, per effetto delle limitazioni oggettive o soggettive del dirit-to di detrazione: infatti, in tali ipotesi, la violazione assume carattere sostanziale e va sanzionata applicando una sanzione che rispetti il principio di proporzionalità.

Continuando una disamina delle questioni attinenti alle violazioni di obblighi formali che potrebbero pregiudicare il diritto alla detrazione dell’IVA, è interessante fare riferimento ad una recentissima pronuncia della Corte di Giustizia UE, sentenza Del Ferro del 28 luglio 2016, causa C-332/15 33, la quale si è pronunciata in merito

32 Ora divenuto l’art. 168, par. 1, lett. c), Direttiva 2006/112/CE. 33 La sentenza citata trae origine dalla domanda di rinvio pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi

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alla limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA in presenza di gravi violazioni de-gli obblighi formali da parte del soggetto passivo. Senza soffermarsi sui riflessi penali dell’illecita condotta fiscale del soggetto indagato, in questa pronuncia il giudice eu-ropeo ha stabilito, in merito al diritto alla detrazione in linea di principio non dero-gabile né limitabile, che se si consentisse il suo esercizio sine die 34, si violerebbe il principio di certezza del diritto. Inoltre, la Corte ha richiamato nuovamente il prin-cipio di neutralità dell’IVA, che deve essere garantito se vengono rispettati i requisiti sostanziali, anche qualora vi sia stata violazione di alcuni requisiti formali, ma occor-re in ogni caso verificare se le violazioni formali siano state tali da rendere vana la sussistenza dei sottostanti requisiti sostanziali 35. La sentenza conclude affermando che è legittima la norma nazionale che nega il diritto alla detrazione, nel caso di gravi vio-lazioni della maggior parte degli obblighi formali, in quanto «(...) il principio di neu-tralità fiscale non può essere validamente invocato da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad un’evasione fiscale siffatta mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA (...)» 36.

Tornando all’esame dei contenuti della sentenza della Corte di Cassazione 24 febbraio 2016, n. 3586, in commento, questa enuncia il principio di diritto secondo cui nell’ambito di operazioni intracomunitarie di acquisto di beni o servizi resi da parte di soggetti residenti in altri Paesi membri, i quali hanno emesso regolari fattu-re, l’omessa doppia annotazione da parte del cessionario/committente di tali fatture nei registri IVA degli acquisti e delle vendite, in attuazione del principio di neutralità fiscale, non determina la perdita del diritto alla detrazione, qualora siano state soddi-sfatte le condizioni sostanziali della esigibilità della imposta dovuta dal cessiona-rio/committente, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita alla Amministrazione Fi-nanziaria in sede di verifica. Dunque, i giudici hanno concluso richiamando il princi-pio di prevalenza della sostanza sulla forma, già affrontato in precedenti pronunce aventi ad oggetto circostanze diverse, ma risolte con l’applicazione dello stesso prin-cipio 37. dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Treviso con decisione del 17 aprile 2015, nell’ambito di un pro-cesso penale promosso a carico del rappresentante legale della società Del Ferro S.r.l.

34 In quanto la questione afferisce ai termini di decadenza dell’esercizio del diritto alla detrazione rispetto a quelli previsti per l’esercizio di analoghi diritti in materia fiscale (come ad esempio quelli previsti per la presentazione della dichiarazione).

35 Nel caso specifico la Corte europea ha ritenuto che l’omessa presentazione della dichiarazione IVA e la mancata registrazione delle fatture siano violazioni che impediscono l’esatta riscossione del-l’imposta e, quindi, compromettono il regolare funzionamento del sistema comune dell’IVA. Secondo i giudici il diritto dell’Unione Europea consente agli Stati membri di negare la detrazione nel caso in cui si realizzino gravi violazioni degli obblighi formali tali da considerarli alla stregua di un’evasione fiscale.

36 V. punti 58 e 59 della citata sentenza. 37 L’erronea annotazione nel registro degli acquisti di fatture relative ad operazioni intracomunita-

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2017 260

4. Neutralità fiscale e principio di proporzionalità

Il principio di proporzionalità è di origine pretoria. La Corte di Giustizia ha ini-ziato ad evocarlo, annoverandolo tra i principi generali del diritto dell’Unione, al fine di valutare la portata delle normative nazionali restrittive delle disposizioni comuni-tarie in materia di libera circolazione 38.

