È Pasqua. La resurrezione, nostra speranza....Fausto Leali. Un crocifisso “strano” ... chi...

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NUMERI TELEFONICI SACERDOTI Don Franco Trezzi 02 4042970 Don Luigi Giussani 02 4075922 Don Andrea Damiani 02 40071324 Anno 10 Numero 61 Marzo-Aprile 2019 E-mail: [email protected] San Protaso InForma Informatore mensile della Parrocchia San Protaso Vescovo in S.S. Protaso e Gervaso martiri SEGRETERIA dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 Via Osoppo, 2 - 20148 MILANO - Tel. 02 40071324 - Fax 02 87181771 - E-mail: [email protected] RELIGIOSE Oblate M. V. Fatima 02 49785656 via Osoppo, 2 Serve degli Infermi 02 48007302 via Previati, 51 Religiose di Nazareth 02 4814767 via Correggio, 36 ORATORIO via Osoppo, 2 Tel./Fax 02 4077474 SERVIZI Centro d’Ascolto Caritas 02 40071324 mercoledì dalle 10 alle 12 Casa d’Accoglienza 02 4980127 V.le Murillo, 14 Patronato Acli 02 40071324 Centro Culturale 02 40071324 SANTE MESSE Vigiliare 18,00 Festive 8,00 - 10,00 - 11,30 - 18,00 Feriali 7,00 - 9,00 - 18,00 È Pasqua. La resurrezione, nostra speranza. di don Franco Trezzi La città mostra uno spaccato di umanità che insieme porta il fardello del proprio vivere con tutte le contraddizioni, ma anche in attesa di ritrovare motivi di una speranza che possa dare un colpo d’ala. Guardo incuriosito i volti delle persone che incontro, occhi che parlano, rivelano il desiderio di incontri appaganti e pacificanti. C’è una domanda aperta che come comunità credente, nel nostro essere parrocchia (presso il vissuto della gente), non possiamo non raccogliere. E’ la diversità nel dire l’umano di chi celebra il Cristo risorto. C’è un sorriso e una gioia nel cuore dei discepoli quando incontrano Gesù risorto: con loro pone di nuovo i gesti che danno vita e fanno fiorire la speranza. Forse un po’ di nostal- gia ci prende, quasi dispiaciuti di non poter essere stati presenti là in quei momenti. Ciò che ci sfugge invece è che quella Pasqua è stata la pasqua in cui anche Pietro e i discepoli sono resuscitati. E’ il segno di una umanità che risorge anche dalle proprie macerie. Pietro dopo il rinnegamento era moralmente morto e soprattutto morto come uomo, con una umanità ormai distrutta con tutto il peso di una colpa grave. Il risorto riparte da lì, come alla donna peccatrice Gesù aveva detto” va e non peccare più”, nel presentarsi a Pietro la prima parola non è di condanna o di interrogatorio, ma di risveglio dell’interiorità più profonda. “Pietro, mi ami più

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NUMERI TELEFONICISACERDOTIDon Franco Trezzi 02 4042970Don Luigi Giussani 02 4075922Don Andrea Damiani 02 40071324

Anno 10 Numero 61 Marzo-Aprile 2019E-mail: [email protected]

San Protaso InFormaInformatore mensile della Parrocchia San Protaso Vescovo in S.S. Protaso e Gervaso martiriSEGRETERIA dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12Via Osoppo, 2 - 20148 MILANO - Tel. 02 40071324 - Fax 02 87181771 - E-mail: [email protected]

RELIGIOSEOblate M. V. Fatima 02 49785656via Osoppo, 2Serve degli Infermi 02 48007302via Previati, 51Religiose di Nazareth 02 4814767via Correggio, 36

ORATORIOvia Osoppo, 2 Tel./Fax 02 4077474

SERVIZICentro d’Ascolto Caritas 02 40071324mercoledì dalle 10 alle 12

Casa d’Accoglienza 02 4980127V.le Murillo, 14

Patronato Acli 02 40071324

Centro Culturale 02 40071324

SANTE MESSEVigiliare 18,00Festive 8,00 - 10,00 - 11,30 - 18,00Feriali 7,00 - 9,00 - 18,00

È Pasqua.La resurrezione, nostra speranza.

di don Franco Trezzi

La città mostra uno spaccato di umanità che insieme porta il fardello del proprio vivere con tutte le contraddizioni, ma anche in attesa di ritrovare motivi di una speranza che possa dare un colpo d’ala. Guardo incuriosito i volti delle persone che incontro, occhi che parlano, rivelano il desiderio di incontri appaganti e pacificanti. C’è una domanda aperta che come comunità credente, nel nostro essere parrocchia (presso il vissuto della gente), non possiamo non raccogliere. E’ la diversità nel dire l’umano di chi celebra il Cristo risorto. C’è un sorriso e una gioia nel cuore dei discepoli quando incontrano Gesù risorto: con loro pone di nuovo i gesti che danno vita e fanno fiorire la speranza. Forse un po’ di nostal-gia ci prende, quasi dispiaciuti di non poter essere stati presenti là in quei momenti. Ciò che ci sfugge invece è che quella Pasqua è stata la pasqua in cui anche Pietro e i discepoli sono resuscitati. E’ il segno di una umanità che risorge anche dalle proprie macerie.Pietro dopo il rinnegamento era moralmente morto e soprattutto morto come uomo, con una umanità ormai distrutta con tutto il peso di una colpa grave.Il risorto riparte da lì, come alla donna peccatrice Gesù aveva detto” va e non peccare più”, nel presentarsi a Pietro la prima parola non è di condanna o di interrogatorio, ma di risveglio dell’interiorità più profonda. “Pietro, mi ami più

