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Sentenze in programma nel corso di Diritto Amministrativo I aa. 2017/2018 Gli studenti dovranno portare all’esame le seguenti sentenze, inserite nel volume a cura di G. Corso – G. Fares, Il provvedimento amministrativo nella giurisprudenza, Giappichelli, 2011: n. 1 Cons. St., sez. V, n. 6170/2009 n. 3 Corte cost., n. 115/2011 n. 7 Corte cost., n. 208/1992 n.11 Corte cost., n. 453/1990 n. 13 Corte cost., n. 104/2007 n. 27 Corte cost. n. 310/ 2010 Dovranno inoltre studiare le sentenze di seguito allegate: T.A.R. Lazio, Roma sez. I, 9 maggio 2017, n. 5572 T.A.R. Abruzzo, Pescara sez. I, 19 febbraio 2015, n. 84 T.A.R. Trantino Alto Adige, Bolzano sez. I, 24 maggio 2017, n. 165 Consiglio di Stato - Sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341

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Sentenze in programma nel corso di Diritto Amministrativo I aa. 2017/2018

Gli studenti dovranno portare all’esame le seguenti sentenze, inserite nel volume a cura di G. Corso – G. Fares, Il provvedimento amministrativo nella giurisprudenza, Giappichelli, 2011:

n. 1 Cons. St., sez. V, n. 6170/2009

n. 3 Corte cost., n. 115/2011

n. 7 Corte cost., n. 208/1992

n.11 Corte cost., n. 453/1990

n. 13 Corte cost., n. 104/2007

n. 27 Corte cost. n. 310/ 2010

Dovranno inoltre studiare le sentenze di seguito allegate:

T.A.R. Lazio, Roma sez. I, 9 maggio 2017, n. 5572

T.A.R. Abruzzo, Pescara sez. I, 19 febbraio 2015, n. 84

T.A.R. Trantino Alto Adige, Bolzano sez. I, 24 maggio 2017, n. 165

Consiglio di Stato - Sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341

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Archivio selezionato: Sentenze T.A.R.

Autorità: T.A.R. Roma sez. IIData: 09/05/2017n. 5572

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 15425 del 2016, proposto da: Sf. Srl, Ditta Individuale Pirotecnica MI.VA. di Co. Br., DP Group Srl, Ditta Individuale Pirotecnica St. No., Ditta Individuale La Pirotecnica di Em. Bo., Ditta Individuale Or. An., Ditta Individuale Pr. Mu. Ad., in persona, rispettivamente, dei legali rappresentanti p.t. e dei titolari, rappresentate e difese dall'avvocato Marcello Giuseppe Feola, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Ciavarella, domiciliata presso l'Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, 21; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; e con l'intervento di ad opponendum: Codacons, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso lo studio Ufficio Legale Nazionale del Codacons in Roma, viale Mazzini, 73; per l'annullamento dell'ordinanza sindacale n. 145 del 22.12.2016, con la quale, a far data dal 29.12.2016 e fino alle ore 24.00 del 01.01.2017, è stato disposto su tutto il territorio di Roma Capitale il divieto assoluto "di usare materiale esplodente, utilizzare fuochi artificiali, petardi, botti, razzi e simili artifici pirotecnici e in genere artifici contenenti miscele detonanti ed esplodenti"; "di usare materiale esplodente anche cd. declassificato a meno di metri 200 dai centri abitati, dalle persone e dagli animali"; di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell'Avvocatura Generale dello Stato; Visto l'atto di intervento ad opponendum del Codacons; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2017 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: Fatto FATTO e DIRITTO 1. Roma Capitale, con ordinanza sindacale n. 145 del 22 dicembre 2016, ha ordinato, a far tempo del giorno 29 dicembre 2016 e fino alle ore 24.00 del giorno 1° gennaio 2017, nel territorio di Roma Capitale, il divieto assoluto di:usare materiale esplodente, utilizzare fuochi artificiali, petardi, botti, razzi e simili artifici pirotecnici e in genere artifici contenenti miscele detonanti ed esplodenti;

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usare materiale esplodente anche c.d. "declassificato" a meno di metri 200 dai centri abitati, dalle persone e dagli animali.Il provvedimento è stato adottato, visti, tra gli altri gli artt. 50 e 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000,premesso che:in occasione della festa di Capodanno è consuetudine utilizzare petardi, botti, razzi e simili, nonché altri artifici pirotecnici;tutti gli articoli pirotecnici, anche quelli c.d. "declassificati", cioè potenzialmente non pericolosi, posti in libera vendita, contengono sostanze esplosive e che, oltre a liberare sostanze inquinanti, producono calore, effetti luminosi e sonori;ogni anno l'uso dei botti provoca incidenti con danneggiamenti a cose e lesioni anche gravi a persone e animali;in particolare, negli animali domestici e nella fauna selvatica detto uso provoca reazioni di disorientamento, paura e altri comportamenti incontrollati che possono determinare situazioni di pericolo per la pubblica incolumità nonché per gli animali stessie considerato che:sussiste l'urgente necessità di adottare misure idonee a garantire l'incolumità pubblica, la sicurezza urbana, la protezione degli animali e assicurare le necessarie attività di prevenzione attraverso la limitazione dell'uso dei botti e dei fuochi d'artificio sul territorio comunale.Le ricorrenti, che espongono di essere da anni titolari di attività di vendita al dettaglio di prodotti pirotecnici nel Comune di Roma, in virtù di regolari autorizzazioni prefettizie e comunali, hanno formulato avverso detto atto le seguenti doglianze:l'art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000 condizionerebbe l'esercizio del potere sindacale extra ordinem ad una serie di rigorosi presupposti, limiti e condizioni, da accertare attraverso un'accurata attività istruttoria, con riferimento alla specificità del caso concreto, da esternare in una minuziosa motivazione, mentre, nel caso di specie, ciò non sarebbe avvenuto;non sarebbe stato accertato, attraverso un'adeguata istruttoria, alcun pericolo serio, concreto ed imminente e ciò in quanto i prodotti pirotecnici "legali" garantirebbero di per sé adeguati standard di sicurezza, compreso il livello di rumorosità;il divieto riguarderebbe irragionevolmente tutti i fuochi d'artificio, di ogni specie e genere, a prescindere dalla pericolosità, e indistintamente tutto il territorio del Comune di Roma, sicché sussisterebbe una sproporzione tra la finalità perseguita e la misura inibitoria adottata;la consuetudine di utilizzare, in occasione della festa di Capodanno, petardi, botti, razzi ed altri artifici pirotecnici, sarebbe per definizione prevedibile ed in quanto tale sarebbe fronteggiabile con i rimedi ordinari dell'ordinamento giuridico, laddove il ricorso all'ordinanza contingibile ed urgente si configurerebbe quale extrema ratio dell'ordinamento, vale a dire quale rimedio straordinario che l'amministrazione ha a disposizione per fronteggiare situazioni eccezionali ed imprevedibili, non altrimenti governabili;le disposizioni legislative di cui al d.lgs. n. 123 del 2015 assoggetterebbero le attività di produzione, vendita ed uso dei prodotti pirotecnici alla cogente ed inderogabile osservanza di una serie di rigorose prescrizioni e regole, tutte poste a tutela della pubblica e privata incolumità, mentre il provvedimento impugnato inibirebbe indistintamente l'utilizzo di tutti i prodotti pirotecnici, anche di quelli a pericolosità "zero", su tutto il territorio comunale;il divieto indiscriminato dei prodotti pirotecnici legali non potrebbe che comportare, secondo un ragionevole giudizio prognostico, l'effetto di incentivare la vendita e l'utilizzo di quelli illegali;il provvedimento impugnato sarebbe stato unilateralmente predisposto dall'organo sindacale, ma non sarebbero state consultate le categorie e le professionalità incise dal divieto, né l'ordinanza sarebbe stata preventivamente comunicata al Prefetto, in violazione di quanto espressamente stabilito dall'art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000.L'Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito il difetto di legittimazione passiva nel giudizio del Ministero dell'Interno.Roma Capitale e l'interventore ad opponendum Codacons hanno analiticamente contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.Il Presidente di questa Sezione, con decreto monocratico 28 dicembre 2016, n. 8302, ha accolto l'istanza cautelare con la seguente motivazione:"Considerato che, nella specie, sussistono le condizioni per disporre l'accoglimento dell'istanza anzidetta nelle more della celebrazione della camera di consiglio, atteso che il provvedimento impugnato, nella sommaria delibazione propria della presente sede cautelare, non appare sorretto da un'idonea istruttoria né, tantomeno, da una sufficiente motivazione, tenuto in particolare conto che trattasi di un'ordinanza contingibile ed urgente che inibisce l'uso di qualsivoglia tipologia di materiale esplodente, per giunta sull'intero territorio comunale".Lo stesso Presidente, con successivo decreto cautelare monocratico 30 dicembre 2016, n. 8318, ha dichiarato inammissibile l'istanza formulata dal Codacons di "specificazione delle modalità di esecuzione" del decreto n. 8302 del 2016 con la seguente motivazione:"Ritenuto che l'istanza in esame sia irrituale alla stregua dell'art. 56 del codice del processo amministrativo, atteso, in ogni caso, che la disposta sospensione del provvedimento sindacale non modifica minimamente il quadro normativo preesistente all'ordinanza stessa, con riguardo tanto alle modalità di commercializzazione quanto quelle di utilizzo del materiale esplodente".