In seguito, la Corte ha considerato il principio di proporzionalità anche come cri-terio di validità dell’azione legislativa o amministrativa dell’Unione. Questo self-re-straint non le ha impedito di sindacare la legittimità degli atti dell’Unione e, in alcuni casi, di dichiararne l’invalidità per violazione del principio di proporzionalità, ad esempio nell’ipotesi di previsione di sanzioni eccessive rispetto agli inadempimenti contestati 39.

È stato il Trattato di Maastricht ad iscrivere formalmente nel Trattato, all’art. 5 TUE, il principio di proporzionalità come parametro di riferimento dell’esercizio dele competenze dell’Unione. In termini generali, il principio in esame necessita che le istituzioni comunitarie verifichino con attenzione l’opportunità di agire mediante atti vincolanti o non vincolanti, preferendo il secondo strumento quando la materia da disciplinare non è particolarmente complessa da giustificare una disciplina tecni-ca obbligatoria.

In ambito tributario, la Corte di Giustizia europea, applicando il principio di pro- rie indicate erroneamente come “escluse” da imposta (v. Cass., 28 luglio 2010, n. 17588); la omessa fatturazione (v. Cass., 5 maggio 2010, n. 10819); l’emissione di autofattura in un’unica copia (v. Cass., 25 novembre 2011, n. 24912); o, ancora, l’omessa autofatturazione per prestazioni di servizi di consu-lenza resi da soggetto non residente (v. Cass., 3 aprile 2013, nn. 8038 e 8039).

38 In dottrina, sugli aspetti generali del principio di proporzionalità, v. attentamente DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, cit., p. 23 ss., secondo cui «Secondo il princi-pio di proporzionalità il Legislatore e l’Amministrazione pubblica non possono imporre obblighi e/o restrizioni alle libertà del privato, né con atti normativi, né con atti amministrativi, in misura superiore a quanto strettamente necessario per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare (...) L’esempio del principio di proporzionalità è particolarmente pregnante proprio per le sue ricadute fiscali. Infatti in relazione al sistema dell’imposta sulla cifra di affari la Corte di Giustizia ha chiarito che le legislazioni nazionali non possono alterare il principio della neutralità così come posto dalle diretti-ve comunitarie, precisando che deve sussistere un rapporto di stretta proporzionalità tra la violazione dell’imposta e le relative conseguenze». L’Autore ricorda, inoltre, che la Corte di Giustizia ha ricono-sciuto l’applicabilità del principio di proporzionalità in relazione alle varie legislazioni nazionali in te-ma di IVA affermando che i provvedimenti adottati dagli Stati membri non possono essere utilizzati in modo tale da rimettere sistematicamente in discussione il diritto alla deduzione dell’IVA, che è princi-pio fondamentale del sistema comune dell’IVA.

Sul punto, si vedano anche: MONDINI, Principio di proporzionalità ed attuazione del tributo: verso la costruzione di un principio generale del procedimento tributario, in AA.VV., Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, Roma, 2009, p. 95 ss. e TESAURO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2012, p. 109 ss.

39 Si v. sent. Intervention Board for Agricultural Produce (IBAP), Corte di Giustizia CE, 24 settem-bre 1985, causa C-181/84.

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porzionalità, ha sempre inteso garantire che il perseguimento degli obiettivi di dirit-to interno non pregiudichi oltremodo le finalità comunitarie 40. Tale principio viene così usato per misurare quanto e come le libertà economiche fondamentali vengono influenzate dalle legislazioni tributarie nazionali 41. Possono essere accettate diver-genze con i principi comunitari nella misura in cui le norme interne rispondano ad esigenze di interesse pubblico, tra cui vi rientrano sicuramente il settore fiscale, la lotta contro la frode e l’evasione fiscale, l’efficacia delle attività di controllo fiscale e la coerenza del sistema tributario.

Oltre alle questioni appena enucleate, va analizzato, in questa sede, il rapporto che sussiste tra il principio di proporzionalità e la neutralità fiscale 42, elemento costituti-

40 Si vedano sentenze della Corte di Giustizia CE: Bela Mühle, 5 luglio 1977, causa C-114/76; Man Sugar, 24 settembre 1985, causa C-181/84; Molenheide, 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C340/95 e C-401/95; Gabalfrisa, 21 marzo 2000, cause riunite C-110/98 e C-147/98.

