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seven to nine conversations for a better city 16 maggio 2007 Open City for Talented People a cura di Lombardia

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Associazione delle imprese edilie complementari della provinciadi Milano, Lodi, Monza e Brianza

conversations for a better city16 maggio 2007

Open Cityfor

TalentedPeople

a cura di Lombardia

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SeventonineBrevi conversazioni e momenti di convivio su soggetti di vasto raggio tematico conprotagonisti del mondo dell’informazione e della cultura, esponenti di nuovi mercatiimmobiliari, rappresentanti di organizzazioni no-profit applicate al settore, imprenditori della moda e design, esperti di comunicazione e marketing, per scoprire altri punti di vistasulla città, il costruire e l’abitarecontemporaneo.Assimpredil vi aspetta tra le sette e le nove di sera per un aperitivo insieme.“L’Italia sta attraversando una fase unica della sua storiacontemporanea. Stiamo assistendo a un passaggio cheporterà a una nuova connotazione del sistema produttivonazionale, nel quale peseranno sempre più attività terziarieavanzate e produzioni immateriali, frutto dell’ingegno edella creatività.Ecco allora affermarsi il ruolo strategico delle città, chedebbono tornare ad essere quelle che furono nell’etàpreindustriale, cioè incubatrici di sviluppo, poli ricchi dicultura, di stimoli e di opportunità nelle quali la classecreativa trova il suo habitat naturale.” Studio Ambrosetti “La città dei creativi” In un’epoca di forte cambiamentodovuto a continui sviluppi scientifici e tecnologici, ad una

incalzante accelerazione che riduce progressivamente i “ciclidi vita” di prodotti, idee e progetti, ad una globalizzazionesempre più accentuata, emergono due fattori importanti: laiscontinuità e la competizione agguerrita; in questocontesto diventa fondamentale per le città definire dellestrategie territoriali che le portino a diventare “attrattori ditalenti”. Talenti intesi come classe di creativi, elementofondamentale per ostenere, interpretare e valorizzaretrasformazioni sociali e territoriali così rapide. AssimpredilAnce Milano, in collaborazione con Inarch Lombardia,approfondisce le tematiche già affrontate dalla ricerca “La città dei creativi” di Studio Ambrosetti per ANCE e discutedi come Milano si colloca in questo nuovo scenario.

Paolo BorzattaDopo la laurea in Ingegneria Nucleare presso il Politecnico di Milano(1970) si è specializzato alla Scuola di Specializzazione in Fisicadell’Università di Milano ed è stato assistente di ruolo in Fisicasubnucleare all’Università di Milano. In tale veste ha lavorato al CERN diGinevra. È attualmente Senior Partner, Membro del Comitato Esecutivo,Direttore della Divisione Ricerche e Direttore della DivisioneInternazionale di Ambrosetti. Opera su progetti di assistenza per laglobalizzazione delle imprese italiane e dei territori. Le sue aree dispecializzazione sono la strategia aziendale, le strategie diinternazionalizzazione, l’innovazione e il new business development. Si èinoltre occupato di strategia del territorio e di attrattività e competitivitàdi aree geografiche. È autore di numerosi articoli e rapporti scientifici e dimanagement e coautore, insieme a Maria Weber, del libro “Vele verso laCina”. Nel 2000 ha pubblicato su Internet il romanzo di fantaeconomiasulla globalizzazione e sulla Cina “Il Globo di Shanghai”.

Teresa SapeySi è laureata presso la Facoltà d’Architettura del Politecnico di Torino. Haun master in “Fine Arts” (Parsons School of Design, Parigi), un Dottoratoin Architettura (Politecnico di Torino) ed è specializzata in design edergonomia degli spazi lavorativi. Nel 1990 fonda lo Studio Teresa Sapey aMadrid. Dal 1999 è membro del RIBA (Royal Institute of BritishArchitects). Ha collaborato con la Facoltá d’Architettura La Villette(Parigi). Ha tenuto un ciclo di conferenze per la Domus Academy diMilano dove prossimamente sará professore a contratto per il corso diHome Design. È professore a contratto presso l’Universitá Camilo JoséCela di Madrid ed è professore invitato nel master di “Design earchitettura d’interni” dell’ Universitá Politecnica di Madrid. Lo StudioTeresa Sapey lavora per organizzazioni pubbliche e private collaborandocon professionisti del design e dell’arte. Nel 2004 Sapey contribuisceattivamente al progetto Hotel Puerta de America insieme con ZahaHadid, Norman Foster, David Chipperfield, Jean Nouvel, Ron Arad. Nel2005 vince il concorso indetto dal Comune di Madrid per l’ideazione delParking Pubblico Vazquez de Mella. Il lavoro di Teresa Sapey è pubblicatonelle piú importanti riviste nazionali ed internazionali. Sapore Sapey,Electa Mondadori, 2004, è una raccolta monografica che sintetizza gliultimi dieci anni di produzione architettonica dello Studio Sapey.

Susanna LegrenziGiornalista, capo servizi arte & design a Io Donna, il femminile delCorriere della Sera, dove è responsabile anche dei dorsi speciali dedicatiall’abitare. Curatrice indipendente di fotografia ha collaborato conl’House of Photography di Mosca e organizzato mostre a Milano, Trieste,Roma e Genova, tra queste: Trash, Trenta fotografi per l’ambiente(Genova Capitale della Cultura 2004); East of a new Eden (Torino CittàOlimpica 2005) e Hotel Industria - Francesco Giusti (Roma FestivalFotoGrafia 2006).

Paolo Del DebbioHa studiato filosofia. Dal 1986 al 1988 ha lavorato presso l’InstitutInternational Jacques Maritain con la qualifica di Segretario Esecutivo.Dal 1988 al 1993 ha lavorato presso Fininvest Comunicazioni dapprimadirigendo il Centro Studi, poi costituendo il Centro di documentazione eanalisi tv e stampa e poi come assistente dell’Amministratore Delegato,Dr. Fedele Confalonieri. Nel 1994 ha coordinato un gruppo di lavoro perscrivere il primo programma politico di Forza Italia e ne ha curato larealizzazione. Dal 1994 al 1997 è stato Direttore dell’Ufficio Studinazionale del partito Forza Italia. È stato l’ideatore e l’estensore delCodice di autoregolamentazione Tv e Minori, sottoscritto nel 1992 dalletelevisioni commerciali e dalle associazioni rappresentative di teleutentidi tutela dei bambini. Dal 1997 al 2001 è stato Presidente del Comitatoper la Programmazione della Regione Lombardia. È membro delComitato di Redazione della rivista Ideazione dalla sua fondazione(1994). Giornalista pubblicista. Editorialista de Il Giornale e di Tgcom.it.Conduce la trasmissione Secondo Voi, striscia quotidiana su Italia 1 eCanale 5. Svolge attività di consulenza nel campo della comunicazionestrategica di istituzioni e imprese, di studi e ricerche con una suaimpresa: Paolo Del Debbio Idea Workshop. Insegna Etica ed economia edEtica dei Media all’Università IULM di Milano.

