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Amministrazionipubbliche

Principi e sistemi contabili

a cura di

Fabio Monteduro

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Copyright © MMVIARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

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ISBN 88–548–0842–3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: novembre 2006

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Indice

Prefazione di Luciano Hinna

pag. 7

Cap. 1: I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi di Fabio Monteduro

pag. 9

Cap. 2: Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzio-ne di Fabio Monteduro

pag. 47

Cap. 3: Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali di Fabio Monteduro

pag. 77

Cap. 4: Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi di Fabio Monteduro

pag. 99

Cap. 5: Il sistema contabile dello Stato di Fabio Monteduro

pag. 121

Cap. 6: Il sistema contabile degli Enti Locali di Emma Pagliuca

pag. 149

Cap. 7: Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali di Emma Pagliuca

pag. 173

Cap. 8: Il sistema informatico degli incassi e dei pagamenti della Pubblica Amministrazione di Paolo De Carolis

pag. 197

Cap. 9: I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche di Fabio Monteduro

pag. 229

Bibliografia pag. 249

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Prefazione I testi sui principi ed i sistemi contabili per le amministrazioni pub-

bliche enfatizzano in genere uno dei seguenti aspetti: a) l’approfondimento di concetti generali sulle caratteristiche dei sistemi contabili pubblici, a volte in chiave di comparazione internazionale; b) la descrizione della normativa di riferimento ed in particolare il tema del passaggio dalla contabilità finanziaria a quella economico-patrimoniale.

Il volume che qui si presenta opera un felice bilanciamento di en-trambi questi due aspetti, configurandosi come un valido supporto di-dattico per meglio razionalizzare i principi, i modelli e gli strumenti della contabilità delle aziende pubbliche.

Non solo gli studenti dei corsi di laurea sulle amministrazioni pub-bliche delle facoltà di Economia e Giurisprudenza, ma anche gli allie-vi di master e di corsi di perfezionamento ed anche coloro che operano professionalmente negli enti pubblici troveranno spunti di particolare interesse, specie per quell’idea ricorrente che il sistema contabile sia un elemento fondante del sistema azienda, rispetto al quale svolge una funzione che non si limita alla mera raccolta dei dati, ma comprende la loro elaborazione secondo le esigenze informative del soggetto eco-nomico e degli altri stakeholder, con la necessità di un continuo ade-guamento del sistema contabile all’ambiente di riferimento dell’azienda. Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente sulla flessibilità dei principi e dei sistemi contabili, che non possono evidentemente non tenere conto degli elementi che caratterizzano l’ambiente di rife-rimento delle organizzazioni cui si riferiscono, non trascurando pari-menti gli obiettivi che si intende raggiungere, a loro volta correlati alle esigenze degli utilizzatori dei sistemi contabili (chi redige i documenti contabili, ma anche chi si serve delle informazioni da essi forniti).

Sia pure concepito come opera autonoma, il testo è la prosecuzione di un progetto editoriale di più ampio respiro iniziato con la pubblica-zione da parte di Aracne del volume Amministrazioni Pubbliche: evo-

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Prefazione

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luzione e sistemi di gestione di Luciano Hinna e Fabio Monteduro. Il particolare “intreccio” che esiste nel settore pubblico tra i sistemi di programmazione e controllo ed i sistemi contabili rende particolar-mente efficace la lettura congiunta di entrambi i volumi, pur avendo ognuno una sua autonomia editoriale.

Ritengo infine doveroso menzionare che il curatore di questo vo-lume, Fabio Monteduro, ha svolto un pregevole lavoro di sistematiz-zazione concettuale, di approfondimento e ricerca e di rielaborazione in chiave didattica del materiale proposto durante: il corso sui Sistemi contabili per le amministrazioni pubbliche (a.a. 2005-2006) ed il Master in Innovazione e Management nelle Amministrazioni Pubbli-che, entrambi svolti presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Luciano Hinna Università di Tor Vergata

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Capitolo I I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

di Fabio Monteduro

1.1 Introduzione

Lo scopo di questo capitolo è esplorare la natura concettuale dei principi e dei sistemi contabili, analizzandone al contempo la struttura logica e le reciproche relazioni alla luce delle esigenze che su di essi proiettano i possibili utilizzatori. Questo capitolo rappresenta cioè il tentativo di individuare il background che caratterizza ogni sistema contabile, a prescindere dalla sua connotazione finanziaria, economi-ca, o sociale.

Nel seguito della trattazione, dunque, si analizzeranno dapprima i concetti di “sistema contabile” e di “principi contabili”; poi il rapporto che esiste tra sistemi contabili e dinamismo ambientale; infine si tente-rà di contestualizzare il tema dei principi e dei sistemi contabili alla realtà delle amministrazioni pubbliche, introducendo il concetto di ac-countability pubblica che ben si presta a cogliere le componenti essen-ziali dei processi evolutivi che hanno interessato tutti i sistemi di rile-vazione quali-quantitativi dell’azienda pubblica, ivi compresi i sistemi contabili.

1.2 Il sistema contabile come componente del sistema informativo aziendale

Gran parte dell’attività umana si svolge nell’ambito di aziende sia-

no esse imprese, amministrazioni pubbliche o aziende non profit. L’azienda è «un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzio-ne, o di consumo, o di produzione e di consumo insieme, a favore del

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Capitolo I

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soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano»1. Il razionale ed economico svolgimento dell’attività aziendale richiede, poi, l’esistenza di un sistema informativo che sia in grado di produrre e gestire informazioni:

1. in merito all’efficacia strategica (capacità di formulare e raggiungere obiettivi coerenti con le aspettative degli inter-locutori esterni) ed all’efficienza operativa (corretto impie-go delle risorse) al fine di supportare le decisioni2;

2. sul contributo dell’azienda alla realizzazione dei diversi in-teressi che intorno ad essa orbitano al fine di mettere in condizioni i soggetti esterni di formarsi ed esprimere un giudizio.

Indubbiamente oggi il termine “sistema” viene utilizzato con una certa frequenza, con riguardo alle discipline più disparate. Nella sua definizione più semplice e lineare (che poi, nei fatti, è anche la più ef-ficace), per sistema si intende «un insieme di elementi che operano

1 Cfr. A. AMADUZZI, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1966. Nell’ambito degli studi economico-aziendali il concetto di a-zienda è stato oggetto di accesi dibattiti: non esiste una definizione universalmente accettata ma nemmeno delle divergenze inconciliabili. In alcuni casi è stata posta l’enfasi sugli elementi relativi alla struttura aziendale (persone, beni ed organizza-zione); in altri sugli aspetti legati al funzionamento (operazioni poste in essere); in altri ancora su una visione unitaria basata sul fine aziendale di soddisfazione dei bi-sogni umani. Per Zappa l’azienda è «un istituto economico destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordina-zione la produzione o il procacciamento e il consumo della ricchezza», cfr. G. ZAP-PA, Il reddito di impresa, Giuffrè, Milano, 1950. L’azienda ha dunque come fine principale il soddisfacimento dei bisogni umani e, per adempiere a tale scopo, deve ricercare e raggiungere una condizione di equilibrio economico a valere nel tempo. Secondo Onida l’azienda è un complesso economico che «ha vita continuamente rinnovantesi e mutevole di operazioni […] per la soddisfazione di bisogni umani, in quanto questa richieda la produzione o acquisizione e consumo di beni economici», cfr. P. ONIDA, Economia d’azienda, Utet, Torino, 1975. Per una ricostruzione pun-tuale delle caratteristiche e del funzionamento economico dell’azienda si rinvia a E. CAVALIERI, R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia aziendale, vol I, Giappichelli To-rino, 2005.

2 E. CAVALIERI, “Considerazioni sulle caratteristiche generali del sistema infor-mativo aziendale”, in Rivista Italiana di Ragioneria ed Economia Aziendale, n. 12, dicembre 1973, p. 396.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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congiuntamente per il raggiungimento di un fine»3. A seconda della tipologia degli elementi che lo compongono e dell’obiettivo che essi intendono congiuntamente perseguire, è possibile ovviamente distin-guere diversi tipi di sistemi.

Un sistema può essere aperto o chiuso a seconda che esso interagi-sca o meno con l’ambiente che lo circonda. Esso è caratterizzato da tre attività fondamentali4: input, elaborazione dell’input, output. In un si-stema aperto le suddette attività assumono la connotazione di «una immissione, una trasformazione ed una emissione»5 di elementi da e verso l’esterno.

Figura 1.1 Il sistema informativo

Fonte: adattato da M. W. E. GLAUTIER, B. UNDERDOWN, Accounting Theory and Practice, 5th Edition, Pitman Publishing, London, 1994, p. 13.

3 M. W. E. GLAUTIER, B. UNDERDOWN, Accounting Theory and Practice, 5th Edi-

tion, Pitman Publishing, London, 1994, p. 11. 4 M. W. E. GLAUTIER, B. UNDERDOWN, ibidem. 5 A. SALZANO, “Aspetti della rilevazione dei dati nelle imprese”, in Rivista Ita-

liana di Ragioneria ed Economia Aziendale, n. 4, Aprile 1973.

ELABORAZIONEAmbiente INPUT(dati

selezionati)

OUTPUT(informazi

oni) Utilizzatori

CONTROLLO

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Capitolo I

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Il sistema informativo può a ragione essere considerato un “siste-ma”, dal momento che esso consiste in un insieme di elementi (perso-ne e mezzi) che operano congiuntamente per il raggiungimento di un fine (fornire informazioni). Esso per di più consta delle tre attività ca-ratterizzanti un sistema (input, elaborazione dell’input, output) che at-tingono, ai fini del loro svolgimento, dal contesto esterno, evidenzian-do la natura di sistema aperto del sistema informativo (Fig.1.1).

Il sistema informativo serve a produrre le informazioni necessarie per condurre l’azienda secondo criteri di efficienza ed efficacia e per tenere sotto controllo la capacità di realizzare i necessari equilibri e-conomici, finanziari e patrimoniali.

I sistemi contabili forniscono una parte importante di queste infor-mazioni, mentre la restante parte si forma e viene gestita attraverso i sistemi extra-contabili. Si può operare però un tentativo di sintesi pro-ponendone una schematica classificazione (vedi Fig. 1.2).

Figura 1.2 Le componenti del sistema informativo

Fonte: nostra elaborazione

Come si nota nella Fig. 1.2 le informazioni possono essere di natu-ra quantitativa e non quantitativa. Le informazioni quantitative sono

informazioni

informazioni non quantitative informazioni quantitative

informazioni contabiliinformazioni non contabili

• Indicatori di sforzo• Indicatori di attività• Indicatori di risultato• Indicatori di qualità

• Informazioni di bilancio e contabilità generale

• Contabilità direzionale• Informazioni fiscali• Informazioni operative

SISTEMA INFORMATIVO

SISTEMA EXTRA CONTABILE SISTEMA CONTABILE

informazioni

informazioni non quantitative informazioni quantitative

informazioni contabiliinformazioni non contabili

• Indicatori di sforzo• Indicatori di attività• Indicatori di risultato• Indicatori di qualità

• Informazioni di bilancio e contabilità generale

• Contabilità direzionale• Informazioni fiscali• Informazioni operative

SISTEMA INFORMATIVO

SISTEMA EXTRA CONTABILE SISTEMA CONTABILE

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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esprimibili mediante i “numeri”. Le informazioni non quantitative so-no raccolte attraverso l’osservazione visiva, le conversazioni, ecc., e si esprimono in genere mediante “parole”. I sistemi contabili gestiscono prevalentemente informazioni quantitative e le informazioni contabili sono uno dei diversi tipi di informazioni quantitative. Esse si distin-guono dalle altre informazioni quantitative perché sono per lo più e-spresse in termini monetari. Informazioni quantitative non contabili sono invece, a esempio, il numero delle ore lavorative impiegate per lo svolgimento di una data attività, il numero di persone impiegate in una data unità organizzativa, il numero di utenti serviti, ecc. Tuttavia occorre precisare che la linea di demarcazione tra informazioni conta-bili ed informazioni quantitative non monetarie non è ben definita. Osservando un qualunque documento contabile di un’impresa o di un’amministrazione pubblica si può facilmente notare che all’interno di essi sono inclusi numerose informazioni quantitative non moneta-rie.

In linea di massima le informazioni contabili possono essere classi-ficate in quattro categorie6:

1. informazioni operative, 2. informazioni della contabilità direzionale, 3. informazioni di contabilità generale, 4. informazioni fiscali.

Le informazioni operative sono quelle necessarie per render possi-bile lo svolgimento delle attività ordinarie di qualsiasi azienda. Ad e-sempio si pensi a tutte le rilevazioni contabili necessarie per la defini-zione ed il pagamento degli stipendi (contabilità del personale), per la gestione delle scorte e del magazzino (contabilità di magazzino), per la gestione dei crediti commerciali e il pagamento da parte dei clienti (contabilità dei clienti), per la gestione delle forniture (contabilità dei fornitori), degli impianti (contabilità degli impianti), ecc.

Le informazioni della contabilità direzionale sono informazioni meno dettagliate e maggiormente sintetiche delle informazioni opera-tive, pur dovendo essere ad esse coerenti in virtù del fatto che deriva-no da un processo di selezione, aggregazione e/o interpretazione di

6 ANTHONY R.N., MACRÌ D.M., PEARLMAN L.K., Il bilancio: strumento di analisi

per la gestione, 3/ed, McGraw-Hill, 2004.

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Capitolo I

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queste ultime. Sono rivolte ed utilizzate dai vertici decisionali dell’azienda.

Le informazioni di contabilità generale, invece, derivano da un complesso di rilevazioni sistematiche che riguardano l’intera gestione aziendale la quale viene osservata nelle singole operazioni di cui si compone, mentre queste ultime sono interpretate secondo schemi di analisi e metodologie predefinite. Le informazioni di contabilità gene-rale soddisfano l’esigenza che si manifesta in ogni azienda di conosce-re e controllare i risultati globali delle decisioni assunte e sono rivolte sia al management sia ad interlocutori esterni (investitori, banche, cre-ditori, autorità pubbliche, parti sociali, ecc.).

Le informazioni fiscali si differenziano dalle altre tipologie di in-formazioni descritte in precedenza perché hanno una finalità specifica: la determinazione del reddito imponibile ai fini fiscali. Quest’ultimo è soggetto a criteri di determinazione che possono differire anche in mi-sura rilevante dai criteri utilizzati per la definizione del risultato di ge-stione.

Il sistema contabile7 si articola dunque in una serie di sotto-sistemi, ognuno dei quali ha propri obiettivi, si serve di specifici strumenti ed ha un particolare output.

La Fig. 1.3 mostra come il sistema contabile giochi un ruolo fon-damentale nel fornire le informazioni necessarie a legare tra loro i processi manageriali e collegare l’azienda al suo ambiente di riferi-mento8.

7 L’Amaduzzi afferma: «rispetto alla concezione dell’azienda come sistema eco-

nomico aperto, il sistema informativo è in realtà un sottosistema, la cui area è della medesima ampiezza di quella del sistema aziendale, anche se ne considera solo l’aspetto delle informazioni». A. AMADUZZI, “Il sistema informativo aziendale nei suoi caratteri fondamentali”, Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Azienda-le, Gennaio 1973, n. 1, p. 4.

8 A. R. BELKAOUI, Accounting Theory, The Dryden Press, 3rd Edition, 1992.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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Figura 1.3 Rapporto tra azienda ed ambiente ed esigenze informative

Fonte: adattato da A. R. BELKAOUI, Accounting Theory, The Dryden Press, 3rd

Edition, 1992, p.26.

La struttura interna dell’azienda è vista come composta di cinque attività “informative” prevalenti (pianificazione, processo decisionale, implementazione ed osservazione, strutturazione dei dati, valutazione delle performance) finalizzate a fornire al management le informazio-ni necessarie alla gestione. Dalla Fig. 1.4, tuttavia, si evince chiara-mente che non è solo il management ad aver bisogno di informazioni, bensì tutto l’ambiente che circonda l’azienda. Evidentemente quest’ultima, dunque, viene incontro alle esigenze conoscitive dei soggetti ad essa interessati approntando specifici sotto-sistemi di rile-vazione (contabilità generale, contabilità analitica, contabilità sociale, ecc.), che normalmente hanno come output un documento (bilancio di esercizio, budget, bilancio sociale, ecc.) con particolari caratteristiche e potenzialità informative.

Pianificazione

Valutazione delle

performance

Processo di strutturazione

dei dati (accounting)

Implementazione ed osservazione

Processo decisionale

BudgetBudget e piani

Decisioni

Dati grezzi

Valutazione esterna

dell’azienda

Mercato dei titoli

Protezione di interessi particolari

Autorità fiscali

Mercati dei fattori

produttivi

Mercati di sbocco

Competitor

Strutturazione esterna dei

dati

Politiche socio-

economiche

Previsioni

Reportinterni

Rep

orte

ster

ni

Report di performance

Reportstraordinari

Prez

zi de

i tit

oli

Regolamentazione

Informazione

Pratiche di mercato, ambientali, sociali…

Macro-politicheMicro-politiche

Decisioni regolatorie

Info

rmaz

ioni

rego

lato

rie

Statistiche di mercato e macroeconomiche

Sta

tistic

he d

i mer

cato

e m

acro

econ

omic

he

Tassi di salario, domanda di fattori e decisioni di prezzo

Implementazione

Informazione

Offerta di f.p., domanda dei prodotti e decisioni

competitive

Report esterni

Statistiche di mercato e macroeconomiche

AZIENDA

AMBIENTE

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Capitolo I

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Figura 1.4 Sotto-sistemi di rilevazione aziendali

Fonte: nostra elaborazione

Tali sottosistemi (che fanno tutti capo al sistema contabile) sono

evidentemente orientati alle differenti categorie di stakeholder, ser-vendo bisogni diversi.

Il sistema contabile, inoltre, può essere scomposto in varie compo-nenti, che possono essere così individuate9:

– il sistema delle rilevazioni preventive, strumentale alle deci-sioni relative agli interventi da realizzare ed alla forma del loro finanziamento;

– il sistema di rilevazione strictu sensu, riguardante le scritture contabili vere e proprie, oltre che i libri contabili e la loro te-nuta;

– il sistema delle sintesi di fine periodo. 9 E. CAPERCHIONE, I sistemi informativo-contabili nella Pubblica Amministra-

zione, Egea, Milano, 2000.

Sistema contabile

Contabilitàgenerale

Contabilitàfiscale

Contabilitàsociale

Management accounting

Management Portatori di capitale di rischio

Clienti Sindacati Stato Stakeholderinterni

Società in generale

Autoritàfiscali

Stakeholderin generale

Management

Contabilitàanalitica

Contabilitàindustriale

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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Inteso come strumento di selezione, elaborazione, produzione ed uso di informazioni contabili, il sistema contabile deve soddisfare un requisito fondamentale: «l’utilità per le varie categorie di soggetti in-teressati all’economia dell’azienda»10. Da ciò deriva, come vedremo meglio in seguito che i sistemi contabili devono cambiare quando mu-tano gli obiettivi conoscitivi e le aspettative informative o, in altri ter-mini, quando muta l’ambiente socio-economico in cui l’azienda ope-ra11. 1.3 I principi contabili

Abbiamo appena acquisito un punto di fondamentale importanza: i

sistemi contabili (ed in particolare il “bilancio” quale loro principale output) devono produrre un complesso di informazioni utili per le va-rie categorie di soggetti interessati all’economia dell’azienda (detti an-che stakeholder).

Questa semplice ed intuitiva affermazione pone però un problema di proporzioni assai rilevanti: come garantire che il sistema contabile produca (ed il bilancio rappresenti) informazioni utili rispetto ai fabbi-sogni conoscitivi dei diversi stakeholder?

Il problema non è di semplice soluzione, tra l’altro, per la possibile presenza di un trade-off tra la soddisfazione dei fabbisogni conoscitivi delle diverse categorie di stakeholder o, più in generale, per l’esistenza di interessi complessi e fini diversi non sempre convergen-ti12.

10 F. RANALLI, Il Bilancio di esercizio: caratteristiche e postulati, vol. I, Aracne,

Roma, 1994. 11 La centralità che si assegna al tema dell’utilità e, di conseguenza, ai destinata-

ri/utilizzatori delle informazioni, a prescindere dal fatto che essi siano interni o e-sterni all’azienda, è definita a livello internazionale come “paradigma degli user ne-eds”. Esso offre una conferma alla tesi secondo cui la ragioneria è una scienza socia-le e non una scienza esatta e quindi non si fonda su assiomi o verità assolute. I prin-cipi contabili, a differenza dei principi che regolano discipline scientifiche quali la fisica e la chimica, sono man-made, suscettibili perciò di smentite e, quel che è più importante, in continua evoluzione.

12 Il tema è stato proposto con particolare efficacia espositiva da A. AMADUZZI, “Conflitto ed equilibrio di interessi nel bilancio di impresa”, in Rivista Italiana di

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Capitolo I

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Si prenda ad esempio il caso di un’impresa. Si pensi a due raggrup-pamenti di stakeholder: da un lato il fisco e dall’altro tutti gli altri sta-keholder. Il fisco ha come interesse principale quello della conoscenza del reddito imponibile piuttosto che del risultato di esercizio. Se si vo-lesse attraverso il bilancio (il principale “prodotto” del sistema conta-bile) estremizzare questa esigenza informativa si potrebbe generare una sorta di “inquinamento fiscale” del bilancio e delle informazioni che da questo provengono a danno di tutti gli altri stakeholder. Analo-gamente si può ragionare con riferimento alla possibile divergenza di interessi tra altre categorie di stakeholder.

Si prenda ora ad esempio il caso di una amministrazione pubblica ed in particolare dei cittadini che con essa si relazionano. Come è noto agli studiosi di economia delle aziende e delle amministrazioni pub-bliche13 la categoria concettuale del cittadino ingloba al suo interno delle sottoclassi con interessi informativi diversi. Il cittadino è un “contribuente” ed anche un “utente”; a differenza di quanto avviene per i clienti di un’impresa, nel settore pubblico, il livello di contribu-zione che viene richiesto al “contribuente”: a) non è volontario ma co-attivo; b) non è correlato alla quantità/qualità dei beni o servizi ricevu-ti ma alla capacità contributiva. Ne discende che i meccanismi demo-cratici che caratterizzano lo Stato moderno impongono che, al sacrifi-cio richiesto al contribuente, corrisponda la possibilità “almeno” di esprimere un preventivo consenso sulle scelte delle amministrazioni pubbliche relative all’acquisizione delle risorse finanziarie (natura e provenienza delle entrate) ed al loro utilizzo (natura e destinazione delle spese). In questo senso sono nati i sistemi contabili “tradizionali” delle amministrazioni pubbliche: per soddisfare le attese dei cittadini-

Ragioneria, 1947, n. 7/8/9. Secondo l’Autore i vari gruppi di interessi che si affer-mano sulla composizione del bilancio di esercizio influiscono secondo loro specifi-che esigenze comportando variazioni e/o determinazioni che talvolta appaiono con-formi alle condizioni di equilibrio del sistema aziendale e talaltra divergono da que-ste. Sta appunto nella capacità di coloro che hanno responsabilità di redigere e pre-sentare il bilancio di esercizio contemperare e comporre tutte queste esigenze nel rispetto delle condizioni oggettive di equilibrio aziendale a valere nel tempo e nella prospettiva.

13 Cfr. ad esempio E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le ammini-strazioni pubbliche, Egea, Milano, 2002.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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contribuenti in termini di “autorizzazione” delle scelte fondamentali di prelievo ed utilizzo delle risorse. Lo “squilibrio storico” del sistema contabile pubblico deriva dal fatto che l’eccessiva focalizzazione sulle attese informative del cittadino-contribuente (unitamente ad una logi-ca interpretativa di tipo burocratico) ha portato ad un assetto contabile che si concentra sulle sintesi a “preventivo” dei valori che prefigurano l’andamento della gestione, trascurando il momento della rendiconta-zione a consuntivo di risultati raggiunti (e cioè trascurando le attese informative del management, degli utenti, ecc.)14.

Le esemplificazioni proposte confermano che il problema fonda-mentale dei sistemi contabili è quello della soddisfazione dei fabbiso-gni conoscitivi eterogenei e non necessariamente convergenti delle di-verse categorie di stakeholder.

Di qui il ruolo cruciale che viene svolto dai principi e dagli stan-dard contabili15 che possono fornire un utile supporto per la ricompo-sizione delle attese soggettive dei diversi stakeholder, vincolando i si-stemi contabili entro determinati confini16. In questa logica l’adozione

14 Come afferma Mussari «la cultura burocratica e i sistemi contabili e di control-

lo con essa coerenti si fondano sul tentativo di ingabbiare il dinamico procedere dei fenomeni reali e dei bisogni umani in categorie predefinite e valide per sempre. Ciò induce ad individuare una risposta ex ante e, per conseguenza, a definire e normare i comportamenti da adottare in base al presupposto che l’esecuzione puntuale di quan-to prescritto comporterà automaticamente la soddisfazione del bisogno. Secondo tale logica non è necessario rilevare, comunicare e sottoporre a valutazione il risultato conseguito come effetto dell’impiego delle risorse rese disponili, in quanto esso è dato per scontato, come meccanica conseguenza della puntuale esecuzione di un comportamento predefinito e cristallizzato in una norma». Cfr. R. MUSSARI, “Il mu-tamento dei sistemi contabili pubblici locali: valenze informative e culturali”, in Farneti G., Pozzoli S. (a cura di), Principi e sistemi contabili negli enti locali. Il pa-norama internazionale, le prospettive in Italia, Franco Angeli, Milano, 2005, pag. 35.

15 I principi contabili si dividono in “principi generali” o “postulati” (nella termi-nologia anglosassone, accounting principles) e “principi applicati” (accounting standards), che costituiscono la declinazione di quelli generali per le singole aree di bilancio.

16 Secondo un’altra definizione che ne enfatizza il “fine” i principi contabili sono «quell’insieme di concetti logicamente coerenti a sé stessi che costituiscono la base delle misurazioni contabili che sono rilevanti per soddisfare le esigenze degli utiliz-zatori», cfr. E. STAMP, “Establishing Accounting Principles”, ABACUS, Vo. 6, No.

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Capitolo I

20

di principi e standard «pur essendo un processo innaturale perché vio-la la singolarità di un’azienda rispetto ad un’altra e della stessa azien-da nel tempo; è tuttavia un processo necessario»17 per garantire la qualità e l’efficacia del processo dialettico tra azienda e ambiente.

Con particolare riferimento ai principi ed agli standard contabili è stato osservato18 che:

- in una prima accezione, i principi e gli standard sono un insie-me di criteri rispetto ai quali valutare la qualità del processo contabile posto in essere o dei risultati ottenuti attraverso esso;

- in una seconda, invece, i principi e gli standard sono delle vere e proprie “definizioni” dei contenuti e delle forme di rappresen-tazione che devono caratterizzare i documenti contabili al fine di informare al meglio le diverse parti interessate.

Emerge come nella prima accezione l’enfasi sia soprattutto sulle caratteristiche del “processo” e sui principi di redazione dei documenti contabili, mentre nella seconda l’enfasi sia posta invece sulla struttura ed i contenuti del “documento”. È bene precisare che nei principi e negli standard contabili sono tipicamente presenti entrambe le acce-zioni19, ma che esse pongono problematiche differenti20: - nella prima accezione il problema che si pone è quello

dell’attitudine a soddisfare simultaneamente i diversi interessi or-bitanti intorno all’azienda. La questione emergente è che un siste-ma contabile che sia eccellente rispetto a dati obiettivi possa essere assolutamente inidoneo se riferito ad altri scopi. Ne deriva che se il

2, 1970, p. 96. Secondo i nuovi principi contabili internazionali (IAS 1): «i principi contabili sono i principi, concetti di base, convenzioni, regole e prassi applicati da una impresa nella preparazione e nella presentazione del bilancio».

17 E. VIGANO, L’Economia Aziendale e la Ragioneria. Evoluzione, prospettive in-ternazionali, Cedam, Padova, 1996.

18 Con ciò ci si discosta dal dibattito pur molto presente nella letteratura econo-mico aziendale sul concetto di standardizzazione visto come categoria più stringente rispetto al concetto più elastico di armonizzazione contabile. Sul punto si rinvia a B.S. YAMEY, “A note on Accounting Standards”, in The Accounting Review, vol. 16, n.2, pp. 209-212, 1941; S. ZAMBON, Profili di ragioneria internazionale e compara-ta, Padova, Cedam, 1996.

19A.M. FELLEGARA, I principi contabili per il Bilancio di Esercizio, Giappichelli, Torino, 1990.

20 B.S. YAMEY, op. cit., 1941.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

21

sistema contabile (ed in particolare il “bilancio” quale suo princi-pale output) è visto come multi-scopo, è impossibile apprezzare il contributo che i principi contabili possono apportare al problema della convergenza dei fabbisogni conoscitivi dei diversi stakehol-der senza una preventiva esplicitazione della “filosofia di fondo” che ispira i principi stessi.

- nella seconda accezione, invece, il problema che si pone è quello della generale accettazione ed effettiva diffusione. Come una qua-lunque definizione se essa è diffusa, compresa ed accettata, chi ne fruisce è in grado di comprendere esattamente cosa essa rappresen-ti. D’altra parte, però, vi è un concreto rischio di fornire una “rap-presentazione convenzionale” che può discostarsi anche significa-tivamente da una veritiera rappresentazione della realtà aziendale. Vediamo come tali problematiche siano presenti nell’ambito della

statuizione dei principi contabili internazionali (IAS), su cui ci si con-centra in questa sede a titolo esemplificativo. Si può osservare co-munque che analoghi ragionamenti possono svolgersi con riferimento ad altri principi contabili (ad esempio ai principi contabili per gli enti locali)

I concetti fondamentali in base ai quali devono essere redatti i bi-lanci delle imprese secondo gli IAS sono indicati in un documento di notevole importanza: il Framework for the Preparation and Presenta-tion of Financial Statements, che espone la filosofia contabile di fondo degli IAS e indica le linee generali cui è informata la predisposizione di tutti i documenti successivi. I principi e concetti contenuti nel Fra-mework sono di fatto piuttosto simili ad altri principi (come quelli contabili nazionali) ma si caratterizzano per una differenza fondamen-tale che riguarda appunto l’obiettivo del bilancio: per il Framework IAS l’obiettivo del bilancio è soprattutto quello di fornire un comples-so di informazioni che siano le più utili per gli “investitori” affinché siano in grado di decidere se mantenere o meno i loro investimenti, se incrementarli o liquidarli.

Si prenda in considerazione, ad esempio, il seguente passo del Framework:

«I bilanci […] sono diretti alle esigenze di comune informazione di una gran-de varietà di utilizzatori. Alcuni di questi possono richiedere, e di fatto hanno il potere per ottenerle, informazioni supplementari in aggiunta a quelle con-

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tenute nei bilanci. Molti altri, invece, devono basarsi solo sui bilanci come principale fonte di informazione finanziaria e i bilanci dovrebbero, quindi, essere predisposti tenendo in considerazione le loro esigenze».

Ed ancora: «Tra gli utilizzatori dei bilanci sono compresi investitori attuali e potenziali, dipendenti, finanziatori, fornitori ed altri creditori, clienti, governi e relative istituzioni ed il pubblico. Questi soggetti utilizzano i bilanci al fine di soddi-sfare alcune tra le diverse esigenze di informazione […] Non tutte le esigenze di informazione di questi utilizzatori possono essere soddisfatte dai bilanci, anche se alcune di esse sono comuni a tutti gli utilizzatori. Dato che sono gli investitori a fornire capitale di rischio all’impresa, la preparazione di bilanci, che soddisfino le necessità informative di costoro, soddisferà anche la mag-gior parte delle necessità degli altri utilizzatori».

Questo obiettivo di fondo influenza profondamente tutta l’architettura logica degli IAS.

Una volta esplicitata la filosofia di fondo segue una coerente archi-tettura ed esposizione delle: finalità del bilancio, dei postulati del bi-lancio, delle caratteristiche qualitative del bilancio (comprensibilità, significatività, attendibilità, comparabilità, ecc.), degli elementi di struttura del bilancio, della iscrizione e della valutazione delle poste di bilancio.

Ciò che rileva è che, avendo come riferimento una economia in cui un ruolo sempre più cruciale è giocato dalla efficienza dei mercati fi-nanziari, in cui le imprese sono di grandi dimensioni, competono su scala globale e sono caratterizzate da assetti di governance tipici delle public companies, il bilancio non può che avere come scopo quello di tutelare il perno di questo sistema e, cioè, gli investitori.

Analogamente si può evidenziare che storicamente per i principi contabili nazionali l’obiettivo del bilancio è stato quello di esporre la composizione del patrimonio e del risultato economico di esercizio con criteri che siano tali da tutelare gli interessi dei soci e dei creditori. Ciò d’altronde è coerente con uno scenario economico caratterizzato da piccole e medie imprese non quotate.

Il caso dei principi contabili internazionali ci consente di trarre al-cune considerazioni generali che possono estendersi a tutti i principi contabili:

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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- i principi contabili si pongono quali strumenti di risoluzione del problema tipico dei sistemi contabili e, cioè, della soddisfazione simultanea dei diversi interessi di cui sono portatori i vari interlo-cutori aziendali;

- per risolvere tale problema i principi contabili operano nel seguen-te modo:

o valutano quali siano le caratteristiche dominanti nell’ambiente in cui i principi saranno chiamati ad ope-rare,

o sulla base di tali caratteristiche identificano i diversi possibili utenti ed i diversi interessi di cui sono portato-ri,

o identificano una scala di priorità da assegnare ai diversi possibili utenti del sistema contabile alla luce:

del ruolo più o meno cruciale che essi svolgono nell’ambiente economico di riferimento,

della capacità che i diversi utenti hanno in ter-mini di convergenza degli interessi informativi (in altri termini, si valuta se soddisfacendo le at-tese informative di una data categoria di sogget-ti si soddisferanno anche la maggior parte delle necessità degli altri utilizzatori),

o sulla base di tale scala di priorità identificano l’obiettivo del bilancio (es. fornire le informazioni più utili per gli investitori o per creditori)

o sulla base dell’obiettivo del bilancio costruiscono un insieme di principi generali, di principi applicativi, di criteri e metodi, nonché di contenuti e forme di rappre-sentazione delle informazioni.

Si tratta quindi di un processo logico piuttosto complesso ed artico-lato, ma che se ben esplicitato consente di argomentare che la qualità e l’efficacia dei principi contabili dipende dalla capacità che essi hanno di dare risposte concrete alle esigenze informative che si manifestano nel contesto di riferimento e negli attori ivi presenti.

In fondo è proprio su tali presupposti che, con riferimento alla real-tà delle imprese, si fonda il dibattito sulla possibilità o meno di realiz-zare l’armonizzazione contabile internazionale attraverso

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l’implementazione nei singoli contesti nazionali di standard contabili univoci, pensati per soddisfare le attese informative degli investitori delle società quotate.

In fondo è proprio su tali presupposti che, con riferimento alla real-tà delle aziende pubbliche locali (APL), Mussari afferma:

«alla diversa articolazione della scala dei bisogni, conseguente alle caratteri-stiche culturali delle comunità di persone, spazialmente e temporalmente de-finite, l’APL deve rapidamente rispondere non solo adeguando e variando il mix di costi, volumi e qualità dei servizi apprestati direttamente o indiretta-mente, ma anche modificando le logiche gestionali, di rilevazione e di rendi-contazione in modo da rapportarsi coerentemente all’evoluzione degli scenari socio-economici in cui si trova ad operare».

1.4 Le relazioni tra principi e sistemi contabili

Come più volte evidenziato il sistema contabile è un elemento fon-dante del sovra-sistema azienda, rispetto al quale svolge una funzione che non si limita alla mera raccolta dei dati, ma ricomprende la loro elaborazione secondo quelle che sono le esigenze informative del sog-getto economico e degli altri stakeholder. Ovviamente ciò presuppone un processo di continuo adeguamento del sistema contabile all’ambiente di riferimento dell’azienda «allo scopo di favorire la con-gruenza tra i finalismi aziendali, i diversi processi economici svolti, le decisioni tipiche e il sistema informativo-contabile»21. Col tempo, pe-raltro, non è solo l’ambiente che può mutare, ma anche gli scopi dell’azienda, il suo assetto istituzionale, le combinazioni economiche di cui essa è oggetto. Ciò comporta la necessità, nel momento in cui si raggiunga un “punto di discontinuità”22, di rivedere le teorie contabili ed il sistema contabile ad esse collegato, affinché quest’ultimo si riveli sempre efficace ai fini aziendali, anche in un’ottica di perseguimento dell’economicità.

Tra i principi ed i sistemi contabili, in altre parole, sussiste (o al-meno dovrebbe sussistere) una forte correlazione. I postulati

21 E. CAPERCHIONE, I sistemi informativo-contabili, cit.. 22 Ibidem.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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(nell’ordinamento italiano23 prudenza, comprensibilità, neutralità, ecc.), infatti, in un certo senso rappresentano gli obiettivi che un si-stema contabile ben congegnato dovrebbe raggiungere e i principi ap-plicati dovrebbero invece costituire l’anello di congiungimento, le re-gole pratiche da seguire per raggiungere i suddetti obiettivi. È eviden-te, dunque, che tra questi elementi dovrebbe esistere un rapporto di in-fluenza reciproca, grazie al quale cambiamenti nelle esigenze conosci-tive dovrebbero ripercuotersi in maniera repentina sui postulati, pro-vocando la modifica dei principi applicati e dunque l’adattamento del sistema contabile, così da permettere di soddisfare efficacemente i nuovi fabbisogni informativi. Solo un processo di questo tipo, infatti, può scongiurare il rischio che i sistemi contabili divengano obsoleti; peraltro il sistema di rilevazione può a sua volta fornire indicazioni u-tili riguardo il mutamento dei bisogni conoscitivi, riflettendosi positi-vamente sulla attualità dei principi contabili. Infatti, perché i principi e i sistemi contabili mantengano la loro efficacia, è indispensabile che essi tengano sempre in considerazione i soggetti interessati alla conta-bilità ed alle informazioni da essa fornite.

Se è vero che i principi contabili fanno da “collante” tra gli obietti-vi (i postulati) ed il sistema contabile ne consegue che anche nella de-finizione dei principi non si può prescindere dall’adozione di una logi-ca orientata ai destinatari delle informazioni ed alle loro esigenze. Di conseguenza, il processo di definizione dei principi contabili dovrebbe tener conto fondamentalmente di tre momenti24:

– una prima fase di “ricerca empirica”, necessaria per determinare la natura delle informazioni che la contabilità dovrebbe fornire, in funzione ovviamente dei bisogni degli utenti;

– una seconda fase di costruzione di una “struttura concettuale”, che leghi tra loro i concetti ed i valori rilevanti per i bisogni di cui so-pra;

– una iterata e continua analisi dell’ambiente circostante, per indivi-duare immediatamente l’eventuale inadeguatezza del sistema con-tabile in uso.

23 Cfr. Principio Contabile n. 11, Bilancio di esercizio. Finalità e postulati, Or-

ganismo Italiano di Contabilità, maggio 2005. 24 E. STAMP, op. cit.

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Figura 1.5 Il percorso di elaborazione di uno standard internazionale

Fonte: nostra elaborazione Questi tre momenti sono, a grandi linee, di norma rispettati dagli

standard setter. Ciò si evince, almeno in parte, anche dalla Fig. 1.5 che illustra il processo che porta alla nascita di uno standard contabile secondo lo IASB, la fondazione che ha rivisitato i vecchi standard in-ternazionali e istituito un primo nucleo di nuovi criteri.

Il percorso che porta alla omologazione (e dunque alla emanazione) di uno standard contabile è evidentemente piuttosto lungo e consta di diversi momenti di riflessione e consultazione.

Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente sulla flessibilità dei principi e dei sistemi contabili, che non possono evidentemente non tenere conto degli elementi che caratterizzano l’ambiente di riferimento delle organizzazioni cui si riferiscono, non trascurando parimenti gli obiet-tivi che si intende raggiungere, a loro volta correlati alle esigenze de-gli utilizzatori dei sistemi contabili (chi redige i documenti contabili, ma anche chi si serve delle informazioni da essi forniti).

Discussionpaper

Analisi e commenti

Analisi e commenti

Exposuredraft Standard

Contributi degli standard setter nazionali e delle rappresentanze

finanziarie e professionali

Omologazione

9-15 mesi 9-15 mesi 6-18 mesi

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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Tali soggetti possono essere ricondotti a tre categorie principali25: – gli organismi contabili26; – chi redige i documenti (i c.d. preparers); – gli utenti veri e propri.

25 A. BERRY, Financial Accounting. An introduction, Chapman & Hall, London,

1993; R. M. CYERT, Y. IJIRI, “Problems of implementing the Trueblood Objectives Report”, Journal of Accounting Research, 1974.

26 I principali organismi contabili e standard setter nazionali ed internazionali sono:

– l’AICPA (American Institute of Certified Public Accountants), l’ordine dei professionisti contabili statunitensi;.

– l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), organismo co-stituito dalla Commissione Europea (nell’ambito dell’Unione), destinato a collaborare con lo IASB nell’ambito della statuizione di principi e a fornire consulenza alla Commissione ;

– il FASB (Financial Accounting Standards Board), organismo privato il cui compito è quello di statuire i principi contabili generalmente accettati (GAAP) negli Stati Uniti;

– lo IASC (International Accounting Standards Committee), organismo pri-vato internazionale finalizzato, fino al 2001, a migliorare ed armonizzare le modalità di redazione di bilancio, mediante l’emanazione di principi conta-bili internazionali (IAS, oggi IFRS). Nel 2001 lo IASC, in seguito ad una fase di ristrutturazione, è diventato IASC Foundation. Dello IASC fanno parte soggetti che rappresentano le professioni contabili il Consiglio Na-zionale dei Dottori Commercialisti dal 1979 e il Consiglio Nazionale dei Ragionieri dal 1993;

– lo IASB (International Accounting Standard Board), che dal 1 Aprile 2001, in seguito alla riorganizzazione dello IASC, ha assunto la responsa-bilità della redazione dei principi contabili internazionali;

– l’IFAC (International Federation of Accountants), organizzazione mondia-le per la professione contabile responsabile dell’emanazione di standard sull’etica, sull’educazione e sulla contabilità del settore pubblico;

– l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), il National Standards Setter ita-liano. Nello svolgimento della sua attività l'OIC provvede a: a) emanare i principi contabili per la redazione dei bilanci per i quali non è prevista l'ap-plicazione dei principi contabili internazionali (settore privato, pubblico e non profit), b) fornire supporto in relazione all'applicazione in Italia dei principi contabili internazionali, operando in stretto contatto con l'Efrag, lo Iasb e gli altri standard setter europei, c) coadiuvare il legislatore nell'ema-nazione della normativa in materia contabile e connessa, d) promuovere la cultura contabile.

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Ovviamente un approccio di questo tipo, di chiaro stampo anglo-sassone, dimentica di considerare lo Stato, che nei paesi di civil law riveste una funzione primaria nella statuizione delle regole che disci-plinano la contabilità. Tuttavia esso può, a seconda del ruolo che rive-ste e dunque delle richieste avanzate, essere considerato di volta in volta come un organismo contabile (se si accetta una definizione am-pia di standard setter) o come un utente, un destinatario dell’informazione di bilancio.

Le finalità dei principi e dei sistemi contabili sono, ovviamente, percepite in modo diverso dai soggetti sopraelencati; non mancano, peraltro, divergenze di interesse tra i diversi gruppi (Fig. 1.6).

Nell’area indicata con il numero 1, gli utenti vorrebbero avere in-formazioni che né i redattori dei documenti né gli organismi contabili sono invece interessati a fornire loro. L’area 2, invece, include infor-mazioni che gli organismi contabili e gli utenti percepiscono come importanti, ma che i redattori sono restii a fornire. Questo tipo di con-flitti può essere facilmente risolto mediante la legge o tramite l’imposizione, da parte degli stessi organismi contabili, di particolari principi contabili.

L’area n. 3 circoscrive invece i dati a cui sarebbero interessati gli organismi contabili, ma che non hanno rilevanza né per chi redige i documenti né per i destinatari degli stessi. Si tratta, ad ogni modo, di un’area critica, perché il più delle volte quest’ultima categoria di sog-getti non riesce a discernere con oggettività le informazioni che po-trebbero essere utili per loro.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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Figura 1.6 Relazioni tra i soggetti interessati ai principi contabili

Fonte: adattato da A. BERRY, Financial Accounting. An introduction, Chapman & Hall, London, 1993, p. 27.

L’area n. 4 contiene le informazioni che gli organismi contabili e

chi redige i bilanci sono pronti a fornire senza difficoltà, ma che gli utenti trovano scarsamente interessanti. La situazione è esattamente opposta, invece, nell’area 6. L’area n. 5, invece, delimita le informa-zioni che solo chi redige i bilanci ritiene utili, ma che sono di nessuna o di poca utilità per gli altri soggetti.

Naturalmente l’area più “importante” è quella in cui convergono gli interessi delle tre categorie di soggetti sopra individuate, cioè l’area n. 7.

Come in tutti i casi in cui si cerca di “imbrigliare” la realtà in un modello che la razionalizzi, i confini tra le varie aree non sono ovvia-mente netti né univocamente definiti, ma piuttosto sfumati e suscetti-bili di mutamenti. Anzi, è evidente che, se uno sforzo deve essere compiuto, è proprio in direzione di un “restringimento” delle aree in cui più forti sono i conflitti di interesse e un “ampliamento” dell’“area di incontro”.

UtentiOrganismi contabili

Redattori dei documenti

1

2

7

3

4 6

5

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La tripartizione sopra illustrata, per di più, suggerisce l’esistenza di tre diversi modi di approcciare il problema della definizione dei prin-cipi contabili e, conseguentemente, dei sistemi contabili.

Un primo modo consiste nel partire dalla considerazione degli inte-ressi degli organismi contabili, tentando di far convergere in essi an-che gli interessi di chi redige e di chi utilizza i documenti contabili.

Una seconda via può essere quella di partire dai bisogni di chi redi-ge i bilanci, adattando ad essi quelli delle altre categorie di soggetti.

L’ultima strada consiste nel considerare come punto di partenza gli interessi degli utilizzatori dei documenti prodotti dai sistemi contabi-li27. È evidente che quest’ultimo approccio appare non solo come il più “democratico”, ma anche come il più efficace in una visione “stru-mentale” della contabilità.

Con particolare riferimento al contesto delle amministrazioni pub-bliche italiane (ed in particolare degli enti locali) ci si è orientati verso un approccio di questo tipo, con un evidente sforzo di “costruire” i principi contabili partendo dall’individuazione degli utilizzatori del bilancio e delle esigenze informative degli stessi. Ciò si evince chia-ramente dalla lettura del documento Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali, nel quale l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali cerca di individuare i principali soggetti in-teressati al bilancio ed i correlati fabbisogni informativi, nel tentativo di costruire uno standard che sia quanto più rispondente possibile ad essi (Tab.1.1).

27 La quasi totalità dei principi contabili internazionali si rifà ad un’impostazione

user-oriented.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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Tabella 1.1 Gli utilizzatori e le loro esigenze informative secondo i PCEL

Soggetti interessati Esigenze informative

Cittadini

I cittadini hanno il diritto di disporre di un documento che permet-ta loro di comprendere quali sono i concreti indirizzi dell’amministrazione (in termini di servizi, della loro efficacia e dei loro costi), i livelli di pressione fiscale programmati e realizza-ti dall’ente locale, i risultati delle politiche pubbliche del territorio.

Consiglieri ed amministratori

Il consiglio è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ed ha competenza in relazione agli atti fondamen-tali, tra cui «programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendi-conto…» (art. 42, c. 2, T.U.). È chiaro che questa attribuzione può essere pienamente esercitata solo se il sistema di bilancio è predi-sposto in modo tale da fornire una rappresentazione veritiera e corretta dei programmi e dei risultati dell’azione amministrativa dell’ente.

Organi di controllo ed altri enti pubblici

Il sistema di bilancio appresenta un documento essenziale per la comprensione del funzionamento dell’amministrazione. Gli enti pubblici e così pure gli organi di controllo devono poter disporre di una informazione che permetta loro di comprendere quale sia l’andamento economico, finanziario e patrimoniale dell’ente, così da poter assumere in modo consapevole i propri comportamenti in relazione a ciò.

Dipendenti

I dipendenti ed i loro gruppi di rappresentanza hanno interesse ad avere informazioni in merito ai programmi ed all’andamento eco-nomico, finanziario e patrimoniale dell’ente locale. In particolare i responsabili di servizio hanno la necessità di disporre di uno stru-mento che consenta loro di comprendere e quindi realizzare gli indirizzi programmatici dell’ente e verificarne i risultati.

Finanziatori

I finanziatori sono interessati alle informazioni che possano met-terli in grado di capire se i loro finanziamenti e i relativi interessi saranno pagati alle scadenze stabilite. L’istituto del dissesto, di cui al titolo VIII del T.U., rende particolarmente pressante l’interesse dei finanziatori in merito all’andamento finanziario dell’ente.

Fornitori

I fornitori e gli altri creditori commerciali sono interessati alle in-formazioni che possono metterli in grado di valutare la solvibilità dell’ente. Anche per fornitori ed altri creditori l’istituto del disse-sto rende indispensabile avere notizia dell’andamento dell’ente.

Fonte: OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Finalità e postu-lati dei principi contabili degli enti locali, Roma, Marzo 2004.

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1.5 L’accountability come “cornice concettuale” dei sistemi conta-bili nelle amministrazioni pubbliche

Se nei paragrafi precedenti sono state riassunte le nozioni basilari

dei sistemi e dei principi contabili ed il rapporto tra questi ed il dina-mismo ambientale, l’obiettivo del presente paragrafo è quello di con-testualizzare la tematica in oggetto alla realtà delle amministrazioni pubbliche, introducendo il concetto di accountability che ben si presta come framework generale.

1.5.1 Il concetto

Il termine accountability è di derivazione anglosassone ed è stato

oggetto di numerosi tentativi di definizione da parte degli studiosi dell’amministrazione pubblica (Tab 1.2).

Sebbene sia evidente che il concetto di accountability assuma mol-teplici forme e dimensioni, sembra comunque trasparire un “nocciolo duro” intorno al quale costruire una definizione: l’accountability è co-stituita da quell’insieme di azioni che svolgono la funzione sociale di “dar conto” da parte di un individuo o organizzazione ad un altro/a.

Così intesa l’accountability si configura come una relazione che le-ga due parti, in cui una (agente) agisce per conto dell’altra (principa-le). In virtù di tale constatazione gli studi sull’accountability hanno spesso impiegato lo schema teorico del “principale-agente” (Fig. 1.7) come supporto analitico e descrittivo28. Secondo la teoria del principa-le-agente, l’agente ha un incentivo a perseguire interessi in conflitto con quelli del principale e quest’ultimo, a causa dell’asimmetria in-formativa, non può sorvegliarne le azioni. L’accountability è vista come meccanismo in grado di contribuire a rendere compatibili tali in-teressi e a limitare il problema dell’asimmetria informativa: il princi-

28 Cfr. ad esempio J. BROADBENT, M. DIETRICH, R. LAUGHLIN, “The Develop-

ment of Principal-Agent, Contracting and Accountability Relationships in the Public Sector: Conceptual and Cultural Problems”, in Critical Perspectives on Accounting, vol. 7, n. 4, 1996.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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pale da un lato delega l’agente ad agire e dall’altro ha la possibilità di chiedergli la “resa del conto”.

Tabella 1.2 Le definizioni del concetto di accountability

Autore Definizione di accountability Dubnick M.J. – l’accountability è un relazione nella quale un individuo o un ente è te-

nuto a rispondere della performance connessa ad una data attribuzione di autorità ad agire. I meccanismi di accountability sono i mezzi con i quali determinare se un compito delegato è stato portato a termine in maniera soddisfacente (Dubnick M.J., Romzek B.S., 2000).

– l’accountability è costituita da quell’insieme di azioni che svolgono la funzione sociale di “dar conto” (Dubnick M.J., 2003).

Aucoin P, Hein-tzman R.

– l’accountability è la pietra angolare della governance e del management pubblico perché costituisce il principio che caratterizza i processi in cui chi detiene o esercita un’autorità pubblica è chiamato a “renderne conto” (Aucoin P, Heintzman R., 2000).

Mulgan R. – il significato del termine accountability sul quale la maggior parte degli autori concorda attiene al processo mediante il quale qualcuno è chia-mato a “dar conto” ad una qualche autorità per una data azione (Mul-gan R., 2000).

Roberts J., Scapens R.

– Il nucleo fondamentale del processo di accountability consiste «nel fornire e nel richiedere le ragioni per un dato comportamento» (Roberts J., Scapens R., 1985).

Gray A., Jenkins B.

– L’accountability è l’obbligo a dar conto e rispondere per l’esecuzione delle responsabilità a coloro i quali hanno assegnato tali responsabilità (Gray A., Jenkins B., 1993).

Boland R.J., Schultze U.

– L’accountability attiene alla «capacità e disponibilità a fornire spiega-zioni per un dato comportamento, dimostrando come le responsabilità sono state messe in atto» (Boland R.J., Schultze U., 1996).

Schedler A.

– Si può dire che A è accountable nei confronti di B, quando A è obbli-gato ad informare B circa le proprie azioni e decisioni (passate o futu-re), a giustificarle e ad accettare un’eventuale sanzione nel caso di una cattiva condotta (Schedler A., 1999)

OECD – L’accountability è l’obbligo di coloro ai quali è stata affidata una data

responsabilità di dar conto di, e di rispondere per, il suo adempimento (OECD, 2005)

GASB – L’accountability implica che le amministrazioni pubbliche rispondano

alla comunità amministrata e giustifichino il prelievo di risorse pubbli-che e gli scopi per i quali esse sono state impiegate (Mussari R., 1997)

Office of the Audi-tor General of

Canada

– L’accountability è una relazione basata sull’obbligo di dimostrare, rie-saminare e assumersi la responsabilità per la performance, sia con rife-rimento ai risultati raggiunti alla luce di obiettivi condivisi sia con rife-rimento ai mezzi utilizzati (Office of the Auditor General of Canada, 2002)

Fonte: nostra elaborazione

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Capitolo I

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Figura 1.7 Il modello principale/agente

Fonte: nostra elaborazione

La “funzione del dar conto” – centrale nel concetto di accountabi-

lity – può essere coniugata in maniera anche radicalmente diversa a seconda: a) del contesto storico e geografico in cui essa viene utilizza-ta; b) della matrice culturale e disciplinare di chi ne parla; c) dei sog-getti coinvolti, dell’oggetto e degli strumenti con la quale si realizza. Ne deriva una necessità di relativizzare il concetto e di coglierne la di-namicità piuttosto che accanirsi in una improbabile quanto sterile “in-terpretazione autentica” e riconduzione ad unità del fenomeno.

L’individuazione negli studi sulle amministrazioni pubbliche di dif-ferenti “dimensioni di analisi” dell’accountability è una delle espres-sioni più immediate del tentativo di “relativizzare” il concetto. In par-ticolare numerosi ricercatori29 hanno proposto di indagare il concetto di accountability sulla base delle seguenti determinanti:

29 Cfr. R.D. BEHN, Rethinking Democratic Accountability, Boston, Brooking Institu-tion Press, 2001; L. PARKER, G. GOULD, “Changing public sector accountability: cri-tiquing new directions” in Accounting Forum, vol 23, n.2, 1999; J.D. STEWART,

I meccanismi di accountability aumentano il livello di

informazione del principale aiutandolo a valutare se il

mandato sia stato rispettato, la fiducia sia stata ben riposta

In assenza di una rendicontazione l’agente può sfruttare a proprio vantaggio l’asimmetria

informativa

AGENTE(molte informazioni)

PRINCIPALE(poche informazioni)

assegnazione responsabilità/

sanzione cattiva condotta

accountability obbligo di rendere conto

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

35

Chi è accountable? Verso chi è accountable? Per che cosa è accountable? Come è accountable?

Tali determinanti possono essere utilizzate per costruire un modello di analisi.

1.5.2 Il modello di analisi

Il modello di analisi proposto è basato sui seguenti elementi:

1. Le traiettorie dell’accountability (chi è accountable verso chi?);

2. L’oggetto dell’accountability (accountability per che cosa?);

3. Gli strumenti dell’accountability (come si rende o-perativa l’accountability?).

A ciò si aggiunge un’ulteriore dimensione che attiene a come i tre summenzionati elementi assumano configurazioni diverse parallela-mente al processo di evoluzione delle amministrazioni pubbliche.

1) Le traiettorie dell’accountability L’individuazione delle traiettorie di accountability richiede un pas-

saggio preliminare che consiste nella mappatura dei possibili attori. La Fig. 1.8 individua le principali categorie di attori presenti nel contesto di azione delle amministrazioni pubbliche30.

“The role of Information in Public Accountability”, in Hopwood A., Tomkins C., Issues in Public Sector Accounting, London, Philip Allan Publisher Ltd, 1984. 30 Cfr. OECD, Towards Performance-Based Accountability: Issues for discussion, PUMA/OECD, Paris, 1997.

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Capitolo I

36

Figura 1.8 Le principali categorie di attori

Fonte: Nostra elaborazione (ispirato da OECD, Towards Performance-Based Accountabi-

lity, cit.) Sulla base delle relazioni di accountability che si instaurano tra gli

attori rappresentati nella Fig. 1.8 è possibile distinguere le seguenti traiettorie (Fig. 1.9): − accountability burocratica: si colloca all’interno delle organizza-

zioni pubbliche. Consiste nelle relazioni che legano i dipendenti pubblici al vertice amministrativo e nelle quali il superiore chiede al subordinato di “dar conto” delle attività svolte connesse all’esercizio delle autorità delegate;

− accountability ispettiva: si colloca all’esterno delle singole ammi-nistrazioni ma all’interno del sistema pubblico. Si concretizza nel-le istanze di “resa del conto” che diverse istituzioni indipendenti (audit office, corti dei conti, autorità, ecc.) possono formulare nei confronti delle amministrazioni pubbliche su diversi aspetti;

− accountability democratica: è la traiettoria tradizionale dei sistemi democratici. Essi si basano sull’assegnazione di un mandato poli-

Amministrazione pubblica

Vertice amministrativo

Dipendenti pubblici

Organo politicoEsecutivo

(ministro, presidente, sindaco)

Assemblea elettiva

Cittadini

Istituzioni indipendenti

(audit office, corti, Ombudsman,ecc.)