41 Nella sentenza della Corte di Giustizia Futura Participations, 15 maggio 1977, causa C-250/95 si stabilisce, infatti, che le misure nazionali che disciplinano i controlli fiscali, quando sono restrittive del-le libertà comunitarie fondamentali, devono essere strettamente necessarie e proporzionali ai propri fini perché possano ritenersi compatibili con l’ordinamento comunitario. Dunque, l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione dell’esercizio del-le libertà fondamentali garantite dal Trattato (nel caso di specie trattasi della libertà di stabilimento), nel rispetto della proporzionalità tra mezzi e fini perseguiti. Ad una medesima conclusione è giunta la sentenza della Corte di Giustizia, Leur-Bloem, 17 luglio 1977, causa C-28/95, in cui si legge che per accertare se l’operazione che si intende effettuare abbia come obiettivo principale la frode o l’evasione fiscale, le autorità nazionali competenti devono procedere, in ciascun caso, ad un esame globale di detta operazione la quale deve poter costituire oggetto di un controllo giurisdizionale. Spetta agli Stati membri predisporre le procedure interne necessarie a tal fine nel rispetto del principio di proporzionalità.

42 Sul principio di neutralità v. GIORGI, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005, p. 281 ss., il quale esprime qualche perplessità sulla realizzazione piena della neutralità dell’imposta, infatti l’autore afferma che «Il meccanismo ordinario di funzionamento del tributo si basa sulla detrazione di imposta da imposta spettante ai soggetti passivi che impiegano i beni ed i servizi cui si riferisce l’imposta a monte per effettuare operazioni soggette all’imposta; tale meccanismo dovrebbe tendenzialmente rendere neutrale l’imposta soltanto per i soggetti passivi (...). Il principio di neutralità impositiva, che trova la sua massima espressione in particolare nell’art. 11 del-la sesta direttiva, (...), pur essendo un principio fondamentale del sistema d’imposta, non è, tuttavia, un principio assoluto, in quanto nell’attuale fase di applicazione dell’imposta l’armonizzazione non è completa». In merito al carattere non assoluto del principio di neutralità v. anche MONDINI, Il princi-pio di neutralità nell’IVA, tra mito e (perfettibile) realtà, in DI PIETRO-TASSANI (a cura di), I principi euro-pei del diritto tributario, Padova, 2013, p. 269; secondo l’autore «occorre intendere e delimitare corret-tamente la nozione di neutralità. Ovviamente un tributo neutrale in senso assoluto sarebbe un non senso, poiché, in quanto tale, esso postula sempre l’imposizione autoritativa di un sacrificio economico gravante su di una certa capacità contributiva, allo scopo di obbligarla a concorrere al sostenimento della spesa pubblica. Una spesa pubblica che, nel caso specifico, è anche almeno in parte quella euro-pea, posto che l’IVA costituisce la base di determinazione di una delle risorse proprie dell’Unione. Nel-l’ambito dell’ordinamento europeo, dunque, la neutralità viene riferita non a qualsiasi effetto econo-mico dell’imposizione, ma essenzialmente a quello della distorsione della concorrenza». Per una di-samina delle diverse accezioni del principio di neutralità si vedano COMELLI, op. cit., p. 302 ss., MON-TANARI, Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2013, p. 62 ss.; MOSCHETTI, Il principio di pro-porzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, 2015, p. 92 ss.

GIURISPRUDENZA RTDT - n. 1/2017 262

vo del meccanismo di funzionamento dell’IVA che consente il riconoscimento al soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’imposta 43.

La sentenza in commento ha fatto propri i principi comunitari espressi in prece-denti pronunce del giudice europeo. Si fa riferimento alla sentenza Genius Holding BV del 13 dicembre 1989, causa C-342/87, che ha interpretato in modo definitivo l’art. 21 par. 1, lett. c) della VI Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, 17 maggio 1977, applicabile ratione temporis, nonché alla sentenza Schmeink & Cofreth AG e Manfred Strobel del 19 settembre 2000, causa C-454/98, nella quale il giudice europeo ha pre-cisato che, in difetto di una specifica disciplina dettata dal diritto comunitario, spetta agli Stati membri adottare, nei rispettivi ordinamenti interni, le norme idonee a con-sentire la rettifica e correzione di eventuali errori formali o materiali, mediante misu-re idonee a realizzare il principio della neutralità dell’IVA (normalmente rappresen-tate dai c.d. obblighi contabili) e che, comunque, garantiscano la Comunità dal ri-schio di perdita del gettito fiscale determinato da condotte fraudolente, dovendo tali misure non eccedere rispetto a quanto è necessario al perseguimento di tale scopo sulla base del principio di proporzionalità, e realizzare così un bilanciamento dei con-trapposti interessi dei singoli operatori e della Comunità 44. Principi che sono stati ripresi e puntualizzati nelle successive sentenze Ecotrade, Nidera Handelscompagnie BV e EMS Bulgaria Transport OOD, già citate in precedenza.

Dunque, il rapporto tra l’obiettivo della neutralità ed il parametro della propor-zionalità rappresenta un consueto elemento di analisi nelle controversie sottoposte al vaglio del giudice europeo e, in ambito IVA, assume uno specifico significato con rife-rimento al diritto alla detrazione, del quale però la neutralità rappresenta l’obiettivo principale: la giurisprudenza comunitaria, in concreto, sostiene che i limiti al diritto di detrazione possano soccombere dinanzi al principio di proporzionalità, qualora l’effet-tività del diritto sia compromessa.

5. Conclusioni

Risulta chiaro che la problematica afferente al diritto alla detrazione dell’imposta, nella contrapposizione tra violazioni formali e sostanziali, ha evidenziato un andamen-to altalenante nella giurisprudenza nazionale, soprattutto di legittimità, nonostante la ormai consolidata giurisprudenza comunitaria che si è mostrata, giustamente, ga-rantista nei confronti del contribuente che non può vedersi leso il diritto suddetto

43 Sul punto si rimanda agli scritti di MONDINI, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA europea, Pisa, 2012. Sulle condizioni per l’esercizio del diritto alla detrazione si v. GIORGI, op. cit., p. 24 ss.

44 V. Corte di Giustizia, sent. Gabalfrisa, 21 marzo 2000, cause riunite C-110/98 e C-147/98, pun-to 52.

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nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta. Le tesi contrapposte che hanno caratterizzato, ora meno, la giurisprudenza di legittimità hanno inevitabilmente cau-sato una rilevante incertezza applicativa del meccanismo di funzionamento dell’IVA.

A seguito, però, dell’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia, sfociata nella sen-tenza Idexx Laboratories Italia S.r.l. dell’11 dicembre 2014, causa C-590/13, il dibat-tito interno è giunto finalmente ad un termine, espresso sia dalla giurisprudenza na-zionale che dalla prassi amministrativa, e che ha strenuamente messo in discussione il diritto di detrazione dell’imposta quale fulcro della neutralità fiscale immanente alla disciplina IVA.

La sentenza della Corte di Cassazione 24 febbraio 2016, n. 3586 va accolta con favore in quanto ha sposato la maggior parte dei principi espressi dalla giurispruden-za comunitaria, in particolare ha recepito i punti salienti della sentenza europea ap-pena richiamata, ribadendo con forza che il rispetto degli adempimenti sostanziali è l’unica condizione che possa giustificare la detrazione dell’imposta.

Si deve ribadire che il diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte sugli acqui-sti, costituisce per l’operatore economico lo strumento necessario per il raggiungi-mento dell’obiettivo sostanziale di neutralità fiscale dell’imposta, aspetto ineludibile che non può essere in alcun modo sottoposto a limitazioni. Questo va a significare che l’imposta assolta sugli acquisti deve essere traslata a valle sul consumatore finale, unico soggetto che resta inciso dalla stessa, lasciando indenne chiunque operi come soggetto passivo.

In tal senso si guarda con condivisione la scelta della Cassazione di richiamare nella sentenza in esame la Risoluzione del 6 marzo 2009, n. 56/E 45, in cui l’Agenzia delle Entrate sembra convertirsi all’indirizzo espresso dal giudice di legittimità nella parte in cui ha rilevato che il diritto alla detrazione deve essere salvaguardato anche nel caso in cui gli obblighi sostanziali siano assolti non spontaneamente ma a seguito di controllo, fatta salva l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, sempre ponendo al centro delle considerazioni l’obiettivo di salvaguardare il principio di neutralità fiscale.

Lascia, però, ancora perplessi la prassi amministrativa quando sostiene che resta ferma l’applicazione della sanzione amministrativa (nella specie quella più grave che va dal 100 al 200% dell’imposta sottostante) di cui all’art. 6, comma 9 bis, D.Lgs. n. 471/1997, per inosservanza degli obblighi previsti dalla disciplina IVA: è vero che il contribuente non sarà tenuto a versare alcuna somma a titolo di imposta, qualora sia riconosciuta la spettanza integrale della detrazione, ma è pur vero che una tale misu-ra sanzionatoria (che estremizzando potrebbe applicarsi nella misura del 200%) cor-risponderebbe a negare la detrazione 46.

