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Ciao Vittorio. E grazie. Vittorio Tranquilli è stato il fondatore e il promotore di questa rivista elettronica. Ci ha spronato a pensare e a scrivere attraverso questo canale, con l’energia e la fiducia di un giovane. Non per il gusto di fare comunque qualcosa, ma con la ragionevole certezza che questo fosse necessario fare, perché, malgrado l’apparente vanità di tutti gli sforzi rivolti a cambiare la drammatica situazione del tempo presente, ogni minimo incremento di patrimonio cognitivo può forse fare la differenza avviando una catena di sviluppi positivi (proprio come il mitico battito d’ali di una remota farfalla). Vittorio è stato una continua testimonianza, un esempio che, conoscendolo, ti impediva di abbandonare gli attrezzi, di rassegnarti, di pensare ad altro. Coinvolgeva in modo mitemente energico, senza enfasi, senza mettere in primo piano né se stesso né le cose coraggiose e spesso straordinarie che aveva fatto a vent’anni come partigiano e dopo i settanta come volontario della pace. Del resto, poteva accadere di essere amici di Vittorio in modo profondo, importante, anche senza quasi mai parlare in modo esplicito di cose personali. Lui lo faceva abbastanza raramente, e prima se ne scusava. A te non lo domandava se non per caso (ma non certo, mai, in modo distratto). Con Vittorio, questo non era strano: era ovvio, era serenamente naturale. Perché lavorare con lui, condividere cioè il suo interesse appassionato e lucido verso i bisogni comuni del genere umano, era già intuire e incontrare l’intera sua persona, oltre la riservatezza che concorreva a costituirla (o, piuttosto, compresa questa). Potevi parlare con Vittorio di ciò che ci fosse da pensare o da scrivere, intanto, per capire le cose e cercare di muoverle a favore di quei bisogni comuni; e sentivi chiaramente che in quelle conversazioni c’era lo stesso Vittorio che si prendeva cura delle singole vittime

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Ciao Vittorio. E grazie.Vittorio Tranquilli è stato il fondatore e il promotore di questa rivista elettronica. Ci ha spronato a pensare e a scrivere attraverso questo canale, con l’energia e la fiducia di un giovane. Non per il gusto di fare comunque qualcosa, ma con la ragionevole certezza che questo fosse necessario fare, perché, malgrado l’apparente vanità di tutti gli sforzi rivolti a cambiare la drammatica situazione del tempo presente, ogni minimo incremento di patrimonio cognitivo può forse fare la differenza avviando una catena di sviluppi positivi (proprio come il mitico battito d’ali di una remota farfalla).

Vittorio è stato una continua testimonianza, un esempio che, conoscendolo, ti impediva di abbandonare gli attrezzi, di rassegnarti, di pensare ad altro. Coinvolgeva in modo mitemente energico, senza enfasi, senza mettere in primo piano né se stesso né le cose coraggiose e spesso straordinarie che aveva fatto a vent’anni come partigiano e dopo i settanta come volontario della pace.

Del resto, poteva accadere di essere amici di Vittorio in modo profondo, importante, anche senza quasi mai parlare in modo esplicito di cose personali. Lui lo faceva abbastanza raramente, e prima se ne scusava. A te non lo domandava se non per caso (ma non certo, mai, in modo distratto). Con Vittorio, questo non era strano: era ovvio, era serenamente naturale. Perché lavorare con lui, condividere cioè il suo interesse appassionato e lucido verso i bisogni comuni del genere umano, era già intuire e incontrare l’intera sua persona, oltre la riservatezza che concorreva a costituirla (o, piuttosto, compresa questa). Potevi parlare con Vittorio di ciò che ci fosse da pensare o da scrivere, intanto, per capire le cose e cercare di muoverle a favore di quei bisogni comuni; e sentivi chiaramente che in quelle conversazioni c’era lo stesso Vittorio che si prendeva cura delle singole vittime della guerra nei Balcani e partecipava alle storie personali di almeno alcune di loro, e c’era lo stesso Vittorio che amava i suoi cari sostenendo per questo ogni prova.

L’impegno intellettuale e politico di Vittorio non faceva parte di una struttura separata, era qualcosa di specifico e distinto, naturalmente, ma non era un altro gioco: non rispetto alla vita. Questo lo intuivi chiaramente. Vedevi un lato di Vittorio, ma sentivi che niente di essenziale ti sfuggiva. In Vittorio, essere intellettuale, militante politico, impiegato dello Stato, padre, nonno, volontario della pace, significava sempre e in forme diverse lo stesso “sì” allo stesso genere d’invito (come una volta, uno degli ultimi giorni, si concesse di esternare): un invito cui non aveva senso resistere, e proprio perciò non aveva senso nemmeno parlarne troppo.

Insomma, Vittorio aveva davvero criticato e superato l’alienazione (cioè l’essere lontani da se stessi, estranei a se stessi, divisi, insomma un po’ falsi, come le strutture della società e le nostre infermità personali ci spingono fortemente ad essere) non semplicemente con i libri (anche con quelli, tanti!) ma innanzitutto con la vita.

Il “Picchio”, che Vittorio ha pensato e creato, continua frattanto a vivere dando spazio innanzitutto alla sua figura, attraverso ricordi e testimonianze.