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Claudio De AlbertisQuesto è il quarto appuntamentodelle serate che abbiamo intitolato“Seventonine”.Questa sera riprendiamo un discor-so che l’Associazione dei costrutto-ri ha avviato un anno e mezzo fa.Traendo spunto dal libro di RichardFlorida su “La città dei creativi”, dem-mo il via con Ambrosetti a una ri-cerca che analizzava cinque grandirealtà nazionali: Milano,Torino, Ro-ma, Napoli e Palermo, per capire co-me i nostri territori e le nostre gran-di città possono competere in unquadro complessivo di grandi tra-sformazioni.La ricerca tentava di individuare suquali eccellenze queste città potes-sero contare, quale potesse esserela scintilla che potesse smuoverledal torpore. La conclusione di queldiscorso era che oggi, per stare alpasso con la competizione, le cittàdevono puntare ad attrarre, più chele aziende, i cosiddetti “creativi”, per-sone capaci di superare le regoleusuali per crearne altre, persone chenon hanno paura dell’innovazione,capaci di trasformare i territori. L’at-tenzione quindi si spostava per ca-pire se le città, e in particolare, seMilano era, o comunque poteva es-sere, per via delle sue eccellenze,quel tipo di città, una città capacedi rinnovarsi, una città “Plug andplay”, dove attacco la spina e suonoimmediatamente.Questo discorso non deve parerecosì estraneo al nostro mondo per-ché la città è fatta di persone ma èanche di manufatti dove questepersone vivono e lavorano: noi sia-mo coloro che questi manufatti lirealizzano, talvolta nella sempliceveste di esecutori, talvolta invecenella veste di ideatori, promotori,esecutori; non possiamo quindi es-sere assenti da questo tipo di di-scussione. All’epoca il motore era-no state proprio le argomentazio-ni di Richard Florida, le tre T: tecno-logia, talenti e tolleranza, a suppor-tare le analisi su alcune trasforma-

zioni delle grandi città. Stasera ri-torniamo su questo argomento conun’angolazione nuova. Il problemaè Milano, ha un territorio assai pic-colo dove però si sviluppa una quo-ta rilevantissima del Prodotto In-terno Lordo del Paese, è una cittàdalla dialettica molto forte, talvol-ta forse addirittura eccessiva, spes-so non arriva a tradurre in azionemolti dei pensieri o della proget-tualità.Questo è ciò che noi vogliamo cer-care di affrontare insieme ai nostriospiti, provenienti da esperienzemolto diverse, come l’ingegner Bor-zatta, non solo partner di Ambro-setti ma anche la persona con cuiabbiamo, come associazione, condi-viso un lungo percorso di ricerca.Poi Teresa Sapey, designer e archi-tetto formatasi a Torino, oggi svol-ge il suo lavoro prevalentemente inSpagna, a Madrid; molto attenta acome i manufatti di qualsiasi tipo,dai parchi agli alberghi, contribui-scano a definire l’identità di un luo-go, di un committente, e attraversoquesti manufatti l’identità trovi lasua piena raffigurazione. SusannaLegrenzi, capo servizi sul versantedell’arte e del design di “Io donna”,il femminile del Corriere della Sera,segue con attenzione i problemidell’abitare, credo che da questopunto di vista possa anche lei dareuna forte testimonianza.Infine Paolo Del Debbio, lo defini-rei, anche se non so se è totalmen-te d’accordo, un filosofo, noto ades-so come editorialista de “Il Giorna-le”, è stato per un certo periodo As-sessore in questa amministrazio-ne, poi se ne è andato e preferiscefare il libero pensatore.

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Oggi, per stare al passo con lacompetizione, le cittàdevono puntare adattrarre i cosiddetti“creativi”.

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Paolo BorzattaI territori e le città in particolare og-gi lottano fortissimamente, cosache non era vera cinquanta anni fa,e sono in competizione a livellomondiale; siamo arrivati alla con-clusione che probabilmente nel gi-ro di 20-30 anni ci saranno quat-tro-cinque grandi capitali mondia-li, verosimilmente Shanghai,Tokyo,New York e Londra, città che crea-no e attraggono il meglio di tuttoindipendentemente dalle barrieregeografiche, politiche e culturali.Poi forse ci saranno una ventina dicapitali regionali con capacità at-trattive a livello sub regionale e uncentinaio di capitali provincialiestremamente specializzate conuna competenza eccellente, infineci sarà un mare magnum di città ecittadine, il che pone una sfida perl’Italia, che non ha megalopoli, dicosa fare delle sue famose centocittà. Per farvi capire la potenza del-la sfida, quando abbiamo fatto que-sto lavoro presentato alla Trienna-le nel Luglio 2005, abbiamo scoper-to che a Shanghai c’erano diciottoparchi della creatività, quei diciot-to parchi sono posti bellissimi e fun-zionanti dove sono attratte azien-de di giovani ragazzi che lavoranoin settori creativi, dalla moda al soft-ware alle biotecnologie.Da allora a oggi, a Shanghai di par-chi ne hanno fatti settantacinque,perché vuole diventare la città piùcreativa al mondo: noi percepiamola Cina come il posto dove si copiae non si dà valore aggiunto, invecesta investendo massicciamentecentinaia di milioni di Euro per tra-sformare Shanghai nella città piùimportante del mondo.

Per città creativa intendo una cittàche abbia posti di lavoro in cui lepersone che li ricoprono sono chia-mate a essere creative: giornalista,filosofo, imprenditore, banchiere,scienziato, uomo di spettacolo, mu-sicista, artista e così via; non lo so-no un manovratore di tram o unghisa…, che possono svolgere il pro-prio mestiere in un modo più crea-tivo di un altro, ma hanno il compi-to di applicare ogni giorno in ma-niera esperta delle procedure ugua-li, mentre un imprenditore o un fi-losofo, o un fisico, o un uomo dispettacolo è chiamato ogni giornoa risolvere con la propria mente cen-

tinaia di problemi diversi in manie-ra diversa. Le città italiane hannouna collocazione media in terminedi creativi, ma a Londra il 54% deiposti di lavoro è ricoperto da posi-zioni di persone che sono chiama-te a essere creative, nel nord Euro-pa siamo oltre il 30% e in Americaattorno al 40%, quindi la competi-zione ci vede sfavoriti da questopunto di vista. Detto questo sullacreatività, ci siamo chiesti: come de-ve essere una città? Siamo arrivatialla conclusione che sono tre gran-di dimensioni, di solito sottovalu-tate, che rendono una città capacedi attrarre i creativi: la dimensioneeconomica, quella sociale e quellaurbanistica. La città deve essereaperta e tollerante, deve esseresempre in funzione, deve essere fa-cile entrarci e lavorarci, deve gene-rare grande energia e grande cam-biamento. Inoltre la creatività è di-rettamente proporzionale al nume-ro di input diversi che io ricevo, quin-di le città sono attrattive per i crea-tivi quando sono luoghi ricchi in

termini di quantità e varietà di sti-moli, dalla cultura alle professioni,alle aziende, ai giornali e via di se-guito. L’urbanistica è fondamenta-le perché la riconoscibilità e l’im-maginabilità della città sono mol-to importanti, di colpo Bilbao, aven-do fatto un museo con Frank Ge-hry, è diventata attrattiva e famosa.Le città italiane hanno problemi per-ché la nostra riconoscibilità è lega-ta alla Madonnina o al Colosseo, so-no cose egregie ma non credo fac-ciano scattare voli di fantasia e de-siderio di viaggio, forse non basta-no. A valle di questo lavoro abbia-mo fatto un approfondimento su

cinque città: Milano, Roma, Torino,Palermo e Napoli; abbiamo poi pre-sentato alcuni spunti sulle visionipotenziali, avendo chiaro che in pri-mis serve una visione per entrarein un percorso virtuoso di sviluppo.Abbiamo rilevato quelle che secon-do noi erano le visioni che circola-no sotto traccia a Milano, sono so-stanzialmente due, non in antitesitra loro:“Milano laboratorio del nuo-vo” e “la grande Milano”. Una visio-ne è necessaria; tuttavia oggi,da mi-lanese, non so quale sia la visione diMilano. Torino se ne sta dando unamolto chiara e sta investendo mas-sicciamente per diventare la città deldesign,speriamo non ci riesca,perchése c’è una città in Italia candidata aessere la capitale del design è Mila-no. La visione della grande Milanometterebbe insieme Milano, Tori-no, Genova aggiungendoci magaricome appendici Bergamo e Brescia.Questa sarebbe forse l’unica visio-ne che permetterebbe all’Italia dicostituire un agglomerato con tec-nologie modernissime, treni veloci,

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Tre grandi dimensioni, di solito sottovalutate,rendono una città capace di attrarre i creativi:la dimensione economica, quella sociale e quella urbanistica.

I territori e le città in particolare oggi lottanofortissimamente.