Agenzie e Quangos

Altre amministrazioni

pubbliche

Aziende private Organizzazioni della società civile

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

37

tico da parte dei cittadini ai rappresentanti politici eletti e su una delega di autorità da parte di questi all’organo esecutivo, il quale a sua volta assegna delle responsabilità ai vertici amministrativi. Ne consegue una catena di rapporti basati sul “dar conto” che opera nella direzione opposta31;

Figura 1.9 Rappresentazione di sintesi delle traiettorie di accountability

Fonte: Nostra elaborazione ((ispirato da OECD, Towards Performance-Based Accountability, cit.)

− accountability pubblica: consiste nell’impegno delle amministra-

zioni pubbliche di “dar conto” in via diretta a soggetti esterni inte-ressati (i cittadini in senso lato) del buon andamento dell’attività amministrativa32;

31 R.D. BEHN, Rethinking Democratic Accountability, cit. 32 A. SINCLAIR, “The Chameleon of Accountability: Forms and Discourses”, in Ac-counting, Organizations and Society, vol. 20, n.2/3, 1995, pagg. 219-237.

Amministrazione pubblica

Vertice amministrativo

Dipendenti pubblici

Organo politicoEsecutivo

(ministro, presidente, sindaco)

Assemblea elettiva

Cittadini

Istituzioni indipendenti

(audit office, corti, Ombudsman,ecc.)

Agenzie e Quangos

Altre amministrazioni

pubbliche

Aziende private Organizzazioni della società civile

Amministrazione pubblica

Vertice amministrativo

Dipendenti pubblici

Amministrazione pubblica

Vertice amministrativo

Dipendenti pubblici

Organo politicoEsecutivo

(ministro, presidente, sindaco)

Assemblea elettiva

Cittadini

Istituzioni indipendenti

(audit office, corti, Ombudsman,ecc.)

Agenzie e Quangos

Altre amministrazioni

pubbliche

Aziende private Organizzazioni della società civile

Accountability burocratica

Legenda:

Accountability democratica

Accountability pubblica

Accountability reticolare

Accountability ispettiva

Accountability negoziale

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Capitolo I

38

− accountability reticolare: riguarda le relazioni “biunivoche” che legano i diversi attori che collaborano nel soddisfacimento dei bi-sogni pubblici;

− accountability negoziale: lega alcune amministrazioni pubbliche (ministeri, regioni ed enti locali) ad enti ed agenzie ad esse colle-gati ma dotati di livelli più o meno ampi di autonomia gestionale e riguarda gli accordi con i quali questi ultimi “danno conto” alle prime del raggiungimento degli obiettivi o della corretta esecuzio-ne dei compiti assegnati.

2) L’oggetto dell’accountability Con riferimento all’oggetto, la funzione del “dar conto” può assu-

mere diverse configurazioni33: − accountability per l’utilizzo appropriato delle risorse finanziarie: si

concentra sul fatto che le risorse finanziarie siano state utilizzate in maniera “appropriata” sotto il profilo della legittimità della spesa e del rispetto delle procedure contabili. In altri termini coloro che u-tilizzano denaro pubblico sono chiamati a “renderne conto”, dimo-strando che tali risorse sono state utilizzate in conformità con le finalità e le disposizioni sancite dalle norme;

− accountability sul processo: riguarda il rispetto delle procedure e delle norme relative all’imparzialità dell’agire pubblico. In questo caso l’oggetto del “dar conto” è la dimostrazione della conformità dell’azione a prescrizioni normative;

− accountability sulle performance: l’oggetto della funzione del “dar conto” è relativo all’efficienza e, cioè, alla capacità dell’amministrazione pubblica di realizzare il più elevato livello (qualitativo e quantitativo) di prestazioni o servizi (output) a parità di risorse impiegate nel processo di produzione (input);

− accountability sui programmi: l’accountability si concentra sulla capacità delle amministrazioni di realizzare gli obiettivi che sono stati prefissati;

33 J.D. STEWART, “The role of Information in Public Accountability”, cit.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

39

− accountability sulle politiche: in questo caso l’oggetto del “dar conto” è molto ampio in quanto attiene alla capacità di soddisfare le domande ed i bisogni che vengono considerati, in determinati periodi storici ed in determinati contesti, meritevoli di attenzione da parte delle istituzioni pubbliche. È relativa tanto ai risultati (ou-tcome) quanto ai processi di attuazione delle politiche pubbliche.

3) Gli strumenti dell’accountability All’oggetto dell’accountability si legano gli strumenti. A titolo e-

semplificativo si possono individuare gli strumenti contenuti della Tab. 1.3.

Tabella 1.3 Gli strumenti dell’accountability (esempi)

OGGETTO STRUMENTI

accountability per l’utilizzo ap-

propriato delle risorse finanziarie

• contabilità finanziaria (autorizzatoria) • controlli esterni di legittimità della spesa • sistemi di financial reporting • limiti di cassa • patti di stabilità

accountability sul processo

• servizi ispettivi • commissioni anticorruzione • ombudsman • accesso ai documenti e identificazione dei respon-

sabili dei proc. amministrativi • codici etici e di condotta

accountability sulle performance

• contabilità economico-patrimoniale • controllo di gestione (indicatori di performance) • standard di qualità • performance audit

accountability sui programmi • controllo strategico • valutazione dei programmi • performance agreements

accountability sulle politiche

• balanced scorecard • impact analysis and evaluation • strumenti di valutazione delle politiche pubbliche • strumenti di rendicontazione sociale

Fonte: Nostra elaborazione

Accostando ora le tre dimensioni di analisi è possibile proporre uno

schema di sintesi che costituisce il modello che verrà utilizzato per in-

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Capitolo I

40

dagare le dinamiche del concetto di accountability nel processo di e-voluzione delle amministrazioni pubbliche.

Tabella 1.4 Lo schema di sintesi

TRAIETTORIE

DELL’ACCOUNTABILITY

a) accountability burocratica b) accountability ispettiva c) accountability democratica d) accountability pubblica e) accountability reticolare f) accountability negoziale

OGGETTO

DELL’ACCOUNTABILITY

a) accountability per l’utilizzo appropriato delle risorse finanziarie

b) accountability sul processo c) accountability sulle performance d) accountability sui programmi e) accountability sulle politiche

STRUMENTI

DELL’ACCOUNTABILITY

a) contabilità finanziaria (autorizzatoria); controlli esterni di legittimità della spesa; sistemi di financial repor-ting; limiti di cassa; patti di stabilità.

b) servizi ispettivi; commissioni anticorruzione; ombudsman; accesso ai documenti e identificazione dei responsabili dei proc. amministrativi; codici etici e di condotta.

c) contabilità economico-patrimoniale; controllo di ge-stione (indicatori di performance); standard di qualità; performance audit.

d) controllo strategico; valutazione dei programmi; per-formance agreements.

e) balanced scorecard; impact analysis and evaluation; indagini; altri strumenti di valutazione delle politiche pubbliche; strumenti di rendicontazione sociale (bilan-cio sociale, di mandato, ecc.)

Fonte: Nostra elaborazione

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

41

1.5.3 Le differenti configurazioni dell’accountability assunte nei pro-cessi evolutivi del settore pubblico

Nell’ultimo secolo sono stati individuati tre principali “stadi evolu-

tivi” delle amministrazioni pubbliche34: − La Pubblica Amministrazione “tradizionale”: descrive le caratteri-

stiche principali delle amministrazioni pubbliche dalla fine del di-ciannovesimo secolo a metà degli anni ’70. Emerge in un contesto caratterizzato dal problema della corruzione e scarsa imparzialità dell’azione amministrativa.

− La Pubblica Amministrazione “manageriale”: emerge con forza a partire dalla fine degli anni ’70 in alcuni paesi “pilota” per poi dif-fondersi, a partire dalla fine degli anni ’80, nella maggior parte dei paesi avanzati. Si caratterizza per l’enfasi che viene posta sull’applicazione di logiche e metodi manageriali volti a promuo-vere l’efficienza e l’efficacia gestionale delle amministrazioni pubbliche.

− La Pubblica Amministrazione “reticolare”: è il più recente stadio evolutivo (fine anni ’90). È al contempo causa ed effetto del ripo-sizionamento dei confini tra stato, mercato e società civile. Si ca-ratterizza per l’assegnazione alle amministrazioni pubbliche di un ruolo di guida (steering) di network complessi piuttosto che un ruolo di gestione diretta di servizi.

Come si evince dalla Tab 1.5 il concetto di accountability assume significati e ruoli diversi a seconda dello stadio evolutivo delle ammi-nistrazioni pubbliche. È possibile distinguere tre interpretazioni dina-miche (o prospettive) di accountability:

1. l’accountability “tradizionale”; 2. l’accountability “managerialista”; 3. la governance accountability.

34 Per la letteratura in argomento si rinvia al capitolo successivo.

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Capitolo I

42

Tabella 1.5 Differenti configurazioni dell’accountability nel processo evoluti-vo della pubblica amministrazione

Stadio evolutivo della pubblica amministrazione

Caratteristiche dell’accountability

Pubblica Amministra-zione “tradizionale”

(Public Administration classica e neoclassica)

Pubblica Amministra-zione

“manageriale” (New Public

Management)

Pubblica Amministra-zione

“reticolare” (Public Governance)

traiettorie dell’accountability

enfasi su:

- accountability bu-rocratica

- accountability i-spettiva

- accountability de-mocratica

- accountability pub-blica

- accountability ne-goziale

- accountability reti-colare

- accountability pub-blica

- accountability ne-goziale

oggetto dell’accountability

enfasi su:

- accountability per l’utilizzo appro-priato delle risorse fin.

- accountability sul processo

- accountability sulle performance

- accountability sui programmi

- accountability sui programmi

- accountability sulle politiche

strumenti dell’accountability

- CONTABILITÀ FINANZIARIA (AUT.)

- controlli esterni di legittimità della spesa

- SISTEMI DI FI-NANCIAL RE-PORTING

- servizi ispettivi - commissioni anti-

corruzione - ombudsman - accesso ai docu-

menti - codici etici

- CONTABILITÀ ECON-PATRIMONIALE

- controllo di gestio-ne (indicatori di performance)

- standard di qualità - performance audit - performance con-

tracting - controllo strategico - valutazione dei

programmi

- balanced scorecard - impact analysis

and evaluation - strumenti di valuta-

zione delle politi-che pubbliche

- STRUMENTI DI RENDICONTA-ZIONE SOCIALE

- BILANCIO CON-SOLIDATO

Accountability tra-dizionale

⇓ Accountability ma-

nagerialista

⇓ Governance ac-

countability Fonte: Nostra elaborazione

− L’accountability “tradizionale” consiste in una catena di relazioni

basate sul “dar conto” che lega il dipendente pubblico al suo supe-riore amministrativo; il vertice amministrativo all’organo esecuti-vo; quest’ultimo all’assemblea dei rappresentanti eletti ed infine quest’ultima ai cittadini. Si tratta di un sistema di accountability

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

43

che è frutto di una visione wilsoniana, tayloristica e weberiana dell’amministrazione, in base alla quale separando l’amministrazione dalla politica (Wilson), applicando l’indagine scientifica al disegno del processo di lavoro ottimale (Taylor) ed impiegando il modello burocratico per implementare tale processo di lavoro (Weber), la pubblica amministrazione avrebbe potuto ga-rantire l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione ammini-strativa, sconfiggendo il problema molto sentito della corruzione. È interessante notare come questo impianto combini tre traiettorie di accountability: democratica, ispettiva e burocratica. Infatti, se valgono i due assunti secondo cui l’amministrazione deve essere separata dalla politica e la burocrazia è in grado di adottare la via più efficiente per implementare una data politica pubblica, l’attenzione del cittadino si dovrà concentrare sulla “politica” e cioè nei confronti dei rappresentanti politici eletti (accountability democratica). A sua volta l’attenzione del politico si concentrerà invece nei confronti dell’amministrazione e, dal momento che non potrà concernere le scelte tecniche che sono frutto dell’applicazione dei principi di scientifici, si concentrerà sulla de-finizione e rispetto di regole e norme generali, sulle quali vengono strutturate le relazioni di accountability. Ma in un contesto in cui la separazione politica-amministrazione è un assioma fondamenta-le è opportuno che sia un organo esterno, indipendente e tecnica-mente competente, a chiedere e ricevere la “resa del conto” circa la legittimità delle scelte (accountability ispettiva). Infine, all’interno dell’amministrazione ogni dipendente pubblico è tecni-camente accountable, attraverso la struttura gerarchica tipica della burocrazia (accountability burocratica). L’onestà, l’integrità, l’imparzialità e l’obiettività caratterizzano il comportamento dei dipendenti pubblici e sono l’oggetto principale delle relazioni di accountability tra dipendenti pubblici e vertici amministrativi o, meglio, tra gli uffici di livello gerarchico inferiore e quelli di livel-lo superiore. Occorre osservare che questa impostazione tradizio-nale dell’accountability non è stata del tutto superata in quanto al-cune sue tracce sono ancora presenti sia pure con accenti diversi a seconda dei differenti contesti amministrativi e dei diversi livelli di governo. Come conseguenza di quanto finora descritto

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Capitolo I

44

l’accountability tradizionale ha come oggetto prevalente la legit-timità, l’appropriatezza dell’utilizzo di risorse finanziare ed, in ge-nerale, la conformità dell’azione a prescrizioni normative. È quella che è stata definita come compliance based accountability35.

− L’accountability “managerialista” può essere considerata il frutto di un’agenda di riforma che, a partire dalla fine degli anni ’70, ha cominciato ad essere sempre più incisivamente caratterizzata da logiche e strumenti di tipo manageriale. Se il modello di Pubblica Amministrazione tradizionale era stato in grado di mitigare il pro-blema della corruzione esso era stato incapace di risolvere (ed anzi aveva concorso a generare) il problema dell’inefficienza36. Di con-seguenza il connotato che maggiormente distingue l’accountability “managerialista” rispetto a quella “tradizionale” attiene all’oggetto: l’enfasi non è più (solo) sulla legittimità e l’appropriatezza del processo ma soprattutto sulle performance conseguite in termini di efficienza ed efficacia gestionale (accoun-tability sulle performance). Ne consegue che in questa imposta-zione l’accountability diviene una sorta di “contrappeso” rispetto all’autonomia che è necessario riconoscere ai “manager” pubblici per agire. Ne consegue, inoltre, che l’oggetto della “resa del con-to” non potrà più essere limitato alla corretta esecuzione del com-pito ma si estenderà alle performance raggiunte nell’ambito dell’autonomia assegnata. L’oggetto del “dar conto” si allarga alla capacità delle amministrazioni di realizzare gli obiettivi che sono stati prefissati (e cioè quella che in precedenza abbiamo detto esse-re l’accountability sui programmi). Nella prospettiva manageriale inoltre l’enfasi è posta sul cittadino inteso come “cliente”: non so-lo il politico eletto, ma anche il manager pubblico è chiamato a “dar conto” al suo “cliente” delle performance conseguite (ac-countability pubblica). Il processo di riforma manageriale ha por-tato, in molti casi, al decentramento (o esternalizzazione) dell’offerta dei servizi ed alla separazione all’interno del sistema pubblico tra i ruoli di acquirente e fornitore. Ciò ha richiesto la de-

35 OECD, Towards Performance-Based Accountability, cit. 36 R.D. BEHN, “The New Public Management and the Search for Democratic Ac-countability”, in International Public Management Journal, n.1, 1998, pag. 133.

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I principi ed i sistemi contabili: concetti introduttivi

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finizione di nuove relazioni di accountability (“negoziale”) con le quali le amministrazioni pubbliche con il compito di definire le strategie (ministeri, regioni ed enti locali) possano essere in grado rendere accountable sul raggiungimento degli obiettivi gli enti ed agenzie ad esse collegati ma dotati di livelli più o meno ampi di autonomia gestionale. Da ciò deriva inoltre la necessità di preve-dere strumenti di accountability con i quali resposanbilizzare tali enti o agenzie nei confronti delle prestazioni erogate ai cittadini - utenti (standard di qualità, carte dei servizi, ecc.). Passando agli strumenti si possono notare due fenomeni. Da un lato, sono stati creati nuovi strumenti coerenti all’enfasi che l’accountability “managerialista” pone sulle performance e sul raggiungimento de-gli obiettivi: è il caso ad esempio dei sistemi contabili che iniziano anche nel settore pubblico ad orientarsi verso logiche di contabilità economico-patrimoniale.

− La governance accountability è la prospettiva più recente e dun-que meno consolidata ed approfondita37. Essa si afferma in un contesto in cui il problema emergente è quello della capacità di governare sistemi e reti di soggetti economici e sociali, piuttosto che di dotarsi logiche manageriali volte a promuovere l’efficienza e l’efficacia gestionale. È accaduto infatti che per effetto dei pro-cessi di globalizzazione e del principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale), il settore pubblico sia stato oggetto di una consi-stente ridistribuzione di responsabilità al proprio interno (tra i vari livelli di governo) e all’esterno (rispetto agli attori di mercato e della società civile). Ne consegue che la risposta ai bisogni sociali è sempre meno affidata ad entità unitarie e sempre più ad una mol-teplicità di soggetti dotati di vari gradi di autonomia. Se l’esigenza di governance è quella di indirizzare l’azione dei vari soggetti ver-so un fine unitario e «di creare consenso attorno a determinate scelte»38, la governance accountability ha la funzione di garantire: a) la convergenza dell’azione dei vari soggetti verso un fine unita-rio (accountability reticolare); b) la “resa del conto” all’esterno

37 MCGARVEY N., “Accountability in Public Administration: A Multi- Perspective Framework of Analysis”, in Public Policy and Administration, vol. 16, n. 2, 2001. 38 BORGONOVI E., Principi e sistemi aziendali,cit.

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Capitolo I

46

(cittadini) relativamente all’impiego delle risorse ed ai risultati “complessivamente” raggiunti a prescindere dal numero e dalla natura degli attori che vi hanno concorso (accountability pubbli-ca). A tal fine la governance accountability enfatizza come ogget-to della “resa del conto” non solo le performance ma soprattutto la capacità complessiva di soddisfare i bisogni pubblici e, cioè, di generare “ricadute sociali” desiderabili come esito dei processi di formulazione ed attuazione delle politiche pubbliche (accountabi-lity sulle politiche). Sotto il profilo degli strumenti, infine, si regi-stra l’affermarsi di logiche di bilancio consolidato per i gruppi pubblici, di forme di rendicontazione sociale e di tecniche di valu-tazione degli impatti o di valutazione bilanciata (balanced score-card).

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47

Capitolo II Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed

evoluzione di Fabio Monteduro

2.1 Le amministrazioni pubbliche: questioni definitorie

Nel linguaggio comune si utilizzano i termini amministrazioni pub-bliche o pubblica amministrazione per indicare quel complesso di soggetti che comprende l’amministrazione statale (e cioè i ministeri e le agenzie), il governo locale (regioni, province, comuni e città metro-politane) e gli enti pubblici (nazionali come l’INPS o locali come le Camere di Commercio).

Se, però, dal linguaggio comune ci si colloca su un piano scientifi-co diviene assai più complesso precisare cosa si intenda per ammini-strazioni pubbliche e ciò «non perché manchi una definizione ma per-ché ce ne sono troppe»1. Le ragioni di questa ambiguità terminologica sono molteplici2, ma in questa sede si intende focalizzare l’attenzione sul fatto che una delle ragioni prevalenti sia il fatto che di amministra-zioni pubbliche si interessano, con diverse prospettive, approcci disci-plinari differenti tra cui quello giuridico, quello sociologico e polito-logico, quello economico-politico ed infine quello economico-aziendale.

Sebbene le definizioni proposte dagli altri approcci disciplinari sia-no temporalmente maggiormente consolidate e quantitativamente più diffuse, dati gli scopi e la collocazione del presente lavoro è utile ini-

1 M. CAMMELLI, La pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 12. 2 Secondo Borgonovi una ragione generale è ascrivibile al fatto che nelle discipline sociali (quali l’economia aziendale, le scienze politiche, ecc), a differenza di quelle naturali e formali quali la fisica, spesso gli stessi termini sono utilizzati per esprime-re concetti diversi o, viceversa, gli stessi concetti sono espressi con termini diversi. Cfr. E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali, cit., pag. 3.

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Capitolo II

48

ziare l’impostazione del problema definitorio a partire dal pensiero economico aziendale.

2.1.1 Le amministrazioni pubbliche secondo l’Economia aziendale L’Economia Aziendale è la «scienza che studia le condizioni di esi-

stenza e le manifestazioni di vita delle aziende»3. Nell’ambito degli studi economico-aziendali il concetto di azienda

è stato oggetto di accesi dibattiti. In alcuni casi è stata posta l’enfasi sugli elementi relativi alla struttura aziendale (persone, beni ed orga-nizzazione); in altri sugli aspetti legati al funzionamento (operazioni poste in essere); in altri ancora su una visione unitaria basata sul fine aziendale di soddisfazione dei bisogni umani.

Per Zappa l’azienda è «un istituto economico destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in con-tinua coordinazione la produzione o il procacciamento e il consumo della ricchezza»4. L’azienda ha dunque come fine principale il soddi-sfacimento dei bisogni umani e, per adempiere a tale scopo, deve ri-cercare e raggiungere una condizione di equilibrio economico a valere nel tempo.

Secondo Onida l’azienda è un complesso economico che «ha vita continuamente rinnovantesi e mutevole di operazioni […] per la sod-disfazione di bisogni umani, in quanto questa richieda la produzione o acquisizione e consumo di beni economici»5.

Evidenziando il carattere sistemico e l’aspetto funzionale Amaduz-zi afferma che l’azienda «è un sistema di forze economiche che svi-luppa, nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi coope-rano»6.

3 G. ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Istituto editoriale scientifico, Venezia, 1927, pag. 30. 4 G. ZAPPA, Il reddito di impresa, Giuffrè, Milano, 1950. 5 P. ONIDA, Economia d’azienda, Utet, Torino, 1975. 6 A. AMADUZZI, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1966.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

49

Un elemento che ricorre in tutte le autorevoli definizioni riportate è la distinzione tra organizzazioni produttive ed organizzazioni di ero-gazione o di consumo. In altri termini la dottrina economico-aziendale ha storicamente distinto le organizzazioni economiche e le aziende sulla base dello scopo immediato per il quale è svolta la gestione, in-dividuando:

1. le aziende di produzione: hanno come scopo primario e finalità esclusiva la produzione di beni o di servizi da destinare al mer-cato per conseguire un reddito. L’azienda di produzione che, in una economia di mercato, assume come scopo immediato il con-seguimento del profitto attraverso lo scambio, viene denominata impresa. Come osserva Zappa «l’impresa, azienda che produce economicamente per il mercato, non è il solo istituto al quale sia stata affidata la produzione nell’odierno ordinamento sociale. Si hanno aziende di produzione che perseguono la produzione non per il conseguimento diretto di un reddito, ma per l’ottenimento di beni destinati all’appagamento dei bisogni dell’azienda»7. Occorre quindi evitare l’equivalenza tra impresa ed azienda di produzione, in quanto la prima è una fattispecie particolare della seconda.

2. le aziende di erogazione (o di consumo): hanno come fine im-mediato il soddisfacimento dei bisogni del soggetto d’azienda o quelli da esso definiti, ottenuto mediante la destinazione ai con-sumi presenti e futuri di redditi monetari variamente conseguiti, oppure di beni o servizi provenienti da collaterali gestioni pro-duttrici. Rientrerebbero in questa categoria l’azienda familiare, le associazioni, le fondazioni, le amministrazioni pubbliche, ecc.

Questa classificazione, pur rappresentando una rigorosa categoriz-zazione logica, ha dimostrato nel tempo alcuni evidenti limiti di tipo pratico. Come ebbe ad affermare Amaduzzi «solo come frutto di mera astrazione può concepirsi l’azienda di erogazione pura»8. Tutte le a-ziende di erogazione svolgono nell’ambiente di cui sono parte com-plementare, a fianco di vari processi erogativi un’attività produttrice di

7 G. ZAPPA, Le produzioni nell’economia delle imprese, tomo I e II, Giuffrè, 1957. 8 A. AMADUZZI, Aziende di erogazione. Primi problemi di organizzazione, gestione e rilevazione, Casa editrice Giuseppe Principato, 1936.

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Capitolo II

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reddito, ad opera della quale una frazione del reddito della collettività viene vincolata a vantaggio del soggetto d’azienda.

Approfondendo questo ragionamento Cavalieri sottolinea che «la maggior attenzione che necessariamente viene dedicata alle comples-sive performance delle organizzazioni fa emergere che non esistono organizzazioni che non producano beni o servizi»9. L’autore si inter-roga sulla effettiva utilità di mantenere in vita la categoria delle azien-de di erogazione. Il problema si pone proprio con riferimento alle amministrazioni pubbliche e, cioè, al campo della produzione dei ser-vizi che non vengono venduti sul mercato, ma ceduti gratuitamente ai cittadini utilizzatori10. Partendo dall’osservazione che anche nelle amministrazioni pubbliche prevale largamente l’economia di produ-zione del servizio sulla logica erogativa, Cavalieri conclude il ragio-namento riportando le amministrazioni pubbliche nella categoria logi-ca delle organizzazioni produttive. Questa operazione rende più sem-plice e naturale associare l’esigenza di economicità (intesa come effi-cacia strategica ed efficienza operativa) anche alle organizzazioni pubbliche, laddove la qualificazione di esse tra le unità di consumo rendeva tale considerazione meno evidente anche se non meno neces-saria.

Non tutte le organizzazioni produttive (e, di conseguenza, non tutte le amministrazioni pubbliche) possono qualificarsi come aziende. Per assumere tale qualità ogni organizzazione produttiva deve possedere alcuni caratteri essenziali, tra cui: a) la visione sistemica; b) l’autonomia; c) l’economicità.

La visione sistemica implica la necessità di integrare tutte le opera-zioni poste in essere per realizzare gli obiettivi dell’organizzazione. In altri termini i fatti aziendali che costituiscono la vita aziendale non so-no tra loro scollegati ma sono strettamente avvinti in un rapporto di causa-effetto.

L’autonomia si manifesta come sintesi di condizioni oggettive e soggettive11. Le condizioni oggettive si concretizzano nella “durabili-

9 E. CAVALIERI, “Le operazioni che caratterizzano l’attività di impresa”, in Cavalieri E., Ferraris Franceschi R., Economia Aziendale, vol. I, Giappichelli, Torino, 2005. 10 Ibidem. 11 G. FERRERO, Istituzioni ed economia d'azienda, Giuffrè, Milano, 1968.

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tà” dell’azienda ed in particolare nel principio dell’operatività econo-mica: l’azienda deve ambire al mantenimento di un equilibrio fra fab-bisogno di fattori da impiegare e modalità di copertura di quel fabbi-sogno. Per quel che concerne le condizioni soggettive di autonomia, l’attenzione è rivolta al soggetto economico che si deve trovare in condizioni di “indipendenza” nell’esercizio delle sue funzioni decisio-nali. In ogni caso negli studi economico-aziendali l’autonomia non viene letta in chiave assoluta ma relativa. L’autonomia non implica i-solamento ma è condizione che permette al complesso di operare di-screzionalmente entro mutevoli scenari ambientali12.

L’economicità implica la necessità che l’intera attività posta in es-sere dall’organizzazione produttiva sia permanentemente ispirata alla logica dell’efficacia strategica (intesa come capacità di programmare e realizzare obiettivi coerenti con le attese complessive degli interlo-cutori aziendali) ed efficienza operativa (capacità di realizzare le pro-duzioni, ai dovuti livelli qualitativi, con il minor impiego delle risorse disponibili). La costante tensione all’efficienza e all’efficacia «non porta in ogni caso alla realizzazione del profitto […] ma alla creazione di valore e pone le condizioni necessarie per garantire nel tempo la sopravvivenza dell’organizzazione»13.

Le aziende possono essere differenziate e classificate a seconda di come si rapportano al loro ambiente specifico e, cioè, ai mercati di ac-quisizione dei fattori produttivi e di collocamento dei prodotti. Secon-do questa impostazione si individuano due macroclassi di aziende14:

1. le imprese: sono aziende che realizzano la loro funzione produttiva operando su mercati concorrenziali sia dal lato

12 Osserva Rosella Ferraris Franceschi: «autonomia non vuole significare libero arbi-trio da parte dell’azienda, cioè totale distacco da vincoli ambientali e responsabilità verso l’uomo e la società. […] L’autonomia decisionale consiste nella facoltà di in-dirizzare le decisioni e le operazioni verso la finalità generale ed unitaria rappresen-tata dall’equilibrio economico durevole ed evolutivo, tenendo conto delle condizioni di mercato e di ambiente, senza costrizioni ad assoggettarsi alla volontà di un potere sovra-ordinato nella scelta delle forme di convenienza, delle vie e delle modalità di risposta», R. FERRARIS FRANCESCHI, “L’azienda: forme, aspetti, caratteri e criteri discriminanti”, in E. Cavalieri (a cura di), Appunti di Economia Aziendale, Edizioni Kappa, Roma, 1995, pag 70. 13 Cfr. E. CAVALIERI, Le operazioni, cit., pag 113. 14 Ibidem.

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della domanda (acquisizione dei fattori produttivi) che dell’offerta (collocamento dei prodotti);

2. le altre aziende: sono aziende che realizzano la loro funzio-ne produttiva operando, in tutto o in parte, in ambienti ca-ratterizzati da forme di competizione attenuata o assente dal lato della domanda e/o dell’offerta. In particolare tali azien-de possono ulteriormente distinguersi in:

a. aziende cooperative: che operano dal lato della do-manda e/o dell’offerta in un ambiente di competi-zione attenuata in quanto i fornitori di alcuni fattori o i clienti coincidono con i proprietari dell’azienda;

b. amministrazioni pubbliche: che operano dal lato dell’offerta in mercati non competitivi in quanto ce-dono i propri servizi alla collettività dietro un corri-spettivo che differisce dal prezzo di mercato. Esse inoltre acquisiscono buona parte dei mezzi finanziari secondo logiche di imposizione tributaria;

c. aziende non profit: che operano dal lato della do-manda e dell’offerta in un ambiente non di mercato. In molti casi acquisiscono alcuni fattori produttivi gratuitamente o a valori non di mercato (es. dona-zioni, volontariato, ecc.) e cedono beni e servizi sempre gratuitamente o a valori non di mercato (ser-vizi sociali, sanitari, ecc.).

Eccoci arrivati dunque alla definizione e classificazione delle am-ministrazioni pubbliche.

È opportuno ricordare, seppur brevemente, che una conseguenza non banale della qualificazione delle amministrazioni pubbliche come aziende che producono e distribuiscono ricchezza in assenza di merca-to è che manca una grandezza idonea a dare una visione unitaria dei risultati in termini di raggiungimento delle finalità aziendali. Il che non significa anche l’impossibilità di verificare i suddetti risultati ma semplicemente che, a differenza delle imprese nelle amministrazioni pubbliche non si ha tramite il mercato né una misura dell’efficacia né un’integrazione di efficienza ed efficacia in un unico risultato di sinte-si. Efficienza ed efficacia vanno quindi individuate indagandole sepa-

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ratamente15. Ciò pone con enfasi l’esigenza di un sistema informativo aziendale capace di supportare il governo delle decisioni ed alimentare la rendicontazione esterna, rendendo visibile e trasparente l’economicità (efficienza ed efficacia) della gestione aziendale.

Volendo approfondire le peculiarità delle amministrazioni nella lo-gica economico-aziendale è possibile affermare che esse si caratteriz-zano per16:

- la natura profondamente eterogenea dei prodotti dell’attività: dall’emanazione di leggi ed atti amministrativi alla redazione di piani e di programmi; dalla produzione di beni pubblici e meri-tori al trasferimento di risorse finanziarie, ecc.);

- l’assenza di un prezzo di cessione dei prodotti: i prodotti sono di regola collocati al di fuori delle leggi del mercato perché si tratta di beni pubblici (non escludibili nell’accesso e non rivali nel consumo) o meritori (per scelta politica);

- la formalizzazione dell’attività amministrativa: deriva dall’attribuzione di poteri sovra-ordinati con la conseguente ne-cessità di garantire la collettività dal rischio di un uso distorto, poco trasparente o antidemocratico di tali poteri;

- l’interdipendenza tra tempi e ritmi della gestione e tempi e ritmi istituzionali: la gestione è fortemente condizionata dai tempi della politica (elezioni, formazione degli organi di governo, ecc.);

- la complessità della valutazione dell’attività amministrativa: es-sendo i prodotti molto eterogenei ed essendo assente o ridotta l’operatività dei meccanismi di mercato è piuttosto complesso misurare, controllare e valutare gli esiti dell’attività amministra-tiva ed il livello di raggiungimento degli scopi istituzionali.

15 G. FARNETI, “Verso una nuova definizione di ‘azienda’ con quali conseguenze sull’economia aziendale: prime riflessioni”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, luglio-agosto, 1999, pp. 346-360. 16 E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali, cit.

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1.1.2 La definizione giuridica A livello intuitivo ci si potrebbe aspettare che la questione definito-

ria possa essere più facilmente affrontata ponendosi in una prospettiva giuridica, dove il problema non è d tipo concettuale ma semmai di di-ritto positivo. In realtà, proprio per questa ragione, si riscontra che non esiste una risposta univoca perché le diverse normative delimitano ambiti distinti delle amministrazioni pubbliche al variare dell’interesse pubblico di volta in volta seguito17.

Nell’ambito della normativa che disciplina il trattamento e le ga-ranzie dei dipendenti pubblici e di quella che disciplina la trasparenza e tutela degli utenti, la nozione di amministrazione pubbliche è piutto-sto ampia18.

Nell’ambito della normativa che tutela sotto il profilo penale i reati contro le amministrazioni pubbliche la nozione è piuttosto restrittiva e si limita solo ai soggetti pubblici che esercitano funzioni di carattere autoritativo.

Per il diritto comunitario invece la nozione si amplia nuovamente e si estende anche ai c.d “organismi di diritto pubblico” e cioè a qualsia-si organismo: a) avente personalità giuridica; b) istituito per soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e com-merciale; c) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure ancora il cui organo di ammini-strazione, di direzione o vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali designata dallo stato o dagli pubblici19.

17 M. CAMMELLI, La pubblica amministrazione, cit., pag. 13. 18 In base all’art. 1 co. 2 del D.Lgs. 165/2001 «Per amministrazioni pubbliche si in-tendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case po-polari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associa-zioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le ammini-strazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale». 19 In questo senso rientrerebbero tra le amministrazioni pubbliche anche le società di capitali controllate da soggetti pubblici.

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Per il diritto amministrativo la nozione di amministrazioni pubbli-che si amplia ancora dal momento che in essa rientrerebbero non solo i soggetti a disciplina pubblicistica ma tutte le attività, da chiunque e in qualunque forma giuridica esercitate, a finalità pubblicistica. 1.1.3 La definizione economico-statistica

La definizione economico-statistica si basa sui criteri del Sistema

europeo dei conti nazionali Sec9520 che per classificare l’insieme dei soggetti appartenenti al settore pubblico utilizza un criterio strettamen-te funzionale. Ne consegue che si considerano amministrazioni pub-bliche le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti ob-bligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le uni-tà istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese.

2.2 La dimensione del settore pubblico in Italia In base ai più recenti dati ISTAT (relativi all’anno 2002) le unità i-

stituzionali classificate come amministrazioni pubbliche in Italia sono 9.732.

Il settore pubblico occupa nel suo complesso 3.547.307 dipendenti e registra un ammontare di entrate pari a 714.123 milioni di euro e un ammontare di uscite pari a 746.779 milioni di euro.

Il quadro complessivo è illustrato dalla Tab 2.1 tratta dall’annuario ISTAT 2001-2002.

In particolare le amministrazioni centrali sono 187 unità (pari all’1,9 % del totale) e occupano 1.998.176 dipendenti (pari al 56,3 % del totale). Esse assorbono risorse finanziarie per 314.155 milioni di

20 Il Sistema europeo dei conti nazionali (Sec95) è un sistema contabile che assicura la possibilità di effettuare comparazioni internazionali e che descrive in maniera si-stematica e dettagliata il complesso di una economia, le componenti e le sue relazio-ni con le altre economie.

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euro (pari al 44,0 % del totale) e spendono 350.686 milioni di euro (pari al 47,0 % del totale).

Tabella 2.1 Le Amministrazioni Pubbliche: quadro di sintesi

Fonte: ISTAT, Statistiche delle Pubbliche Amministrazioni – Anni 2001-2002

Le amministrazioni locali sono 9.517 unità, occupano 1.490.174

dipendenti (42,0 % del totale), gestiscono entrate per 178.965 milioni di euro (pari al 25,1 % del totale) e spendono 187.105 milioni di euro (equivalenti al 25,1 % del relativo totale).

I 28 enti di previdenza e assistenza sociale impiegano 58.957 di-pendenti (1,7 % del totale), con una dimensione finanziaria pari a 221.003 milioni di euro registrati sul fronte delle entrate (30,9 % del totale) e a 208.988 milioni di euro di uscite (28,0 % del totale).

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2.3 I cambiamenti in atto a livello internazionale

Le amministrazioni pubbliche in Italia ed all’estero sono state inte-ressate negli ultimi venti anni da un profondo processo di trasforma-zione i cui presupposti sono da ricercare nelle dinamiche evolutive del contesto socio-economico e politico della moderna società post-industriale.

La continua evoluzione dell’ambiente di riferimento ha messo radi-calmente in discussione i tradizionali principi della gestione ammini-strativa con importanti quanto evidenti ripercussioni sull’atteggiamento dei cittadini e delle imprese sempre meno propensi a giocare un ruolo di destinatari passivi delle politiche pubbliche e sempre più portatori invece di una domanda di partecipazione attiva nelle scelte e nella valutazione degli esiti dell’agire pubblico.

A partire dalla fine degli anni ’70 tutti i principali paesi sviluppati (ma il fenomeno si è poi esteso anche alle economie in transizione ed ai paesi in via di sviluppo) hanno intrapreso riforme più o meno radi-cali ed ininterrotte del settore pubblico e delle sue istituzioni. A queste iniziative di modernizzazione gli studiosi hanno dato denominazioni diverse ma quella che ha riscosso maggior consenso è nota come “New Public Management” 21 o NPM.

21 Cfr. tra gli altri: P.J. ANDRISANI, S. HAKIM, E.S. SAVAS, The New Public Man-

agement: Lessons from Innovating Governors and Mayors, Kluwer Academic Pub-lishers, Boston, 2002; K. MC LAUGHLIN, S. OSBORNE, E. FERLIE, New Public Man-agement: Current Trends and Future Prospects, Routledge, London, 2002; M. BAR-ZELAY, The New Public Management: Improving research and policy dialogue. University of California Press, New York, 2001; J.E. LANE, New Public Manage-ment, Routledge, New York, 2000; M. MINOUGE, C. POLIDANO, D. HULME, Beyond the New Public Management: Changing Ideas and Practices in Governance, Ed-ward Elgar Publishing, London, 1999; E. FERLIE, L. ASHBURNER, L. FITZGERALD, A. PETTIGREW, The New Public Management in Action, Oxford University Press, New York, 1996; A. SCHICK, The spirit of reform: Managing the New Zealand State Sec-tor in a time of change. A report prepared for the State services Commission and The Treasury, New Zealand, 1996; JONES L.R., SCHEDLER K., MUSSARI R., Strate-gies for Public Management Reform, Elsevier, Oxford, 2004. In lingua italiana si confronti: M. MENEGUZZO, “Ripensare la modernizzazione amministrativa e il New Public Management. L’esperienza italiana: innovazione dal basso e sviluppo della governance locale”, in Azienda Pubblica. Teoria e problemi di management, n.6,

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Più recentemente, però, il New Public Management è stato integra-to da un nuovo approccio emergente, noto come Public Governance22, che nasce come critica al primo, ritenuto troppo vicino al mondo delle imprese private e considerato, di conseguenza, scarsamente critico, meccanicistico e poco capace di mettere in chiara evidenza le specifi-cità decisionali e gestionali delle amministrazioni pubbliche. La Pu-blic Governance, invece, è più attenta al recupero della capacità di go-vernare sistemi e reti di soggetti economici e sociali e allo sviluppo della funzione di regolazione.

2.3.1 I presupposti e contenuti delle riforme ispirate al NPM

Il New Public Management è la “sintesi” dei movimenti di riforma

che hanno interessato alcuni sistemi amministrativi pubblici, a partire dalla fine degli anni ‘70. Esso ha avuto origine in alcuni paesi “pilota” (Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda) mentre l’esperienza cumulata in questi contesti è stata via via estesa ad altri paesi nei primi anni ’90, per poi trovare applicazione anche nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione, all’alba del nuovo millennio.

1997; G. GRUENING, “Origini e basi teoriche del New Public Management”, in A-zienda Pubblica. Teoria e problemi di management, n.6, 1998; L.R. JONES, F. THOMPSON, “L’implementazione strategica del New Public Management”, in Azien-da Pubblica. Teoria e problemi di management, n.6, 1997.

22 Cfr. R.A.W. RHODES, Understanding Governance, policy networks, governan-ce, reflexivity and accountability, Open University Press, Buckingham, 1997; J. PIERRE, Debating governance: authority, steering and democracy, Oxford University Press, Oxford, 2000; J. KOOIMAN, Modern governance: New gover-nment-society interactions, Sage Publications, London, 1993; J. KOOIMAN, “Socio-political governance”, in Public Management, vol. 1, n. 1, 1999, pp. 68-69; M. ME-NEGUZZO, “Dal New Public Management alla Public Governance: il pendolo della ricerca sulla amministrazione pubblica”, in Azienda Pubblica. Teoria e problemi di management, n. 3, 1995. Per una comparazione dei diversi approcci alla Public Go-vernance cfr. D. CEPIKU, “Governance: riferimento concettuale o ambiguità termino-logica nei processi di innovazione della PA?”, in Azienda Pubblica. Teoria e pro-blemi di management, n. 1, 2005.

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Il New Public Management può essere ricondotto ad una varietà di radici teoriche che possono tutte aver influenzato i riformatori23:

- Public choice theory: le amministrazioni e le aziende pubbliche sono poste in concorrenza con quelle private ed il cittadino ha la possibilità di scegliere tra diversi offerenti.

- Transaction costs theory: a certe condizioni (bassi costi di tran-sazione) la produzione e l’erogazione di servizi pubblici può es-sere esternalizzata a soggetti (for e non profit) diversi dalla pub-blica amministrazione, con consistenti vantaggi in termini di ef-ficienza.

- Principal-agent theory: occorre realizzare una netta separazione tra politica ed amministrazione. Gli organi politici possono esse-re considerati i mandanti (principal) e quelli amministrativi i mandatari (agent). Ai fini di ridurre l’asimmetria informativa che si può creare tra politici ed amministratori è necessario con-ciliare i risultati da raggiungere in un determinato periodo.

- Public management theory: nella PA devono essere parzialmen-te importati metodi di gestione e strumenti propri del management, in modo che la pubblica struttura si possa gestire in modo simile ad un’impresa.

I presupposti ed i contenuti del New Public Management possono essere schematizzati avvalendosi di tre categorie di analisi: le sue idee chiave, le modalità di attuazione e le leve manageriali poste in esse-re24.

Idee chiave Si tratta dei temi che hanno fatto da “sfondo” alle riforme ed hanno

caratterizzato la prima fase del NPM (anni ’80-’90): - esigenza di fornire la massima autonomia e discrezionalità al

management pubblico; - spostare l’attenzione dal binomio politici-manager al binomio

manager-utente;

23 Per un approfondimento si veda G. GRUENING, op. cit. 24 Cfr. M. MENEGUZZO, Managerialità, Innovazione e Governance. La Pubblica

Amministrazione verso il 2000, Aracne, Roma, 1999.

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- introdurre tecniche manageriali dal settore privato.

Modalità di attuazione In alcuni paesi la strategia di attuazione delle riforme ha seguito lo-

giche di tipo top down (riforma guidata dal Governo centrale) in altri casi logiche bottom up (riforma “spontanea” che coinvolge in primo luogo i comuni e le singole amministrazioni). La Gran Bretagna e la Nuova Zelanda sono esempi di paesi in cui la modernizzazione della PA ha seguito logiche top down, i paesi scandinavi invece sono esem-pi di modernizzazione bottom up, in Italia, infine, le due logiche sono entrambe presenti25.

Traiettorie di riforma e leve d’azione Guardando in una prospettiva comparata alle varie esperienze di ri-

forma (OECD, 1995) si può notare che l’azione di modernizzazione si è indirizzata verso una differente combinazione di quattro traiettorie con l’attivazione di una serie di “leve” d’azione e di strumenti (tab. 2.2).

2.3.2 L’emergere delle logiche di Public Governance

Rispetto al New Public Management gli studi sulla Public Gover-

nance26 si caratterizzano per una maggiore attenzione al tema della capacità di governare sistemi e reti di soggetti ed alle “relazioni di si-stema”.

Un utile schema per comprendere le peculiarità del concetto di go-vernance è quello proposto da Borgonovi27, secondo il quale:

l’esercizio delle funzioni e dei poteri dell’amministrazione pubblica può con-cretamente attuarsi secondo due logiche e due modalità definite rispettiva-mente […]:

25 Cfr. POLLITT C., BOUCKAERT G., La riforma del management pubblico, Boc-

coni Editore, Milano, 2002. 26 Sul tema cfr. D. CEPIKU, op. cit. 27 Cfr. E. BORGONOVI, op. cit., pag. 40.

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- di government, ossia di esercizio del potere decisionale derivante dal sistema istituzionale formale;

- di governance, ossia di esercizio dei poteri formali e/o informali con l’obiettivo di “creare consenso” attorno a determinate scelte.

Tabella 2.2 Il New Public Management: traiettorie, leve, strumenti

TRAIETTORIE LEVE D’AZIONE STRUMENTI UTILIZZATI

Rafforzamento dei controlli tradizionali Controlli di legittimità

MANTENERE Limiti e tagli di spesa Cash limits; blocco assunzioni

Revisione sistemi di budgeting Performance budgeting Innovazione nei sistemi conta-

bili Contabilità economica; contabilità analitica; ana-

lisi dei costi Riforma sistemi di controllo ed

auditing Limitazione controlli esterni/preventivi di legit-

timità; performance auditing

Gestione del personale Management by objectives; valutazione delle prestazioni

e-Government Servizi on line, e-procurement; e-learning, ecc.

Ristrutturazione organizzativa Downsizing, upsizing, resizing, nuovi modelli organizzativi e formule gestionali.

Performance management Performance contracting, performance agree-

ments; valutazione dei programmi pubblici; Best Value; performance reporting

MODERNIZZARE

Semplificazione amministrati-va

Analisi dell’impatto della regolamentazione; autocertificazione

Competizione Competizione guidata tra strutture pubbliche, quasi mercati, voucher, diritti di proprietà. MARKETIZZARE

Orientamento al cliente Carte dei servizi; strumenti di exit e voice; cu-stomer satisfaction

Privatizzazioni Privatizzazioni sostanziali MINIMIZZARE

Esternalizzazione Separazione fornitore/acquirente; contracting-out

Fonte: con adattamenti da: C. POLLITT, G. BOUCKAERT, op. cit.; M. MENEGUZZO, Managerialità, op. cit.

La logica di government è legata ad un modello di PA che esercita

poteri sovra-ordinati. Il modello del government si caratterizza per l’uso di strumenti formali (leggi, decreti, regolamenti, ecc.); per con-tenuti decisionali rigidi; per le conseguenze nei confronti di soggetti esterni che sono obbligati a rispettare le decisioni a prescindere dalla loro volontà (v. Tab 2.3).

La logica di governance, invece, implica che l’amministrazione pubblica eserciti una funzione di regolazione, privilegiando i principi del consenso, della funzionalità e della fattibilità tecnica, organizzati-va, economica e sociale.

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Tabella 2.3 Government e Governance

Government Governance

Definizione Esercizio del potere decisionale de-

rivante dal sistema istituzionale formale

Esercizio dei poteri formali e/o infor-mali con l’obiettivo di “creare consen-

so” attorno a determinate scelte

Attori Un numero contenuto di partecipan-ti, prevalentemente pubblici

Elevato numero di partecipanti, pubbli-ci e privati

Focus Strutture organizzative e istituzioni Processi, politiche e outcome

Struttura Sistemi chiusi, limiti territoriali alle competenze, partecipazione obbliga-

toria; gerarchica

Sistemi aperti, confini funzionali, par-tecipazione volontaria

Reti e partnership

Funzioni Scarsa consultazione, nessuna coo-perazione nella definizione e attua-

zione delle politiche

Maggiore consultazione, possibilità di cooperazione tra gli attori nella formu-lazione e attuazione di politiche setto-

riali

Strumenti Prevalentemente formali (leggi, de-creti, regolamenti, circolari)

Spesso informali che “creano condi-zioni favorevoli” all’accettazione di

strumenti e di atti formali

Modalità di interazione

Autorità gerarchica, relazioni con-flittuali e interazioni ostili, contatti

informali e segretezza Commando e controllo, diretta ero-

gazione di servizi

Consultazione orizzontale, intermobili-tà, relazioni collaborative e consenso su norme tecnocratiche, contatti estre-

mamente informali ed apertura Ruolo abilitante (enabling) della PA

Contenuti decisionali Specifici e rigidi Indicazione di criteri per decidere e per

valutare la validità delle decisioni.

Conseguenze verso i sog-getti esterni

Obbligatorie (giuridicamente o per-ché esiste un forte condizionamen-

to), divieti o obblighi ad agire anche contro la propria convenienza

Creare per i soggetti esterni la conve-nienza a fare o a non fare ottenendo

l’adesione convinta e sostanziale agli obiettivi posti dall’amministrazione

pubblica Fonte: D. CEPIKU, Governance, op. cit., pag. 120

Il modello della governance si caratterizza per l’uso di strumenti

molto spesso informali che “creano le condizioni favorevoli all’accettazione di strumenti e di atti formali”; per contenuti che con-sistono nella definizione delle “regole del gioco” (si indicano i criteri per valutare la validità delle decisioni); per l’obiettivo che si propone nei confronti dei soggetti esterni: non si dettano obblighi ma si gene-rano incentivi tali da determinare un’adesione convinta agli obiettivi posti dall’amministrazione pubblica (v. Tab 2.3).

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Gli elementi di scenario che hanno fatto emergere la Public Gover-nance sono molteplici e fra loro collegati. Di seguito se ne riportano alcuni ritenuti tra i principali:

- la globalizzazione dei mercati; - la diversificazione dei bisogni nelle società evolute; - la riqualificazione dei confini tra Stato e mercato.

Il processo di globalizzazione in atto ha comportato che, nella ri-cerca delle determinanti della capacità competitiva delle imprese, si siano progressivamente affermati come variabili critiche i fattori legati alla dimensione territoriale. Di conseguenza la competitività non si gioca più solamente tra singole imprese ma fra diversi Sistemi-Paese o differenti aree territoriali. Nel conseguimento di un elevato grado di livello di competitività del Sistema-Paese è determinante la capacità della sua classe dirigente, pubblica e privata, di cooperare efficace-mente nello sviluppo e nella realizzazione di un disegno strategico comune.

Un ulteriore elemento propulsivo della Public Governance è costi-tuito dalla crescita diversificata dei bisogni registrata negli ultimi venti anni nei sistemi economici più avanzati. In particolare, da un lato, si è assistito ad una forte accelerazione nella dinamica evolutiva dei biso-gni della popolazione, favorita dal progresso tecnologico; dall'altro, ad una maggiore e crescente diversificazione dei bisogni stessi nell'ambi-to della stessa comunità di riferimento. La risposta a queste istanze sembra essere la promozione di un “sistema misto” in cui l’organizzazione della produzione e dell'offerta di servizi pubblici è incentrata su una pluralità di attori (pluralità che non è solo numerosi-tà ma anche varietà di tipologie organizzative).

Un terzo ed ultimo aspetto è costituito dal processo di riposiziona-mento dei confini tra Stato e mercato. Il ruolo dello Stato nell'econo-mia e nella società si è profondamente modificato nel tempo, passando da un approccio caratterizzato da meccanismi improntati ad una razio-nalità assoluta, ad altri definibili di tipo sistemico, in cui il processo decisionale si caratterizza per la presenza di strumenti e modalità di concertazione tra attori socio-economici. Lo Stato, quindi, da impren-ditore e produttore diretto di servizi diviene "Stato-regolatore" ossia esercita la funzione di governo dei comportamenti economici di altri soggetti.

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Capitolo II

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Per rispondere alle esigenze determinate dai cambiamenti di scena-rio di cui sopra, la Pubblica Amministrazione è chiamata sempre più ad attivare modalità innovative di governo e coordinamento dei siste-mi socioeconomici basate sull’interazione tra Stato, mercato e società civile e sull’affermarsi di una diversa relazione tra interventi decisi e gestiti a livello politico-amministrativo e forme di auto-organizzazione a livello sociale. È proprio un simile approccio quello che il termine governance vuole richiamare. Per governance infatti si intende la struttura che assume un sistema sociale e politico a seguito dello sforzo e degli interventi effettuati dai diversi attori in esso pre-senti. In questo senso i contenuti distintivi del public management nel-la prospettiva della governance28 sono:

- la centralità delle interazioni con gli attori presenti ai vari li-velli nel contesto politico e sociale;

- il governo ed il coordinamento di reti complesse nel sistema sociale;

- l’orientamento all’esterno, in particolare verso l’ambiente e-conomico e sociale.

L’attività di governo che viene attribuita alle pubbliche ammini-strazioni consiste nell’attivare e coordinare i diversi attori del sistema socioeconomico in modo tale che gli interventi pubblici e non pubblici siano in grado di far fronte alle esigenze di complessità, differenzia-zione e dinamicità. Il ruolo primario della pubblica amministrazione è migliorare la performance del sistema paese. Il management pubblico deve assumere un ruolo di promozione del consenso e gestione delle relazioni, e di crescita delle forme di auto-organizzazione della società civile.

2.4 La riforma della pubblica amministrazione in Italia

2.4.1 Le principali aree di modernizzazione In Italia l’esigenza di modernizzare l’amministrazione pubblica ha

trovato concrete risposte solo a partire dai primi anni ’90, quando il 28 Cfr. M. MENEGUZZO, Managerialità, cit.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

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legislatore - vero propulsore della modernizzazione amministrativa – ha introdotto una pluralità di norme su temi quali l’introduzione dell’autocertificazione, il decentramento amministrativo, la riforma del pubblico impiego, l’incremento dell’efficienza e della trasparenza amministrativa, la semplificazione e razionalizzazione amministrativa, il miglioramento dell’accesso ovvero del rapporto tra cittadino e am-ministrazione, la riforma della contabilità e del bilancio, la riforma dei controlli interni, ecc.

Figura 2. 1 Le principali aree di modernizzazione delle PA in Italia

Fonte: nostra elaborazione Le principali aree di modernizzazione sulle quali in questa sede si

vuol richiamare l’attenzione sono (v. Fig. 2.1): - assetto istituzionale; - deregolamentazione e ridefinizione del ruolo dei cittadini; - privatizzazione ed esternalizzazione; - decentramento; - processi decisionali e sistemi organizzativi; - sistemi contabili; - sistema dei controlli.

Principali aree di modernizzazione della PA in Italia

Deregolamentazione e ridefinizione del ruolo dei cittadini

Revisione dell’assetto istituzionale

Privatizzazione ed esternalizzazione

Decentramento

Processi decisionali e sistemi organizzativi

Sistemi contabili

Sistema dei controlli

Principali aree di modernizzazione della PA in Italia

Deregolamentazione e ridefinizione del ruolo dei cittadini

Revisione dell’assetto istituzionale

Privatizzazione ed esternalizzazione

Decentramento

Processi decisionali e sistemi organizzativi

Sistemi contabili

Sistema dei controlli

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Capitolo II

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Assetto Istituzionale29 Dal punto di vista della ridefinizione degli assetti istituzionali le

principali azioni di modernizzazione hanno riguardato: - la redistribuzione delle competenze a livello centrale e locale:

maggiore autonomia agli enti locali e assegnazione alle province di un ruolo di intermediazione tra regioni e comuni (L. 142/90 e successive modifiche);

- riforma del sistema elettorale negli enti locali: elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia e creazione di un le-game “diretto” tra amministrazione e cittadino (L. 81/93);

- la L. 127/97 ha introdotto la figura del direttore generale, nomi-nato direttamente dal Sindaco, con incarico a tempo determina-to. Il direttore generale è il soggetto garante e responsabile della gestione dell’ente nel suo complesso, interlocutore primario del-la giunta, per quanto riguarda gli aspetti di indirizzo politico, e dei dirigenti, per quanto riguarda gli aspetti gestionali;

- riorganizzazione di apparati pubblici: accorpamento di alcuni ministeri, soppressione di enti pubblici, istituzione delle autorità indipendenti e delle agenzie;

- riconoscimento del settore non profit: riconoscimento e regola-zione normativa delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato, previsione di rapporti di convenzionamento agevo-lato con le amministrazioni pubbliche; normativa sulle agevola-zioni fiscali delle aziende non profit (D.Lgs. 460/97).