> Leonardo Donghi, Un ricordo di Vittorio Tranquilli, comunista, cristiano, internazionalista> Marisa Rodano, Un esempio di come debba essere la politica> Costantino Cea, “Sperate ancora…”> Tiziana Boari, Una bellissima persona> Andrea Martocchia, Per la fratellanza tra i popoli> Sindacato Unitario Zastava E’ morto “Superdeka” (Supernonno)> Luigi Accattoli, Vittorio Tranquilli il volontario delle idee> Giovanni Tassani, Interprete fedele di una grande lezione

Un ricordo di Vittorio Tranquilli,comunista, cristiano, internazionalista

Scritto da Leonardo Donghi per “Il pane e le rose” (12 Luglio 2012)

Ci conoscemmo a metà degli anni ’90, e il nostro incontro coincise con la pubblicazione de “Il secolo breve” di E.J. Hobswam. Erano gli anni della fase più acuta del conflitto in ex Jugoslavia. Partimmo in tre, destinazione, campo profughi di Varazdin, nella neo proclamata Repubblica di Croazia.

Le luci della periferia romana alle spalle, il bagagliaio della tua auto improbabile-sarebbe stato un miracolo arrivare solo al Raccordo Anulare- pieno di lettere di studenti delle scuole della Capitale, destinate ad uno dei primi “gemellaggi” di una lunga serie. La Penisola scorreva tra fiumi di chiacchiere e caffeina.

La Toscana ed i suoi cipressi, la bassa emiliana con le sue luci al neon e le sue cascine dirute: sui muri in rovina, “w Stalin” sbiaditi dal tempo, appena leggibili. Non indugiavi mai sul passato senza pensare al futuro. Per questo , a ventisei anni, mi facevi sentire tanto più vecchio dei tuoi sessantanove, ben portati per tutto il Novecento e ben oltre.

L’alba ci sorprese alle porte di Trieste, tra i paesaggi drammatici del Carso. Un capriolo saltellava a pochi metri dall’autostrada. “Vedi, questo fatto delle Foibe... Rispetto per le vittime innocenti a parte, mi fa pensare che, prima di puntare l’indice sui nazionalismi altrui, sarebbe buona cosa denunciare quello del proprio Paese…” L’arrivo in una vetusta caserma asburgica, riconvertita a ricovero per profughi dalla Bosnia-Erzegovina. I primi contatti con scuole elementari del campo e dei villaggi della Slavonia. “Gospodin, gospodin” –“Signore”- nella commozione, affiorò la tua prima incazzatura in questo viaggio, e sbottasti in faccia alla nostra accompagnatrice-traduttrice: “Un bambino è fratello di ogni altro bambino, anche serbo…”

Il ritorno, bagagliaio vuoto e testa piena di progetti. “Ancora i nazionalismi, ancora una volta schermo delle manovre delle grandi potenze. Nel 1914 i Serbi erano le vittime innocenti da vendicare, oggi, gli unici colpevoli da combattere…” Le tue impressioni, sui limiti del mondo pacifista e della sinistra italiana ed europea nell’elaborare una analisi adeguata dei conflitti nei Balcani, furono confermate in seguito, dopo il nostro secondo viaggio in quelle terre “bombardate” dai jet, come dai media, e, ancor più tragicamente in seguito, nell’annus horribilis 1999, che vide un Paese europeo sotto attacco militare dopo oltre mezzo secolo.

Ci siamo visti poche volte, da allora. O meglio, tutte le volte che avevi voglia di rivedere qualchetuo vecchio compagno di viaggio, anche se breve. Il tuo interesse per le persone era capace di attraversare i continenti ed i paesi in guerra, senza farti dimenticare il tuo quartiere. Le ultime volte sono passati diversi anni, da allora- mi parlavi di come fossi riuscito, assieme a validi collaboratori, a bucare il muro dell’indifferenza nei confronti dei “paria” serbi. “Come osi, italiano, farti vedere qui, tornatene ad Aviano”- ti urlò un giorno sul muso un pope ortodosso di

una cittadina devastata dalle bombe della NATO e dell’Italia centro-sinistrorsa. ”Ce n’è voluto, ma alla fine siamo diventati amici, ed anche i ragazzi sono stati fantastici, dopo tutto quello che gli stiamo facendo..”

“Aveva il naso appuntito come te, vero? E portava gli occhiali spessi..” questa mia domanda ti fece commuovere, per una volta vidi il tuo naturale senso del decoro lottare per ricacciare indietro una lacrima, mentre ti svelavo come, avendo carpito dai tuoi rari racconti il nome del tuo compagno di gioventù massacrato, lo fossi poi andato a trovare alle Fosse Ardeatine.

“Tra queste case, quando ero studente al Visconti, feci un comizio volante. Era il ’44… Mi misi una tuta da operaio sopra il vestito della domenica e...i fascisti si trovarono davanti un ragazzo di buona famiglia che si era perso in periferia..” Il tuo aspetto da gentleman britannico ti salvò anche dalle botte della celere di Scelba nel dopoguerra. La tua sensibilità, dall’invecchiare per tutta la vita.

“Insomma, incontro ‘sto vecchio compagno sudamericano con un passato da guerrigliero in una metropoli africana; oggi fa il funzionario della Banca Mondiale. Gli dico: Ma tu parli sempre di ‘sto mercato, legge di mercato, mercato globale... Bè, qui, a pochi isolati da noi c’è uno dei più grossi mercati di bestiame dell’Africa occidentale. Ci sei mai stato a dare un occhiata per vedere come funziona?..”

Non ci riuscivi proprio, negli anni in cui eri di casa in ogni continente, a dimenticare il dramma della disoccupazione, la tragedia della droga nel microcosmo di Tiburtino III. Non c’era miseria umana né catastrofe della Storia, che ti distogliesse dal tuo Marx e dal tuo Sant’Agostino.

Amavi il Latino; ricordo il modo che trovasti per comunicare con un vecchio prete croato. Dopo aver tentato –invano-con l’inglese e un po’ di tedesco, gli scrivesti una lettera in puro latino ciceroniano, con citazioni da Tertulliano… Per questo scelgo il tuo Marziale per salutarti, Vittorio. Sit tibi terra levis. Addio, caro compagno. O, se avete ragione voi credenti, Arrivederci.