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Alla camera di consiglio del 25 gennaio 2017, fissata per la trattazione collegiale, la domanda cautelare è stata cancellata dal ruolo.All'udienza pubblica del 5 aprile 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.2. Il Collegio, in via preliminare, dispone l'estromissione dal giudizio del Ministero dell'Interno, soggetto estraneo alla presente vicenda contenziosa atteso che gli organi comunali rispondono in proprio anche per gli atti emessi nell'esercizio di poteri statali e che l'ordinanza non risulta essere stata preventivamente comunicata al Prefetto.3. L'interesse al ricorso, nonostante sia consumato il periodo di tempo entro il quale l'ordinanza sindacale avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti, continua a persistere.Il Collegio rileva che nel giudizio amministrativo la valutazione di sopravvenuta carenza di interesse deve essere accertata dal Collegio giudicante obiettivamente e con il dovuto rigore, al fine di evitare che la conseguente dichiarazione di improcedibilità si risolva in una elusione dell'obbligo di pronunciare sulla fondatezza della domanda proposta (Cons. Stato, V, 19 giugno 2013, n. 3343).L'interesse al ricorso consiste in un vantaggio pratico e concreto, anche soltanto eventuale o morale, che può derivare alla parte ricorrente dall'accoglimento dell'impugnativa.Nella fattispecie in esame, al di là dell'eventuale annullamento dell'atto impugnato, l'interesse sostanziale dedotto in giudizio può ritenersi costituito, trattandosi di provvedimenti il cui contenuto precettivo è reiterabile, anche dall'esigenza di evitare che atti di analogo contenuto siano posti in essere in futuro e tale specifico interesse è connesso alla c.d. efficacia conformativa della sentenza, efficacia che, in caso di declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del ricorso e, quindi, di sentenza in rito, non potrebbe mai venire in essere (cfr. sull'argomento TAR Lazio, Seconda, 9 febbraio 2016, n. 1882; Tar Lazio, Prima, 13 febbraio 2012, n. 1432).La procedibilità, pertanto, discende dalla oggettiva considerazione che l'utilità perseguita dalla parte ricorrente con l'eventuale accoglimento del ricorso può essere individuata non solo nell'annullamento del provvedimento impugnato, ma anche nell'efficacia conformativa del successivo esercizio del potere pubblico e, sotto tale profilo, non sussiste dubbio che la sentenza resa in ordine alla presente controversia possa essere idonea ad attribuire tale utilità, così come non sussiste dubbio che la stessa amministrazione resistente, per quanto possa rilevare in una giurisdizione che comunque resta di diritto soggettivo a tutela di posizioni giuridiche individuali, ha certamente interesse all'accertamento giurisdizionale delle questioni proposte al fine di orientare correttamente la propria successiva attività.4. Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di quanto di seguito evidenziato.L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 27 aprile 2015, n. 5, ha ritenuto che, in assenza della graduazione operata dalla parte, in ragione del particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato al controllo sull'esercizio della funzione pubblica, il giudice stabilisce l'ordine di trattazione dei motivi sulla base della loro consistenza oggettiva (radicalità del vizio) nonché del rapporto corrente fra gli stessi sul piano logico - giuridico e diacronico procedimentale.La Sindaca del Comune di Roma Capitale ha adottato una ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui il Sindaco, quale ufficiale di Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.I presupposti essenziali per la legittima adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente sono individuabili nella sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall'ordinamento, nella provvisorietà e temporaneità degli effetti e nella proporzionalità del provvedimento (ex multis: Cons. Stato, V, 26 luglio 2016, n. 3369; Cons. Stato, III, 29 maggio 2015, n. 2697; Cons. Stato, VI, 31 ottobre 2013, n. 5276).Ne consegue che non è legittimo adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili, le quali, invece, potrebbero essere utilmente fronteggiate e disciplinate con i mezzi ordinari.La particolare situazione che si viene a creare durante la c.d. festa di Capodanno, che costituisce evento effettivamente eccezionale ed obiettivamente pericoloso per la concentrazione dell'uso degli artifici pirotecnici in un arco temporale ristretto, può ritenersi fatto notorio, tanto da essere definita come "consuetudine" nella stessa ordinanza impugnata, e perciò non può ritenersi imprevedibile, per cui ben avrebbe potuto e potrebbe essere disciplinata con gli ordinari strumenti previsti dall'ordinamento.In conclusione, l'assenza di imprevedibilità della situazione disciplinata con l'ordinanza contingibile ed urgente rende fondata la relativa censura e, assorbite le ulteriori doglianze in ragione della maggiore pregnanza del vizio di legittimità esaminato e dello sviluppo logico e diacronico del procedimento, determina l'accoglimento del ricorso e l'annullamento dell'impugnata ordinanza, salve le ulteriori determinazioni che, nell'esercizio della propria potestà discrezionale, l'amministrazione comunale vorrà eventualmente adottare per fronteggiare in futuro, avvalendosi dei mezzi ordinari messi a disposizione dall'ordinamento, le situazioni di criticità riscontrate, a tutela dei delicati interessi pubblici che vengono in rilievo.5. Le spese del giudizio, considerata la peculiarità della fattispecie, possono essere compensate tra le parti.Diritto PQM P.Q.M.

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, disposta l'estromissione dal giudizio del Ministero dell'Interno, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla l'impugnata ordinanza sindacale n. 145 del 22 dicembre 2016.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:Antonino Savo Amodio, PresidenteSilvia Martino, ConsigliereRoberto Caponigro, Consigliere, EstensoreDEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 09 MAG. 2017.NoteUtente: bibli01 L.U.M.S.A. BIBLIOTECA - www.iusexplorer.it - 15.11.2017

© Copyright Giuffrè 2017. Tutti i diritti riservati. P.IVA 00829840156

Autorità: T.A.R. Pescara sez. IData: 19/02/2015n. 84Classificazioni: CONCORSI A PUBBLICI IMPIEGHI - Procedimento di concorso - - impugnabilità degli atti