Deregolamentazione e ridefinizione del ruolo dei cittadini

Nel corso degli anni ’90 sono state intraprese una serie di iniziative

volte alla riduzione della produzione legislativa esistente alla sempli-ficazione della burocrazia ed alla apertura dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. In particolare si ricordano:

29 L’assetto istituzionale è la struttura sovra-ordinata che esprime le regole di

fondo del funzionamento aziendale. Cfr. G. AIROLDI, “Assetti istituzionali ed assetti organizzativi”, in G. COSTA, R.C.D. NACAMULLI, Manuale di organizzazione azien-dale, Utet, Torino, vol. I., 1996.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

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- la deregolamentazione: la L. 59/1997 ha introdotto uno strumen-to di semplificazione consistente nella individuazione di specifi-ci procedimenti amministrativi, da rivedere e rivisitare con ap-positi regolamenti delegificanti. L’art. 20 della stessa legge ha inoltre previsto un intervento legislativo annuale finalizzato ad implementare costantemente il processo di semplificazione con l’introduzione di nuovi criteri e principi direttivi;

- accesso e semplificazione del procedimento amministrativo: al cittadino è stato riconosciuto un diritto di informazione ed ac-cesso ai procedimenti amministrativi che lo interessano. Esso può conoscere una pluralità di informazioni come il funzionario responsabile del procedimento, lo stato di avanzamento, ecc. (L. 241/90). Il cittadino inoltre ha diritto al risarcimento in caso di omissione o di mancato completamento da parte del responsabi-le e la possibilità in determinati casi di sostituire alcuni docu-menti con autocertificazioni (Leggi “Bassanini”);

- Uffici per le relazioni con il pubblico: provvedono anche me-diante l’utilizzo di tecnologie informatiche a garantire agli utenti il diritto di partecipazione al processo amministrativo e l’informazione sugli atti e lo stato dei procedimenti. Essi inoltre hanno il compito di compiere ricerche ed analisi finalizzate alla formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli a-spetti organizzativi e logistici del rapporto con l’utenza;

- introduzione delle carte di servizi: si tratta di documenti con i quali le amministrazioni pubbliche e le aziende che erogano ser-vizi pubblici dichiarano ai cittadini-utenti gli standard qualitativi che si impegnano a raggiungere. In Italia le carte dei servizi so-no state introdotte nel gennaio 1994 e successivamente sono sta-ti emanati schemi di riferimento per i vari settori (energia, istru-zione, sanità, ecc.). Il tema delle carte di servizi è stato da ultimo ripreso dal D.lgs. 286/99;

- analisi dell’impatto della regolamentazione. L’analisi di impatto della regolazione (AIR), è uno strumento di supporto alle deci-sioni per il miglioramento della regolazione e consiste in un’attività innovativa per la pubblica amministrazione in quanto nella preparazione e predisposizione degli atti normativi e rego-lativi si pone la necessità di selezionare le opzioni che presenta-

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Capitolo II

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no il miglior rapporto tra costi e benefici per i loro destinatari di-retti e indiretti. L’obiettivo prioritario dell’AIR è quello di giu-stificare la necessità di presentare una proposta legislativa e/o amministrativa. A tale scopo vanno rispettati alcuni principi tra i quali un’esposizione chiara del problema, la descrizione delle al-ternative regolative considerate e degli strumenti previsti per la loro applicazione, un’analisi di ciò che può accadere se la rego-lazione proposta non venisse accettata o risultasse inutile (“op-zione zero”), una descrizione delle consultazioni realizzate e la stima dei potenziali costi e benefici. In Italia l’AIR è stata intro-dotta con la L. 50/99.

Privatizzazione ed esternalizzazione

La privatizzazione rappresenta un campo di modernizzazione che

ha caratterizzato fortemente un periodo complesso e travagliato di cri-si finanziaria e monetaria e di scandali politici (“tangentopoli”). Spes-so si distingue tra una privatizzazione “formale” (la forma giuridica è privata ma il controllo dell’impresa rimane allo Stato) ed una “sostan-ziale” (la forma giuridica è privata ed il controllo non è più in mano allo Stato).

La legge Amato-Carli (L. 218/90) può essere considerata il primo passo della “depubblicizzazione” dell’intervento nell’economia ed ha riguardato la privatizzazione delle casse di risparmio e di altre aziende pubbliche del settore bancario. Altre iniziative hanno riguardato la tra-sformazione in società per azioni di altre imprese statali e avvio della privatizzazione formale di IRI, ENI, INA, ENEL e FS (L. 35/92, L. 474/1994).

A livello locale è stata prevista la possibilità di trasformare le a-ziende speciali e le istituzioni in persone giuridiche di diritto privato (società per azioni).

L’esternalizzazione di alcune attività da parte delle pubbliche am-ministrazioni obbedisce alla finalità di migliorare le performance degli apparati pubblici, alleggerendoli di compiti che, occasionalmente o in maniera stabile, possono essere svolti più proficuamente da soggetti esterni all’amministrazione pubblica.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

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Decentramento Il processo di decentramento amministrativo, già avviato all’alba

degli anni ‘90, ha subito una particolare accelerazione con l’adozione della L. 59/97. Essa, oltre a ridisegnare i compiti e le strutture dello Stato, ha riformato profondamente i rapporti tra questo ultimo ed il si-stema delle autonomie, attraverso un corposo conferimento a Regioni ed enti locali di funzioni e compiti precedentemente riservati allo Sta-to.

L’individuazione delle funzioni e dei compiti da trasferire è avve-nuta attraverso l’elencazione tassativa delle materie mantenute alla competenza dello Stato ed intendendo conseguentemente trasferite alle regioni e agli enti locali tutte le altre.

In questo quadro si muovono i tre decreti legislativi di conferimen-to di funzioni alle regioni e agli enti locali: il D.lgs. 143/97 in materia di agricoltura; il D.lgs. 469/97 in materia di mercato del lavoro ed il D.Lgs. 112/98 in materia di sviluppo economico e attività produttive, territorio, ambiente e infrastrutture e servizi alla persona e alla collet-tività. Complessivamente, sono stati trasferiti al sistema delle autono-mie regionali e locali circa 37 mila miliardi di lire e circa 23 mila uni-tà di personale.

Contestualmente al percorso di attuazione del federalismo ammini-strativo sopra descritto, ha preso corpo una profonda riforma dell’assetto istituzionale dello Stato ad opera della L. Cost. 3/2001. La riforma punta a realizzare una forma di federalismo mediante l’attribuzione al sistema delle autonomie di più ampi poteri legislativi e amministrativi rispetto a quelli precedentemente previsti. A tal fine, tanto per citare quello che è considerato uno dei capisaldi della legge, è stato operato il ribaltamento del criterio di ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. Il nuovo art. 117 Cost., infatti, non e-lenca più le materie di competenza legislativa regionale, bensì quelle espressamente riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (I com-ma) e quelle in regime di legislazione concorrente (III comma), per le quali allo Stato compete la determinazione dei principi fondamentali mentre alle regioni spetta l’adozione della legislazione di dettaglio.

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Capitolo II

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Non meno rilevanti appaiono i riflessi che sono prodotti dalle nor-me sull’amministrazione. Il nuovo art. 118, infatti, detta una nuova di-sciplina delle funzioni amministrative. Infatti, in base al nuovo testo:

- le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni (I com-ma);

- possono essere tuttavia conferite a province, città metropoli-tane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione, ed adeguatezza, allorché sia necessario assi-curare l’esercizio unitario delle stesse (I comma);

- comuni, province e città metropolitane sono titolari di fun-zioni amministrative proprie (II comma);

- gli stessi enti possono inoltre essere titolari di funzioni confe-rite con legge statale o regionale, secondo le rispettive com-petenze.

Processi decisionali e sistemi organizzativi

Le riforme in questo campo hanno cercato di realizzare il passaggio

da un orientamento ai compiti ad un modello di gestione orientato ai risultati. Alcuni riferimenti in tal senso erano già presenti nella L. 142/90 ma sono diventati più consistenti nei D.Lgs 29/93 nel D.Lgs 59/97. In particolare sono stati introdotti i principi:

- separazione tra politica ed amministrazione; - gestione per obiettivi ed orientata ai risultati; - privatizzazione del rapporto di pubblico impiego; - separazione delle funzioni strategiche dalle funzioni operati-

ve, allocando queste ultime in capo ai manager pubblici. Sistemi contabili30

Tradizionalmente i sistemi contabili della pubblica amministrazio-

ne si caratterizzano per la natura finanziaria delle informazioni e per la prevalente funzione autorizzatoria. Di conseguenza le informazioni generate dal sistema di contabilità pubblica sono scarsamente utilizza-te a fini informativi interni (per migliorare la gestione) e sono invece

30 Si offrono solo brevi cenni e si rinvia al capitolo 4.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

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utilizzate a fini informativi esterni a carattere “formale” (rapporti tra soggetti).

Per cercare di superare i limiti in merito all’utilizzo della contabili-tà finanziaria quale strumento di rilevazione contabile nelle ammini-strazioni pubbliche, nell’ultimo decennio sono stati adottati provvedi-menti che hanno avuto come obiettivo quello di innovare e migliorare la capacità dei sistemi contabili di essere utili strumenti per la gestio-ne31.

In particolare il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali (D.lgs. 77/95, poi confluito nel TUEL) ha operato una mas-siccia rivisitazione non solo delle tecniche contabili e di misurazione, ma anche dei processi decisionali e del ruolo degli attori coinvolti nell’azione pubblica. Il provvedimento mette in evidenza due tendenze fondamentali: da un lato, introduce un sistema di programmazione della gestione secondo il paradigma classico della programmazione-gestione-controllo attraverso una serie di strumenti opportunamente coordinati; dall’altro, ribadisce il nuovo modello di relazione tra poli-tici e dirigenza, prevedendo un maggior spazio di azione dei dirigenti raccordato alla responsabilizzazione sui risultati.

Limitandoci agli aspetti contabili, il nuovo sistema prevede una se-rie di documenti di programmazione che partendo dalle strategie gene-rali le dettagliano progressivamente fino al livello operativo. Gli stru-menti di questa fase sono: la Relazione Previsionale e Programmatica, il Bilancio Pluriennale, il Bilancio annuale di previsione e il Piano E-secutivo di Gestione. A livello consuntivo, invece, sono stati introdotti i seguenti documenti: il conto del bilancio, il conto del patrimonio, il conto economico, la relazione al rendiconto di gestione.

Anche il sistema del bilancio e della contabilità a livello statale è stato oggetto di riforma. La L. 94/97 e la successiva attuazione di cui al D.lgs 279/97 hanno introdotto una nuova struttura classificatoria del bilancio che si prefigge lo scopo di valorizzare il più possibile la re-sponsabilità dell’organo di indirizzo politico e della dirigenza statale responsabile dell’attuazione di tale indirizzo, il tutto sulla base di una netta distinzione di compiti e responsabilità. Il principio ispiratore del-

31 Cfr. E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pub-

bliche, Egea, Milano, 2002.

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la riforma è quello di consentire al governo ed al parlamento una sele-zione e, quindi, una decisione più trasparente e responsabile sulle scel-te allocative, nonché di rendere il bilancio più chiaro e leggibile, oltre che per l’autorità politica, per gli stessi cittadini-contribuenti.

Sistema dei controlli

Tra i principali campi di modernizzazione degli anni ’90, una men-zione a parte merita la riforma del sistema dei controlli. Il primo rife-rimento esplicito si ritrova già nella L. 142/90, che all’art. 57 ha previ-sto la possibilità per gli enti locali di adottare forme di controllo inter-no, autonomamente configurate e disciplinate.

Successivamente il d.lgs. 29/93, oltre a ribadire, in via generale per tutte le amministrazioni pubbliche il principio della gestione per obiet-tivi, ha disposto l’istituzione dei nuclei di valutazione, o servizi di controllo interno, aventi il compito di verificare la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento della gestione amministrativa.

È solo con il D.lgs. 286/99 che si è arrivati ad una sistematizzazio-ne sul piano logico e concettuale della materia, risolvendo alcuni degli elementi di confusione presenti nel D.lgs. 29/93 ed avvicinando il si-stema dei controlli pubblico a logiche aziendalistiche.

In base al D.Lgs. 286/99 le pubbliche amministrazioni devono do-tarsi di strumenti adeguati a:

- garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (art. 2) attraverso il controllo di regolarità amministrativo e contabile;

- verificare l’efficacia, l’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempe-stivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (art. 4, controllo di gestione). Il controllo di gestione è affida-to ad una apposita unità organizzativa in posizione di staff ri-spetto al direttore generale ed operativamente e stabilmente raccordata con le strutture dirigenziali di line;

- valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (art. 5, la valutazione del personale con incarico dirigenziale);

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- controllare e valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di con-gruenza tra risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti (art. 6 la valutazione ed il controllo strategico). Il controllo strategi-co è affidato ad organo in posizione di staff rispetto all’organo di indirizzo politico.

Il TUEL n. 267 del 2000 ha esteso molte delle previsioni del D.lgs. 286/99 anche agli enti locali. 2.4.2 Osservazioni critiche sulla riforma

La descrizione delle principali traiettorie di modernizzazione della

pubblica amministrazione, effettuata nelle pagine precedenti, non è esente da un rischio “congenito”: quello di enfatizzare in positivo la trattazione cadendo nella “trappola” di scambiare quelli che erano gli obiettivi della riforma con i risultati che, invece, sono tutti da ottenere.

Come affermano ironicamente due autorevoli studiosi dei processi di modernizzazione delle PA32:

In paradiso i cittadini godranno di servizi di elevata qualità ma di basso costo, facilmente accessibili e rispondenti alle loro esigenze. Essi saranno più sod-disfatti dei loro governi. Nello stesso tempo i dipendenti pubblici acquiste-ranno una nuova cultura, comprendente i valori dell’economicità, dell’efficienza, dell’efficacia e dell’orientamento al cliente. I cittadini avran-no maggiori poteri, i dipendenti pubblici godranno della fiducia di politici e cittadini ed i politici stessi forniranno leadership e guida strategica. Non si può non essere d’accordo con gli autori quando affermano

che alcuni punti di vista sulla riforma della PA hanno una “componen-te utopica”.

Se però si sposta la prospettiva di osservazione dagli obiettivi delle riforme ad i risultati sostanziali che le stesse sono state in grado di conseguire, l’analisi diviene molto più complessa e certamente meno ottimistica.

32 Cfr. C. POLLITT, G. BOUCKAERT, op. cit., pag. 131.

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Capitolo II

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In realtà il processo di riforma ha significato solo se è in grado di avere un effetto sostanziale in termini di modificazione dei compor-tamenti amministrativi. Come osserva Borgonovi33 i processi di cam-biamento possono seguire due principali logiche:

- si agisce prioritariamente sulla “cultura dell’amministrazione” e poi si sostanzia il cambiamento culturale con adeguati strumenti tecnici;

- si introducono strumenti nuovi facendo leva sul fatto che il loro uso contribuisca a cambiare la cultura di gestione.

Nel primo caso è molto più importante agire sui valori delle perso-ne e sulla formazione di nuove professionalità dato che gli aspetti tec-nici possono essere facilmente appresi e adattati alle esigenze. Nel se-condo caso è invece molto importante (si può dire essenziale) definire con precisione, puntualità e rigore gli aspetti tecnici, perché se essi non sono chiari si corre il rischio di “cambiare tutto per non cambiare nulla”.

La “terza via”, quella di cambiare contestualmente e sincronica-mente la cultura e gli strumenti, rappresenta la soluzione ottimale sug-gerita dalle teorie, ma difficilmente realizzabile poiché in genere di fatto il focus, la priorità degli interventi sono posti su uno o sull’altro dei due aspetti.

Guardando con occhio critico all’attuale scenario determinato dai processi di modernizzazione si nota che esiste34:

- un elevato e pericoloso semplicismo (si pensa troppo spesso che cambiando gli strumenti sia automaticamente cambiata l’amministrazione pubblica);

- una crescente confusione (concettuale e terminologica) con rife-rimento all’adozione di strumenti e principi aziendali;

- la prevalenza di approcci “modellistici” o di “razionalità astrat-ta” che suggerisce soluzioni “in sé” coerenti e corrette ma “poco aderenti” alla concreta realtà;

33 Cfr. E. BORGONOVI, Atti del convegno sui Controlli delle gestioni pubbliche,

Banca d’Italia, Perugina, 1999, pagg. 63-69. 34 E. BORGONOVI, Atti del convegno sui Controlli, cit.

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Le amministrazioni pubbliche: definizione, dimensione ed evoluzione

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- un eccessivo, irrazionale, schizofrenico uso delle norme che si rincorrono, si eliminano o si sommano in tempi brevi determi-nando una enorme incertezza sul piano interpretativo.

In particolare tutti questi elementi di criticità sono presenti, come vedremo, anche con riferimento ai principi e sistemi contabili delle amministrazioni pubbliche ed a volte ne hanno segnato, anche pesan-temente, le traiettorie evolutive.

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Capitolo III Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti

generali di Fabio Monteduro

3.1 Introduzione L’azienda, o meglio la sua gestione, è caratterizzata dallo svolgi-

mento di una molteplicità di operazioni, orientate al raggiungimento di determinati fini. All’interno di un’azienda, intesa come “sistema eco-nomico aperto”, possono individuarsi tre diversi sottosistemi1:

– l’organizzazione; – la gestione; – la rilevazione.

Quest’ultima è oggetto di studio della ragioneria, che dovrebbe pre-sidiare «la conoscenza preventiva, concomitante e consuntiva dei dati qualitativo-quantitativi che definiscono le operazioni da studiare, deci-se, in corso di esecuzione ed eseguite2». La sua ampiezza coincide con quella del sistema aziendale, anche se essa prende in considerazione solo l’aspetto legato alle informazioni.

Il sistema di rilevazione è un elemento fondamentale all’interno di una qualsivoglia azienda, dal momento che i dati che da esso vengono elaborati e forniti sono strumentali innanzitutto all’assunzione delle decisioni relative alla gestione; è evidente che l’inefficacia o il mal-funzionamento del sistema informativo, dunque, si ripercuote inevita-bilmente sul conseguimento degli obiettivi aziendali. Il confronto tra questi ultimi ed i risultati conseguiti, inoltre, è reso possibile proprio dal sistema di rilevazione, che dunque permette anche un’importante funzione di controllo sui risultati e sull’utilizzo delle risorse.

1 A. AMADUZZI, “Il sistema aziendale ed i suoi sottosistemi”, Rivista Italiana di

Ragioneria e di Economia Aziendale, Gennaio 1972, n.1. 2 A. AMADUZZI, ibidem, p.6.

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Capitolo III 78

Tutto ciò è valido in qualsiasi tipologia di azienda. Come si è visto, però, i sistemi ed i principi contabili mutano al mutare delle esigenze e dei bisogni informativi, che a loro volta dipendono sia dal momento storico che dal contesto di riferimento. Nelle amministrazioni pubbli-che, che pure sono aziende a tutti gli effetti, infatti, come si vedrà an-che nel capitolo successivo, il sistema di rilevazione ha assunto una connotazione del tutto particolare. La funzione autorizzatoria, peculia-re della contabilità pubblica fin dalle sue origini, e la necessità di un controllo giuridico formale focalizzato più sull’operato dei soggetti cui è affidata la gestione del denaro pubblico che sul controllo della stessa, hanno favorito lo sviluppo di un sistema informativo-contabile dotato di particolari caratteristiche.

Argomento di questo capitolo è proprio l’analisi di questo sistema, finalizzata alla comprensione di quella che è la logica di fondo “gene-rale” della rilevazione nella PA, che verrà poi approfondita e declinata con riferimento allo Stato, agli Enti Locali e agli Enti Pubblici Istitu-zionali nei prossimi capitoli.

3.2 Logiche e tipologie di rilevazione nelle Amministrazioni Pub-bliche

Le amministrazioni pubbliche, pur operando in un contesto parti-

colare, sono aziende a tutti gli effetti; in quanto tali risultano valide per esse gran parte delle nozioni che valgono per i sistemi di rileva-zione di tutte le altre tipologie di aziende.

Propedeutica alla comprensione del concetto di bilancio è, innan-zitutto, la definizione di altri due concetti fondamentali: quelli di anno e di esercizio finanziario. È noto che l’attività aziendale si svolge sen-za soluzioni di continuità e che le operazioni che la caratterizzano av-vengano senza che vi sia tra loro un “confine” volto a separare una parte della gestione dall’altra. È noto anche che motivi contabili e giu-ridici spingono a ricorrere all’utilizzo di artifizi che permettano di seg-mentare in qualche modo la gestione aziendale, così da rendere possi-bile una sua “fotografia” in un determinato istante. L’anno finanziario è proprio l’unità di misura, il “segmento temporale”, in cui viene sud-divisa la gestione aziendale, laddove l’esercizio, invece, non è un pe-

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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riodo temporale, bensì il complesso delle operazioni che iniziano e normalmente trovano compimento nel corso dell’anno finanziario.

Qualsiasi sistema di rilevazione, poi, a prescindere dall’ambito in cui opera e dalla finalità cui è orientato, consta di tre tipologie di ope-razioni:

– rilevazioni preventive; – rilevazioni concomitanti; – rilevazioni consuntive.

Nelle imprese le rilevazioni che assumono maggiore rilevanza, an-che esterna, sono le ultime due tipologie. In esse, infatti, le rilevazioni preventive, oltre ad essere facoltative e ad uso interno, non sono vin-colanti, né “normate”, cioè soggette a regole specifiche relative a con-tenuti, metodi, ecc.

Le aziende pubbliche, invece, operano in contesti “non di merca-to”, soggette a poteri sovraordinati, dai quali dipende, peraltro, anche il raggiungimento dell’economicità. In un contesto di questo tipo è ne-cessario uno strumento mediante il quale l’organo rappresentativo de-finisca i vincoli alla spesa pubblica e l’entità delle risorse destinate a finanziarla (in altre parole, definisca entrate ed uscite). Tale strumento è il bilancio di previsione (di cui si discuterà meglio nel seguito), la cui redazione si fonda sulle rilevazioni preventive, che dunque nelle amministrazioni pubbliche hanno un’importanza particolare, preva-lendo sulle altre.

I documenti in cui si articola il sistema di rilevazione pubblico so-no dunque fondamentalmente tre3:

– il bilancio di previsione, appunto, che, con riferimento esclusivo alle amministrazioni pubbliche, viene normal-mente denominato semplicemente “bilancio”, consistente nella «sintesi a preventivo dei valori che prefigurano l’andamento della gestione»4;

– le rilevazioni concomitanti, che rientrano nella c.d. ge-stione del bilancio;

3 E. BORGONOVI , Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche,

Egea, Milano, 2002. 4 E. BORGONOVI, ibidem, p.215.

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Capitolo III 80

– le sintesi di fine periodo, raccolte nel documento denomi-nato rendiconto.

La contabilità pubblica si serve del metodo della partita semplice, basato sulla rilevazione del solo valore numerario, che viene però se-guito nei vari stadi che caratterizzano il suo evolversi, identificando un vero e proprio ciclo. A tale proposito si è soliti identificare due ci-cli finanziari principali: quello delle entrate e quello delle uscite (o spese).

3.2.1 Il ciclo finanziario delle entrate

Il ciclo finanziario delle entrate si compone di tre fasi “esecutive” o

di gestione, trascurando ovviamente la fase previsionale, ad esse pro-pedeutica.

ACCERTAMENTO Il momento dell’accertamento è il momento in cui nasce giuridi-

camente il diritto all’entrata. L’entrata è accertata quando si è provve-duto a5: - verificare la ragione del credito e la sussistenza di un idoneo titolo

giuridico; - individuare il soggetto debitore; - quantificare la somma da incassare; - determinare la scadenza. L’accertamento è tipicamente segnaletico dell’attesa di flussi monetari in entrata, corrispondendo alla previsione di una variazione positiva di uno degli elementi dell’attivo patrimoniale.

RISCOSSIONE La riscossione coincide con il momento in cui il debitore effettua il

pagamento, saldando così il proprio debito nei confronti dell’amministrazione pubblica. Tale pagamento può avvenire diretta-

5 R. MUSSARI, “La rilevazione nelle Amministrazioni Pubbliche”, in L. HINNA,

M. MENEGUZZO, R. MUSSARI, M. DECASTRI, Economia delle aziende pubbliche, Mc Graw Hill, Milano, 2005.

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mente presso il tesoriere6 (e in questo caso il ciclo delle entrate può considerarsi concluso) o presso altri soggetti incaricati della riscossio-ne, interni o esterni all’amministrazione pubblica.

VERSAMENTO Con il versamento le somme riscosse vengono versate al tesoriere.

Qualora il debitore saldi il proprio debito effettuando il versamento di-rettamente al tesoriere, come già sottolineato, la fase della riscossione coinciderà con quella del versamento.

3.2.2 Il ciclo finanziario delle uscite

Il ciclo finanziario delle uscite è sensibilmente più lungo e com-

plesso di quello delle entrate. Ciò è strumentale anche ad un maggiore controllo sull’utilizzo delle risorse pubbliche; le fasi che compongono tale ciclo sono quattro (omettendo di considerare, come fatto in prece-denza relativamente al ciclo delle entrate, la fase previsionale).

IMPEGNO L’impegno è il momento in cui l’azienda si impegna a sostenere

un’uscita, ossia il momento in cui sorge l’obbligo a sostenerla, venen-do quindi a costituire la “fase di diritto” delle uscite. Costituisce la fa-se più delicata del ciclo di uscita; perché una somma possa dirsi vali-damente impegnata devono ricorrere le seguenti condizioni7:

a) obbligazione giuridicamente perfezionata; b) determinazione della somma da pagare; c) individuazione del soggetto creditore; d) indicazione della ragione del debito; e) costituzione del vincolo sullo stanziamento di bilancio.

LIQUIDAZIONE Nella fase della liquidazione avviene la quantificazione della som-

ma che dovrà essere corrisposta al creditore, naturalmente nei limiti dell’impegno assunto.

6 Tipicamente, infatti, le amministrazioni pubbliche esternalizzano il servizio di

tesoreria, affidandolo ad un soggetto terzo, il tesoriere appunto, che costituisce, in pratica, il cassiere dell’azienda.

7 R. MUSSARI, op. cit., 2005.

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Capitolo III 82

ORDINAZIONE L’ordinazione consta dell’invio dell’ordine al tesoriere di pagare le

somme liquidate nella fase precedente8.

PAGAMENTO Il pagamento è il momento in cui avviene «l’effettiva variazione

monetaria»9, cioè il momento in cui il tesoriere paga le somme indica-te nel mandato di pagamento.

Ognuna delle fasi che caratterizzano un processo di spesa vincola la successiva; detto altrimenti, vale la seguente relazione10:

impegno≥liquidazione≥ordinazione≥pagamento

Tabella 3.1 I momenti di rilevazione (contabilità generale e finanziaria)

FASI DELL’OPERAZIONE DI COMPRAVENDITA

RILEVAZIONI DI CON-TABILITÀ

GENERALE

RILEVAZIONI DI CONTABILITÀ FINANZIARIA

1. analisi e valutazione dell’opportunità di effettuare una spesa e delle diverse alternative

- -

2. decisione di spesa - - 3. inizio della trattativa - - 4. stipulazione del contratto e ordine al fornitore

< eventuale rilevazione nel sistema dei conti d’ordine > Impegno

5. ricevimento del bene < rilevazione di fatture da ri-cevere a fine periodo> -

6. ricevimento della fattura (per sem-plicità si trascura la presenza dell’IVA)

+ acquisti - debiti verso fornitori -

7. verifica della coerenza tra condizioni di scambio concordate, bene consegna-to, fattura

- Liquidazione

8. pagamento + debiti verso fornitori - disponibilità liquide

Ordinazione e paga-mento

9. scadenza della garanzia < eventuale rilevazione nel sistema dei conti d’ordine > -

Fonte: E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, Contabilità e bilancio negli enti locali. Teoria, casi, esercizi risolti, Egea, Milano, 2002.

8 L’ordine può avvenire in tre modi: mandato diretto, ruoli di spese fisse e, per lo

Stato, apertura di credito in favore dei funzionari delegati. Cfr. R. MUSSARI, op. cit., 2005.

9 E. BORGONOVI, ibidem, p.218. 10 E. BORGONOVI, ibidem, p.235.

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Nella Tab 3.1 sono evidenziate le principali differenze che intercor-rono tra i momenti di rilevazione in contabilità generale economica e quelli in contabilità finanziaria, con specifico riferimento ad un pro-cesso di acquisto.

Tanto per le entrate che per le uscite, la fase di diritto (accertamen-to/impegno) segna l’inizio del processo finanziario, laddove, invece, la fase di fatto (riscossione/pagamento) ne segna la conclusione.

3.2.3 I residui

Non necessariamente le somme accertate in un esercizio saranno ri-

scosse nel corso dello stesso, come non necessariamente somme im-pegnate in un esercizio saranno pagate per intero nello stesso. In altre parole, può esistere uno sfasamento temporale (in termini di esercizio, naturalmente) tra la fase di diritto e quella di fatto, che fa sì che som-me di competenza finanziaria di un esercizio non divengano totalmen-te anche somme di competenza di cassa dello stesso, dando luogo così al sorgere dei c.d. residui. Si distinguono due tipi di residui:

– residui attivi, consistenti in somme accertate in un eserci-zio ma non riscosse entro il termine dello stesso, da ri-scuotere quindi in esercizi successivi;

– residui passivi, ossia somme impegnate in un esercizio ma non pagate nel corso dello stesso, oggetto di pagamen-to, dunque, degli esercizi successivi.

Prima di iscrivere i residui nel conto del bilancio è necessario pro-cedere all’attività di riaccertamento dei residui, volta a verificare se è opportuno mantenerli in tutto o in parte.

Per quanto riguarda i residui attivi, le ipotesi che possono verificar-si sono fondamentalmente due11:

1. minori residui attivi, nel caso in cui, per cause diverse, venga meno parzialmente o totalmente la ragione del credito e quindi la somma accertata sia nei fatti inferiore a quella stanziata;

2. maggiori residui attivi, quando la somma che si ha diritto a ri-scuotere risulta superiore a quella accertata.

11 R. MUSSARI, op. cit., 2005.

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Anche per l’iscrizione dei residui passivi è necessaria un’operazione di riaccertamento. In questo caso la sola ipotesi ammis-sibile è quella di minori residui passivi, ossia il caso in cui la somma impegnata risulti minore di quella stanziata. È evidente che l’ipotesi di maggiori residui passivi è irrealizzabile dal momento che l’impegno costituisce un limite inderogabile per la spesa.

Da quanto esposto ne consegue che è possibile distinguere riscos-sioni e pagamenti:

– in conto competenza, se relativi ad accertamenti ed im-pegni assunti nello stesso esercizio finanziario;

– in conto residui, se riguardanti accertamenti ed impegni assunti in esercizi finanziari precedenti.

La conoscenza dei residui attivi e passivi è strumentale al calcolo del risultato di amministrazione, dato dalla seguente somma:

(fondo cassa + residui attivi) – residui passivi = risultato di amministrazione

Per fondo cassa si intende la quantità di denaro che si trova in cassa

alla fine dell’esercizio, nel momento in cui ci si accinge a calcolare il risultato di amministrazione. Il fondo cassa si ottiene sommando allo stock iniziale di cassa la differenza tra gli incassi e i pagamenti che hanno avuto luogo nell’esercizio.

I residui presi in considerazione per la determinazione del risultato di amministrazione, inoltre, non sono solo quelli sorti nell’esercizio di riferimento, ma ricomprendono anche quelli derivanti da operazioni di competenza di esercizi successivi. È evidente che nel caso in cui non vi fossero, al termine del periodo amministrativo, residui, il fondo cas-sa coinciderebbe con il risultato di amministrazione12.

È inoltre opportuno sottolineare che quest’ultimo, in quanto somma algebrica di grandezze stock, è a sua volta una grandezza stock, rap-presentando «la “situazione finanziaria” ad un certo momento di vita dell’AP e non l’effetto che le entrate e le uscite relative ad un esercizio

12 Si tratta, ovviamente, di una fattispecie difficilmente riscontrabile nella realtà.

Per il principio della continuità aziendale, infatti, è fisiologico che al termine di un esercizio non tutte le operazioni iniziate nello stesso abbiano trovato compimento, generando così dei residui.

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hanno prodotto sulla situazione finanziaria aziendale»13. Il risultato di amministrazione determinato al momento dell’approvazione del bilan-cio annuale è, peraltro, un valore del tutto ipotetico, in quanto frutto di stime e previsioni.

3.3 Le rilevazioni preventive e concomitanti Come già anticipato, in contabilità pubblica il documento che rive-

ste il ruolo più importante è senza dubbio il bilancio di previsione, sintesi delle rilevazioni preventive. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, quando si parla di “bilancio”, senza aggiungere ulteriori specifiche, il riferimento è sem-pre al bilancio di previsione annuale, che nei fatti viene ad essere, in un certo senso, il bilancio per antonomasia.

Tale strumento svolge una duplice funzione, fondamentale per la gestione aziendale: da un lato, infatti, grazie al bilancio di previsione è possibile stabilire ex ante gli obiettivi che si intende raggiungere e so-prattutto il modo in cui farlo; dall’altro, invece, esso permette il con-trollo a priori sull’utilizzo delle risorse disponibili, determinando in via preventiva i vincoli di spesa cui l’amministrazione pubblica dovrà attenersi e le entrate di cui potenzialmente potrà disporre.

È evidente, tuttavia, che i valori accolti nel bilancio di previsione hanno carattere meramente probabilistico, essendo comunque il risul-tato soggettivo di stime e congetture relative al futuro andamento della gestione aziendale operate da chi redige il bilancio. In una simile otti-ca il momento dell’approvazione del bilancio di previsione viene ad assumere una valenza del tutto particolare, perché, oltre ad essere il momento di incontro tra la vita amministrativa e quella istituzionale, da un lato corrisponde ad un beneplacito dell’organo volitivo sull’utilizzo previsto dei mezzi e dall’altro, contestualmente, costitui-sce anche una forma di controllo preventivo sull’operato del management dell’amministrazione pubblica. L’iter di approvazione del bilancio consta di tre fasi fondamentali14:

13 R. MUSSARI, op. cit., 2005. 14 E. BORGONOVI, op. cit..

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Capitolo III 86

– la fase di stesura, cioè di predisposizione di ipotesi da parte degli organi tecnico-amministrativi, in particolare di quello preposto alle rilevazioni contabili;

– l’approvazione di un progetto di bilancio da parte dell’organo esecutivo;

– la sottoposizione, la discussione e l’approvazione da parte dell’organo rappresentativo.

Tipicamente le amministrazioni pubbliche redigono bilanci di pre-visione finanziari15, anche se ciò porta a trascurare le conseguenze e-conomiche delle decisioni assunte. I valori contenuti in un bilancio di previsione finanziario sono appartenenti fondamentalmente a due ca-tegorie:

a) le entrate, cioè il totale delle risorse che si renderan-no disponibili nell’esercizio successivo;

b) le uscite, cioè i mezzi finanziari che presumibilmente saranno necessari per il raggiungimento degli obietti-vi che l’azienda intende conseguire.

Ognuna di queste voci, poi, si articola a sua volta in capitoli, con funzione autorizzativa; per ogni capitolo si definisce uno specifico stanziamento, cioè l’ammontare dell’entrata e della spesa prevista. I capitoli, peraltro, costituiscono l’unità elementare non solo delle rile-vazioni preventive, ma anche di quelle concomitanti e delle sintesi di fine periodo. Per ogni capitolo di spesa deve valere la seguente condi-zione:

uscite effettive ≤ stanziamento

In altre parole, le spese che verranno concretamente sostenute

nell’esercizio non potranno superare quelle previste nel bilancio di previsione. Naturalmente la successiva attività di controllo si focaliz-zerà in primis sulla verifica del rispetto di questa condizione, piuttosto che sulla valutazione dei risultati.

15 Sui bilanci di previsione economici e patrimoniali si veda R. MUSSARI, “La ri-

levazione nelle Amministrazioni Pubbliche”, in L. HINNA, M. MENEGUZZO, R. MUS-SARI, M. DECASTRI, Economia delle aziende pubbliche, Mc Graw Hill, Milano, 2005.

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3.3.1 sistemi di competenza e sistemi di cassa La redazione del bilancio di previsione può avvenire in termini di

competenza finanziaria e/o di cassa, a seconda del momento cui si ri-ferisce la previsione delle entrate e delle uscite. Se tale previsione fa riferimento alla fase dell’accertamento o dell’impegno, ossia alla fase in cui sorge giuridicamente il diritto a riscuotere o l’obbligo a pagare, la c.d. fase di insorgenza delle obbligazioni attive e passive dell’ente pubblico16, il sistema viene definito di competenza finanziaria. Nel si-stema di competenza finanziaria, in altre parole, gli stanziamenti sono stanziamenti di competenza, in quanto relativi ad accertamenti ed im-pegni. In questo senso, dunque, gli stanziamenti di competenza in u-scita costituiscono il limite massimo che può raggiungere il totale de-gli impegni nell’esercizio. L’approvazione di un bilancio preventivo redatto secondo il sistema di competenza finanziaria presuppone, per ogni capitolo, l’esistenza (e dunque il rispetto) del seguente vincolo:

impegni effettivi ≤ impegni previsti ≡ stanziamenti di competenza in uscita

Se, viceversa, il riferimento è alla fase di fatto, ossia al momento

di riscossione/pagamento, la fase di adempimento delle obbligazioni attive e passive, il sistema in questione sarà evidentemente un sistema di cassa. Gli stanziamenti sono ovviamente stanziamenti di cassa; gli stanziamenti di cassa in uscita, analogamente a quanto accadeva per quelli di competenza nel sistema di competenza finanziaria, rappresen-tano un limite invalicabile per i pagamenti da effettuarsi nel corso dell’esercizio. Deve valere, cioè, per ogni capitolo, il seguente vinco-lo:

pagamenti effettivi ≤ pagamenti previsti ≡ stanziamenti di cassa in uscita

La scelta dell’uno o dell’altro sistema, o della combinazione dei

due, comporta la determinazione di differenti risultati finanziari.

16 AA. VV., Contabilità di Stato e degli Enti Pubblici, Giappichelli Editore, Tori-

no, 1999.

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Capitolo III 88

Un sistema di competenza, infatti, permetterà l’individuazione di una grandezza nota come risultato finanziario di competenza, dato dalla differenza tra accertamenti previsti e impegni previsti. Qualora i primi risultino superiori ai secondi, e dunque la differenza assuma se-gno positivo, si parlerà di avanzo finanziario di competenza previsto; in caso contrario, di disavanzo finanziario di competenza. È peraltro possibile (ed auspicabile) anche una situazione in cui gli accertamenti previsti siano equivalenti agli impegni, configurando così una condi-zione di pareggio finanziario di competenza (Fig. 3.1).

Figura 3.1 Risultato finanziario di competenza

Un sistema di cassa, diversamente, permette di calcolare il risultato di cassa, ossia la differenza tra riscossioni e pagamenti previsti. Anche in questo caso si parla di avanzo, disavanzo e pareggio a seconda che la differenza in questione assuma valore rispettivamente positivo, ne-gativo o nullo (Fig. 3.2).

Da quanto detto emerge che il sistema di competenza finanziaria si concentra sul momento della decisione e della nascita del dirit-to/obbligo a riscuotere/pagare determinate somme, laddove il sistema di cassa si focalizza sul momento effettivo dei movimenti monetari, cioè sul momento di chiusura dei cicli finanziari, siano essi in entrata o in uscita. Se, da un lato, la fase “di diritto” assume rilevanza perché in un certo senso costituisce la fase in cui si dà inizio alle operazioni,

Accertamenti previsti-

impegni previsti

>0 Avanzo finanziario di competenza previsto

=0 Pareggio finanziario di competenza previsto

<0 Disavanzo finanziario di competenza previsto

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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concretizzando le strategie, dall’altro la fase “di fatto” non è da meno, sia perché chiude il ciclo finanziario, regolando i rapporti con l’esterno, sia perché consente di valutare l’economicità della gestione, mediante il controllo dell’equilibrio monetario17.

Figura 3.2 Risultato finanziario di cassa

La normativa attualmente vigente, peraltro, consente, per la quasi

totalità delle amministrazioni pubbliche18, di utilizzare entrambi i si-

17 Per l’analisi dei vantaggi e degli svantaggi dei due sistemi cfr. S. BUSCEMA,

Trattato di contabilità pubblica, Giuffrè, Milano, 1979; G. MARCON, Bilancio, pro-grammazione e razionalità delle decisioni pubbliche, Giuffrè, Milano, 1978; F. ZAC-CARIA, Corso di contabilità dello Stato e degli enti pubblici. Teoria giuridica e si-stema positivo della gestione pubblica, Roma, Stamperia, 1974.

18 La normativa, infatti, prevede l’adozione congiunta di tutte due i sistemi per lo Stato e le Regioni. Il D. Lgs. 77/1995, invece, ha previsto per gli enti locali la sola adozione del sistema di competenza finanziaria. Pertanto, mentre il bilancio di previ-sione degli Enti Locali considera la sola gestione di cassa, quello dello Stato e delle Regioni prevede due gestioni:

– gestione di competenza, che si riferisce ad entrate ed uscite conside-rate al momento dell’accertamento/impegno;

– gestione di cassa, che invece fa riferimento alla fase di riscossio-ne/pagamento.

Riscossioni previste-

pagamenti previsti

>0 Avanzo finanziario di cassa previsto

=0 Pareggio finanziario di cassa previsto

<0 Disavanzo finanziario di cassa previsto

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stemi contestualmente, dando vita a quello che viene definito duplice sistema di autorizzazioni19.

3.3.2 Gli equilibri di bilancio

Il bilancio di previsione svolge la funzione fondamentale di moni-

torare a priori l’utilizzo delle risorse pubbliche, garantendo il rispetto dell’equilibrio dei valori. Tutto ciò si estrinseca, eccezion fatta per lo Stato, nell’imposizione di un obbligo di pareggio (o, alcune volte, di un divieto di disavanzo) tra gli stanziamenti in entrata e quelli in usci-ta.

Nel caso di un’amministrazione pubblica che si serve di un sistema di competenza finanziaria, a prescindere che lo accompagni o meno ad un sistema di cassa, vale un vincolo verticale di competenza20, che si traduce nell’obbligo di mantenere l’equilibrio tra stanziamenti di competenza in uscita e stanziamenti di competenza in entrata. A se-conda del risultato di amministrazione dell’esercizio precedente, pos-sono configurarsi tre diverse situazioni, che impongono tre diversi “modi” di rispettare tale vincolo. Se il risultato di amministrazione dell’esercizio precedente è nullo, il rispetto del vincolo verticale di competenza impone semplicemente l’uguaglianza tra stanziamenti di competenza in uscita e stanziamenti di competenza in entrata. Se l’esercizio precedente si è concluso, invece, con un disavanzo di am-ministrazione, sorge la necessità di applicare lo stesso, ossia di coprir-lo con stanziamenti di competenza in entrata superiori a quelli in usci-ta. Nel caso in cui, infine, nell’esercizio precedente si sia registrato un avanzo di amministrazione, si può decidere di applicare in tutto o in parte quest’ultimo, finanziando, cioè, stanziamenti di competenza in uscita superiori a quelli in entrata. Occorre sottolineare, tuttavia, che, mentre vige l’obbligo di applicare un eventuale disavanzo, l’applicazione dell’avanzo di amministrazione è invece meramente fa-coltativa.

Analogamente, per le aziende che ricorrono all’utilizzo di un siste-ma di cassa, vale un vincolo verticale di cassa, che si traduce nel man-

19 Cfr. E. BORGONOVI, op. cit., 2002; R. MUSSARI, op. cit., 2005. 20 E. BORGONOVI, op. cit., 2002.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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tenimento dell’equilibrio tra stanziamenti di cassa in uscita e stanzia-menti di cassa in entrata. Tale vincolo può essere rappresentato dalla seguente relazione:

stanziamenti di cassa in uscita = stanziamenti di cassa in entrata + fondo cassa iniziale

In ultimo, le aziende che adottano il duplice sistema di autorizza-zioni sono soggette al rispetto di un ulteriore vincolo, stavolta orizzon-tale, per ogni capitolo o voce elementare di entrata e di uscita (e dun-que anche per il loro totale). Per ogni capitolo o voce elementare di entrata, in altre parole, deve essere rispettata la seguente relazione:

stanziamenti di cassa in entrata ≤ residui attivi iniziali + stanziamenti di competenza in entrata

Per ogni capitolo o voce elementare di uscita, invece, il vincolo di-venta il seguente:

stanziamenti di cassa in uscita ≤ residui passivi iniziali + stanziamenti di competenza in uscita

Le ragioni di tali vincoli sono facilmente intuibili; è evidente, infat-ti, che non è pensabile prevedere di riscuotere/pagare più della somma tra i residui iniziali (cioè quanto accertato/impegnato e non riscos-so/pagato negli esercizi precedenti) e gli stanziamenti di competenza (ossia quanto si prevede di accertare/impegnare nell’esercizio di rife-rimento del bilancio).

3.3.3 Gli istituti di flessibilità

Il bilancio di previsione è evidentemente uno strumento dotato di

notevole rigidità, derivante in primis dalla funzione autorizzatoria che si trova a svolgere. È tuttavia prevedibile che, nel corso dell’esercizio, possa sorgere il bisogno di modificare il bilancio preventivo, per far fronte alle eventuali nuove esigenze che la gestione aziendale ha evi-denziato. Nei fatti può verificarsi, cioè, una discrasia tra quanto previ-sto e le effettive necessità finanziarie della gestione, sia per il sorgere di fenomeni che si sarebbero potuti prevedere se la previsione fosse stata condotta con adeguata cura e professionalità (c.d. cause soggetti-ve), sia per fenomeni assolutamente imprevedibili (c.d. cause oggetti-

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Capitolo III 92

ve). Proprio per ovviare a problemi di questo tipo, il Legislatore ha previsto alcuni istituti contabili strumentali ad attenuare la rigidità del bilancio di previsione, conferendogli maggiore flessibilità ed adattabi-lità alle esigenze di gestione. Tali istituti, noti come istituti di flessibi-lità, sono di tre tipi: fondi di riserva, storni e variazioni di bilancio in senso stretto.

FONDI DI RISERVA I fondi di riserva21 sono voci di spesa generiche la cui funzione è

alimentare voci di spesa specifiche nel corso dell’esecuzione del bi-lancio di previsione. L’utilizzo del fondo di riserva avviene mediante il meccanismo dello storno dal fondo alla voce di spesa per la quale è necessaria la maggiore dotazione.

STORNI Lo storno di fondi non implica una variazione del totale degli stan-

ziamenti, ma una mera modifica della sua composizione. Esso consi-ste, infatti, in un meccanismo grazie al quale un incremento degli stanziamenti per dati capitoli di uscita è coperto da un’equivalente di-minuzione degli stanziamenti per altri capitoli di uscita, per i quali lo stanziamento iniziale risulta esuberante. La legge prevede esplicita-mente alcuni divieti di storni; in particolare è vietato lo storno22:

– dai residui alla competenza; – dagli interventi di spesa finanziati con mezzi straordinari

a quelli finanziati con mezzi ordinari; – da capitoli relativi ai “servizi per conto terzi” ad altri in-

terventi del bilancio.

VARIAZIONI DI BILANCIO Le variazioni di bilancio in senso stretto sono i casi in cui

l’incremento degli stanziamenti in uscita è coperto da un equivalente incremento degli stanziamenti in entrata.

21 Per una trattazione più approfondita dei fondi di riserva cfr. R. MUSSARI, op.

cit., 2005. 22 R. MUSSARI, ibidem, 2005.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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3.3.4 Il bilancio pluriennale Il bilancio preventivo annuale23 è accompagnato da un bilancio

pluriennale che svolge la fondamentale funzione di raccordo tra la programmazione dell’azienda e il bilancio di previsione annuale, al quale dovrebbe fornire un quadro di riferimento di medio-lungo pe-riodo. Come suggerisce il nome, infatti, il bilancio pluriennale copre un periodo più lungo rispetto all’anno finanziario, di norma correlato a quelle che sono le modalità di programmazione dell’ente in questio-ne24; esso, peraltro, è redatto in termini di sola competenza. Il bilancio pluriennale ricopre anche un ruolo di sostanziale rilevanza nel proces-so di mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, dal mo-mento che dovrebbe in qualche modo favorire il monitoraggio della coerenza tra quest’ultimo ed i piani ed i programmi dell’amministrazione pubblica.

3.3.5 Le rilevazioni concomitanti: la gestione del bilancio

Nel caso delle amministrazioni pubbliche si è soliti riferirsi alle ri-

levazioni concomitanti come alla “gestione del bilancio25”, piuttosto che alla rilevazione delle operazioni. Il motivo è presto detto: le rile-vazioni concomitanti, infatti, sono viste come attuazione di quanto contenuto nel bilancio di previsione, documento che, in un certo sen-so, costituisce la sintesi delle decisioni assunte. In quest’ottica, dun-que, le rilevazioni concomitanti altro non sono che il momento di ese-cuzione di queste decisioni. In linea teorica dovrebbe sussistere una certa coerenza tra il bilancio di previsione e i comportamenti ammini-strativi ad esso ispirati; nella realtà dei fatti, tuttavia, tecniche di reda-zione dei bilanci di previsione superficiali e poco analitiche di quelle che sono le sopravvenute esigenze della amministrazione pubblica fi-niscono con l’avere come conseguenza comportamenti amministrativi spesso in contrasto o in contraddizione con il bilancio preventivo.

23 E. BORGONOVI, op. cit., 2002. 24 In genere il bilancio pluriennale copre un periodo di tre anni. 25 Per un approfondimento sul tema delle rilevazioni concomitanti cfr. E. BOR-

GONOVI, op. cit., 2002.

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Capitolo III 94

Analogamente al sistema contabile proprio del mondo privato, il si-stema di contabilità pubblica consta di scritture sistematiche a libro mastro e di scritture cronologiche a libro giornale.

Per quanto riguarda le prime, che seguono le entrate e le spese du-rante tutto il loro evolversi, l’unità elementare è di norma il capitolo. Le seconde, invece, si limitano a considerare le fasi principali dei cicli finanziari considerati in precedenza: reversali e mandati, raramente accertamenti e impegni.

3.4 Le rilevazioni consuntive: la rendicontazione Come già affermato, motivi di natura contabile e giuridica impon-

gono di suddividere artificialmente la vita dell’azienda in periodi, al fine di rappresentare la situazione economica e patrimoniale della stessa “bloccandola” ad un determinato istante. Al termine del periodo preso in considerazione, nel nostro caso l’anno finanziario, sorge dun-que l’esigenza di fornire un quadro di sintesi delle operazioni svolte nello stesso. Tale esigenza è giustificata, naturalmente, dalla volontà di conoscere i risultati effettivi della gestione, ma anche e soprattutto di effettuare un confronto tra essi e gli obiettivi predeterminati, allo scopo di individuare eventuali scostamenti e le cause che li hanno provocati.

L’insieme dei documenti di sintesi della contabilità delle ammini-strazioni pubbliche è detto conto consuntivo o rendiconto. Tipicamen-te esso consta di due sezioni o parti:

1. il conto del bilancio (o conto consuntivo o rendiconto finazia-rio), che presenta i risultati finanziari della gestione, correlan-doli alle previsioni di bilancio;

2. il conto del patrimonio (o rendiconto patrimoniale), che illu-stra le variazioni di cui è stato oggetto il patrimonio dell’azienda e la situazione patrimoniale finale della stessa.

Nel caso degli Enti Locali, poi, è prevista anche la redazione del conto economico, accompagnato dal prospetto di conciliazione26.

26 Per un approfondimento si rinvia al capitolo 6.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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IL CONTO DEL BILANCIO Il documento “principe” della rendicontazione delle Amministra-

zioni Pubbliche è senza dubbio il rendiconto finanziario (o conto del bilancio). Come suggerisce la denominazione, i valori in esso conte-nuti hanno natura prettamente finanziaria e sono finalizzati alla cono-scenza del grado di realizzazione delle previsioni contenute nel bilan-cio di previsione annuale. In sostanza il rendiconto presenta una serie di valori peculiari, quali27:

– gli accertamenti/impegni e le riscossioni/pagamenti effet-tuati nel corso dell’esercizio per ogni capitolo o voce e-lementare di entrata/spesa;

– i residui (iniziali e finali); – le economie o diseconomie.

Le categorie dei residui finali e le economie o diseconomie merita-no ulteriori approfondimenti.

I residui finali possono essere: – residui già esistenti all’inizio dell’esercizio che però al

termine dello stesso non risultano ancora incassati/pagati; – residui derivanti da somme accertate/impegnate nel corso

dell’esercizio e che al termine dello stesso non risultano ancora incassate/pagate.

Le economie e diseconomie possono appartenere a due classi: – economie in conto residui, se conseguono alla rettifica i

aumento o diminuzione dei valori dei residui iniziali; – economie di stanziamento o in conto competenza, costi-

tuite dalle differenze tra stanziamenti definitivi di compe-tenza e accertamenti/impegni.

I risultati principali cui si giunge grazie al rendiconto sono il fondo cassa finale ed il risultato di amministrazione finale.

Il fondo cassa finale è costituito, nei fatti, dalle disponibilità liquide dell’amministrazione pubblica al termine dell’esercizio finanziario. Esso può essere ottenuto calcolando la seguente somma:

+ fondo cassa iniziale + riscossioni in conto competenza

+ riscossioni in conto residui

27 E. BORGONOVI, op. cit., 2002.

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Capitolo III 96

- pagamenti in conto competenza - pagamenti in conto residui

= fondo cassa iniziale

Il risultato di amministrazione può invece essere considerato come quantità fondo o come quantità flusso, come illustrato nella Fig. 3.3.

Figura 3.3 Calcolo del risultato di amministrazione finale

Fonte: nostra elaborazione Se inteso come grandezza “fondo”, il risultato di amministrazione

permette di sapere se le disponibilità liquide al termine del periodo, insieme alle somme accertate ma non ancora incassate (residui attivi finali) sono sufficienti al pagamento delle somme che l’azienda ha impegnato ma non ha ancora pagato.

Nella seconda accezione, invece, quella come grandezza “flusso”, il risultato di amministrazione permette di sapere se la ricchezza ac-quisita nel periodo è adeguata alle esigenze che si è inteso soddisfare o se, in caso di disavanzo, sono stati decisi consumi superiori alle fonti atte a finanziarli. Peraltro questo secondo modo di considerare il risul-tato di amministrazione pone in evidenza come questo non dipenda

QUANTITÀFONDO

QUANTITÀFLUSSO

+ fondo cassa finale (iniziale)

+ residui attivi finali (iniziali)

-residui passivi finali (iniziali)

= risultato di amministrazione finale (iniziale)

+ risultato di amministrazione iniziale

+ accertamenti

-impegni

+ economie in conto residui

-diseconomie in conto residui

= risultato di amministrazione finale

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: aspetti generali

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dalle variazioni monetarie, quanto piuttosto dalle fasi giuridiche di in-sorgenza dei diritti/obblighi (accertamenti/impegni); in questo senso, dunque, un risultato di amministrazione positivo (avanzo o pareggio) segnala che la gestione aziendale ha maturato diritti giuridici suffi-cienti a far fronte agli obblighi giuridici assunti nello stesso periodo.

IL CONTO DEL PATRIMONIO Date le peculiarità che caratterizzano il conto del patrimonio nelle

diverse tipologie di Amministrazioni Pubbliche, risulta assolutamente più efficace oltre che utile trattare di questo documento di rendiconta-zione nei capitoli 5, 6 e 7 specificamente dedicati alle Amministrazio-ni Statali, agli Enti Locali ed agli Enti Pubblici Istituzionali.

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Capitolo IV Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili

evolutivi di Fabio Monteduro

4.1 Premessa La valutazione dell’utilità di un sistema contabile non può prescin-

dere dalla valutazione della sua capacità di orientare e controllare i processi gestionali e decisionali. Per sua natura, inoltre, un sistema contabile è strumentale al soddisfacimento dei fabbisogni informativi di un’azienda, pubblica o privata che sia, e dei suoi stakeholder1. Nel momento in cui gli obiettivi conoscitivi dei soggetti interessati a qua-lunque titolo ad un’azienda si evolvono, in conseguenza dei mutamen-ti degli scenari economici e socio-politici, i sistemi contabili atti a per-seguirli devono naturalmente rispondere, adeguando gli strumenti, il metodo e l’oggetto delle rilevazioni.

In linea di massima, nel settore privato, la contabilità si è dapprima rivolta all’analisi dei soli “valori originari” (denaro, crediti e debiti), svolta su base finanziaria, per poi concentrarsi invece sui c.d. “valori derivati”, responsabili delle variazioni di quelli originari, utilizzando il metodo della partita doppia.

Nel settore pubblico, invece, i sistemi contabili si sono sempre di-stinti per la prevalente funzione di regolazione interna dei rapporti tra gli organi. La sopravvivenza delle aziende pubbliche, infatti, non di-pende (o almeno non dipendeva) dalla loro capacità di raggiungere l’equilibrio economico, quanto piuttosto dal raggiungimento di

1 Cfr. F. PEZZANI, “L’evoluzione dei sistemi di contabilità pubblica”, in Azienda

Pubblica. Teoria e problemi di management, n.4, 2005; E. ANESSI PESSINA, “La contabilità economico-patrimoniale nelle aziende pubbliche: dal se al come”, in A-zienda Pubblica. Teoria e problemi di management, n.4, 2005.

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Capitolo IV

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un’altra tipologia di equilibrio, quello tra ricchezza da prelevare e da impiegare2.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il recupero dell’economicità3 e la ne-cessità di adeguarsi ai cambiamenti degli assetti istituzionali sono di-ventati, per le aziende pubbliche, urgenze sempre più impellenti da fronteggiare. La conseguenza di tutto questo è la tendenza ad una maggiore trasparenza e completezza delle informazioni fornite da un sistema contabile, in un’ottica di crescente disclosure.

Nei paragrafi che seguono si ripercorranno in breve le tappe dell’evoluzione della contabilità pubblica, a partire dalle origini per arrivare all’esame del dibattito attuale, incentrato sulla contrapposi-zione (o la co-esistenza) di contabilità finanziaria e contabilità econo-mico-patrimoniale.

4.2. La contabilità pubblica: dalle origini alle forme moderne Nei fatti si comincia a parlare di contabilità e di bilanci pubblici

con l’espansione dell’intervento statale nell’economia, strumentale al soddisfacimento di particolari bisogni e finanziato mediante il prelievo coattivo4. In altre parole, con il nascere del fenomeno della tassazione,

2 Sul tema si veda E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministra-

zioni pubbliche, Egea, Milano, 2002; L. GIOVANELLI, Modelli contabili e di bilancio in uno stato che cambia, Giuffrè editore, Milano, 2000.

3 A tale proposito G. FARNETI nota: «il finalismo aziendale, nel quale ricono-sciamo l’economicità dell’azienda, si realizza in un efficiente impiego delle scarse risorse disponibili, utilizzate nello svolgimento di un’attività che è sempre di produ-zione/distribuzione, pervenendo a risultati che devono esprimere la loro efficacia nel soddisfare i bisogni, le esigenze degli individui che costituiscono il punto di riferi-mento dell’attività aziendale. L’economicità è pertanto sintesi, combinazione, dell’efficienza-produttività e dell’efficacia delle operazioni che danno contenuto all’attività aziendale». G. FARNETI, “Il sistema informativo dell’«azienda ente loca-le» impone specifici sistemi contabili”, in G. FARNETI, S. POZZOLI (a cura di), Prin-cipi e sistemi contabili negli enti locali. Il panorama internazionale, le prospettive in Italia, Franco Angeli, Milano, 2005.