Un esempio di come debba essere la politica

scritto da Marisa Rodano

Conoscevo Vittorio da settanta anni. Lo avevo incontrato, se non ricordo male, negli anni quaranta, quando mio marito Franco Rodano e altri ragazzi, convinti che si dovesse fare qualcosa contro il regime fascista, avevano elaborato, con giovanile improntitudine, il manifesto del “Partito dei cooperativisti sinarchici”, sostituito successivamente da quello del “Partito dei comunisti cristiani”. Vittorio era di qualche anno più giovane di noi. Entrò in contatto con il nostro gruppo e cominciò a partecipare all’attività clandestina, (assieme a Paolo Bettini, Vincenzo Romano, Paolo Ciolfi, Tommaso Chiaretti ed altri suoi coetanei) nel corso del 1942. Anche lui venne coinvolto nella retata della polizia fascista che, nel maggio 1943, portò all’arresto di gran parte dei dirigenti del nostro movimento. Venne scarcerato il 4 luglio. Dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, Vittorio fu militante attivo della nuova formazione che aveva sostituito le precedenti, il “Movimento dei cattolici comunisti” e, all’indomani della liberazione di Roma, del Partito della Sinistra Cristiana fino allo scioglimento del partito nel dicembre del 1945.

Nel ’46 Vittorio fu responsabile della Federterra a Teramo: rammento che passai a trovarlo durante una campagna elettorale: vivevano accampati, lui e la moglie nella sede della associazione, che serviva anche di deposito per le sementi e i concimi. Credo non ricevesse alcun compenso; facevano letteralmente la fame e difatti si ammalarono entrambi.

Successivamente, passata la fase dello Sturm und Drang, anche durante gli anni in cui lavorava al Ministero dei trasporti, Vittorio riprese a collaborare con Franco. Scrisse sullo “Spettatore italiano”, sul “Dibattito politico”, (con lo pseudonimo di Valerio Trevi); partecipò alla gestazione e poi alla redazione della “Rivista Trimestrale”, sulla quale, per anni, pubblicò saggi assai importanti. Un contributo determinante di lavoro e di idee: ricordo le interminabili discussioni per approfondire i temi che dovevano esser trattati tra Vittorio, Franco, Claudio Napoleoni, Filippo Sacconi e poi con i giovani: i figli di Franco, Giaime, Giorgio e Paola, Mario Reale, Raffaele D’Agata, Stefano Sacconi e altri. Mi chiedo che cosa avrebbe potuto fare Franco senza la sua preziosa, e davvero insostituibile, collaborazione. La sua importante ricerca sul concetto di lavoro, da Aristotele fino a Marx, uscita a puntate sulla rivista, venne raccolta in un volume della casa editrice Ricciardi.

Dopo la morte di Franco, Vittorio continuò a scrivere sulla “Rivista Trimestrale” e si dedicò con certosina pazienza a valorizzare l’opera di Franco; curò la raccolta delle sue carte e riuscì a far uscire tre volumi di suoi scritti: “Lezioni di storia possibile” (1985) e “Lezioni su servo e signore” (1990), frutto della paziente trascrizione e correzione, dagli appunti e dalle cassette degli allievi, delle lezioni tenute da Franco alla “Scuola Italiana di Scienze Politiche ed Economiche” (SISPE); e “Cattolici e laicità della politica”(1992) in cui scelse e raccolse articoli di Franco usciti su Paese Sera. Pubblicò sistematicamente scritti di Franco sui siti internet cui aveva dato vita e ancora negli ultimi giorni, alla vigilia della sua morte, si stava occupando di quei testi. Non gli sarò mai abbastanza riconoscente per questo suo prezioso lavoro.

Vittorio era una persona straordinaria. Ha avuto una vita ricca e piena, ma difficile, funestata da non pochi dolori familiari, soprattutto la morte immatura della figlia Marina, mamma dell’amata nipote Barbara. Si trovò a dover fare da padre e da madre alle altre due nipotine, il cui padre, figlio di Vittorio, era, poiché capitano di lungo corso, sempre in giro per il mondo. Ma le pesanti incombenze familiari non hanno mai distolto Vittorio dall’impegno politico e dalla costante fatica di coniugarlo con lo studio, la ricerca, l’elaborazione. Fino all’ultimo giorno ha continuato a pensare: stava producendo riflessioni sulla crisi, l’economia, la politica, che restano fondamentali. Aveva una capacità di lavoro senza limiti. Rammento lo stupore e l’ammirazione che provavo sapendo che si svegliava ogni giorno a ore antelucane per mettersi a scrivere. E, nonostante tanti impegni, trovava il tempo per lunghe passeggiate: ricordo le molte spedizioni sui monti attorno a Roma cui anche io mi associavo.

Vittorio non era soltanto un uomo eccezionalmente disinteressato e altruista, un padre e nonno esemplare, e, al tempo stesso, un rigoroso intellettuale; era un militante. Nella crisi crescente della dimensione politica, che analizzava con chiarezza e lungimiranza, fece della solidarietà uno degli scopi della sua vita. Sebbene non avesse una salute di ferro, e soffrisse spesso di malanni, aveva un’energia e un’intraprendenza inesauribili. Ricordo che partiva alla guida della sua automobile per andare in Serbia a portare gli aiuti agli alunni delle scuole e ai lavoratori colpiti dalla guerra e dalla crisi, facendo chilometri e chilometri di strade dissestate. Non contento di questo si dedicò a progetti di cooperazione, a scavo di pozzi, a attività di formazione in sperduti villaggi della Guinea Bissau. Le fotografie che lo ritraggono in queste spedizioni testimoniano l’affetto di cui era circondato dalle persone che riconoscevano in lui un generoso benefattore.Fino all’ultimo giorno della sua vita è stato una fucina di idee e di iniziative, l’ultima “Il picchio a sinistra”. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile. Si può davvero dire che di uomini come lui non ce ne sono più sulla scena italiana. Un esempio di che cosa debba essere la politica, intesa come dedizione a una causa collettiva, che andrebbe fatto conoscere ed indicato come modello alle nuove generazioni.

Per me non solo un compagno, ma l’amico indimenticabile di tutta una vita.

“Sperate ancora…”scritto da Costantino Cea

Vittorio lo conobbi nella prima metà degli anni ’90 –non ricordo esattamente la data- in occasione di un incontro piuttosto affollato che si tenne nella ex sezione romana del PCI Latino-Metronio, in via Sinuessa, divenuta nel frattempo la sede dell’associazione culturale Aldo Pinci, fondata da noi “ingraiani” subito dopo lo scioglimento del partito. Ci era stato segnalato come un compagno preparatissimo, formatosi nel gruppo di Franco Rodano e attualmente tra i pochissimi, se non l’unico, a Roma ad avere conoscenza diretta di quanto stava accadendo nella ex Jugoslavia, in particolare della guerra serbo-bosniaca. Migliori credenziali non potevano esserci; così gli avevamo chiesto di venire a parlarci, di aiutarci a capire la realtà delle cose meglio di quanto riuscissero a fare i media nazionali i cui servizi mandavano, più o meno tutti, un forte odore di ideologia. E lui naturalmente non si fece pregare.

Personalmente, anche se sapevo bene chi fosse stato Franco Rodano e quale fosse stata la sua rilevanza intellettuale e quale peso avesse avuto nell'elaborazione politica del partito, prima di questa occasione, questo Tranquilli non lo avevo mai sentito nominare; e quando ci presentammo devo confessare che lì per lì rimasi come deluso: piuttosto anziano, fragile nel portamento, un po’ trascurato nel vestire, dimesso e un po’ strascicato nel parlare e per giunta con un’accentuata inflessione romanesca, aveva un aspetto d’insieme che il fondo borghese del mio immaginario mi spingeva a pensarlo più come un vecchio bottegaio di periferia che come un esponente di spicco del comunismo romano. I fondi della coscienza, si sa, sono ben difficili da raschiar via; sapendo che esistono, però bisogna solo stare attenti a non agitarli perché rimangano fermi al loro posto e non guastino il sapore dell’intelligenza delle cose. E così feci; e difatti man mano che lo ascoltavo mi rendevo sempre più conto di quanto lucido e penetrante fosse ciò che diceva con il suo tono dimesso, da quale e quanta passione di giustizia fosse spinto verso i più dimenticati, della naturalezza con cui la passione si convertiva in pensiero cosciente e, quindi, in ricerca di azione politica. Non dico che mi commosse, ma ci si avvicinò molto.

Terminata la riunione, ci fermammo ancora a parlare, lui ed io; e mi raccontò della sua Onlus ABC Solidarietà e pace, dei suoi viaggi -continuati fin quasi ad ottant’anni- in villaggi sperduti della Serbia a portare borse di studio e materiale didattico a bambini inermi e affamati; bambini di cui nessuno si prendeva cura e di cui, anzi, in quanto serbi, sembrava riprovevole prendersi cura; quasi che agli occhi del mondo -mi diceva- quei bambini andassero assimilati ai grandi criminali di guerra. Addirittura, una volta aveva avuto per questo un duro scontro verbale con la Morgantini.

Poi ci congedammo; ci eravamo scambiati i numeri di telefono, io avrei poi sottoscritto e mantenuto nel tempo un’adozione a distanza tramite la sua Onlus, ma da allora non avemmo più contatti fino all’autunno del 2006. Questa volta fu lui a telefonarmi invitandomi a leggere alcune sue riflessioni sul concetto di sviluppo e, eventualmente a “buttare giù” le mie riflessioni sul tema. Lo stesso invito era stato rivolto a Raffaele d’Agata e si avviò così una interessante confronto a tre che Vittorio sentì subito l’esigenza di allargare. Nonostante l’età,

con la capacità di iniziativa, la prospettiva e l’entusiasmo di un giovane dirigente convocò alcuni compagni di vecchia data ed organizzò un gruppo di studio e discussione che si riuniva settimanalmente nella casa di Alberto Malavolti e Serena Romagnoli in via Nomentana; oltre me vi partecipavano tra gli altri Raffaele d’Agata, Raul Mordenti, Bruno Roscani, Fabrizio Tenna e, naturalmente, i padroni di casa Alberto e Serena. Anche se la partecipazione era un po’ discontinua, gli incontri erano interessanti; lui tuttavia non ne era soddisfatto: le sinistre, al governo con Prodi, stavano offrendo al paese il peggio di sé spianando la strada all’ultima e più catastrofica fase dell’era Berlusconi; Vittorio ne era seriamente -e giustamente- preoccupato e una sera, parlando di questo gruppo, mi disse: “A Costanti’ qua si sta solo a chiacchiera’!” Uno sfogo d'insofferenza; ma se è vero che l'insofferenza appartiene alla natura dei giovani, dimostrò che Vittorio, a più di ottant'anni, era rimasto giovane; più di me che pure avevo ventidue anni di meno e che gli replicai: “E cos'altro vuoi fare nelle condizioni in cui siamo?” A ripensarci ora me ne vergogno un po', perché lui, al contrario, con la tenacia di sempre cercava ancora la via per tradurre in azione politica la sua idea di giustizia.

Poi il gruppo di via Nomentana morì di morte naturale prima dell'estatre del 2007; lui non si disperò per questo, ma si concentrò sulle opportunità di azione politica offerte oggi dalla rete; fino a convincersi che questo fosse il mezzo ineludibile per dare in vita ed anima ad un movimento capace di raccogliere l'eredità del comunismo. E alle mie perplessità rispondeva: “Questo c'è e questo bisogna imparare ad usare”. Oltre che più giovane, si rivelava così anche più realista e maturo di me.

Nonostante le mie persistenti perplessità, mi chiese comunque, di aiutarlo, insieme a Raffaele, a rivitalizzare il suo sito Katciu martel. Ci mettemmo al lavoro -soprattutto lui- ma vedendo che il sito, che pur pubblicava articoli di grande interesse, continuava ad avere pochi accessi, si rese conto che la rete richiede forme e linguaggi suoi propri e che se si voleva avere visibilità sulla rete, ci si doveva appropriare di queste forme e di questi linguaggi; si trattava insomma di lasciar morire il vecchio Katciu martel e creare un sito del tutto nuovo. Ne discutemmo a lungo lo scorso autunno; poi precettò sua nipote Elisabetta, da lui amatissima al pari degli altri nipoti e pronipoti, nonché esperta informatica e creatrice di siti e da lei, come scolaretti non so quanto bravi, imparammo i rudimenti dell'arte della navigazione attraverso la rete; ed a lei soprattutto si deve l'ideazione grafica de il Picchio a sinistra. Una grafica nuova ed elegante cui si deve in gran parte il successo dell'operazione: più di ottocento accessi negli ultimi tempi: un salto rispetto al centinaio che riusciva a volte a sfiorare il vecchio Katciu martel. Vittorio ne era entusiasta: la sua creatura aveva lasciato definitivamente il porto; poi, improvvisa, la fine. Inaspettata? Sì, perché nonostante i suoi 87 anni ed un corpo che sembrava sempre più sul punto di disfarsi, era difficile associare a Vittorio l'idea della vecchiaia; a leggere le sue numerose mail sembrava, anzi, che per lui il passato non fosse il cumulo del tempo verso cui voltarsi, ma la spinta ad inseguire sempre il futuro; l'ultima, del 24 giugno, indirizzata a Raffaede ed a me, conteneva una rapida disamina delle strettezze in cui versa il governo Monti nonché delle carenze della sua politica e terminava così: “Ci attende un lungo “no ordinary time”. Tempi duri, ma aperti ad esiti per adesso imprevedibili. Eppure, dobbiamo parlarne come meglio possiamo. Una nuova Stalingrado è tra il novero delle possibilità concrete. Voi due non potete saperlo, ma ricordo ben io come a tutta l’umanità si riapri allora il cuore, l’entusiasmo …”

Una bellissima persona

scritto da Tiziana Boari

Ci sono persone e ricordi dei quali si fa fatica a parlare, quasi a volerne custodire gelosamente la bellezza, proteggerla da occhi e orecchi intrusi, dal chiacchiericcio e dal pettegolezzo. Vittorio Tranquilli resta per me una di queste persone. Abbiamo abitato insieme fino a poco tempo prima che ci lasciasse. Oggi considero questo un grande privilegio del quale gli sarò sempre grata. Lo conobbi nel 1996, attraverso l’organizzazione umanitaria InterSOS per la quale mi trovavo a Sarajevo, in Bosnia. Pierluigi Pugliaro, allora direttore dell’organizzazione e legato alla CGIL, si stava preoccupando di far arrivare ai bambini delle scuole di Sarajevo con le quali eravamo in contatto le letterine di scolari romani, uno scambio avviato appunto da Vittorio, ancor prima di fondare ABC Solidarietà e pace, la Onlus della quale sarebbe stato fondatore, animatore e presidente fino alla fine. Arrivato il momento di rimpatriare in Italia, nel giugno-luglio 1996, affidai a Vittorio la “sorveglianza” di una coppia mista, serba e bosniaca, Lula e Boban, che avevo preso sotto le ali protettive dell’organizzazione a Ilidza, la parte di Sarajevo già serba, tornata ad essere sotto amministrazione bosniaca, o meglio della Federazione croato-bosniaca , dopo gli accordi di Dayton. Parlandone in anni successivi scoprimmo di aver partecipato entrambi alla marcia pacifista “Mir sada” , organizzata nel 1993 dai Beati Costruttori di Pace.

Eppure quello che ci ha avvicinato ed unito negli anni seguenti, oltre al profondo impegno pacifista, è stato il comune impegno al fianco della popolazione serba, quella che ci sembrava la più incompresa, la più ingiustamente trattata nel corso del cruento conflitto nei Balcani: i serbi erano il “target”, il “nemico pubblico” costituito per l’intero mondo occidentale che si riferisse all’Alleanza Atlantica e questo ci pareva un po’ sospetto. La ferma convinzione che in tutte le guerre esistano zone grigie e persone da aiutare, a prescindere dalla loro appartenenza etnica e convinzione politica, avevano segnato entrambe. Io ne avevo avuto esperienza come operatrice umanitaria per l’Onu e InterSOS in Africa e Bosnia e poi in altra veste per l’OSCE in Kosovo, dove avevo visto prepararsi e scoppiare una guerra arrogante quanto evitabile; Vittorio era passato per un’altra guerra, la seconda, quella di liberazione dell’Italia dai nazifascisti, come partigiano e anche attraverso il suo dopoguerra, inviato dal sindacato ad organizzare i braccianti e i mezzadri dell’Abruzzo depresso descritto da un altro Tranquilli, quello scrittore che scelse di chiamarsi Ignazio Silone e con il quale, mi raccontò nel corso delle nostre cene fatte di preziosi racconti, a volte si era trovato a tenere comizi nelle stesse piazze abruzzesi. Particolari della sua vita che ebbi modo di apprendere durante il periodo della nostra convivenza. Così cominciai a registrare i suoi racconti serali, dei quali quello che lo entusiasmava ancora molto era la fuga da Brindisi dopo l’8 marzo 1943, quando durante il servizio di leva in Marina, disertò per

tornare al suo gruppo di compagni partigiani a Roma e questo grazie al salvacondotto che gli diede un ufficiale tedesco in ritirata. A raccontare quell’avventura gli brillavano sempre gli occhi e ho ancora ben presente la sua risata un po’ buffa, con quell’entusiasmo quasi infantile che lo rendeva un piacevole e vivace compagno di chiacchierate, passeggiate in montagna e pizzate, ribattezzate da noi “cacciarellate” perché il nostro locale preferito per tali seratine intime o anche rimpatriate familiari di massa sempre fu il ristorante della cooperativa La Cacciarella a Casal Bruciato. Vittorio e’ stato un uomo sobrio, discreto, forse troppo segnato dalla scelta di rigore, sacrificio e solitudine che fece quando andò in Abruzzo, un’esperienza che, a quello che mi confidò, mandò a monte il suo primo ed unico matrimonio, con una cittadina inglese dalla quale ebbe due figli Marina ed Andrea. Non mava interferenze nelle sue scelte, Vittorio… Eppure amava sentirsi accudito : apprezzava molto quando gli preparavo un bel pranzetto e mi induceva in trasgressione complice davanti ad un bicchierino di buon vino o di Rakia a fine pasto. E’ stato certamente un padre amorevolissimo, ma allo stesso tempo immagino possa essere stato una presenza emotivamente ingombrante, una personalità non facile da gestire. Questa sua tendenza a fare tutto da solo , senza altre interferenze femminili, lo portò poi a prendere con sé, crescere e portare all’altare del matrimonio anche le due nipoti Elisabetta e Manuela, le figlie di Andrea, per le quali è stato più di un padre e un sostegno insostituibile fino all’ultimo.

Vittorio mi parlava con grandissimo amore e orgoglio di queste sue nipoti e dei pronipoti Oliviero e Vittorino.Era legatissimo inoltre a Barbara, ed Enrico , i figli di Marina, e ai pronipotini Carlo e Viola Marina, i figli di Barbara e Luciano. Con il nipote Enrico fece il suo primo e ultimo viaggio in Germania, per venirmi a trovare ad Amburgo, dove mi ero trasferita per lavoro dopo il nostro periodo di convivenza romana. Non aveva mai varcato quei confini prima e ora lo faceva per vedere me. Credo di poter andare orgogliosa di questo. Arrivarono nell’aprile del 2010 in auto, fermandosi prima a Trento, poi a Fulda e infine furono miei ospiti una settimana ad Amburgo. Ricordo una bellissima giornata passata a Travemuende sul Mar Baltico: c’era il sole e mangiammo pesce a volontà. Inoltre Vittorio volle andare a Lubecca a vedere la casa di Thomas Mann. Custodisco le foto di quella giornata come un dono prezioso. Per me quel suo viaggio ebbe un significato particolare: ho spesso pensato, stando con lui, al mio zio disperso a Stalingrado, nato nel 1925 come lui ma che io non avevo mai conosciuto. Avevo letto le sue lettere dal fronte orientale, dono della mia zia tedesca, una testimonianza impressionante del dramma di un diciottenne arruolatosi volontario inseguendo falsi miti che scopre mano a mano gli orrori della guerra e finisce “disperso” nell’inferno russo. Per questo l’amicizia con Vittorio mi era particolarmente cara e preziosa: lui aveva fatto scelte opposte, su un altro fronte e queste due figure riassumevano la mia dualità genetica, personale, io che, di mamma tedesca e padre italiano, da quando sono nata vivo tra due mondi. Nel giugno 2011 avrebbe dovuto venire a Berlino, a Bebelsplatz, dove per la festa della Repubblica avevamo organizzato, noi italiani di Germania, un’iniziativa (“Riccendiamo l’Italia”) alla quale avrei voluto che partecipasse. Poi ci

furono problemi di budget per il volo e soprattutto scoprì in quei giorni quell’ospite inatteso e molesto, aggrappato al suo fegato. Un tumore che ha fronteggiato con grande determinazione e coraggio, perché non aveva proprio voglia di mollarla questa vita…. E infatti non è stato lui a portarlo via.

Vittorio non amava spendere per vestirsi. Mi diceva che tanto ci pensavano i parenti a regalargli capi di abbigliamento in occasione dei suoi compleanni. Il suo rapporto direi quasi di negligenza snob con tutto ciò che erano beni materiali un po’ mi innervosiva, io che invece ho un senso per la cura degli oggetti e delle cose. Lui si alzava la mattina alle 4-5 e iniziava a studiare, scrivere. Poi magari si rifaceva un sonnellino alle 8 per risvegliarsi alle dieci. Sacra era la siesta pomeridiana, la sera non bisognava disturbarlo dopo le 21. Questi erano i ritmi del Vittorio ottantenne che ho conosciuto io, ancora capace, a quella veneranda età, di colpi di testa romantici e galanti, come regalarmi una dozzina di rose rosse a stelo lungo, senza un motivo preciso…. Gli sono grata e riconoscente per l’amore e il sostegno che ha saputo trasmettermi in un momento estremamente difficile della mia vita. Per avermi detto che se avesse avuto trent’anni di meno mi avrebbe sposato. E per essere stato un uomo sempre proiettato fino alla fine verso il futuro. Mi stupiva questa sua capacità di guardare sempre avanti, o meglio: di guardare anche indietro ma in funzione di un domani. “La storia” mi disse un giorno, “ prende ad un certo punto delle svolte rapide e inattese. E allora dobbiamo farci trovare pronti, con progetti e idee da realizzare. Per questo è importante elaborare queste idee e questi progetti ora”. Quando ho saputo della sua morte, il dolore è stato profondo, anche se la notizia non mi ha colto impreparata. Da qualche tempo è come se ci stesse facendo capire tra le righe di non avere più troppo tempo. Si stava congedando dal mondo e da noi tutti. Lo prendevo in giro quando mi diceva, alla bella età di 86 anni, di “stare invecchiando” e non si rassegnava al fatto di dover usare il bastone e di non poter più fare le sue amatissime camminate in montagna. Mi consola però la consapevolezza di avergli detto tutto quello che avrei voluto dirgli, di non aver lasciato nulla in sospeso. Caro Vittorio, avrei voluto fare in modo che non fossi da solo nel momento della dipartita, ma forse è questa la conditio humana di noi tutti. E’ stato un privilegio e un onore conoscerti e fare insieme una parte del cammino. Ti porterò sempre con me. Grazie.

Per la fratellanza tra i popoli

Scritto da Andrea Martocchia(da “Contropiano.org – giornale comunista on line)

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus si unisce al cordoglio per la scomparsa del prezioso e indimenticabile compagno Vittorio Tranquilli. Formatosi politicamente alla scuola dei "comunisti cristiani" di Franco Rodano, Vittorio aveva mantenuto fin dopo la fine degli anni Ottanta e dopo lo scioglimento del PCI quella esigenza di impegno sociale e quella impostazione rigorosa che a ogni cosa anteponeva la dignità dell'individuo. Coerentemente con questo imperativo morale, allo scoppio della guerra fratricida in Jugoslavia egli aveva immediatamente riconosciuto l'enorme ingiustizia perpetrata ai danni di milioni di esseri umani dall'altra parte dell'Adriatico ed aveva avuto l'onestà ed il coraggio, mancati a tanti suoi ex-compagni, di andare a guardare anche dall'altra parte della barricata, dai "nemici" serbi, promuovendo da subito iniziative di solidarietà, di conoscenza e di amicizia internazionalista con scuole della Vojvodina (Bačka Topola) e della Repubblica Serba di Bosnia. Era ancora la metà degli anni Novanta quando Vittorio ed altri compagni della capitale avviavano anche le prime iniziative di contro-informazione, per contrastare la propaganda di guerra ed abbattere l'ostracismo razzista imperante nei confronti della parte jugoslava e serba; subito dopo gli accordi di Dayton, Vittorio contribuiva ad organizzare e poi presiedeva una due-giorni di discussione su questi temi all'Università di Roma "La Sapienza" (1).Con il passare degli anni le iniziative di solidarietà aumentavano, ed aumentava in particolare il numero di quelle che lui anziché "adozioni a distanza" preferiva chiamare "borse di studio" attivate dall'Italia a sostegno dei giovanissimi vittime della ferocia dei potenti. Aumentava però purtroppo anche l'estensione di quella guerra scatenata per la distruzione della Jugoslavia, fino ai bombardamenti incostituzionali e criminali del 1999.In quel periodo alcuni di noi hanno fatto scelte di priorità diverse rispetto a Vittorio, concentrandosi di più sugli aspetti politici e sulla critica alla disinformazione strategica, laddove Vittorio intensificava instancabilmente, nonostante l'età oramai avanzata, le iniziative di solidarietà umanitaria, allargandone anche lo spettro dei beneficiari. Altri, tra di noi, hanno invece incontrato Vittorio e la sua onlus "A, B, C, solidarietà e pace" (2) proprio allora, dopo il '99, e con Vittorio e la sua associazione hanno intrapreso una collaborazione efficace, ad esempio a sostegno delle famiglie degli operai ed ex operai della Zastava di Kragujevac, la grande fabbrica metalmeccanica dapprima bombardata e poi espropriata dalla FIAT. Tutti noi - sia chi negli anni ha perso di vista il "vecchio" Vittorio, sia chi invece lo ha sempre di più affiancato nelle iniziative di solidarietà - siamo certi che gli amici di "A, B, C, solidarietà e pace" e tutti quelli lo hanno conosciuto ne continueranno l'opera con lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di fratellanza fra i popoli che egli ci ha insegnato.

(1) http://www.cnj.it/documentazione/DOSSIER96/Pages/62.html

(2) http://www.abconlus.it/

È morto “Superdeka” (Supernonno)

scritto dal Sindacato Unitario Zastava (Kragujevac, Serbia) e da “tutti i bambini adottati dall’Associazione A, B, C, Solidarietà e pace)

Ci ha profondamente colpito notizia triste sulla scomparsa di “nostro supernonno” come lo chiamavano i bambini e ragazzi della grande famiglia della Zastava.L’abbiamo conosciuto nel ’99 mentre le bombe e missili colpivano il nostro paese quando è venuto tra i primi assieme alla sua delegazione per mostrarci che oltre le frontiere bloccate c’era una parte d’Italia che ci era vicina e che aveva rifiutato di accettare le bugie servite nella guerra massmediatica, l’Italia che richiedeva il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione italiana.Gia dal ’99 “il nostro” Vittorio Tranquilli era diventato nonno di tutti i ragazzi, non solo di Kragujevac ma anche di parecchie città in Serbia, Bosnia, Republika Srpska e fino all’Africa.E morta la Jugoslavia, e morta la Zastava, anche tu caro nonno sei andato al tuo ultimo viaggio ma noi ci ricorderemo per sempre di te...Ti vogliamo bene

Vittorio Tranquilli il volontario delle idee

Scritto da Luigi Accattoli (“Corriere della sera”, 12 giugno 2012

A 87 anni è morto ieri Vittorio Tranquilli: romano di grande cultura, contestatore di ogni ufficialità, volontario irriducibile in soccorso ai poveri della Bosnia, della Guinea Bissau e del Brasile. Aveva fatto parte, ventenne, del Partito della Sinistra Cristiana di Franco Rodano, restando poi sempre un uomo di sinistra e spesso di quella più indocile, ma senza legarsi a nessuna organizzazione. Lo spirito anticonformista gli aveva suggerito il titolo del sito internet di cui era animatore: “Il Picchio a sinistra”. Si divertiva a spiegarne il significato citando Karl Marx che nel saggio sull' alienazione descrive la rivoluzione con la metafora della «vecchia talpa che scava rapidamente» e sbuca – aggiungeva Vittorio – “dove meno te l' aspetti”.