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 316 del 2014, proposto da: Gi. D'A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Presutti e Carlo Costantini, con domicilio eletto presso Luca Presutti in Pescara, Via Firenze, 117; contro Asl n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti, rappresentata e difesa dall'avv. Antonella Bosco, con domicilio eletto presso Maria Di Tillio in Pescara, Via C.Battisti, 229; nei confronti di - Al. Pa. e Lu. Ma., rappresentati e difesi dall'avv. Patrizia Cartone, con domicilio eletto presso Marcello Russo in Pescara, Via delle Caserme, 85; - Mi. Ca., Er. Ma., Il. Pa., Lu. Sc., Ra. Tu., Gi. Ra., Co. Na., Ma. Co., An. Co., Fr. Fa., Ax. Ma., Em. Ma., Ad. La., El. Di Re., Il. St., tutti non costituiti in giudizio; per l'annullamento della deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, con la quale il Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti ha approvato gli atti del concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario - ortottista; nonché degli atti presupposti e connessi, tra cui gli atti di nomina della commissione giudicatrice. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Asl n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti, di Al. Pa. e di Lu. Ma.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il dott. Michele Eliantonio e uditi gli avvocati Luca Presutti e Carlo Costantini per la parte ricorrente, l'avv. Antonella Bosco per l'amministrazione resistente e l'avv. Patrizia Cartone per i controinteressati; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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Fatto FATTO L'attuale ricorrente riferisce di aver partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalla ASL di Lanciano-Vasto-Chieti per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario - ortottista, ma di essere stata esclusa dalla selezione pubblica per non aver superato la prova scritta.Con il ricorso in esame ha impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, la deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di approvazione della graduatoria e degli atti del concorso pubblico in questione.Ha dedotto le seguenti censure:1) che il Presidente della Commissione giudicatrice (dr. Pe.) avrebbe dovuto astenersi in quanto la dr.ssa Ma., classificata al quarto posto, è fidanzata da cinque anni con il proprio figlio ed il dr. Pa., classificato al primo posto, opera professionalmente presso lo studio privato del dr. Pe. sito nel Comune di Francavilla al Mare;2) che era stato violato il principio della segretezza delle tracce d'esame, in quanto l'argomento estratto ("aprasia di Cogan") era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa Ma. ed il dr. Pa.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d'esame; tali elaborati, peraltro, risultano copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria; mentre l'altra vincitrice del concorso (la dr. Ma., classificata al secondo posto) aveva confuso nel proprio elaborato il termine "aprasia" con "aplasia";3) che, pur essendo stato nominato un membro supplente, il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di Nu. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La Ci., ortottista della ASL, che non ha reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità; pur avendo svolto alcune partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La Ci. e Su., che prestano servizio presso la stessa struttura, non si sono astenute;4) che durante la prova scritta i partecipanti al concorso avevano comunicato tra di loro ed anche con l'esterno a mezzo di cellulari.Tali doglianze sono state ulteriormente illustrate con memoria depositata il 12 gennaio 2015 e con memoria di replica depositata il 22 gennaio 2015.La ASL di Lanciano-Vasto-Chieti si è costituita in giudizio ed, oltre a depositare tutti gli atti del procedimento, con memorie depositate il 17 novembre 2014 ed l'8 ed il 21 gennaio 2015, ha pregiudizialmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, dato che la ricorrente non aveva superato la prova scritta; inoltre, ha diffusamente contestato il fondamento delle censure dedotte.Si sono anche costituiti in giudizio i due vincitori del concorso in parola (il dr. Pa. e la dr. Ma.), i quali, dopo aver anch'essi eccepito l'inammissibilità del ricorso, hanno diffusamente difeso la legittimità degli atti impugnati.Il ricorso è stato notificato anche a tutti i candidati inseriti nella graduatoria finale, che non si sono costituiti in giudizio.Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta a decisione.Diritto DIRITTO 1. - Con il ricorso in esame - come sopra esposto - l'attuale ricorrente, che ha partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalla ASL di Lanciano-Vasto-Chieti per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario-ortottista, ha impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, la deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di approvazione della graduatoria e degli atti del concorso pubblico in questione.La ricorrente, che non aveva superato la prova scritta, chiede nella sostanza l'annullamento dell'intera procedura concorsuale innanzi tutto per l'illegittima - a suo dire - composizione della commissione esaminatrice in quanto:a) il Presidente della Commissione giudicatrice (il dr. Do. Pe.) avrebbe dovuto astenersi dato che:- la dr.ssa Ma., classificata al quarto posto, è fidanzata da cinque anni con il proprio figlio Fr. Pe.;- il dr. Pa., classificato al primo posto, opera professionalmente presso lo studio privato del dr. Pe. sito nel Comune di Francavilla al Mare;b) il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di Nu. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La Ci., ortottista della ASL, pur essendo già stato nominato un membro supplente; tale membro della commissione, inoltre, non aveva reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità;c) pur avendo svolto alcuni partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La Ci. e Su., che prestano servizio presso tale struttura, non si erano astenuti.Chiede, inoltre, la ripetizione della prova scritta in quanto durante lo svolgimento di tale prova i partecipanti al concorso avevano comunicato tra di loro ed anche con l'esterno a mezzo di cellulari.Deduce, infine, che era stato violato il principio della segretezza delle tracce d'esame, in quanto l'argomento estratto ("aprasia di Cogan") era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa Ma. ed il dr. Pa.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d'esame; tali elaborati, peraltro, risultano copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria;

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mentre l'altra vincitrice del concorso (la dr. Ma., classificata al secondo posto) aveva confuso nel proprio elaborato la "aprasia" con la "aplasia".2. - In via pregiudiziale il Collegio deve farsi carico di esaminare le eccezioni di rito dedotte dalle parti resistenti, con le quali è stata dedotta la carenza di interesse della ricorrente all'impugnativa, per non avere questa superato la prova scritta. Ad avviso delle resistenti, in estrema sintesi, la c.d. prova di resistenza impedirebbe alla ricorrente di conseguire alcuna utilità dall'accoglimento del ricorso.Tali eccezioni sono prive di pregio.Va, invero, sul punto evidenziato che ove i vizi dedotti - sopra riassunti alle lettere a), b) e c) - fossero fondati l'illegittima composizione della commissione giudicatrice imporrebbe la ripetizione dell'intera procedura concorsuale, tra cui anche della prova scritta che la ricorrente non ha superato. Inoltre, la denunciata violazione del principio della segretezza delle tracce d'esame e l'illegittimo espletamento della prova scritta (per l'ipotizzata comunicazione da parte dei partecipanti al concorso tra di loro e con l'esterno) sarebbe anch'essa idonea, per altro verso, ad imporre la rinnovazione della prova scritta, alla quale la ricorrente potrebbe di nuovo partecipare.Quanto, poi, alla violazione dell'obbligo di astensione da parte di membri della commissione giudicatrice ed all'impugnativa dell'atto di nomina della commissione giudicatrice di un pubblico concorso, va ricordato che - così come costantemente precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. per tutti e da ultimo T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. II, 12 dicembre 2013 n. 2441, e sez. III, 14 settembre 2012 n. 1873) - tale atto non era impugnabile ex se, ma solo unitamente all'atto che per il singolo candidato ha determinato la conclusione della procedura concorsuale, dato che con l'approvazione della graduatoria si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dei partecipanti non vincitori.Costituisce, invero, principio consolidato in tema di pubblici concorsi (come del resto, in tutte le pubbliche selezioni) quello secondo cui l'interessato è tenuto ad impugnare gli atti conclusivi della procedura, pena l'improcedibilità dell'impugnativa. Ciò in quanto, in assenza dell'impugnativa dei predetti atti conclusivi (cioè, dell'approvazione della graduatoria del concorso e della nomina dei vincitori), l'interessato non avrebbe alcuna utilità dall'eventuale conclusione favorevole del gravame proposto avverso l'atto di nomina della Commissione di concorso e quelli relativi allo svolgimento e alla correzione delle prove scritte (T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III, 4 dicembre 2013, n. 10473).E sul punto va rilevato che correttamente e nel rispetto dei termini decadenziali (decorrenti per la ricorrente dalla data della sua esclusione dalla procedura concorsuale) sono stati ritualmente impugnati gli atti sopra indicati.3. - Una volta giunti a tale conclusione, possono utilmente esaminarsi le censure dedotte con il gravame.In via pregiudiziale vanno esaminate le doglianze con le quale la ricorrente ha dedotto che il dr. Do. Pe. (presidente della Commissione giudicatrice) avrebbe dovuto astenersi in quanto la dr.ssa Ma. era fidanzata da cinque anni con il proprio figlio Fr. Pe. ed in quanto il dr. Pa. operava professionalmente presso lo suo studio privato del dr. Do. Pe. sito nel Comune di Francavilla al Mare.Relativamente alla sussistenza in punto di fatto dei predetti rapporti, la parte ricorrente quanto alla dr.ssa Ma. ha versato in giudizio delle foto che ritraggono la concorrente con il figlio del presidente della commissione; mentre si è semplicemente limitata ad affermare, in quanto atto notorio, l'esistenza di rapporti professionali tra il dr. Pa. e lo stesso presidente della commissione.Nel costituirsi in giudizio i controinteressati hanno nella sostanza dedotto che tali circostanze di fatto erano sfornite dell'imprescindibile supporto probatorio. Si è, inoltre, dedotto quanto alla dr.ssa Ma. che "per quanto è dato sapere" tale rapporto non era rilevante, dato che era azzardato sostenere che la concorrente in questione fosse anche " commensale abituale" con il dr. Do. Pe. o che lo stesso l'avesse mai conosciuta; inoltre, si è affermato che non vi era prova certa della convivenza o della stabilità del rapporto, uniche circostanza che avrebbe potuto, in ipotesi, avere rilievo in questa sede. Quanto al dr. Pa. si è, invece, affermato che questi aveva "usufruito del supporto logistico di diversi studi medici ... per le visite dei suoi pazienti" "senza alcun rapporto di collaborazione professionale, né di dipendenza contrattuale, ma con contratto autonomo con il paziente sia di carattere sanitario, che di fatturazione economica", per cui non avrebbe potuto "assolutamente definirsi né amico, né collaboratore del dr. Pe."; in definitiva, si è escluso che vi fosse mai stato un rapporto professionale "né di collaborazione, né di dipendenza tra il dr. Pe. ed il dr. Pa.".L'Azienda USL, a sua volta, senza aver preventivamente svolto alcuna ulteriore attività amministrativa interna al fine di accertare la veridicità di quanto denunciato, si è limitata anch'essa ad evidenziare che le predette circostanze erano "presunte ed indimostrate".Rileva il Collegio che - come è pacifico in giurisprudenza (cfr. per tutti Cons. St., sez. V 22 dicembre 2014 n. 6222 e 28 luglio 2014 n. 3973) - anche nel processo amministrativo vige il principio generale dell'onere della prova, stabilito in termini generali dall'art. 2697 cod. civ., secondo cui chi avanza una pretesa deve fornire la prova del fatto che la costituisce, con la conseguenza che i più ampi poteri istruttori riconosciuti al giudice amministrativo possono essere esercitati anche su sollecitazione delle parti, solo in ragione dell'incompletezza dell'istruttoria predisposta dalle stesse parti, ma non già allorquando una specifica deduzione non sia stata formulata ovvero nessuna prova (o, meglio, nessun inizio di prova) sia stato effettivamente fornito circa la verosimile fondatezza delle proprie tesi difensive.Va, inoltre, ricordato che l'art. 64 del codice del processo amministrativo dispone testualmente che "spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità" e che il giudice possa porre a fondamento della decisione oltre alle prove fornite dalle parti anche "i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite" (così come del resto oggi disposto per il processo civile dal nuovo testo dell'art. 115 del c.p.c.).

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In base a tale normativa, cioè, per un verso la parte ricorrente deve fornire la prova - anche in via presuntiva (Cons. St, sez. III, 12 gennaio 2015, n. 28, sez. V 22 dicembre 2014 n. 6233, e come anche di recente affermato da questa stessa Sezione con sentenza 30 aprile 2014 n. 204) - di tutti gli elementi sui quali si fonda la pretesa dedotta, e per altro verso le parti resistenti hanno l'onere di "specificatamente" contestare i fatti dedotti, con la conseguenza che da tale mancata contestazione deriva la possibilità per il Giudice di porre a fondamento della sua decisione anche i fatti non provati, ma "non specificatamente contestati dalle parti costituite".Partendo da tale considerazione, rileva il Collegio che nella specie le parti resistenti non hanno nella sostanza "specificatamente" contestato l'esistenza dei fatti dedotti nel ricorso (cioè che la dr.ssa Ma. era fidanzata da cinque anni con il dr. Fr. Pe. e che il dr. Pa. operava professionalmente presso lo studio privato del presidente della commissione sito nel Comune di Francavilla al Mare), ma si sono limitati a dedurre che tali circostanze di fatto erano sfornite del supporto probatorio; inoltre, quanto alla dr. Ma. hanno dedotto che avrebbero potuto in ipotesi assumere rilievo non il semplice fidanzamento, ma solo la convivenza o l'esistenza di rapporto stabile, che non risultavano dagli atti; mentre relativamente al dr. Pa. non si è "specificatamente" escluso che lo stesso abbia mai svolto la propria attività nello studio privato del dr. Pe., ma ci si è limitati a qualificare la natura giuridica dell'attività prestata in generale dal dr. Pa. negli studi dove aveva operato, che avrebbe sempre avuto la natura di lavoro autonomo/libero professionale.Ciò posto, valutate le prove, anche di tipo presuntivo, fornite dalla ricorrente e diffusamente analizzate nelle ultime memorie da questa versate in giudizio, e considerato che è mancata una "specifica" contestazione ad opera delle parti costituite in ordine all'esistenza dei fatti in questione, la Sezione è dell'avviso che possano ragionevolmente ritenersi provati i seguenti fatti:a) che via stata una relazione sentimentale tra il figlio del presidente della commissione di concorso ed una candidata;b) che un candidato aveva svolto la propria attività lavorativa presso lo studio privato dello stesso presidente.Partendo da tali circostanze il problema giuridico che il Collegio è nella sostanza chiamato a risolvere è quello volto ad accertare se le predette circostanza imponevano al presidente della Commissione di astenersi dal far parte della commissione di concorso.Giova sul punto ricordare che la normativa generale in materia di procedure concorsuali (D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, recante le norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi), dispone testualmente all'art. 11 che i componenti della commissione "presa visione dell'elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile".Tali articoli del codice di procedura civile, dispongono a loro volta - ai nn. 1 e 2 - che il giudice abbia l'obbligo di astenersi "se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto" e "se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori".Ed in applicazione di tali disposizioni la giurisprudenza, dopo aver premesso il carattere eccezionale di tali norme le rende insuscettibili di interpretazione estensiva e analogica, ha già costantemente chiarito che nel mentre l'appartenenza allo stesso ufficio del candidato e l'esistenza di un legame di subordinazione o di collaborazione scientifica tra i componenti della commissione e il candidato non rientrano nelle ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c. (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 17 novembre 2014 n. 5618 e sez. VI, 17 giugno 2014 n. 3049), ma potrebbero integrare al più un motivo di opportunità, che renderebbe l'astensione facoltativa e non una causa automatica ed obbligatoria di incompatibilità; ben diversamente, ha anche affermato che l'esistenza di legami professionali intensi e specifici e di un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico costituisce una giusta causa di incompatibilità che rende cogente l'obbligo di astensione (Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014 n. 3366, e 30 aprile 2013 n. 2360).Ugualmente - come di recente affermato (T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. I, 4 settembre 2014 n. 2307) - anche l'avere intrattenuto (sia pure in passato) una relazione sentimentale con una candidata costituisce un presupposto non irragionevole per disporre la revoca della nomina di un commissario, in quanto anche tale circostanza è astrattamente idonea ad offuscarne l'immagine di indipendenza di giudizio e di terzietà.Va, peraltro, in aggiunta anche ricordato che il quadro normativo è oggi in parte mutato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6-bis della legge sul procedimento amministrativo - recentemente introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 - che oggi impone a tutti i soggetti che a qualunque titolo intervengono nel procedimento amministrativo (formulando pareri, valutazioni tecniche e atti endoprocedimentali o adottando il provvedimento finale) di astenersi " in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale".Con tale disposizione - come è già stato chiarito (T.A.R. Campania, sez. Salerno, sez. II 17 marzo 2014 n. 580) - il legislatore ha coniato un canone di generale applicazione, che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento e l'alveo applicativo di tale principio va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale, che implicano quindi apprezzamenti di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all'adozione dell'atto versa nella vicenda un interesse personale.Tale norma, va ulteriormente precisato, riguarda non solo chi è chiamato ad espletare compiti di natura gestionale, ma è applicabile anche alle commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici, le quali debbono garantire anch'esse nella loro composizione "trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio", rappresentando questi dei principi irrinunciabili a tutela della parità di trattamento fra i diversi aspiranti ad un posto pubblico; pertanto, a tali commissioni debbono applicarsi sia le cause di incompatibilità e di astensione del giudice codificate dall'art. 51 c.p.c., così come interpretate dalla

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giurisprudenza - che, come sopra ricordato, ha esteso il principio dell'astensione a tutte le volte in cui si possa manifestare un "sospetto", consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento - sia i principi costituzionali di cui all'art. 97, così come oggi recepiti e sviluppati dagli artt. 1 e 6- bis della L. 7 agosto 1990, n. 241). Con la conseguenza che tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale "conflitto di interessi" il soggetto facente parte della commissione giudicatrice deve, innanzi tutto, segnalare al soggetto che lo ha nominato "tale situazione di conflitto, anche potenziale" e poi deve necessariamente astenersi (T.A.R. Sardegna, sez. I, 5 giugno 2013, n. 459).Nel caso di specie, il Presidente della commissione, come già detto, aveva degli rapporti con due candidati che per un verso avrebbe dovuto segnalare al Direttore Generale dell'Azienda e per altro verso gli avrebbero imposto di non presiedere la commissione di concorso, in ragione dell'esistenza di un "sospetto", da ritenersi consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento.L'esistenza, infatti, di un rapporto sentimentale tra una candidata ed il proprio figlio e l'esistenza di un rapporto di natura professionale con altro candidato (sia pur di natura autonomo) che si svolgeva presso lo studio "privato" del sanitario in questione facevano certamente sorgere il "sospetto" in ordine alla "trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio" ed imponevano di certo al presidente della commissione di astenersi dall'incarico.La violazione di tale obbligo costituisce, ad avviso del Collegio, l'illegittimità a ragione lamentata con il ricorso.In accoglimento di tale censura, vanno, pertanto, annullati l'atto di nomina della Commissione giudicatrice e tutte le operazioni svolte da tale commissione, nonché l'atto di esclusione della ricorrente dal concorso e l'atto deliberativo finale di approvazione degli atti del concorso.4. - Ai fini della completezza del giudizio vanno, a questo punto, esaminate - sia pur sommariamente - le altre censure dedotte.Nei confronti della composizione della commissione giudicatrice, la ricorrente - come già detto - ha dedotto che:- il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di Nu. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La Ci., ortottista della ASL, pur essendo già stato nominato un membro supplente; tale membro della commissione, inoltre, non aveva reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità;- pur avendo svolto alcuni partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La Ci. e Su., che prestano servizio presso tale struttura, non si erano astenuti.Entrambe tali censure sono prive di pregio.Quanto alla prima, va in punto di fatto osservato che la sig.ra La Ci., contrariamente a quanto ipotizzato nel ricorso, risulta che abbia in realtà reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità. Inoltre, relativamente alla sua nomina in sostituzione di membro titolare dimissionario va ricordato che in base all'art. 6, n. 10 del D.P.R. 27 marzo 2001 n. 220, recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale nelle commissioni giudicatrici "per ogni componente titolare va designato un componente supplente" e tali supplenti, in base all'art. 9, comma 5, del predetto D.P.R. n. 487/1994, "intervengono alle sedute della commissione nelle ipotesi di impedimento grave e documentato degli effettivi".Il che comporta che, ove il membro titolare si dimetta dall'incarico (come è avvenuto nel caso ora all'esame) l'Amministrazione ben può procedere alla nomina di un nuovo membro titolare.Per passare poi all'altra doglianza dedotta nei confronti della commissione giudicatrice, va anche rilevato che con riferimento a quanto sopra esposto, sembra evidente che non avrebbero dovuto astenersi i commissari La Ci. e Su., che prestano servizio presso la stessa struttura ove avevano svolto il servizio volontario alcuni partecipanti al concorso. L'esistenza di un legame di subordinazione tra i componenti della commissione e i candidati non costituisce, infatti, secondo quanto già chiarito dalla giurisprudenza, una circostanza idonea ad imporre la loro astensione.Rimangono, per concludere, da esaminare le censure con le quali ha ricorrente ha dedotto che durante la prova scritta i partecipanti al concorso avrebbero comunicato tra di loro ed anche con l'esterno a mezzo di cellulari e che sarebbe stato violato il principio della segretezza delle tracce d'esame, in quanto l'argomento estratto ("aprasia di Cogan") era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa Ma. ed il dr. Pa.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d'esame; secondo la ricorrente, inoltre, tali elaborati risulterebbero copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria.Tale censure, ad avviso del Collegio, non possono essere accolte in quanto sfornite dell'imprescindibile supporto probatorio.L'Amministrazione resistente, infatti, nel costituirsi in giudizio ha smentito la veridicità di quanto affermato relativamente al fatto che i partecipanti al concorso avrebbero comunicato tra di loro ed anche con l'esterno a mezzo di cellulari e che sarebbe stato violato il principio della segretezza delle tracce d'esame; e, d'altro canto, la ricorrente nulla ha versato in giudizio in merito, neanche un atto notorio, che, in ipotesi, avrebbe potuto giustificare lo svolgimento da parte del Collegio di un'ulteriore attività istruttoria. Mentre, è pacifico, per altro verso che l'assenza di verbalizzazione sul punto, non avrebbe imposto la proposizione da parte della ricorrente di querela di falso (secondo quanto chiarito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 novembre 2014 n. 32).Infine, appare inammissibile per difetto di interesse e non può essere esaminata nel merito l'ultima censura dedotta in ordine copiatura degli elaborati dei predetti due candidati, dato che la ricorrente dall'eventuale accoglimento di tale censura non potrebbe trarre alcuna utilità. Mentre, ovviamente, restano salvi gli ulteriori accertamenti che, essendo stati

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segnalati dalla partecipante del concorso, dovrà espletare l'Amministrazione in merito, volti ad accertare anche eventuali responsabilità di tipo disciplinare.5. - Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto nei limiti sopra indicati e, per l'effetto, deve essere annullata l'impugnata deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti di approvazione degli atti del concorso pubblico in questione.Sussistono, per concludere, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio; salva l'integrale ripetizione del contributo unificato a carico dell'Azienda sanitaria.PQM P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti specificati in motivazione e, per l'effetto, annulla l'impugnata deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:Michele Eliantonio, Presidente, EstensoreDino Nazzaro, ConsigliereMassimiliano Balloriani, ConsigliereDEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 19 FEB. 2015.

Archivio selezionato: Sentenze T.A.R.

Autorità: T.A.R. Bolzano sez. IData: 24/05/2017n. 165

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma di Bolzano ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 270 del 2016, proposto da: -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Amanda Cheneri, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bolzano, via Carducci, 13; contro Ministero dell'Interno - Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato di Trento, con domicilio presso la medesima, in Trento, largo Porta Nuova, 9; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia del decreto di revoca delle condizioni di accoglienza emesso avverso il ricorrente ex art. 23, D.Lgs. 142/2015 in data -OMISSIS- e portante n. protocollo -OMISSIS- (doc. 2), per quanto occorra, del provvedimento di rigetto dd. -OMISSIS- prot. -OMISSIS- dell'istanza di riesame in autotutela (doc. 3), e di quelli antecedenti o successivi, collegati funzionalmente al provvedimento impugnato; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2017 la dott.ssa Alda Dellantonio e uditi per le parti i difensori A. Cheneri per il ricorrente e l'Avvocato dello Stato D. Volpe per il Ministero

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dell'Interno - Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Fatto FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente, cittadino del Gambia richiedente il riconoscimento della protezione internazionale, in virtù delle misure d'accoglienza di cui godeva secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 142/2015, alloggiava, al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, presso -OMISSIS-, una struttura gestita dalla Volontarius.2. Secondo la dichiarazione resa il 19.10.2016 dal referente di -OMISSIS-, sub doc. 4 del ricorrente, quest'ultimo ha sempre tenuto atteggiamenti rispettosi delle regole della struttura d'accoglienza dimostrando un comportamento corretto nei confronti sia degli altri ospiti sia degli operatori e partecipando ai corsi di lingua nonché alle attività di pulizia a turnazione programmata.Lo stesso, dal 4.10.2016, è inoltre socio volontario della -OMISSIS-, come da dichiarazione resa dal suo presidente in data 19.10.2016 (doc. 4, primo foglio, di parte ricorrente).3. Nel pomeriggio dell'-OMISSIS- il ricorrente veniva inseguito e fermato da una pattuglia della Polizia di Stato, intervenuta in seguito alla segnalazione di una rissa in atto tra extracomunitari -OMISSIS-, nei pressi della -OMISSIS-. Sul luogo della rissa venivano rinvenuti e posti sotto sequestro dalle forze dell'ordine due bastoni sporchi di sangue, una mazza da cricket, un coltello da cucina, pure insanguinato (doc. 1 dell'Amministrazione).4. In seguito a segnalazione della Questura di Bolzano (doc. 1 dell'Amministrazione resistente) in merito all'avvenuta rissa e al coinvolgimento dell'odierno ricorrente, denunciato per l'episodio all'Autorità giudiziaria, il Commissariato del Governo, in espressa applicazione dell'art. 23, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 142/2015, revocava al medesimo le misure d'accoglienza. In considerazione del fatto che l'episodio di violenza con l'impiego di mazze e bastoni si era verificato in un parco pubblico gremito di persone, tra cui numerose donne e bambini, che il particolare contesto in cui si era svolto il conflitto aveva esposto a grave pericolo di coinvolgimento involontario i numerosi cittadini presenti sul posto con conseguente pregiudizio per la pubblica incolumità e che la vicenda, per i descritti connotati, aveva destato un notevole allarme sociale, il Commissariato del Governo riteneva come non potesse escludersi che " il comportamento violento, aggressivo ed incurante dell'altrui incolumità, tenuto dai partecipanti alla rissa in parola" potesse "pregiudicare, quale esempio negativo, il percorso di accoglienza e di integrazione degli ulteriori cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale accolti in questo territorio". Per le considerazioni svolte l'Amministrazione resistente riteneva quindi che il comportamento dell'odierno ricorrente, "irrispettoso dei comuni criteri di pacifica convivenza, violento e aggressivo", integrasse le previsioni normative di cui al predetto art. 23, comma 1, lett.e) del D.Lgs. n. 142/2015.5. Contro detto provvedimento l'odierno ricorrente ha proposto gravame volto a ottenere la sua caducazione, previa sospensione, in via cautelare, della sua efficacia.5.1. Il ricorso è sostenuto da cinque motivi d'impugnazione.5.1.1. Con il primo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990, per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca delle misure d'accoglienza, non sussistendo a suo avviso l'urgenza invocata dall'Amministrazione a esenzione dall'obbligo informativo.5.1.2. La seconda censura prospetta l'illegittimità del provvedimento contestato per violazione dell'art. 23, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 142/2015: la disposizione in argomento, essendo posta a presidio della serena convivenza all'interno della struttura d'accoglienza, non sarebbe invocabile in relazione a fatti, come nel caso di specie, avvenuti all'esterno della medesima.5.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'illegittimità della disposta revoca delle misure d'accoglienza, in quanto lesiva del principio di proporzionalità, adottata sulla base di mere indagini dalle quali non emergerebbero indizi di reità a suo carico, e intervenuta senza considerazione alcuna della sua situazione individuale, ed in particolare dei patimenti già subiti in patria, del fatto che la partecipazione alla rissa a lui imputata costituisca l'unico, e peraltro solo presunto, episodio di violenza a suo carico, e infine dell'assoluta precarietà della sua situazione finanziaria che lo esporrebbe, a fronte della revoca dell'accoglienza sin lì goduta, a una vita di stenti da condurre per strada.5.1.4. La quarta doglianza evidenzia come il provvedimento impugnato sia carente sotto il profilo motivazionale, poiché emesso a mo' di ciclostile, in assenza della necessaria valutazione del comportamento individuale del ricorrente. La disposta revoca delle misure d'accoglienza sarebbe, infatti, testualmente identica a quella adottata nei confronti degli altri connazionali coinvolti nella stessa rissa, priva di riferimenti alla situazione personale del ricorrente e connotata da erronea indicazione dei reati per cui il medesimo sarebbe stato denunciato all'Autorità giudiziaria, come ammesso nella nota dd, 27.10.2016 del Commissariato del Governo (doc. 3 del ricorrente).5.1.5. Con il quinto e ultimo motivo il ricorrente invoca l'illegittimità del provvedimento di revoca per travisamento del fatto, evidenziando alcuni elementi volti a dimostrare l'erroneità degli addebiti mossigli. In particolare sarebbe errata l'indicazione nel contestato provvedimento dei reati per i quali sarebbe stato denunciato; esisterebbe un video della rissa nel quale egli non sarebbe nemmeno visibile, per cui non sarebbe provato il suo coinvolgimento nell'episodio di violenza; il verbale di perquisizione avrebbe dato esito negativo, sicché sarebbe dimostrato che egli non era in possesso di alcun oggetto atto a offendere né di sostanze stupefacenti.

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In definitiva, conclude il ricorrente, lui e i suoi connazionali, tutti impregiudicati, si sarebbero semplicemente trovati al momento sbagliato nel posto sbagliato, vittime di un'aggressione da parte di un gruppo di afghani.6. Con decreto n. -OMISSIS- il Presidente di questo Tribunale ha dato atto della rinuncia da parte del ricorrente all'istanza per l'emissione di una misura cautelare monocratica ai sensi dell'art. 56 cod. proc. amm., avendo le parti concordemente convenuto di pervenire, sino all'udienza camerale, a una temporanea soluzione che facesse venire meno le ragioni di estrema gravità e urgenza poste a suo sostegno.7. In vista dell'udienza in camera di consiglio si è costituiva in giudizio l'Amministrazione intimata contestando le prospettazioni di parte ricorrente e concludendo per il rigetto del ricorso perché infondato, previo diniego dell'istanziata tutela interinale, in quanto non sostenuta da idonei elementi di fumus.8. Con decisione collegiale sussunta nell'ordinanza n. -OMISSIS-, ritenuto che ricorressero sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora, è stata concessa la sospensione dell'impugnata revoca delle misure d'accoglienza.9. Nei termini di rito, in vista dell'udienza per la trattazione del merito del ricorso, entrambe le parti hanno presentato una breve memoria integrativa delle proprie difese.10. All'udienza pubblica del 10.5.2017 il ricorrente, in assenza di opposizione da parte della difesa dell'Amministrazione resistente, ha depositato la richiesta di archiviazione del procedimento penale per il fatto di rissa da cui muove la censurata revoca delle misure d'accoglienza, evidenziando come detto documento sia stato formato, quand'era già spirato il termine per il deposito documentale.Dopo ampia discussione la causa è stata infine trattenuta per la decisione.11. Sono fondate e possono essere trattate congiuntamente, per la loro connessione tematica, le censure dedotte con il terzo, il quarto e il quinto motivo di gravame attinenti al difetto d'istruttoria, alla carenza e illogicità della motivazione, al travisamento del fatto e alla violazione del principio di proporzionalità.11.1. Il provvedimento di revoca all'esame si radica, per espressa previsione dell'Autorità procedente, nell'art. 23, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 142/2015, il quale recita: "1. Il prefetto della provincia in cui hanno sede le strutture di cui all'articolo 14, dispone, con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d'accoglienza in caso di... e) violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti".La revoca di cui trattasi, attesa la sua natura sanzionatoria (cfr. art. 20 comma 5 della direttiva n. 2013/33/UE), è volta a preservare il buon funzionamento delle strutture d'accoglienza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 16 novembre 2016, n. 4732, con riferimento ad analoga disposizione contenuta nell'art. 12 del D.Lgs. 140/2005, poi abrogato dall'art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 142/2015).In quest'ottica, il comma 4 dell'art. 23, comma 1, lett. e) del D.Lgs. n. 142/2015, dispone che il gestore del centro trasmette alla prefettura - ufficio territoriale del Governo una relazione sui fatti che possono dare luogo all'eventuale revoca, entro tre giorni dal loro verificarsi.La valutazione sull'esistenza dei presupposti di fatto per la revoca ex art. 23, comma 1, lett. e) cit., nel caso di specie il ricorrere di comportamenti gravemente violenti, ha carattere eminentemente discrezionale e postula una valutazione in concreto della singola fattispecie e della particolare situazione della persona interessata, anche sotto il profilo della proporzionalità del provvedimento rispetto alla gravità delle condotte accertate (T.A.R. Liguria 305/2017; nello stesso senso cfr. T.A.R. Liguria, II, 17.10.2016, n. 1027; id., 25.7.2016, n. 846).Trattandosi di un giudizio ampiamente discrezionale esso è sindacabile solo laddove ricorrano le figure sintomatiche di eccesso di potere per illogicità e/o irragionevolezza, per evidente contraddittorietà della motivazione, per omessa istruttoria, travisamento del fatto, abnormità; deve tuttavia essere supportato da un'adeguata motivazione, sulla scorta di una previa puntuale istruttoria.Con riferimento alla fattispecie normativa in argomento, deve in particolare accertarsi con sufficiente certezza la specifica condotta imputabile allo straniero, la cui gravità va valutata in rapporto alle esigenze di ordinato funzionamento delle strutture d'accoglienza, dovendosi dare conto attraverso un'idonea motivazione degli elementi di fatto considerati e del percorso logico seguito per approdare alla determinazione assunta.L'obbligo istruttorio e motivazionale che grava sull'Amministrazione è tanto più pregnante laddove si consideri che l'esercizio del potere di revoca di cui si tratta va a incidere su esigenze primarie di persone in stato di bisogno, deprivandole di quel minimo d'assistenza che costituisce il primo e fondamentale livello per un percorso d'integrazione nel territorio, altrimenti messo a rischio, con pregiudizio non solo circoscritto al soggetto colpito dal provvedimento, ma esteso all'intero contesto sociale in cui lo straniero, in seguito all'allontanamento dal centro d'accoglienza, è costretto ad arrangiarsi nell'assenza di punti di riferimento.11.2. Ebbene, ritiene il Collegio che nel caso sottoposto al suo esame l'Amministrazione resistente abbia adottato la misura revocatoria a seguito di un'istruttoria frettolosa, inidonea ad accertare la specifica condotta concretamente imputabile al ricorrente e, in parte, travisante, non adeguata a supportare quel giudizio sulla gravità dell'azione attribuibile allo straniero, che la disposizione applicata impone.La motivazione posta a corredo del provvedimento si rivela, infatti, priva di riferimenti alla condotta e alla situazione personale di quest'ultimo, limitandosi a gravitare attorno all'allarme sociale e al rischio per l'incolumità destato dall'episodio di rissa considerato nel suo aspetto e nei suoi elementi corali, ma non reca indicazione alcuna riguardo alla parte che vi avrebbe avuto il ricorrente. L'unico riferimento personale rinvenibile nel provvedimento è costituito dal richiamo all'informativa della Questura (doc. 1 dell'Amministrazione), secondo cui egli sarebbe stato denunciato