4 Cfr. S. BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica, Giuffrè editore, Milano, 1979.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi

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sorge l’esigenza di “dimostrare i risultati della gestione”5. Le prime forme di contabilità pubblica vera e propria, infatti, constano di docu-menti assimilabili più a bilanci consuntivi che a bilanci preventivi, rappresentativi di un «diritto degli amministrati a conoscere dei risul-tati della gestione finanziaria statale»6. Come riporta Giovanelli7, si ha notizia di alcune note di “introiti e spese preventive” già ai tempi dell’Antica Grecia, che tuttavia, però, ancora non possono essere con-siderati veri e propri bilanci pubblici. Del periodo dell’impero roma-no, invece, è la compilazione di prospetti riepilogativi di rendite e spe-se, che possono a ragione essere considerati gli antenati dei moderni bilanci consuntivi. I primi esempi di bilanci pubblici consuntivi, infat-ti, si ritrovano solo nell’Inghilterra del XIII secolo; nel 1258, infatti, «il parlamento inglese elesse un Comitato di Riforma e la lotta instau-ratasi tra i rappresentanti della nazione e il potere regale si concluse con la sanzione dell’obbligo, imposto agli agenti del Tesoro, di rende-re annualmente conto della loro gestione»8.

È indubbio, comunque, che non si può, nell’analisi dell’evoluzione della contabilità pubblica, prescindere dalla considerazione della con-testuale evoluzione delle forme di organizzazione politica statale9. È naturale che con il crescere della complessità di queste ultime anche i bilanci pubblici si siano fatti più articolati. Ma non solo. È significati-vo come, all’affermarsi di forme sempre più spinte di democrazia ab-bia fatto da contraltare la necessità di rendicontare, ex ante ed ex post,

5 L. GIOVANELLI, op. cit., p.87. 6 Cfr. A. GEORGETTI, “La gestione della finanza pubblica nella evoluzione stori-

ca del bilancio statale” , in Il Risparmio, n. 10, 1960, citato in L. GIOVANELLI, op. cit., 2000.

7 L. GIOVANELLI, ibidem. 8 Cfr. A. GEORGETTI, op. cit., 1960, p. 1757, citato in L. GIOVANELLI, op. cit.,

2000 . 9 A tale proposito L. GIOVANELLI ( L. GIOVANELLI, op. cit., 2000, p.86) riprende

l’interpretazione del Buscema, secondo cui: «il processo evolutivo del bilancio pub-blico è riconducibile ai modelli di finanza che hanno caratterizzato le forme di Stato presenti nei periodi storici di seguito indicati:

1. il periodo degli stati feudali; 2. il periodo dei liberi comuni (città medievali); 3. il periodo dello Stato assoluto; 4. il periodo dello Stato moderno rappresentativo».

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Capitolo IV

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la gestione della res publica ai cittadini. Potere e accountability sono due concetti strettamente correlati; senza la delega del potere (propria appunto di un regime democratico e rappresentativo), infatti, l’accountability è pleonastica, poiché non vi è nessuna necessità di rendicontare.

In uno stato feudale, caratterizzato da un potere assoluto ed insu-bordinato del sovrano sui beni e sui sudditi, ovviamente la possibilità che questi ultimi possano in qualche modo influenzare le decisioni del re o abbiano un qualche diritto ad essere informati sulla gestione dello stato è assolutamente fuori da ogni logica.

Nel periodo dello Stato assoluto, invece, anche se in presenza di un potere volitivo e di un potere esecutivo che continuano a concentrarsi nella persona del sovrano, comincia a diffondersi l’uso di redigere dei prospetti riepilogativi delle entrate e delle uscite, sebbene questi non siano destinati ad essere resi pubblici ed abbiano la sola funzione di resa dei conti interna.

È solo con l’affermarsi della moderna forma di Stato, basata sulla rappresentatività, che ai bilanci a consuntivo cominciano ad affiancar-si quelli di previsione, in un’ottica di autorizzazione e controllo. In questa logica è compito del Governo, previa autorizzazione del Parla-mento, cioè dei rappresentanti dei cittadini, indicare quali e quanti tri-buti saranno richiesti e come saranno impiegate le somme così riscos-se. Il bilancio, in questo senso, viene ad essere una limitazione a cui l’esecutivo deve attenersi nello svolgimento della sua attività10.

Questa concezione, legata ad una funzione di “controllo autorizza-torio”11 e di vincolo, è di fatto quella che ancora domina la prassi rela-tiva ai modelli ed ai sistemi contabili pubblici. Tra l’altro essa è letta

10 Come afferma P. E. CASSANDRO: «trova, con ciò, applicazione il giusto con-

cetto che, se le entrate devono essere tratte per la loro massima parte dalla collettivi-tà e se le spese, a vantaggio della collettività devono essere fatte, spetta alla colletti-vità, mediante il Parlamento che la rappresenta, di stabilire i limiti delle entrate e delle spese stesse. […] Il popolo[…] tramite i suoi legittimi rappresentanti, autorizza il potere esecutivo a conseguire determinate entrate, e ad effettuare determinate spe-se, quali indicate appunto nel bilancio». P. E. CASSANDRO, Le gestioni erogatrici pubbliche. Stato, Regioni, Province, Comuni, Istituzioni di assistenza e beneficenza, Quarta edizione, Utet, Torino, 1979, pp. 321 e ss., citato in L. GIOVANELLI, op. cit..

11 L. GIOVANELLI, op. cit., 2000, p. 91.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi

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soprattutto in un’ottica limitativa, fondata sul diritto e sul rispetto del-la norma piuttosto che su logiche di tipo aziendalistico; retaggio, que-sto, della scarsa attenzione che, nel passato, l’economia aziendale ha dedicato allo studio delle amministrazioni pubbliche.

È solo negli anni settanta dello scorso secolo che si è iniziato ad in-dagare le amministrazioni pubbliche con gli schemi concettuali propri dell’economia aziendale. Ciò è avvenuto mediante quello che Farneti definisce un «processo di razionalizzazione dei comportamenti degli operatori delle pubbliche amministrazioni»12, concretizzatosi nel New Public Management13. Le spinte alla aziendalizzazione delle ammini-strazioni pubbliche sono venute dal basso, dalle nuove esigenze della società civile; per questa ragione le aziende pubbliche sono diventate più trasparenti, non solo nel modo di operare, ma anche nei processi di rendicontazione interna ed esterna. È pertanto naturale che tra le leve di azione del New Public Management figuri anche l’introduzione di innovazioni nei sistemi contabili delle amministra-zioni pubbliche14. Tali innovazioni sono peraltro anche la conseguen-za del progressivo abbandono di una cultura di tipo burocratico, carat-terizzata dall’attenzione agli adempimenti, sostituita da un approccio di tipo manageriale fondato sul risultato, finalizzato alla crescita della competitività dei diversi sistemi-paese. Tutto ciò si traduce nel fatto che attualmente la quasi totalità delle amministrazioni pubbliche a li-vello internazionale si sta orientando verso una concezione di accoun-tability basata sulle performance conseguite (performance-based ac-countability) in luogo di quella “tradizionale” basata sulla conformità alle norme (compliance-based accountability)15.

Esiste tuttavia il rischio di un “trasferimento acritico delle cono-scenze”16, cioè il rischio di esasperare l’universalità dei principi

12 G. FARNETI, op. cit., p. 3. 13 Per approfondimenti sul tema si rinvia al capitolo 2. 14 L’introduzione della contabilità economico-patrimoniale nelle aziende pubbli-

che è spesso citata come una delle più importanti innovazioni del New Public Mana-gement. Si veda in proposito quanto riportato nel capitolo 2.

15 Si rinvia per approfondimenti al capitolo 1. 16 A proposito del trasferimento acritico delle conoscenze E. BORGONOVI affer-

ma: «il semplicismo e la non correttezza di tale processo, che ha fatto leva su affer-mazioni del tipo “anche gli enti pubblici devono essere gestiti come imprese”, sono

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Capitolo IV

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dell’economia aziendale, ritenuti talvolta erroneamente applicabili in toto agli enti pubblici, in quanto aziende. Da più parti17, dunque, si auspica uno studio analitico dei fenomeni e delle fattispecie che carat-terizzano l’azienda-ente pubblico, così da soddisfare in maniera più efficace i fabbisogni informativi e gestionali che la contraddistinguo-no. È partendo da questi presupposti, peraltro, che si è sviluppata una nuova corrente di pensiero, quella della Public Governance18, nel ten-tativo di superare la tendenza ad assimilare in modo “acritico” gli schemi concettuali, le tecniche e gli strumenti propri del settore priva-to. Secondo questo filone, il management pubblico deve sviluppare le proprie capacità di governance autonomamente, non mutuandole completamente dalle esperienze privatistiche, potenziando conte-stualmente le propria capacità di government.

Questo è in sintesi lo scenario attuale, nel quale si assiste al gradua-le affermarsi della contabilità economico-patrimoniale nei sistemi contabili degli enti pubblici (soprattutto negli enti locali, in cui è la legge a prescriverlo), a discapito della tradizionale contabilità finan-ziaria. Nel paragrafo successivo si prenderanno in analisi le due alter-native, esaminandone le principali peculiarità, i punti di forza e i punti di debolezza.

4.3 Contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale: ragioni, limiti ed evoluzione

Come visto in precedenza, il conto è un formidabile strumento in-

formativo, in quanto consente sia di decidere dell’impiego di determi-

facilmente dimostrabili dal fatto che le decisioni di governo delle imprese sono rife-ribili all’istituto della proprietà, mentre nelle amministrazioni pubbliche sono riferi-bili all’istituto della rappresentatività, del consenso, della tutela dei diritti delle mi-noranze, dal fatto che parte dei prodotti dell’amministrazione pubblica non possono essere misurati dal valore di scambio in quanto sono beni pubblici (non scambiabili nel mercato) e dal diverso rapporto tra forma e sostanze che caratterizza le scelte e i comportamenti privati e quelli pubblici» cfr. E. BORGONOVI, Principi, cit., p.15.

17 Cfr. R. MUSSARI, “Il mutamento dei sistemi contabili pubblici locali: valenze informative e culturali”, in G. FARNETI, S. POZZOLI, op. cit., 2005.

18 Sul tema si rinvia al capitolo 2.

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nate risorse, finalizzato al perseguimento di particolari obiettivi, sia di controllare, in seguito, i risultati delle decisioni prese19. Per queste ra-gioni è logico che i sistemi di rilevazione contabile mutino all’evolversi degli obiettivi informativi e delle attese conoscitive, che riflettono, a loro volta, i mutamenti che caratterizzano l’ambiente che circonda l’azienda.

In linea di massima ciò che ha distinto l’evoluzione dei sistemi di contabilità pubblica negli ultimi tempi è stato il dibattito incentrato sulla possibilità di applicare alle amministrazioni pubbliche, in sosti-tuzione o in aggiunta a quelli di contabilità finanziaria, i sistemi di contabilità economico-patrimoniale20, che, come è noto, considerano i fatti della gestione sia sotto il profilo finanziario che sotto quello eco-nomico.

La contabilità finanziaria nasce come «strumento di regolazione dei rapporti tra i cittadini – titolari dei diritti di rappresentanza – e gli amministratori – soggetti cui viene delegato il potere» per facilitare il raggiungimento di «un equilibrio economico e sociale tra le risorse prelevate in modo coattivo e il loro impiego21».

19 Cfr. R. MUSSARI, op. cit., 2005; R. MUSSARI, “La rilevazione nelle ammini-

strazioni pubbliche”, in L. HINNA, M. MENEGUZZO, R. MUSSARI, M. DECASTRI, a cura di, Economia delle aziende pubbliche, McGraw-Hill, Milano, 2005.

20 In realtà sembra che l’introduzione della contabilità generale nel settore pub-blico non sia un fenomeno del tutto recente. Già nel 1913, infatti, in Australia, il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni redigeva “rendiconti commerciali” (comprensivi di conto profitti e perdite e di situazione patrimoniale). Ad ogni modo, fino agli anni ottanta dello scorso secolo a prevalere è stata la contabilità finanziaria; il passaggio alla contabilità economico-patrimoniale si è infatti cominciato ad avere in questo periodo. L’Australia e Nuova Zelanda sono i primi due Paesi ad aver adot-tato un sistema di contabilità generale. Cfr. sul tema P. STANDISH, “Financial Ac-counting and Reporting in the Australian Post Office”, in W. JAY, R. MATHEWS (eds). , Government Accounting in Australia, Cheshire, Melbourne, 1968; OECD, Accrual Accounting and Budgeting – Key Issues and Recent Developments, OECD, Paris, 2002; International Federation of Accountants (IFAC), “Perspectives on Ac-crual Accounting”, IFAC Occasional Paper 3, IFAC, New York, 1996, T. M. CARLIN, “Accrual accounting and Financial Reporting in the Public Sector: refram-ing the debate”, MGSM Working Paper in Management, Macquarie Graduate School of Management, Sidney, 2003 .

21 F. PEZZANI, “L’evoluzione dei sistemi di contabilità pubblica”, in Azienda Pubblica. Teoria e problemi di management, n.4, 2005, p.561.

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Capitolo IV

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A fare da scenario al nascere ed al diffondersi dei sistemi di conta-bilità finanziaria è un modello di Stato centralizzato, con un intervento statale nell’economia notevole, che rende importante il fabbisogno di controllo della spesa pubblica (e del relativo debito pubblico). Delle due funzioni del conto indicate all’inizio del paragrafo (decisione pre-ventiva dei tetti di spesa e valutazione dei risultati delle decisioni pre-se) viene privilegiata, almeno all’inizio, la prima, perché a prevalere è una visione autorizzativa del bilancio pubblico.

Con il tempo, però, il ruolo dello Stato è mutato, provocando con-testualmente un cambiamento delle funzioni attribuite alla contabilità pubblica e rendendo quasi “obsoleto” il sistema di rilevazione tipico della contabilità finanziaria. L’intervento dello Stato si è fatto, infatti, più complesso, comportando un gap tra i fabbisogni conoscitivi e le informazioni fornite dai sistemi di contabilità pubblica, la cui funzione di indirizzo e controllo dell’attività amministrativa è stata sostituita dalla capacità di creare e mantenere consenso. Ciò ha favorito l’insorgere di fenomeni quali:

- l’espansione della spesa pubblica, realizzata sia mediante so-vrastima delle entrate e/o sottostima delle uscite, per favorire la politica dei trasferimenti, sia mediante sovrastima degli stanziamenti per opere pubbliche, per favorire il consenso;

- le operazioni di copertura note come “illusioni contabili”, fa-vorite dal fatto che i processi di misurazione non sono oggetti-vi, finalizzate anch’esse all’espansione della spesa.

Questi comportamenti hanno generato una serie di conseguenze22: - la mancata individuazione delle aree di responsabilità nella

formazione della spesa; - il progressivo spostamento nel tempo dell’equilibrio economi-

co, mediante il sistematico ricorso all’indebitamento garantito dallo Stato;

- la difficoltà di valutazione dei beni/servizi ottenuti rispetto al valore della ricchezza prelevata;

- l’inadeguatezza degli strumenti contabili in uso a sostenere processi decisionali sempre più articolati in ordine alle attività di programmazione, controllo e scelta tra alternative;

22 F. PEZZANI, op. cit., 2005.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi

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- un aumento non più sostenibile del debito pubblico; - la distribuzione di ricchezza non ancora prodotta.

Per di più sono intervenute numerose contingenze (l’integrazione europea e la partecipazione dell’Italia, la globalizzazione, la crescente tendenza al federalismo, ecc.)23 che hanno messo in evidenza i limiti di un sistema di contabilità cash-basis. Sono sorte, infatti, delle esi-genze che hanno comportato la necessità di un ripensamento dei si-stemi e delle tecniche contabili, anche in un’ottica di valorizzazione del principio del value for money, per lungo tempo trascurato comple-tamente. Il contenimento del debito pubblico, il bisogno di evidenziare il livello di responsabilità economico-finanziaria dei singoli ordini di amministrazioni pubbliche (derivante dall’introduzione di forme sem-pre più spinte di autonomia territoriale), l’urgenza di rappresentare contabilmente il valore dei servizi e delle attività offerte dal settore pubblico (oggi spesso in concorrenza con quello privato) sono solo al-cune delle priorità evidenziatesi di recente, di cui si dovrà assoluta-mente tener conto per rimanere al passo con il contesto internazionale ed europeo. È evidente, dunque, che il tradizionale sistema contabile pubblico, fondato sulla contabilità finanziaria, sembra avere ormai fat-to il suo tempo, rivelandosi quanto meno non in grado di soddisfare, da solo, il nuovo fabbisogno conoscitivo e ponendo le premesse per l’apertura ad un sistema basato sulla contabilità economico-patrimoniale anche nel settore pubblico.

4.3.1 Contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale: finalità, caratteristiche principali e differenze

Gli strumenti contabili principali, che costituiscono in pratica le

due più importanti alternative per il settore pubblico, sono, come già detto:

- da un lato la contabilità finanziaria, o contabilità cash-basis; - dall’altro la contabilità economico- patrimoniale, o contabilità

accrual-basis24.

23 Cfr. F. PEZZANI, ibidem., 2005. 24 Pozzoli ritiene fuorviante la dizione di “contabilità economico-patrimoniale”,

preferendo ad essa la locuzione “contabilità generale” o quella, la cui validità è so-

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Per quanto riguarda l’oggetto delle rilevazioni, mentre la seconda si concentra, come è noto, sulla determinazione del reddito di esercizio e del patrimonio di funzionamento, la contabilità finanziaria ha per og-getto il fondo cassa e il c.d. risultato di amministrazione, che «espri-mono l’equilibrio tra ricchezza prelevata dall’azienda pubblica in virtù dei propri poteri sovraordinati e ricchezza impiegata dall’azienda stes-sa per lo svolgimento delle proprie funzioni»25.

La contabilità finanziaria, inoltre, si limita ad evidenziare i fatti del-la gestione esterna, cioè le entrate connesse alle operazioni di finan-ziamento, di eventuale cessione dei prodotti e/o di elementi patrimo-niali, e le spese, cioè le erogazioni monetarie correlate all’acquisizione di fattori produttivi ed al rimborso di prestiti. Vengono trascurate, in-vece, le attività interne di creazione della ricchezza, realizzante me-diante il processo interno di trasformazione dei fattori produttivi in prodotti (la c.d. gestione interna). La contabilità economico-patrimoniale, invece, rileva i fatti di gestione esterna, responsabili del-la relazione dell’azienda con i terzi, ma consente anche di rielaborare i dati raccolti, così da evidenziare anche le operazioni di gestione inter-na. Proprio per esaminare contemporaneamente i dati sotto il duplice profilo economico-finanziario, la contabilità economico-patrimoniale fa uso del metodo della partita doppia, che prevede la distinta rileva-zione dei valori numerari e non numerari; al momento della redazione del bilancio, per di più, i valori rilevati durante l’esercizio vengono rettificati e/o integrati da valori stimati, al fine di una più puntuale de-terminazione del reddito di esercizio. Il metodo utilizzato dalla conta-bilità finanziaria, invece, è quello unilaterale della partita semplice, basato sulla mera considerazione dei flussi finanziari in entrata e usci-ta, senza bisogno di rettifiche a fine esercizio.

Il confronto tra contabilità cash-basis e contabilità accrual-basis avviene anche su argomenti quali l’individuazione del momento in cui

stenuta anche dall’Anselmi, di “contabilità economico-finanziaria-patrimoniale”. Cfr. S. POZZOLI, “Autonomia e sistemi contabili negli enti locali”, in G. FARNETI, S. POZZOLI, op. cit., 2005; L. ANSELMI, Percorsi aziendali per le pubbliche ammini-strazioni, Giappichelli, Torino, 2003.

25 E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, Contabilità e bilancio negli enti locali. Teoria, casi, esercizi risolti, Egea, Milano, 2003.

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si registrano gli effetti finanziari delle operazioni responsabili di suc-cessive variazioni, in aumento o in diminuzione, della cassa.

Se la contabilità è di tipo economico-patrimoniale, le rilevazioni avvengono nel momento della c.d. manifestazione finanziaria, cioè quando è possibile individuare con ragionevole certezza i valori og-getto dell’operazione in questione. Secondo il principio della compe-tenza contabile, infatti, solo in quel momento maturano il diritto a ri-scuotere (credito – variazione finanziaria positiva) o l’obbligo a paga-re (debito – variazione finanziaria negativa) e la variazione economica positiva (ricavo conseguito) o negativa (costo sostenuto) connessa. Se invece il sistema contabile è di tipo cash-basis, la registrazione avvie-ne solo al momento in cui si incassa o si paga.

La Tab. 4.1 sintetizza i due diversi concetti di competenza propri della contabilità finanziaria e di quella economico-patrimoniale.

Tabella 4.1 Competenza finanziaria ed economica

Fonte: G. FARNETI, Ragioneria Pubblica, Franco Angeli, Milano, 2004, p.23.

ENTRATE

+ denaro+ crediti di funzionamento+ crediti di finanziamento-debiti di funzionamento-debiti di finanziamento

Settore finanziario:entrate e spese sorte

nell’esercizio finanziario

Settore economico:ricavi/proventi e costi

di competenza dell’esercizio

USCITE

- denaro- crediti di funzionamento- crediti di finanziamento+ debiti di funzionamento+ debiti di finanziamento

PROVENTI / RICAVI

-proventi da imposte e tasse-proventi da servizi a prezzi politici

- ricavi da servizi produttivi- trasferimenti correnti- trasferimenti in c/capitale

COSTI

- costi di acquisto dei fattori produttivi

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Nei fatti, la contabilità finanziaria considera il processo di gestione come limitato alle sole operazioni di acquisizione delle risorse finan-ziarie e di impiego delle stesse per l’acquisizione di fattori produttivi e/o il rimborso di prestiti. La contabilità generale, d’altro canto, pren-de in considerazione anche quegli elementi che la contabilità finanzia-ria trascura, legati alla combinazione dei fattori produttivi, che portano sia alla formazione di costi che all’ottenimento di ricavi di competen-za economica.

In altre parole, un sistema di contabilità finanziaria consente di monitorare l’equilibrio monetario, e, nel caso di un sistema contabile “di competenza”26, anche l’equilibrio finanziario.

Tuttavia esso non permette di tenere sotto controllo l’equilibrio e-conomico ed i correlati livelli di efficienza tecnica ed economica e di efficacia.

La Tab 4.2 riassume le osservazioni fatte finora rispetto alle princi-pali caratteristiche dei due diversi sistemi contabili esaminati.

Tabella 4. 2 Confronto tra contabilità finanziaria ed economico-patrimoniale

CONTABILITÀ FINANZIA-RIA

CONTABILITÀ ECONOMICO-PATRIMONIALE

(GENERALE)

FINALITÀ PRINCIPALI Funzione autorizzativa (ex ante)

Controllo sulle modalità di uti-lizzo delle risorse finanziarie

Osservazione della gestione e valuta-zione dell’economicità (ex post)

Disponibilità di informazioni di carat-tere economico-patrimoniale sui fe-nomeni di gestione

OGGETTO Valori numerari (certi, assimilati o stimati); fondo cassa e risultato di amministrazione

Valori numerari e non numerari gene-rati nello scambio; reddito di esercizio e capitale di funzionamento

METODO

Momento di rilevazione Fasi decisionali dei processi di entrata e spesa

Momento della variazione della mone-ta e/o del credito

Tecnica di rilevazione

Partita semplice; ciascun feno-meno della gestione viene rileva-to con riferimento ad un solo aspetto, quello numerario (entra-te/uscite di cassa)

Partita doppia; ciascun fenomeno della vita aziendale viene rilevato sotto due aspetti, sia con riferimento al profilo numerario che a quello economico-patrimoniale

Tecnica di costruzione delle sintesi

Nessun ricorso a stime e conget-ture nella costruzione delle sin-tesi

Ricorso a stime e congetture

Fonte: adattato da E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, op. cit., 2003, p.12..

26 Sul concetto di competenza si rimanda a quanto descritto nel capitolo 3.

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Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi

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4.3.2 Il dibattito attuale La scelta del sistema di contabilità da adottare implica la conside-

razione e la condivisione di quella che è la “filosofia” che guida l’attività di un’azienda. La contabilità, infatti, è «un approccio siste-matico alla rilevazione dei fenomeni aziendali ed ha un inevitabile impatto sul comportamento delle organizzazioni che sono oggetto di misurazione»27. La coerenza tra obiettivi strategici che si intende rag-giungere e tecniche di misurazione, in altre parole, si ripercuote posi-tivamente sul perseguimento dei primi. La scelta fra i due diversi ap-procci (contabilità finanziaria e contabilità generale), dunque, non de-ve limitarsi ad essere una mera scelta “di competenza”, ma deve inve-ce necessariamente considerare le finalità, le funzioni e le linee di fondo che sottendono ai due diversi sistemi. Del resto, la contabilità generale, come quella finanziaria, «è solo un mezzo per un fine […] essa fornisce semplicemente la struttura complessiva per l’implementazione di riforme finanziarie e gestionali che hanno come obiettivo una maggiore efficacia, efficienza e responsabilità del servi-zio pubblico»28. La contrapposizione tra contabilità finanziaria e con-tabilità economica, viste come mere alternative contabili, può essere tacciata di “astrattezza”, se dimentica di considerare tutte le valenze gestionali che si collegano ai due diversi approcci.

Innanzi tutto bisogna considerare il fatto che nelle aziende pubbli-che il fine principale delle rilevazioni contabili è quella autorizzati-va29. L’originaria funzione di “autorizzazione” si è oggi declinata in

27 S. POZZOLI, op. cit., 2005, p.48. Lo stesso Pozzoli, tra l’altro, riconosce un du-

plice ruolo alla misurazione: – una funzione informativa, mediante la quale si vuole arrivare ad una corret-

ta rappresentazione dei fenomeni aziendali ed ambientali considerati rile-vanti ai fini dell’assunzione delle decisioni;

– una funzione di processo, che si rivela più utile ai fini del controllo di ge-stione, o almeno del controllo organizzativo in senso stretto.

28 T. MELLOR, “Why Governments Should Produce Balance Sheets”, Australian Journal of Public Administration, Vol. 55, No. 1, 1996, p.81.

29 Cfr. E. BORGONOVI, “Il sistema contabile degli istituti pubblici: caratteristiche, valutazioni, prospettive”, in AA. VV., Studi e ricerche della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Parma, Patron, Bologna, 1984; E. BORGONOVI, “Gli strumenti informativo-contabili per le decisioni nella Pubblica Amministrazione”, in

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Capitolo IV

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una serie di finalità, adattandosi ai cambiamenti intervenuti nelle a-ziende pubbliche e nell’ambiente economico, politico e sociale che le circonda30. Ad ogni modo, un contenuto finanziario dei valori conta-bili è assolutamente coerente con la funzione autorizzativa tradizio-nalmente intesa, come determinazione dei limiti di spesa quantitativi e di specie31. Anzi, il sistema di contabilità finanziaria sembra proprio cucito addosso alla funzione di autorizzazione; per questo motivo è assolutamente necessario, perché sia possibile il superamento della contabilità finanziaria, individuare soluzioni che sopperiscano alle sue carenze, senza però trascurare di adempiere la funzione autorizzativa.

Numerose e molteplici32 sono, infatti, le motivazioni addotte a fa-vore del mantenimento di questa funzione. Prima di tutto bisogna sot-tolineare che le aziende pubbliche operano in un ambito in cui sono assenti meccanismi di mercato che possano in qualche modo condi-zionare le decisioni; ciò rende necessaria la presenza di meccanismi istituzionali che consentano ai cittadini, mediante i loro rappresentanti, di indirizzare la gestione della pubblica amministrazione.

AA.VV., Strumenti informativo-contabili per le decisioni aziendali, CLUEB, Bolo-gna, 1988.

30 Oggi per funzione autorizzativa si suole indicare una serie di finalità (E. A-NESSI PESSINA, op. cit., 2005):

– permettere all’organo rappresentativo di vincolare l’operato degli or-gani di amministrazione, mediante l’approvazione del bilancio di pre-visione annuale e delle relative variazioni;

– imporre ai diversi gruppi che compongono la collettività e ai loro rap-presentanti politici di accordarsi sui vincoli da imporre agli organi amministrativi, stabilendo cioè un set di regole volte a facilitare o in-centivare la formulazione del bilancio di previsione;

– permettere all’organo politico esecutivo di attivare e contestualmente delimitare l’autonomia di spesa degli organi tecnico-amministrativi;

– delimitare le competenze dei diversi organi tecnico-amministrativi all’interno dei singoli processi di entrata e di spesa;

– garantire i livelli istituzionali sovraordinati e la collettività nazionale nel suo complesso;

– informare la collettività delle scelte dei propri rappresentanti. 31 R. MUSSARI, op. cit., 2005. 32 Cfr. E. ANESSI PESSINA, La contabilità delle aziende pubbliche, Egea, Milano,

2000; E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, op. cit., 2003.

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Inoltre nelle aziende pubbliche la distribuzione tra i membri della comunità dei sacrifici sopportati è diversa da quella delle utilità otte-nute. In altre parole, l’ammontare dei tributi pagati dipende dalla “ca-pacità contributiva” dei singoli e non dalla quantità e qualità dei servi-zi di cui essi usufruiscono, mentre chi utilizza i servizi non sempre ha contribuito al loro pagamento (versando le imposte). Questo comporta la necessità di porre un limite alla spesa pubblica, indipendentemente dalla maggiore utilità che si potrebbe ottenere investendo maggiori ri-sorse.

Queste sono solo alcune delle ragioni che giustificano il manteni-mento di una funzione autorizzativa per i bilanci della pubblica ammi-nistrazione; il fatto che la contabilità finanziaria sia del tutto coerente con questa finalità è senza dubbio un punto a suo favore.

Un altro innegabile punto di forza della contabilità finanziaria è la semplicità33. I momenti di riscossione e pagamento sono facilmente individuabili, oltre ad essere univocamente definibili; ciò riduce al minimo le difficoltà di tenuta della contabilità (e i connessi costi am-ministrativi) e rende molto più agevole l’eventuale redazione di bilan-ci preventivi e consuntivi. Anche la lettura di questi ultimi, peraltro, è più immediata e di più facile comprensione anche per chi non sia un esperto ragioniere. Inoltre la presenza di valori stimati o oggetto di congetture è ridotta al minimo, il che conferisce maggiore oggettività al bilancio.

Lo scotto da pagare per la semplicità che caratterizza la contabilità finanziaria è una minore quantità di informazioni rese disponibili, pe-raltro spesso anche meno significative. In questo senso, la contabilità accrual-basis, per quanto caratterizzata da una maggiore complessità e da una maggiore discrezionalità, è tuttavia in grado di adempiere me-glio al compito, fondamentale dal punto di vista aziendale ed etico, di «dimostrare alla collettività di non avere consumato più risorse di quante ne sono state messe a disposizione e, quindi, di aver preservato il valore del patrimonio pubblico da trasferire alle successive genera-zioni»34. In altre parole, la contabilità generale dovrebbe favorire, se correttamente applicata, un’ottica di sviluppo di processi innovativi

33 R. MUSSARI, op. cit., 2006. 34 R. MUSSARI, ibidem, 2006, p.38.

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volti alla responsabilizzazione degli operatori pubblici, alla suddivi-sione ed attribuzione dei ruoli ed al conseguimento dell’economicità, oltre che al rispetto di un principio di equità intergenerazionale35.

Proprio riguardo a quest’ultimo principio, quello dell’equità inter-generazionale, è opportuno fare alcune precisazioni. Se, infatti, per equità tra generazioni si intende una situazione di equilibrio tra utilità e sacrifici, in cui i contribuenti di un periodo devono finanziare con il pagamento delle imposte gli acquisti dello stesso periodo, allora risul-ta evidente l’idoneità della contabilità finanziaria nel garantire infor-mazioni sufficienti per questo scopo. Del resto grazie ad essa è possi-bile conoscere due importanti indicatori di equità tra generazioni: il risultato di amministrazione e l’indebitamento. Infatti l’esistenza di un avanzo di amministrazione potrebbe essere rappresentativo di un ec-cessivo onere a carico delle generazioni presenti rispetto agli impieghi del periodo, laddove un disavanzo di amministrazione potrebbe indi-care un potenziale sacrificio per le generazioni future.

L’indebitamento, invece, rappresenta una misura dell’obbligo che le generazioni a venire dovranno sostenere per il rimborso dei prestiti contratti nel passato (anche se, nei fatti, parte dei prestiti avrà senza dubbio finanziato beni durevoli, i cui benefici saranno goduti anche dalle generazioni future).

Se, invece, per equità intergenerazionale si vuole intendere una si-tuazione in cui i cittadini/contribuenti di oggi devono garantire la con-servazione delle condizioni operative atte alla produzione di servizi pubblici adeguati alle esigenze delle generazioni a venire, allora si pa-lesano i limiti della contabilità finanziaria. Gli indicatori significativi in questo caso, infatti, non sono più quelli forniti da quest’ultima, ben-sì quelli legati all’analisi del risultato economico, allo stato patrimo-niale e all’esistenza di un sistema di contabilità direzionale integrata.

35 G. FARNETI, “Nuove sperimentazioni di contabilità economica”, Azienditalia,

n.1, 1999; F. DE MATTEIS, D. PREITE, “La contabilità economico-patrimoniale negli enti locali: l’esperienza dei piccoli Comuni leccesi”, Azienda pubblica. Teorie e problemi di management, n.4, 2005.

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Almeno nelle aziende private, il risultato economico36, infatti, inte-so come differenza tra ricavi e costi, permette di conoscere se l’ente opera secondo le sue reali possibilità, cioè conservando l’equilibrio tra risorse disponibili e risorse consumate. Inteso come variazione del pa-trimonio netto, invece, il risultato economico consente di sapere se l’ente riesce a svolgere la sua attività non intaccando il patrimonio e quindi salvaguardando le future potenzialità di perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Pur ammettendo, con le dovute cautele, la limitata significatività del risultato economico in termini segnaletici rispetto alle finalità tipiche dell’azienda pubblica37, non orientata al perseguimento del profitto, ma al soddisfacimento dei bisogni della collettività, è tuttavia innegabile che la conoscenza del risultato eco-nomico faciliti il processo di responsabilizzazione interna degli enti pubblici e il soddisfacimento dei nuovi bisogni di accountability.

Il sistema in grado di misurare il risultato economico è , come noto, quello fondato sulla contabilità economico-patrimoniale. In questo senso, la contabilità finanziaria offre qualcosa in meno rispetto a quel-la generale; la contabilità cash-basis, infatti, non dispone delle infor-mazioni necessarie alla determinazione del risultato economico, lad-dove invece gli scostamenti tra quest’ultimo e le configurazioni di ri-sultato finanziario ad esso più vicine38 sono limitate a pochi elementi: ammortamenti, accantonamenti e sopravvenienze e insussistenze.

36 Cfr. R.N. ANTHONY, Tell it like it was: a conceptual framework for financial

accounting, Homewood, IL: Irwin, 1983; R.N. ANTHONY, Should business and non business accounting be different?, MA:Harvard Business School Press, Boston, 1989; E. ANESSI PESSINA, op. cit., 2005.

37 F. DE MATTEIS, D. PREITE, op. cit., 2005. 38 Le configurazioni di risultato finanziario più vicine al risultato economico sono (Cfr. E. ANESSI PESSINA, I. STECCOLINI, “La «contabilità economica» dell’ente loca-le: problemi teorici, soluzioni tecniche, riscontri empirici”, Azienda Pubblica. Teorie e problemi di management, n.1, 2001; E. ANESSI PESSINA, op. cit., 2005):

– la differenza corrente, cioè (accertamenti relativi alle entrate correnti)-(impegni relativi alle spese correnti);

– la differenza corrente corretta, cioè (accertamenti relativi alle entrate correnti)-(impegni relativi alle spese correnti)+(accertamenti relativi alla quota di proventi delle concessioni edilizie e delle relative sanzioni che viene destinata al finanziamento delle spese correnti)±(sopravvenienze e insussistenze attive e passive che corrispondono a economie e disecono-

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Capitolo IV

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Se poi si passa a considerare anche lo stato patrimoniale e si esten-de l’attenzione alla contabilità direzionale integrata39, i benefici rive-nienti dalla contabilità economica si fanno ancora più evidenti.

Per quanto riguarda la contabilità direzionale integrata, senza dub-bio una contabilità analitica di tipo economico rende disponibili, ri-spetto ai “sistemi di contabilità analitica alimentati dalla contabilità finanziaria”, informazioni più significative sotto il profilo della re-sponsabilizzazione della dirigenza, delle valutazioni di convenienza economica comparata e della determinazione delle tariffe. Nel caso in cui la contabilità direzionale sia integrata da un insieme di rilevazioni extracontabili funzionali alla gestione dell’ente, allora sarà disponibile anche un set di indicatori, rappresentativi di outcome e output, neces-sari per diversi motivi40:

– per superare un limite fondamentale della funzione auto-rizzativa, cioè che il controllo della spesa, anche se effica-ce, non assicura il soddisfacimento dei bisogni cui sono de-stinate le risorse;

– per assicurare il corretto funzionamento dei sistemi di pro-grammazione e controllo della gestione;

– per soddisfare i fabbisogni di accountability nella loro uni-versalità;

– per rinforzare l’ottica di medio-lungo periodo propria della contabilità economico-patrimoniale;

mie in conto residui e che quindi vengono rilevate sia dalla contabilità fi-nanziaria che da quella economico-patrimoniale);

– la situazione corrente, cioè (accertamenti relativi alle entrate correnti)- (impegni relativi alle spese correnti)-(impegni relativi alle quote di capi-tale delle rate di ammortamento dei mutui e dei prestiti obbligazionari).

39 La contabilità direzionale assolve prevalentemente la funzione di processo. Es-sa non è soggetta a regole esogene predeterminate, dal momento che la sua finalità non è comunicare, bensì agevolare l’esercizio dell’attività di governo interna all’azienda. La contabilità direzionale si dice “integrata” quando alla contabilità ana-litica di tipo economico, ai budget, agli scostamenti, si affiancano le rilevazioni e-xtracontabili funzionali alla gestione dell’ente. Cfr. S. POZZOLI, op. cit., 2005; E. ANESSI PESSINA, op. cit., 2005; G. AIROLDI, G. BRUNETTI, V. CODA, Economia a-ziendale, Il Mulino, Bologna, 1994.

40 E. ANESSI PESSINA, op. cit., 2005, p. 584.

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– per sottolineare la peculiarità che caratterizza le aziende pubbliche, per le quali l’equilibrio economico non è un o-biettivo bensì un vincolo.

Lo stato patrimoniale, invece, documento fondamentale della con-tabilità generale, assolve una molteplicità di funzioni, oltre a contri-buire a spostare l’ottica dal breve al medio-lungo periodo. Relativa-mente alle attività esso41:

– permette di rappresentare la capacità dell’azienda pubblica di custodirle e valorizzarle;

– offre parametri significativi a cui rapportare determinate classi di costi e proventi;

– consente valutazioni più puntuali di convenienza economi-ca comparata su specifiche scelte di assetto delle combina-zioni economiche e di permutazione del patrimonio.

Con riferimento alle passività, invece, lo stato patrimoniale consen-te di individuare direttamente l’indebitamento aziendale e di eviden-ziare gli oneri che decisioni e operazioni passate e presenti pongono a carico degli esercizi futuri.

Il dibattito è, evidentemente, molto acceso. Vi è chi42 ritiene più i-donea, per il perseguimento delle finalità proprie delle aziende pubbli-che, la contabilità finanziaria e chi invece sottolinea la convenienza di introdurre un sistema di contabilità economico-patrimoniale, anche adducendo come prova della sua validità i benefici che essa ha portato laddove introdotta, chi addirittura ritiene che, per “chiarezza culturale” la contabilità finanziaria debba essere “cancellata” perché «non neces-saria, almeno come contabilità obbligatoria, anche perché essa espri-me, è conseguenza da una parte, ma anche asseconda dall’altra, la vecchia cultura burocratica»43.

41 E. ANESSI PESSINA, ibidem, 2005. 42Cfr. fra gli altri J. GUTHRIE, M. JOHNSON, “Commercialisation of the Public

Sector. Why, how and for what? A prospective view”, in K. WHILTSHIRE (a cura di), Governance and economic efficiency, CEDA, Sidney, 1994.

43 G. FARNETI, S. POZZOLI (a cura di), op. cit., 2005, p. 12.

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Capitolo IV

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In linea di massima, le alternative secondo le quali un’azienda pub-blica può impostare il proprio sistema contabile sono fondamental-mente quattro44.

La prima alternativa, quella della contabilità finanziaria estesa, sot-tintende la convinzione che la contabilità finanziaria da sola garantisca la disponibilità di tutte le informazioni necessarie alla redazione del conto del patrimonio e del conto economico. In pratica, cioè, questa alternativa prevede che nel corso dell’esercizio l’azienda effettui solo le rilevazioni di contabilità finanziaria. Al termine dell’esercizio, poi, mediante un prospetto di conciliazione, i valori così rilevati vengono rielaborati e rettificati per procedere alla stesura del conto del patri-monio e del conto economico.

La seconda alternativa, nota come sistema contabile integrato, nega che la contabilità finanziaria sia in grado di contribuire alla costruzio-ne del conto del patrimonio e del conto economico; tuttavia, mante-nendo le specificità dei singoli sistemi, è possibile sfruttare le poten-zialità della loro integrazione.

La terza alternativa, quella dei sistemi contabili paralleli, concorda con la seconda per quel che riguarda il fatto che il conto del patrimo-nio ed il conto economico non possano essere costruiti utilizzando so-lo il sistema di contabilità finanziaria. Si ritiene, però, non auspicabile l’integrazione tra i due sistemi, perché il sistema di contabilità genera-le potrebbe essere contaminato dalle distorsioni che caratterizzano quello di contabilità finanziaria. Per questo, secondo questo approccio, è consigliabile adottare due sistemi contabili paralleli, privi di alcun legame.

L’ultima alternativa, quella del sistema contabile unico (peraltro in contrasto con l’attuale normativa), prevede che la contabilità econo-mico-patrimoniale diventi la contabilità principale dell’azienda pub-blica.

La scelta fra una di queste alternative costituisce, a tutt’oggi, un ve-ro e proprio dilemma; è stato portato avanti qualche tentativo di intro-

44 E. CAPERCHIONE, “La tenuta della contabilità per la costruzione del conto eco-

nomico”, in E. CAPERCHIONE (a cura di), Il regolamento di contabilità dell’ente lo-cale, Maggioli, Rimini, 1996; E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, op. cit., 2003.

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durre delle discriminanti (la dimensione dell’azienda, la sua comples-sità, ecc.) ma senza alcun successo.

4.4 Conclusioni Le riforme amministrative che hanno di recente interessato diversi

Stati si sono focalizzate soprattutto su processi di decentramento. Que-sti processi, hanno riguardato, tra gli altri aspetti, «il passaggio della titolarità delle funzioni esercitate dai poteri pubblici dall’amministrazione centrale agli enti locali45», e la delega di auto-nomia decisionale al management. Tutto ciò ha comportato la previ-sione di adeguati incentivi per il raggiungimento dei risultati e mag-giore flessibilità per i manager; tale flessibilità, però, è stata controbi-lanciata da una maggiore responsabilizzazione, che si è concretizzata nella necessità di definire gli obiettivi, di misurare le performance e di rendicontare i risultati raggiunti. L’attenzione alle performance, in particolare, ha comportato la ricerca di strumenti che contribuiscano al miglioramento della gestione, stimolando il miglioramento del rappor-to costi/benefici, ma anche un controllo più efficace delle risorse. La ricerca di nuovi sistemi contabili e/o il miglioramento di quelli esi-stenti vanno senza dubbio collocati in questo ambito.

Il passaggio dalla contabilità finanziaria a quella economico-patrimoniale, tuttavia, non deve essere considerato positivo in assolu-to. Si corre infatti il rischio di considerare la contabilità generale come una panacea, come la soluzione a tutti i mali che oggi affliggono la Pubblica Amministrazione, nella erronea convinzione che il cambia-mento dei sistemi contabili possa da solo comportare il miglioramento della gestione statale.

Per evitare una situazione del genere la soluzione è una sola: la cre-scita di cultura aziendale46. In altre parole, non basta modificare i si-stemi contabili per far sì che essi forniscano maggiori e più significa-tive informazioni, ma è necessario che queste informazioni si rifletta-

45 L. HINNA, F. MONTEDURO, op. cit., 2006. 46 L. GIOVANELLI, op. cit., 2000.

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no poi nei comportamenti dei responsabili dei processi decisionali, strategici e gestionali.

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Capitolo V Il sistema contabile dello Stato

di Fabio Monteduro

5.1 Introduzione

Il sistema contabile dello Stato, al pari degli altri sistemi contabili, consta di rilevazioni preventive, concomitanti e consuntive.

È quasi superfluo sottolineare la rilevanza delle prime; il concetto di programmazione1 è infatti senza dubbio basilare in economia, ma assume un ruolo ancora più importante e peculiare in contabilità pub-blica, traducendosi in uno strumento previsionale macroeconomico, suscettibile di produrre effetti sull’intero tessuto economico nazionale.

A riconferma del rilievo delle rilevazioni preventive basta analizza-re la struttura del sistema di bilancio dello Stato, composto dai seguen-ti documenti:

– Documento di Programmazione Economico-finanziaria ; – Legge Finanziaria; – Disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubbli-

ca; – Relazione Previsionale e Programmatica; – Bilancio Annuale di Previsione; – Bilancio Pluriennale; – Budget Economico per Centri di Costo; – Rendiconto Generale dello Stato.

1 La programmazione è definita come l’attività volta ad «indirizzare le attività

economiche seguendo un disegno coerente e complesso, previamente tracciato e no-to, per un periodo di tempo ragionevolmente lungo e comunque pluriennale»; M.GIUSTI, “Programmazione e documenti finanziari”, in AA. VV., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, Giappichelli, 1999, p.29.

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Non sfuggirà che a prevalere, rispetto a quelli consuntivi, sono net-tamente i documenti per così dire “prospettici”.

Di seguito si procederà alla descrizione dei principali contenuti dapprima di questi ultimi; in un secondo momento si passeranno in rassegna le rilevazioni concomitanti e i documenti frutto delle rileva-zioni consuntive.

5.2 I documenti di previsione dello Stato: il Documento di Pro-grammazione Economico-Finanziaria (DPEF)

Il processo di formazione del bilancio statale prevede, come primo step, la presentazione da parte del Governo del documento di pro-grammazione economico-finanziaria. Tale documento, introdotto dal-la l. n. 362/88 (che ha novellato l’art. 3 della l. n. 468/78), fornisce un notevole impulso alla pianificazione strategica ed economica da parte dello Stato. Esso, infatti, in linea di massima contiene la formulazione di ipotesi sul futuro andamento dell’economia, oltre all’illustrazione dei principali obiettivi economici e finanziari che il Governo intende raggiungere tramite la gestione, obiettivi che vengono poi ripresi nel bilancio annuale ed in quello pluriennale. Nei fatti, peraltro, il docu-mento di programmazione economico-finanziaria sopperisce ai nume-rosi limiti del bilancio pluriennale, assolutamente inadeguato a svolge-re da solo una funzione di programmazione statale in un’ottica di me-dio-lungo termine.

Il documento di programmazione economico-finanziaria si articola in tre “sezioni”: una prima descrittiva, una di obiettivi-strumenti ed un’ultima di indirizzo2.

La prima sezione, quella descrittiva appunto, illustra lo stato dell’economia e della finanza pubblica italiana ed internazionale, for-nendo dati anche sulla loro possibile evoluzione. Sulla base dell’analisi degli andamenti reali dell’economia, poi, si analizzano e-ventuali scostamenti rispetto ai documenti degli anni precedenti.

2 F. ZACCARIA, “Il bilancio dello Stato”, in AA. VV., Contabilità di Stato e degli

enti pubblici, Torino, Giappichelli, 1999, p.29.

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La seconda sezione deve contenere l’elencazione degli obiettivi della politica di bilancio che il Governo ha proposto ed il Parlamento ha accettato, obiettivi che dovranno poi essere analizzati nel bilancio pluriennale ed in quello annuale. Tali obiettivi, per di più, possono es-sere di due tipi:

1. obiettivi macroeconomici relativi all’azione di sviluppo del reddito e dell’occupazione;

2. obiettivi di controllo degli squilibri, cioè del fabbisogno del settore pubblico e di quello statale. A tal fine, peraltro, il do-cumento di programmazione economico-finanziaria si preoc-cupa di stabilire ed indicare il valore del saldo netto da finan-ziare di competenza dell’esercizio successivo. Si tratta di un valore molto significativo, che viene ripreso dalla legge finan-ziaria e diventa la discriminante rispetto al quale modulare le variazioni in diminuzione della spesa o quelli in aumento delle entrate.

L’ultima sezione prevede l’illustrazione delle linee di indirizzo del-la politica di bilancio e degli strumenti di intervento, con la contestua-le definizione delle parti della manovra rispetto alle quali sarà oppor-tuno intervenire con riduzione della spesa e quelle rispetto a cui, al contrario, si interverrà con aumento delle entrate.

5.3 I documenti di previsione dello Stato: la Relazione Previsiona-le e Programmatica

Previsto già dalla legge n. 639 del 1949 e riconfermato dalla legge

n. 62 del 1964, oltre che dalle già citate leggi n. 468/78 e n. 362/88, l’istituto della relazione previsionale e programmatica è strumentale a fornire al Parlamento una rappresentazione quanto più esaustiva pos-sibile dell’andamento dell’economia e della finanza pubblica italiane, che serva da riferimento per un’eventuale manovra correttiva. Esso, inoltre, si preoccupa di indicare anche gli indirizzi della politica eco-nomica nazionale e i correlati obiettivi programmatici, allo scopo di porre in evidenza la compatibilità tra questi ultimi, la situazione eco-nomica descritta e gli impegni finanziari previsti nei bilanci plurienna-li dell’intero settore pubblico.

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L’art. 15 della legge n. 468/78 prescrive che la relazione previsio-nale e programmatica contenga, in una sezione appositamente dedica-ta, una illustrazione del quadro generale riassuntivo del bilancio dello stato, volto a fornire «un’analitica dimostrazione delle variazioni ri-spetto alle previsioni dell’anno precedente, nonché informazioni sulla parte discrezionale di spesa»3. Contestualmente alla relazione previ-sionale e programmatica vengono presentate le relazioni programma-tiche di settore e le relazioni sulle leggi pluriennali di spesa.

5.4 I documenti di previsione dello Stato: la Legge Finanziaria

La Legge Finanziaria è un istituto piuttosto recente; introdotto dalla legge n. 468/78, è stato peraltro sostanzialmente modificato dalla suc-cessiva legge n. 362/88. La legge finanziaria ha carattere di documen-to polifunzionale, potendo essere ad esso attribuite tre funzioni fon-damentali4:

a) decisione di valori obiettivo e programmazione finanziaria nel medio termine;

b) legge “al servizio” di quella di bilancio, in quanto tale soggetta al rispetto dei principi di cui all’art. 81 Cost., terzo comma;

c) atto ad efficacia legislativa ma con portata limitata. Il contenuto della legge finanziaria può essere suddiviso in due aree

principali: a) contenuto necessario, in quanto qualificante ogni legge finan-

ziaria in quanto tale; b) contenuto eventuale, relativo a norme che l’esecutivo e il Par-

lamento possono decidere di inserire per venire incontro a spe-cifici bisogni di politica economica.

A lungo si è dibattuto sulla natura della legge finanziaria, la cui na-tura viene di volta in volta ritenuta di natura congiunturale, legata a politiche di breve termine, piuttosto che strutturale, diretta ad avere effetti sugli obiettivi di lungo termine, sulla struttura dell’economia e

3 L. GIOVANELLI, Modelli contabili e di bilancio in uno stato che cambia, Giuf-

frè editore, Milano, 2000. 4 F. ZACCARIA, op. cit., 1999.

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sullo sviluppo economico. In realtà, sebbene esistano significativi ar-gomenti a favore sia dell’una che dell’altra posizione5, è opportuno sottolineare l’atipicità della legge finanziaria, difficilmente riconduci-bile ad uno schema preciso.

Alcuni, inoltre, sono soliti ricondurre la legge finanziaria al bilan-cio di previsione, laddove altri la ritengono meramente una “somma di leggi di spesa”. La distinzione non è di poco conto. La riforma del 1988, che ha introdotto il divieto di istituire nuovi tributi e nuove o maggiori spese, ha fornito una qualche forma di conferma alla prima tesi, che tende a sottolineare il ruolo di programmazione che nel cam-po della finanza pubblica si trova a svolgere la finanziaria, smentendo chi leggeva nella legge finanziaria la possibilità di inserire nuove en-trate e nuove spese nel bilancio dello Stato.

La legge finanziaria viene accompagnata da provvedimenti noti come disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, che nei fatti sono costituiti dal complesso di tutte le norme legislative ne-cessarie alla concreta realizzazione della legge finanziaria6. Il disegno di legge, tipicamente intitolato «misure di razionalizzazione della fi-nanza pubblica» viene presentato ed approvato insieme alla legge fi-nanziaria. Entrambi i provvedimenti, finanziaria e legge di razionaliz-zazione, sono pubblicati in supplemento ordinario alla Gazzetta Uffi-ciale. 5.5 I documenti di previsione dello Stato: il Bilancio di Previsione

L’art 1 della legge 468/78 stabilisce che «la gestione finanziaria dello Stato si svolge in base al bilancio annuale di previsione. Tale bi-lancio è redatto in termini di competenza e in termini di cassa […]».

L’art 2 della legge 468/1978, come modificato e integrato dall’art. 1 della 94/1997, stabilisce che il progetto di bilancio annuale di previ-

5 Cfr. F. ZACCARIA, ibidem, 1999. 6 I disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica sono stati introdotti

per accogliere «gli interventi di ordine qualitativo sulla legislazione settoriale», lad-dove alla legge finanziaria sono state lasciate le «regolamentazioni di spesa mera-mente quantitative, tassativamente elencate». Cfr. L. GIOVANELLI, op. cit., 2000; M. V. LUPÒ AVAGLIANO, La riforma del bilancio dello Stato, Cedam, Padova, 1998.

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sione a legislazione vigente è formato sulla base dei criteri e parametri indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria. La competenza parlamentare, per quanto riguarda il bilancio, è sancita dall’art. 81 della Costituzione, che al primo comma stabilisce che le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo pre-sentati dal Governo.

Il bilancio di previsione svolge una duplice funzione all’interno della amministrazione dello Stato, oltre naturalmente a quella di pro-grammazione finanziaria. In primis esso costituisce una guida per l’azione amministrativa dell’esecutivo, per il quale rappresenta un im-portante punto di riferimento, anche ai fini di una allocazione quanto più efficiente possibile delle risorse disponibili. In secondo luogo, come si è avuto modo di ripetere in più punti, il bilancio di previsione sancisce i confini di spesa entro cui l’attività finanziaria dovrà operare, rappresentando, dunque, un vincolo invalicabile. Tale vincolo7, in o-gni caso, è un limite di spesa e non un limite al consumo di risorse; ciò è evidentemente la conseguenza dell’adozione di un criterio di conta-bilizzazione meramente finanziario. Il bilancio dello Stato, peraltro, è un po’ il “crocevia della finanza pubblica”8, perché, malgrado le re-centi e numerose riforme volte a conferire maggiore autonomia finan-ziaria agli altri enti pubblici, le entrate sulle quali questi ultimi posso-no contare sono ancora prevalentemente trasferimenti, ossia erogazio-ni del bilancio dello Stato.

5.5.1 La struttura del bilancio di previsione

La legge n. 94/97 e il D.Lgs. 279/97 hanno profondamente modifi-

cato il bilancio di previsione annuale, pur confermandone la denomi-nazione (bilancio di previsione, appunto), la funzione (autorizzatoria) ed il contenuto (competenza e cassa). Le innovazioni più importanti riguardano innanzitutto la struttura ed il procedimento di formazione ed approvazione. Per quanto attiene alla struttura la legge n. 94/97

7 R. MUSSARI, “La rilevazione nelle Amministrazioni Pubbliche”, in L. HINNA,

M. MENEGUZZO, R. MUSSARI, M. DECASTRI, a cura di, Economia delle aziende pub-bliche, McGraw-Hill, Milano, 2005.

8 M. GIUSTI, op. cit., 1999.

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stabilisce che «il bilancio annuale di previsione, oggetto di un unico disegno di legge, è costituito da:

stato di previsione dell'entrata; stati di previsione della spesa distinti per Ministeri, con le

allegate appendici dei bilanci delle aziende ed amministra-zioni autonome;

quadro generale riassuntivo»9. Lo stato di previsione dell’entrata è, dunque, unico, e non fa distin-

zione tra le varie amministrazioni che, a vario titolo, provvedono all’accertamento e alla riscossione delle entrate dello Stato.

Per la spesa, per contro, è redatto uno stato di previsione per cia-scun Ministero, cui sono allegati i bilanci delle aziende autonome di-pendenti.

Una particolare posizione di autonomia finanziaria, in ultimo, è ri-conosciuta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. A partire dall’esercizio 2000, infatti, la Presidenza deve provvedere all’autonoma gestione delle spese nei limiti delle disponibilità iscritte in apposita unità previsionale di base dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze10.

Ciascuno stato di previsione è illustrato da una nota preliminare ed integrato da un allegato tecnico. Nelle note preliminari della spesa so-no indicati i criteri adottati per la formulazione delle previsioni, con particolare riguardo alla spesa corrente di carattere discrezionale che presenta tassi di variazione significativamente diversi da quello indi-cato per le spese correnti nel Documento di programmazione econo-mico-finanziaria deliberato dal Parlamento.

I criteri per determinare la significatività degli scostamenti sono in-dicati nel Documento medesimo. Nelle note preliminari della spesa sono altresì indicati gli obiettivi che le amministrazioni intendono conseguire in termini di livello dei servizi e di interventi, con l'indica-zione delle eventuali assunzioni di personale programmate nel corso dell'esercizio e degli indicatori di efficacia ed efficienza che si inten-dono utilizzare per valutare i risultati.

9 Art. 1 comma 4 ter l. n. 94/97. 10 D. Lgs. N.303/99, “Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri,

a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”

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Nell'allegato tecnico sono indicati, disaggregati per capitolo, i con-tenuti di ciascuna unità previsionale e il carattere giuridicamente ob-bligatorio o discrezionale della spesa, con il rinvio alle relative dispo-sizioni legislative, nonché i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti finanziati nell'ambito dello stato di previsione.