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di costoro?”, “Pasci i miei Agnelli”. Dentro qui c’è il segno della resurrezione che fa risorgere l’umanità deva-stata di Pietro. Nella capacità di amare il Signore e di conseguenza di prendersi cura di quella umanità amata da Gesù sta tutto il segreto della vita nuova in Cristo. La nostra partita di credenti è dentro qui e non altrove e i riferimenti etici sono questi, non altri che sono avulsi dal Vangelo. Una chiesa che non colpevolizza, ma sa dire che anche la situazione più….è il luogo dove fare splendere la gloria di Dio e di conseguenza la bellezza di cui ogni uomo è portatore.La nostra storia di peccatori è risanata da Gesù in questa maniera, che ci chiede di non tiraci indietro, ma di appassionarci della missione. E’ su questo che ci è chiesto di verificare la nostra vita.Una resurrezione che si coglie se si è passati dalla croce e contemplando il crocifisso si vede il volto di Dio. E quale debito abbiamo nei confronti di uomini che nel silenzio, vivendo una profonda fede, contemplando il cro-cifisso, hanno dato un’anima al mondo. Hanno reso presente il volto di Dio perduto per l’uomo. Sono coloro che non hanno parlato di Dio, ma che hanno parlato a Dio e quelle parole sono ricadute come balsamo alla persona smarrita. E’ la parola differente in risposta alle paure e al vuoto di tante relazioni, a chi alza la voce a tutti i costi, a chi risponde con la forza ad ogni provocazione, a chi vede nemici da ogni parte. E’ la risposta di chi non deve difendere posizioni ma diviene seme e segno della tenerezza di Dio. A tutti la gioia della Pasqua di resurrezione!

Don Franco

Semi e segni della tenerezza di Dio“Guardo incuriosito i volti delle persone che incontro, occhi che parlano e che rivelano il desiderio di incontri appaganti e pacificanti”. Così, il nostro parroco, nel suo editoriale per questo numero di San Protaso InForma. Non sarà sfuggito, ai più, questo aggettivo - pacificante - che don Franco ha utilizzato in più di un’occasione, nelle sue omelie, nella lectio divina, durante i ritiri parrocchiali. E come ci riconosciamo in questo bisogno di qualcosa di nuovo, che entri nella nostra vita per pacificare, appunto, tutto ciò che sembra andare storto, nelle relazioni

difficili, nelle situazioni che appaiono senza soluzione. In questo desiderio di pace, a cui anela il mondo intero, papa Francesco appare sempre capofila nell’indicare la via, alla sequela dell’unico Maestro in grado di fare da pacificatore di questa nostra desolata umanità. E tra i suoi innumerevoli gesti, desta scalpore l’ultimo da lui compiuto, poche ore prima che questa edizione del bollettino parrocchiale andasse in stampa, in occasione dell’incontro con i leader politici del Sud Sudan, al termine del ritiro spirituale a Santa Marta. Davanti al presidente ed ai vicepresidenti della repubblica, e nello stesso giorno in cui è caduto il dittatore Omar al-Bashir in un paese che, durante la guerra civile, ha visto morire quattocentomila persone, il Papa ha avuto parole di un’intensità a dir poco struggente. Ma ciò che ha colpito ancor di più è stato il suo gesto di inginocchiarsi davanti a ciascuno di quei leader baciandone i piedi.Le parole del Papa, compiute dentro quel gesto, sembravano uscite direttamente dalla bocca di Gesù: “La pace è possibile. Non mi stancherò mai di ripetere che la pace è possibile! Ma questo grande dono di Dio è allo stesso tempo anche un forte impegno degli uomini responsabili verso il popolo (…) E a voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, chiedo, come fratello: rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due, sì. Anche queste avvengano dentro l’ufficio, ma davanti al popolo, con le mani unite. Così, da semplici cittadini, diventerete Padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi”.Parole e gesti di un Papa che non ci possono lasciare indifferenti e che ci invitano ad agire con altrettanta tenacia nel nostro quotidiano. Come scrive, ancora, don Franco, nel suo editoriale: “E’ la risposta di chi non deve difendere posizioni ma diviene seme e segno della tenerezza di Dio”.

Fausto Leali

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Un crocifisso “strano”di Suor Camilla

