PSICHIATRIA · somiglianze con un disturbo dissociati-vo o di conversione, presenta...

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11disturbo di panico [I a sensazione è devastante, arcaica, invincibile. Viene in genere descritta dai pazienti come "perdita del controllo", ma in verità è molto d'altro. È angoscia dell'annulla- mento, irrefrenabile come un fiume in piena che travolge ogni argine. È consa- pevolezza di impotenza, di angosciosa inadeguatezza. In realtà è difficilmente descrivibile, la si può comprendere solo per approssi- mazione. Il suo nome è panico, che deri- va dall'antico greco panikòn, riferito al dio Pan e usato in questa accezione solo nel 1836dal francese panique, stando ad indicare "il terrore che pervadeva gli umani all'apparizione del dio Pan", ovvero il "timore repentino di un perico- lo che turba profondamente l'animo impedendo ogni reazione di difesa attiva e suscitando l'impulso incontenibile alla fuga" (De Mauro T. (diretto da): Grande dizionario italiano dell 'uso. Torino: UTET, 1999, v. IV). La sindrome è nota come Disturbo di Panico (DAP), che è una categoria dia- gnostica relativamente recente. Fu infat- ti solo dal 1980 che essa venne inclusa ufficialmente nella terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III). Eppure si tratta di una vecchia conoscenza della psicopatologia. Il primo a descriverla in epoca moderna fu Jacob Mendez DaCosta, nel corso della guerra civile americana, da cui il nome di "Sindrome di DaCosta", o "del cuore irritabile": comprendeva molti dei sintomi che oggi caratterizzano il Disturbo da Panico. Ma il vero "scopritore" della sindrome fu Sigmund Freud, che nel 1895 descrisse la "nevrosi d'ansia", un insieme di sin- tomi psichici e somatici spesso in rela- zione con una particolare paura degli spazi aperti (definita già nel 1871 ago- rafobia, letteralmente paura delle piaz- ze). La nevrosi d'ansia acuta descritta da Freud era quasi sovrapponibile alla descrizione attuale e venne utilizzata come categoria diagnostica sino a quan- do le task force dell' American Psychiatric Association non la cancella- rono come entità nosografica, sostituen- dola con la dizione di Disturbo di Panico. La definizione ha subito diversi rimaneggiamenti, ma sostanzialmente il quadro è rimasto lo stesso. Gli attacchi sono intensi: i sintomi sono sia psichici (paura intensa, incoer- cibile, di perdere il controllo, di morire, di impazzire) sia somatici (tachicardia, tachipnea, sudorazioni, tremori, vertigi- ni, nausea, brividi o vampate di calore etc.) e non suscettibili di rispondere ad alcuna rassicurazione; hanno una durata variabile, in genere poche decine di minuti, ma lasciano una profonda ansia anticipatoria. È per questo che i pazienti cominciano ad evitare le situazioni nelle quali l'attacco si è già scatenato, modifi- cando i propri comportamenti: se è suc- cesso in auto, eviteranno di guidare; se è successo al cinema eviteranno rigorosa- mente le sale cinematografiche. Le stra- tegie di evitamento spesso si estendono ben oltre il luogo del primo attacco, diventando generalizzate e condizionan- do oltre ogni misura la vita quotidiana. In circa il 70% dei casi il disturbo si accompagna ad agorafobia, penosa sen- sazione di paura di essere in luoghi pub- blici, soprattutto da soli e in situazioni nelle quali sembra preclusa una possibi- lità di rapida fuga se dovesse verificarsi un attacco di panico. Questo in genere porta il paziente ad evitare luoghi affol- lati, o, se proprio è costretto a frequen- tarli, a cercare posizioni "strategiche" (per esempio i posti esterni nelle ultime file di un cinema) per potersi rapida- mente assicurare una via di fuga. Globalmente l'esperienza psicologia del disturbo da panico con agorafobia è di- sastrosa, sebbene non sia certo uno dei disturbi psichiatrici maggiori. Intendiamoci: ansia, fobie e panico sono tipici di un gran numero di affezio- ni psichiatriche. Ma la caratteristica fon- damentale del vero disturbo di attacchi di panico è quella di cadere "a ciel sere- no", di manifestarsi cioè in modo del tutto inaspettato. Alcuni di questi attac- chi possono essere scatenati da uno sti- molo "situazionale", ma si tratta di casi abbastanza rari. Esiste una variabilità PSICHIATRIA Giovanni lannuzzo Sono solo venti anni che il Disturbo di Panico è una categoria diagnostica auto- noma. Ma più di un secolo è passa- to da quando Freudlo des,crisse soggettiva negli attacchi, nella loro durata, nella frequenza, ma per il paziente che ne è affetto la sensazione è comunque penosa. È per questo che egli ne cerca ossessivamente una spiegazio- ne. Ciò si accompagna spesso alla preoccupazione che si tratti del sintomo di una malattia oscura, pericolosa (pro- blemi cardiaci, neurologici, metabolici). I pazienti possono fare ovviamente tutti gli esami possibili, con risultati del tutto negativi, ma continuare a rivolgersi ai medici per essere rassicurati. La paura più grande, e più frequente, è quella legata alla possibilità di "perde- re il controllo", per cui molti pazienti si convincono di stare impazzendo, di avere un "esaurimento nervoso" o di essere troppo fragili. Possono talvolta negare di essere angosciati dai loro attacchi di panico, ma ciò nonostante cambiare il loro comportamento, evitan- do le situazioni che, più o meno indebi- tamente, associano con il primo episo- dio. L'attacco di panico si può associare frequentemente ad altre patologie, all'ansia, all'apprensione, alla separa- zione da persone care, ma anche all'ipo- condria o alla spropositata paura degli effetti collaterali dei farmaci. Talvolta il disturbo da panico insorge in apparente correlazione con un life event (una separazione, un divorzio, l'allontanamento da casa, problemi lavorativi) e non raramente questa asso- ciazione (indebita) tra eventi frustranti e insorgenza del primo attacco ha un effet- 25