Nella nota preliminare dello stato di previsione dell'entrata sono specificatamente illustrati i criteri per la previsione delle entrate relati-ve alle principali imposte e tasse e, per ciascun titolo, la quota non a-vente carattere ricorrente, nonché, per il periodo compreso nel bilancio pluriennale, gli effetti connessi alle disposizioni normative introdotte nell'esercizio recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.

La nota preliminare di ciascuno stato di previsione espone, inoltre, in apposito allegato, le previsioni sull'andamento delle entrate e delle spese per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio pluriennale11.

La Riforma del ’97 ha inoltre modificato in maniera sostanziale la classificazione delle voci, sia per quanto riguarda la sezione delle en-trate che per quella delle uscite.

Le prime, in precedenza, erano suddivise in Titoli (in base alla na-tura economica), Rubriche e Capitoli (che costituivano le voci ele-mentari, oltre che le unità di voto). Oggi, invece, le entrate si suddivi-dono in12:

– Titoli, a seconda della loro provenienza; – Unità Previsionali di Base (UPB), strumentali

all’approvazione parlamentare ed all’accertamento; – Categorie, secondo la natura dei cespiti; – Capitoli ed Articoli, a seconda dell’oggetto, ma solo per

quel che concerne la gestione e la rendicontazione e non, dunque, la fase dell’approvazione del bilancio di previ-sione.

Per quanto attiene alla sezione delle spese, invece, la precedente suddivisione in Titoli, Sezioni, Rubriche, Categorie e Capitoli ha la-

11 L. n. 468/78, art. 2 , comma I, II, III, IV. 12 Cfr. art. 6, comma 1, come novellato dall’art. 4 l. n. 94/97, e l’art. 1, comma 2,

D. Lgs. 279/97.

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sciato il posto alla nuova classificazione basata sulle dimensioni dell’analisi funzionale e, ancora una volta, dell’Unità Previsionale di Base.

Le Unità Previsionali di Base, una delle novità più importanti in-trodotte dalla Riforma del ’97, meritano senza dubbio ulteriori appro-fondimenti. Esse sono, nei fatti, la nuova unità di voto su cui si fonda l’iter di approvazione parlamentare, che grazie a questa nuova impo-stazione risulta notevolmente semplificato. Il livello di aggregazione delle unità previsionali di base, infatti, è superiore rispetto a quello dei capitoli: questo ha come conseguenza il fatto che il Parlamento non si trova più a dover votare migliaia di capitoli, bensì molti meno aggre-gati di essi, le UPB, appunto.

Figura 5. 1 Le Unità Previsionali di Base

Fonte: adattato da L. GIOVANELLI, Modelli contabili e di bilancio in uno stato che cambia, Giuffrè editore, Milano, 2000, p. 244.

In sostanza esiste una vera e propria dicotomia tra bilancio politico

(quello “aggregato” in UPB, da sottoporre all’approvazione delle Ca-

MINISTERO

Super aggregato

TITOLO

UPB I^ LIVELLO UPB DI 2^ LIVELLO: UNITA’ VOTO

Centro di responsabilità 1

Centro di responsabilità 2

MACRO-AGGREGATO

SPESA CORRENTE

SPESA C/C CAPITALE

RIMBORSO PRESTITI,ONERI DI AMMORTAMENTO

1. Spesa di funzionamento2. Spese per interventi3. Spese per trattamento

di quescienza e simili4. Per oneri del deb pubb5. Per oneri comuni

1. Spesa di investimento2. Spese per oneri comuni3. Altre spese

1. Rimborso del debito pubblico

Oggetto di voto parlamentare

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mere) e bilancio amministrativo (maggiormente analitico e che vede la scissione in Capitoli delle UPB), che identifica chi e in che modo gestirà le risorse allocate con il bilancio politico. I due documenti rap-presentano una lettura, effettuata a scopi diversi, della medesima real-tà: la gestione da porre in essere da parte delle unità organizzative dei ministeri nel corso di un periodo amministrativo. La duplicazione del bilancio corrisponde all’esigenza di una maggiore razionalità; grazie ad essa, infatti, Il Parlamento può concentrarsi sul momento politico-strategico, laddove all’esecutivo è attribuita una competenza decisio-nale ed autorizzatoria, riferita in modo più analitico alle operazioni.

Figura 5. 2 Bilancio politico e bilancio amministrativo

Fonte: adattato da L. GIOVANELLI, Modelli contabili e di bilancio in uno stato che cambia, Giuffrè editore, Milano, 2000, p. 238.

Il bilancio politico consta di una struttura formale semplice e snella volta a porre in evidenza da un lato «i contenuti sostanziali dell’autonomia gestionale e della correlata responsabilizzazione attri-buita ai dirigenti (centri di responsabilità) attraverso le unità previsio-

Ministeri Centri di Responsabilità

Finalitàistituzionali capitoli

Super Aggregati

Unitàprevisionali di

BaseCon articolazione per “titolo” e per macro aggregato”

Funzioni-obiettivo

Specifico oggetto a fini di

gestione e di rendicontazione

BILANCIO POLITICOBILANCIO POLITICO BILANCIO AMMINISTRATIVOBILANCIO AMMINISTRATIVO

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nali di base»13, dall’altro «le scelte politico-allocative, ovvero le poli-tiche pubbliche da realizzare, rappresentate attraverso l’articolazione in funzioni-obiettivo, con finalità informativa e cognitiva»14.

Le Unità Previsionali di Base sono stabilite in modo che a ciascuna unità corrisponda un unico centro di responsabilità amministrativa, cui è affidata la relativa gestione. La creazione di un collegamento tra le unità di voto e i centri di responsabilità amministrativa, responsabili della loro gestione all’interno della struttura amministrativa è senza dubbio uno dei meriti più grandi della riforma. Essa, peraltro, ha avuto come effetto il conferimento di una maggiore autonomia e responsabi-lità alla dirigenza pubblica, anche dal punto di vista contabile. Ogni UPB, infatti, può appartenere ad un solo centro di responsabilità; dall’altro lato, invece, ad un centro di responsabilità possono afferire più Unità Previsionali di Base. Le unità previsionali sono determinate con riferimento ad aree omogenee di attività, anche a carattere stru-mentale, in cui si articolano le competenze istituzionali di ciascun Mi-nistero.

Per ogni unità previsionale di base sono indicati: a) l'ammontare presunto dei residui attivi o passivi alla chiusura

dell'esercizio precedente a quello cui il bilancio si riferisce; b) l'ammontare delle entrate che si prevede di accertare e delle

spese che si prevede di impegnare nell'anno cui il bilancio si riferisce;

c) l'ammontare delle entrate che si prevede di incassare e delle spese che si prevede di pagare nell'anno cui il bilancio si riferi-sce, senza distinzione fra operazioni in conto competenza ed in conto residui.

Le somme comprese in ciascuna unità previsionale di base sono suddivise, relativamente alla spesa, in spese correnti, con enucleazione delle spese di personale, e spese di investimento, con enucleazione delle spese di investimento destinate alle regioni in ritardo di sviluppo ai sensi dei regolamenti dell'Unione europea.

13 L. GIOVANELLI, op. cit., 2000, p. 234. 14 L. GIOVANELLI, ibidem., 2000.

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Il contenuto delle unità previsionali di base e le modificazioni e-ventualmente introdotte nel numero e nell'articolazione delle unità stesse rispetto all'anno precedente sono illustrati negli allegati tecnici che integrano le note preliminari a ciascuno stato di previsione. Nel-l'allegato tecnico sono indicati, tra l'altro, i capitoli nei quali è disag-gregata ciascuna unità previsionale di base ai fini della gestione e della rendicontazione, nonché il carattere giuridicamente obbligatorio o di-screzionale delle spese, con il rinvio alle relative disposizioni legisla-tive; sono indicati, altresì, i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti finanziati nell'ambito dello stato di previsione. Sono inoltre enucleate, nell'ambito delle spese di investimento, quelle destinate alle regioni in ritardo di sviluppo ai sensi dei regolamenti dell'Unione eu-ropea.

La determinazione delle unità previsionali di base è effettuata con il disegno di legge di approvazione del bilancio dello Stato, con il quale si provvede alle eventuali modifiche o integrazioni rispetto alla classi-ficazione dell'esercizio precedente.

Un’ulteriore novità, oltre alle Unità Previsionali di Base, come si è visto, è quella delle funzioni obiettivo, introdotte dalla riforma degli anni Novanta nel tentativo di accrescere la capacità comunicativa del bilancio anche nei confronti dei semplici cittadini/contribuenti. Le funzioni obiettivo costituiscono una «classificazione della spesa tesa ad evidenziare le politiche pubbliche settoriali dello Stato, realizzata al fine di agevolare sia il processo formativo delle politiche stesse sia il processo valutativo dei costi e dei risultati collegati al perseguimento dei fini istituzionali»15. Il bilancio tradizionale, infatti, presentava, re-lativamente alle spese, dei valori riclassificati sulla base del Ministero destinatario di specifiche risorse. Ciò, evidentemente, rendeva il bi-lancio poco comprensibile ad un eventuale lettore (soprattutto se ine-sperto di contabilità), anche perché non permetteva di conoscere con chiarezza la spesa per uno specifico intervento (ad es. la spesa per la sicurezza), per realizzare il quale è evidentemente necessario l’intervento di più Ministeri. In un’ottica di accountability, è stato perciò introdotto l’utilizzo di codici funzionali alla riclassificazione

15 L. GIOVANELLI, op. cit., 2000, p. 246.

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delle risorse sulla base della loro destinazione, sulla base, cioè, della loro funzione obiettivo16. 5.5.2 La procedura di formazione, presentazione ed approvazione

L’iniziativa per la formazione del progetto di bilancio annuale compete al Ministro dell’economia e delle finanze che si avvale del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

La formazione del progetto di bilancio inizia con la predisposizio-ne, da parte del ministro, solitamente nel mese di marzo per i bilanci dell’anno successivo, di una circolare che viene inviata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a tutti i ministeri e amministrazioni auto-nome, agli Uffici centrali del bilancio presso i Ministeri e amministra-zioni autonome, e per conoscenza alla Corte dei conti. La circolare in-dica gli obiettivi generali della politica di bilancio dai quali devono di-scendere le indicazioni per tutti i tipi di spesa, come personale, sanità, trasferimenti, difesa, investimenti, beni e servizi

A norma di quanto disposto dall’art. 5 della legge 94/97 e dall’art. 2 del decreto legislativo 279/97, gli stanziamenti dei singoli stati di previsione devono essere determinati esclusivamente in relazione alle esigenze funzionali e agli obiettivi concretamente perseguibili, rima-nendo preclusa ogni quantificazione basata sul mero calcolo della spe-sa storica incrementale.

Almeno in linea teorica, infatti, le previsioni non possono essere ef-fettuate muovendo dalla spesa dell’anno precedente cui si aggiunge un incremento basato su percentuali non riferite a valutazioni oggettive e globali, ma devono essere ponderate sui fabbisogni occorrenti per l’attuazione degli obiettivi programmati. Nei fatti, tuttavia, tipicamen-te la redazione del bilancio di previsione segue una logica di tipo in-crementale; in altre parole, i Ministeri omettono il più delle volte la valutazione dell’opportunità o meno dei capitoli esistenti, limitandosi

16 L’art. 4, comma 1, l. n. 94/97 ha stabilito che le spese dello Stato siano suddi-

vise in «funzioni obiettivo, individuate con riguardo all’esigenza di definire le poli-tiche pubbliche di settore e di misurare il prodotto delle attività amministrative, ove possibile anche in termini di servizi finali resi ai cittadini».

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a proporne l’aumento nei limiti del tasso programmato di inflazione e delle nuovi voci di spesa previste17.

Le autorizzazioni di cassa, che prevedono il limite dei pagamenti da effettuarsi nel corso dell’esercizio, sono stabilite tenendo conto del ritmo di smaltimento dei residui e dell’effettiva consistenza dei conti di tesoreria.

Gli Uffici centrali del bilancio provvedono, presso ciascun Ministe-ro, a predisporre le “schede-capitolo” nelle quali sono indicate le pro-poste di previsione.

La legge n. 94/97 ha introdotto un’ulteriore puntualizzazione sulla formazione del bilancio; in sede di formulazione degli schemi degli stati di previsione i Ministri indicano, anche sulla base delle proposte dei dirigenti responsabili della gestione delle singole unità previsiona-li, gli obiettivi e i programmi di ciascun Dicastero.

Successivamente il Ministro del tesoro valuta gli oneri delle fun-zioni e dei servizi istituzionali, nonché quelli dei programmi e dei progetti presentati dall'amministrazione interessata, con riferimento alle singole unità previsionali. Nella stessa sede, esamina altresì lo sta-to di attuazione dei programmi in corso, ai fini della proposta di con-servazione in bilancio come residui delle somme già stanziate per spe-se in conto capitale e non impegnate. Infine, il Ministro del tesoro predispone il progetto di bilancio di previsione.

Il disegno di legge riguardante il bilancio annuale è, presentato al Parlamento entro il 30 settembre, così come disposto dalla legge n. 208/99. È altresì, trasmesso, come già detto, alla Conferenza unificata Stato-Regioni e Autonomie locali, che esprime il proprio parere entro il 15 ottobre. Il parere della Conferenza è comunicato al Governo e al Parlamento. Per consuetudine ormai consolidata, il progetto di bilan-cio viene presentato un anno alla Camera dei Deputati e un anno al Senato.

17 Un altro metodo di redazione del bilancio di previsione, adottato soprattutto

negli Stati Uniti, è il c.d. Zero Base Budget. Secondo il metodo “a base zero” il bi-lancio andrebbe ricostruito ex novo ogni anno (partendo da zero, appunto), giustifi-cando l’esistenza di ogni capitolo, e conferendo così non solo maggiore flessibilità al documento, ma anche maggiore rispondenza alle contingenze che caratterizzano la politica economica statale in un determinato momento.

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Ricevuto dal Governo il disegno di legge di bilancio, previa auto-rizzazione del Presidente della Repubblica18, le Camere ne iniziano l’esame. Presso ciascun ramo del Parlamento, l’esame viene effettuato attraverso la procedura normale19.

Con modificazioni effettuate ai rispettivi regolamenti, è stata isti-tuita, presso entrambe le Camere, la sessione di bilancio, ossia un pe-riodo durante il quale viene sospesa ogni deliberazione delle Assem-blee e Commissioni in sede legislativa.

La sessione di bilancio ha lo scopo sia di agevolare i lavori parla-mentari al fine di una tempestiva approvazione dei documenti finan-ziari e sia di evitare l’approvazione di leggi spesa che modifichino la manovra finanziaria all’esame.

La sessione di bilancio ha durata di 45 giorni alla Camera dei De-putati e di 40 giorni presso il Senato. Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo (Art 81 Cost.).

Terminata la discussione parlamentare si procede nell’ordine all’approvazione di20:

stato di previsione dell’entrata; ciascun stato di previsione della spesa; totale generale della spesa; quadro generale riassuntivo.

L’art 119 del regolamento della Camera stabilisce che la discussio-ne si concluda con le votazioni finali sui disegni di legge finanziaria e di approvazione dei bilanci, con le variazioni conseguenti alle disposi-zioni contenute nel disegno di legge finanziaria. Per l’approvazione del bilancio, non sono previste dalla Costituzione maggioranze parti-colari.

18 Art. 87 Cost. 19 La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Came-

ra è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazio-nali, di approvazione di bilanci e consuntivi (art 72 Cost.).

20 L'approvazione dello stato di previsione dell'entrata, di ciascuno stato di previ-sione della spesa, del totale generale della spesa e del quadro generale generale rias-suntivo è disposta, nell'ordine, con distinti articoli di legge, con riferimento sia alle dotazioni di competenza che a quelle di cassa (art 2, comma 7, 468/78).

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Capitolo V

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La forma dell’atto approvativo, benché non espressamente indicata dall’ art 81, non può essere che la legge, legge che viene sottoposta al Capo dello Stato per la promulgazione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Come già ricordato i Ministri, entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, assegnano le risorse ai dirigenti generali re-sponsabili della gestione. Quanto detto è riassunto nella tabella se-guente.

Tabella 5.1 Il processo di formazione e approvazione del bilancio statale

SOGGETTI ATTI FORMALI DOCUMENTI CONTABILI TEMPISTICA

Ragioneria Gene-rale dello Stato – RGS (Ministero dell’economia e delle finanze - MEF)

Circolare-base per la formazione del bilancio

(Contiene i princìpi ed i criteri generali in base ai quali impo-

stare le previsioni)

Marzo

Governo

Elaborazione Docu-

mento di programma-zione economica e fi-nanziaria (DPEF) e

presentazione alle Ca-mere

(Il DPEF individua le percentua-li di variazione per le entrate e le spese compatibili con gli o-

biettivi di fabbisogno del settore statale e di indebitamento netto

delle p.a.)

Entro

il 30 giugno

Governo

Presentazione alle Ca-

mere del disegno di legge di approvazione

del rendiconto dell’anno precedente

Il rendiconto si articola in un Conto del Bilancio ed in un

Conto del Patrimonio

Entro

il 30 giugno

Governo

Presentazione alle Ca-

mere del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’anno

in corso

Contiene le previsioni definitive,

sia in termini di impegni e ac-certamenti, che di cassa; deve

essere approvato per legge, co-me il documento che modifica

Entro

il 30 giugno

Ministeri e altre Amministrazioni

Proposte stati previsio-

ne spese

Compilazione delle schede di

bilancio in base alla legislazione vigente ed alla Circolare-base

Entro i ter-

mini indicati dalla circola-

re-base

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Il sistema contabile dello Stato

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SOGGETTI ATTI FORMALI DOCUMENTI CONTABILI TEMPISTICA

Camera e Senato

Votazione di una Riso-

luzione

Nella Risoluzione è indicato per ciascun anno coperto dal DPEF del saldo netto da finanziare, del ricorso al mercato ed i criteri di

variazione di entrate e spese

Entro 30

giorni dalla presentazione

del DPEF

Ministeri / RGS / Governo

Elaborazione bilancio (annuale e pluriennale) a legislazione vigente, sua discussione ed ap-provazione da Consi-

glio dei Ministri

Bilancio a legislazione vigente (È il frutto della Circolare-base. La quantificazione delle voci di entrata e di spesa in esso conte-

nute si basa sulle prevedibili evoluzioni delle variabili ma-

croeconomiche, ma trova il suo fondamento in norme già in vi-

gore)

Entro

il 30 settem-bre

Governo

Presentazione del dise-gno di legge di bilancio (annuale e pluriennale) a legislazione vigente

al Parlamento

Oltre al Bilancio vero e proprio, contiene una serie di documenti

che concorrono a formare la manovra finanziaria, non tutti

sottoposti ad approvazione par-lamentare

Entro

il 30 settem-bre

MEF

Presentazione al Par-

lamento della Relazio-ne previsionale e pro-

grammatica

Non si tratta di un documento contabile, ma delinea gli obiet-tivi del Governo in relazione al prevedibile quadro economico

Entro il 30 Settembre

Parlamento

Approvazione legge finanziaria e Bilanci

preventivi

Vengono approvati, con unica legge, il BPA e quello plurien-

nale

Entro il 31 dicembre

Fonte: R. MUSSARI, op. cit., 2005.

5.5.3 Esercizio provvisorio del bilancio

L’esercizio provvisorio del bilancio è un istituto peculiare della contabilità pubblica cui si fa ricorso nell’eventualità che il Parlamento non approvi il bilancio entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui il bilancio stesso si riferisce. L’assenza di bilancio provo-cherebbe, infatti, la paralisi della vita amministrativa dello Stato, con le immaginabili conseguenze per tutte le attività e i servizi pubblici.

L’esercizio provvisorio del bilancio non era previsto né nella legge e nel regolamento di contabilità generale, né in altre leggi; veniva

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Capitolo V

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concesso con leggi speciali, per la durata di uno o più mesi. La Costi-tuzione, ha, invece, espressamente previsto questo istituto disponendo, nel comma 2 dell’art 81, che «l’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori com-plessivamente a quattro mesi». Non può dunque essere che il Parla-mento che con legge, autorizza, sia pure in forma temporanea, l’esercizio provvisorio del bilancio. Restano, quindi, escluse altre forme quali il decreto legislativo o il decreto-legge.

La gestione provvisoria del bilancio potrebbe far riferimento sia a-gli stanziamenti indicati nel bilancio dell’esercizio precedente, sia a quelli contenuti nel progetto di bilancio presentato ma non ancora ap-provato. Nel primo caso, ci si riferirebbe ad un bilancio che era già stato approvato e la cui gestione, quindi, aveva già avuto l’autorizzazione parlamentare; nel secondo caso, si può ipotizzare che le previsioni siano più aderenti alle mutate realtà e che, conseguente-mente, la gestione, ancorché provvisoria, sia più vicina alle effettive esigenze del momento.

È questo secondo il sistema adottato in Italia, e che trova oggi la sua regolamentazione nell’art. 16 della legge n. 468/78, norma che stabilisce che:

– l’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Possono esservi, quindi, più periodi purché, complessivamente, non superino i quattro mesi;

– durante l’esercizio provvisorio del bilancio, la gestione della spesa è consentita per tanti dodicesimi dello stanziamento di ciascun capitolo quanti sono i mesi dell’esercizio provviso-rio, ovvero nei limiti della maggior spesa necessaria, qualora si tratti di spesa obbligatoria non suscettibile di impegni o di pagamenti frazionati in dodicesimi;

– le limitazioni di spesa si intendono riferite sia alle autorizza-zioni di impegno che a quelle di pagamento, tenuto conto che esiste il bilancio di cassa accanto a quello di competenza.

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Il sistema contabile dello Stato

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5.6 I documenti di previsione dello Stato: il Bilancio Pluriennale

Il bilancio pluriennale è stato inserito nel sistema di bilancio dello Stato dalla legge 468/78, come risposta all’esigenza di una program-mazione di lungo periodo che potesse fornire una qualche forma di supporto alle previsioni annuali del bilancio di previsione annuale. Il bilancio pluriennale, infatti, altro non è che un bilancio di previsione riferito ad un periodo temporale più lungo, di norma non inferiore ai tre anni, che fa riferimento ad un sistema di competenza21. Elaborato dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Eco-nomica, esso contiene una elencazione degli impieghi necessari a rea-lizzare gli obiettivi di lungo termine del Governo e delle risorse volte a finanziare i suddetti impieghi. Il bilancio pluriennale, occorre sotto-linearlo, a differenza del bilancio di previsione, non svolge una fun-zione autorizzatoria, essendo dotato di un valore «meramente indicati-vo e di impegno politico di Governo22»; esso, per di più, viene redatto secondo il principio della “programmazione scorrevole23”, che ha co-me conseguenza il suo aggiornamento periodico.

Il bilancio pluriennale è suddiviso in due parti o sezioni principali: 1. il bilancio pluriennale a legislazione vigente, le entrate e spese

illustrate in base alle norme in vigore; 2. il bilancio pluriennale programmatico, che invece contiene

l’elencazione di entrate e spese fatta tenendo presenti le conse-guenze degli interventi previsti nel documento di programma-zione economica24.

21 È evidente, infatti, la difficoltà di formulare previsioni di cassa dotate di una

qualche validità con riferimento al lungo periodo. 22 F. ZACCARIA, op. cit., 1999. 23 Secondo il principio della programmazione scorrevole, le entrate e le spese

previste per il primo anno dal bilancio pluriennale coincidono con quelle contenute nel bilancio di previsione. Ovviamente ciò comporta la necessità di modificare an-nualmente il bilancio pluriennale, per rinnovare questa coincidenza ma anche per modificare il periodo di riferimento dello stesso.

24 Per lungo tempo è stato redatto solo il bilancio pluriennale a legislazione vi-gente, mentre quello programmatico, pure previsto dalla legge 468/78 è stato trascu-rato. Negli ultimi si è iniziato a redigere anche il bilancio programmatico, anche se limitato ad una brevissima indicazione di alcune cifre globali di entrata, di spesa e di saldi previsti nel triennio di riferimento.

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Capitolo V

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5.7 Il Budget Economico per Centri di Costo ed il nuovo sistema di contabilità economica

L’introduzione del budget nelle amministrazioni pubbliche è con-seguenza delle disposizioni contenute nella legge 94/1997, che preve-dono, infatti, l’adozione da parte dello Stato del budget articolato per centri di costo. In linea teorica, il budget dovrebbe svolgere una fun-zione di supporto ed integrazione del bilancio di previsione annuale, ponendo in evidenza grandezze quali costi, proventi, risultati di com-petenza economica di un periodo amministrativo ed il correlato capita-le di funzionamento. L’Art 10 del D.Lgs. 279/199725 contiene le pri-

25 L’art. 10 della legge n. 94/97, recita infatti: «1. Al fine di consentire la valutazione economica dei servizi e delle attività prodot-te, le pubbliche amministrazioni adottano, anche in applicazione dell'articolo 64 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazio-ni, e dell'articolo 25 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni, un sistema di contabilità economica fondato su rilevazioni analitiche per centri di costo. Esso collega le risorse umane, finanziarie e strumentali impiegate con i risultati conseguiti e le connesse responsabilità dirigenziali, allo scopo di rea-lizzare il monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'azione svolta dalle singole amministrazioni. Queste ultime provvedono alle rilevazioni analitiche ri-guardanti le attività di propria competenza secondo i criteri e le metodologie unitari previsti dal sistema predetto, al quale adeguano anche le rilevazioni di supporto al controllo interno, assicurando l'integrazione dei sistemi informativi e il costante ag-giornamento dei dati. 2. Le componenti del sistema pubblico di contabilità economica per centri di costo sono: il piano dei conti; i centri di costo e i servizi erogati. […] 4. I centri di costo sono individuati in coerenza con il sistema dei centri di responsa-bilità dell'amministrazione, ne rilevano i risultati economici e ne seguono l'evoluzio-ne, anche in relazione ai provvedimenti di riorganizzazione.

5. I servizi esprimono le funzioni elementari, finali e strumentali, cui danno luo-go i diversi centri di costo per il raggiungimento degli scopi dell'amministrazione. Essi sono aggregati nelle funzioni-obiettivo che esprimono le missioni istituzionali di ciascuna amministrazione interessata. In base alla definizione dei servizi finali e strumentali evidenziati nelle rilevazioni analitiche elementari, il Ministro competen-te individua gli indicatori idonei a consentire la valutazione di efficienza, di efficacia e di economicità del risultato della gestione, anche ai fini delle valutazioni di compe-tenza del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ai sensi dell'articolo 4-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, aggiunto dall'articolo 3,

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me indicazioni per la formulazione del budget nelle amministrazioni pubbliche; le modalità operative di formulazione sono invece previste dal D.M. dell’economia e delle finanze del 30 dicembre 2002: “Prin-cipi e regole contabili del Sistema unico di contabilità economico ana-litica per centri di costo delle pubbliche amministrazioni. Titolo III D.Lgs. 279/1997”.

Il decreto, dopo aver stabilito che il sistema di contabilità economi-ca pone in relazione le risorse impiegate, i risultati conseguiti e le connesse responsabilità gestionali della dirigenza, e che il metodo e-conomico prende a riferimento il costo, cioè l’onere derivante dall’utilizzo effettivo delle risorse, anziché la spesa, che rappresenta l’esborso monetario legato alla loro acquisizione, passa ad analizzare il processo di programmazione e controllo che caratterizza il nuovo sistema contabile. Tale processo, in generale, si articola in tre momen-ti principali:

– la fase della programmazione, nella quale vengono individuati i centri di costo in coerenza con i centri di responsabilità am-ministrativa previsti dal bilancio. Vengono inoltre definiti gli obiettivi e si programmano le risorse, le azioni e i tempi neces-sari per realizzarli;

– la fase della gestione, volta a rilevare gli eventi che si sono ve-rificati nel periodo, ossia i costi rilevati nel I e nel II semestre (nei fatti, a ben vedere, è la fase delle rilevazioni concomitan-ti);

– la fase del controllo, finalizzata a verificare che la gestione si svolga in modo da permettere il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Eventuali scostamenti rispetto al budget dovranno trovare correzione in questa fase.

La fase della programmazione è, come evidenziato, la fase in cui si procede alla redazione del budget. La formulazione del budget avvie-ne peraltro in tre tempi:

1. budget proposto, contestuale alle proposte di bilancio di previ-sione. Esso illustra gli obiettivi iniziali posti dalle singole

comma 1, della legge 3 aprile 1997, n. 94. Per le altre amministrazioni pubbliche provvedono gli organi di direzione politica o di vertice.[…]»

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Amministrazioni e le connesse esigenze in termini di risorse umane e strumentali;

2. budget presentato, formulato insieme alla presentazione in Parlamento, da parte del Governo, del progetto di legge di bi-lancio per l’anno successivo. Si arriva alla formulazione del budget presentato solo dopo un processo di mediazione tra gli obiettivi delle Amministrazioni e le esigenze di rispetto dei li-miti posti dalla politica economica e di bilancio;

3. budget definito, formulato contestualmente all’approvazione della legge di bilancio. Formulato al termine della fase di di-scussione parlamentare del disegno di legge di bilancio, ne re-cepisce le indicazioni in termini di obiettivi da perseguire e di limiti di risorse finanziarie utilizzabili.

Figura 5. 3 Il ciclo di programmazione e controllo

Fonte: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, Manuale dei principi e delle regole contabili, edizione marzo 2004, p. 13. Nelle amministrazioni pubbliche, peraltro, è possibile identificare

un’ulteriore fase facente capo al ciclo di programmazione e controllo, quella della consuntivazione, tramite la quale si procede alla rappre-

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sentazione dei costi sostenuti ed alla successiva riconciliazione tra le risultanze della contabilità economica (costi sostenuti), e quelle della contabilità finanziaria, (spese sostenute). È proprio attraverso la ricon-ciliazione che, «al fine di collegare il risultato economico scaturente dalla contabilità analitica dei costi con quello della gestione finanzia-ria delle spese risultante dal rendiconto generale dello Stato», sono e-videnziate «le poste integrative e rettificative che esprimono le diverse modalità di contabilizzazione dei fenomeni di gestione»26.

Nella Fig. 5.4 sono rappresentate le fasi e gli adempimenti che ca-ratterizzano un sistema di contabilità economica e, contestualmente, quelli che sono gli adempimenti richiesti dalla contabilità finanziaria.

Figura 5. 4 Il rapporto tra contabilità economica e finanziaria

FONTE: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, cit. 2004, p. 15. 26 Art. 11 D. Lgs. n. 279/97

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Capitolo V

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5.8 I documenti di rendicontazione: il Rendiconto generale dello Stato

Il rendiconto è il documento contabile in cui vengono esposti i ri-

sultati della gestione di una qualsiasi azienda. Anche per l’azienda Stato è dunque redatto, al termine dell’anno finanziario, il rendiconto.

Nella gestione statale, il rendiconto assolve a una triplice funzione: – amministrativa, consentendo di valutare i risultati della gestio-

ne sotto il profilo contabile, per individuare eventuali errori o scostamenti rispetto ai dati previsionali e poterli così corregge-re attraverso appropriate valutazioni;

– giuridica, volta a stabilire se l’attività del Governo e degli altri organi amministrativi si sia svolta nel rispetto dei limiti del bi-lancio di previsione e delle norme dell’ordinamento nella ma-teria;

– politica, poiché con l’esame del rendiconto generale, il Parla-mento ha modo di valutare se l’azione dell’Esecutivo sia stata condotta non soltanto nel rispetto dei vincoli giuridici assegna-ti con il bilancio di previsione, ma se sia stata anche diretta correttamente al perseguimento degli obiettivi politici posti.

Il rendiconto consta di due parti principali: a) il conto del bilancio; b) il conto generale del patrimonio a valore.

Il conto del bilancio ha la funzione «di evidenziare la rispondenza della gestione finanziaria al preventivo e alle scritture tenute nel corso dell’anno e di porre in luce i risultati finanziari complessivi della ge-stione del bilancio»27. In relazione alla classificazione del bilancio preventivo, esso comprende:

a) le entrate di competenza dell'anno, accertate, riscosse o rimaste da riscuotere;

b) le spese di competenza dell'anno, impegnate, pagate o rimaste da pagare;

c) la gestione dei residui attivi e passivi degli esercizi anteriori;

27 F. ZACCARIA, op. cit., 1999, p.97.

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d) le somme versate in tesoreria e quelle pagate per ciascun capi-tolo del bilancio distintamente in conto competenza e in conto residui;

e) il conto totale dei residui attivi e passivi che si tramandano al-l'esercizio successivo.

Dunque nel conto del bilancio sono esposte le risultanze della ge-stione delle entrate e delle spese secondo la stessa struttura del bilan-cio di previsione. Esso è costruito, ai fini della valutazione delle poli-tiche pubbliche di settore, sulla base della classificazione incrociata per funzioni-obiettivo e per unità previsionali di base, suddivise per capitoli, in modo da consentire la valutazione economica e finanziaria delle risultanze di entrata e di spesa in relazione agli obiettivi stabiliti, agli indicatori di efficacia e di efficienza ed agli scopi delle principali leggi di spesa (art. 13 D.Lgs. 279/97).

Il conto generale del patrimonio, di conto, svolge una funzione di contabilizzazione della «situazione patrimoniale dello Stato» e degli «effetti che su tale posizione ha avuto l’attività finanziaria»28. In esso trovano rappresentazione:

a) le attività e le passività finanziarie e patrimoniali con le varia-zioni derivanti dalla gestione del bilancio e quelle verificatesi per qualsiasi altra causa;

b) la dimostrazione dei vari punti di concordanza tra la contabilità del bilancio e quella patrimoniale.

La legge n. 94 del 3 Aprile 1997 e il D. Lgs. n. 279 del 7 Agosto 1997 hanno previsto una ristrutturazione del conto generale del patri-monio, con l’introduzione di una nuova classificazione più risponden-te alle logiche di utilizzazione economica dei beni. Vi provvede il de-creto interministeriale del 18 aprile 2002, contenente la “Nuova classi-ficazione degli elementi attivi e passivi del patrimonio dello Stato e loro criteri di valutazione”, raccordandola anche a quella delle poste attive e passive riportate nel SEC 199529. La nuova impostazione ri-sponde alle seguenti esigenze:

28 F. ZACCARIA, op. cit., 1999, p.97. 29 Regolamento 2223/96 del Consiglio del 26/06/1996 relativo al Sistema euro-

peo dei conti nazionali e regionali nella Comunità.

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Capitolo V

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– maggiore significatività dei valori rappresentati dalle consi-stenze patrimoniali;

– legame più stretto tra variazioni patrimoniali e gestione di bi-lancio;

– quantificazione, sotto il profilo economico, dei risultati nella gestione patrimoniale e nei flussi finanziari ad essa correlati.

Abbandonando, dunque, la precedente ripartizione del conto gene-rale del patrimonio in quattro sezioni (Conti generali, Dimostrazione dei punti di concordanza tra il conto bilancio e quello del patrimonio, Conto delle rendite e delle spese, Attività e passività classificate se-condo i ministeri che le hanno in gestione), il conto generale del pa-trimonio che nasce dal decreto interministeriale del 18 aprile 2002 vie-ne suddiviso in due parti:

– Sezione I; in essa sono esposte le attività e passività del Conto generale del patrimonio, raccordate come detto con il SEC 1995;

– Sezione II; in essa si dà illustrazione dei legami tra i dati pa-trimoniali e quelli del conto del bilancio, alla luce della nuova impostazione per unità previsionali di base e, in particolare per le spese, secondo le funzioni-obiettivo.

Nella Sezione I sono illustrati i componenti attivi e passivi del pa-trimonio, classificati in:

– attività finanziarie, comprendenti i mezzi di pagamento, gli strumenti finanziari e le attività economiche aventi natura si-mile agli strumenti finanziari (oro e argento monetario e non, DSP, biglietti e monete, partecipazioni, crediti di tesoreria e residui attivi, anticipazioni attive);

– attività non finanziarie prodotte, ottenute quale prodotto dei processi di produzione (fabbricati, beni immobili di valore cul-turale, diritti reali di godimento, impianti, attrezzature e mac-chinari, mobili e arredi);

– attività non finanziarie non prodotte, non ottenute da processi di produzione (i beni del demanio naturale, i terreni, i beni immateriali non prodotti, i giacimenti di carbone, petrolio, ecc., i diritti d’autore);

– passività finanziare, mezzi di pagamento, strumenti finanziari e simili (i debiti di breve termine, debito fluttuante, residui

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Il sistema contabile dello Stato

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passivi, e debiti di medio-lungo termine, BTP, CCT, prestiti esteri, monete in circolazione, residui passivi per enti, antici-pazioni passive).

La Sezione II, invece, contiene la sintesi dei movimenti patrimonia-li conseguenti agli accertamenti di competenza del bilancio, determi-nando, inoltre, l’ammontare della entrata netta e quello della spesa netta, cioè il beneficio o la perdita recati al patrimonio dalle operazio-ni di gestione.

Gli allegati n. 1 e 2 al suddetto decreto descrivono, analiticamente, tutte le voci patrimoniali aggiungendo che, in calce al Conto generale del patrimonio, sono evidenziati i conti d’ordine, fideiussioni, avalli, beni di terzi, ecc. L’allegato n. 3, di contro, assume una rilevanza spe-ciale poiché detta i criteri di valutazione degli elementi patrimoniali, spesso diversi da quelli seguiti prima. Le scritture patrimoniali vengo-no adeguate alle nuove modalità di esposizione degli elementi patri-moniali.

Al termine dell'anno finanziario ciascun Ministero, per cura del di-rettore della competente ragioneria, compila il conto del bilancio ed il conto del patrimonio relativi alla propria amministrazione. Questi conti sono trasmessi alla Ragioneria generale dello Stato entro il 30 aprile successivo al termine dell'anno finanziario; a questo punto, il Ministro dell’economia e delle finanze, per cura del Ragioniere ge-nerale delle Stato, trasmette alla Corte dei conti, non più tardi del 31 maggio, il documento relativo all’esercizio scaduto per consentire la parificazione del rendiconto medesimo30.

A questo punto ha inizio, ad opera della Corte dei Conti, il processo di parificazione vero e proprio, articolato in due fasi:

– la fase istruttoria; – la fase decisoria.

La fase istruttoria accerta la regolarità e corrispondenza delle scrit-ture del conto del bilancio e del conto del patrimonio nei confronti dei dati dei singoli Ministeri rispetto ai dati della Corte dei Conti.

La fase decisoria, invece, ha natura giurisdizionale; durante il suo svolgimento, infatti, è possibile sollevare, questioni di legittimità co-stituzionale.

30 art. 23 Legge 468/78.

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Capitolo V

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La Corte restituisce il conto del bilancio e del patrimonio al Mini-stro dell’economia e finanze, accompagnandoli con una relazione al Parlamento nella quale sono esposte le sue osservazioni sul rendiconto finanziario e su quello patrimoniale31.

Il ministro, quindi: – predispone lo schema di disegno di legge; – sottopone lo schema alla deliberazione del Consiglio dei Mini-

stri; – previa autorizzazione del Presidente della Repubblica, presen-

ta lo schema, entro il 30 giugno, al Parlamento. Il provvedimento è così composto:

– Atto di presentazione del Governo e deliberazione della Corte dei conti di parificazione;

– Disegno di legge di approvazione del rendiconto generale; – Conto del bilancio comprendente: nota preliminare, prospetti

riassuntivi, conto consuntivo dell’entrata, conti consuntivi per la spesa dei singoli ministeri e aziende autonome;

– Conto generale del patrimonio con: nota preliminare, conto generale del patrimonio, conti speciali.

Il disegno di legge viene approvato, separatamente, dai due rami del Parlamento. Onde evitare ritardi nell’approvazione, i regolamenti parlamentari hanno istituito una minisessione di bilancio procedendo, nel mese successivo alla presentazione, all’esame del disegno di legge del rendiconto generale. Chiuso e approvato, il conto consuntivo non può essere per alcun motivo modificato.

31 L’art 24 della 468/78 dispone che «la Corte dei conti, parificato il rendiconto

generale, lo trasmette al Ministro del tesoro per la successiva presentazione al Par-lamento».

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Capitolo VI Il sistema contabile degli Enti Locali

di Emma Pagliuca

6.1 Introduzione

Oggetto del seguente capitolo è l’analisi del sistema contabile degli enti locali, cioè delle province, dei comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane ed isolane e delle unioni di comuni.

È opportuno sottolineare che negli enti locali la spinta all’innovazione è senza dubbio più forte e più sentita, in virtù del rap-porto privilegiato che essi intrattengono col cittadino. Ciò si traduce nel ruolo da “pioniere” che di frequente si trovano a rivestire gli enti locali, spesso al centro di importanti “ristrutturazioni”. Anche il siste-ma contabile degli enti locali, è stato profondamente rinnovato da una importante riforma, avvenuta con l’emanazione del D.Lgs. 77/95.

Al centro della suddetta riforma vi è stata, da un lato, la spinta alla realizzazione della separazione dell’indirizzo dal momento gestionale (che peraltro si è avuta anche nel sistema contabile dello stato) e dall’altro l’esigenza di valutazione dell’economicità, uno dei criteri in cui si declina il principio costituzionale del buon andamento1.

Tutto ciò si è tradotto nella possibilità, accordata agli enti locali, di affiancare alla tradizionale contabilità finanziaria la contabilità eco-nomico-patrimoniale, anche ai fini della redazione di documenti quali il conto economico (altra novità della riforma), descrittivi degli aspetti economici della gestione.

1 G. FARNETI, “Principi contabili e standard setter”, in G. FARNETI, S. POZZOLI,

(a cura di), Principi e sistemi contabili negli enti locali. Il panorama internazionale, le prospettive in Italia, Franco Angeli, Milano, 2005

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Capitolo VI

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6.2 L’evoluzione della contabilità degli enti locali: i principi con-tabili

L’art. 154 del Tuel2 prevede l’istituzione di un particolare istituto, l’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali3, cui dele-ga, contestualmente, il compito di promuovere l’applicazione dei prin-cipi contabili negli enti locali. Finora l’Osservatorio ha predisposto quattro documenti, emessi tra il 2002 e il 2004:

1. Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali, che si articola in 110 punti suddivisi in capitoli;

2. il principio contabile n. 1, Programmazione e previsione nel sistema di bilancio, costituito da 43 punti;

3. il principio contabile n. 2, Gestione del sistema di bilancio, che consta di 98 punti;

4. il principio contabile n. 3, Il rendiconto degli enti locali, costi-tuito da 173 punti.

Il primo documento, Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali, fornisce un vero e proprio framework, un quadro sistemati-co, finalizzato innanzitutto a chiarire la funzione dei principi contabili e in secondo luogo a fornire dei postulati generali per la redazione del bilancio, suscettibili di una continua evoluzione per soddisfare al me-glio le mutevoli esigenze dei destinatari del bilancio4. Nelle stesse pa-role dell’Osservatorio, la principale funzione dei principi contabili è, da un lato, quella di «interpretare in chiave tecnica le norme di legge in tema di ordinamento finanziario e contabile, secondo i fini voluti

2 D. Lgs. 18 Agosto 2000, n. 267, Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli

enti locali 3 L’Osservatorio è un organismo che svolge una molteplicità di funzioni, stru-

mentali al perseguimento di una serie di obiettivi, quali: la corretta gestione delle risorse; la salvaguardia degli equilibri di bilancio e l’applicazione dei principi con-tabili. Per approfondimenti, cfr. G. FARNETI, op. cit., 2005.

4 Lo stesso documento, al punto 19, passa in rassegna le principali categorie di potenziali destinatari del bilancio, individuate in: cittadini, consiglieri ed ammini-stratori, organi di controllo ed altri enti pubblici, dipendenti, finanziatori, fornitori ed altri creditori. In tal modo si evidenzia la necessità di redigere un documento che sia in grado di fornire ad essi le informazioni desiderate; il superamento della mera fun-zione autorizzatoria del bilancio delle pubbliche amministrazioni è evidente.

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Il sistema contabile degli Enti Locali

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dal legislatore5» e, dall’altro, quella di collegare le suddette norme in modo sistematico. I principi contabili, in altre parole, stabiliscono «l’individuazione dei fatti da registrare, le modalità di contabilizza-zione degli eventi, i criteri di valutazione e quelli di esposizione dei valori nel sistema di bilancio, funzionale allo svolgimento dei processi di programmazione e di controllo6». Il documento si conclude con l’illustrazione dei postulati di bilancio secondo l’art. 162 del Tuel (u-nità, annualità, universalità, integrità, veridicità ed attendibilità, pa-reggio finanziario, pubblicità) e di quelli secondo i principi contabili (comprensibilità, significatività e rilevanza, informazione attendibile, coerenza, attendibilità e congruità, ragionevole flessibilità, neutralità, prudenza, comparabilità, competenza finanziaria, competenza econo-mica, conformità del complessivo procedimento di formazione del si-stema di bilancio ai corretti principi contabili, verificabilità dell’informazione).

Il secondo documento (ossia il principio contabile n. 1), Program-mazione e previsione del sistema di bilancio, ha come argomento le funzioni propedeutiche e precedenti al processo di gestione vera e propria dell’ente locale. Oltre all’illustrazione del quadro giuridico di riferimento, esso contiene l’affermazione del principio del coordina-mento e della coerenza nel sistema di bilancio e l’indicazione degli strumenti della programmazione (linee programmatiche, piano genera-le di sviluppo, ecc.) e dei documenti in cui essa si estrinseca (docu-menti la cui analisi sarà oggetto dei paragrafi successivi).

5 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Finalità

e postulati dei principi contabili degli enti locali, punto 2. 6 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Finalità

e postulati dei principi contabili degli enti locali, punto 56. In apparenza queste so-no le funzioni tipicamente svolte da tutti i principi contabili, a prescindere dal conte-sto di riferimento. Nei fatti, però, analizzando con una maggiore attenzione il conte-nuto del punto 56 del documento dell’Osservatorio, non sfugge il contenuto “rivolu-zionario6” dello stesso, relativo all’estensione del campo di applicazione dei principi contabili all’attività di programmazione. Cfr. sul punto G. FARNETI, “Principi conta-bili e standard setter”, in G. FARNETI, S. POZZOLI, (a cura di), op. cit., 2005.

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Capitolo VI

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Il principio contabile n. 2, Gestione nel sistema di bilancio, è rela-tivo al processo di gestione vera e propria del bilancio dell’ente locale, di cui analizza i fondamenti generali.

Il quarto documento, Il rendiconto negli enti locali, chiude il ciclo; dopo la fase previsionale e quella gestionale, prese in esame rispetti-vamente nei principi contabili nn. 1 e 2, il principio n. 3 si occupa del momento della “resa dei conti”, ossia del momento in cui si è chiamati a relazionare sui risultati della gestione. Tale momento, peraltro, è considerato sia nei suoi aspetti contabili che in quelli valutativi, con-centrandosi sulla illustrazione «delle finalità del rendiconto e dei pro-fili di responsabilità collegati ai suoi fondamenti, dei termini, dei prin-cipi e della struttura del rendiconto, dell’analisi dei risultati finanziari, economici e patrimoniali7».

Il corpus dei principi emanati dall’Osservatorio costituisce un uni-cum nel panorama contabile italiano, se si tralascia di considerare il caso degli enti pubblici istituzionali, di cui si dirà nel prossimo capito-lo. Gli obiettivi che l’Osservatorio intende perseguire sono tuttavia più ambiziosi e significativi rispetto all’esperienza degli enti istituzionali, che pure costituisce un «tassello importante del processo di azienda-lizzazione che sta investendo la pubblica amministrazione»8.

L’esperienza dell’Osservatorio9 è più ambiziosa perché il suo cam-po di applicazione (gli enti locali, appunto) è senza dubbio molto più ampio rispetto a quello costituito dagli enti istituzionali; è più signifi-cativa perché essa si propone di inserirsi nel più vasto panorama dei principi contabili internazionali per il settore pubblico, gli Internatio-nal Public Sector Accounting Standards (IPSAS)10, emanati dal Pu-

7 P. RICCI, “La contabilità degli enti locali: recenti sviluppi”, in Le “rivoluzioni”

contabili di inizio millennio, Atti del Convegno di Paestum (Sa), 14 maggio 2005, Franco Angeli, p.53.

8 S. POZZOLI, “Un nuovo percorso per l’accountability negli enti locali: i principi contabili”, in G. FARNETI, S. POZZOLI, (a cura di), op. cit., 2005.

9 S. POZZOLI, ibidem. 10 Ad oggi i principi emanati sono in tutto 21. La copiosità della produzione della

PSC è dovuta soprattutto al fatto che, nell’ottica di convergenza con il mondo delle imprese, molti dei principi in oggetto sono semplici rivisitazioni dei principi emanati dallo IASB per il settore privato.

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blic Sector Committee dell’IFAC11. Questi ultimi, peraltro, a differen-za dei principi contabili italiani, sono totalmente orientati ad un ap-proccio full accrual, volto alla convergenza con gli International Fi-nancial Reporting Standards (IFRS, ex IAS), validi per il mondo delle imprese.

Di seguito è riportata una tabella comparativa tra i principi emanati dall’Osservatorio e gli IPSAS, risultato dell’analisi12 di molteplici a-spetti.

Tabella 6.1 Confronto tra principi contabili italiani e IPSAS

Aspetto osservato Principi Osservatorio IPSAS Sistema di contabilità e bi-lancio adottato

Finanziario, autorizzatorio Sistema conciliatorio Economico-patrimoniale

Prevalenza della sostanza sulla forma

Sì Riflettere la sostanza degli eventi e non meramente la

loro forma legale

Principio della prudenza A tutela dei terzi anche se senza pregiudizio alla verità

Per la neutralità e quindi l’attendibilità dei valori

Criterio della competenza economica

Sì Ma riferibile solo ai docu-

menti

Sì Riferibile a tutto l’impianto

Finalità del bilancio Politico-amministrativa Economico-finanziaria

Informativa per la decisione

Per la responsabilità Informativa per la decisione

Destinatari del bilancio Stakeholder politici Stakeholder sociali

Stakeholder economici

Investitori Decisori

Stakeholder esterni

Criterio fair value No

Criterio del costo con obbli-go di riesame

Configurazione di reddito Prodotto Potenziale Risultati finanziari Approccio contabile formale Non presenti Fonte: P. RICCI, “La contabilità degli enti locali: recenti sviluppi”, in Le rivoluzioni contabili di inizio millennio, Atti del Convegno di Paestum, 14/05/2005, Franco Angeli, p. 60.

11 L’IFAC (International Federation of Accountants) è l’organizzazione mondia-

le per la professione contabile. Fondata nel 1977, l’organizzazione comprende più di 160 membri in 120 paesi. È responsabile dell’emanazione di standard sull’etica, sull’educazione e sulla contabilità del settore pubblico.

12 Per la consultazione dell’analisi completa cfr. P. RICCI, “La contabilità degli enti locali: recenti sviluppi”, in Le “rivoluzioni” contabili di inizio millennio, cit.

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Per quanto attiene al sistema di bilancio adottato, i principi contabili italiani, in conformità all’ordinamento contabile, fanno riferimento ai tradizionali sistemi di contabilità finanziaria con funzione autorizzato-ria, affiancati, come si vedrà nel seguito, da alcuni elementi di conta-bilità economica, laddove gli IPSAS prediligono un sistema di conta-bilità esclusivamente di natura economico-patrimoniale. In entrambe le tipologie di principi contabili sia quelli internazionali che quelli ita-liani, vale il principio della prevalenza della sostanza sulla forma; è opportuno ricordare, ad ogni modo, che in un sistema di contabilità meramente finanziaria, non è possibile distinguere tra forma e sostan-za: “forma è sostanza13”, nel senso che la sostanza si presenta necessa-riamente vestita della sua forma giuridica.

Il principio della prudenza, poi, per quanto presente in entrambi gli insiemi di principi, è tuttavia inteso in due ottiche differenti: per i principi contabili nazionali si tratta di un principio volto in primis alla tutela dei terzi, laddove per gli IPSAS è finalizzato soprattutto alla ga-ranzia della neutralità. I principi italiani, in ultimo, sono innegabil-mente più completi rispetto a quelli internazionali con riguardo all’individuazione dei destinatari del bilancio. I primi, infatti, identifi-cano in modo puntuale gli stakeholder14 cui il bilancio è rivolto, men-tre i secondi individuano un unico stakeholder principe, il portatore di capitale di rischio, l’investitore. Tale concezione, mutuata dal settore privato, è evidentemente in contrasto con la considerazione del vero soggetto economico dell’ente: il cittadino, nelle molteplici vesti di u-tente, contribuente, elettore, ecc. 6.3 La programmazione e la previsione nel sistema di bilancio

La fase relativa alla programmazione ed alla gestione è fondamen-tale per l’ente locale, in quanto presiede alla gestione della sua attività economico-finanziaria.

13 P. RICCI, “La contabilità degli enti locali: recenti sviluppi”, in Le “rivoluzioni”

contabili di inizio millennio, cit., p. 58. 14 Cfr. OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI,

Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali, punto 19.

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Essa consiste nel «processo di analisi e valutazione, nel rispetto delle compatibilità economico-finanziarie, della possibile evoluzione della gestione dell’ente e si conclude con la formalizzazione delle de-cisioni politiche e gestionali che danno contenuto ai piani e program-mi futuri»15. Come già si è avuto modo di evidenziare, la programma-zione è argomento del principio contabile n. 1; peraltro nelle parole dello stesso Osservatorio, essa si concretizza in una sorta di vero e proprio “contratto” tra il governo politico dell’ente da un lato e i citta-dini e gli altri utilizzatori del bilancio dall’altro. Questo contratto, rias-sunto nel programma elettorale, deve poi declinarsi, ai fini della messa in pratica degli obiettivi in esso previsti, nel bilancio di previsione dell’ente e nel piano esecutivo di gestione (Fig. 6.1).

Figura 6.1 Il sistema di programmazione e pianificazione degli enti locali

Fonte: elaborazione propria Naturalmente il passaggio dal programma al piano di gestione non

è così immediato come potrebbe in apparenza sembrare; esso, al con-trario, consta di una serie di fasi cui corrispondono una serie di docu-

15 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 1, Programmazione e previsione nel sistema di bilancio, punto 3.

Programma elettorale

Linee programmatiche

Piano generale di sviluppo

Relazione previsionale e programmatica

Bilancio annuale (ed allegati)

Piano esecutivo di gestione

Livello di programmazione

di mandato

Livello di preventivo

Bilancio pluriennale

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Capitolo VI

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menti, articolate su due livelli: un livello di programmazione di man-dato ed un livello di previsione.

6.4 La programmazione di mandato

Gli strumenti di programmazione di mandato sono, ai sensi del punto 10 del principio contabile n. 1, le linee programmatiche di mandato ed il piano generale di sviluppo.

Quanto alle prime, i principi contabili si limitano a sottolineare l’obbligo, mantenuto dal Tuel, di presentare al Consiglio i contenuti della programmazione di mandato, «quale primo adempimento pro-grammatorio spettante al Presidente della Provincia o al Sindaco»16.

Il piano generale di sviluppo, previsto dall’art. 165 del Tuel, inve-ce, comporta la verifica della coerenza tra le linee programmatiche e le reali possibilità operative dell’ente. Tale verifica avviene in base al-la considerazione di una serie di elementi, quali17:

a) le necessità finanziarie e strutturali per l’espletamento dei servizi che non abbisognano di realizzazione di investimento;

b) le possibilità di finanziamento con risorse correnti per l’espletamento dei servizi, oltre le risorse assegnate in preceden-za, nei limiti delle possibilità di espansione;

c) il contenuto concreto degli investimenti e delle opere pubbliche che si pensa di realizzare, indicazioni circa il loro costo in termi-ni di spesa di investimento ed i riflessi per quanto riguarda la spesa corrente per ciascuno degli anni del mandato;

d) le disponibilità di mezzi straordinari; e) le disponibilità in termini di indebitamento; f) il costo delle operazioni finanziarie e le possibilità di copertura; g) la compatibilità con le disposizioni del patto di stabilità interno. Alcuni settori di intervento richiedono, secondo l’Osservatorio, ul-

teriori atti di programmazione. Nello specifico per il settore dei lavori

16 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 1, Programmazione e previsione nel sistema di bilancio, punto 11. 17 Ibidem, punto 12.

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pubblici è prevista la redazione di un programma triennale, laddove per il settore relativo al personale dipendente si richiede la stesura del-la programmazione del fabbisogno di personale. Entrambi questi atti sono considerati un’integrazione della relazione previsionale e pro-grammatica; in quanto tali, essi vanno approvati contestualmente al bilancio di previsione.

Il piano generale di sviluppo, peraltro, tipicamente, deve precedere l’approvazione di quest’ultimo; di conseguenza, esso deve essere deli-berato dal Consiglio antecedentemente anche ai suddetti atti di pro-grammazione.

6.5 Gli strumenti di previsione degli enti locali

A livello preventivo, come si è già avuto modo di evidenziare, il si-stema di bilancio degli enti locali prevede i seguenti documenti:

a) la relazione previsionale e programmatica; b) il bilancio pluriennale; c) il bilancio annuale di previsione; d) il piano esecutivo di gestione; e) gli allegati al bilancio di previsione.

6.5.1 La relazione previsionale e programmatica

La redazione della relazione previsionale e programmatica può a ragione essere considerata la fase della definizione delle strategie dell’ente; è evidente, dunque, la rilevanza che essa assume nel proces-so di previsione.

L’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali indi-vidua cinque momenti fondamentali nella preparazione della relazio-ne, riassunti nella Fig. 6.2.

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Figura 6.2 Il processo di redazione della RPP

Fonte: elaborazione propria La prima fase è una fase di ricognizione delle caratteristiche gene-

rali « della popolazione, del territorio, dell’economia insediata e dei servizi dell’ente»18, cui fa seguito quella di individuazione degli obiet-tivi. In altre parole, sulla base dei risultati dell’azione di monitoraggio effettuata nella prima fase, nonché del programma amministrativo del Sindaco o del Presidente, delle linee programmatiche, del piano gene-rale di sviluppo dell’ente, delle direttive generali della Giunta e delle indicazioni proprie dei servizi, l’ente stabilisce i propri obiettivi pro-grammatori.

La terza fase prevede la valutazione dell’entità dei mezzi finanziari strumentali al conseguimento dei programmi stabiliti e dei correlati mezzi di finanziamento.

Esaminato l’ambiente di riferimento dell’ente, identificati gli obiet-tivi, verificato che le risorse finanziarie potenzialmente disponibili so-no il più delle volte inadeguate per il conseguimento di questi ultimi, a questo punto si impone evidentemente un momento di scelta tra le op-

18 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, ibidem,

punto 20.