Qualche settimana fa una persona, che conosco ormai da tempo, indicando ad un’amica il crocifisso che porto al collo da sempre, si è espressa in questo modo: “Guarda che crocifisso strano, con quella M sotto la croce.”Così mi sono sentita chiamata a spiegare “questa stranezza” e mi sono resa conto che tante volte, forse, diamo per scontato che i nostri simboli parlino a tutti come a noi che li conosciamo, ma, evidentemente, non è sempre così…però, se un simbolo “non parla”, vano è il suo scopo. Perciò ho pensato di spiegare a tutti perché le Suore Oblate di Maria Vergine di Fatima portano al collo una catenina a cui è appeso un crocifisso con una M posta al suo fianco.Questo piccolo simbolo dice tutto il nostro “Carisma”, concentra, in un segno, tutto ciò che anima il nostro agire e, meglio ancora, tutto il nostro essere oblate. Quante volte, ascoltando il Vangelo di Giovanni al capitolo 19 ci siamo trovati di fronte a questa realtà: “Stavano presso la croce di Gesù, sua Madre…”. Ecco cosa significa quella M: Maria ai piedi della croce! Vuole ricordarci la Madre a cui Cristo, morente, ha consegnato, in Giovanni, tutta l’umanità, perché ci amasse come figli, anzi, come il Figlio, e cooperasse con Lui alla nostra redenzione. Sì, sotto la croce, perfettamente unita a Cristo, Maria ci ha partorito nel dolore.Ora, questa Madre, è presenza irrinunciabile nella nostra vita di Oblate di Maria Vergine di Fatima e non solo perché l’accogliamo come dono che Gesù dalla croce ci ha voluto lasciare quale testamento d’amore, insieme alla sua vita, ma anche e perché, come Lei, ci sentiamo chiamate a dedicarci instancabilmente alla Persona e alla missione redentrice di Gesù, suo Figlio. Sì, questa catenina con la croce sormontata lateralmente dalla M dice che ogni Oblata si è offerta al Padre per associarsi al Figlio nell’opera della Salvezza, sull’esempio e con l’aiuto di Maria Santissima. In concreto, sta a ricordarci continuamente chi siamo e perché siamo qui.Come a Maria, ci è stato detto un giorno: “donna ecco tuo figlio” e con stupore e commozione grande, dentro un’esperienza diversa, unica e irrepetibile per ciascuna di noi, abbiamo cominciato a guardare il mondo ed ogni uomo in un modo diverso. Più nessuno ci è sembrato estraneo, ma in ognuno abbiamo intravisto un figlio di cui occuparci e preoccuparci, proprio come fa una madre. Il cuore si è aperto e, proprio come quello di Maria, resta aperto ad accogliere la vita di chi conosciamo e dei tanti, che conosceremo solo in cielo, ma per cui, ogni giorno, offriamo tutto di noi, perché Cristo, nostro sposo, possa donare loro quella pienezza di gioia cui siamo chiamati per vocazione. Questo è il “respiro” che ci anima: dare la vita per molti, esercitando una maternità spirituale, che ci fa stare, come Maria, ai piedi della croce.Certo non è facile! Ognuna ci riesce come può. È un cammino fatto di piccoli passi, di arresti, di cadute, perché siamo donne, spose, madri, ma…non proprio come Maria. Lei è il modello, il prototipo, l’ideale e il nostro costante aiuto, noi povere creature!Certo, coltivare questo ideale, sforzarsi di viverlo nel quotidiano, dà senso a tutto ciò che facciamo. Nulla è banale se offerto per la salvezza dell’uomo e veramente si sperimenta che tutto si può offrire. Se sei innamorata del tuo destino, ti innamori del destino di tutti e vivi per tutti: quando poi conosci nomi, volti, situazioni, ami, non puoi fare a meno di amare e offri, offri tutto: le gioie, i dolori, la fatica, il riposo, la preghiera, la speranza, la pazienza… tutto! In quanto a me, poi, quando nella mia fragilità, sperimento il limite e la stanchezza e mi verrebbe voglia di lasciarmi andare, mi basta partecipare all’Eucaristia e lì, dove si rinnova il Suo Sacrificio, sento di nuovo riecheggiare la consegna: “donna, ecco tuo figlio” e ritrovo il mio posto, la mia chiamata… mi guardo intorno, vedo i tanti e rinnovo il mio “Sì”! è bello così.

Atto di affidamento della giornata delle Oblate di Maria Vergine di FatimaO Dio, Padre di ogni creatura, ricevo dalle tue mani questo nuovo giorno, dono della tua bontà,

con lo stupore riconoscente di Maria, che accolse in sé e diede al mondo Cristo, Signore della vita.Ti offro la preghiera e la speranza, la gioia ed il dolore, i pensieri e gli affetti,

la fatica e il riposo di questa giornata,per cooperare come Maria alla salvezza del mondo

e riparare il male che il peccato reca all’avvento del Regno.Il Tuo Spirito sostenga il mio volere, e trasformi ogni mia azione in gioiosa testimonianza del tuo amore.

Per conoscerci meglio

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In cammino verso la Confermazione:l’avventura dei nostri ragazzi

a cura di Arianna, Claudia, Cristina e Maddalena

Con Te! Cristiani! E’ questo il motto che ci accompagna quest’anno nel nostro cammino verso la Santa Cresima, indicandoci con Chi vogliamo percorrere questa strada e cosa vogliamo essere.

Nel primo anno abbiamo scoperto che, grazie a Gesù, siamo anche noi FIGLI del Padre; nel secondo anno abbiamo incominciato a dare una risposta a questa scoperta, scegliendo di diventare DISCEPOLI; nel terzo anno, attraverso i sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia ci siamo riconosciuti suoi AMICI; ora siamo chiamati a vivere da CRISTIANI nella vita di tutti i giorni, guidati dai comandamenti e dagli insegnamenti di Gesù ed animati dallo Spirito Santo.

L’immagine che ci accompagna ben descrive il nostro cammino: i ragazzi che hanno invitato Gesù a casa propria ora si sentono pronti ad uscire e, incoraggiati dall’apostolo Pietro, guardano avanti, verso l’orizzonte, senza paura. In questo disegno di una chiesa in cammino, ci ha invitato a mettersi al suo fianco una “piccola matita” nelle mani di Dio, una suora che ha vissuto tra i più poveri dei poveri: Madre Teresa di Calcutta. Con la sua vita ha cercato di trasmettere a tutti l’amore che Dio le aveva donato, anche nei momenti di sconforto, quando la fatica si faceva sentire. Madre Teresa vuole accompagnarci per aiutarci a mettere in pratica il Vangelo di Gesù con una profonda felicità, frutto di una vita spesa per gli altri. “Ho imparato - disse una volta - che non è importante ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo! Bisogna fare piccole cose con grande amore”.