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all'Autorità giudiziaria in seguito all'episodio in questione, emergendo dagli atti a corredo della stessa (doc. 1 cit.) che a suo carico vi era il solo fatto di essere stato colto in fuga nei pressi del teatro della rissa. Vi è da aggiungere che è pure errata l'indicazione dei reati per cui il ricorrente sarebbe stato denunciato all'Autorità giudiziaria, atteso che l'ipotesi di reato contro di lui formulata non contempla la detenzione di sostanze stupefacenti invece indicata nel provvedimento gravato (cfr. doc. 8 del ricorrente).A fronte, dunque, dell'episodio di gruppo in questione e considerato che il censurato provvedimento poggia unicamente sull'informativa sul punto pervenutale, rileva il Collegio, come l'Amministrazione resistente, da un lato non avesse elementi certi per un'approfondita valutazione circa la gravità della condotta in concreto tenuta dal ricorrente, essendo rimasto indefinito, e perciò nemmeno ponderato, l'apporto personale addebitabile al medesimo, dall'altro non abbia tenuto conto, ai fini della proporzionalità del provvedimento (cfr. art. 20 comma 5 della direttiva n. 2013/33/UE), dell'assenza di segnalazione da parte del gestore della struttura, ai sensi del comma 4 del citato art. 23, quale elemento che indubbiamente allude all'insussistenza di riflessi dell'avvenuto scontro tra diverse etnie sul funzionamento della struttura d'accoglienza, al cui ordinato funzionamento è preordinato il potere sanzionatorio in cui si concreta la revoca delle misure d'accoglienza adottata ai sensi della lett. e) del comma 1 del medesimo articolo, nonché dell'assenza in capo allo straniero di precedenti rivelatori di una personalità violenta o quantomeno irrispettosa delle regole della civile convivenza.11.3. Traspare, invero, tra le righe del provvedimento, che la contestata decisione di revocare le misure di accoglienza sia stata colta dall'Amministrazione più nell'urgenza di fornire un'immediata risposta all'allarme sociale, riecheggiato sui media attorno all'episodio di rissa di cui si tratta, contemplato nella sua coralità, - come spiega la stessa difesa erariale nella propria memoria (pag. 6, ultimo paragrafo) - piuttosto che nell'attento accertamento, ai fini dell'esercizio del potere sanzionatorio, delle singole condotte e della loro gravità in rapporto all'interesse pubblico tutelato dalla norma applicata.11.4. Colgono dunque nel segno le doglianze del ricorrente che investono il provvedimento emesso a suo carico sotto il profilo dell'istruttoria deficitaria, della motivazione illogica e carente, della violazione del principio di proporzionalità.12. La fondatezza del terzo, quarto e quinto motivo di gravame assorbono il vizio di procedimento dedotto con la prima censura, che ravvisa l'illegittimità del provvedimento di revoca nell'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento preordinato alla sua adozione.13. È invece da rilevare l'infondatezza del secondo motivo di gravame che ravvisa l'illegittimità del provvedimento impugnato nella falsa applicazione dell'art. 23, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 142/2015, il quale, ad avviso del ricorrente, non consentirebbe la revoca delle misure d'accoglienza per condotte perpetrate al di fuori della struttura assistenziale.Il Collegio concorda con il ricorrente laddove sottolinea che la richiamata disposizione è posta a presidio dell'ordinato funzionamento delle strutture d'accoglienza, come conferma il successivo comma 4 del citato art. 23, secondo cui "nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera e), il gestore del centro trasmette alla prefettura - ufficio territoriale del Governo una relazione sui fatti che possono dare luogo all'eventuale revoca, entro tre giorni dal loro verificarsi".Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, tuttavia, il pregiudizio all'ordinato funzionamento delle strutture in argomento ben può essere arrecato da condotte lesive delle sue regole o gravemente violente poste in essere al di fuori delle medesime, in quanto suscettibili di riverberarsi al loro interno per i possibili riflessi sugli altri ospiti destabilizzandone la convivenza.Non è pertanto fondata la seconda delle prospettate doglianze.14. A conclusione delle osservazioni svolte, ritiene il Collegio che l'impugnata revoca delle misure d'accoglienza sia inficiata dal dedotto vizio di eccesso di potere nelle figure sintomatiche del difetto d'istruttoria e della motivazione carente e illogica, nonché da violazione del principio di proporzionalità, imponendosi per conseguenza l'integrale accoglimento del gravame.Le particolari circostanze che hanno dato adito all'adozione del provvedimento impugnato giustificano la compensazione delle spese di lite.15. Va da ultimo dichiarata ammissibile l'istanza depositata il 9.5.2017 dal ricorrente ai sensi dell'art. 126, comma 3, del D.P.R. n. 115/2002 per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.Dev'essere al riguardo precisato che con decreto n. 9/2017 la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato, istituita presso questo Tribunale, aveva dichiarato l'inammissibilità della domanda di ammissione anticipata al nominato beneficio per mancata integrazione documentale relativamente allo status di richiedente il riconoscimento della protezione internazionale, quale circostanza idonea a dimostrare l'impossibilità da parte dell'interessato di conseguire la prescritta dichiarazione consolare.Con l'istanza presentata a questo Tribunale il ricorrente, dimostrando che, contrariamente a quanto affermato nel decreto della Commissione, la documentazione integrativa era stata tempestivamente prodotta, ha quindi chiesto l'amissione al beneficio, ricorrendone i presupposti di legge.Diritto PQM P.Q.M.

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Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato; accoglie l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; compensate tra le parti le spese di lite.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS- -OMISSIS-.Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:Edith Engl, PresidenteTerenzio Del Gaudio, ConsigliereMargit Falk Ebner, ConsigliereAlda Dellantonio, Consigliere, EstensoreDEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 24 MAG. 2017.NoteUtente: bibli01 L.U.M.S.A. BIBLIOTECA - www.iusexplorer.it - 26.11.2017

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Consiglio di Stato - Sez. VI, Sentenza 27 gennaio 2017, n. 341

FATTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania respingeva il ricorso proposto daiSigg.ri Teresa Golino, Francesco Papa, Luigi Papa e Mariagaetana Papa avverso il provvedimento in data 8 luglio 2014 con cui il Comune di Marcianise aveva disposto l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria, rilasciata in data 29 marzo 2001 ai sensi degli artt.31 e 35 della legge n.47 del 1985, del permesso di costruire in data 11 gennaio 2010 e della segnalazione certificata di inizio attività in data 7 maggio 2012, ordinando la demolizione delle opere costruite sulla base degli atti annullati.

Avverso la predetta decisione proponevano appello i Sigg.ri Golino e Papa, contestando la correttezza della statuizione gravata e domandandone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

Resisteva il Comune di Marcianise, contestando la fondatezza dell’appello, difendendo la correttezza del proprio operato e della decisione reiettiva gravata e concludendo per la conferma di quest’ultima.

L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 gennaio 2017.

DIRITTO

1.- E’ controversa la legittimità della determinazione con cui il Comune di Marcianise ha annullato d’ufficio, avendone rilevato l’illegittimità, una concessione edilizia in sanatoria rilasciata ai ricorrenti, un permesso di costruire e una successiva SCIA, ordinando la demolizione delle opere realizzate sulla base dei titoli rimossi.

Il Tribunale campano ha giudicato legittimo il controverso atto di autotutela, in quanto adottato in conformità ai canoni di azione cristallizzati all’art.21 nonies della legge n.241 del 1990.Gli appellanti criticano tale giudizio ed insistono nel sostenere l’illegittimità del provvedimento impugnato in prima istanza, siccome asseritamente assunto in violazione del predetto paradigma normativo, sotto i profili di seguito esaminati.

2.- L’appello è fondato e va accolto, alla stregua e nei limiti delle considerazioni che seguono.

3.- Con un primo ordine di argomentazioni gli appellanti ribadiscono l’illegittimità del controverso atto di annullamento

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d’ufficio, in quanto adottato in spregio dei parametri normativi afferenti alla ragionevolezza del termine entro cui puòessere validamente rimosso (d’ufficio) un provvedimento illegittimo e alla sussistenza di un interesse pubblico (attuale e specifico) che ne legittimi e ne giustifichi l’eliminazione.

3.1- L’assunto merita condivisione.

3.2- Il potere di annullamento d’ufficio è regolato dall’art.21 nonies della legge n.241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) per mezzo della previsione dell’illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela quale indefettibile e vincolata condizione che ne autorizza il valido esercizio e della descrizione, mediante il riferimento a nozioni elastiche, di ulteriori presupposti, quali la ragionevolezza del termine entro cui può essere adottato l’atto di secondo grado, la sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione e la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato.Come si vede, quindi, la disposizione attributiva del potere di autotutela lo ha disciplinato in modo da stabilire, per la sua valida esplicazione, un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e altre condizioni flessibili e duttili riferite a concetti indeterminati e, come tali, affidate all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione.