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un grande hub centrale nella zonadi Alessandria con un edificio so-stenibile alto un chilometro comecentro direzionale di questa mega-lopoli, avrebbe quattordici milionidi abitanti, sarebbe forse l’unica spe-ranza dell’Italia di avere una cosanuova che salvaguardi il territoriosenza sventrare le cose belle esi-stenti, costruendo contemporanea-mente qualcosa di straordinaria-mente bello, grandi tecnologie,grandi industrie innovative e crea-tive. Se è vero che una città in pri-mis deve avere una visione, poi co-me fa a realizzarla? Abbiamo capi-to che occorrono due cose: innan-zitutto che si costruiscano dellecompetenze eccellenti, oggi ormaila gente va dove c’è il meglio. Bar-cellona ha definito la “Visione diBarcellona” nel 1986, un documen-to di trenta pagine circa firmato dalre e da oltre trenta maggiorenti del-la città, dagli imprenditori ai docen-ti universitari, in cui c’era scritto chevolevano diventare in vent’anni lapiù grande città europea del Sudcome capacità commerciali e capa-cità mercantili, da allora hanno ini-ziato a investire in quella direzione.Oltre alla visione e alle competen-ze ci devono essere una società ci-vile e una leadership diffusa espres-sa da una classe dirigente capacedi governare la città per dieci, quin-dici, venti anni, perché una visionesi realizza su queste grandezze ditempo per realizzarsi pian pianoconformando il territorio: questopurtroppo in Italia manca dramma-ticamente. Tutti i nostri comuni, leprovince e le regioni non fanno ipiani strategici territoriali, alcuni liavviano, malamente, perché li fan-no i politici: in questo processo i po-litici ci devono essere ma i piani nonpossono essere fatti in una logicapolitica, Barcellona l’ha fatto in unalogica di società civile in cui tutte lecomponenti erano coinvolte su unprocesso lungo, articolato, dialetti-co, difficile.

Paolo Del DebbioIl documento che ci avete inviatoin preparazione è un documentocondivisibile e ben fatto, dice chebisogna costruire condizioni per in-sediare nel territorio funzioni ecompetenze di assoluta eccellenzain grado di assicurare al territoriovantaggi competitivi. Ma Milanooggi non è in grado di fare quel cheha fatto Barcellona, oggi a Milanonon c’è ancora un catalizzatore for-te in grado di farlo.L’Expo 2015 potrebbe essere l’occa-sione. Comunque vada occorrereb-be concentrarsi su una via di tipodiverso: pensiamo a dove si incon-trano la domanda e l’offerta in unacittà. Si incontrano in pezzi della cit-tà: si va da qualche parte perché c’èuna funzione che interessa, questefunzioni sono allocate in zone del-la città e, in genere, questi luoghiattrattivi si trovano in zone che so-no state oggetto di trasformazio-ne. Questo è possibile anche a Mi-lano, bisognerebbe concentrarsi supezzi di città individuando in ognu-no una o più funzioni importanti eattrattive, dipende dalle dimensio-ni della zona, facendoli diventareelementi di città a tutti gli effetti:oggi quei luoghi non sono città, chiabita lì dice che è milanese però poinon ti dice l’indirizzo e se te lo dicete lo dice farfugliando perché si ver-gogna. Questi pezzi di città sonopezzi di periferia sui quali si può fa-re tantissimo, sono gli unici postidove si può intervenire.

Questo tra l’altro coinciderebbe conl’attrattività dall’estero e con il per-seguimento di una vivibilità mag-giore a Milano. I creativi vengonose ci sono situazioni in sviluppo, sec’è una città accogliente, se c’è unacittà urbanisticamente e architetto-nicamente interessante sia dal pun-to di vista dell’estetica che dal pun-to di vista funzionale. Il discorso suMilano va fatto partendo con pro-getti specifici; detto in un altro mo-do che penso sia più utile fare un ra-gionamento su parti di Milano in-vece che su tutta Milano. Io sonouscito scornato dall’amministrazio-ne comunale da questo punto di vi-sta, perché avevo voluto provarequesta ipotesi su Ponte Lambro, cicredevo, ero sicuro che, portando lìdelle funzioni interessanti – c’eranoistituzioni internazionali dispostea venir lì, l’Unesco di Parigi avrebbestabilito a Ponte Lambro una pic-cola sede a Milano, c’erano tutte lecondizioni – avremmo potuto inse-diare delle imprese e trasformarela periferia in città con l’attrattivainternazionale, però non ci siamoriusciti, per tanti motivi.L’Expo è una cosa importantissima,poi però bisogna vedere dove si fae cosa rimane, perché certi Expohanno lasciato il vuoto nelle città:non è sempre detto che un eventocosì importante lasci una buona im-magine della città, viceversa se cifosse un lavoro preparatorio su al-cune zone della città – e i tempi cisono – allora Expo potrebbe lascia-re un segno positivo già nella faseistruttoria. Il millenarismo sul do-po-Expo come fattore fondamen-tale di sviluppo mi trova del tuttoscettico.

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Serve una visione perentrare in un percorsovirtuoso di sviluppo

Bisognerebbe concentrarsi su pezzi di cittàindividuando in ognuno una o più funzioniimportanti e attrattive, facendoli diventareelementi di città a tutti gli effetti.

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Teresa Sapey Io non credo che la città sia un in-sieme di pezzi. Credo anche che laquestione dei creativi non sia tan-to una questione di statistiche per-ché i numeri mi hanno sempre fat-to una grande paura. Ringrazio in-finitamente di essere italiana e diaver studiato qua, è stata la miagrande fortuna ed è stato anche ilmotore che mi ha portato a espor-tare la nostra creatività nel mondo,perché faccio parte di una genera-zione di architetti che non ha po-tuto esprimersi nel nostro paese.Nacqui nel ’62, studiai a Torino, do-po di che feci un dottorato a Parigi.Oggi siamo venti in studio a Ma-drid e cinque a Londra, lo studio èappena aperto e stiamo andandoalla grande, abbiamo appena vintoil premio “Wallpaper” tra i dieci stu-di più creativi al mondo e siamo ita-liani, ma voi non ci conoscete per-ché non abbiamo mai costruito qua.Oggi vorrei raccontarvi tantissimecose, però certamente il tempo mimancherà, parleremo della città dei

creativi, è un tema emozionante ebellissimo. Entriamo in un mondocompletamente diverso, molto piùcolorato; finalmente iniziamo a co-struire edifici diversi, secondo mel’architettura è scrittura, solo chescriviamo in tre dimensioni, non èbidimensionale come l’arte, i nostriedifici parlano, non sono solo fattidi cemento, vetro o cristallo ma han-no una loro personalità, questa è lapersonalità di una città. Rileggia-mo il nostro passato, nelle nostrecittà si riconosceva la chiesa, il mu-nicipio, il castello, erano le icone del-la nostra urbe, qual è stato il gran-de cambio? Con la nuova architet-tura stiamo modificando genetica-mente il paesaggio: nella città mo-derna non riconosciamo più gli edi-fici. Amo la Spagna, mi ha dato tan-tissimo, però guardiamo il Guggen-heim e non sappiamo cosa sia, ciattira forse per quello, idem Valen-cia, rileggiamo il presente e non siriconosce. Anche noi ora cerchiamodi riscrivere un paesaggio con un

edificio di centocinquanta alloggiche stiamo costruendo nel sud del-la Spagna: centocinquanta alloggidi lusso, perché noi siamo specia-lizzati nell’architettura del lusso, in-teso come modo di vita, come crea-tività, non come fatturato o a livel-lo economico, è diventato un enor-me serpente che si inscrive nel pae-saggio e sarà un corpo, il corpo diuna donna, quando sarà disabitatoleggeremo il corpo e quando saràabitato si muoverà come una don-na dalle forme sinuose.Possiamo essere creativi? Il proget-to del negozio di Custo Barcelona (ill.1) a Madrid ha vinto un sacco di pre-mi di architettura, era un utero alcontrario, come lo chiamiamo noi,uno spazio improponibile in cui ilconcetto fu di usare il pavimentocon un enorme quadro di Kandin-sky e con un degradé di colori chepartono dal nero e ti attraggono ediventano il paesaggio, è scritto do-ve cammini e ti obbliga a entraredentro al negozio e girarti e scopri-