Tante cose abbiamo quindi cercato di conoscere e di fare, per amore e con amore, spinti dal suo esempio: drammatizzato l’incontro di Gesù con Nicodemo, il rinascere un’altra volta, non più dalla carne ma dallo Spirito; riflettuto sulla parabola della vite e dei tralci, “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”. Abbiamo conosciuto la legge dell’amore, “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato”.

Abbiamo ricevuto Il comandamento di Gesù durante la Santa Messa come dono di Dio e come impegno di vita. La legge dell’amore non poteva semplicemente rimanere impressa sulla bella pergamena che Don Andrea e Suor Ida ci avevano regalato: la legge dell’amore doveva essere messa in pratica. Ecco, allora, che abbiamo visitato gli ospiti della casa di riposo offrendo loro, in occasione del Natale, il frutto semplice del nostro lavoro, una recita sulla natività, sulla bellezza della nascita di Gesù nel mondo ed abbiamo consegnato loro un pensiero, una stella, fatta con le nostre mani, simbolo della luce che vogliamo essere nel mondo. Ecco, allora, che abbiamo conosciuto Padre Daniele, responsabile della mensa di Piazza Velasquez, dove ogni giorno vengono serviti, grazie all’aiuto di tante persone di buona volontà, più di trecento pasti caldi a chi è in difficoltà, dove vengono offerti indumenti e cure mediche, dove ci si sente accolti ed ascoltati.

Abbiamo conosciuto i comandamenti, che non sono dei pesi, non qualcosa che ci toglie la libertà, ma un dono che ci tiene in cammino e ci indica la direzione; le beatitudini, dono da riconoscere, vie da percorrere e promesse a Dio.

Abbiamo conosciuto le figure di Don Giovanni Bosco, che dedicò la sua vita all’educazione e all’istruzione dei fanciulli del popolo, e di San Francesco, che scelse la strada della povertà, una vita di preghiera e di obbedienza.

Abbiamo drammatizzato la parabola del Buon Samaritano, che racconta l’amore di Gesù e dei discepoli che si rendono prossimi di coloro che incontrano. “ Un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino”. Il segreto della prossimità è la compassione, la capacità di sentire il bisogno dell’altro e di portare con sé un po’ del suo dolore.

Catechismo

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Abbiamo parlato della Pentecoste, dell’azione dello Spirito Santo che trasforma la vita dei credenti, che si scoprono coraggiosi e forti, perché animati dall’energia dell’amore di Dio. “Apparvero loro lingue come di fuoco…e tutti furono colmati di Spirito Santo”.

Ci siamo preparati all’incontro con l’Arcivescovo: «Siate voi i colori del mondo, la primavera di questo tempo». Così ci ha salutato, abbracciandoci idealmente il 24 marzo. Eravamo in 60.000 allo stadio Meazza, arrivati da tutta la Diocesi. L’Arcivescovo ha fatto il giro del campo, mentre su grandi pannelli luminosi appariva la frase “In che senso?”, titolo della Lettera che ha scritto ai nostri cresimandi in occasione del Cammino preparatorio “dei 100 giorni”. Una riflessione sui doni dello Spirito Santo, a partire dall’immagine dei cinque sensi. Il suo insegnamento mette in movimento i ragazzi, chiedendo loro di esercitarsi a vivere gli stessi sentimenti del Signore Gesù, che si fanno concreti nei gesti e nei

segni che esprimono il desiderio di pregare, conoscere, prendersi cura, provare gioia e compassione. “Le orecchie sono fatte per ricevere i suoni, la musica e il rumore, servono per catturare ogni suono, le parole buone e anche quelle cattive, quelle che non si devono dire”. “Gli occhi sono fatti per vedere - vedo i fiori e la spazzatura, ma vedo anche la lampada che mi ricorda che Gesù è presente nel tabernacolo, anche se non lo vedo - e per catturare tutto quello che sta intorno”, dice il Vescovo. E, poi, il gusto: «sento quello del cibo e dell’ostia consacrata»; il tatto, che «è fatto per prendere cose, per stringere la mano amica, per abbracciare la mamma, per prendere, qualche volta, quello che non si dovrebbe». Il tatto delle mani, «con cui tocco anche il crocifisso e gli faccio una carezza, attraverso il quale prendo e stringo quello che mi interessa». Ancora, “con l’odorato sentiamo il profumo e pure la puzza”. “I sensi servono per ricevere i messaggi dell’ambiente in cui viviamo, ma noi non siamo fatti solo per ricevere. Lo Spirito di Dio, che viene in noi, ci rende capaci di iniziare a dare: ecco perché siamo vivi, perché non soltanto riceviamo, ma doniamo; non siamo solo amati e serviti, ma serviamo». Da qui, la consegna: «Ringraziate per ciò che ricevete, gustate, odorate, sentite, toccate, ma cominciate a dare, seminate sorrisi, dite parole buone, offrite abbracci e carezze, diffondete il profumo della bontà, condividete quanto nutre il vostro corpo e la vostra anima». «Ricevete la Cresima che rende capaci di donare, di prendersi cura degli altri perché siano contenti; fate qualcosa per gli altri, non pretendete solo che si faccia qualcosa per voi».