Queste ultime devono intendersi, in particolare, stabilite a garanzia delle esigenze di tutela dell’affidamento, dei destinatari di atti ampliativi, in ordine alla stabilità dei titoli ed alla certezza degli effetti giuridici da essi prodotti e, appunto per mezzo dell’affidamento, a garanzia della valutazione discrezionale dell’amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra le esigenze di ripristino della legalità (nel chè si risolve la rimozione di un atto illegittimo) e quelle di conservazione dell’assetto regolativo recato dal provvedimento viziato.

Le predette esigenze hanno, peraltro, ricevuto recentemente un ulteriore rafforzamento, per mezzo dell’introduzione, con la legge n.124 del 2015, della fissazione del termine massimo di diciotto mesi (con una opportuna precisazione quantitativa della nozione elastica della formula lessicale “termine ragionevole”), per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici e, quindi, mediante una riconfigurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private originate da atti ampliativi.

3.3- Così decifrati ratio e contenuti della disposizione legislativa alla cui stregua dev’essere giudicata la legittimità della determinazione controversa, occorre rilevare che la potestà di autotutela esaminata risulta esercitata in spregio dei canoni stabiliti dalla legge.

Per quanto definiti in maniera elastica, infatti, i criteri della ragionevolezza del termine e della considerazione di un interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo, implicano apprezzamenti discrezionali che, a loro volta, restanopresidiati dal parametro della proporzionalità, al quale devono comunque obbedire per rimanere ascritti entro i confini del legittimo esercizio della funzione di autotutela, e, quindi, sindacabili in ossequio al relativo criterio di giudizio.

3.4- Orbene, nel caso di specie appaiono violati entrambi gli anzidetti canoni di azione.

3.5- Quanto al rispetto del parametro della ragionevolezza del termine, se è vero che la ricordata novella del 2015 (che ha quantificato in quella massima di diciotto mesi la durata del termine entro cui possono essere annullati gli atti autorizzatori) non è applicabile ratione temporis al provvedimento controverso, siccome adottato prima dell’entrata invigore della predetta modifica normativa, è anche vero che quest’ultima non può non valere come prezioso (e ineludibile) indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione.

Con la precisazione esatta del termine massimo di consumazione del potere di autotutela decisoria, il legislatore ha, infatti, inteso accordare una tutela più pregnante all’interesse dei destinatari di atti ampliativi alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche da essi prodotte, costruendo un regime che garantisca la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio dei relativi titoli “ampliativi” (che diventano, così, non più rimuovibili dall’amministrazione, anche quando illegittimamente adottati).

Ora, per quanto l’anzidetta, cogente regola non possa applicarsi a provvedimenti di autotutela perfezionatisi prima dell’entrata in vigore dell’intervento normativo che l’ha introdotta, non può trascurarsi la valenza della presupposta scelta legislativa, in occasione dell’esegesi e dell’applicazione della norma, nella sua formulazione previgente (Cons. St., sez.VI, 10 dicembre 2015, n.5625).

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La decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione (ed applicazione) da parte dell’amministrazione, dev’essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche, con la conseguenza che, pur non potendo ritenersi consumato, nella fattispecie esaminata, il potere di annullamento d’ufficio decorso il termine massimo stabilito dal legislatore del 2015, deve giudicarsi, comunque, irragionevole un termine notevolmente superiore (nel caso in esame, di oltre sette volte) a quest’ultimo.

La distanza di oltre tredici anni intercorsa dal rilascio del condono (in data 29 marzo 2001) al momento dell’adozione del suo annullamento d’ufficio (in data 8 luglio 2014) rivela, infatti, con immediata evidenza, la lesione dell’affidamento (particolarmente qualificato) dei titolari del titolo edilizio circa la stabilità e la definitività dei suoi effetti autorizzatori.

3.6- O, meglio, l’anzidetta estensione temporale dell’operatività del permesso di costruire rimosso con l’atto di autotutela contestato imponeva, a fronte della consistenza dell’affidamento ingenerato nei destinatari circa il consolidamento della sua efficacia imponeva, una motivazione particolarmente convincente, per giustificare la misura di autotutela, circa l’apprezzamento degli interessi dei destinatari dell’atto (come espressamente prescritto dall’art.21 nonies l. cit.), in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio del titolo edilizio illegittimo.

Non solo, ma la consistenza di tale onere motivazione deve intendersi aggravata dall’efficacia istantanea dell’atto, e, cioè, della sua idoneità a produrre effetti autorizzatori destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto permissivo, assumendo, in tale fattispecie, nel giudizio comparativo degli interessi confliggenti, maggiore rilevanza quello dei privati destinataridell’atto ampliativo e minore pregnanza quello pubblico all’elisione di effetti già prodotti in via definitiva e non suscettibili di aggravamento (Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 816).

Sennonché, dalla lettura dell’atto controverso non appaiono riscontrabili convincenti argomentazioni circa gli estremi e i contenuti dell’anzidetta, doverosa valutazione.

Premesso, in particolare, che l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo dev’essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2016, n.351), si osserva che l’apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degliinteressi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto oggetto del procedimento di autotutela.

A ben vedere, infatti, l’identificazione dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto viziato nelle medesime esigenze di tutela implicate dalla norma violata con lo stesso, si risolve in ogni caso nella (inammissibile) coincidenza del presupposto vincolante consistente nell’invalidità del provvedimento originario con l’ulteriore e diversa condizione (secondo l’assetto regolativo di riferimento) della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione d’ufficio.

Sennonché, tale esegesi dev’essere rifiutata nella misura in cui si risolve nella pratica disapplicazione della parte del precetto che esige la ricorrenza dell’ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) condizione della ricorrenza dell’interesse pubblico attuale alla eliminazione del provvedimento viziato e, quindi, all’elisione dei suoi effetti giuridici.Perché la norma abbia un senso è necessario, in altri termini, non solo che l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato non possa coincidere con la mera esigenza della restituzione all’azione amministrativa della legalità violata, ma anche che non possa risolversi nella semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative sottese all’ordine giuridico infranto: una motivazione siffatta finirebbe logicamente proprio per esaurire l’apprezzamento del presupposto discrezionale in un esame nel mero riscontro della condizione vincolante (l’illegittimità dell’atto da annullare d’ufficio), con un palese (e inammissibile) tradimento della chiara volontà del legislatore.

Alla stregua delle coordinate ermeneutiche appena tracciate, risulta allora agevole rilevare che nell’atto controverso il solo accenno dedicato, nella motivazione, alla sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione degli atti annullati risulta formulato con esclusivo, astratto e testuale riferimento alle esigenze di tutela dell’igiene, del decoro e della collettività sottese alla normativa sulle distanze tra edifici recata dal DM n.1444/68.

Come già osservato, tuttavia, l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo

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deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo.

Una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa consacrata nel testo dell’art.21 nonies l. cit. deve, quindi, spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata.Ne consegue che la mera indicazione dell’interesse pubblico all’igiene, alla sicurezza e al decoro, senza alcuna ulteriore argomentazione concreta circa le ragioni dell’attualità dell’esigenza della reintegrazione di quei valori (in relazione alla situazione di fatto prodottasi per effetto dell’attuazione dei titoli edilizi originari), si rivela del tutto insufficiente a legittimare la misura di autotutela, soprattutto in una fattispecie in cui, almeno per uno dei titoli annullati (il permesso di costruire in sanatoria), si è ingenerato nei destinatari dell’atto un serio affidamento circa la definitiva stabilità del titolo (in ragione del notevole lasso di tempo decorso tra i due atti).3.7- Alle considerazioni che precedono consegue, quindi, l’illegittimità dell’ordinanza del Comune di Marcianise in data 8 luglio 2014, siccome adottata in violazione del presupposto della sua adozione entro un termine ragionevole (limitatamente alla rimozione del permesso di costruire in sanatoria del 29 marzo 2001) e in difetto (dell’indicazione) di un interesse pubblico all’annullamento di tutti gli atti con esso eliminati.

Nel predetto giudizio di illegittimità, che non esclude il riesercizio del potere di autotutela (per le parti in cui esso risulta emendabile in conformità ai rilievi di illegittimità sopra svolti) resta, peraltro, assorbito l’esame delle ulteriori censure svolte dai ricorrenti.

4.- Alla stregua delle considerazioni che precedono dev’essere, in definitiva, accolto l’appello e, in riforma della decisione impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado, annullato il provvedimento di autotutela d’ufficio adottato dal Comune di Marcianise in data 8 luglio 2014.5.- Ragioni di equità sostanziale giustificano, nondimeno, la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della decisione appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l’atto impugnato. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2017