Da quando aveva lasciato il lavoro al ministero dei Trasporti, Tranquilli aveva iniziato a occuparsi di volontariato con l' associazione “ABC Solidarietà e pace” (è stato tra i fondatori), che porta aiuti a paesi martoriati dalla guerra o dalla fame. Anche quando l' età l' aveva costretto all' uso del bastone aveva continuato a viaggiare e a scrivere saggi sui popoli che andava ad aiutare. E' del 2003 un suo studio sul cristianesimo africano – intitolato “Una visita in Guinea Bissau” - che si può leggere nel sito internet dei Circoli Dossetti.

Anche nel volontariato è stato un battitore libero. Quando tutti andavano a soccorre i croati e i musulmani, lui portava aiuto ai serbi. Il suo volontariato era laico, pur essendo egli di formazione cattolica e pur avendo un' ottima conoscenza delle Scritture. “Cerco di aiutare chi è dimenticato da tutti” lo sentii dire una volta. Iniziò con il movimento “Beati i costruttori di pace” ma subito si mise in proprio, collaborando con i missionari dell' Africa e del Brasile, in particolare quelli del Pime, ma senza legarsi a loro e criticandoli volentieri. Forse il suo testo più impegnativo - di storia delle dottrine politiche - è quello intitolato Il concetto di lavoro in Calvino, pubblicato a capitoli dalla Rivista trimestrale lungo gli anni ' 70. Nel primo capitolo di quel saggio egli cita - si direbbe in tempo reale - il teologo Joseph Ratzinger di “Introduzione al cristianesimo”, che era stato appena tradotto in italiano dalla Queriniana (1971).

Interprete fedele di una grande lezionescritto da Giovanni Tassani

Conobbi Vittorio il 27 settembre 1978, quando mi recai, per la seconda volta, dopo un anno, a trovare Franco Rodano a Monterado. Avevo spedito a Franco il mio testo sui cattolici comunisti negli anni cinquanta che sarebbe uscito, a dicembre, come studio del mese del Regno, e poi come introduzione al libretto EDB dallo stesso titolo. Vittorio era a fianco di Franco: aveva letto anche lui il testo, che mi venne restituito senza nessuna correzione, salvo l’eliminazione di un inciso. Stante il perfezionismo di Franco era un successo. Vittorio mi prestò poi la sua collezione del “Dibattito politico” che mi serviva per quello che anni dopo fu il mio libro sulla “terza generazione”. Libro che recensirà sul Nuovo Spettatore, ponendolo in relazione col precedente.

Da collaboratore stretto, dopo la morte di Franco Vittorio divenne il conservatore e l’ordinatore del suo archivio, conservato in via di Porta Latina: funzione importante poiché Franco conservava solo le cose da lui ritenute più importanti e significative. A me, ovviamente con il consenso dei familiari Rodano, Vittorio fornì sempre fotocopia di tutto quanto gli chiedevo. C’era un rapporto di perfetta collaborazione, anzi di più: avevo la sensazione che fosse lieto e compiaciuto nel potermi aiutare nella “causa comune”, che era quella di mantener viva la memoria di Franco.

Subito dopo la morte di Franco si mise con lena a sbobinare le lezioni registrate alla Sispe, e conservate in una cassa ma mai più sentite da alcuno, cominciando dalle prime: io mi detti da fare a trovare l’editore in Marietti, tramite Perrone e don Balletto, che dettero in lettura preventiva il testo a Giovanni Miccoli, che poi mi confermò la scelta positiva. La curatela di: “Lezioni di storia possibile”, in cui compaiono insieme i nostri nomi, in realtà è di Vittorio: io mi limitai a scrivere il profilo di Franco. Ma i Rodano e Vittorio ci tenevano ad associarmi, grati per quanto stavo facendo: è sempre della primavera ’86 l’uscita per La Locusta delle “Lettere dalla Valnerina”, che trovai io.

Il Vittorio degli anni più recenti credo di capirlo, anche alla luce del breve ricordo ieri sul manifesto: tra la realpolitik di D’Alema che fa bombardare Belgrado e l’etica del soccorso agli ultimi, Vittorio ha scelto questa. E del resto la “lezione” rodaniana appartiene ormai al passato.

Vittorio ha comunque continuato a sbobinare le lezioni alla Sispe di Franco. Ci sentimmo, ma solo via mail, nel giugno 2008, quando gl’inviai il mio testo inedito su Franco da me tenuto all’Università Europea (che volle pubblicare sul suo sito e che mi disse era piaciuto a Marisa). Mi chiese se avessi potuto trovare un editore per le lezioni di Franco, ma tu sai quanto è difficile oggi, rispetto a trent’anni fa, pubblicare certe cose. Vedo che ha continuato a pubblicare allora quelle lezioni sul sito.

Di Vittorio va ricordato, oltre alla fedeltà intellettuale e umana a Franco (quasi una duplicazione, al punto che all’epoca del Dibattito politico, quando si presentò a Pajetta questi gli disse sorpreso: “Ma allora esisti!”, avendo pensato fino ad allora che Vittorio Tranquilli fosse uno dei tanti pseudonimi di Franco), il libro che Franco volle far pubblicare da Ricciardi, la casa editrice di riferimento di Mattioli: “Il concetto di lavoro da Aristotele a Calvino”. Un vero classico.