Un invito, un compito affidato direttamente a ragazze e ragazzi. «Prendete un foglio e scrivete: “Chi posso rendere contento oggi?”. Appendetelo sulla porta della vostra camera. Ogni mattina, leggetelo, e, alla sera, domandatevi chi avete reso contento. Se avrete dato gioia a qualcuno, potete dormire tranquilli perché l’angelo di Dio vi accompagna con il suo sorriso. Incarico anche catechiste e catechisti di venire nelle vostre case per vedere se avete seguito quanto vi ha chiesto il Vescovo».

Abbiamo accolto l’invito a compiere un esercizio per sentire come lo Spirito sia capace di parlare dentro di noi: ci siamo tappati le orecchie ed abbiamo fatto silenzio, un silenzio così assoluto che sembrava parlasse. Un momento emozionante, «per sentire lo Spirito, per vederci chiaro, per gustare la vita, il profumo del buono, del saper distinguere con l’intelletto.

L’incontro si è concluso con la descrizione del gesto missionario, un progetto per costruire, in Libano, la prima comunità per minori non accompagnati scappati dalla guerra in Siria. Il suono di una sirena, le case costruite con

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grossi scatoloni, una ad una cadevano sotto la devastazione della guerra, mentre sulle gradinate si faceva avanti la speranza, una grande casa con al centro un grande cuore rosso.

Abbiamo recitato la preghiera composta dallo stesso Vescovo, per l’oratorio, luogo per imparare a pregare, a sognare, a servire. Luogo di amicizie, di feste, di solidarietà per chi soffre e per chi è solo. Luogo in cui trovare la parola di Gesù, le buone ragioni per avere stima di noi stessi, la presenza di uomini e donne di fede che insieme riconoscano e testimonino la bellezza di essere chiamati alla pienezza della gioia.

Poi la recita corale del Padre Nostro: una catena di mani che si sono intrecciate e che sembrava dicessero: vogliamo spenderci insieme!Mentre migliaia e migliaia di luci dei telefonini si accendevano per dare un significato di fraternità alla città e per illuminarla, si liberavano in cielo i palloncini colorati e l’Inno alla Gioia di Beethoven.Spente le luci, noi tutti, chiesa in cammino, accanto ai nostri ragazzi e alle loro famiglie, siamo pronti a ripartire intonando la canzone che abbiamo imparato: “Se resti in noi Santo Spirito, vivremo proprio come Gesù”.

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Cosa hanno detto i nostri bambini…

“Mi è piaciuto fare la “ola” con tutti gli altri bambini, perché dava proprio il senso di un’onda”

“Mi ha colpito il momento del silenzio: non pensavo che così tante persone potessero farcela

a stare zitte!”

“Mi ha fatto piacere il consiglio dell’arcivescovo e da oggi farò felice le persone che sono

tristi”

“Mi hanno colpito le coreografie che hanno abbellito ogni momento della celebrazione”

“Mi è piaciuto cantare un canto che sapevo perché lo avevo imparato con le catechiste”

“Mi è piaciuto il momento in cui tutti abbiamo acceso le luci dei nostri telefonini: sembravamo

un grande cielo pieno di stelle”.

“Mi è piaciuto vedere l’arcivescovo perchè non sapevo chi fosse”

“Mi ha colpito l’impegno degli animatori”

Testimonianza di Laura, mamma di Giulio, quinta elementare:

È passato solo un anno dal bel ritiro di

Rho in preparazione della Prima Comu-

nione dei nostri bambini. Domenica 24

marzo allo stadio Meazza, insieme all’ar-

civescovo Delpini e a migliaia di altri

bambini della diocesi ci è stato donato un

coloratissimo e musicale momento di pre-

ghiera e di riflessione sullo Spirito Santo,

arricchito anche dalla coreografia dei ra-

gazzi più grandi. Particolarmente emozio-

nante è stata la coreografia sulla musica

“Conquest of Paradise” di Vangelis. Spe-

riamo che resti per sempre, nel cuore dei

nostri bambini e di noi adulti, il desiderio

di arricchirci di Spirito Santo, per raffor-

zarci ed affrontare la vita di ogni giorno.

Ed un grazie speciale alla parrocchia che

permette a noi genitori di vivere emozioni

uniche accanto ai nostri bambini.

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Samprotasini crescono…a cura di Caterina Santamaria

Una squadra specialeQuando entriamo in San Protaso, veniamo accolti da un corridoio austero, apparentemente spoglio, un braccio proteso verso l’altare, il cuore della nostra comunità. Tecnicamente dovremmo definirlo navata centrale, perché è la “struttura longitudinale più grande”, che suddivide l’edificio di fronte all’abside e, se osservassimo la pianta della nostra chiesa, sarebbe la parte verticale e più lunga di una croce, simile a quella di Cristo.Lungo “questa via”, dunque, non possono mancare i migliori amici di Gesù, gli apostoli.

Le loro figure si animano sul marmo chiaro, quasi per accompagnarci verso di Lui. Perché, allora, non individuarli, riconoscendone un particolare?Prepariamoci a chiamare all’appello i Dodici e qualche altro discepolo quasi come uno speaker allo stadio!

Partendo dall’altare, lungo la navata destra,

San Paolo ha una spada nella destra ed un libro nella sinistra, perché si è battuto per diffondere la nostra religione; San Giacomo maggiore indossa gli abiti del pellegrino con il mantello e la conchiglia; San Tommaso è raffigurato con libro e squadra, proprio perché aveva bisogno di prove certe; San Filippo con la croce su cui morì;San Matteo con un angelo a destra;San Simone impugna una sega, perché è protettore di coloro che lavorano il marmo.

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In quella di sinistra,

San Pietro solleva le chiavi, secondo la promessa di Cristo “ … e a te darò le chiavi del regno dei cieli…”;Sant’Andrea ha la croce decussata, cioè disposta ad X, simbolo del suo martirio; San Giovanni è accompagnato dall’aquila, il suo segno distintivo come evangelista;San Giacomo minore è rappresentato con un bastone; San Bartolomeo con la sua pelle;e San Taddeo con una lancia.

Poi, sulla parete frontale d’ingresso, vi sono, a destra della vetrata con Maria, Santa Valeria con i due gemelli al collo, e a sinistra San Vitale, i genitori dei martiri Protaso e Gervaso; in alto, entro la lunetta, due Angeli che sostengono la corona del martirio dei santi protettori.

A questo punto abbiamo la squadra al completo: Gesù, Maria, i discepoli, i santi protettori, la famiglia. Manca solo un motto, una frase che ispiri e stimoli lo spirito agonistico.Eccola! Basta sedersi un attimo per notare una lunga frase nella parte alta delle pareti: ricopre tutto il perimetro della navata, è in una lingua che ricorda certe scritte di alcuni monumenti romani...È latino, infatti recita così:

“SANCTUS AMBROSIUS DIXIT: GRATIAS TIBI, DOMINE JESUS QUOD HOC TEMPORE TALES NOBIS SANCTORUM MARTYRUM SPIRITUS EXCITASTI, QUO ECCLESIA TUA PRAESIDIA MAIORA DESIDERAT. COGNOSCANT OMNES QUALES EGO PROPUGNATORES REQUIERAM: QUI PROPUGNARE, POSSINT IMPUGNARI NON SOLEANT”“Disse Sant’Ambrogio: ti ringrazio Signore Gesù, perché hai suscitato per noi gli spiriti così potenti di questi santi martiri, in un momento in cui la tua Chiesa avverte il bisogno di più efficace protezione. Sappiamo tutti che tipi di alleati io vado cercando: gente in grado di schierarsi a favore, non gente abituata a mettersi contro”.

Dalle prime parole si capisce che sant’Ambrogio, il patrono della nostra città, ringrazia Gesù per l’aiuto offerto dai Santi Martiri. Chi saranno? Ovviamente i gemelli Protaso e Gervaso, la cui sepoltura era stata scoperta proprio da lui. Perché la Chiesa aveva bisogno di protezione? In questo passo il Santo scriveva a sua sorella Marcellina, nel 386 d.C., quando cercava di limitare la diffusione dell’Arianesimo, un’eresia, cioè una dottrina non approvata dalla Chiesa ufficiale. Gli ariani, infatti, consideravano Gesù in modo diverso da come viene descritto nel Credo, la preghiera che recitiamo dopo il Vangelo. Contro questi, Ambrogio ha lottato tutta la vita, proprio per fare trionfare quei dogmi, cioè i principi della nostra fede, che ancora oggi ci accompagnano nel nostro cammino cristiano.Si tratta allora di una frase importante, perché testimonia quanto sia stato difficile professare la propria fede allora e quanto ancora oggi bisogna impegnarsi per essere veri discepoli di Gesù, oggi come 16 secoli fa, ai tempi del ritrovamento dei resti mortali dei martiri Protaso e Gervaso. Allora ogni volta che preghiamo, cerchiamola con gli occhi e lasciamoci guidare dalle sue parole... il resto verrà. Ora l’arbitro può fischiare...

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Centro Culturale San Protaso

Il Vangelo secondo il rockdi Paolo Vites (*)

La parola biblica deborda nei versi di Bob Dylan, costeggia l’opera di Woody Guthrie, preme nella “teologia del padre” di Bruce Springsteen, sostiene la poetica di Johnny Cash, urla nella furia di Patti Smith. Che si manifesti nella lotta o nell’abbraccio, nella fede o nella sua negazione, il rapporto con la Scrittura feconda il canzoniere di alcune delle voci più significative del rock. Nel loro libro, “Il vangelo secondo il rock”, Luca Miele e Massimo Granieri hanno provato ad esplorare questi territori. Il nostro parrocchiano Fausto Leali, in una serata che ha visto anche la partecipazione del cantautore Francesco D’Acri, ha intervistato il primo dei due autori. Il giornalista e scrittore Paolo Vites, presente alla serata, ci racconta come è andata.

Nell’ambito della programmazione del Centro Culturale San Protaso di Milano, lo scorso 8 marzo, si è tenuta, nel teatro parrocchiale, una serata dai contenuti inediti. Non capita spesso, infatti, di sentire parlare di rock e Vangelo insieme. L’occasione l’ha data la presentazione del bel libro scritto a quattro mani da Luca Miele e Massimo Granieri (sacerdote passionista) “Il Vangelo secondo il rock”. Presente il primo dei due autori, giornalista di Avvenire, sul palco con lui a condurre c’era Fausto Leali, cardiologo che cura i cuori degli altri ma nel suo tiene ben saldo l’amore per questa musica, e il cantautore Francesco D’Acri, che ha proposto brani di

alcuni dei personaggi citati nel libro, ad esempio Bruce Springsteen.E’ un libro importante, questo, perché dopo anni di “dominio” dell’ideologia di sinistra sulla musica rock e di disinteresse da parte della Chiesa, è stata aperta finalmente una finestra sui reali contenuti di questa musica, la domanda cioè, anzi il grido, di significato dell’esistenza. Per fare questo, benché in Italia non sia mai stato detto, tanti cantanti rock si sono affidati a Dio, lo hanno cercato ed anche bestemmiato, dimostrando il grande senso religioso contenuto nelle loro canzoni. Artisti come Patti Smith, Tom Waits, Springsteen, Dylan, Johnny Cash, tra quelli presentati nel volume.“Il nostro libro - ha raccontato Luca Miele - è un piccolo atto d’amore verso le canzoni che hanno accompagnato la nostra vita e nasce dall’idea di ripercorrere le tracce dell’inquietudine religiosa che percorre molte delle voci rock. Non abbiamo cerchiamo di ascrivere alla fede i cantanti di cui parliamo, semplicemente siamo andati alla ricerca di quest’universo religioso che preme nel loro canzoniere”. E nella prefazione del libro, curata da Antonio Spadaro, è efficacemente scritto che “si percepiscono, scorrendo le pagine, passioni e attriti, sintonie e dissonanze degli autori, che non si nascondono dietro il discorso critico. Tutt’altro: c’è la loro vita dentro quelle pagine. Ma si avverte pure un’ermeneutica cristiana, dove il Vangelo plasma e amplifica la capacità di ascolto musicale. Ma accade pure che la musica diventi l’ambiente che permette un ascolto permanente del Vangelo”.Fausto Leali, nel corso della serata, ha posto domande all’autore con la competenza e la conoscenza che lo contraddistinguono anche quando scrive, mentre Miele ha approfondito e spiegato quanto scritto nel libro. Una serata bella, mai noiosa, mai auto referente; ricca, invece, di passione e voglia di comunicare quel desiderio che tutti ci muove, si sia artisti rock o semplici appassionati: l’avventura della vita.

(*) Paolo Vites, è redattore del quotidiano online IlSussidiario.net. Ha collaborato con le maggiori testate musicali italiane ed è stato redattore della rivista Jam. Autore di diversi libri a contenuto musicale, ha intervistato alcuni dei maggiori musicisti rock: Paul McCartney, James Taylor, Patti Smith, Gregg Allman, Joe Strummer, Willie Nelson, Robbie Robertson, Sheryl Crow, Mark Knopfler e molti altri.

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letture

Ho scommesso sulla libertàdi Paolo Rivera

Chi non ricorda i quattro pilastri fondamentali della comunità ecclesiale sui quali il Cardinale Scola insisteva: la memoria eucaristica di Gesù, la comunione, l’assimilazione del pensiero di Cristo e l’azione missionaria (Lettera Pastorale “Alla scoperta del Dio vicino”, 2012, cap. 8); o la Lettera Pastorale “Educarsi al pensiero di Cristo”, sulla quale abbiamo lavorato due anni fa? Questo per dire che noi cattolici ambrosiani conosciamo l’insegnamento del Cardinale Scola, così come ne conosciamo il volto pubblico, il rapporto con la città, sviluppatosi nei discorsi di Sant’Ambrogio. Lo abbiamo anche incontrato velocemente nelle visite pastorali. Ma l’uomo Angelo Scola? Il cristiano Angelo Scola? Che cosa sappiamo di lui, come si è formato, qual è il suo percorso spirituale? Ecco, quello che ho trovato in questa autobiografia scritta con il giornalista Luigi Geninazzi è l’approfondimento sulla vicenda personale dell’Arcivescovo Emerito di Milano.La formazione di Angelo Scola ha avuto il primo imprinting durante una vacanza al Passo Falzarego organizzata dall’Azione Cattolica. Ascoltando la testimonianza di alcuni ragazzi di Gioventù Studentesca che parlavano del fatto che Cristo c’entra con ogni aspetto della vita, si rese conto, con grande sorpresa, che «si poteva vivere un’esperienza di fede che non escludeva la realtà ma ricomprendeva e motivava ogni cosa». Ancora attraverso le sue parole: «La fede stava diventando qualcosa che avevo a cuore, c’entrava con tutti i miei interessi, era il punto focale attraverso cui giudicare la realtà».Questa scoperta lo porterà poi attraverso varie vicende, anche difficoltose, a riconoscere la vocazione sacerdotale e ad approfondire gli studi teologici. In questo campo fu allievo di alcuni tra i più grandi teologi contemporanei, con i quali partecipò alla fondazione della rivista Communio: Hans Urs von Balthasar, Joseph Ratzinger, Henri de Lubac, ai quali lo legarono anche rapporti di amicizia.Significativa per il suo approfondimento spirituale è stata una malattia che si è protratta per lungo tempo. Al riguardo scrive: «L’esperienza della malattia mette in evidenza l’unità profondissima tra anima e corpo. La fede mi rende certo che esiste una vita oltre al disfacimento di questo mio corpo, ma non cancella del tutto la mia istintiva resistenza, …L’esperienza della fragilità del proprio corpo equivale al peso quotidiano della morte».Nonostante questo solido bagaglio intellettuale, ha conservato e sviluppato un atteggiamento di umiltà cristiana, che si esprime bene nel suo motto episcopale “Sufficit gratia tua” (Basta la tua grazia): «Manifesta nella sua essenzialità la visione cristiana della vita, il fatto cioè che noi, in quanto creature, ci troviamo donati a noi stessi e non vi è nulla nel nostro essere che non abbia Dio all’origine».Il libro non riguarda solo vicende personali, ma sviluppa il pensiero del Cardinale su vari temi sociali e culturali, dall’educazione al matrimonio e la famiglia (che ha approfondito in vari testi), dalla cultura all’immigrazione (il meticciato di civiltà), dalla libertà religiosa agli scandali nella Chiesa, così come traccia i rapporti che ha avuto con i Papi: San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.In particolare, è significativa la posizione che esprime sulla presenza dei cattolici nella società: «Penso che oggi sia molto arduo mostrare la convenienza della posizione cristiana se non è accompagnata dalla forza della testimonianza. Con un’avvertenza: la testimonianza cui faccio riferimento non è qualcosa d’individualistico e d’intimistico, come pensano coloro che la contrappongono alla presenza e all’azione. Io intendo la testimonianza come un atteggiamento fondamentale del credente che sa comunicare le ragioni della sua fede nell’ambito pubblico».Resta da spiegare la ragione del titolo del libro. La spiegano bene queste frasi: «Non è possibile essere veramente liberi senza Cristo. Il cristianesimo, infatti, nella sua struttura elementare, è un avvenimento che si produce in un incontro e sollecita la libertà del soggetto a una risposta. Se ci dimentichiamo di questo, il fatto cristiano si riduce a una dottrina e a una somma di comportamenti etici… Gesù è una presenza vivente e personale che parla alla libertà, non all’umanità in astratto».L’autobiografia si chiude con un’ultima nota personale: «Invecchiando, c’è una cosa che si fa sempre più evidente: si vive al cenno di un Altro». E questo vale per tutti!

(Angelo Scola, Ho scommesso sulla libertà, Ed. Solferino, 18,00€)

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Parrocchia: www.parrocchiasanprotaso.orgGruppo sportivo: www.spes-mi.org

Centro culturale: http://centroculturalesp.wordpress.comLa Zolla: http://www.lazolla.it

La Spes raddoppia di Enrico Molinari

Nello scorso numero del bollettino, abbiamo iniziato a guardare a San Protaso con occhi diversi. La nostra parrocchia, scriveva don Franco, è “una città nella città”, “laboratorio a tutto campo cui la città possa guardare per mettere a fuoco percorsi di convivenza e riconoscimento reciproco, che apra a nuove convivialità nelle differenze e integrazioni”. Un tipo di sguardo privilegiato, dunque, che può essere applicato anche in ambito sportivo. Il prestigioso premio conferito quest’anno al nostro “Ciano”, ci sembra possa essere letto sotto questa luce. Dentro l’esperienza della Spes, piccola lucerna da porre sopra il moggio.

A fronte della conferma che, anche quest’anno, il premio Campioni nella Vita istituito dal CSI (Centro Sportivo Italiano) sarebbe stato posto in palio, ci siamo mossi immediatamente.La consegna era quella di segnalare all’ente proponente il nominativo di un collaboratore della società sportiva e le motivazioni a supporto della sua candidatura. La caratteristica richiesta era la capacità di non apparire, lavorando dietro le quinte e rendendosi esempio di servizio per dirigenti, allenatori e atleti della SPES.Naturalmente, avendo ricevuto molte segnalazioni, il CSI ha predisposto una giuria di altissimo livello, costituita da dodici componenti, guidati da Don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’Educazione della Diocesi di Milano, che ha selezionato, tra le circa 90 proposte pervenute, le 50 da premiare.Così il 2 Marzo 2019, nell’auditorium del Palazzo della Regione, il

candidato della SPES Luciano Frangioni ha ricevuto il premio dalle mani di un rappresentante di quei bambini che sono i destinatari del suo servizio.E’ stata una grande soddisfazione vedere “Ciano” emozionato sotto i riflettori, ma anche realizzare che le motivazioni proposte sono state riconosciute a livello cittadino e dai rappresentanti delle istituzioni di Milano, come imitabili modelli di comportamento. Riportiamo quindi di seguito il contenuto della nostra proposta alla giuria:

“Non vedevamo l’ora che il CSI pensasse ad un premio adeguato ad una figura come quella di Luciano (Ciano) Frangioni.Personaggio difficile da descrivere, da incasellare, Ciano ha sempre dichiarato (ma soprattutto lo ha messo in pratica) di anteporre le necessità della SPES alla gratificazione che deriva dal seguire la crescita di un gruppo di atleti dai Pulcini agli Open, così come non si è mai lamentato per una collocazione infelice ma necessaria o per la richiesta di lasciare il team, costruito con amore l’anno precedente, per mettere la sua esperienza al servizio di una squadra di ragazzi difficili. Nessun protagonismo, niente “la mia squadra”, solo il bene della Società della quale ha sposato il progetto con amore indissolubile.E questo è il valore che crediamo gli vada riconosciuto e debba essere segnalato come esempio di servizio in una Società Sportiva di Oratorio.Di più: Ciano è un allenatore (e che allenatore!), ma ormai tutti sanno che se c’è un problema di magazzino, una serratura che non funziona, le reti da montare, il campo da “pettinare” con il trattore, ci si rivolge direttamente a lui, che magari userà un linguaggio un po’ ruvido, ma lo farà sempre con il sorriso che distingue le persone buone dalle altre”.

San Protaso, città nella città