45 Risoluzione già richiamata nella sentenza della Cass., 24 febbraio 2015, n. 5072, in cui si sottoli-neava che se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, le inadempienze formali non generano danno per l’Erario, in quanto il risultato fiscale finale sarebbe stato uguale, attesa la neutralizzazione della deben-za dell’imposta attraverso l’esercizio del diritto di detrazione.

46 Anche la sentenza della Corte di Giustizia, EMS-Bulgaria Transport, 12 luglio 2012, causa

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La speranza è, da un lato che l’Amministrazione desista definitivamente dal con-testare violazioni chiaramente formali, innescando la scintilla del contenzioso, dal-l’altro che si inizi a valorizzare il profilo dell’irrogazione di sanzioni sulla base di cri-teri ispirati a maggiore equità e proporzionalità.

Carla Scaglione

C-284/11 sembra confermare tale incongruenza nella parte in cui ha vietato, in caso di tardivo versa-mento dell’IVA dovuta sugli acquisti intracomunitari, l’applicazione di interessi moratori di entità tale da vanificare il diritto di detrazione. Si v. anche la sentenza della Corte di Giustizia, Equoland, 17 luglio 2014, causa C-272/13 in cui viene sollevato un importante quesito sull’esatta gradazione delle sanzio-ni relative a specifiche violazioni. I giudici europei hanno ribadito che gli Stati devono prevedere san-zioni appropriate e conformi al principio di proporzionalità, tenendo conto della gravità dell’infrazio-ne. La questione sulla proporzionalità delle sanzioni viene rimandata all’attenzione del giudice nazio-nale il quale, però, deve conformarsi ai principi forniti dalla Corte europea. Una recente pronuncia dei giudici di merito (sent. CTP Milano, 22 dicembre 2014, n. 11698) ha fatto propri i principi europei ritenendo non sanzionabile l’omessa autofatturazione di servizi ricevuti da una società residente negli Stati Uniti.

Cass., sez. trib., 24 febbraio 2016, n. 3586 265

Finito di stampare nel mese di luglio 2017 nella Stampatre s.r.l. di Torino

Via Bologna 220

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Le misure alternative alla detenzione rappresentano un settore del sistema penale in continua evoluzione, sotto la spinta di scelte tecnico-politiche compiute sui temi – so-lo apparentemente contrastanti – della sicurezza dei cittadini e della umanizzazione dell’esecuzione penale, sullo sfondo di fenomeni di assoluta imponenza e drammatica portata, quali l’attuale situazione di sovraffollamento negli istituti di pena.

Un numero rilevantissimo di leggi ed atti regolamentari si sono rapidamente susseguiti a modificare radicalmente il quadro normativo preesistente e impongono a quanti si occupano della materia un continuo aggiornamento professionale.

L’opera, che contiene il commento alle più importanti novità, dalla legge n. 199/2010 sull’esecuzione della pena presso il domicilio (c.d. legge Alfano), alla legge n. 62/2011 sulle detenute madri, al recentissimo d.l. n. 211/2011 (c.d. pacchetto Severino), è ar-ricchita da un’estesa rassegna delle pronunce costituzionali e della più attuale giuri-sprudenza di legittimità, con l’approfondita illustrazione delle norme nel diritto viven-

te attraverso le linee-guida della loro corrente interpretazione, alla luce dell’applicazione pretoria e dell’elaborazione della migliore dottrina, così da costituire una fonte completa, chiara ed aggiornata della materia, proponendosi quale preziosa guida per l’ope-ratore ed il professionista.

Indice I. Liberazione condizionale (F. Fiorentin). – II. Affidamento in prova al servizio sociale (S. La Rocca). – III. Le ipotesi di detenzione domiciliare (G.M. Pavarin). – IV. Semilibertà (S. La Rocca). – V. Differimento della pena (F. Fiorentin). – VI. Affidamento in casi par-ticolari per i tossicodipendenti (G.L. Malavasi). – VII. Sospensione della pena (G.L. Malavasi). – VIII. Disciplina restrittiva e collabo-razione con la giustizia (F. Fiorentin). – Sez. I: L’art. 4-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354. – Sez. II: La collaborazione con la giustizia (art. 58-ter legge n. 354/1975). – Sez. III: Divieto di concessione dei benefici (art. 58-quater legge n. 354/1975). – Sez. IV: I benefici peni-tenziari per i collaboratori di giustizia (art. 16-nonies, d.l. n. 8/2991, legge n. 82/1991 e succ. mod.). – Bibliografia. – Indice analitico.

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