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11disturbo di panico

[Ia sensazione è devastante,arcaica, invincibile. Vienein genere descritta daipazienti come "perdita delcontrollo", ma in verità è

molto d'altro. È angoscia dell'annulla-mento, irrefrenabile come un fiume inpiena che travolge ogni argine. È consa-pevolezza di impotenza, di angosciosainadeguatezza.

In realtà è difficilmente descrivibile,la si può comprendere solo per approssi-mazione. Il suo nome èpanico, che deri-va dall'antico greco panikòn, riferito aldio Pan e usato in questa accezione solonel 1836dal francesepanique, stando adindicare "il terrore che pervadeva gliumani all'apparizione del dio Pan",ovvero il "timore repentino di un perico-lo che turba profondamente l'animoimpedendo ogni reazione di difesa attivae suscitando l'impulso incontenibile allafuga" (De Mauro T. (diretto da): Grandedizionario italiano dell 'uso. Torino:UTET, 1999, v. IV).

La sindrome è nota come Disturbo diPanico (DAP), che è una categoria dia-gnostica relativamente recente. Fu infat-ti solo dal 1980 che essa venne inclusaufficialmente nella terza edizione delManuale Diagnostico e Statistico deiDisturbi Mentali (DSM-III). Eppure sitratta di una vecchia conoscenza dellapsicopatologia. Il primo a descriverla inepoca moderna fu Jacob MendezDaCosta, nel corso della guerra civileamericana, da cui il nome di "Sindromedi DaCosta", o "del cuore irritabile":comprendeva molti dei sintomi che oggicaratterizzano il Disturbo da Panico. Mail vero "scopritore" della sindrome fuSigmund Freud, che nel 1895 descrissela "nevrosi d'ansia", un insieme di sin-tomi psichici e somatici spesso in rela-zione con una particolare paura deglispazi aperti (definita già nel 1871 ago-rafobia, letteralmente paura delle piaz-ze). La nevrosi d'ansia acuta descritta daFreud era quasi sovrapponibile alladescrizione attuale e venne utilizzatacome categoria diagnostica sino a quan-do le task force dell' AmericanPsychiatric Association non la cancella-

rono come entità nosografica, sostituen-dola con la dizione di Disturbo diPanico. La definizione ha subito diversirimaneggiamenti, ma sostanzialmente ilquadro è rimasto lo stesso.

Gli attacchi sono intensi: i sintomi

sono sia psichici (paura intensa, incoer-cibile, di perdere il controllo, di morire,di impazzire) sia somatici (tachicardia,tachipnea, sudorazioni, tremori, vertigi-ni, nausea, brividi o vampate di caloreetc.) e non suscettibili di rispondere adalcuna rassicurazione; hanno una duratavariabile, in genere poche decine diminuti, ma lasciano una profonda ansiaanticipatoria. È per questo che i pazienticominciano ad evitare le situazioni nelle

quali l'attacco si è già scatenato, modifi-cando i propri comportamenti: se è suc-cesso in auto, eviteranno di guidare; se èsuccesso al cinema eviteranno rigorosa-mente le sale cinematografiche. Le stra-tegie di evitamento spesso si estendonoben oltre il luogo del primo attacco,diventando generalizzate e condizionan-do oltre ogni misura la vita quotidiana.

In circa il 70% dei casi il disturbo si

accompagna ad agorafobia, penosa sen-sazione di paura di essere in luoghi pub-blici, soprattutto da soli e in situazioninelle quali sembra preclusa una possibi-lità di rapida fuga se dovesse verificarsiun attacco di panico. Questo in genereporta il paziente ad evitare luoghi affol-lati, o, se proprio è costretto a frequen-tarli, a cercare posizioni "strategiche"(per esempio i posti esterni nelle ultimefile di un cinema) per potersi rapida-mente assicurare una via di fuga.Globalmente l'esperienza psicologia deldisturbo da panico con agorafobia è di-sastrosa, sebbene non sia certo uno deidisturbi psichiatrici maggiori.

Intendiamoci: ansia, fobie e panicosono tipici di un gran numero di affezio-ni psichiatriche. Ma la caratteristica fon-damentale del vero disturbo di attacchidi panico è quella di cadere "a ciel sere-no", di manifestarsi cioè in modo deltutto inaspettato. Alcuni di questi attac-chi possono essere scatenati da uno sti-molo "situazionale", ma si tratta di casiabbastanza rari. Esiste una variabilità

PSICHIATRIA

Giovanni lannuzzo

Sono solo ventianni che ilDisturbo di Panico

è una categoriadiagnostica auto-noma. Ma più diun secoloè passa-to da quandoFreudlo des,crisse

soggettiva negli attacchi, nella lorodurata, nella frequenza, ma per ilpaziente che ne è affetto la sensazione ècomunque penosa. È per questo che egline cerca ossessivamente una spiegazio-ne. Ciò si accompagna spesso allapreoccupazione che si tratti del sintomodi una malattia oscura, pericolosa (pro-blemi cardiaci, neurologici, metabolici).I pazienti possono fare ovviamente tuttigli esami possibili, con risultati del tuttonegativi, ma continuare a rivolgersi aimedici per essere rassicurati.

La paura più grande, e più frequente,è quella legata alla possibilità di "perde-re il controllo", per cui molti pazienti siconvincono di stare impazzendo, diavere un "esaurimento nervoso" o diessere troppo fragili. Possono talvoltanegare di essere angosciati dai loroattacchi di panico, ma ciò nonostantecambiare il loro comportamento, evitan-do le situazioni che, più o meno indebi-tamente, associano con il primo episo-dio.

L'attacco di panico si può associarefrequentemente ad altre patologie,all'ansia, all'apprensione, alla separa-zione da persone care, ma anche all'ipo-condria o alla spropositata paura deglieffetti collaterali dei farmaci.