Ricognizione delle

caratteristiche generali

Individuazione degli obiettivi

Valutazione delle risorse

Scelta delle opzioni

Individuazione e redazione

dei programmi e progetti

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Il sistema contabile degli Enti Locali

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zioni, garantendo in primis il finanziamento delle “spese correnti con-solidate” (relative cioè a « servizi essenziali e strutturali, al manteni-mento del patrimonio e dei servizi ritenuti necessari»19) e poi quelle “di sviluppo” (funzionali, cioè, o allo sviluppo di nuove attività o al potenziamento di quelle esistenti). L’ultima fase è relativa alla «for-mazione dell’indirizzo che deve portare, partendo da obiettivi genera-li, alla definizione di programmi e progetti per l’azione amministrati-va, per la gestione e per l’organizzazione20».

Il DPR 3 agosto 1998 n. 326 prevede, per quanto attiene alla strut-tura della relazione, che essa sia suddivisa in sei sezioni:

1. caratteristiche generali della popolazione, del territorio, dell’economia insediata e dei servizi dell’ente;

2. analisi delle risorse; 3. programmi e progetti; 4. stato di attuazione dei programmi deliberati negli anni prece-

denti e considerazioni sullo stato di attuazione; 5. rilevazione per il consolidamento dei conti pubblici; 6. considerazioni finali sulla coerenza dei programmi rispetto ai

piani regionali di sviluppo, ai piani regionali di settore, agli atti programmatici della regione.

Il periodo di riferimento della relazione è pari almeno a quello del bilancio pluriennale (3 anni).

6.5.2 Il bilancio pluriennale di competenza

Il bilancio pluriennale costituisce un importante strumento di anali-

si finanziaria; la sua funzione è complementare a quella svolta dalla relazione previsionale e programmatica: entrambi questi documenti, infatti, coadiuvano il governo dell’ente locale nella programmazione di medio termine. Mentre la relazione, come si è visto, si preoccupa di formulare un piano generale degli interventi dell’ente locale, il bilan-cio pluriennale si occupa di verificarne la compatibilità finanziaria, in un’ottica di mantenimento degli equilibri economico-finanziari.

19 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, ibidem,

punto 23. 20 Ibidem, punto 24.

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Il DPR 31 gennaio 1996 n. 194 prescrive anche la struttura che il bilancio pluriennale deve assumere, facendo riferimento a due modelli distinti (uno per le comunità montane ed uno per le province, i comu-ni, le unioni di comuni e le città metropolitane), modelli che possono comunque essere modificati dal regolamento di contabilità dell’ente locale. In ogni caso, con riferimento alle spese, nel bilancio plurienna-le devono trovare separata indicazione l’ammontare delle spese cor-renti di gestione consolidate, quello delle spese correnti di sviluppo e l’entità delle spese di investimento.

Il bilancio pluriennale viene redatto secondo il criterio della com-petenza finanziaria, prendendo cioè in considerazione la fase di diritto dell’entrata/spesa (accertamento/impegno), prescindendo dal momen-to dell’effettivo incasso/pagamento.

La durata del bilancio pluriennale è pari a quella del bilancio della regione di appartenenza, in ogni caso non inferiore ai tre anni, e coin-cide con quella della relazione previsionale e programmatica; per di più, il primo esercizio di riferimento del bilancio pluriennale coincide con quello cui si riferisce il bilancio annuale. Il bilancio pluriennale viene aggiornato mediante l’utilizzo del metodo scorrevole, di cui si è detto in precedenza.

Da evidenziare, in ultimo, che l’art. 171 del Tuel conferisce dignità autorizzatoria agli stanziamenti previsti dal bilancio pluriennale, stabi-lendo che essi «hanno carattere autorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente in sede di approva-zione del bilancio di previsione».

6.5.3 Il bilancio annuale di previsione ed i suoi allegati

Il bilancio pluriennale trova attuazione nel bilancio annuale di pre-visione, redatto anch’esso in termini di competenza, ma con riferimen-to all’anno finanziario, e nel rispetto dei principi contabili previsti dal primo comma dell’art. 162 del Tuel e ripresi dal documento dell’Os-servatorio Finalità e postulati dei principi contabili degli enti locali. Il bilancio annuale ha natura autorizzatoria, dal momento che, appro-vandolo, il consiglio autorizza l’acquisizione delle entrate e fissa un limite inderogabile agli impegni; il totale delle spese, peraltro, deve

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Il sistema contabile degli Enti Locali

161

essere uguale a quello delle entrate previste, nel rispetto dell’obbligo di pareggio a preventivo.

Per quanto attiene la struttura, è importante sottolineare che essa è stata totalmente innovata dalla riforma; innanzitutto è cambiata l’unità elementare, che non è più il capitolo, bensì la risorsa per l’entrata e l’intervento per la spesa. Inoltre l’entrata è classificata in sei titoli (cinque per le comunità montane, che non hanno entrate tributarie, dal momento che sono prive di potere impositivo) e la spesa in quattro, riassunti nella Tab. 6.2.

Tabella 6.2 Titoli dell’entrata e della spesa

Titoli Province, comuni, città metropoli-tane, unioni di comuni Comunità montane

A) ENTRATA

I Entrate tributarie

Entrate derivanti da contributi e trasferi-menti correnti dello Stato, della regione e di altri enti pubblici anche in rapporto all’esercizio di funzioni delegate dalla regione

II

Entrate derivanti da contributi e tra-sferimenti correnti dello Stato, della regione e di altri enti pubblici anche in rapporto all’esercizio di funzioni delegate dalla regione

Entrate extra-tributarie

III Entrate extra-tributarie Entrate derivanti da alienazioni, da trasfe-rimenti di capitale e da riscossioni di cre-diti

IV Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscos-sioni di crediti

Entrate derivanti da accensione di prestiti

V Entrate derivanti da accensione di prestiti Entrate per servizi per conto di terzi

VI Entrate per servizi per conto di terzi B) SPESA

I Spese correnti II Spese in conto capitale III Spese per rimborso di prestiti IV Spese per servizi per conto di terzi

I titoli dell’entrata sono ulteriormente articolati in categorie e ri-

sorse, con riferimento rispettivamente alla tipologia ed alla individua-zione specifica dell’oggetto. I titoli dell’uscita, invece, si articolano in funzioni (sulla base della destinazione funzionale della voce), servizi

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Capitolo VI

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(uffici preposti all’esercizio di parte di una funzione propria dell’ente, concetto che si sovrappone a quello di centro di responsabilità) ed in-terventi (che individuano i mezzi strumentali al raggiungimento dello scopo cui è preposto il singolo servizio).

Tabella 6.3 Criteri ed articolazioni delle entrate e delle spese

CRITERI ARTICOLAZIONI A) ENTRATA

Fonte delle risorse finanziarie Titoli Tipologia di entrata Categorie

Individuazione specifica dell’oggetto da par-te di ciascun ente Risorse

B) SPESA Principali aggregati economici Titoli

Destinazione funzionale Funzioni Singoli uffici chiamati a gestire le risorse

finanziarie per conseguire gli obiettivi asse-gnati

Servizi

Natura economica Interventi

Secondo quanto prescrive l’art. 172 del Tuel, accanto alla relazione previsionale e programmatica, al bilancio pluriennale, al bilancio di previsione devono essere allegati21:

a) il rendiconto deliberato dal penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione;

b) le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capi-tali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, relativi al pe-nultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce;

c) la deliberazione, da adottarsi annualmente prima dell’approvazione del bilancio, con la quale i comuni verifica-no la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla re-sidenza, alle attività produttive e terziarie;

d) il programma triennale dei lavori pubblici; e) le deliberazioni con le quali sono determinati, per l’esercizio

successivo, le tariffe, le aliquote d’imposta e le eventuali mag-

21 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, ibidem,

punto 34.

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Il sistema contabile degli Enti Locali

163

giori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda in-dividuale, i tassi di copertura in percentuale del costo di ge-stione dei servizi stessi;

f) la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale prevista dalle disposizioni vigenti in materia, non appena disponibile a seguito della sua approva-zione con apposito decreto ministeriale.

6.5.4 Il piano esecutivo di gestione (PEG)

La predisposizione del piano esecutivo di gestione è di competenza dell’organo esecutivo di giunta; esso viene dunque a costituire il do-cumento mediante il quale l’organo elettivo esercita il proprio potere di indirizzo/controllo nei confronti dei dirigenti responsabili della ge-stione operativa.

Il PEG è facoltativo per gli enti inferiori a 15.000 abitanti, che pos-sono tuttavia decidere di adottarlo qualora lo ritengano utile ai fini della propria attività amministrativa.

Esso svolge, nei fatti, una funzione di raccordo tra la visione di sin-tesi contenuta nel bilancio annuale e le operazioni di gestione vere e proprie, strumentali a realizzarla.

Il piano, rispetto al bilancio di previsione, prevede un’ulteriore arti-colazione delle risorse dell’entrata in capitoli e dei servizi e degli in-terventi propri della spesa rispettivamente in centri di costo e capitoli.

Tabella 6.4 Articolazione dell’entrata e della spesa nel PEG.

BILANCIO ANNUALE PIANO ESECUTIVO DI GESTIONE

Entrata Risorsa Analisi per: Capitoli Servizi Analisi per: Centri di costo

Spesa Interventi Analisi per: Capitoli

Fonte: L. PUDDU, Ragioneria Pubblica, Giuffrè, Milano, 2001, p. 72.

Il piano esecutivo si occupa della definizione degli obiettivi di ge-stione; per questa ragione esso consta di una parte descrittiva e di un’analisi quantitativa fondata su elementi di natura extra-contabile,

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che si affiancano agli elementi economico-finanziari previsti. La rea-lizzazione dei suddetti obiettivi è affidata ai responsabili dei differenti servizi; in altre parole, l’attività dell’ente, considerata nella sua com-plessità, viene «“consegnata” in ogni aspetto a precisati gestori, che sono appunto i responsabili dei servizi22».

La presenza di una componente qualitativa rende impossibile la formalizzazione del piano esecutivo di gestione; di conseguenza, cia-scun ente è libero di utilizzare lo schema che meglio risponde alle sue esigenze.

6.6 La rendicontazione negli enti locali

La fase di rendicontazione è strumentale alla valutazione dei risul-tati raggiunti dalla gestione; il rendiconto, documento che ne è la sin-tesi, dunque, deve fornire informazioni sui programmi e i progetti rea-lizzati e in corso di realizzazione e sull’andamento finanziario, eco-nomico e patrimoniale dell’ente. Esso, contestualmente, deve soddi-sfare le esigenze di tutti i destinatari del bilancio; a tal fine, il principio contabile n. 3, Il rendiconto negli enti locali, impone di evidenziare, almeno nella relazione allegata al rendiconto, anche gli impatti sociali (outcome) delle attività svolte dall’ente. Tutto questo, secondo l’Osservatorio, favorisce l’affermarsi del principio di accountability, inteso come responsabilità e capacità di rendere conto della propria at-tività23 nel profilo interno dell’ente (capacità di introdurre e mantenere all’interno dell’ente locale un clima organizzativo favorevole alla re-sponsabilizzazione sull’uso delle risorse e un alto grado di orienta-mento a risultati efficaci e altamente positivi dal punto di vista qualita-tivo), nel profilo esterno (nella considerazione e valutazione delle mo-dificazioni che l’attività di governo e di gestione dell’ente locale pro-duce in termini di risultati economico-patrimoniali e di effetti sul si-

22 E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche,

Egea, Milano, 2002, p. 262. 23 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 3, Il rendiconto negli enti locali, punto 12.

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stema economico locale, sia sulla soddisfazione dei cittadini e sul be-nessere sociale complessivo della comunità) e nel profilo contabile (come dimostrazione dei risultati ottenuti sulla base del sistema di ri-levazione delle azioni amministrative fondato sulla conoscenza e sul monitoraggio dell’andamento dei costi e dei proventi dei singoli servi-zi e dell’attività in generale, con corrispondente responsabilizzazione dei dirigenti e degli amministratori).

Attualmente la struttura del rendiconto consta del: – conto del bilancio; – conto del patrimonio; – conto economico; – prospetto di conciliazione. Al rendiconto sono inoltre allegati:

– la relazione al rendiconto della gestione dell’organo esecutivo; – la relazione dei revisori dei conti; – l’elenco dei residui attivi e passivi distinti per anno di prove-

nienza; – la deliberazione relativa alla salvaguardia degli equilibri di bi-

lancio. 6.6.1 Il conto del bilancio

Il conto del bilancio è il documento nel quale vengono sintetizzati i risultati relativi alla gestione finanziaria dell’ente, con specifico rife-rimento alla gestione autorizzatoria contenuta nel bilancio di previsio-ne ed agli eventuali scostamenti tra i dati contenuti in quest’ultimo ed i risultati effettivi.

In altre parole, il conto del bilancio evidenzia come sono state im-piegate le risorse finanziarie resesi disponibili nel corso dell’esercizio, con particolare attenzione24:

– agli scostamenti tra le previsioni di entrata ed i relativi accerta-menti e tra le previsioni di spesa ed i relativi impegni;

– al grado di riscossione delle entrate sia nella gestione di compe-tenza, che in quella residui;

24 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 3, Il rendiconto negli enti locali, punto 39.

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– alla velocità di pagamento delle spese sia nella gestione di com-petenza, che in quella residui;

– ai livelli ed alla composizione del risultati finanziari di ammini-strazione, della gestione di competenza, della gestione residui, degli equilibri di bilancio di parte corrente e di investimento.

Il conto del bilancio svolge una duplice funzione25: da un lato per-mette di esercitare un controllo sulla giunta, mediante il confronto o-biettivi/risultati; dall’altro consente di migliorare, per gli esercizi a ve-nire, le capacità di previsione finanziaria, capitalizzando le conoscen-ze del passato.

La struttura del conto del bilancio è definita dal DPR n. 194/96, in modo univoco ed inderogabile per tutti gli enti locali, così da:

– rendere possibile una corretta comparazione delle previsioni e dei risultati e controlli approfonditi sulla gestione finanziaria;

– garantire una rappresentazione quanto più uniforme possibile dei risultati finanziari e la comparazione dei dati fra enti ed il con-solidamento degli stessi.

Il conto del bilancio si chiude con l’evidenziazione del risultato contabile di gestione e con quello di amministrazione.

6.6.2 Il conto del patrimonio

Il conto del patrimonio è volto ad evidenziare, come suggerito dalla denominazione, il profilo patrimoniale della gestione, considerato nell’aspetto relativo alla valutazione delle poste dell’attivo, del passi-vo e del patrimonio netto.

Gli elementi dell’attivo sono classificati, sulla base di un criterio finanziario, in:

– immobilizzazioni, suddivise in immateriali, materiali e finan-ziarie. Tale macroclasse comprende, analogamente a quanto avviene nel bilancio civilistico, i beni destinati a permanere durevolmente nel patrimonio dell’ente;

– attivo circolante, che comprende quattro classi di valori (ri-manenze, crediti, attività finanziarie che non costituiscono immobilizzi, disponibilità liquide), che accolgono, per esclu-

25 L. PUDDU, Ragioneria Pubblica, Giuffrè, Milano, 2001.

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sione, i beni che non sono destinati a far parte durevolmente del patrimonio dell’ente;

– ratei e risconti, relativi a costi e/o proventi la cui competenza è a cavallo di più esercizi;

– conti d’ordine, annotazioni di memoria integrative della situa-zione patrimoniale-finanziaria.

Per quanto attiene al passivo del conto del patrimonio, esso com-prende:

– il patrimonio netto, che nei fatti rappresenta l’entità monetaria dei mezzi netti a disposizione dell’ente locale;

– i conferimenti, suddivisi in Conferimenti da trasferimenti in c/capitale e in Conferimenti da concessioni di edificare. I con-ferimenti sono a tutti gli effetti contributi in conto capitale, che l’ente riceve da privati o da altri enti pubblici come forma di compartecipazione al finanziamento dell’acquisizione e/o rea-lizzazione di beni patrimoniali;

– i debiti, classificati in debiti di funzionamento, di finanziamen-to, debiti verso imprese controllate, collegate ed altre, che co-stituiscono obbligazioni a pagare una certa somma a scadenze stabilite;

– ratei e risconti; – conti d’ordine.

Dall’analisi delle poste che compongono il conto del patrimonio emerge subito che, rispetto al prospetto di stato patrimoniale previsto dal Codice Civile26:

– manca l’indicazione separata di crediti e debiti esigibili entro ed oltre l’esercizio successivo;

– tra le voci del passivo non figurano né il fondo trattamen-to di fine rapporto (che non è a carico dell’ente) né il fondo rischi ed oneri;

– il patrimonio netto è indicato nel suo valore di sintesi e non è scomposto nelle voci che tradizionalmente lo com-pongono (capitale, riserve, utili, perdite) impedendo così l’evidenziazione del risultato economico, che dunque può essere letto solo nel conto economico.

26 L. PUDDU, ibidem, 2001.

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6.6.3 Il conto economico ed il prospetto di conciliazione

Il conto economico è probabilmente l’innovazione più importante introdotta dal DPR n. 196/94 nel sistema contabile degli enti locali. In esso trovano rappresentazione i componenti positivi e negativi della gestione, calcolati, in linea di massima, partendo dai dati finanziari rettificati secondo criteri di competenza economica per giungere alla determinazione del risultato economico.

I componenti negativi sono relativi all’utilizzo dei fattori produtti-vi; ne costituiscono un esempio l’acquisto di materie prime di consu-mo, la prestazione di servizi, le spese di personale, ecc.

I componenti positivi, di contro, consistono «nei proventi e ricavi conseguiti in conseguenza dell’affluire delle risorse che rendono pos-sibile lo svolgimento dei menzionati processi di consumo27»; compo-nenti positivi sono, ad esempio, i tributi, i trasferimenti correnti, i pro-venti dei servizi, ecc.

Il conto economico è redatto secondo uno schema a scalare, che presenta una classificazione delle voci sulla base della loro struttura e con la rilevazione di risultati parziali, oltre che del risultato economico finale28.

I risultati parziali (o intermedi) sono rilevati con riferimento: a) alla gestione operativa, cioè le operazioni che si ripetono in via

continuativa nell’esercizio, identificando l’attività caratteristica dell’ente;

b) alla gestione finanziaria; c) alla gestione straordinaria, che si riferisce a proventi e/o oneri

che non hanno natura ricorrente, o sono di competenza di eser-cizi precedenti, o sono relativi a variazioni della situazione pa-trimoniale (insussistenze attive e passive).

La necessità di allegare al conto economico un prospetto di conci-liazione nasce dal fatto che, in sede di rendicontazione, i fatti di ge-stione sono considerati sia nel loro aspetto finanziario che in quello

27 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 3, Il rendiconto negli enti locali, punto 72. 28 Gli schemi di riferimento, predisposti dall’Osservatorio sono disponibili sul si-

to http://cedweb.mininterno.it:8087/modello.xls .

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economico-patrimoniale; in tal senso il prospetto ha il compito di rac-cordare i risultati finanziari, sintetizzati nel conto di bilancio, e quelli economico-patrimoniali, sintetizzati nel conto economico e nel conto del patrimonio.

Per inquadrare meglio il ruolo svolto dal prospetto di conciliazione, è opportuno ricordare che il sistema di bilancio degli enti locali si ca-ratterizza per la libertà di scegliere il sistema contabile ritenuto più i-doneo al rispetto dell’obbligo di redigere il conto di bilancio, il conto economico e quello del patrimonio. In altre parole, dunque, l’ordinamento non impone all’ente locale di procedere alla rilevazione dei fatti di gestione utilizzando necessariamente le regole proprie della contabilità generale (fermo restando, invece, l’obbligo di tenuta della contabilità finanziaria). Per l’ente locale, in altre parole, le opzioni so-no fondamentalmente tre29: 1. la prima opzione è quella della contabilità finanziaria estesa, che

prevede che l’ente effettui, nel corso dell’esercizio, solo le rileva-zioni di contabilità finanziaria. Al termine dell’esercizio, poi, i va-lori così rilevati sono elaborati extra-contabilmente ai fini della re-dazione del conto economico e del conto del patrimonio;

2. la seconda opzione è quella del sistema integrato, che consta di un sistema contabile costituito da una molteplicità di sottosistemi, ognuno dotato delle proprie specificità, che alimentano due sistemi autonomi di rilevazioni consuntive: quello del conto del bilancio e quello del conto economico e del conto del patrimonio;

3. l’ultima alternativa, peraltro illegale, è quella dei sistemi contabili paralleli. Essa prevede la coesistenza di due sistemi di contabilità, il primo di contabilità finanziaria e l’altro di contabilità generale, autonomi ed indipendenti, strumentali alla redazione rispettiva-mente del conto del bilancio, del conto economico e del patrimo-nio.

Il prospetto di conciliazione svolge una funzione diversa a seconda del sistema contabile scelto. Nel caso della contabilità finanziaria este-

29 Cfr. E. CAPERCHIONE, “La tenuta della contabilità per la costruzione del conto

economico”, in E. CAPERCHIONE (a cura di), Il regolamento di contabilità dell’ente locale, Maggioli, Rimini, 1996; E. ANESSI PESSINA, E. CANTÙ, op. cit., 2003.

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Capitolo VI

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sa, esso viene ad essere lo strumento di “traduzione” dei valori della contabilità finanziaria in quelli destinati ad essere accolti nel conto e-conomico ed in quello del patrimonio. Nelle altre due ipotesi, invece, il prospetto di conciliazione si limita ad essere il documento “probati-vo” dei collegamenti tra i dati di contabilità finanziaria e quelli di con-tabilità generale. Quanto detto è riassunto nella Tab. 6.5.

Tabella 6.5 Configurazioni alternative del sistema contabile degli EELL

CONFIGURAZIO-NE

RILEVAZIONI DU-RANTE IL PERIODO AMMINISTRATIVO

RILEVAZIONI DI FINE PERIODO

RUOLO DEL PROSPETTO DI CONCILIAZIONE

MINIMALE / CONTABILITÀ FINANZIARIA E-STESA

Contabilità finan-ziaria (partita sem-plice). Rilevazione extra-contabile di infor-mazioni necessarie alla redazione del prospetto di conci-liazione alla fine del periodo ammi-nistrativo.

Due tipologie di rettifiche e integrazioni: -quelle finalizzate a ricon-durre i valori rilevati se-condo competenza finan-ziaria a quelli rilevati per competenza “contabile”; -quelle finalizzate al pas-saggio dalla competenza “contabile” alla compe-tenza economica.

Strumento per la traduzione dei valori della contabilità finanziaria nei valori del conto economico e del con-to del patrimonio.

SISTEMA INTE-GRATO

Rilevazioni di con-tabilità finanziaria (in partita sempli-ce) che alimentano anche i conti della contabilità generale (in partita doppia).

Rettifiche e integrazioni di fine periodo finalizzate al passaggio dalla competen-za “contabile” alla compe-tenza economica.

Documento che dimostra i collegamenti fra i risultati della contabilità finanziaria e della generale.

CONTABILITÀ PARALLELE

Contabilità finan-ziaria (in partita semplice). Contabilità genera-le (in partita dop-pia). I due sistemi sono indipendenti.

Rettifiche e integrazioni di fine periodo finalizzate al passaggio dalla competen-za “contabile” alla compe-tenza economica.

Documento che dimostra le cause di scostamento fra i risultati della contabilità finanziaria e quelli della contabilità generale. La sua redazione può essere più complessa rispetto al caso di integrazione fra contabi-lità. finanziaria e contabili-tà generale perché occorre confrontare due sistemi indipendenti.

Fonte: adattato da R. MUSSARI, “La rilevazione nelle amministrazioni pubbliche”, in HINNA L., MENEGUZZO M., MUSSARI R., DECASTRI M., a cura di, Economia delle aziende pubbliche, McGraw-Hill, Milano, 2005.

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6.6.4 La relazione al rendiconto

Allegata al rendiconto è la relazione dell’organo esecutivo, finaliz-zata a fornire informazioni ad esso complementari ed integrative.

La norma (art. 231 del Tuel) prescrive un contenuto minimo obbli-gatorio per questo documento, che deve30:

– esprimere le valutazioni in ordine all’efficacia dell’azione condotta sulla base dei risultati conseguiti in rapporto ai pro-grammi ed ai costi sostenuti;

– analizzare gli scostamenti principali intervenuti rispetto alle previsioni;

– motivare le cause che li hanno determinati; – evidenziare i criteri di valutazione del patrimonio e delle com-

ponenti economiche. Dal momento che il legislatore non ha previsto, per gli enti locali,

l’obbligo di redazione della nota integrativa, la relazione al rendiconto deve in qualche modo ovviare alla sua mancanza, comprendendo tutte quelle informazioni che una nota integrativa dovrebbe contenere.

In ultimo è utile ricordare che, nonostante il legislatore non abbia previsto schemi-tipo cui attenersi nella redazione della relazione, il principio contabile n. 3, relativo al rendiconto negli enti locali, consi-glia l’adozione di uno schema costituito da quattro sezioni principali: l’identità dell’ente locale, la sezione tecnica della gestione, gli aspetti economico-patrimoniali e la sezione dell’ente ed andamento della ge-stione, che vengono analizzate nel dettaglio dal suddetto principio.

30 OSSERVATORIO PER LA FINANZA E LA CONTABILITÀ DEGLI ENTI LOCALI, Princi-

pio contabile n. 3, Il rendiconto negli enti locali, punto 166.

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Capitolo VII Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

di Emma Pagliuca

7.1 Introduzione

Come si è avuto modo di vedere nel corso della trattazione, le prin-cipali riforme che hanno interessato le amministrazioni pubbliche ne-gli anni Novanta, sono state quasi tutte, sulla scia di un processo di a-ziendalizzazione, volte a sviluppare sistemi di rilevazione “aziendali” che, oltre a rendere più “trasparente” la gestione della res publica, supportassero con il loro output il processo decisionale e di governo della stessa.

A questa ondata di innovazioni non si sono sottratti gli enti pubblici non economici (o enti pubblici istituzionali1), il cui sistema di rileva-zione risaliva, per la quasi totalità, ad un regolamento della fine degli anni Settanta2, evidentemente non più attuale.

Il presente capitolo si propone lo scopo di fornire innanzitutto una panoramica quanto più esaustiva possibile dei principali cambiamenti normativi che hanno interessato gli enti pubblici istituzionali ed il loro sistema contabile, passando poi ad analizzare nel dettaglio le fasi ed i documenti che ne caratterizzano il processo di programmazione e con-trollo.

1 Nel seguito si continuerà a utilizzare indifferentemente i due termini, acco-

gliendo la tesi di chi li ritiene sinonimi. Cfr. L. D’ALESSIO, La gestione delle aziende pubbliche. Problemi di programmazione, controllo e coordinamento, Giappichelli Editore, Torino, 1992; L. D’ALESSIO, “I principi contabili degli enti pubblici non economici”, in G. FARNETI, S. POZZOLI, Principi e sistemi contabili negli enti locali, Franco Angeli, Milano, 2005.

2 Il D. Lgs. n. 696 del 1979.

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Capitolo VII

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7.2 L’Ente Pubblico Istituzionale: da Ente Parastatale ad Ente Pubblico non Economico

La locuzione “ente parastatale” venne utilizzata per la prima volta negli artt. 2 e 18 del d.l. sul contratto di impiego privato del 13 No-vembre 1924, n. 18253.

Quella contenuta nel disegno di legge del 1924, tuttavia, era una nozione di natura meramente pratica e descrittiva, i cui unici elementi di giuridicità potevano ricondursi4 alla struttura di istituzione o di fon-dazione pubblica, coerente con il c.d. decentramento autarchico dell’amministrazione pubblica, al finanziamento da parte dello Stato e alla sottoposizione a controlli governativi. Il termine entrò presto nel linguaggio comune, finendo con l’indicare tutti quegli enti che svol-gono funzioni che sarebbero proprie dello Stato (previdenza e assi-stenza sociale, cultura, sport, ricerca scientifica, ecc.), ma che lo Stato ha preferito “esternalizzare”, affidandoli ad altri soggetti che operino “accanto” ad esso e che vengono considerati quasi statali.

Specie all’inizio, dunque, il “parastato” assunse un’estensione am-pia e non delimitata con precisione, generando inevitabilmente confu-sione. In questo contesto, la legge 20 Marzo 1975 n. 70, “Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del per-sonale dipendente”, viene a costituire il primo tentativo concreto di condurre a disciplina unitaria l’enorme numero degli enti pubblici isti-tuzionali non economici.

Grazie alla legge n. 70/75, che ha individuato sette categorie di enti parastatali (previdenziali ed assistenziali, di assistenza generica, di promozione economica, preposti a servizi di pubblico interesse, pre-posti ad attività sportive, turistiche e del tempo libero, enti scientifici di ricerca e sperimentazione, enti culturali e di promozione artistica), oggi i “confini” del parastato sono noti e ben delimitati.

La “legge del parastato”, come viene comunemente chiamata la legge del ‘75 nel linguaggio corrente, stilò un elenco di quelli che era-

3 Il primo ente “parastatale” di cui si ha notizia è l’Istituto Nazionale Assicura-

zioni, risalente al 1911. 4 G. DE SETA, “Gestioni statali autonome ed enti non territoriali”, in AA. VV.,

Contabilità di Stato e degli Enti Pubblici, Giappichelli Editore, Torino, 1999.

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no gli enti da conservare, affidando contestualmente ad una commis-sione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il compi-to di individuare quelli da sopprimere, i c.d. enti inutili.

La legge 70/75 si preoccupò prevalentemente di unificare la disci-plina relativa allo stato giuridico e al trattamento economico del per-sonale, oltre che alla nomina degli amministratori ed al controllo degli atti e sulla gestione. L’art. 305, però, introdusse anche il principio dell’obbligatorietà del bilancio di previsione e del conto consuntivo, da redigere secondo norme uniformi di classificazione delle entrate e delle spese. Fino ad allora gli enti parastatali avevano goduto di una autonomia pressoché totale nel campo della contabilità, che trovava una qualche giustificazione nel fatto che la loro autosufficienza finan-ziaria costituiva evidentemente un ostacolo alla ingerenza dello Stato nella loro gestione.

Un primo regolamento di amministrazione e contabilità per gli enti pubblici disciplinati dalla legge n. 70/75 è costituito dal DPR 24 gen-naio 1978, n. 84, che introdusse la classificazione economica delle entrate e delle spese, prevedendo, per di più, preventivi di cassa ed e-conomici. Poco dopo intervenne la l. n. 468/78, che impose agli enti in questione di adeguare il sistema di contabilità e bilancio a quello di competenza e di cassa dello Stato, anche in un’ottica di consolidamen-

5 Art. 30, l. n. 70/75: «Gli enti disciplinati dalla presente legge sono tenuti ogni

anno a compilare un bilancio di previsione ed un conto consuntivo, secondo norme uniformi di classificazione delle entrate e delle spese, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il tesoro, previa delibera-zione del Consiglio dei Ministri, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge. Con lo stesso decreto sono approvate norme di amministrazione e contabilità degli enti pubblici. Entro dieci giorni dalla delibera di approvazione ciascun ente provvede alla trasmissione al Ministero vigilante e al Ministero del tesoro del bilan-cio di previsione con allegata la pianta organica vigente comprendente la consistenza numerica del personale di ciascuna qualifica. Restano ferme le norme in vigore sul-l'approvazione dei bilanci di previsione e dei conti consuntivi degli enti da parte dei Ministeri vigilanti. Ogni anno, entro il 31 del mese di luglio, ciascun Ministero tra-smette al Parlamento una relazione sull'attività svolta, sui bilanci di previsione e sul-la consistenza degli organici degli enti sottoposti alla sua vigilanza con allegati i bi-lanci di previsione stessi e le relative piante organiche e i conti consuntivi dell'eser-cizio precedente. Tutti gli enti disciplinati dalla presente legge sono sottoposti al controllo della Corte dei conti, secondo le norme contenute nella legge 21 marzo 1958, n. 259»

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Capitolo VII

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to delle attività che interessano il settore pubblico. In seguito il DPR n. 84/78 venne sostituito dal DPR 18 dicembre 1979, n. 696, che tentò di comprendere in un testo normativo completo la disciplina del bilancio, della gestione finanziaria, di quella di tesoreria, della rendicontazione, della gestione e dell’attività patrimoniale6.

Il regolamento di cui al DPR n. 696/79 resistette a lungo senza va-riazioni sostanziali. Con il tempo, tuttavia, si è fatta più pressante l’esigenza di una rivisitazione dello stesso, non solo per la fisiologica obsolescenza che lo ha interessato, ma anche e soprattutto per il pro-fondo mutamento del quadro legislativo in materia, che ha introdotto importanti innovazioni tecnico-contabili, importando nelle pubbliche amministrazioni metodi di rilevazione del settore privato7.

La legge n. 279/97 prima e la legge n. 208/99 poi costituiscono un valido esempio di questa tendenza. La prima, infatti, ha introdotto nel sistema contabile delle amministrazioni pubbliche un sistema di con-tabilità analitica per centri di costo. La legge n. 208 del 1999, invece, ha evidenziato la necessità di provvedere ad un adeguamento dell’ordinamento contabile degli enti pubblici non economici, di cui alla legge n. 70/75, ai principi introdotti, per il bilancio dello Stato, dalla legge n. 94 del 1997 (c.d. “Legge Ciampi”)8. Quasi in contempo-ranea, peraltro, è stato emanato il D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, con-cernente il riordinamento degli enti pubblici nazionali con esclusione di quelli previdenziali, e di altri organismi ivi indicati, che ha previsto

6 Cfr. G. DE SETA, op. cit., 1999. 7 Sul tema dell’evoluzione della contabilità pubblica cfr. in questo stesso volume

il cap. 4, “Il sistema contabile delle amministrazioni pubbliche: profili evolutivi”. 8 Art. 1 l. n. 208/99: «Con l'osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui al-

la legge 3 aprile 1997, n. 94 (norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. Delega al Governo per l’individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato), e con le modalità ivi indicate, e acquisito il parere della Com-missione parlamentare di cui all'articolo 9 della medesima legge n. 94 del 1997, pos-sono essere emanati, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive del decreto legi-slativo 7 agosto 1997, n. 279 (Individuazione delle unità previsionali di base del bi-lancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendi-conto generale dello Stato), nonché, entro un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dall'articolo 6, comma 4, della citata legge n. 94 del 1997, disposizioni correttive dei decreti medesimi».

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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la facoltà dell’adozione da parte degli enti interessati di regolamenti di contabilità ispirati a principi civilistici e recanti, ove necessario, dero-ghe anche in materia contrattuale alle disposizioni di cui il citato DPR 696/1979.

Il quadro normativo sopra ricordato (legge 25 giugno 1999, n.208 e Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419) ha provocato non pochi problemi relativi alla definizione dell’ambito di applicazione. Infatti, mentre la legge 208/99 dispone che gli enti ed organismi pubblici isti-tuzionali devono uniformare la loro contabilità ed i relativi bilanci ai principi contabili contenuti nella legge n. 94/97, il D. Lgs. 419/99, all’art. 13 comma 1 lettera o, accorda la facoltà di adottare regolamen-ti di contabilità ispirati a principi civilistici. È evidente l’apparente so-vrapposizione (nonché contraddizione) delle due norme e dei rispettivi campi di applicazione.

Il comma 3 dell’art. 1 della l. 208/99 dispone: – l’obbligo per gli enti ed organismi pubblici di cui all’art 1,

comma 2 del D.Lgs. 165/2001 di adeguare il sistema di conta-bilità ed i relativi bilanci ai contenuti nella legge 94/979;

– l’esclusione dall’ambito di applicazione della legge degli enti locali disciplinati dal D.Lgs. 77/1995;

– l’obbligo per gli enti pubblici disciplinati dalla legge 20 marzo 1975, n. 70 di apportare al regolamento approvato con DPR 696/79 le necessarie modifiche ed integrazioni.

Da quanto affermato, risulta evidente che il Legislatore individuò gli enti cui riferire la nuova normativa “per esclusione” (facendo rife-rimento peraltro al secondo comma dell’art. 1 del D. Lgs. 165/01), rendendo difficoltosa una determinazione precisa ed univoca.

9 Il comma 2 della legge n. 208/99 cita: «Per amministrazioni pubbliche si inten-

dono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case po-polari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazio-ni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministra-zioni, le aziende e gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.»

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Capitolo VII

178

In sintesi, tralasciando di considerare tutte le altre problematiche derivanti dall’analisi di altre disposizioni10, possono individuarsi quat-tro categorie di enti pubblici istituzionali:

a) enti pubblici nazionali cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (legge n. 259/58);

b) enti pubblici nazionali dotati di autonomia contabile ricono-sciuta dalla legge o da un atto avente forza di legge, cui lo Sta-to contribuisce in via ordinaria;

c) enti pubblici nazionali dotati di spiccata autonomia finanziaria (ossia in cui le entrate proprie prevalgono su quelle derivanti da trasferimenti dal settore pubblico);

d) enti pubblici nazionali a struttura associativa. Gli enti appartenenti alle prime due categorie rientrano nell’ambito

di applicabilità dell’art 1 comma 3 della legge 208/9911. Gli enti appartenenti alle ultime due categorie, invece, hanno facol-

tà di adottare regolamenti di contabilità ispirati ai principi del codice civile, previa la revisione degli statuti.

Di recente è intervenuto il nuovo ordinamento di contabilità degli Enti Pubblici Istituzionali, emanato con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 febbraio 2003, n. 9712: “Regolamento concernente

10 Cfr. P. GERMANI, Il follow up dei principi contabili e di revisione elaborati

dalla Commissione Caratozzolo, 2002. 11 Con la Circolare 39 dell’11 dicembre 2000, firmata dal Ragioniere generale

dello Stato, sono stati forniti chiarimenti sulla portata del comma 3 della 208/99 e dell’adeguamento dei sistemi contabili degli enti ed organismi pubblici. Al punto “1) DESTINATARI”, la circolare dice: «La normativa citata in premessa ha individuato negli enti ed organisti pubblici di cui all’ art 1 comma 2 D.Lgs. 29/93, i destinatari delle disposizioni recate dall’art 1, comma 3 della 208/99, con esclusione degli enti locali, mentre per gli enti pubblici disciplinati dalla 70/75, è previsto che il processo di adeguamento alla legge 94/97 si realizzi attraverso la rielaborazione del regola-mento di amministrazione e contabilità di cui al DPR 696/79». Si fa presente che l’art 73 del D.Lgs. 165/2001 dispone l’integrale sostituzione dello stesso D.Lgs. 165/2001 al D.Lgs. 29/93.

12 Il suddetto DPR è stato peraltro anticipato, nel 2001, dall’emanazione di un documento contenente i principi contabili per il bilancio di previsione ed il rendicon-to generale degli Enti Pubblici Istituzionali, redatto ad opera di una Commissione (la “Commissione Caratozzolo”), nominata dal Ministero dell’Economia e delle Finan-ze con lo specifico compito di «definire: a) i principi contabili per gli Enti di cui al D.Lgs. 419/99 b) i principi di revisione per gli Enti Pubblici Istituzionali». Cfr. MI-

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70”, decreto che stabilisce l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2004 con conseguente e contemporanea abrogazione del de-creto n. 696/79.

Tabella 7.1 Criteri di individuazione dei destinatari delle norme

Enti pubblici cui lo stato contribuisce in via ordinaria

Enti pubblici dotati di autonomia contabile, ricono-sciuta da leggi o atti similari, cui lo Stato contribuisce

Devono adeguare i siste-mi contabili e di bilancio a

norma della 94/97

Enti pubblici con spiccata autonomia finanziaria, ove le entrate proprie superano quelle provenienti da trasferi-

menti dal settore pubblico

Enti a struttura associativa

Hanno facoltà di adottare regolamenti di contabilità

ispirati al codice civile, pre-via revisione degli statuti

Tale provvedimento disciplina in maniera completa ed organica

l’intera materia contabile; ne regolamenta il bilancio, la gestione eco-nomica – finanziaria e la rendicontazione, il servizio di cassa o di te-soreria, la gestione patrimoniale, l’attività negoziale, le gestioni de-centrate, le scritture contabili, i sistemi di controllo.

Inoltre, il decreto non adegua soltanto l’ordinamento contabile de-gli enti parastatali ai principi contenuti nella legge 94 del 1997 ma, te-nendo conto delle altre normative emanate in materia di organizzazio-ne e gestione delle amministrazioni pubbliche, interviene anche in questi settori disponendo:

– la separazione tra direzione politica e controllo, e attuazione della programmazione e gestione delle risorse;

– l’organizzazione degli enti in centri di responsabilità; – lo sviluppo della gestione secondo principi contabili, contenuti

in apposito allegato; – l’introduzione di processi di pianificazione, programmazione e

budget;

NISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, Principi contabili per il bilancio di previsione ed il rendi-conto generale degli Enti Pubblici Istituzionali, settembre 2001.

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Capitolo VII

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– l’attivazione del controllo di gestione; – l’individuazione, in apposito allegato, di principi di revisione.

7.3 Il processo di pianificazione, programmazione e budget degli Enti Pubblici Non Economici

Il processo di gestione di un ente pubblico non economico viene il-lustrato ex ante nel bilancio di previsione e trova conclusione nella rappresentazione, nel rendiconto generale, dei risultati conseguiti.

Propedeutico a tutto il processo è evidentemente lo sviluppo di un sistema di pianificazione e programmazione che coinvolga i diversi organi politici ed amministrativi che fanno capo ad un ente pubblico.

Tale sistema trova efficace rappresentazione, ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 97/2003, nei seguenti documenti:

– la relazione programmatica; – il bilancio pluriennale; – il bilancio di previsione; – la tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione; – il budget (finanziario ed economico) dei centri di responsabilità

di 1° livello. Il processo di pianificazione prende avvio sulla scia della defini-

zione delle linee strategiche e di indirizzo stabilite dall’organo di ver-tice nella relazione programmatica, coinvolgendo dapprima i preposti ai centri di responsabilità di primo livello e poi via via tutta la struttu-ra. Sulla base delle indicazioni contenute nella relazione programmati-ca, i responsabili dei centri di primo livello avviano un processo di ti-po top-down, spostando l’attenzione sui centri subordinati in cui sono state individuate le Unità Previsionali di Base, i centri di responsabili-tà di secondo livello e gli altri centri di costo e di responsabilità «iden-tificativi di compiti e funzioni nel processo gestionale dell’Ente, se-condo l’autonomia organizzativa a questo riconosciuta13». Quasi con-testuale a questo processo top-down è la presentazione, da parte dei

13 MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, DIPARTIMENTO DELLA RAGIO-

NERIA GENERALE DELLO STATO, Principi contabili per il bilancio di previsione ed il rendiconto generale degli Enti Pubblici Istituzionali, settembre 2001, p. 19.

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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centri di responsabilità di livello inferiore, di programmi e progetti specifici per le diverse unità amministrative, oggetto dei budget di centri di responsabilità di livello inferiore e/o budget dei centri di co-sto, entrambi subordinati ai centri di responsabilità di primo livello. È naturalmente dovere del management preposto ai centri di primo livel-lo conciliare questi programmi, frutto di un processo di tipo bottom-up, con le linee strategiche e di indirizzo stabilite dalla dirigenza nella relazione programmatica. Questo tentativo di conciliazione sfocia nel-la redazione, per ogni centro di responsabilità di primo livello, di un budget del centro di responsabilità di primo livello.

Dalla sintesi delle valutazioni e dei programmi contenuti nei budget di primo livello si perviene alla stesura di un preventivo finanziario decisionale e di un preventivo economico, che insieme costituiscono il bilancio di previsione.

Figura 7.1 Il processo di pianificazione e programmazione

Fonte: MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, DIPARTIMENTO DELLA RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO, Principi contabili per il bilancio di previ-sione ed il rendiconto generale degli Enti Pubblici Istituzionali, 2001, p. 27.

Organi di vertice

Centri di responsabilità di 1°

livello

Centri di responsabilità di livello inferiore

Centri di costo

Budget del centro di responsabilità di 1° livello•Budget finanziario•Budget economico

•Budget finanziario•Budget economico

•Budget economico per centri di costo

Bilancio di previsione•Preventivo finanziario•Quadro generale riassuntivo gest. finanziaria•Preventivo economico•Allegati

- Relazione programmatica- Bilancio pluriennale- Tab. dim. Presunto Ris. di Amministraz.

AMMINISTRAZIONE VIGILANTE

presenta

delibera

ENTE

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Capitolo VII

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Il processo è illustrato nella Fig. 7.1, che affianca alla struttura

dell’ente i documenti che ogni organo è tenuto a redigere. Di seguito si passeranno in rassegna uno per uno i documenti che

fanno parte del sistema di bilancio14 degli Enti Pubblici Non Econo-mici, la cui redazione si è visto essere parte integrante e imprescindi-bile del processo di pianificazione e programmazione di un ente pub-blico istituzionale.

7.4 Il bilancio di previsione

Il bilancio di previsione dell’ente consta di tre documenti principa-li:

1. preventivo finanziario; 2. quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria; 3. preventivo economico.

Sono invece considerati allegati al bilancio di previsione i seguenti documenti:

1. bilancio pluriennale; 2. relazione programmatica; 3. tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione; 4. relazione del Collegio dei Revisori.

14 Analogamente a quanto previsto per i bilanci di imprese private, è prevista la

redazione di bilanci semplificati, quando la struttura dell’ente sia tale da non giusti-ficare la produzione della copiosa documentazione esaminata. Il D.P.R. 97/2003 fis-sa i parametri per poter usufruire di tale agevolazione. Sia il Bilancio di previsione sia il Rendiconto generale possono essere redatti in forma abbreviata quando nel primo esercizio o per sue esercizi successivi non vengono superati almeno due dei seguenti parametri:

l’attivo risultante dallo Stato Patrimoniale non supera 2,5 milioni di euro; il totale delle entrate accertate non supera 1 milione di euro; i lavoratori dipendenti in servizio al 31 dicembre di ciascun anno non supe-

ra le 25 unità. Se per due anni consecutivi due dei limiti fissati vengono superati, dal terzo anno

scatta l’obbligo della stesura del rendiconto in forma ordinaria. Cfr. art. 48 comma 1 DPR n. 97/2003.

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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7.4.1 Il preventivo finanziario e il quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria

L’art. 11 del DPR n. 97/2003 disciplina il preventivo finanziario, da elaborare con criteri di competenza e di cassa, stabilendo innanzi-tutto che esso deve venir redatto in due versioni: una decisionale e l’altra gestionale.

Figura 7.2 Il preventivo finanziario decisionale

Fonte: G. TERMANINI, Elementi di contabilità e principi contabili degli Enti Pubblici non Economici, EEditrice.com, Serel International, 2004, p.43.

Allegata al preventivo finanziario è la Nota Preliminare, nella qua-

le devono trovare indicazione gli obiettivi ed i programmi che i Centri di responsabilità intendono perseguire nonché il collegamento tra que-sti obiettivi e i programmi espressi nella Relazione Programmatica. Nella stessa nota, per di più, devono essere indicati anche gli indicato-ri di efficacia e di efficienza strumentali alla valutazione dei risultati, i tempi di esecuzione dei programmi e dei progetti previsti nel bilancio

PREVENTIVO FINANZIARIO DECISIONALE

•È soggetto ad approvazione da parte degli organi di vertice•Deve rispettare il pareggio finanziario

NOTA PRELIMINARE

•Obiettivi e programmi da realizzare da parte dei Centri di responsabilità•Collegamenti tra previsioni e linee indicate nella Relazione Programmatica•Indicatori di efficacia ed efficienza•Tempi di esecuzione•Criteri imposti ai responsabili di livello inferiore

ALLEGATO TECNICO

Allegati

•Definizione delle spese, criteri che le prevedono e normativa di riferimento•Criteri di valutazione delle previsioni con particolare riferimento alle spese correnti discrezionali•Previsione delle Entrate e Uscite del Bilancio Pluriennale•Pianta organica del personale e relativi ALLEGATI

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Capitolo VII

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ed i criteri di massima cui i responsabili dei centri di livello inferiore devono attenersi nello svolgimento della loro attività.

Il preventivo finanziario decisionale viene accompagnato, inoltre, da un Allegato Tecnico, il quale deve contenere indicazioni relative a:

– la definizione delle spese, con indicazione dei criteri giuridicamen-te obbligatori o discrezionali che le prevedono, ed indicazione del-la normativa di riferimento;

– i criteri di valutazione adottati nella formulazione delle previsioni, con particolare riferimento alle spese correnti di natura discrezio-nale;

– le previsioni delle Entrate e Uscite per ogni esercizio compreso nel Bilancio Pluriennale.

Per quanto concerne la struttura, il preventivo finanziario decisio-nale si articola, sia per le entrate che per le uscite, in Unità Previsio-nali di Base (UPB), unità suscettibili di approvazione da parte degli organi competenti (analogamente alle UPB che caratterizzano il bilan-cio dello Stato). La peculiarità delle UPB del preventivo finanziario è il fatto che esse si articolano su quattro livelli, il primo dei quali coin-cide con il livello di responsabilità amministrativa. La Fig. 7.3 illustra la ripartizione delle UPB con riferimento alle entrate e alle uscite.

Figura 7.3 Articolazione delle Unità Previsionali di Base

Fonte: adattato da G. TERMANINI, op. cit., 2004.

•Gestione dei programmi, progetti e attivit à per la rendicontazione•Opera a livello delle Unit à Previsionali di base

ENTRATE

USCITE

Le UPB delle Entrate sono articolate in:•UPB di livello 1, suddivise in:•Titoli: UPB di livello 2•UPB di livello 3•Categorie: UPB di livello 4•Capitoli

Le UPB delle Uscite sono articolate in:•UPB di livello 1, suddivise in:•Funzioni/obiettivo•Titoli: UPB di livello 2•UPB di livello 3•Capitoli

•Gestione dei programmi, progetti e attivit à per la rendicontazione•Opera a livello delle Unit à Previsionali di base

ENTRATE

USCITE

Le UPB delle Entrate sono articolate in:•UPB di livello 1, suddivise in:•Titoli: UPB di livello 2•UPB di livello 3•Categorie: UPB di livello 4•Capitoli

Le UPB delle Uscite sono articolate in:•UPB di livello 1, suddivise in:•Funzioni/obiettivo•Titoli: UPB di livello 2•UPB di livello 3•Capitoli

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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Nel momento in cui l’articolazione delle entrate e delle uscite evi-denzia come unità elementare di classificazione il Capitolo, essa dà origine al preventivo finanziario gestionale.

Il quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria, ex art. 13 del DPR 97/2003, costituisce la sintesi in cui confluiscono tutti i valori finanziari che caratterizzano la gestione, comprese le previsioni di competenza e di cassa. 7.4.2 Il preventivo economico

Il preventivo economico è il risultato del consolidamento dei bu-dget economici dei Centri di responsabilità di primo livello. Ogni cen-tro di responsabilità di primo livello, in altre parole, riepiloga in un budget i singoli budget elaborati dai centri di responsabilità subordina-ti; a loro volta, poi, i budget dei diversi centri di responsabilità di pri-mo livello confluiscono nel budget generale economico o preventivo economico. Evidentemente, dunque, nel caso limite di un ente con un unico centro di responsabilità di primo livello, il correlato budget coinciderà col preventivo economico. Tale documento, quindi, contie-ne le previsioni dei costi e dei proventi che dovranno essere rispetti-vamente sostenuti o conseguiti nei centri di primo livello; esso è redat-to secondo i criteri di competenza economica, ponendo a confronto, cioè, i proventi ed i costi della gestione dell’esercizio, compresi quelli che non hanno ancora avuto manifestazione finanziaria.

Secondo quanto prescritto dal Legislatore, il preventivo economico diventa operativo subito dopo l’approvazione, da parte degli organi di vertice, del preventivo finanziario decisionale.

7.5 I documenti allegati al bilancio di previsione

7.5.1 Il bilancio pluriennale

La redazione del bilancio pluriennale avviene sulla base dei soli criteri di competenza, facendo riferimento ad un periodo che, come si evince dal nome stesso, dura più anni e di norma non è inferiore al triennio. Tale documento è considerato un allegato del bilancio di pre-

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Capitolo VII

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visione perché non ha valenza autorizzativa, rappresentando sempli-cemente «l’anello di collegamento tra le scelte contenute nella rela-zione programmatica e quelle contenute nel bilancio di previsione an-nuale15». Esso, infatti, descrive i movimenti finanziari in rapporto alle previsioni indicate nella Relazione Programmatica, pur essendo le po-ste in esso presenti articolate come quelle del preventivo finanziario decisionale.

Il bilancio pluriennale viene aggiornato, utilizzando la tecnica dello scorrimento, ogni anno, in concomitanza con l’approvazione del bi-lancio di previsione. Proprio il suo carattere di variabilità, peraltro, fa sì che esso non sia soggetto a sua volta ad approvazione.

Figura 7.4 Il bilancio pluriennale

Fonte: G. TERMANINI, op. cit., 2004, p.48. 7.5.2 La relazione programmatica

L’organo di vertice ha il compito di redigere annualmente la rela-

zione programmatica, la quale « descrive le linee strategiche dell'ente da intraprendere o sviluppare in un arco temporale definito (normal-

15 MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, DIPARTIMENTO DELLA RAGIO-

NERIA GENERALE DELLO STATO, op. cit., settembre 2001, p. 21.

BILANCIO PLURIENNALE

È redatto con i criteri di competenzaper un periodo di durata almeno triennale

contieneDescrizione dei movimenti finanziari

relativi alle previsioni indicate nella Relazione Programmatica

•Aggiornato annualmente•Non è soggetto ad approvazione

BILANCIO PLURIENNALE

È redatto con i criteri di competenzaper un periodo di durata almeno triennale

contieneDescrizione dei movimenti finanziari

relativi alle previsioni indicate nella Relazione Programmatica

•Aggiornato annualmente•Non è soggetto ad approvazione

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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mente coincidente con la durata del mandato)16». Le strategie e gli o-biettivi di lungo periodo dell’ente devono naturalmente essere coerenti con gli elementi che caratterizzano la programmazione statale.

La relazione programmatica è un documento di carattere generale, che fornisce per di più una rappresentazione di massima del quadro economico nazionale e degli indirizzi di governo, finalizzato in primis a dimostrare la coerenza tra le finalità dell’ente e le esigenze ed aspet-tative dei cittadini.

La relazione consta di una parte relativa alle entrate, nella quale viene data puntuale illustrazione delle risorse necessarie al consegui-mento delle strategie, evidenziandone contestualmente le opportunità ed i vincoli di acquisizione, e di una parte relativa alle uscite, conte-nente l’indicazione delle principali voci di impegno del periodo preso in considerazione.

Figura 7.5 La relazione programmatica

Fonte: G. TERMANINI, op. cit., 2004, p.49.

16 Art. 7 DPR 97/2003.

RELAZIONE PROGRAMMATICA

È redatta annualmente dall’organo di verticee riguarda un periodo solitamente coincidente con quello del mandato

contiene

Allegati

•Descrizione delle linee politiche e sociali da seguire•Finalità istituzionali, con precisazione delle risorse occorrenti•Descrizione delle fonti di finanziamento•Descrizione delle principali voci di impegno

Piano pluriennale (triennale) che riporta le scelte strategiche in termini quantitativi

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Capitolo VII

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Il comma 5 dell’art. 7 del DPR 97/2003 prescrive che, contestual-mente alla relazione programmatica, sia presentato anche un piano pluriennale, tipicamente relativo ad un periodo triennale, che fornisca una rappresentazione quantitativa delle strategie che l’ente intende perseguire. 7.5.3 La tabella dimostrativa del presunto Risultato di Amministrazio-ne

La tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione è un allegato al bilancio di previsione la cui necessità è evidente; dal momento che l’esercizio precedente a quello di riferimento del bilan-cio di previsione non si è ancora concluso, il risultato di amministra-zione con cui inizierà il nuovo esercizio è chiaramente ancora frutto di astrazioni e presunzioni. La tabella, dunque, è finalizzata innanzitutto ad illustrare le congetture che sottostanno al calcolo del risultato pre-sunto, oltre alle eventuali condizioni ed ipotesi cui è subordinato l’effettivo conseguimento dello stesso.

È chiaro che, qualora si preveda la realizzazione di un avanzo di amministrazione, quest’ultimo sarà disponibile solo nel momento in cui ne sia dimostrata l’effettiva esistenza e comunque nella misura in cui esso si concretizzi.

Specularmente, nel caso in cui si preveda un disavanzo di ammini-strazione, di esso si dovrà necessariamente tener conto al momento della redazione del bilancio di previsione, per porre in atto tutte quelle misure finalizzate al suo riassorbimento.

Nel caso in cui, a consuntivo, il risultato di amministrazione effet-tivo risulti peggiore di quello presunto, l’organo di vertice dell’ente deve informare l’amministrazione vigilante, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Corte dei Conti, predisponendo contestualmente i provvedimenti necessari a neutralizzare l’eventuale gap.

7.5.4 La relazione del Collegio dei Revisori

L’art 16 del DPR n. 97/2003 dedica notevole rilevanza all’illustrazione dei compiti del Collegio dei Revisori. Tale organo,

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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analogamente a quanto avviene nel settore privato, prende in consegna il bilancio di previsione almeno quindici giorni prima della delibera di approvazione.

Nei quindici giorni che seguono il Collegio procede all’esame del documento; in seguito redige una Relazione, nella quale illustra i ri-sultati dell’analisi svolta, invitando ad approvare, o non approvare, il documento.

Il contenuto della relazione deve necessariamente prevedere una se-rie di considerazioni relative ad alcuni argomenti specifici, quali:

– il programma annuale; – gli obiettivi che l’ente si propone di realizzare; – l’attendibilità delle entrate previste nei vari capitoli di bilan-

cio, sulla base dei dati e documenti indicati nella relazione programmatica;

– la congruità delle spese, con separata indicazione delle risorse consumate negli esercizi precedenti, delle variazioni apportate e degli stanziamenti proposti.

Il Collegio è chiamato inoltre a svolgere un’importante funzione di supervisione sull’intero procedimento formativo ed attuativo delle ri-levazioni dell’ente; funzione, questa, che richiede una costante pre-senza dell’organo di controllo durante tutto l’iter gestionale e previ-sionale.

7.5 Il budget del centro di responsabilità di primo livello

Il budget del centro di responsabilità di primo livello è composto dal budget finanziario, di competenza e cassa, e dal budget economi-co. A sua volta, il budget del centro di responsabilità di primo livello è la sommatoria dei budget dei centri di responsabilità di livello inferio-re ad esso subordinati; ognuno dei suddetti centri, infatti, procede alla redazione di un budget finanziario e di un budget economico, mentre ogni centro di costo redige esclusivamente un budget economico.