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Negozio di Custo Barcelona1

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re tutta la parte vendita. E così perl’agenzia di pubblicità Mc Cann (ill.2) che è cliente dello studio storicoabbiamo disegnato spazi basati sunuovi concetti del lavoro e del pen-siero: per inventare uno spazio crea-tivo per altri creativi abbiamo par-cheggiato un’enorme sala riunionecome un ufo in mezzo a un pavi-mento galleggiante in acciaio. Inun’altra agenzia in cui avevano uninfame cavedio senza luce, uscen-do dall’ascensore non sapevano maia che piano fossero, abbiamo inven-tato un sistema ottico con i nume-ri retroilluminati, per orientarti ognivolta che sbarcavi dall’ascensore.È molto difficile per gli architettigiovani iniziare a costruire. Un no-stro cliente stava costruendo un al-bergo a Madrid, l’architetto incari-cato era Jean Nouvel e dopo di luiavevano scelto diciassette architet-ti, gli chiesi: “Scusi potrei fare unaproposta?” Mi guardò e mi disse:“Teresa, sei famosa a Madrid manon internazionalmente, mi dispia-ce tantissimo ma per questo pro-getto abbiamo scelto i più grandiarchitetti al mondo.”È terribile sen-tirsi dire che non sei sufficiente-mente famosa, mi sentii un vermeper non dire di peggio, allora gli dis-si: ”Ma scusi non potrei fare una

proposta di un posto strano, che so,della sala macchine, della cucina odelle scale?” Lui mi guardò: “Guar-da, te lo farei anche fare, ma non ri-mane più niente, hanno conferma-to tutti la partecipazione.” Da buo-na torinese mi hanno insegnato anon perdere mai le battaglie:“Ma se te lo trovo io lo spazio?”“Certo, se lo trovi te lo do, vuoi co-noscere il progetto meglio di meche sono il proprietario?” Io gli dis-si: “Il parcheggio.” ”Il parcheggio?Cosa bisogna fare in un parcheg-gio?” “Se uno è creativo saprà an-che disegnare un parcheggio” “Vabene Teresa, ti lascio fare una pro-posta.” Quel giorno entrai in studioe dissi ai miei collaboratori: ”Abbia-mo vinto la lotteria!”. Quando tichiami Teresa Sapey e competi conFoster per fare un piano dell’hotelPuerta de América in più, nessunoti vedrà mai perché saresti sem-plicemente uno in più; ma il par-cheggio è un progetto diverso, nonl’ha mai fatto nessuno, era la cartavincente. Il giorno che presentai ilprogetto in sala d’amministrazio-ne squillò il telefono, pensai che nonsi risponde al telefono durante unapresentazione. Era Frank Gehry, l’au-tore dell’edificio più conosciuto delmondo contemporaneo, che tele-

fonava per far parte del team; ma:“Stiamo vedendo il progetto del par-cheggio e ci piace, purtroppo Fosterha confermato la partecipazione,non c’è più posto nemmeno per lei.”

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Agenzia di pubblicità Mc Cann 2

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Nel parcheggio dell’hotel Puerta deAmérica (ill. 3) è stato usato colorenon solo per ragioni estetiche, maanche per ragioni di sicurezza, tut-te le icone della grafica perimetra-le sono fatte con le parole, perchél’albergo è stato ispirato dal concet-to di libertà scelto da Jean Nouvel,quindi abbiamo pensato che nelmondo odierno in cui non puoi piùparlare né di religione né di razza,né di continenti, né di cultura, l’uni-ca cosa che ci unisce è la libertà divedere e di esprimersi; quindi ab-

biamo creato dei simboli che si di-rigono verso le uscite di sicurezza.Questo parcheggio, oltre a esserecolorato e piacevole, è anche il par-cheggio più sicuro al mondo per-ché il colore in degradé visualizzaesattamente dov’è l’uscita di sicu-rezza più vicina e quindi non ti sba-gli in caso di evacuazione. Un pro-getto non è solo estetico ma anchefunzionale: ci sono i tubi al neonperché rispettiamo sempre i bud-get dei miei clienti, ma i tubi sonostati messi in modo divertente e se-

gnalano i posti liberi da quelli occu-pati. Il parcheggio è diventato unposto veramente divertente ed èstato anche affittato per una festaprivata.Le scale sono di un degradé diver-so, un piano sui blu, uno sui verdi euno sui rossi, il passamano è in fer-ro perforato con le lettere e anchele scale cambiano i colori così unomemorizza esattamente in che pia-no ha parcheggiato la macchina.

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Parcheggio dell’hotel Puerta de América3

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Dopo questo parcheggio il sindacodi Madrid ci ha invitati a un concor-so per il parcheggio di Chueca (ill.4), che è un quartiere molto giova-ne, diciamo un quartiere omoses-suale, il quartiere della movida, del-la vita notturna. Io pensai che si do-veva trovare un tema, mi piace sem-pre scrivere due storie quando stu-diamo lo spazio, una storia eviden-te e una meno evidente, quella evi-dente era un parcheggio giovane ecolorato che la gente usasse senzapaura, ma l’altra storia era di par-lare dell’amore in un modo diver-so; sapete che in Spagna si posso-no sposare le coppie omosessuali e

mi sembrava banale di nuovo inquesto quartiere omosessuale co-sì marcato riparlare dello stesso te-ma, allora ci siamo ispirati all’infer-no di Dante, al canto di Paolo e Fran-cesca, sull’amore in senso lato, e neabbiamo usato i simboli. L’ingressodel parcheggio è un volume traspa-rente con i tubi neon di colore ros-so perché evidentemente è un co-lore emozionale; è stata pensataanche la grafica, la famosa frase diDante “Amor che nulla ha amatoamor perdona” è riprodotta sul pa-vimento. Questo è un parcheggiopubblico, il più usato della città diMadrid e anche più redditizio, c’è la

coda 24 ore al giorno, i nostri clien-ti sono cittadini comuni e preferisco-no parcheggiare lì e andare a piedianche verso destinazioni più lonta-ne pur di essere in un luogo piace-vole; tutte le scale sono ricopertedi metallo per antivandalismo e perfacilità di manutenzione; il bagno èaperto, abbiamo piazzato il lavan-dino in mezzo al parcheggio ed èutilizzatissimo, tutti si lavano, i ba-gni sono dotati di un sistema di si-curezza per evitare tutto quello chedi sgradevole succedeva nei norma-li gabinetti. Questa per noi è la cit-tà dei creativi.

Parcheggio Vazquez de Mella4

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Susanna LegrenziIn qualità di bieca giornalista, co-stretta a vivere in questa città perprofessione perché Milano era ed èla capitale dell’editoria italiana, cre-do che la questione Milano sia digrande urgenza e molto seria. Sareb-be bello poter tornare a fare del-l’utopia sul territorio, però le urgen-ze, prima delle visioni, sono tante espesso sono di una tale banalitànella loro evidenza che è quasi unasofferenza raccontarle.Rispetto a Milano si può fare un ca-talogo delle assenze, però il pubbli-co è un pubblico di professionisti equindi forse possiamo tralasciare.Mi soffermerei invece sul problemadelle presenze annunciate, voi sie-te costruttori, io una giornalista, ne-gli anni sono stata invitata a pre-senziare ai risultati di concorsi inter-nazionali che, nella giunta Alberti-ni in particolare, hanno rilanciato

Milano a livello internazionale gra-zie a progetti come la Biblioteca Eu-ropea, l’Ansaldo di Chipperfield, ilMuseo del gasometro della Bovisa.Adesso è tanto tempo che non scri-vo più di Milano, ricevo tantissimetelefonate dai gruppi immobiliari,quelli che stanno facendo le gran-di operazioni urbanistiche sulla cit-tà; rispetto alla Giunta Albertini c’èun assessorato che spinge meno arendere visibile sulla carta stampa-ta le modifiche in corso. Al contra-rio, la sensazione recente di poterentrare in Bocconi e assistere allapreinaugurazione, in sordina, dellospazio di una importante istituzio-ne milanese che rappresenta vera-mente l’eccellenza, che non ha pre-miato delle “archistar” ma dei pro-fessionisti della progettazione deisaperi, è stata per me, come abitan-

te della città e come professionista,un’esperienza molto forte e coin-volgente. Quali sono le questionipiù banali che secondo me dovreb-be affrontare Milano? La prima è diragionare in termini di fattibilità,questo non è mai stato fatto sul re-cupero di una memoria storica del-la città. Milano ha conosciuto il pas-sato dell'eccellenza, le eccellenzesono state smarrite ed è stato smar-rito anche in qualche modo il pa-trimonio storico di queste eccellen-ze, il Comune non si è mai fatto ca-rico di incentivare i progetti di archi-vio, c’è una bellissima stagione del-la grafica milanese che è quella diPino Tovaglia, Albe Steiner, l’archi-vio di Tovaglia è a Parma da Arturo

Quintavalle, magnifico archivio del-la storia e dell’immagine azienda-le milanese, c’è un patrimonio d’ar-te e lo vediamo presso Napoli checelebra Piero Manzoni, potevamofarlo forse noi a Milano, c’è la sta-gione della fotografia che potrebbefare di Milano un punto di attrazio-ne per il sedimento storico e que-sto non è accaduto, è stata prodot-ta una mostra scientifica molto bel-la sulla scuola neorealista milane-se che potrete vedere all’estero neiprossimi mesi, è stata acquistatada Madrid, andrà a Mosca ma a Mi-lano non arriverà mai. Possiamo pe-rò fare un discorso oltre a quello delrecupero della memoria in cui nonè responsabile solo l’amministra-zione perché Milano – e credo nes-suno possa smentire – è una cittàaltamente litigiosa in cui il sistema

di squadra è difficilmente rintrac-ciabile, penso ai musei aziendali, cene sono tantissimi, Museimpresaha fatto una rete, una guida, cosebellissime, però le singole aziendeche hanno lavorato a questo pro-getto non hanno mai pensato di in-dividuare una logistica comune do-ve questi musei potevano poi tro-vare un coordinamento. Su terrenodelle responsabilità io penso chetutti i milanesi dovrebbero iniziareun processo di autocritica moltoforte, lo dobbiamo fare noi comestampa, perché non siamo compe-titivi sul mercato internazionale,non sappiamo vendere il prodottoitaliano, in questo momento l’edi-toria italiana non ha una testatacapace di raccontare all’estero quel-lo che Milano potrebbe essere po-tenzialmente o quello che è stata;anche sul patrimonio storico c’èsempre moltissimo interesse e nonc’è forse alcun imprenditore comeMazzocchi che si innamora diun’idea o di un genio come Gio Pon-ti e fonda una rivista.Il territorio poi diventa una questio-ne politica su cui non mi voglio ad-dentrare perché non ho gli strumen-ti e la competenza, però dopo tan-ti progetti annunciati che sono sta-ti lanciati a livello internazionalema non sono mai stati realizzatimentre Parigi costruiva con JeanNouvel il museo Quai Branly, credosia importante capire che cosa sa-rà poi di questi progetti, nei prossi-mi dieci anni come cittadino misembra di capire che l’attuale giun-ta in carica abbia delegato in qual-che modo ai privati la gestione delfare, i privati sono i grandi gruppiimmobiliari, però i privati coinvoltisono anche le grandi imprese edilinella maggior parte dei casi. In ter-mini semplicistici possiamo parla-re forse di una sorta di deregula-tion, il Comune reggerà sicuramen-te le file della trasformazione delterritorio però non la gestisce piùin prima persona. In questo caso mi

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Milano è una città altamente litigiosa in cui il sistema di squadra è un sistemadifficilmente rintracciabile.

Recupero di unamemoria storicadella città

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viene da chiedere quali sono le re-sponsabilità che hanno rispetto agliabitanti gli operatori economici efinanziari coinvolti nella trasforma-zione del territorio: sono responsa-bilità grosse e vanno assunte, per-ché un cittadino può chiedere allagiunta trasparenza, ma mi sembrache in questo momento la giunta ri-spetto alla trasformazione del ter-ritorio non sia intenzionata a pro-cedere in questo senso. Che cosa siproduce in questo modo? Milanonon è Berlino che ha cantieri aper-ti giorno e notte visibili dalla me-tropolitana, Milano è una città cheforse ora lentamente sta iniziandoa guadagnare tempo, lo fa di na-scosto, lo fa con queste enormi areeverso Garibaldi e Repubblica dove bi-sogna forse forare il manto di pro-tezione per capire che cosa succe-de, lo fa in aree che hanno un pas-sato industriale molto forte, pensoall’area dell’ex Alfa Romeo dietro alPortello. Forse i soggetti attivi diquesta operazione potrebbero agi-re su due fronti: facendosi carico diun racconto mediatico di questatrasformazione del territorio e diun rapporto di trasparenza con lacittadinanza. Molte di queste areesaranno dedicate al terziario, benvenga se poi sarà occupato da atti-vità creative, probabilmente le so-le che potranno occuparlo perchéil terziario fa parte del mondo del-la creatività; molte sono abitazioniprivate, chissà se queste aree diven-

teranno la Bicocca, che dal punto divista architettonico è un’operazio-ne sicuramente interessante, peròabbiamo il problema del teatro de-gli Arcimboldi, il problema dell’abi-tabilità del quartiere e quello deicollegamenti, forse ci sono anchedegli strumenti semplici per esse-re soggetti attivi di questa trasfor-mazione del territorio non solo dalpunto di vista finanziario ma an-che sociale. Potrebbero essere – eve ne parlo perché mi occupo digiornale e di immagine – ancheoperazioni molto semplici, Milanoha avviato – sempre forte della sualitigiosità tra le parti – anni fa unprogetto della Provincia molto bel-lo, creato da Roberta Valtorta, han-no commissionato a fotografi im-portanti internazionali l’incarico difotografare il paesaggio; sarebbebello che i soggetti privati, a un ta-volo di lavoro comune, assumesse-ro questo compito e quindi docu-mentassero pian piano la trasfor-mazione che sta per affrontare lacittà, questo perché questa trasfor-mazione va comunicata all’estero, vacomunicata al cittadino, dalla do-cumentazione possono nascere di-battiti sull’uso e forse anche unaprogettazione di visione che parteda un dato territoriale concreto. Mipiacerebbe molto che Milano asso-migliasse non dico a New York, maalmeno a Parigi, una città con unsenso civico molto alto, dove le co-se si fanno, la metropolitana ha

l’aria condizionata, anche se ha unenorme centro funzionante e unaorribile periferia; fortunatamenteper ora la nostra periferia non è or-ribile, però abbiamo un centro conun forte degrado e nessuno di fron-te a questa situazione può dirsi piùneutrale.

CDARipartirei da alcune delle conside-razioni di Susanna Legrenzi. Quan-do un anno fa come AssociazioneNazionale Costruttori – all’epoca neero Presidente – decidetti di chia-mare i più grandi fotografi italianiper raccontare i sessanta anni del-la nostra associazione rinata dopola guerra, ci siamo trovati a doverdecidere: “Che cosa riprendiamo?Riprendiamo la città che si trasfor-ma o alcune cose costruite?”Abbia-mo scelto di far fotografare loro co-se che avevano una storia; fu unascelta nostra più che loro; non avreinessun problema, come imprendi-tore, a presentare in anteprima unmio progetto ancora in fase di idea-zione, in tutte le sedi, all’Urban Cen-ter di Milano o sulle pagine dei gior-nali, se ci fosse discussione seria,nel merito, non pretestuosamenteanimata da chi è comunque e pre-giudizialmente contro; questo valedi certo per le grandi infrastruttu-re, cui si dice “no” ma non ci si con-fronta con soluzioni alternative. Leresponsabilità non sono complessi-ve, su un progetto si discuta seria-

I soggetti attivi di questa operazionepotrebbero agire su due fronti: facendosicarico di un racconto mediatico di questatrasformazione del territorio e di un rapportodi trasparenza con la cittadinanza.

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Quali sono le responsabilità che hannorispetto agli abitanti gli operatori economici e finanziari coinvolti nella trasformazione del territorio?

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mente nel merito delle scelte. Deb-bo riconoscere che noi tutti, opera-tori, costruttori, immobiliaristi, sia-mo diventati molto timorosi: que-ste cose avvengono sfruttando inmaniera molto strumentale la co-municazione spesso al servizio diun disegno ben preciso, la discus-sione deve esprimersi liberamenteperché è accrescimento progettua-le, accrescimento delle scelte, ac-crescimento della conoscenza.Il fatto che molti professionisti nonlavorino, che lavorino sempre i so-liti, o quelli che noi riteniamo pos-sano essere garanzia di successonel procedimento e in quel consen-so, è frutto anche di questa logica:spesso si sceglie quella persona chedà garanzie di riuscita, per vicinan-za politica o perché non viene mes-so in discussione, non una personagiovane pur creativa e innovativa;anche sul piano della progettuali-tà da noi non c’è concorrenza. Se cifosse una discussione seria e paca-ta, se queste estenuanti procedurefossero veramente rese celeri, nonavrei nessuna difficoltà a cercare difar capire e di far passare idealmen-te nell’ambito della mia associazio-ne, che i progetti anche per interven-ti privati sotto una certa dimensio-ne devono passare attraverso unaforma concorsuale perché sarebbeun accrescimento complessivo. Ilproblema della responsabilità è unproblema serio che noi dobbiamoaffrontare, però responsabilità, tra-sparenza, rapporto con la città, so-

no anche frutto della crescita cul-turale che tra l’altro paradossalmen-te è incrementata in questi ultimianni in alcune parti del nostro ter-ritorio degradato, il Sud, piuttostoche in una città come Milano: Mi-lano è rimasta indietro, si gioca acercare di impedire di fare al vicinoquello che non puoi fare tu, è ungioco alla riduzione anche in ter-mini qualitativi. Credo che vada su-perata la logica che qualunque co-sa nuova debba essere comunquepesantemente criticata, che tuttodeve essere conservato perché tut-to il nuovo fa paura. Ogni periodostorico ha lasciato i propri segni,belli o brutti che siano; secondo mequei famosi creativi da questi cam-biamenti trovano stimoli. Concor-

do che la nostra grande opportuni-tà è nelle periferie – molto è statosostanzialmente pregiudicato dalfatto che il grande patrimonio pub-blico delle periferie è stato vendu-to pezzettino per pezzettino e og-gi è difficilissimo, però ci sono an-cora grandi opportunità da affron-tare con coraggio.Ho presa come una giusta critica ilproblema degli archivi delle azien-de, perché si riallaccia al discorso diprima. Le imprese edili sono quelleche hanno costruito questo Paese,ma proprio quelle imprese sono lepiù carenti dei propri archivi, nonhanno niente. Nessuno di noi hamai voluto legare il nome dell’azien-da all’opera, abbiamo sempre pre-ferito che venisse dimenticato, tal-volta si ricorda chi è l’architetto manon si ricorda chi è il costruttore: iocredo – lo riconoscono anche gli ar-chitetti… – che nell’esito della rea-lizzazione per buona parte contri-buisca anche l’esecutore.

PBSono un po’a disagio perché ho sen-tito delle cose interessantissime datutti i miei colleghi per una sera inquesto dibattito ma, forse, non hocapito bene di che cosa stiamo par-lando. Se stiamo parlando di fareuna città bella, forse sono la perso-na meno adeguata per parlarne:pensavo di discutere su come farcrescere una città affinché questadiventi economicamente, social-mente e anche urbanisticamenteun grande centro dotato di un’eco-nomia sana che genera valore per-ché è competitiva nel mondo. Sap-piamo che le aziende sane e com-petitive oggi hanno bisogno nonpiù degli operai della catena dimontaggio, ma di un’altra risorsa

scarsissima che è l’innovazione. Daventisette anni opero come consu-lente di strategia, una disciplinastrana che serve per stabilire, datoun obbiettivo, cosa devo fare perraggiungerlo; mi occupo dei proble-mi di aziende, italiane e non solo, edell’Italia, da anni lavoro con Am-brosetti sulla competitività del Si-stema Italia, o di suoi pezzi; con que-sta premessa allora se l’obiettivo èla città potente, attrattiva, econo-micamente sana, guardando i nu-meri l’Italia va male dappertutto, acominciare dalla creatività perchéin un mondo moderno e democra-tico devono essere gli altri a ricono-scere che noi siamo altamente crea-tivi, le nostre aziende non sono in-novative, non conquistano il mon-

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Milano è rimastaindietro, si gioca acercare di impedire di fare al vicino quelloche non puoi fare tu.

Anche sul piano della progettualità da noi non c’è concorrenza.

La discussione deveesprimersi liberamenteperché èaccrescimentoprogettuale,accrescimento dellescelte, accrescimentodella conoscenza

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do, ogni anno rallentiamo, allora perfar crescere le aziende italiane, oc-corre creatività ma anche altre co-se: organizzazione, strategia, visio-ne, eccetera. Noi italiani siamo bra-vissimi a fare i voli di fantasia e aentusiasmarci, ma quando poi dob-biamo costruire aziende grandi checompetono nel mondo in qualun-que settore, dalla cultura alla mec-canica, oggi – non era così cinquan-ta anni fa – facciamo fatica. Secon-do noi è importante comprendereche l’architettura e l’urbanistica so-no un mezzo e non un fine, purtrop-po non hanno avuto un grande suc-cesso le città progettate in toto co-me città ideale, ci hanno provatonel Rinascimento con Pienza, Sab-bioneta; temo che purtroppo ven-

gano sempre progettate a pezzet-tini come un patchwork – sono d’ac-cordo con il professor Del Debbioche è meglio fare un pezzettinogrande. Però se il tema è di proget-tare una parte di città, bisogna ave-re le idee chiare. Occorre poi met-tere in gioco le tre dimensioni checitavo: l’urbanistica, il sociale e l’eco-nomia. Se nella periferia più degra-data di Milano mettessimo un cen-tro di eccellenza mondiale, magaribellissimo, di biotecnologie o di na-notecnologie con 20.000 poliziot-ti intorno per garantire che non ven-ga rubato niente o che non venga-no infranti i vetri, potete immaginar-vi la potenza di questo centro e gliinflussi positivi che si riverberanosull’intorno: questo è un modo diintervenire nei pezzi della città.Qualcuno ha detto una parola più

bella della mia, io parlavo di visio-ne, qualcuno ha detto utopia. Ho icapelli bianchi e mi ricordo Milanonegli anni ’50, ero piccolino, ricor-do bene che a Milano c’era l’utopia.C’è un corto bellissimo di ErmannoOlmi finanziato dalla Regione Lom-bardia,“Milano”, sull’utopia di Mila-no in quegli anni di diventare unagrande città di imprenditoria, di rin-novamento, era l’epoca del verogrande design italiano, dei grandiarchitetti, del Pirellone, della TorreVelasca. A Milano c’era un’utopia,c’era una visione, oggi non c’è più edè che l’unica cosa su cui non sonod’accordo con il dottor Del Debbio,quando afferma che non si può piùfare. Si può, ma chi lo deve fare? Si-gnori, guardatevi allo specchio: noi.

Una delle cose che mi ha fattoapprezzare moltissimo l’inge-gnere De Albertis quando al-l’inizio abbiamo parlato di que-sti argomenti, a un certo pun-to ha detto “È tempo di ribel-larsi”. Non vorrei essere frainte-so, ribellarsi nel senso che cimettiamo a lavorare seriamen-te per costruire la visione dellaMilano che vogliamo, dobbia-mo avere in mente Milano, non

la copia di Parigi o di Londra. Qua-le Milano allora? I politici non ce lodiranno mai ma non perché i no-stri politici siano peggiori degli al-tri, ma perché non ne hanno le com-petenze e le capacità, siamo noi chele abbiamo e dobbiamo metterle ingioco. Ken Livingston investe ognianno trecento milioni di sterline

nell’associazione “Creative London”che ha il compito di far funzionarela società civile perché crei la visio-ne per Londra.

PDDMa il signore che ha fatto questabella cosa è il sindaco di Londra. Tuci puoi mettere tutte le energie chevuoi, ti puoi ribellare quanto ti pa-re, ma purtroppo non c’è da far nul-

la: la politica ci vuole, altrimenti nonce la si fa. Lo so che la città non è fat-ta di pezzi, ma dov’è e poi: è giustoche ci sia? Quindi o si sta fermi o siva per pezzi, soprattutto se ci sonoa disposizione almeno dieci partidella città, parti consistenti, dove èstato fatto poco ma c’è una socie-tà civile molto vivace… Spesso unpolitico dice di avere una visionecomplessiva e di volere una cittàpiù aperta, poi comincia a balbetta-re perché non sa che cosa vuol di-re. Giustamente poi in questo do-cumento si dice: ”Non consideria-mo i confini”: ci sono dei punti diMilano in cui puoi realizzare unacosa a patto che tu possa contaresu un pezzo di area del comune con-finante, se ti limiti al confine in cer-ti punti non c’è proprio lo spazio di-sponibile. Occorre ricostruire areein cui fisicamente c’è un simbolo.L’Organizzazione Mondiale del Com-mercio, l’Unesco, l’OrganizzazioneMondiale della Sanità sarebbero di-sposti a collocarsi in diversi puntidi Milano: sai cosa significherebbeuna di queste presenze per un quar-tiere? L’esperienza che ho avuto nel-l’Amministrazione comunale, nellaquale sono stato quattro anni,mi oc-cupavo del piano delle periferie perl’esattezza, mi ha rivelato che la que-stione è l’assenza di visione: ogniassessore fa il suo pezzettino.Vice-versa se tu punti su un progetto,poi sulla base di quello costruiscianche le strutture… Ci potrebberoessere cinque, dieci punti per far ri-partire Milano e allora le cose scrit-

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Le aziende sane ecompetitive oggi hannobisogno non più deglioperai della catena dimontaggio, ma di un’altrarisorsa scarsissima che è l’innovazione

L’architettura el’urbanistica sono unmezzo e non un fine.

Occorre ricostruirearee in cuifisicamente c’è un simbolo

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te in questo documento, tutte con-divisibili, troverebbero una sede rea-le, non utopica. Che dici a quelli chedevono venire a Milano? “Vieni aMilano che ti renderò la vita più fa-cile.” - e chi ci crede… “Vieni a Mila-no che si respira aria buona.” “Vie-ni a Milano che si mangia bene.”“Vieni a Milano che ci sono tantebelle università”?, tra l’altro le me-no attrattive nei confronti degli stu-denti stranieri. Viceversa se ci fos-sero situazioni di questo tipo ci sa-rebbero ricadute per privati ed en-ti pubblici. Io non sono un creativoo un architetto, sono uno che ha la-vorato in Comune su questi temi afianco di un grandissimo architet-to come Renzo Piano per la partesociale e culturale del progettoavendo presente esperienze inter-nazionali. Ho capito che se si collo-ca una nuova funzione in un pun-to e si interviene su tutto il punto,quel punto non si stacca dalla cit-tà, si integra immediatamente: unacosa bella attrae i cittadini dalle al-tre parti della città, attrae dall’este-ro immediatamente, riesce a far ri-partire le cose e a far superare an-che l’avversione al mattone...

CDAIo sono d’accordo, ci sono per esem-pio alcune questioni che sarebberodelle grandi opportunità, Borzattalo diceva in termini critici, si parla-va di questo appuntamento del2015: avevamo detto all’epoca checi vuole sempre una scintilla, in fon-do anche a Barcellona la scintillasono state le Olimpiadi. Nel nostrocaso il problema è che al di là del-la dichiarazione d’intenti non si ca-pisce esattamente questo appun-tamento a cosa porti, quale proget-

to ci sia al di là della collocazione,perché poi la collocazione deve por-tare al radicamento nel progetto diuna strategia sulla mobilità e su al-tre cose. Quando portammo il no-stro autonomo contributo al Sinda-co su questo tema, avevamo dettoche l’area sulla linea geografica cheva da Milano verso Malpensa, quel-la che poi era stata considerata inalcune delle sue parti fino a pocotempo fa zona obiettivo 2 nel pa-norama europeo, zona depressaquasi al pari della Calabria, potevaessere veramente un distretto in-dustriale del nostro settore per l’in-novazione, visto che oggi siamochiamati al grande appuntamentodel risparmio energetico; questa sa-rebbe stata una linea strategica euna grande opportunità. Io non hoperso tutte le speranze, francamen-te mi auguro che ci sia questo sal-to di qualità nel dibattito e conse-guentemente nelle decisioni.

TSPenso che lo slogan di Milano po-trebbe essere “Vieni a Milano per-ché sarà la città dei pappagalli bian-chi, verdi, rossi e gialli.”Lo dico scher-zando ma perché secondo me cer-tamente non si può avere fiducianella macchina politica italiana, ve-nendo dall’estero ho visto come iPaesi limitrofi hanno usato gli stan-ziamenti di Bruxelles per investirenelle città, ci vuole un coordinamen-to globale e politico che in Italia èimpensabile. Penso che per pro-muovere delle città italiane all’este-ro bisognerebbe prima di tutto noncopiare le città estere, attualmentele città stanno diventando deglienormi parchi di attrazione, cittàper i turisti e non città per i cittadi-

ni. Questa è una cosa che noi po-tremmo cambiare in Italia, cioè noncreare più città in cui abbiamo so-lo musei su musei e invece inven-tare degli edifici che contengonoaltre culture o altri messaggi, cosìpotremmo distinguerci dalle cittàeuropee. Anche cambiare l’ediliziaprivata è un punto di grande van-taggio, l’habitat secondo me an-drebbe visto però come un concet-to di lusso da proiettare verso il fu-turo, questo potrebbe essere unacosa in cui potremmo arrivare pri-ma degli altri perché le nostre cit-tà sono vecchie, noi viviamo in unmuseo. Ormai anche le città che noiprendiamo come riferimento, Pari-gi, Londra e New York, vanno benegiusto a noi, ma per i giovani ormaile città sono veramente Shanghai oDubai, città che crescono a tali ve-locità che in due anni non le ricono-sci. Come possiamo competere conquesta realtà urbana? Cosa faccia-mo, sventriamo le nostre città ita-liane? Le bombardiamo? Il grandeerrore che stiamo commettendooggi, noi come progettisti e voi co-me committenti, è copiare le gran-di città, ma Milano non è Londra,né Hong Kong, allora è inutile chediciamo: ”E guarda quanto spendo-no per i giochi olimpici”. Siamo piùumili quando parliamo delle nostrerealtà cittadine, anche come com-mittenti e progettisti e forse – pren-do l’esempio dei parcheggi – cer-chiamo cose meno viste ma diver-se e reinventiamo la nostra storiaattraverso l’architettura, parlandoal cittadino e non al turista perchéla gente è stufa di viaggiare, io chevivo negli aeroporti non ne possopiù, ormai viaggiare è un incubo,quindi è inutile creare delle cittàper gli altri che le vengono a vede-re, creiamole per noi e chi è il no-stro cliente? Noi. Chi sarà il clientedei vostri condomini, dei vostri grat-tacieli? I milanesi, allora parliamoai milanesi, ai lombardi, parliamoagli italiani, basta parlare ai cinesie agli americani.

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Una cosa bella attrae i cittadini dalle altreparti della città, attrae dall’esteroimmediatamente, riesce a far ripartire le cosee a far superare anche l’avversione al mattone...

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SLIo sposo tutto quello che è statodetto dal mio vicino di posto e cre-do che questa sia una sede piutto-sto eccezionale perché è una pla-tea di persone che fanno lo stessomestiere, sicuramente in modo di-verso, e ribadisco ancora una volta,forse perché vengo da una catego-ria che ha questo forte senso cor-porativo, che molte delle partite per-se di Milano sono state perse per-ché non si è giocato sul sistema.Abbiamo perso con l’ultimo “Miart”la possibilità di rilanciare Milanocome arte, non siamo neanche ca-paci di tenerci una fiera perché igalleristi hanno litigato, l’Assessorepure, abbiamo assistito a cose ve-ramente spiacevoli che per fortunaall’estero non raccontano perchésiamo diventati invisibili su questofronte. Lo stesso è accaduto per lafotografia, Milano è la capitale del-l’editoria e non abbiamo un museoe i musei invece servono, non ab-biamo delle scuole di formazione etutto questo vuol dire rinunciare aun indotto rilevante perché i gior-nali producono i servizi di moda,movimentano dei capitali altissimie mandano le loro giornaliste a NewYork, dove affittano un bellissimoloft, stendono il limbo bianco quan-do invece si potrebbe essere a Tre-

cate, a Meda o anche all’Ansaldo.Ribadisco questo concetto perchéavete la fortuna di avere un’asso-ciazione che dà delle opportunitàdi approfondimento anche cultu-rale con un allargamento di com-petenze che non sono forse neces-sariamente nei compiti di un co-struttore, progettare una visione,

sicuramente è importante intuirnegli indirizzi e sicuramente è impor-tante secondo me in questo mo-mento fare squadra in un momen-to in cui sembra che urbanistica-mente la città in qualche modo stiaper ripartire, in cui ci sia una politi-ca del territorio che è affidata co-me dicevo prima in modo più o me-no dichiarato al privato e che que-sto privato raccolga le forze, nonrimpianga dei modelli politici stra-nieri. La politica alla fine siamo noi:da soggetti attivi dal punto di vistafinanziario, imprenditoriale, di co-struzione, di progettazione, di af-fiancamento a grandi architetti losiate anche nelle discussioni a un ta-volo comune e nella comunicazio-ne, perché il nuovo fa paura; in que-sto momento a Milano il nuovoforse fa felicità perché è talmentetutto in corsa verso il degrado cheogni persona ha desiderio che ilnuovo venga conosciuto. Però co-me ha ribadito anche Del Debbiobisogna esserci e assumere delleresponsabilità personali e gestir-le per categorie. La vostra, in que-sto piano di trasformazione delterritorio, si gestisce il progetto dicomunicazione anche in primapersona, il che può giovare anchea livello imprenditoriale.

CDACredo che l’invito alla responsabi-lità non possa che essere colto, so-no perfettamente d’accordo, la ca-tegoria anche attraverso questi di-battiti sta cercando di farlo se nonaltro per la storia e il radicamentodel territorio, non c’è nessun me-

stiere come il nostro che ha questacomplessità e nello stesso tempo ilradicamento profondo. Dobbiamoavere questo senso di responsabi-lità anche per contribuire a dare ilnostro apporto. C’è l’idea e adessodobbiamo trasformare in realtà, da-re un seguito a quel progetto…

SLMi piacerebbe che i risultati di que-sto progetto fossero visibili, fosse-ro allestiti, vorrei che raccogliesse-ro esperienze già nate sul territo-rio milanese, che questo tipo di in-contri accadessero in quei luoghi:la trasformazione del territorio èuna questione che interessa gli stu-denti di architettura come la gen-te di passaggio, è importante, è unpiccolo sforzo ma forse va fatto.

CDANoi ce la mettiamo tutta… siamocarenti di comunicazione, forse per-ché il costruttore in linea di massi-ma ha sempre tentato di scompa-rire; di un prodotto alimentare co-nosce il nome dell’azienda che lofabbrica, però è raro che si leghi unedificio a uno di noi: pensi a chi hacostruito il Pirelli. Io faccio anchel’imprenditore, credo la mia sia unadelle più vecchie aziende del Pae-se, ogni tanto mi viene posto que-sto interrogativo, so quando abbia-mo tentato, mio nonno, mio padre,abbiamo fatto libri e altre cose for-se con poca comunicazione, sonocose che dovremmo continuare aripercorrere con insistenza da que-sto punto di vista così come da quel-lo della progettualità.

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Molte delle partiteperse di Milano sonostate perse perchénon si è giocato sul sistema.

La politica alla fine siamo noi: da soggettiattivi dal punto di vista finanziario,imprenditoriale, di costruzione, diprogettazione, di affiancamento a grandiarchitetti lo siate anche nelle discussioni a un tavolo comune e nella comunicazione,perché il nuovo fa paura.

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Raccolgo l’invito di portare il dibat-tito al di fuori della nostra sede: sia-mo alle soglie della redazione delnuovo strumento di governo del ter-ritorio e non c’è dibattito, è statafatta dalla Regione una legge chestravolge le logiche su cui sono ba-sati quegli strumenti,non se ne è ne-anche parlato, e questa è colpa de-cisamente nostra.

Pubblico 1Mi è sembrata una serata entusia-smante e l’Associazione nella qua-le siamo seduti ha la possibilità difarsi sentire. Milano sta rischiandouna serie di errori enormi dal pun-to di vista delle conseguenze neltempo, tentare di evidenziare la ne-cessità di competere a livello mon-diale è indispensabile e questa misembra un’occasione di riflessioneimportante su questo argomento.Non abbiamo una città dotata diuna significativa qualità della vitané della mobilità e non ne vedoun’evoluzione nel tempo. Dobbia-mo tentare di non sprecare quelleoccasioni di intervento sul territo-rio in cui possano essere collocatedelle iniziative trainanti. Se questeoccasioni di trasformazione del ter-ritorio avranno la caratteristica del-la proposizione di edifici ecceziona-li abbiamo perso la battaglia, noidobbiamo tentare di fare una cittàeuropea, una città che abbia unacontinuità con la sua storia e la suaimmagine e che proponga vivibili-tà, non birilli meravigliosi e strani.C’è da fare una battaglia per collo-care all’interno di queste cose fun-

zioni significative che abbiano l’ef-fetto trainante che ci auguriamotutti quanti, sperando che alcunedi queste posizioni siano privilegia-te dal punto di vista della mobilitàperché non serve a niente colloca-re una chicca meravigliosa a Gra-tosoglio, poi un’altra chicca mera-vigliosa alla Bovisa, se queste nonhanno qualche possibilità di inte-ragire tra di loro.

PBCi sono due punti che vorrei sottoli-neare. Il primo: se io voglio vincere esoprattutto sono l’ultimo a entrarein gara o sono quello che sta per-dendo, devo inventarmi cose nuove;quindi anche da un punto di vistastrategico, Milano non può copiare,deve inventarsi una strategia nuo-va. Il secondo punto: le “chicche dis-seminate” devono avere uno scopo,se io metto delle cose qua e là, oltrea collegarle ci deve essere uno sco-

po, una funzione, io costruisco dellecose in una città con una funzioneche non può che essere una eccel-lenza, le città crescono se sono ec-cellenti in qualche cosa. Noi dobbia-mo progettare affinché facciano be-nissimo poche cose di questo tipo.

Pubblico 2Ma qui siamo ancora ai tempi diBarbarossa, i piccoli comuni con iloro confini. La città del futuro è lametropoli, abbiamo le leggi, dob-biamo sfruttarle. Non solo non sap-piamo unirci ma abbiamo paura diunirci, c’è forse troppa concorrenzae la progettazione urbanistica de-ve essere vista completa non in sin-gole parti della Milano, in Milanonei suoi confini. Nel 1953 abbiamofatto un piano regolatore con ven-ti progettisti, è finito male, perchéMilano è stata soffocata da tutti glialtri comunelli. Il tema era la cittàdel futuro, è più di una metropoli,sono tre regioni, quattro. Il territo-rio comunale oramai è superato.

CDASi cerca non di arrivare a conclu-sioni ma di porre temi e problemi,questa è la grande forza di questodibattito, perché altrimenti anchei dibattiti, così come i progetti, sa-rebbero in questa città assoluta-mente omologati. Io sono d’accor-do, questa non potrà mai essere lamegalopoli come Shanghai, potreb-be essere una metropoli tascabile– qualcuno ci ha scritto un libro ,può sicuramente competere, biso-gna avere quella visione, quellastrategia, gente che ci creda, la con-divisione, la città aperta; sono tut-te condizioni estremamente im-portanti. Credo che queste occa-sioni che mi impegno a ripeteredebbano essere anche uno stimo-lo per tutti a fare la propria parte,noi per primi.

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Milano non puòcopiare, deveinventarsi unastrategia nuova.

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