Talvolta il disturbo da panico insorgein apparente correlazione con un lifeevent (una separazione, un divorzio,l'allontanamento da casa, problemilavorativi) e non raramente questa asso-ciazione (indebita) tra eventi frustranti einsorgenza del primo attacco ha un effet-

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to deleterio sull' autostima, sulle qualitàdel proprio carattere, sulla propria debo-lezza. Gli effetti sulla vita lavorativa osul rendimento scolastico peraltro, per leassenze continue, per la pratica dell' evi-tamento, per i sintomi agorafobici, pos-sono essere causa di ulteriori fallimenti,in un circolo vizioso che non raramente

porta a una condizione depressiva (circanel 50% dei casi). Tutto questo spingespesso il paziente all'automedicazione,con conseguenti fenomeni di abuso edipendenza (da alcool o psicofarmaci)che possono divenire una vera patologiaassociata. Insomma, è una reazione acascata che può essere interrotta solo daun appropriato intervento psichiatrico.Ma da dove origina una simile catastro-fe comportamentale?

111olte condizioni medichepossono mimare un attaccodi panico. Si pensi peresempio al feocromocito-ma, alla tachicardia sopra-

ventricolare, a certe condizioni di iper-paratiroidismo, alla patologia a caricodel vestibolo. E ancora, l'abuso di certesostanze può riprodurre un DAP: fre-quentissimo nell' abuso di eccitanti dicaffeina o di alcool (ma anche di droghehard come le amfetamine, la cocaina,non raramente gli stessi cannabinoidi).Ma in questo caso i sintomi scompaiononon appena è scomparso l'effetto dellasostanza. Il Disturbo da Panico purtrop-po no.

Non esistono dati di laboratorio

obiettivi o patognomonici. Sono stateipotizzate correlazioni con situazioni diipertiroidismo, con il prolasso della val-vola mitralica, relazioni con sostanze'panicogene', come illattato di sodio ol'anidride carbonica, ma in realtà nonesistono conferme specifiche.L'esistenza di anomalie biologiche nellastruttura dell' encefalo (specialmente illocus ceruleus, il nucleo del rafe media-no e il sistema limbico) e soprattuttonelle funzioni cerebrali (specialmenteper quanto riguarda specifici sistemineurotrasmettitoriali: noradrenergici,serotoninergici e GABAergici) è abba-stanza evidente; ma è anche abbastanzavaga. Neanche la familiarità è dimostra-ta indiscutibilmente (e se lo fosse biso-gnerebbe distinguere tra i fattori diapprendimento e quelli propriamente

biologici). Come sempre, in questi casi,si invocano indefinite cause organiche esicure componenti psicologiche. Un po',insomma, come sparare nel mucchio...

I dati epidemiologici dimostranosemplicemente che si tratta di un distur-bo frequente nella popolazione mondia-le. La prevalenza nel corso della vitaoscilla fra lo 0,6 e il 6%. Le donne gui-dano la classifica, con una frequenzadoppia o tripla rispetto agli uomini,forse però dovuta a una loro maggioredisponibilità a parlare di questa espe-nenza.

L'età media di esordio è circa 25anni, con una certa variabilità: esistonocasi infantili (molto rari) e casi ad esor-dio dopo i 45 anni (rari anch' essi). Nonsempre si tratta di una patologia che arri-va all' osservazione psichiatrica. Molticasi hanno un decorso cronico ed esisto-no individui (difficile specificare quanti)che addirittura riescono a convivere conil disturbo, magari evitando le situazionitemute. Possono esservi anche remissio-ni spontanee, o forme di disturbo atte-nuato e cronico (le cosiddette formepaucisintomatiche). Altrettanto variabileè la risposta al trattamento (psicofarma-cologico soprattutto, ma anche psicote-rapico, specialmente di tipo cognitivo-comportamentale): i dati non sono bril-lanti. A distanza di 6-10 anni dalla tera-pia, solo il 30% può dirsi guarito. Dal 20al 30% i sintomi rimangono o peggiora-no; e il resto continua ad avere sintomi,anche se non acuti. La verità è probabil-mente che esistono remissioni e riacutiz-zazioni spontanee.

In realtà, il Disturbo di Panico hacaratteristiche decisamente particolaririspetto a tutti gli altri disturbi psichiatri-ci. Ciò che lo distingue soprattutto è lasua modalità di insorgenza. L'ansia, ladepressione (nelle sue varie forme), lesindromi psicotiche in genere appaionoin maniera progressiva, lenta, subdola sevogliamo, e sono in genere precedute dauna 'storia' di disagio psichico, all'inter-no di un continuum. Nel Disturbo diPanico tutto ciò non esiste. Lo si sente

dire spessissimo ai pazienti: "Dottore,prima di questo episodio non avevo maiavuto problemi". Spesso un'indagineattenta dimostra che hanno assolutamen-

te ragione. È proprio quest' aspetto chevincola, in maniera suggestiva, l'espe-rienza soggettiva del disturbo di panicoalle interpretazioni magiche. Tali inter-

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pretazioni variano in dipendenza dellacultura, così come cambiano gli "stimo-li" (laddove esistano) che possono esse-re alla base, del tutto casuale, del primoattacco.

Ilsistono molte sindromi"culturali" che sembranosemplicemente modidiversi di esperire il panicoe di fornirne un'interpreta-

zione: qualunque essa sia, rassicura econforta, fornisce un modello teorico diriferimento che rende l'esperienza delpanico meno devastante.

Una delle forme più comuni e note, edelle più ibride, vista la grande inclusi-vità dei sintomi, è l'attacco di nervi, ata-que de nervios dei Paesi di cultura spa-gnola, ma genericamente di cultura lati-na (simili forme sono abbastanza diffuseanche in Italia). L'attacco di nervi puòassumere forme molto diversificate, male manifestazioni di panico sono tipicheanche se non predominanti. Un attaccodi nervi presuppone una vasta sintoma-tologia psichica, che va dalle convulsio-ni alle crisi di pianto, ai sintomi somati-ci, agli episodi francamente psicotici.Ciò che sembra in massima parte carat-terizzare le crisi di attacco di nervi, ren-dendole molto simili al DAP, non è solola possibile immediatezza dell' attacco,ma anche l'intensa paura del paziente di"perdere il controllo".

Più esotico è il dhat, una malattiacaratteristica della cultura indiana e con-traddistinta da rilevante ansia, ipocon-dria, e sintomi somatici generali (comedebolezza e senso di affaticamento) ocircoscritti all' apparato genito-urinario(polluzioni, colorazione biancastra delleurine). Ne esistono altre varianti rilevatenello Sri Lanka e in Cina.

Ilfalling-out o blacking-out è invecetipico del Sud degli Stati Uniti. Il sinto-mo predominante, assai simile a quelloche in altre zone culturali è l'attacco dipanico, è proprio una sensazione di col-lasso, spesso improvvisa; a ciò possonoaccompagnarsi vertigini, o sensazioni di"testa vuota" o "galleggiante". Il sogget-to che esperisce questa sindrome haspesso una sorta di blocco motorio: sisente "bloccato", anche se capisce per-fettamente quanto gli sta accadendoattorno. Si tratta di un disturbo rilevatoanche altrove e che, sebbene abbia molte

somiglianze con un disturbo dissociati-vo o di conversione, presenta caratteri-stiche tipiche dell'attacco di panico.

Principe dei disturbi da panico sem-bra essere però il koro, un'altra sindro-me dell'estremo Oriente (classicamentemalese, ma presente in tutta 1'Asia meri-dionale e sud-orientale, e abbastanzafrequente anche nelle culture occidenta-li) che consiste nel terrore panico che ilpene rientri nel corpo (nei casi femmini-li, più rari, la paura riguarda la retrazio-ne dei capezzoli e raramente dellavulva). Le origini del disturbo vengonoattribuite a modificazioni nell' equilibriodelle energie vitali (yin e yang), conconseguenti manifestazioni sintomati-che. Come nel panico occidentale classi-co le rassicurazioni sono inutili, e spes-so le uniche terapie efficaci sono tradi-zionali. L'elenco potrebbe continuare alungo, ma uno spazio particolare meritail mal de susto (lo "spavento", o "perdi-ta dell' anima") diffuso ubiquitariamentetra le popolazioni latine, dal Messico edal Centro-America alla Sicilia. A causadi un evento spaventevole l'anima fuggedal corpo e causa una serie di sintomiimponenti, sia sul piano psichico (attac-chi di panico), sia sul piano somatico. Ilmal de susto può anche provocare lamorte.La terapia è rituale e, indipenden-temente dal contesto culturale e geogra-fico nel quale viene applicata, tendesemplicemente a ricongiungere l'animacol corpo.

Ila riflessione sul rapportofra panico e cultura

. costringe a confrontarsicon alcuni antichi e irrisol-ti problemi: i sintomi psi-

chiatrici hanno talvolta un valore diadattamento? Possono essere modalitàdi difesa comportamentale di fronte adeventi problematici? Sono domandeaffascinanti alle quali tentò di risponde-re già Freud in un manoscritto ritrovatofortunosamente alcuni anni fa, Sintesidelle nevrosi di traslazione. Qui Freudipotizzò che i sintomi psicopatologicimoderni fossero il riflesso individuale dimanifestazioni comportamentali adatta-tive estremamente arcaiche.Rappresenterebbero cioè una specie dirievocazione (del tutto inconscia) dirisposte comportamentali un tempoassolutamente normali. Nel corso della

storia, sarebbero divenute inappropriatenei nuovi contesti storici e culturali, madi fatto si tratterebbe solo del residuo di

antiche reazioni difensive. La più arcai-ca è appunto l'isteria d'angoscia, insom-ma l'attuale Disturbo di Panico. Questarisalirebbe secondo Freud alla prima era

psichiatrici, e il Disturbo da Panico inparticolare, siano antiche reazioni adat-tative che per una specie di "corto cir-cuito" neurobiologico si ripresentano inmaniera esagerata, come un imprintingarcaico, sembra oggi condivisa da nuovediscipline scientifiche, per esempio la

glaciale, e sarebbe una normale reazioneemozionale a un mondo ostile e perico-loso.

Fantasie? Certo. Ma a pensarci beneil disturbo da panico ha una serie dicaratteristiche inquietanti. Mima perfet-tamente la risposta di un organismo chesi trova improvvisamente di fronte a ungrave pericolo, una reazione intensissi-ma e immediatamente seguita dallafuga. E l'agorafobia non è altro che unvissuto di pericolosità estrema dell' am-biente esterno, e della ricerca sistemati-ca di luoghi sicuri, dai quali sia possibi-le fuggire agevolmente in caso di neces-sità. In fondo è esattamente quello chedovevano fare e pensare i nostri proge-nitori in epoca preistorica. È un caso cheil paziente con agorafobia, o con com-portamenti di evitamento, si senta gran-demente rassicurato quando è in compa-gnia? Non ricorda, tutto ciò, la sensazio-ne di sicurezza che viene data dal grup-po in condizioni di pericolo?

Ancora: l'età media di insorgenzadel Disturbo di Panico è di 25 anni. Piùo meno l'età che, in epoche remote, cor-rispondeva alla piena maturità e all'as-sunzione di responsabilità dell'indivi-duo nel proprio gruppo. Fantasie, certo.Ma la convinzione che molti sintomi

psicologia evoluzionistica. Di recente, aun congresso internazionale, un notoscienziato in questo campo, R. Nesse, hadescritto l'agorafobia come rispostadifensiva più o meno in questi termini:se all' esterno vi sono predatori, è ovvioche gli individui cerchino rifugio in luo-ghi protetti e che tentino di evitare distarsene in giro. Un tempo questo eranormale. Ora è un sintomo.

D'altra parte, non dimentichiamoche lo studio di modelli animali sembra

confermare simili ipotesi. Se ciò fossevero, forse si potrebbero aprire nuovestrade per il controllo del Disturbo daPanico, combinando neurobiologia, eto-logia e variabili culturali. Ma questo èun altro discorso.

Di fatto il Disturbo da Panico, seletto come reazione difensiva, sembraproprio la metafora di quel male di vive-re che accompagna la nostra specie dallesue origini e che a qualunque epoca elatitudine può affliggere l'uomo e condi-zionarne i comportamenti quotidiani, inagguato dietro 1'angolo di ogni esisten-za. Il Disturbo di Panico è lì, a dirci deinostri limiti, della nostra impotenza, diogni nostra possibile inadeguatezza. Èlì, a ricordarci la fragilità del nostroessere nel mondo.

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