È evidente che fondamentale per la valutazione economica dei bu-dget ed il successivo confronto obiettivi/risultati è l’adozione, da parte dell’ente, di un sistema di contabilità economica analitica, articolato per centri di costo e di responsabilità, strumentale alla redazione sia

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Capitolo VII

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del budget (e quindi del preventivo economico) sia, in sede di rendi-contazione, del consuntivo economico per centro di costo e/o di re-sponsabilità, che confluirà nel conto economico.

Da quanto detto finora, anche relativamente al processo di pianifi-cazione e programmazione che caratterizza l’ente pubblico non eco-nomico, emerge con una certa chiarezza che i responsabili ammini-strativi «partecipano alla formazione del bilancio di previsione anche con la valutazione delle risorse necessarie per la effettiva realizzazio-ne, parziale o totale, dei programmi e progetti proposti e poi scelti, in modo coordinato e coerente, dai responsabili delle UPB di primo li-vello»17. 7.6 Le risultanze della gestione: il Rendiconto Generale

La fase consuntiva della gestione dell’ente si articola nella redazio-ne di numerosi documenti, correlati e conseguenti a quelli della fase preventiva.

I preventivi finanziari ed economici, opportunamente verificati e corretti nel loro corso annuale, in conformità alle decisioni degli orga-ni competenti, sfociano nei documenti di rendicontazione consuntiva. In modo analogo e omologo alla fase preventiva, vengono dunque predisposti i documenti riassuntivi, o consuntivi, della gestione annua-le.

Il documento composito che ne deriva è costituito dal Rendiconto generale. Esso è costituito da una molteplicità di documenti, quali:

1. il Conto del Bilancio (finanziario consuntivo); 2. il Conto Economico; 3. lo Stato Patrimoniale; 4. la Nota Integrativa.

Al rendiconto generale sono poi allegati la Situazione amministra-tiva, la Relazione sulla gestione e la Relazione del Collegio dei Revi-sori dei Conti.

17 L. D’ALESSIO, “I principi contabili degli enti pubblici non economici”, in G.

FARNETI, S. POZZOLI, Principi e sistemi contabili negli enti locali, Franco Angeli, Milano, 2005.

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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7.6.1 Il Conto del Bilancio

Il Conto del Bilancio illustra i risultati della gestione per quel che attiene alle entrate ed alle uscite. Nei fatti, esso costituisce il corri-spondente a consuntivo del preventivo finanziario; come il preventivo finanziario, anche il Conto del Bilancio si compone di due sezioni: il Rendiconto Finanziario Decisionale ed il Rendiconto Finanziario Ge-stionale.

Analogamente al preventivo finanziario decisionale, il rendiconto finanziario decisionale si articola in Unità Previsionali di Base di pri-mo livello.

Figura 7.6 Il conto del bilancio

Fonte: G. TERMANINI, op. cit., 2004, p.69.

Il rendiconto decisionale, invece, è costituito da capitoli, finalizzati all’illustrazione18:

18 Art. 39 comma 2 DPR 97/2003.

CONTO DEL BILANCIO

Rendiconto finanziario decisionale

Rendiconto finanziario gestionale

UPB di primo livello

Capitoli

•Entrate di competenza dell’anno, accertate, riscosse o ancora da riscuotere;•Uscite di competenza dell’anno, impegnate, pagate o ancora da pagare; •Residui attivi e passivi degli esercizi;•Somme riscosse e somme pagate, distinte per conto di competenza e conto residui;•Residui attivi e passivi da trasferire al successivo esercizio.

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Capitolo VII

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– delle entrate di competenza dell’anno, accertate, riscosse o da riscuotere;

– delle uscite di competenza dell’anno, impegnate, pagate o da pagare;

– della gestione dei residui attivi e passivi degli esercizi prece-denti;

– delle somme riscosse e pagate in conto competenza ed in con-to residui;

– del totale di residui attivi e passivi da trasferire all’esercizio successivo.

Obiettivo del Conto di Bilancio è la verifica della coerenza tra le entrate e le uscite previste all’inizio del periodo e autorizzate dall’organo di vertice e i valori finanziari positivi e negativi che la ge-stione ha fatto effettivamente realizzare; non a caso, peraltro, la strut-tura del documento prevede anche un confronto diretto tra valori a preventivo e valori a consuntivo. 7.6.2 Il Conto Economico, lo Stato Patrimoniale e la Nota Integrativa

Il Conto Economico dell’ente pubblico istituzionale è redatto se-condo lo schema previsto dal Codice Civile (art. 2425); esso è predi-sposto secondo criteri di competenza, finalizzati ad evidenziare la componenti economiche (positive e negative) della gestione19.

Anche per quel che riguarda eventuali rettifiche e/o rinvii di costi e ricavi, il Conto Economico fa comunque riferimento ai tradizionali principi contabili che regolano la redazione dei bilanci delle aziende del settore privato.

19 Art. 41 del D.P.R. 97/2003, comma 2: «Il conto economico evidenzia i com-

ponenti positivi e negativi della gestione secondo criteri di competenza economica. Esso comprende: gli accertamenti e gli impegni delle partite correnti del conto del bilancio, rettificati al fine di far partecipare al risultato di gestione solo quei compo-nenti di reddito economicamente competenti all'esercizio (costi consumati e ricavi esauriti); quella parte di costi e ricavi di competenza dell'esercizio la cui manifesta-zione finanziaria, in termini di impegno e accertamento, si verificherà nel(i) prossi-mo(i) esercizio(i) (ratei): quella parte di costi e di ricavi ad utilità differita (risconti); le sopravvenienze e le insussistenze; tutti gli altri elementi economici non rilevati nel conto del bilancio che hanno inciso sulla sostanza patrimoniale modificandola».

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

193

Obiettivo del Conto Economico è, evidentemente, la determinazio-ne del risultato economico di esercizio; anche tale documento, inoltre, permette il confronto tra gli obiettivi determinati nel budget all’inizio dell’esercizio e i valori economici effettivamente realizzati dalla ge-stione, consentendo, per di più, valutazioni in merito all’efficienza ed all’efficacia della stessa. Anche lo Stato Patrimoniale20 degli enti pubblici istituzionali si rifà agli schemi civilistici di cui all’art. 2424 Cod. Civ.., per quanto com-patibili. Tale documento è finalizzato alla rappresentazione delle atti-vità e delle passività derivanti dalla gestione economico-finanziaria, che concorrono alla formazione del patrimonio netto di esercizio. Pe-raltro, in un’ottica di accountability, le informazioni fornite dallo Sta-to Patrimoniale non sono destinate solo all’organo di vertice e/o al management, ma alla più vasta platea degli stakeholder dell’ente.

La Nota Integrativa, al pari del Conto Economico e dello Stato Pa-trimoniale, segue lo schema previsto dal codice civile (art. 2427 cod. civ.). Tuttavia, tenuto conto della particolarità dell’ente, la redazione del documento deve rispettare alcune regole particolari, gran parte del-le quali contenute nell’art. 44 del DPR n. 97/2003. La Nota Integrativa deve peraltro indicare:

– l’illustrazione dell’andamento di tutta la gestione ed i fatti ve-rificatisi dopo la chiusura dell’esercizio;

– ogni eventuale informazione e schema utile ad una migliore comprensione dei dati contabili;

– l’indicazione dei criteri di valutazione applicati per la redazio-ne del rendiconto generale;

– un’analisi dettagliata delle voci del conto di bilancio; – un’analisi delle voci dello Stato Patrimoniale; – un’analisi del conto economico; – altre notizie integrative.

In qualità di documento descrittivo-contabile, la Nota Integrativa riveste un ruolo fondamentale nel fornire quei dati e quelle informa-

20 Art. 42 DPR 97/2003.

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Capitolo VII

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zioni che l’esposizione numerica del Conto Economico e dello Stato Patrimoniale non è in grado di dare21.

7.6.3 Gli allegati al Rendiconto Generale La Situazione Amministrativa (art. 45 DPR n. 97/2003) allegata al

conto del bilancio, evidenzia: – la consistenza di cassa iniziale, gli incassi e i pagamenti com-

plessivamente fatti nell'esercizio, in conto competenza e in conto residui, il saldo alla chiusura dell'esercizio;

21 L’art. 44 del DPR n. 97/2003, al comma 3, afferma che: «Le informazioni det-

tagliate contenute nella nota integrativa devono in ogni caso riguardare: - gli elementi richiesti dall’art. 2427 e dagli altri articoli del codice civile, nonché

da altre norme di legge e dai documenti sui principi contabili applicabili; - l’applicazione di norme inderogabili tale da pregiudicare la rappresentazione

veritiera e corretta del rendiconto generale, motivandone le ragioni e quantifi-cando l’incidenza sulla situazione patrimoniale, finanziaria, nonché sul risultato economico;

- l’illustrazione delle risultanze finanziarie complessive; - le variazioni alle previsioni finanziarie intervenute in corso d’anno, compren-

dendo l’utilizzazione del fondo di riserva; - la composizione dei contributi in conto capitale ed in conto esercizio e la loro

destinazione finanziaria ed economico-patrimoniale; - l’elencazione dei diritti reali di godimento e la loro illustrazione; - la destinazione dell’avanzo economico o i provvedimenti atti al contenimento e

assorbimento del disavanzo economico; - l’analisi puntuale del risultato di amministrazione, mettendone in evidenza la

composizione e la destinazione; - la composizione dei residui attivi e passivi per ammontare e per anno di forma-

zione nonché, per quelli attivi, la loro classificazione in base al diverso grado di esigibilità;

- la composizione delle disponibilità liquide distinguendole fra quelle in possesso dell’istituto cassiere o tesoriere, del servizio di cassa interno e delle eventuali casse decentrate;

- i dati relativi al personale dipendente ed agli accantonamenti per indennità di anzianità ed eventuali trattamenti di quiescenza, nonché i dati relativi al perso-nale comunque applicato all’ente;

- l’elenco dei contenziosi in essere alla data di chiusura dell’esercizio ed i connes-si accantonamenti ai fondi per rischi ed oneri.»

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Il sistema contabile degli Enti Pubblici Istituzionali

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– il totale complessivo delle somme rimaste da riscuotere (resi-dui attivi) e di quelle rimaste da pagare (residui passivi);

– il risultato finale di amministrazione. Per quanto riguarda quest’ultima grandezza, possono registrarsi tre

diverse situazione: 1. disavanzo, risultato di amministrazione negativo; 2. pareggio, risultato di amministrazione nullo; 3. avanzo, risultato di amministrazione positivo.

L’art. 45 del DPR n. 97/2003 stabilisce che l’eventuale avanzo può essere utilizzato o per il finanziamento di spese non ricorrenti o di in-vestimento, oppure, in seguito ad apposita delibera, per qualsiasi altro scopo. Quanto detto è riassunto nella figura successiva.

Figura 7.7 Destinazione del risultato di amministrazione

Fonte: G. TERMANINI, op. cit., 2004.

La Relazione sulla Gestione consiste in una relazione sull’andamento della gestione amministrativa dell’ente, in cui devono essere esposte le comparazioni tra costi sostenuti, benefici ottenuti e risultati conseguiti rispetto alle linee strategiche che gli organi di ver-tice si erano proposti.

RISULTATO FINALE DI AMMINISTRAZIONE

AVANZO

DISAVANZO

Copertura spese non ricorrentiFinanziamento spese destinate

ad investimenti stabilitiAltre destinazioni purché vi sia

apposita delibera

Indicato nel bilancio di previsione e computato nelle quote vincolate e non disponibili del risultato di amministrazione

PAREGGIO

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Capitolo VII

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Nella relazione dovranno essere osservati i principi stabiliti dall’art 2428 del Cod. Civ., in quanto compatibili; inoltre dovrà essere fatto riferimento sia alla gestione dell’esercizio trascorso, sia al piano plu-riennale sia agli accadimenti salienti dell’esercizio in corso al momen-to della redazione del documento. La relazione deve chiudere con un riferimento ai risultati conseguiti dagli organi di vertice nel periodo del loro mandato.

Oltre ai compiti di controllo stabiliti dalle disposizioni civilistiche e fiscali, il collegio dei revisori deve predisporre la Relazione al bilan-cio, «formulando valutazioni e giudizi sulla regolarità amministrativo-contabile della gestione ed, in uno con le altre strutture facenti parte del controllo interno, anche valutazioni in ordine alla realizzazione del programma e degli obiettivi fissati all’inizio dell’esercizio, ponendo in evidenza le cause che ne hanno determinato eventuali scostamenti»22.

22 Art. 47 comma 1 DPR n. 97/2003. Al comma 2 lo stesso articolo prescrive che

« Il collegio dei revisori dei conti, in particolare, deve: attestare:

a) la corrispondenza dei dati riportati nel rendiconto generale con quelli analitici desunti dalla contabilità generale tenuta nel corso della ge-stione;

b) l'esistenza delle attività e passività e la loro corretta esposizione in bi-lancio nonché l'attendibilità delle valutazioni di bilancio;

c) la correttezza dei risultati finanziari, economici e patrimoniali della gestione;

d) l'esattezza e la chiarezza dei dati contabili presentati nei prospetti di bilancio e nei relativi allegati.

effettuare analisi e fornire informazioni in ordine alla stabilità dell'equilibrio di bilancio e, in caso di disavanzo, fornire informazioni circa la struttura dello stesso e le prospettive di riassorbimento perché, comunque, venga, nel tempo, salvaguardato l'equilibrio;

esprimere valutazioni sull'adeguatezza della struttura organizzativa dell'ente e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;

concorrere con altri organi a ciò deputati alla valutazione dell'adeguatezza del sistema di controllo interno;

verificare l'osservanza delle norme che presiedono la formazione, l'imposta-zione del rendiconto generale e della relazione sulla gestione predisposta dal-l'organo di vertice;

proporre l'approvazione o meno del rendiconto generale da parte degli organi a ciò deputati sulla base degli specifici ordinamenti dei singoli enti.»

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Capitolo VIII Il sistema informatico degli incassi e dei pagamenti della

Pubblica Amministrazione di Paolo De Carolis

8.1 Introduzione Il percorso di riforma federalista avviato da alcuni anni, implica un

graduale mutamento della struttura organizzativa della amministrazio-ne pubblica, comportando un progressivo spostamento di poteri, com-petenze e risorse verso gli enti periferici.

Questo processo, basato sul trasferimento di competenze e incre-mento delle autonomie, mantiene invariato il sistema di bilancio dello Stato. L’amministrazione centrale, infatti, resta sempre responsabile delle condizioni generali di finanza, anche al cospetto degli impegni assunti a livello internazionale, pur mutando la struttura del sistema finanziario, con il passaggio da un modello centralizzato della raccolta finanziaria e un forte decentramento della spesa ad uno che tende alla decentralizzazione anche degli aspetti di fiscalità.

Per il corretto ed efficiente funzionamento di questo nuovo modello di amministrazione, come per tutte le strutture organizzative basate sul decentramento, è essenziale lo sviluppo di adeguati sistemi di coordi-namento e informazione, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti fi-nanziari.

Il successo di questo processo di trasformazione, pertanto, necessita di un maggior coordinamento della finanza pubblica che permetta al Ministero dell’Economia e delle Finanze di disporre in via diretta di informazioni analitiche e tempestive sui flussi di cassa relativi all’intero comparto delle amministrazioni pubbliche. Questa esigenza risulta ancor più pressante, poiché il processo di federalizzazione comporterà l’abbandono del vincolo della tesoreria unica facendo per-

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Capitolo VIII

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dere la possibilità di avere una stima del fabbisogno finanziario pub-blico1.

La ricerca di forme di coordinamento della finanza pubblica, pur essendo stata una delle priorità degli ultimi decenni, non ha portato a un quadro sufficientemente chiaro e coerente. L’esigenza di normaliz-zazione, infatti, era già stata manifestata alla fine degli anni settanta2 quando il Legislatore aveva dichiarato l’obiettivo di restituire forza al-la politica di bilancio attraverso un maggior controllo e una maggiore informazione sui flussi finanziari. Ma a circa trenta anni di distanza, il panorama risulta solo frutto di una stratificazione di interventi succes-sivi ma mai risolutivi, evidenziando che il processo di allineamento dei sistemi contabili e di bilancio risulta una strada troppo lunga e tor-tuosa.

Il Legislatore, ben coscio che il successo del percorso innovatore si può realizzare solo con un forte coordinamento in tema di bilancio e contabilità, con la Legge n. 3 del 20013, con cui ha innovato in senso federalista la Costituzione, pur delegando a livello locale la legislazio-ne esclusiva di alcuni ambiti precedentemente riservati alla normazio-ne nazionale, ha voluto porre tra le materie oggetto di legislazione concorrente (statale e regionale) “l’armonizzazione dei bilanci pubbli-ci e il coordinamento della finanza pubblica”.

1 Università degli Studi di Bologna, atti del Convegno del 26 giugno 2003:

“Firma digitale e tesorerie degli enti pubblici:problematiche ed esperienze” 2 Legge 468/1978: Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato

in materia di bilancio. Art. 25, Normalizzazione dei conti degli enti pubblici.: “Ai comuni, alle province e relative aziende, nonché a tutti gli enti pubblici non eco-nomici compresi nella tabella A allegata alla presente legge, a quelli determinati ai sensi dell'ultimo comma del presente articolo, gli enti ospedalieri, sino all'attua-zione delle apposite norme contenute nella legge di riforma sanitaria, alle aziende autonome dello Stato, agli enti portuali ed all'ENEL, è fatto obbligo, entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, di adeguare il sistema della contabilità ed i relativi bilanci a quello annuale di competenza e di cassa dello Stato, provve-dendo alla esposizione della spesa sulla base della classificazione economica e funzionale ed evidenziando, per l'entrata, gli introiti in relazione alla provenienza degli stessi, al fine di consentire il consolidamento delle operazioni interessanti il settore pubblico.

3 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, (pubblicata nella Gazzetta Ufficia-le n. 248 del 24 ottobre 2001). "Modifiche al titolo V della parte seconda della Co-stituzione".

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Il sistema informatico degli incassi e dei pagamenti della PA

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Lo stesso Legislatore, però, sempre nella Legge n.3 del 2001, ha la-sciato allo Stato, proprio per la necessità di avere sempre un quadro complessivo da controllare e da comunicare alle Istituzioni comunita-rie, la competenza esclusiva del "coordinamento informativo, statisti-co e informatico della finanza pubblica"4.

Proprio facendo leva su queste disposizioni e sulla crescente con-sapevolezza delle possibili soluzioni che la tecnologie informatiche possono fornire, negli ultimi anni, per raggiungere un monitoraggio puntale ed analitico dei flussi finanziari nazionali, si è iniziato un per-corso di cambiamento basato su nuove forme di coordinamento conta-bile, statistico ed informatico tra Amministrazioni Centrali e il resto delle amministrazioni.

In questo solco si è posta la disposizione di legge n.289 del 20035 con cui il Legislatore ha determinato che "al fine di garantire la ri-spondenza dei conti pubblici alle condizioni dell'articolo 104 del Trat-tato istitutivo della Comunità europea e delle norme conseguenti, tutti gli incassi e i pagamenti, e i dati di competenza economica rilevati dalle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 1656, devono essere codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale". In caso di inosser-vanza, è inoltre disposto, che le banche incaricate dei servizi di tesore-ria e di cassa e gli uffici postali non possano accettare richieste di pa-gamento.

4 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, (pubblicata nella Gazzetta Ufficia-

le n. 248 del 24 ottobre 2001). "Modifiche al titolo V della parte seconda della Co-stituzione", Art. 3, comma 1, lettera r.

5 Articolo 28 della legge n. 289 del 2002. "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)"

6 Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Art. 1, comma 2. “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le a-ziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istitu-zioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”.

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Capitolo VIII

200

Questa disposizione non è però che l’ultimo atto di un processo più complesso che si è basato sullo sviluppo di una architettura informati-ca che permette di alimentare con un flusso continuo l’apposito archi-vio elettronico detto SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici) che contiene tutti i dati catalogati secondo la codi-fica prevista dalla Legge7.

La Ragioneria Generale dello Stato, infatti, con la collaborazione della Banca d’Italia, della Corte dei Conti e del Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione (CNIPA), viste le esigenze e le difficoltà nella omogeneizzazione dei sistemi contabili, ha provveduto a sviluppare un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministra-zioni pubbliche, con lo specifico fine di migliorare, in termini di com-pletezza e tempestività, la conoscenza dell’andamento dei conti pub-blici. Il ricorso a queste codifiche, basate su logica uniforme per tipo-logia di enti e connessa alle classificazioni di contabilità nazionale previste dal sistema SEC’95, ha permesso di by-passare le differenze tra i sistemi contabili adottati dai vari comparti delle amministrazioni pubbliche e ottenere in modo tempestivo e catalogato la totalità dei dati finanziari a livello nazionale. Il SIOPE, quindi, permette di cono-scere giornalmente e completamente lo stato delle finanze pubbliche in modo da poter intervenire rapidamente con scelte gestionali corret-tive e verificare costantemente il rispetto degli obiettivi programmatici assunti nel patto di stabilità.

La logica del sistema di rilevamento, permette di evidenziare un nuovo approccio culturale con la raccolta delle informazioni contabili e di finanza non per fini di controllo puramente burocratico, ma con l’impiego della informazione come supporto alle scelte di politica na-zionale in modo da mettere in atto opportunamente tutte le iniziative legislative necessarie. Ciò vale sia per la Ragioneria Generale che per tutti gli altri enti, infatti, il sistema si presenta come una centrale aper-ta e trasparente con la quale, oltre a consolidare i conti pubblici, è pos-sibile fruire di un servizio. Per il principio della reciprocità, infatti, tut-ti gli aderenti al SIOPE possono disporre dei dati raccolti e di tutta una

7 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato. IL

SIOPE - Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici

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Il sistema informatico degli incassi e dei pagamenti della PA

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serie di analisi tali da orientare al meglio le scelte di politica di bilan-cio e monitorare la propria gestione, confrontandosi anche con i risul-tati degli altri enti per attuare in maniera più puntuale il controllo di gestione. Praticamente, non un sistema di controllo burocratico e san-zionatorio, ma un sistema di “controllo di gestione” su vasta scala.

Se il sistema delle codifiche è l’ultimo tassello di questo nuovo modello di tesoreria pubblica, il sistema informatico a supporto è stato sviluppato gradualmente nel tempo. L’archivio dei dati di finanza na-zionale, infatti, può oggi funzionare correttamente solo per aver pro-pedeuticamente sviluppato nel tempo, una fondamentale infrastruttura telematica che permette il convogliamento dei dati relativi a tutte le operazioni di cassa avvenute su tutto il territorio nazionale. L’archivio elettronico gestito dalla Banca d’Italia, infatti, è costantemente ali-mentato poiché continuamente connesso al sistema di transito dei flus-si che pone le basi sulla Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione (RUPA) e sulla Rete Nazionale Interbancaria (RNI) interfacciate tra-mite il Sistema Informatizzato dei Pagamenti della Pubblica Ammini-strazioni (SIPA).

L’aspetto della eterogeneità dei sistemi contabili di tutti gli enti e amministrazioni è stato quindi affrontato dalla Ragioneria della Stato con la produzione di alcuni schemi di codifiche gestionali tali da per-mettere l’omogenizzazione delle informazioni contabili in modo da renderle assemblabili in modo univoco ed uniforme. Sicuramente que-sto non porta alla omogeneizzazione dei sistemi contabili e di bilancio a livello nazionale, ma si può ritenere che potrà facilitare questo per-corso di allineamento spingendo verso criteri uniformi di redazione, standard contabili e modelli di rendicontazione. Tale soluzione, co-munque, permette di avvicinarsi a quella normalizzazione dei conti pubblici prevista dalla legge 468/1978 ma non ancora completamente attuata.

Infine, si deve evidenziare, che per il completamento del modello, e la costante e soprattutto tempestiva alimentazione del SIOPE, è neces-saria anche da parte delle amministrazioni locali, regionali ed univer-sità, la totale automazione dei processi di emissione degli ordinativi di spesa e incasso attraverso la standardizzazione dei rapporti telematici con le banche tesoriere. L’adozione dell’Ordinativo Informatico Loca-le (OIL), infatti, potrà abbattere i tempi di trasmissione delle informa-

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Capitolo VIII

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zioni al SIOPE, i tempi di esecuzione dei processi amministrativi in-terni, ridurre la mole di documenti cartacei sviluppati e permettere a tutto il sistema di massimizzare i benefici attesi.

8.2 L’architettura del sistema dei pagamenti Il SIOPE, come anticipato, è un archivio telematico in cui afflui-

scono i dati relativi a tutte le operazioni finanziarie della Pubblica Amministrazione. Questo si basa su una architettura di reti interfaccia-te tramite dei sistemi di interconnessione che permettono il transito di tutti i dati relativamente ai mandati di pagamento e di incasso caratte-rizzati secondo delle codifiche gestionali che permettono la cataloga-zione e l’analisi di queste informazioni8.

L’architettura di base del sistema è formata da due sezioni, una de-dicata al transito dei flussi delle amministrazioni centrali e l’altro rela-tivo a quelli delle amministrazioni locali e regionali, delle università e di tutti gli enti che operano tramite convenzioni di tesoreria con ban-che private.

La sezione del sistema relativa alle amministrazioni centrali si in-cardina sulla Ragioneria Generale e la Banca d’Italia. L’altro ramo, invece, invece fa perno sul sistema bancario.

Il lato relativo alle amministrazioni centrali è basato sulla Rete Uni-ficata della Pubblica Amministrazione (RUPA) che permette a tutte le amministrazioni aderenti di far transitare i dati relativi alle proprie o-perazioni di spesa verso la Banca D’Italia, tramite la Ragioneria Gene-rale dello Stato, impiegando il Sistema Informativo dei Pagamenti del-le Amministrazioni (SIPA).

Il SIPA è il raccordo informatico sviluppato per trasmettere i dati dei pagamenti dello Stato nelle procedure interbancarie attraverso l’interfacciamento della RUPA e della Rete Unitaria Interbancaria (RNI) 9.

8 www.rgs.mef.gov.it. Il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pub-

blici (SIOPE) 9 Da www.rgs.mef.gov.it. “Il Sistema Informatizzato dei Pagamenti della Pub-

blica Amministrazione”

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Il sistema informatico degli incassi e dei pagamenti della PA

203

Figura 8.1 L’architettura del sistema dei pagamenti e degli incassi

Fonte: elaborazione da Quaderno n° 29 CNIPA. Linee guida - Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali

Il primo sviluppo del SIPA si è avuto dalla seconda metà del 1999

quando si decise di estendere la RUPA dalla Ragioneria dello Stato alla Banca D’Italia. Successivamente, a tal fine, è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa quadro tra Banca d’Italia, Ragioneria Generale del-lo Stato, Corte dei Conti e CNIPA che ha permesso al SIPA di operare a pieno servizio dal 200310.

Il SIPA può essere considerato l’anello forte di tutto il sistema per-ché permette alle amministrazioni centrali di gestire in modo comple-tamente telematico i pagamenti dal momento di emissione del manda-to fino a quello di estinzione presso lo sportello bancario utilizzando le reti RUPA e RNI attraverso il sistema di gateway RUPA/RNI gesti-to dal CNIPA11. Nel dettaglio, il trasferimento telematico delle dispo-

10 Ministero dell’Economia e Finanze, Ragioneria Generale dello Sta-

to.“Informatizzare la contabilità pubblica SIRGS-SIPA-SICOGE 11 Ministero dell’Economia e Finanze, Ragioneria Generale dello Stato. “Spe-

cifica del servizio di interconnessione RUPA/RNI per il SIPA”. Versione 1.1 del 11 aprile 2001

Amministrazioni centrali

Ragioneria Generale dello

StatoBanca d’Italia

SIOPE SIPA

BANCHE

Amministrazioni locali, regioni e

università

SISTEMA DI COOPERAZIONE

OIL

PO

STE

CIT

TAD

INI E

IMPR

ESE

PA

GA

MEN

TI

ISTA

T

CO

RTE D

EI C

ON

TI

RUPA

RNI

SISTEMA DI ACCESSO

SI.CO.GE

CN

IPA

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Capitolo VIII

204

sizioni di incasso e di pagamento avviene tramite l’infrastruttura di trasporto logico (FEMSI) messa a disposizione dalla Banca d’Italia e dal CNIPA che garantisce il punto di accesso alle rete di trasporto e un trasferimento sicuro dei dati attraverso una interfaccia omogenea e u-nificata12.

Figura 8.2: Il sistema logico del SIPA

Fonte: elaborazione da Quaderno n° 29 CNIPA. Linee guida - Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali

A livello funzionale, pertanto, il SIPA permette al ramo

dell’architettura relativo alle amministrazioni centrali di alimentare il SIOPE, e allo stesso tempo alla Ragioneria Generale dello Stato di po-ter accedere all’archivio posto presso la Banca d’Italia.

Al di là degli aspetti relativi alle reti e ai sistemi, però, si deve evi-denziare che la pietra miliare dello sviluppo del sistema informatico dei pagamenti e degli incassi è stata l’informatizzazione dei mandati di pagamento e degli ordini di accreditamento in base alle disposizioni

12 Da www.rgs.mef.gov.it. “Uso della firma digitale in ambito SIPA”

RNI

Schema logico del SIPA

FEMSI FEMSI

BANCA BANCA

FEMSI FEMSI

POSTE BANCA

RUPA

FEMSI FEMSI

RGS AMMINISTRAZ.

FEMSI FEMSI

AMMINISTRAZ. AMMINISRAZ

FEMS

I

BdI

FEMSI

FEMSI

Flussi SIPA

CNIPACNIPA

Sistema di interconnessione

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del DPR 367/9413. Questo decreto, infatti, ha reso possibile la dema-terializzazione dei documenti e l’eliminazione del titolo cartaceo sosti-tuendolo con una evidenza informatica firmata digitalmente e conser-vata su specifico supporto.

Le amministrazioni centrali, in applicazione del Decreto 367/94, dal 1999 hanno avviato il nuovo sistema di pagamento grazie al quale gli ordinativi, per il tramite di un Sistema Informativo sviluppato della Ragioneria Generale, vengono dematerializzati e per via telematica sono inviati alla Banca d’Italia ai fini del successivo accredito sul con-to corrente bancario o postale del beneficiario. Pertanto, le Ammini-strazioni centrali, accedendo al Sistema di Contabilità Finanziaria (SICOGE) integrato organicamente nel Sistema Informativo della Ra-gioneria, generano direttamente flussi informativi relativi ai pagamenti

13 Decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367 (in Gazz.

Uff., 13 giugno 1994, n. 136, s.o.). Regolamento recante semplificazione e accele-razione delle procedure di spesa e contabili. Art. 6. Mandato informatico. “Le amministrazioni provvedono mediante mandati informatici ai pagamenti di cui al-l'articolo 16 del presente regolamento. I mandati informatici sono individuali e so-no pagabili dalle tesorerie in essi indicate. Per il trasferimento di fondi erariali agli enti locali, possono essere emessi mandati informatici collettivi da estinguere me-diante quietanza di entrata di tesoreria, ovvero mediante accreditamento ai conti correnti intestati agli enti medesimi. Il mandato informatico è costituito dai dati della clausola di ordinazione della spesa di cui al comma 2 dell'articolo 4, conva-lidati definitivamente dalla competente Ragioneria e integrati dalle informazioni relative all'ordine di pagare previsto dal precedente articolo 5. Il mandato informa-tico non può avere corso se non reca la firma del dirigente responsabile della spe-sa, il visto della competente ragioneria e, ove previsto, quello della Corte dei con-ti. Si applica l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39. Le transazioni a sistema relative al mandato informatico sono effettuate dalla competente Ragioneria, ferma restando la responsabilità del dirigente competente alla spesa, con modalità atte ad assicurare la provenienza, l'intangibilità e la sicu-rezza dei dati. Le disposizioni del presente regolamento, relative al mandato in-formatico di pagamento, possono applicarsi anche alle amministrazioni disciplina-te da particolari regolamenti in materia di amministrazione e contabilità. Per le operazioni connesse all'esercizio del servizio di tesoreria si applica la legge 28 marzo 1991, n. 104 (1).

(1) L'entrata in vigore del presente articolo è stata, da ultimo, prorogata all'1 gennaio 1999 dall'art. 15, d.lg. 7 agosto 1997, n. 279.

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che impiegano il SIPA come veicolo sicuro per essere inviati dalla Ragioneria, tramite la Banca d’Italia, ai creditori dello Stato14.

Per le amministrazioni locali e regionali, invece, questo aspetto ri-sulta ancora di difficile gestione poiché ciascun ente deve provvedere autonomamente a sviluppare tutto il necessario per creare un flusso in-formativo certificato e da trasmettere al sistema della banca tesoriera. Pertanto, il ramo della architettura relativa agli enti locali, regioni e università non si può ritenere del tutto automatizzato. Come sarà det-tagliato nel paragrafo 8.4, infatti, le amministrazioni locali e regionali dovranno sviluppare un sistema di cooperazione tra i propri sistemi contabili e quelli della banca tesoriera per il trasferimento immediato e sicuro dei flussi codificati di pagamento ed incasso. Fin quando non sarà informatizzato questo ultimo anello della catena, tutto il sistema non esprimerà al massimo i propri benefici, sia in termini di tempesti-vità di trasmissione che in qualità dei dati.

8.3 Il sistema delle codifiche Il funzionamento dell’archivio SIOPE si basa su una componente

tecnologica e una più propriamente contabile. Infatti, la necessità di sistematizzare dati finanziari provenienti da modelli contabili e di bi-lancio differenti ha imposto lo sviluppo di una griglia di codifiche ge-stionali che permetta di omogeneizzare le informazioni da catalogare ed elaborare nel sistema SIOPE.

Omogeneizzare i dati provenienti da sistemi contabili differenti è stato fatto con la definizione di un set di codifiche, una per ogni tipo-logia di ente, che permette di riclassificare le operazioni finanziarie di spesa ed incasso secondo una logica gestionale comune su tutto il ter-ritorio nazionale connessa alle classificazioni di contabilità previste dal sistema SEC’95. Questo tipo di classificazione permette inoltre di garantire la rispondenza dei conti pubblici alle regole europee senza però intervenire direttamente sui sistemi contabili adottati dai vari en-

14 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Sta-

to. “Informatizzare la contabilità pubblica – SIRGS-SIPA-SICOGE”.

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ti, agendo dunque a valle dei processi contabili cioè direttamente sull’informazione.

Questo sistema di codificazione, oltre a presentare la caratteristica di essere aperta e costantemente aggiornata, permette un monitoraggio puntuale e trasversale dei mandati di spesa e di incasso, qualificando i flussi dei pagamenti.

Le codifiche gestionali sono state individuate attraverso un proces-so concertato sia a livello tecnico (gruppi di lavoro tra Ragioneria Ge-nerale dello Stato, ISTAT, Banca d’Italia e amministrazioni pubbli-che) che politico (conferenza unificata).

Per le Amministrazione centrali, il sistema delle codifiche è stato determinato con la circolare numero 46 del 20 dicembre 200215 del Ministro dell’Economia e delle Finanze. L’entrata in vigore dell’obbligo di indicazione sui titoli di spesa (mandati informatici) è stato il 1° gennaio 2003, data dalla quale è stato fatto divieto agli Uffi-ci centrali di bilancio e alle Ragionerie provinciali dello Stato di non dare corso ai titoli di spesa privi delle codifiche.

Le codifiche gestionali per i titoli di spesa delle Amministrazioni centrali sono composte da 3 caratteri e sono correlate con le codifiche di bilancio. In questo caso l’imputazione delle codifiche sui titoli di pagamento non pone grosse criticità poiché correlata direttamente con il codice di bilancio già gestito. Inoltre, l’impiego del SICOGE per-mette una imputazione semplice ed immediata.

Per le amministrazioni locali, la pubblicazione delle tabelle delle codifiche è avvenuta con i decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 18 febbraio 200516 e l’entrata in vigore posta dal 1 gen-naio 200617. Lo sviluppo di questo sistema di codifiche ha comportato più tempo rispetto a quelle delle amministrazioni centrali, proprio per

15 Successivamente rideterminata dalla circolare MEF del 21 gennaio 2004, n. 2.

16 Decreti 18 febbraio 2005, n. 11743, n. 11745, n. 11746. (pubblicati nel sup-plemento ordinario n. 33 alla Gazzetta Ufficiale n. 57 del 10 marzo 2005). “Codi-ficazione, modalità e tempi per l'attuazione del SIOPE per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano/Enti Locali/Università” (art. 28, comma 5, legge 27 dicembre 2004, n. 311).

17 Questo dettato entra in vigore per gli enti locali con popolazione superiore alle 20.000 unità dal 1 gennaio 2007.

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il fatto che le amministrazioni locali e regionali presentano schemi di bilancio e contabili differenti fra loro.

Nelle regioni e negli Enti locali la codifica gestionale, che è com-posta da 4 caratteri, invece, non è sempre facilmente collegabile con lo schema di bilancio. Ed anche nelle università, pur consentendo l’analisi per tipologia di personale, per singoli dipartimenti e per gli altri centri con autonomia finanziaria contabile, non è collegata ad uno schema di bilancio uniforme.

Ripercorrendo brevemente la storia relativa alle codifiche di bilan-cio degli enti locali, si evidenzia che già con il D.P.R. n. 194 del 31 gennaio 199618 era stato approvato un sistema di codifiche che preve-deva 7 caratteri per l’entrata e sette per le uscite. Successivamente, con il Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 24 giu-gno 2002, in attuazione delle disposizioni dell’art. 4 del D.P.R. n. 194, alla codifica di bilancio di 7 cifre si aggiunsero due nuovi caratteri i-dentificativi della ‘voce economica’. Il sistema delle codifiche si andò quindi a comporsi come schematizzato nelle seguenti tabelle.

Tabella 8. 1 Il sistema di codifica negli Enti Locali previsto dal DPR n.194/96 e successive integrazioni

Entrate

Titolo Categoria Risorsa Voce Economica

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5°-6°7° cifra 8°-9° cifra

Uscite

Titolo Funzione Servizio Intervento Voce Eco-

nomica

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5° cifra 6°-7° cifra 8°-9° cifra

18 Decreto del Presidente della Repubblica, gennaio 1996, n. 194. Regolamen-

to per l'approvazione dei modelli di cui all'art. 114 del decreto legislativo 25 feb-braio 1995, n. 77, concernente l'ordinamento finanziario e contabile degli enti lo-cali.

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A differenza degli Enti locali, invece, le regioni e le province auto-nome, grazie al maggior grado di libertà normativa di cui godono, hanno sviluppato disparati modelli contabili e di bilancio e relativi si-stemi di codifica. Grazie a questa maggiore autonomia, ogni ammini-strazione ha parzialmente modificato il proprio sistema con la conse-guenza che non sempre esistono modelli perfettamente uguali e quindi le codifiche impiegate non sono sempre comuni per tutti gli enti.

Dato questo panorama, nel 2000, il Legislatore, nel tentativo di ga-rantire alcuni requisiti fondamentali e di realizzare un necessario co-ordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, con il Decreto Legislativo n. 7619 ha provveduto a definire una comune clas-sificazione delle entrate e delle spese20. Inoltre, è stata disposta la pos-

19 Decreto Legislativo 28 marzo 2000, n. 76 . “Principi fondamentali e norme

di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208.”

20 Art. 9. Classificazione delle entrate 1. Nel bilancio della regione le entrate sono ripartite nei seguenti titoli:

Titolo I: entrate derivanti da tributi propri della regione, dal gettito di tributi erariali o di quote di esso devolute alla regione;

Titolo II: entrate derivanti da contributi e trasferimenti di parte corrente del-l'Unione europea, dello Stato e di altri soggetti;

Titolo III: entrate extratributarie; Titolo IV: entrate derivanti da alienazioni, da trasformazione di capitale, da ri-

scossione di crediti e da trasferimenti in conto capitale; Titolo V: entrate derivanti da mutui, prestiti o altre operazioni creditizie; Titolo VI: entrate per contabilità speciali. 2. Le entrate di cui al comma 1 sono ordinate in categorie secondo la natura

dei cespiti, in unità previsionali di base ai fini dell'approvazione del consiglio re-gionale e in capitoli secondo il rispettivo oggetto ai fini della gestione e della ren-dicontazione.

Art. 10. Specificazione e classificazione delle spese 1. La legge regionale, nel rispetto dei principi determinati dai commi 2 e 3,

stabilisce il sistema di classificazione delle spese di bilancio, in correlazione alle previsioni del bilancio pluriennale.

2. Nel bilancio della regione le spese sono, comunque, ripartite in: 1) funzioni obiettivo, individuate con riguardo all'esigenza di definire le politi-

che regionali. La classificazione per funzioni obiettivo e' definita sulla base dei criteri adottati in contabilità nazionale per i conti del settore della pubblica ammi-nistrazione;

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sibilità che fossero stabilite, sulla base dei criteri di contabilità nazio-nale adottati in sede comunitaria, le modalità idonee a consentire l’unificazione, nei bilanci regionali, della classificazione, anche eco-nomica, delle entrate e delle spese, ivi compresi i titoli contabili di en-trata e di spesa, al fine, fra l’altro, di conseguire la necessaria armo-nizzazione con il bilancio dello Stato. Ciò nonostante, questi enti han-no mantenuto sistemi contabili alla base parzialmente differenti.

Con l’entrata in vigore dei Decreto del Febbraio 2005 si è giunti ad una situazione in cui le amministrazioni locali hanno adottato una nuova codificazione a 13 cifre, in luogo di quella precedente composta da 9 caratteri.

Tabella 8.2 Il sistema di codifica negli Enti Locali previsto dal Decreto MEF del 18/02/2005

Entrate

Titolo Categoria Risorsa Voce Econ. Cod. Gest.

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5°-6°7° cifra 8°-9° cifra 10°-11°-12°-13° cifra

Uscite

Titolo Funzione Servizio Intervento Voce Econ. Cod. Gest.

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5° cifra 6°-7° cifra 8°-9° cifra 10°-11°-12°-13°

cifra

2) unità previsionali di base. Ai fini dell'approvazione del consiglio regionale

le unità previsionali di base sono suddivise in unità relative alla spesa corrente, u-nità relative alla spesa in conto capitale e unità per il rimborso prestiti;

3) capitoli, nell'apposito allegato in bilancio di cui al comma 6, dell'articolo 4, secondo l'oggetto, il contenuto economico e funzionale della spesa, il carattere giuridicamente obbligatorio. I capitoli costituiscono le unità elementari ai fini del-la gestione e della rendicontazione.

3. Con atto di indirizzo e di coordinamento adottato ai sensi dell'articolo 8, del-la legge 15 marzo 1997, n. 59, sono stabilite, sulla base dei criteri di contabilità nazionale adottati in sede comunitaria, le modalità idonee a consentire l'unifica-zione, nei bilanci regionali, della classificazione, anche economica, delle entrate e delle spese, ivi compresi i titoli contabili di entrata e di spesa, al fine, fra l'altro, di conseguire la necessaria armonizzazione con il bilancio dello Stato.

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Le regioni e le province autonome, invece, dispone il Decreto, de-vono gestire il codice a 9 cifre, e pertanto devono adeguare, a volte to-talmente, i precedenti sistemi di codificazione.

Tabella 8.3 Il sistema di codifica nelle Regioni e Pr. Aut. previsto dal Decreto

MEF del 18/02/2005

Entrate Codice di bilancio Codice gestionale

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5° cifra 6°-7°-8°-9° cifra

Uscite Codice di bilancio Codice gestionale

1° cifra 2°-3° cifra 4°-5° cifra 6°-7°-8°-9° cifra Per quanto riguarda le università, anch’esse essendo state assogget-

tate all’onere di inserimento della codifica gestionale a partire dall’1/01/2006, appongono sui titoli di incasso e spesa i quattro carat-teri della codifica gestionale come da allegato al Decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del febbraio 2005.

L’adozione delle codifiche gestionali, pur non imponendo diretta-mente modifiche ai sistemi contabili, però, può comportare degli oneri operativi aggiuntivi che per essere meglio “ammortizzati” possono spingere le Amministrazioni verso una revisione più o meno integrale dei modelli contabili e di bilancio. Infatti, per la riduzione al minimo del maggior aggravio operativo che l’imputazione della codifica ge-stionale sul titolo comporta, può a volte essere più opportuno un ade-guamento del sistema contabile alla logica dettata dal sistema delle codifiche in modo da rendere automatica, con adeguata modifica del sistema informativo contabile, l’attività di imputazione del codice sui titoli di spesa e di incasso. Infatti, nel caso in cui non si volessero ap-portare delle modifiche al sistema contabile o di bilancio, si rischie-rebbe un grosso aggravio in termini in incremento di attività operativa per la definizione per ogni titolo di incasso e spesa del giusto codice.

A livello macro, i problemi riscontrabili relativamente alla gestione della codifica, soprattutto per le regioni e le province autonome in cui c’è minor correlazione tra lo schema delle codifiche vecchie con quel-

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le nuove, sono di due ordini principali: informatico-contabili e orga-nizzativi.

Per quanto riguarda gli aspetti contabili correlati alle funzionalità dei sistemi informativi, la gestione delle nuove codifiche comporterà una modifica dei software contabili con l’introduzione di un meccani-smo di correlazione tra le tabelle dei codici già gestiti dal sistema e i nuovi codici gestionali. Questo permetterà di poter supportare lungo il processo contabile l’operatore nella selezione del giusto codice. In ge-nerale, la correlazione può essere creata tra la tabella dei codici ge-stionali e:

− i capitoli: adottabile dalla ampia maggioranza delle ammini-strazioni. Può essere più o meno efficiente, ovvero necessitare di una serie di interventi a monte per la strutturazione dei capi-toli secondo quella della codifica gestionale ma riduce l’onere lungo il processo di spesa o incasso;

− il piano dei conti: soluzione adottabile da parte delle ammini-strazioni che gestiscono informaticamente un piano di conti per la contabilità analitica e che possono correlare la base dati del piano con le funzioni di emissione degli ordinativi e i codici SIOPE. Il rischio di questa soluzione è quella di avere voci troppo analitiche ed incorrere in grosse difficoltà nel correlare il piano con le codifiche economiche senza dover distorcere o forzare la logica;

− la codifica di bilancio: sicuramente attuabile per gli enti che gestiscono informaticamente tale codifica, con l’unico limite che questa correlazione ha un rapporto “da 1 a molti”, ovvero per ogni codice di bilancio spesso corrispondono più codici ge-stionali. Pertanto, questa soluzione, se applicata nei casi in cui siano i singoli servizi ad inserire la codifica è percorribile, men-tre nel caso in cui questa attività sia delegata ai servizi finanzia-ri, ovvero al momento dell’emissione dell’ordinativo, si può ri-schiare, soprattutto per le uscite, che il servizio non disponga di tutte le informazioni per una giusta imputazione e pertanto pos-

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sa incorrere in errori di inserimento del codice o nell’allungamento dei tempi operativi21.

Per quanto riguarda la problematica più di carattere organizzativo, questa è legata alla scelta del momento nel processo di spesa o di in-casso in cui si debba o possa imputare detto codice.

Posto che tutte le soluzioni organizzative devono comunque tenere conto del sistema informativo a disposizione, si può dire che il proces-so può essere gestito sulla base dei seguenti principi:

a) Ereditarietà dal capitolo Si tratta di una soluzione molto diffusa ed è adottata da quegli enti

che hanno realizzato un sistema orientato al controllo di gestione, ov-vero con un ampio numero di capitoli, creando una stretta corrispon-denza tra capitolo e voce economica. Questo permette l’inserimento del codice a monte dei processi di spesa e di incasso.

b) Integrazione a livello di impegno-liquidazione/accertamento È una soluzione spesso presente nei sistemi contabili e prevede una

procedura tale che in fase di impegno (o di liquidazione se gestita) sia possibile modificare (in genere aggiungendo le ultime due cifre relati-ve alla voce economica) entro una gamma di valori coerenti, la codifi-ca collegata al capitolo e quindi sia possibile trasferire al mandato tale codifica.

c) Integrazione a livello di emissione ordinativo È la soluzione presente in quasi tutti i sistemi informativi di conta-

bilità e che prevede, al momento della emissione del manda-to/reversale - sempre entro una gamma di valori coerenti – la possibi-lità di modificare il codice attribuito al capitolo o all’impegno/liquidazione, ad esempio, aggiungendo le ultime due cifre

21 Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione

(CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

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relative alla voce economica. È una funzione presente quasi sempre perché molto semplice e basata sulla codifica a livello di bilancio che però riduce al minimo il ricorso all’automatismo diretto e impone per molte operazioni una scelta in fase di emissione dell’ordinativo.22

Si deve evidenziare, che per le amministrazioni che hanno sposato un modello “accentrato”23, indipendentemente dalla fase del processo in cui si vuole imputare la codificazione gestionale, a livello organiz-zativo, l’onere graverà totalmente sulle attività a valle, ovvero, l’area contabile-finanziario. In questo caso i fattori di automazione potrebbe-ro essere ancor più necessari con lo sviluppo di modelli che permetta-no una imputazione già in fase di bilancio di previsione o comunque a monte dei processi.

Per quanto riguarda il caso di modelli “distribuiti”24, salvo il possi-bile ricorso a un grado più o meno accentuato di automatismo, il livel-lo di impatto può ritenersi nel complesso minore proprio per la possi-bilità di suddividere questo maggior onere sulle differenti strutture.

Nel caso di organizzazioni “distribuite”, pertanto, si può distingue-re un sistema di imputazione “dinamica” che prevede l’attribuzione secondo differenti fasi successive:

− definizione del codice gestionale a livello di capitolo quando possibile con conseguente trasferimento della codifica nelle scritture dipendenti;

− inserimento della codifica, quando possibile, direttamente da parte dei vari servizi a livello di impegno della spesa o accer-tamento dell’incasso;

− inserimento della codifica, quando non già effettuato a livello di capitolo o impegno e in generale ove possibile, da parte dei vari servizi a livello di liquidazione della spesa;

22 Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione

(CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

23 Si intendono come organizzazioni accentrate, quelle amministrazioni in cui quasi la totalità delle attività dei processi di spesa ed incasso sono svolte dalla area organizzativa generalmente etichettata come “Contabilità/Bilancio”.

24 Si intendono come organizzazioni “distribuite”, quelle amministrazioni in cui molte delle attività dei processi di spesa ed incasso sono svolte da differenti aree organizzative.

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− controllo e/o re-inserimento in via residuale da parte della ra-gioneria, nei limiti non demandabili al sistema stesso, al mo-mento della firma dei titoli di spesa o incasso.25

Un ulteriore implicazione che rientra sia nei caratteri organizzativi che contabili che di sistema informatico è quello relativo al possibile rischio di proliferazione dei titoli di spesa ed incasso. Infatti, in alcune circostanze, l’obbligo di introduzione del codice SIOPE sul titolo, può incrementare il numero delle operazioni di emissione di ordinativi26. Questo rischio, però, di fatto può essere considerato minimo, infatti, dato che gli ordinativi sono emessi in funzione dei capitoli a cui fanno riferimento, e dato che l’imputazione del codice SIOPE avviene a un livello di dettaglio generalmente inferiore rispetto al capitolo, posto che il sistema informativo sia in grado di gestire più righe, salvo im-probabili eccezioni, si potrà assistere a un incremento di queste ultime e non del numero di ‘testate’27.

Inoltre, il possibile incremento delle righe sarà inversamente pro-porzionale al livello di dettaglio dei capitoli. Le amministrazioni che hanno strutturato il proprio sistema con capitoli molto dettagliati, non avranno la necessità di dividere le somme in differenti quote secondo più codici SIOPE e quindi moltiplicare le righe. Mentre quelle con ca-pitoli più “capienti” vedranno aumentare il numero delle righe negli ordinativi che però il sistema informativo dovrebbe poter gestire auto-nomamente.

25 Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione

(CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

26 Si evidenzia che gli ordinativi sono correlati 1:1 rispetto il capitolo di spesa o incasso a cui fanno riferimento. Ovvero è impossibile fare un pagamento attin-gendo su due capitoli di spesa differenti emettendo un solo mandato di pagamen-to. Questo comporta che nel caso di capitoli “molto ampi” il numero finale di or-dinativi emessi sarà basso, mentre con capitoli “molto dettagliati” il numero di or-dinativi emessi sarà alto. Invece, ogni ordinativo può presentare più righe, ovvero disposizioni di pagamento o incasso sul medesimo capitolo anche per soggetti dif-ferenti. L’incremento del numero di operazioni, ovviamente, comporta un incre-mento di firme e atti correlati oltre al possibile incremento dei costi di tesoreria.

27 Si intende per “testata” il singolo ordinativo di spesa o incasso che può con-tenere più righe.

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In ogni caso, il rischio di proliferazione delle righe degli ordinativi dovrebbe limitarsi a sporadiche situazioni come quella del pagamento degli stipendi, del pagamento di forniture di differenti categorie di og-getti/servizi e poche altre casistiche.

Figura 8.3: Le possibili correlazioni capitolo-codice SIOPE

Fonte: elaborazione propria

Pertanto, in ogni scenario possibile, non ci sarà l’incremento delle “testate” degli ordinativi. Infatti, nel primo caso il sistema sarà “guida-to” dal capitolo, e lungo il processo amministrativo verrà selezionato ed inserito il codice specifico scegliendo fra una rosa. In questo caso si può avere un incremento delle righe e la necessità di scomporre del-le voci si spesa, più difficilmente quelle di incasso, in differenti righe caratterizzate da diversi codici SIOPE. In questo caso l’ente può anche provvedere a correlare il codice SIOPE ad altre codifiche come quelle “gestionali interne”.

Invece, nel caso di un rapporto 1 codifica SIOPE a molti capitoli, inserito il capitolo di riferimento, automaticamente sarà inserito il an-che codice SIOPE. Oltre a non prospettarsi un incremento delle testa-ta, molto difficilmente ci potrà essere un incremento delle righe.

8.4 L’ordinativo informatico locale (OIL) Come evidenziato in precedenza, il completamento del sistema te-

lematico di tesoreria, soprattutto per le amministrazioni locali e regio-nali, passa dalla informatizzazione degli ordinativi di incasso e paga-mento.

Questo aspetto rappresenta un corollario importante per la realizza-zione e il miglior funzionamento del SIOPE poiché si creerebbe un

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circuito telematico integrato dal momento in cui si origina l'informa-zione sul pagamento presso l'ente pubblico, al momento del regola-mento dello stesso sui conti dei beneficiari, fino all'atto della rendi-contazione.

Pertanto, la telematizzazione del processo di raccolta ed elabora-zione dei dati sarà completa solo con l'adozione degli ordinativi in-formatici firmati digitalmente. Questo atto rappresenterà l’ultimo salto di qualità che incrementerà sensibilmente l'efficienza nei rapporti tra banche e pubbliche amministrazioni. I vantaggi che ne deriveranno sa-ranno anche legati alla riduzione del trattamento cartaceo dei flussi in-formativi con significativi effetti sulla razionalizzazione delle attività amministrative degli enti e il contenimento dei tempi di esecuzione e dei costi di gestione dei servizi di incasso e pagamento sia per gli enti pubblici sia per le banche e le poste.

Se le amministrazioni centrali, basandosi anche sul fatto di adottare le medesime logiche contabili di base e tramite l’impiego del SICO-GE, possono già da tempo trasmettere gli ordinativi di pagamento in modo telematico fruendo allo stesso tempo anche della firma digitale, questo non accade nelle amministrazioni locali, regionali e nelle Uni-versità che devono provvedere ad un adeguamento dei propri sistemi con l’adozione della firma digitale e di specifici sistemi di dialo-go/cooperazione per interfacciare i sistemi di contabilità con quelli della banca tesoriera.

Il problema legato al completamento della informatizzazione del si-stema dei pagamenti e degli incassi è pertanto limitato alla adozione di quello che viene chiamato l’Ordinativo Informatico Locale (OIL). Se-condo il quadro normativo vigente, con ordinativo informatico, si in-tende “l’insieme delle risorse informatiche ed organizzative necessarie per l’automazione dell’iter amministrativo adottato dagli Enti locali per l’ordinazione delle entrate e delle spese all’Istituto Tesoriere”. Questo si concretizza con una evidenza elettronica, dotata di validità amministrativa e contabile, che sostituisce, a tutti gli effetti, i docu-menti cartacei28.

28 Il Codice dell’amministrazione digitale dà piena validità giuridica al docu-

mento informatico. Agli art 17 e segg., art. 37, art 42 e segg. e art. 46 e segg. reci-ta in particolare che “...Un documento informatico, sottoscritto con una firma elet-

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Capitolo VIII

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L’informatizzazione di questa ultima fase operativa passa pertanto dall’impiego di una soluzione tecnologica come la firma digitale che permette l’identificazione dell’atto e il ricorso a un sistema di coope-razione e dialogo fra il sistema contabile della amministrazione e quel-lo della banca.

In termini funzionali, pertanto, si può intendere l’OIL come il com-plesso di procedure informatiche che si interpongono fra il sistema di contabilità finanziaria della amministrazione locale e le procedure del tesoriere per consentire fra le stesse un colloquio automatizzato bidi-rezionale conforme alle disposizioni tecniche e funzionali riportate nella circolare ABI n. 80 del 29 dicembre 2003 e dal DPR n. 445/200029.

Essendo l’OIL di fatto una evidenza informatica di tutti i dati degli ordinativi cartacei sottoscritta con firma digitale e trasmessa, secondo precisi requisiti e protocolli, al sistema informativo della banca teso-riera, semplificando, si può dire che l’adozione dell’OIL richiede l’implementazione di procedure informatiche che facciano uso di spe-cifiche tecnologie in materia di trasporto sicuro dei dati che prevedono l’uso delle firme digitali. Le dettagliate disposizioni al riguardo sono state prodotte, sulla base delle disposizioni del DPR n. 445/2000, da parte dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) con il contributo del CNIPA e raccolte in un apposito allegato alla Circolare n. 80.

Scendendo a un livello più tecnico-operativo, l’informatizzazione degli ordinativi di incasso e di pagamento da parte delle amministra-zioni locali e regionali, si può concretizzare sulla base di tre principali elementi:

1) adeguatezza del sistema informativo contabile, ovvero capacità di produrre tracciati informatici relativi agli ordinativi di spesa e di incasso completi di tutte le informazioni che la banca tesorie-ra necessita per dare esecuzione a tali ordini;

tronica certificata, ha sempre e dovunque la stessa identica validità del documento cartaceo ad ogni effetto di legge e deve essere accettato da qualsiasi soggetto pub-blico o privato. È possibile quindi sostituire i documenti cartacei con documenti informatici con considerevoli vantaggi di tempo…”

29 Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 . "Dispo-sizioni legislative in materia di documentazione amministrativa".

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2) adozione della firma digitale, a norma CNIPA, per dare validità formale ai suddetti tracciati;

3) impiego di un sistema di “dialogo/cooperazione” che permetta la trasmissione telematica con il sistema della banca tesoriera secondo le modalità di attuazione successivamente descritte ne-gli scenari di cooperazione.

A corollario di questi elementi se ne evidenzia uno aggiuntivo rela-tivo alla conservazione sostitutiva30 digitale a norma CNIPA degli or-dinativi emessi, la cui adozione permette di superare l’attuale processo di conservazione cartacea dei documenti contabili.

Per quanto riguarda il primo aspetto, questo è relativo alla necessa-ria disponibilità di tutte le informazioni necessarie per effettuare il pa-gamento in termini elettronici. L’insieme di queste informazioni digi-talizzate sono chiamate “tracciato”. Tale tracciato in termini quantita-tivi e qualitativi deve rispettare i requisiti disposti (almeno per quelli minimi) dalla Circolare ABI.

Questo flusso di dati è quello che permette alla banca tesoriera di effettuare un pagamento o di incassare un pagamento in nome e per conto dell’ente, sapendo a che capitolo imputare la somma. Ovvia-mente, dal gennaio 2006, è essenziale che in questo tracciato sia ri-compresso il dato relativo al codice SIOPE. Infatti, un set di informa-zioni di quelle trasmesse alla banca tesoriera saranno inviate al SIO-PE identificando tale tracciato con lo specifico codice gestionale.

La possibilità di disporre di questo tracciato in modo completo di-pende dal sistema contabile impiegato e dall’inserimento del dato. Ovvero, il sistema deve essere in grado di recepire il dato secondo le disposizioni e i formati specificati e concordati con la banca tesoriera, e ovviamente ci dovrà essere l’addetto che provvede ad imputare cor-rettamente il dato.

Disporre del tracciato, però, è solo il primo requisito necessario per poter implementare l’OIL. Infatti, la validità di detto tracciato senza

30 Si può definire conservazione sostitutiva il processo di conservazione effet-

tuato con le modalità di cui agli articoli 3 e 4 della Deliberazione CNIPA n. 11/2004. Il rispetto di queste disposizioni permette di sostituire con un archivio informatico tutta la documentazione cartacea.

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l’apposizione di una firma digitale è praticamente nullo31. Il valore aggiunto di poter apporre una firma digitale su tale flusso è duplice:

− poter evitare di trasmettere il supporto cartaceo alla banca teso-riera, con inevitabile allungamento dei tempi delle operazioni e impiego di risorse in attività a scarso valore aggiunto;

− poter firmare con un'unica “firma” contemporaneamente un set di mandati senza doverli firmare singolarmente.

Indipendentemente da questo specifico impiego, l’uso della firma digitale permette di conseguire considerevoli benefici nella gestione del work flow autorizzativi evitando spesso lo spostamento di docu-mentazione cartacea, il rischio di smarrimento e di deterioramento.

A questo proposito si devono evidenziare alcuni aspetti tecnici ed altri normativi relativi all’impiego della firma digitale.

Secondo le disposizioni comunitarie, sulla base di specifiche fun-zionali e caratteristiche tecnologiche si possono distinguere diverse tipologie di firme elettroniche. Nella terminologia corrente si distin-guono le due principali categorie come di firme forti e firme deboli.

La firma forte, quella che il legislatore definisce firma digitale, si basa su un sistema di chiavi crittografiche asimmetriche, utilizza un certificato digitale con particolari caratteristiche, rilasciato da un sog-getto giuridico, denominato “certificatore qualificato” in possesso di specifiche caratteristiche di qualità e sicurezza, creata con un disposi-tivo in grado di garantire elevati standard di sicurezza, in genere una smart card. Sui certificatori qualificati, in ottemperanza alla Direttiva europea e alle norme nazionali di recepimento, lo Stato opera una atti-vità di vigilanza attraverso il CNIPA.

Nella definizione legislativa, la firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata, basato su un sistema di chiavi asimme-triche a coppia, una pubblica e una privata che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica,

31 L’art. 6 del D.lgs. n. 10/2002 che ha sostituito il disposto dell’art. 10 del

D.P.R. n. 445/2000, sancisce che “il documento informatico quando è sottoscritto con

firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica avanzata e la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto”.

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rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

Semplificando il meccanismo di funzionamento, la smart card con-sente di “crittografare” l’impronta di un documento informatico con la chiave privata (usabile cioè al solo sottoscrittore, in quanto contenuta nella smart card e protetta da un PIN conosciuto solo dal sottoscritto-re). Successivamente, nel momento in cui si andrà ad aprire il docu-mento firmato digitalmente, il software che ne consentirà la lettura, sa-rà in grado di recuperare il certificato del sottoscrittore, conservato dal soggetto Certificatore iscritto all’Albo, che contiene le informazioni utili ad identificare il soggetto (dati anagrafici nonché quelli utili ad individuare un’eventuale ruolo ricoperto all’interno di una organizza-zione), le informazioni inerenti la validità del certificato qualificato (i certificati di firma hanno una scadenza, generalmente triennale) e la chiave pubblica che consentirà la verifica della firma digitale.

Si ricorda che la firma digitale fornisce garanzia di integrità dei da-ti, oggetto della sottoscrizione ed autenticità delle informazioni relati-ve al sottoscrittore. Non fornisce alcuna funzione di riservatezza: i dati contenuti nel documento informatico non sono cifrati, sono perfetta-mente accessibili e leggibili da chiunque.

È bene aver presente che, una volta stampato, il documento firmato elettronicamente (con una firma debole o forte), non conserva alcuna evidenza della sottoscrizione.

Le firme elettroniche che, pur essendo compatibili con la definizio-ne del legislatore comunitario, non presentano tutte le caratteristiche della firma forte (coppia di chiavi asimmetriche, certificato rilasciato da un certificatore qualificato, generata attraverso un dispositivo sicu-ro per la generazione delle firme), sono definite più genericamente firme elettroniche, comunemente individuate nelle cosiddette firme leggere o deboli. Queste ultime, quindi, possono essere generate senza alcun vincolo sugli strumenti o sulle modalità operative. Le firme leg-gere trovano larga applicazione nel processo contabile per le transa-

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zioni “interne” all’ente, vale a dire per l’invio di quei documenti de-stinati ad altri uffici dell’amministrazione32.

C’è una differenza sostanziale tra le due tipologie di firma: mentre la sottoscrizione con una firma forte è del tutto equivalente (dal punto di vista dell’efficacia giuridica) ad una firma autografa, e quindi può essere adottata per il sistema OIL di trasmissione alla banca tesoriera degli ordini di pagamento ed incasso, l’efficacia di una firma debole andrà valutata alla luce delle caratteristiche di sicurezza del contesto in cui è stata prodotta.

Il terzo ed ultimo elemento, essenziale come i precedenti, per l’adozione dell’OIL è quello a maggior contenuto tecnologico. Infatti, alla base del sistema degli ordinativi informatici vi è la trasmissione telematica dei flussi tra l’amministrazione e la banca tesoriera la quale deve avvenire sulla base della citata circolare ABI n.80, e secondo de-gli standard di protocollo di dialogo volti a definire:

− l’identità dei soggetti attori; − la sicurezza degli accessi; − la riservatezza delle informazioni; − il rispetto delle regole previste dalla circolare ABI n. 80.

Lo strumento, detto di cooperazione e/o collaborazione operativa, permette che i sistemi dell’ente tesoriere e quelli della banca possano “dialogare”. Questo vuol dire che il sistema detentore del “tracciato” firmato possa, col rispetto dei requisiti posti dalla circolare ABI, esse-re trasmesso telematicamente al sistema della banca tesoriera che è in grado di riconoscerlo, verificarlo e automaticamente eseguire le istru-zioni (pagare/incassare) secondo i dettami specificati.

Sotto un profilo di “architettura” informatica che si può adottare si possono distinguere tre principali scenari:

SCENARIO 1) L’applicazione è in dotazione dell’ente che si connette con la pro-

pria banca tesoriera. L’ente, pertanto, sviluppa o si dota 32 Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione

(CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

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dell’applicazione, delle infrastrutture e dell’organizzazione necessaria per la gestione diretta del sistema, si avvale di una Certification Auto-rity per la gestione della firma digitale.

Ente e tesoriere utilizzano, sulla base di uno specifico accordo tec-nico, gli standard di cooperazione del Sistema Pubblico di Connettivi-tà (SPC) per lo scambio dei flussi e gli standard ABI per la gestione applicativa del flusso (ordinativi e esiti di riscontro).

Figura 8.4 Schema operativo scenario 1

Fonte: Nostra elaborazione da: Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pubblica Amministrazione (CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “Introduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”. SCENARIO 2) Il secondo scenario si caratterizza per il fatto che l’applicazione

stessa viene fornita all’ente, in modalità ASP33, da un terzo soggetto pubblico o privato, definito “Intermediario”.

33 ASP è l’acronimo di “Application Service Providers” con cui si intende la for-

nitura tramite connessione diretta di un sistema software da parte di un terzo che ne resta proprietario e ne offre solo il servizio.

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All’ente viene erogato un servizio, di natura esclusivamente tecno-logica dal terzo soggetto (con funzione di provider) che provvede alla fornitura ed alla gestione operativa del sistema OIL. Il tesoriere dialo-ga pertanto con l’ente mediante la connessione tecnologica resa possi-bile grazie all’intervento di un provider.

Figura 8.5 Schema operativo scenario 2

Fonte: Nostra elaborazione da: Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pub-blica Amministrazione (CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “In-troduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

SCENARIO 3) Il terzo scenario è quello in cui l’applicazione è in dotazione della

banca tesoriera che la mette a disposizione del proprio cliente. La ban-ca tesoriera, pertanto, nell’ambito del servizio di tesoreria, rende di-

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sponibile all’ente il sistema OIL, provvede alla sua conduzione, rende disponibile all’ente l’accesso al sistema tramite connessione sicura e si propone come Certification Authority o si avvale di una C.A. di pro-prio gradimento per consentire all’ente l’utilizzo della firma digitale.

Figura 8.6 Schema operativo scenario 3

Fonte: Nostra elaborazione da: Centro Nazionale per l’Informatizzazione della Pub-blica Amministrazione (CNIPA). Quaderno n.29 del maggio 2006. Linee guida. “In-troduzione dell’ordinativo informatico negli enti locali”.

Indipendentemente dalla possibile soluzione adottata, affinché il si-

stema possa funzionare è necessario che la banca e l’amministrazione definiscano sia le modalità operative relative per il trattamento di e-ventuale documentazione cartacea che deve essere inoltrata alla banca a supporto degli ordinativi informatici, sia le modalità di aggiorna-mento e conservazione delle informazioni oltre ad una definizione per

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Capitolo VIII

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il trattamento delle disposizioni per il pagamento degli ordinativi di spesa urgenti.

L’impiego del sistema di cooperazione e dialogo, nel suo comples-so, si caratterizza per una serie di fasi e funzionalità essenziali, che in sequenza sono:

− caricamento e sottoscrizione del flusso; − controlli del flusso che possono essere formali e di merito; − gestione delle anomalie; − esecuzione, annullamento e variazione degli ordinativi. Per il perfetto funzionamento del sistema è necessario che siano ri-

spettati del tutto i requisiti tecnici concordati con la banca tesoriera e rispettati i dettami operativi e di sicurezza specificati dalla Circolare ABI. Sotto un profilo tecnico, il formato dei flussi deve possedere al-meno i seguenti requisiti:

− consentire, nei diversi ambiti di applicazione e per le diverse ti-pologie di trattazione, l’archiviazione, la leggibilità, l’interoperabilità e l’interscambio;

− la non alterabilità dei dati durante le fasi di accesso e conserva-zione;

− la possibilità di effettuare operazioni di ricerca tramite indici di classificazione o di archiviazione;

− l’immutabilità del contenuto e della sua struttura34. Si evidenzia che il sistema di dialogo e cooperazione non si limita

solo alla trasmissione dei flussi firmati, ma deve garantire, come di-spone la Circolare ABI, una serie di controlli relativamente al merito dell’operazione disposta (validità della firma, coerenza dei profili au-torizzativi, verifica degli estremi dell’anagrafica..etc..) e la trasmissio-ne di un set di messaggi a garanzia di tutta la serie di controlli e ope-razioni svolte.

Questa serie di messaggi “obbligatori”, necessari per la validità del-la transazione sono disposti dall’allegato tecnico della Circolare ABI, mentre quelli indicati come “facoltativi” possono essere definiti tra l’amministrazione e la banca tesoriera e disciplinati nella convenzione di tesoreria. È essenziale per il corretto funzionamento del sistema che

34 Circolare ABI n.80 del 29 dicembre 2003.

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la banca e l’amministrazione condividano preventivamente tutte le specifiche tecniche e le modalità di interscambio dei dati per via tele-matica secondo gli aspetti fin qui esposti. Ed inoltre, è necessario che siano disciplinati i formati relativi all’eventuale documentazione car-tacea allegata ai flussi in modo tale da permettere l’esecuzione delle disposizioni per il pagamento degli ordinativi di spesa urgenti e le modalità di aggiornamento e conservazione delle informazioni. La firma del flusso, che può avvenire in modo integrato nel sistema di cooperazione, può essere relativa sia al singolo tracciato che al gruppo di tracciati, anche di differente tipologia, che compongono il flusso. In ogni caso, la sottoscrizione complessiva del flusso non cambia l’autonomia relativa ad ogni singolo ordinativo contenuto nel flusso. Il flusso oggetto di scambio tra ente e banca tesoriera può essere costi-tuito da uno o più ordinativi; per ciascuno di questi il sistema dovrà comunque essere capace di evidenziare e segnalare errori relativi al flusso rifiutando solo questo e accettando i restanti.

Concludendo, con l’introduzione dell’OIL, lo schema informatico

ed operativo costruito per il SIOPE sarà completato e si potrà godere di tutti i benefici voluti sia a livello di sistema che a livello puntuale. Infatti, se da un lato il “sistema” beneficerà con una alimentazione co-stante e tempestiva dell’archivio SIOPE, tutti gli enti locali e regionali potranno godere di un secondo ordine di benefici interni come:

− riduzione dei tempi di svolgimento delle attività di pagamento e incasso;

− riduzione dell’impiego della carta e dei relativi problemi di ge-stione degli archivi;

− riduzione di attività ripetitive e di scarso valore aggiunto, con la possibilità di destinare risorse libere ad altre attività di maggior valore;

− minore rischio di errori, nei controlli e nel caricamento dei dati; − avvio di un processo di innovazione che, soprattutto grazie

all’impiego della firma digitale, può amplificare ulteriormente i benefici suddetti (es. liquidazione informatica);

− riduzione dei tempi dei controlli da parte della banca tesoriera e con esecutività quasi immediata dei pagamenti;

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Capitolo VIII

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− possibile aggiornamento automatico del sistema contabile sulla base dei flussi di ritorno e relativamente alle disponibilità per ogni capitolo e lo stato del pagato/incassato.

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Capitolo IX I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle ammini-

strazioni pubbliche di Fabio Monteduro

9.1 La rendicontazione sociale: presupposti teorici e modelli ap-plicativi

Il tema della rendicontazione sociale ha conosciuto una rapida dif-

fusione ed evoluzione negli ultimi anni. Nella letteratura economico aziendale esso è ormai da tempo oggetto di approfondite ricostruzioni teoriche e numerosi modelli applicativi sia con riferimento ad aziende private for profit1 e non profit2 sia alle aziende ed amministrazioni pubbliche3.

1 Cfr. F. SUPERTI FURGA, “Note introduttive al Bilancio sociale” in Sviluppo ed

Organizzazione, n. 44, 1977; A. MATACENA, Impresa e ambiente: il bilancio socia-le, CLUEB, Bologna, 1984; G. F. RUSCONI, Il bilancio sociale d’impresa: problemi e prospettive, Giuffrè, Milano, 1988.

2 Si veda L. HINNA, “I sistemi di rappresentazione e di controllo delle attività realizzate: una proposta di bilancio per gli Enti conferenti”, in Primo Rapporto sulle Fondazioni Bancarie, ACRI, Roma, 1996; G. BRUNI, “Il bilancio di missione delle aziende non profit”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, maggio-giugno 1997; A. MATACENA, “La responsabilità sociale e la comunicazione sociale nelle aziende non profit”, in L. HINNA, il Bilancio Sociale, Il Sole 24 ore, Milano, 2002.

3 L. HINNA, Il Bilancio Sociale nelle Amministrazione Pubbliche. Processi, Strumenti, Strutture e Valenze, Franco Angeli, Milano, 2004; A. TANESE, a cura di, Rendere conto ai cittadini. Il bilancio sociale nelle amministrazioni pubbliche, Di-partimento per la Funzione Pubblica, Edizioni Scientifiche Italiane, 2004; L. HINNA, F. MONTEDURO, Nuovi profili di accountability nelle PA: teoria e strumenti, Qua-derni Formez vol. 40, Roma, 2005.

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Capitolo IX

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La rendicontazione sociale affonda le radici nel rapporto dinamico che sussiste tra azienda ed ambiente, nella questione del finalismo a-ziendale e nell’emergere del più vasto fenomeno della responsabilità sociale che ha riportato di attualità tematiche già esplorate nell’economia aziendale come quella relativa alle implicazioni sociali dell’agire di impresa. In questo paragrafo si introdurranno quelle che appaiono come le due principali “cornici concettuali” della rendicon-tazione sociale: la responsabilità sociale di impresa ed il concetto di accountability.

9.1.1 Responsabilità e rendicontazione sociale delle imprese

Concettualmente il tema della rendicontazione sociale delle impre-

se può essere collocato all’interno del più ampio e complesso proble-ma della responsabilità sociale d’impresa o – nella sua dizione anglo-sassone – Corporate Social Responsibility. La responsabilità sociale dell’impresa ha da sempre trovato l’interesse di studiosi e ricercatori di differenti discipline (sociali, politiche, economiche, aziendali, ecc.) ciascuna delle quali ha offerto nel tempo chiavi di lettura specifiche, contribuendo alla formazione di uno stato delle conoscenze partico-larmente complesso da ricostruire nelle sue linee essenziali.

La responsabilità sociale dell’impresa non è certamente un tema nuovo ma al contrario è sempre stato un elemento di discussione, cor-relato al problema della natura dell’impresa e al suo finalismo. Già negli anni ’50 si evidenziava l’importanza di non limitarsi, nella defi-nizione delle scelte aziendali, alla considerazione dei soli risultati eco-nomici ma a prendere in considerazione anche le correlate conseguen-ze di natura sociale4. In questo senso la responsabilità sociale dell’impresa era vista come il dovere di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee d’azione desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società5. Nell’ambito degli studi di economia aziendale già da tempo si è sotto-lineato come l’impresa abbia oggi un livello dimensionale, una diffu-

4 H. BOWEN, Social Responsibility of the Businessman, Harper, New York,

1953. 5 H. BOWEN, ibidem, 1953.

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

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sione ed una rilevanza, anche sociale, che le attribuiscono funzioni (e correlative responsabilità) che trascendono ampiamente quella origi-naria di mero strumento di investimento di capitali privati. Ne conse-gue che alla sua vita sono interessati non solo i soci attuali ma anche quelli potenziali – gli investitori – alla ricerca della migliore alloca-zione dei propri risparmi; non solo i creditori (presenti e futuri) ma anche i lavoratori e le loro rappresentanze il cui interesse è rivolto alle prospettive occupazionali ed alla congruità delle remunerazioni; non solo lo stato e le altre istituzioni pubbliche per le implicazioni di poli-tica fiscale ed economica ma anche i consumatori e le loro organizza-zioni per ciò che attiene alla qualità dei prodotti e la collettività per ciò che riguarda il corretto utilizzo di risorse pubbliche (ed in particolare ambientali). Come diretta conseguenza di tale responsabilità sociale si pongono dunque responsabilità sempre maggiori nella rendicontazione della condotta e delle performance aziendali. In particolare, dal mo-mento che il sistema azienda contempera molteplici interessi talvolta complementari talvolta contrastanti, occorre ripensare ed innovare le forme di rendicontazione economica ed extra-economica ai fini di tro-vare il necessario equilibrio di interessi6 .

Ciò che in questa sede si intende evidenziare è l’esistenza di un “fi-lo rosso” che lega la responsabilità sociale di impresa e la rendiconta-zione sociale. L’esigenza di rendicontare gli effetti sociali ed ambien-tali che derivano dalle attività economiche delle aziende a specifiche categorie di stakeholder ed alla società nel suo complesso «sorge solo se si presuppone che le aziende siano portatrici di una responsabilità sociale7». La responsabilità sociale di impresa rappresenta pertanto un presupposto della rendicontazione sociale delle imprese.

6 Cfr. A.. AMADUZZI, “Conflitto ed equilibrio di interessi nel bilancio di impre-

sa”, 1949, in Aldo Amaduzzi – Studi di Economia Aziendale, Edizioni Kappa, 1995; E. CAVALIERI, “Aspetti sociali dell’informazione economica d’impresa”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n.3/4, 1981.

7 R. GRAY, C. ADAMS, D. OWEN, Accounting and accountability: changes and challenge in corporate social and environmental reporting, Paul Chapman Publishing Ltd, London, 1996, p.56.

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Capitolo IX

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9.1.2 Accountability e rendicontazione sociale delle amministrazioni pubbliche

Se nel paragrafo precedente è stato acquisto che la rendicontazione

sociale delle imprese è utilmente collocabile all’interno del fenomeno della responsabilità sociale di impresa, in questo paragrafo ci si chiede se tale affermazione possa essere estesa anche alle amministrazioni pubbliche. In altri termini, ha senso far discendere la rendicontazione sociale delle amministrazioni pubbliche dalla Corporate Social Re-sponsibility? È evidente che laddove il concetto di responsabilità so-ciale sia visto come il processo culturale attraverso il quale le imprese hanno progressivamente allargato l’ambito della definizione delle scelte aziendali alla considerazione delle conseguenze di natura socia-le oltre che dei risultati economici8, questo sia di assoluta inutilità per le amministrazioni pubbliche le quali, per effetto del processo di ri-forma degli ultimi due decenni noto come New Public Management9, hanno subito al limite un processo inverso (acquisizione di una mag-giore razionalità economica nell’ambito del perseguimento delle pro-prie finalità sociali). Inoltre è opportuno ricordare, seppur brevemente, che un elemento da tener sempre ben presente allorquando si parla di amministrazioni o aziende pubbliche consiste nel fatto che esse appar-tengono a quella particolare categoria di aziende che producono e di-stribuiscono ricchezza in assenza di mercato. Inoltre occorre ricordare che il sistema di finanziamento non è legato come nelle imprese al mercato dei capitali ma (più o meno direttamente) a logiche di impo-sizione tributaria10. Due conseguenze non banali di tali precisazioni sono: a) la mancanza di una grandezza idonea a dare una visione uni-taria dei risultati in termini di raggiungimento delle finalità azienda-li11; b) la pressione nei confronti di coloro che utilizzano denaro pub-

8 H. BOWEN, op. cit., 1953. 9Cfr. C. HOOD, “A Public Management For All Seasons?”, in Public Administra-

tion, vol. 69, 1991. 10 E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche,

3° ed, Egea, Milano, 2002. 11 Il che non significa anche l’impossibilità di verificare i suddetti risultati ma

semplicemente che, a differenza delle imprese nelle amministrazioni pubbliche non

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

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blico a “renderne conto” in termini del corretto utilizzo delle risorse e della produzione di risultati in linea con gli scopi istituzionali (ac-countability).

Concettualmente, quindi, il tema della rendicontazione sociale delle amministrazioni pubbliche può essere collocato all’interno del più ampio e complesso problema dell’accountability12. L’accountability è costituita da quell’insieme di azioni che svolgono la funzione sociale di “dar conto” (giving accounts) da parte di un individuo o organizza-zione ad un altro/a. Il termine accountability quindi richiama almeno due accezioni o componenti fondamentali: da un lato, il dovere di dar conto all’esterno ed in particolare al complesso degli stakeholder, in modo esaustivo e comprensibile, del corretto utilizzo delle risorse e della produzione di risultati in linea con gli scopi istituzionali; dall’altro, l’esigenza di introdurre logiche e meccanismi di maggiore responsabilizzazione interna alle aziende ed alle reti di aziende relati-vamente all’impiego di tali risorse ed alla produzione dei correlati ri-sultati.

Ai fini di meglio illustrare il rapporto esistente tra accountability e rendicontazione sociale può essere utile considerare un modello di a-nalisi a matrice composto da due principali dimensioni di analisi (Fig. 9.1): a) i destinatari dell’accountability (interni oppure esterni), b) la tipologia di risultati su cui si fonda l’accountability (economico-finanziari o meta-economici).

Come evidenziato in Fig. 9.1 la rendicontazione sociale delle am-ministrazioni pubbliche rappresenta dunque una delle molteplici di-mensioni del concetto di accountability.

si ha tramite il mercato né una misura dell’efficacia né un’integrazione di efficienza ed efficacia in un unico risultato di sintesi. Efficienza ed efficacia vanno quindi in-dividuate indagandole separatamente. Cfr. G. FARNETI, “Verso una nuova definizio-ne di ‘azienda’ con quali conseguenze sull’economia aziendale: prime riflessioni”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, luglio-agosto, p. 346-360, 1999. 12 Per un approfondimento si rinvia al capitolo 1.

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Capitolo IX

234

Figura 9.1 Accountability e rendicontazione sociale

Fonte: nostra elaborazione

9.1.3 Alcune prime osservazioni Entrambe le cornici concettuali (responsabilità sociale e accounta-

bility) evidenziano comunque che la rendicontazione sociale si colloca nel più ampio sistema di processi di comunicazione aziendale posti in essere per sviluppare relazioni più intense con gli interlocutori sociali e finalizzati ad armonizzare il conflitto di interessi, aggregando con-sensi o guadagnando legittimazione sulle azioni intraprese e sugli ef-fetti da esse scaturenti.

Le conclusioni cui si è giunti finora in realtà rappresentano un pun-to di partenza per due importanti riflessioni:

1. l’attitudine degli strumenti di rendicontazione sociale a favori-re i processi di aggregazione del consenso e di legittimazione - e dunque ad essere fattori di potenziale vantaggio competitivo

FUNZIONE: Rendicontazione e

rappresentazione dell’efficacia, delle ricadute sociali, e della

coerenza con la missioneSTRUMENTI:

Bilancio sociale; Bilancio di Missione; ecc.

FUNZIONE: Rendicontazione e

rappresentazione dei risultati economici;

STRUMENTI:Conto economico, Stato

patrimoniale, Nota integrativa, ecc.

FUNZIONE:Responsabilizzazione interna sugli

obiettivi strategici

STRUMENTI:Balanced scorecard; MBO; ecc.

FUNZIONE: Responsabilizzazione sui risultati economico-finanziari all’interno

dell’azienda

STRUMENTI:Controllo di gestione, ABC,

retribuzioni legate alle performance; ecc.

FUNZIONE: Rendicontazione e

rappresentazione dell’efficacia, delle ricadute sociali, e della

coerenza con la missioneSTRUMENTI:

Bilancio sociale; Bilancio di Missione; ecc.

FUNZIONE: Rendicontazione e

rappresentazione dei risultati economici;

STRUMENTI:Conto economico, Stato

patrimoniale, Nota integrativa, ecc.

FUNZIONE:Responsabilizzazione interna sugli

obiettivi strategici

STRUMENTI:Balanced scorecard; MBO; ecc.

FUNZIONE: Responsabilizzazione sui risultati economico-finanziari all’interno

dell’azienda

STRUMENTI:Controllo di gestione, ABC,

retribuzioni legate alle performance; ecc.

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DIMENSIONEECONOMICO-FINANZIARIA

DIMENSIONESOCIALE

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

235

per le imprese e di vantaggio istituzionale13 per le amministra-zioni pubbliche - è strettamente connessa all’interpretazione degli strumenti utilizzati ed alla tipologia di relazioni che si in-staurano tra le parti coinvolte nel processo (azienda e gruppi di stakeholder).

2. l’efficacia ed effettiva utilità degli strumenti di rendicontazio-ne sociale non può prescindere dalla “qualità” della comunica-zione in termini di corrispondenza delle informazioni offerte e delle relazioni instaurate rispetto a fabbisogni conosciti-vi/relazionali dei diversi soggetti interessati.

Entrambe queste osservazioni sono direttamente connesse al tema dei principi e degli standard per la rendicontazione sociale, dal mo-mento che questi si propongono proprio di migliorare la qualità dei processi e degli strumenti di comunicazione esterna.

9.2 I principali standard per la rendicontazione sociale Con riferimento alla tematica della rendicontazione sociale, la

standardizzazione consiste nella elaborazione di principi ed indicazio-ni relative al processo per la redazione del bilancio sociale o ai conte-nuti del documento. L’obiettivo e l’impostazione degli standard diffe-risce notevolmente a seconda dell’organizzazione che li ha elaborati, del contesto in cui sono maturati e delle finalità per le quali sono stati emanati.

Alcuni di essi si concentrano sulla standardizzazione del processo di redazione altri invece anche sulla standardizzazione del documento.

13 A differenza delle imprese le amministrazioni pubbliche sono orientate al con-

seguimento e accrescimento di vantaggio istituzionale che, seguendo il modello di creazione del valore pubblico di Moore è determinato (contemporaneamente) da: a) la creazione del valore sociale prodotto; b) la sostenibilità operativa ed amministra-tiva dell’organizzazione; c) la legittimazione e sostegno presso l’ambiente di riferi-mento. M.H. MOORE, Creating public value: strategic management in government, Cambridge MA, Harvard University Press, 1995.

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Capitolo IX

236

Gli standard di processo hanno come obiettivo14 la qualificazione del percorso - o ciclo gestionale - visto come un insieme coordinato e trasversale di attività finalizzate a: - assicurare all’azienda una bilanciata e sostenibile creazione di va-

lore sociale, sia interno che esterno, tenendo conto delle varie ca-tegorie di stakeholder;

- istituire un sistema di gestione basato sul dialogo e, quindi, fina-lizzato alla creazione e gestione di una efficace rete di relazioni tra gli stakeholder;

- costruire un rapporto dialettico con gli stakeholder per consentire al management di verificare che la missione, la visione e i valori aziendali collimino con le aspettative, la domanda ed i valori degli stakeholder chiave;

- raccogliere informazioni riguardanti potenziali opportunità e con-flitti;

- garantire, attraverso il processo di feedback delle informazioni, che il processo di rendicontazione sia integrato nell’organizzazione e che i valori e le aspettative degli stakeholder siano coerenti con la missione e le strategie dell’organizzazione. Questo percorso è monitorato e rendicontato con cadenza periodica

attraverso il documento/strumento bilancio sociale. Gli standard di contenuto individuano e normalizzano direttamente

i contenuti effettivi del documento sociale, pur non negando che esso sia frutto di un dialogo con gli stakeholder.

Le Tab. 9.1 e 9.2 descrivono brevemente gli standard di processo e di contenuto più diffusi a livello nazionale ed internazionale.

14 L. HINNA, Come gestire la responsabilità sociale di impresa, Il Sole24ore, Mi-

lano, 2005; O. MEI GABROIVEC, “Valore Aggiunto e bilancio sociale: l’esperienza dello standard GBS”, in Rusconi G., Dorigatti M., Teoria Generale del bilancio so-ciale e applicazioni pratiche, Franco Angeli Milano, 2004.

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

237

Tabella 9.1: I più diffusi standard di processo

Presentato per la prima volta nel 1999 al “Building Stakeholder Relations - The Third International Conference on Social and Ethical Accounting, Auditing and Reporting” costituisce un tentativoparticolarmente risuscito di standardizzare il processo per la costruzione di una solida relazione con gli stakeholder ed un processodi rendicontazione sociale. La Copenhagen Charter si articola in ottofasi distinte:1)Decisione dell’Alta Direzione di creare una relazione con glistakeholder2)Identificazione degli stakeholder chiave3)Costruzione di un dialogo permanente4)Individuazione degli indicatori5)Monitoraggio6)Identificazione di azioni di miglioramento7)Predisposizione, verifica e pubblicazione del resoconto8)Consultazione degli stakeholder

The Copenhagen Charter

Elaborato nel 1999 dall’International Council of the Institute of Social and Ethical Accountability (ISEA) ed aggiornato nel 2002, lo standard AA 1000 opera una standardizzazione del processo direndicontazione, definendo i principi e le caratteristiche del sistema direndicontazione sociale. Alla base di tutto il sistema c’è il principio diinclusione che prevede di considerare le aspirazioni e le necessitàdegli stakeholder, in tutti i livelli del sistema di rendicontazione, controllo e reporting sociale. Lo standard AA 1000 prevede le seguenti fasi:• pianificazione• rendicontazione• controllo e reporting• integrazione• coinvolgimento degli stakeholder

AccountAbility 1000

BREVE DESCRIZIONESTANDARD DI RENDICONTAZIONE

Presentato per la prima volta nel 1999 al “Building Stakeholder Relations - The Third International Conference on Social and Ethical Accounting, Auditing and Reporting” costituisce un tentativoparticolarmente risuscito di standardizzare il processo per la costruzione di una solida relazione con gli stakeholder ed un processodi rendicontazione sociale. La Copenhagen Charter si articola in ottofasi distinte:1)Decisione dell’Alta Direzione di creare una relazione con glistakeholder2)Identificazione degli stakeholder chiave3)Costruzione di un dialogo permanente4)Individuazione degli indicatori5)Monitoraggio6)Identificazione di azioni di miglioramento7)Predisposizione, verifica e pubblicazione del resoconto8)Consultazione degli stakeholder

The Copenhagen Charter

Elaborato nel 1999 dall’International Council of the Institute of Social and Ethical Accountability (ISEA) ed aggiornato nel 2002, lo standard AA 1000 opera una standardizzazione del processo direndicontazione, definendo i principi e le caratteristiche del sistema direndicontazione sociale. Alla base di tutto il sistema c’è il principio diinclusione che prevede di considerare le aspirazioni e le necessitàdegli stakeholder, in tutti i livelli del sistema di rendicontazione, controllo e reporting sociale. Lo standard AA 1000 prevede le seguenti fasi:• pianificazione• rendicontazione• controllo e reporting• integrazione• coinvolgimento degli stakeholder

AccountAbility 1000

BREVE DESCRIZIONESTANDARD DI RENDICONTAZIONE

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Capitolo IX

238

Tabella 9.2: I più diffusi standard di contenuto

Pubblicate nel 2000 dalla Global Reporting Initiative (GRI), le linee guidasono rivolte ad aziende private e pubbliche e contengono i principi alla base del bilancio ed il contenuto specifico per guidarne la preparazione.Per quanto riguarda i contenuti del documento di rendicontazione sociale, lo standard del GRI individua cinque sezioni:1)visione e strategia2)profilo3)governance e sistema di gestione4)indice dei contenuti GRI5)indicatori di performance

Sustainability Reporting Guidelines

Proposto nel 1988 dall’Istituto Europeo per il Bilancio Sociale BilancioSociale (IBS), lo standard di bilancio sociale IBS ha ispirato lo standard del GBS ed ha subito nel corso degli anni subito numerose evoluzioni e integrazioni. Ad oggi l'attuale schema prevede 7 punti:1. Introduzione metodologica2. Identità3. Rendiconto di valore4. Relazione sociale5. Sistema di rilevazione6. Proposta di miglioramento7. Attestazione di conformità procedurale

Standard IBS

Presentati a Roma nel maggio 2001 da un gruppo interdisciplinare compostoda esponenti del mondo accademico, professionale e consulenziale, ilGruppo di Studio per il Bilancio Sociale (GBS). Il Gruppo di Studio ha individuato una serie di principi di redazione da rispettare nella formazionedel bilancio sociale: responsabilità; identificazione; trasparenza; inclusione; coerenza; neutralità; competenza di periodo; prudenza; comparabilità; comprensibilità, chiarezza ed intelligibilità; periodicità e ricorrenza; omogeneità; utilità; significatività e rilevanza; verificabilitàdell’informazione; attendibilità e fedele rappresentazione; autonomia delleterze parti.I principi GBS si caratterizzano come uno standard che sintetizza modelli ed esperienze nazionali ed internazionali. Anche se formulati con riferimento al mondo delle imprese orientate al profitto, lo standard GBS è stato adattato daaltre istituzioni (ad es. dal Gruppo di Lavoro “Enti Locali” e “No-profit”dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Ivrea - Pinerolo – Torino) anche al settore pubblico e non profit. Lo standard di bilancio sociale proposto dal GBS è articolato in tre partifondamentali:•L’Identità distintiva dell’ente•Il Rendiconto: determinazione e distribuzione del Valore Aggiunto•La Relazione sociale

Principi di Redazionedel Bilancio SocialeGBS

BREVE DESCRIZIONESTANDARD DI RENDICONTAZIONE

Pubblicate nel 2000 dalla Global Reporting Initiative (GRI), le linee guidasono rivolte ad aziende private e pubbliche e contengono i principi alla base del bilancio ed il contenuto specifico per guidarne la preparazione.Per quanto riguarda i contenuti del documento di rendicontazione sociale, lo standard del GRI individua cinque sezioni:1)visione e strategia2)profilo3)governance e sistema di gestione4)indice dei contenuti GRI5)indicatori di performance

Sustainability Reporting Guidelines

Proposto nel 1988 dall’Istituto Europeo per il Bilancio Sociale BilancioSociale (IBS), lo standard di bilancio sociale IBS ha ispirato lo standard del GBS ed ha subito nel corso degli anni subito numerose evoluzioni e integrazioni. Ad oggi l'attuale schema prevede 7 punti:1. Introduzione metodologica2. Identità3. Rendiconto di valore4. Relazione sociale5. Sistema di rilevazione6. Proposta di miglioramento7. Attestazione di conformità procedurale

Standard IBS

Presentati a Roma nel maggio 2001 da un gruppo interdisciplinare compostoda esponenti del mondo accademico, professionale e consulenziale, ilGruppo di Studio per il Bilancio Sociale (GBS). Il Gruppo di Studio ha individuato una serie di principi di redazione da rispettare nella formazionedel bilancio sociale: responsabilità; identificazione; trasparenza; inclusione; coerenza; neutralità; competenza di periodo; prudenza; comparabilità; comprensibilità, chiarezza ed intelligibilità; periodicità e ricorrenza; omogeneità; utilità; significatività e rilevanza; verificabilitàdell’informazione; attendibilità e fedele rappresentazione; autonomia delleterze parti.I principi GBS si caratterizzano come uno standard che sintetizza modelli ed esperienze nazionali ed internazionali. Anche se formulati con riferimento al mondo delle imprese orientate al profitto, lo standard GBS è stato adattato daaltre istituzioni (ad es. dal Gruppo di Lavoro “Enti Locali” e “No-profit”dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Ivrea - Pinerolo – Torino) anche al settore pubblico e non profit. Lo standard di bilancio sociale proposto dal GBS è articolato in tre partifondamentali:•L’Identità distintiva dell’ente•Il Rendiconto: determinazione e distribuzione del Valore Aggiunto•La Relazione sociale

Principi di Redazionedel Bilancio SocialeGBS

BREVE DESCRIZIONESTANDARD DI RENDICONTAZIONE

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

239

Occorre osservare che dal momento che gli standard di processo sono in genere piuttosto flessibili – ad “assetto variabile”- essi posso-no facilmente trovare applicazione a differenti tipologie aziendali (im-prese, organizzazioni non profit, amministrazioni pubbliche). Gli standard di contenuto invece richiedono per loro stessa natura un’applicazione maggiormente mirata.

In effetti due degli standard di contenuto individuati nella Tab. 9.2 hanno trovato una ulteriore specificazione per il settore pubblico: - il GBS ha recentemente emesso uno standard per il settore pubbli-

co, basato su un adattamento del modello generale dal titolo La rendicontazione sociale nel settore pubblico15,

- il Global Reporting Initiative ha recentemente pubblicato lo stan-dard GRI-Sector Supplement for Public Agencies. Accanto a tali iniziative di standardizzazione se ne sono sviluppate

alcune nate specificatamente nel comparto delle amministrazioni pub-bliche (sia a livello nazionale che internazionale) tra cui ricordiamo: - l’iniziativa promossa dal Formez/FormAutonomie dal titolo Linee

guida per le amministrazioni pubbliche territoriali16, - l’iniziativa promossa negli Stati Uniti dal Governmental Accoun-

ting Standards Board - Service Efforts and Accomplishments (SE-A) reports17. Come ricordato in precedenza la motivazione principale alla stan-

dardizzazione risiede nel fatto che essa viene considerata come il ne-cessario presupposto per far sì che le informazioni comunicate dall’azienda all’esterno abbiano una qualità elevata in termini di sod-disfazione delle attese degli interlocutori aziendali.

Attraverso l’adozione di uno standard di rendicontazione sociale dovrebbe essere possibile allineare le attese informative dei soggetti interessati all’azienda con le informazioni effettivamente comunicate da quest’ultima. In altri termini l’utilizzazione dello standard è vista

15 GBS , Il Bilancio Sociale. Standard di Base e Documenti di Ricerca, Giuffré,

Roma, 2005. 16 http://www.formautonomie.it/schede/schedabilanciosociale.asp

17 GASB, Reporting Performance Information: Suggested Criteria for Effective Communication, Governmental Accounting Standards Board of the Financial Ac-counting Foundation, Norwalk, Connecticut, 2003.

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Capitolo IX

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come elemento in grado di creare una corrispondenza nel significato dell’informazione sia per l’emittente che per il destinatario.

Il processo di standardizzazione non è però esente da rischi18. Innanzitutto vi è un primo rilevante effetto paradossale da prendere

in considerazione: se, da un lato, il ricorso a standard ha lo scopo di limitare l’eventualità che vengano veicolate informazioni distorte e strumentali rispetto al raggiungimento di finalità opportunistiche; dall’altro, il rischio è quello che l’applicazione dello standard diventi un’operazione meccanicistica con l’effetto di allontanare la rappresen-tazione offerta dal bilancio sociale rispetto alla realtà che per suo mez-zo si intende evidenziare. In altri termini un uso nozionistico degli standard e concentrato sull’uniformazione dei contenuti può portare a perdere di vista il ragionamento complessivo sul rapporto tra azienda e stakeholder, sulla legittimazione sociale e sulla comunicazione del va-lore sociale generato che sono gli scopi ultimi del processo di rendi-contazione.

La diffusione di standard e la loro enfatizzazione quali criteri uni-versalmente validi può comportare ulteriori effetti indesiderabili. In-nanzitutto l’applicazione dello standard può generare un senso di ap-pagamento di chi redige il bilancio sociale inducendolo ad appiattirsi sullo standard e a rinunciare ad ogni innovazione e sperimentazione anche se necessaria a migliorare l’efficacia e la qualità del processo di rendicontazione. Inoltre vi può essere una sorta di de-responsabilizzazione per il fatto che l’avere utilizzato lo standard ge-neralmente accettato può divenire una sorta garanzia “ostentabile” di obiettività anche se nella sostanza ci si è allontanati dalla rappresenta-zione della realtà aziendale. Inoltre se è vero che lo standard può costi-tuire una soluzione rispetto al rischio di autoreferenzialità delle azien-de, si deve anche tener conto che la stessa statuizione di principi e standard di rendicontazione sociale è soggetta, non di meno, al rischio di autoreferenzialità (si pensi ad esempio al processo con cui nasce

18 I rischi del ricorso a standard sono già stati chiaramente evidenziati con riferi-

mento al processo di normalizzazione contabile. Sul punto si rinvia a G. SAVIOLI, “La redazione del bilancio di esercizio fra normalizzazione contabile e logica eco-nomica”, in Rivista Italiana di Ragioneria ed Economia Aziendale, maggio-giugno, 1999; G. BRUNI, Revisione Aziendale, IV edizione, UTET, Torino, 1996.

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

241

uno standard ed al problema della partecipazione e trasparenza nella sua formulazione).

In sintesi guardando simultaneamente alle ragioni ed ai limiti del ricorso a standard di rendicontazione sociale si nota come vi sia una sorta di “effetto pendolo” tra due estremi: ad un ragionamento sull’impossibilità assoluta di violare l’unicità del processo di rendi-contazione sociale in cui la libera espressione finisce per coincidere con l’indeterminatezza degli spazi e dei limiti entro i quali concretiz-zarsi, impedendo ab origine ogni verificabilità di quanto rendicontato; si può sostituire un contrapposto approccio improntato alla massima verificabilità grazie ad una standardizzazione di forma e contenuti ma che rischia di allontanarsi dalla realtà portando appunto ad una rappre-sentazione più “convenzionale” che reale. 9.3 Il dibattito sugli standard di rendicontazione sociale: spunti per una riflessione

Ad oggi il dibattito sull’utilità o meno di avvalersi di standard sem-

bra divaricato su posizioni “radicali”: da un lato, alcuni evidenziano il rischio di mortificare tramite una standardizzazione eccessiva la vo-lontarietà e la flessibilità della rendicontazione sociale; dall’altro, vi è chi manifesta la necessità di individuare soluzioni globali che aumen-tino l’omogeneità e la comparabilità dei bilanci sociali in termini di contenuti e modalità di rappresentazione.

A fronte dell’ampio dibattito sulla necessità o meno di sviluppare ed adottare opportuni standard di rendicontazione sociale, un’attenzione assai minore sembra essere stata dedicata su importanti temi quali: la natura degli standard, la diversa filosofia di fondo che li ispira, come la differente filosofia di fondo porti ad una particolare configurazione dello standard, ed, infine, come essa possa incidere più o meno rilevantemente sulla applicabilità a diverse tipologie aziendali, facendo propendere per alcune di esse verso una data categoria di standard di rendicontazione sociale.

Non è intenzione del presente paragrafo quella di offrire una tratta-zione esaustiva di ognuno di questi punti, ma si intende semplicemen-te presentare le considerazioni più rilevanti.

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Capitolo IX

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L’efficacia degli strumenti di comunicazione e rendicontazione e-sterna è intimamente connessa al problema della “qualità” delle in-formazioni offerte e delle relazioni instaurate rispetto a fabbisogni co-noscitivi/relazionali dei diversi soggetti interessati. Infatti le asimme-trie informative e gli interessi soggettivi in gioco possono determinare scelte opportunistiche relative al processo di rilevazione ed elabora-zione delle informazioni, nei criteri di valutazione dei fatti e nelle mo-dalità di rappresentazione e comunicazione delle informazioni.

Come già ampiamente evidenziato nel capitolo 1 i principi e gli standard di rendicontazione sono proprio volti a favorire la ricomposi-zione delle attese soggettive, vincolando l’attore chiamato ad imple-mentare il processo e redigere il documento di rendicontazione entro determinati confini.

Molto sinteticamente qui ci si limita ad osservare che l’effettiva uti-lità degli standard in termini di contributo alla qualità della comunica-zione esterna dipende dalle seguenti variabili: - le caratteristiche del contesto di riferimento, - la particolare configurazione assunta dai diversi interessi e fabbi-

sogni formativi dei principali fruitori della rendicontazione, - il rapporto tra i costi ed i benefici della rendicontazione, dove i

primi sono correlati alla produzione del flusso informati-vo/relazionale ed i secondi all’utilità che i vari stakeholder traggo-no dal processo di comunicazione. Inoltre in considerazione del fatto che: a) il contesto di riferimento

non è fisso ma è variabile, b) perché un sistema funzioni occorrono persone in grado di farlo funzionare; si pongono due ulteriori corolla-ri: - la flessibilità del sistema e cioè l’attitudine ad adattarsi ai cambia-

menti della realtà, anche attraverso processi di apprendimento; - l’utilità degli standard dipende non solo dalla loro intrinseca quali-

tà ma dalle qualità delle persone chiamate ad utilizzarli:

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

243

9.4 Osservazioni sulla standardizzazione della rendicontazione so-ciale nel settore pubblico

Il quadro di riferimento finora tracciato consente di esprimere, sep-

pur sinteticamente, le seguenti considerazioni riferite ai processi di standardizzazione della rendicontazione sociale in atto nel settore pubblico.

In primo luogo, tutti gli standard di rendicontazione sociale esami-

nati nel presente contributo non sembrano, a nostro avviso, avere suf-ficientemente preso in considerazione (o, pur avendolo fatto, non han-no chiaramente esplicitato) le specificità del contesto di riferimento delle amministrazioni pubbliche. Ci riferiamo in particolare a quanto già sottolineato (par. 9.1)19 relativamente al fatto che:

a) per le amministrazioni pubbliche la rendicontazione sociale si inquadra nell’ambito delle problematiche di accountability piuttosto che di responsabilità sociale;

b) le amministrazioni pubbliche appartengono a quella particolare categoria di aziende che producono e distribuiscono ricchezza in assenza di mercato (con una connessa difficoltà di indivi-duare una misura della bontà della gestione);

c) il sistema di finanziamento è legato per gran parte delle am-ministrazioni pubbliche a logiche di imposizione tributaria e non di mercato20;

d) almeno con riferimento agli istituti pubblici territoriali, il si-stema di interessi è fortemente connesso alla dimensione terri-toriale;

e) esiste una fortissima numerosità ed eterogeneità di soggetti (si parla infatti di “amministrazioni” pubbliche);

f) esiste una forte interdipendenza tra tempi e ritmi della gestione e tempi e ritmi istituzionali.

La sottovalutazione di tali fondamentali peculiarità comporta un se-rio rischio con riferimento agli sforzi di standardizzare la rendiconta-zione sociale delle amministrazioni pubbliche: quello di trasferire a

19 Si veda inoltre quanto descritto nei capitoli 1 e 2. 20 E. BORGONOVI, op. cit., 2002.

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Capitolo IX

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tali realtà standard elaborati per le imprese limitandosi a qualche pic-colo adattamento. L’analisi effettuata nel par. 9.3 suggerisce invece che ogni standard, per essere effettivamente utile e non portare perico-lose distorsioni, deve rispecchiare le caratteristiche del contesto inter-no di azienda e del contesto esterno. È noto come le caratteristiche del contesto decisionale (ruolo della sfera politica, obbligo di trasparenza, formalizzazione dei processi, modalità di collocamento dei prodotti e servizi, ecc.) e, soprattutto, le caratteristiche del contesto esterno (tipo-logia e soprattutto comportamenti degli stakeholder) siano nel settore pubblico radicalmente diverse dal settore privato21.

Ne consegue che è opportuno almeno porsi il problema se la defi-nizione di principi e standard di rendicontazione sociale non debba se-guire una logica di “profonda discontinuità” piuttosto che di “oppor-tuno adattamento” rispetto alle esperienze del settore privato.

Inoltre, occorre tener presente le peculiarità del settore pubblico in

termini di cultura organizzativa. In questo particolare contesto, infatti, l’utilizzo di norme e standard rischia di essere letta con le tradizionali “lenti della burocrazia” con una logica di mero adempimento formale di una procedura. In altri termini vi è il concreto rischio di un uso “bu-rocratico” degli standard, concentrato sull’uniformazione dei contenu-ti, perdendo di vista il ragionamento più complessivo - ma anche più importante - relativo alla relazione tra amministrazione e stakeholder. Tale rischio appare ancora più accentuato se l’azione di standardizza-zione avviene attraverso norme giuridiche (leggi o regolamenti). Sono infatti numerose le analisi teoriche ed empiriche che mostrano come l’introduzione per legge di strumenti di gestione abbia come effetto principale l’applicazione solo formale ed in molti casi lo snaturamento degli strumenti stessi22, soprattutto laddove essi richiedano un salto culturale agli operatori chiamati ad applicarli23. In questi casi è certo che il rapporto costi benefici della rendicontazione sociale sia negati-vo.

21 Cfr. E. BORGONOVI, op. cit., 2002; E. BORGONOVI, “Principi contabili: anche

nell’amministrazione pubblica?”, in Azienda Pubblica, n.2, 2004. 22 E. BORGONOVI, op. cit., 2002; E. BORGONOVI, op. cit., 2004. 23 L. HINNA, op. cit., 2004.

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

245

Un terza riflessione, direttamente connessa alla precedente è che

nel contesto pubblico non vanno mai scissi due processi: quello di emanazione degli standard, da un lato; e quello dell’attivazione di op-portuni processi formativi degli attori chiamati ad attuarli. Su quest’ultimo punto gli sforzi appaiono ancora insufficienti, anche se iniziano a manifestarsi prime e significative iniziative di formazione e sensibilizzazione (Laboratorio e cantiere di innovazione attivato pres-so il Dipartimento della Funzione Pubblica, Osservatorio del Formez, ecc.).

Una ulteriore considerazione supportata anche da analisi teoriche

ed empiriche24 attiene alla necessità - ancor più cogente nel caso delle amministrazioni pubbliche - di realizzare un effettivo collegamento tra gli strumenti di rendicontazione sociale, quelli di rendicontazione di mandato e quelli di programmazione e controllo, coordinandone i rela-tivi processi. Il processo di rendicontazione delle ricadute sociali o del grado di realizzazione del mandato amministrativo richiedono en-trambi di riferirsi ad un quadro programmatorio ben definito e cioè devono riconnettersi al processo di programmazione strategica dell’amministrazione pubblica. Se i programmi risultano generici e gli impegni non sono chiari, ogni successiva rendicontazione dei risultati diviene opinabile e l’accountability risulta monca. Il collegamento tra i processi di rendicontazione (sociale e di mandato) e quelli di pro-grammazione e controllo risulta fondamentale per due ordini di ragio-ni. Da un lato, i sistemi di programmazione e controllo alimentano quelli di rendicontazione sociale con informazioni e dati sul grado e le modalità di raggiungimento degli obiettivi strategici nonché in genera-le sugli andamenti gestionali; dall’altro, in assenza di una corrispon-denza tra quanto rilevato all’interno e quanto rendicontato all’esterno, si rischierebbe un pericoloso scollamento tra l’immagine di sé che l’ente proietta all’esterno e la realtà interna dell’ente stesso, pregiudi-cando la veridicità e l’attendibilità delle informazioni rendicontate ed in ultima istanza vanificando ogni accountability.

24L. HINNA, F. MONTEDURO , op. cit., 2005; G. FARNETI, S. POZZOLI, Il bilancio

sociale di mandato, Ipsoa, 2005.

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Capitolo IX

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Inoltre, con ancora più evidenza nel comparto pubblico, appare ne-

cessario prestare attenzione al processo di definizione degli standard di rendicontazione sociale, adottando tutti gli accorgimenti necessari per aumentare il consenso sullo standard, e garantendo la massima tra-sparenza del processo. Sul punto piuttosto stimolante appare una ana-logia con il caso della statuizione dei principi contabili internazionali emanati dallo IASB. Esso adotta la logica del due process così rias-sumibile: a) definizione dell’argomento ed identificazione di una serie di problematiche relative; b) applicazione del Framework a tali pro-blematiche ed analisi delle prassi in uso a livello internazionale; c) consultazione degli standard setters nazionali; d) pubblicazione di un Discussion Paper, contenente i risultati delle analisi svolte dagli Stee-ring Committee appositamente costituiti, nonché del Draft Statement of Principles, che espone le linee guida del documento in corso di de-finizione; e) emanazione dell’Exposure Draft, documento tecnico sul quale gli standard setters o le associazioni interessate possono espri-mere un giudizio entro un arco di tempo che può variare dai tre ai cin-que mesi dalla pubblicazione; f) sulla base dei commenti pervenuti, il Board può emanare un nuovo Exposure Draft oppure procedere diret-tamente alla pubblicazione dello standard.

Inoltre le riunioni dello IASB sono aperte al pubblico; le decisioni prese e il dibattito sottostante sono pubblicate in newsletters periodi-che; i documenti emanati dallo IASB devono riportare, per statuto, le dissenting opinion dei membri rispetto all’approvazione dell’intero principio o di specifici punti.

In conclusione, ci si chiede se la considerazione congiunta di tutti

punti di cui sopra non suggerisca, con specifico riferimento alla rendi-contazione sociale delle amministrazioni pubbliche, di percorrere la strada della definizione di un autonomo “standard di processo” invece di ragionare sull’adattamento di “standard di contenuto” nati con rife-rimento alle imprese. Ragionare sulla definizione di uno standard di processo potrebbe infatti consentire di rispondere positivamente a molte delle questioni sollevate nei punti precedenti. L’analisi dei prin-cipali standard di processo diffusi a livello internazionale (AA1000 e Copenhagen Charter) sembra suggerire che essi possano:

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I principi ed i sistemi di contabilità sociale delle amministrazioni pubbliche

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- incoraggiare l'innovazione, realizzando un sistema flessibile ed adattabile ai cambiamenti del contesto, attraverso processi di ap-prendimento;

- offrire un processo con cui costruire un rapporto dialettico con gli stakeholder per consentire di verificare che la missione, la visione e i valori aziendali collimino con le aspettative, la domanda ed i valori degli stakeholder chiave.

- offrire una base di confronto per misurare la qualità del proprio metodo di rendicontazione e comunicazione etica e sociale;

- offrire una gerarchia di principi particolarmente in linea con le specificità del settore pubblico. Ad esempio, si consideri il frame-work dell’AA1000 il quale prevede che : 1) il processo è governato dal principio di accountability; 2) la responsabilità organizzativa è direttamente indirizzata dall'inclusività del processo; 3) l'inclusivi-tà è supportata da: a. scopo e natura del processo, che, a sua volta, deve prevedere completezza, regolarità e tempestività, b. significa-tività nell'informazione, che riunisce garanzie di qualità dell'infor-mazione e accessibilità, c. gestione del processo nel tempo e suo miglioramento continuo;

- fornire orientamenti concreti per realizzare un sistema di contabili-tà e di rendicontazione definendo gli spazi di integrazione con i processi di programmazione e controllo e/o con altri e strumenti gestionali;

- garantire, attraverso il feedback delle informazioni, che il processo di rendicontazione sia integrato nell’organizzazione e che i valori e le aspettative degli stakeholder siano coerenti con la missione e le strategie dell’organizzazione;

- identificare un insieme di requisiti necessari per assumere le quali-fiche professionali adeguate;

- raccogliere informazioni riguardanti potenziali opportunità e con-flitti.

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di marzo del 2012dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »

00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma