| MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO | TESORO DI · 2017. 11. 16. · Mario Turetta Direttore Regionale...

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TESORO DI MARENGO I CATALOGHI | MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO | 3

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  • I CATALOGHI | MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO | 3

    TESORO DIMARENGO

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    Collana diretta daEgle MichelettoSoprintendente per i Beni Archeologicidel Piemonte e del Museo Antichità Egizie

    Il Tesoro di Marengo, ritrovato nel 1928, viene oggiripresentato al pubblico in nuovi spazi che consentirannodi apprezzare gli argenti non solo per il loro straordinariovalore artistico, ma ne sveleranno aspetti sino ad oggisconosciuti, anche grazie alla presentazione di minutireperti sinora conservati nei Depositi del Museo e di unapiccola sezione dedicata agli approfondimenti didattici.

    I CATALOGHI | MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO | 3

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    Immagine di copertina:Medaglione con busto eroicodecenni finali del II secolo d.C.(foto Enrico Carpegna)

    2aAlleanza Toro Assicurazioni

    Armando TestaBanca Fideuram

    BuffettiBurgo GroupBuzzi Unicem

    Camera di Commercio di TorinoC.L.N.

    Compagnia di San PaoloDeloitte & Touche

    ErselExor

    Fenera HoldingFerrero

    FiatFondazione Crt

    GarosciGeodata

    G. Canale & C.Gruppo Ferrero-Presider

    Intesa SanpaoloItalgas

    LavazzaMartini & Rossi

    MegadyneM. Marsiaj & C.

    Reale Mutua AssicurazioniReply

    Rockwood ItaliaSkf

    Telecom ItaliaUnione Industriale di Torino

    Vittoria AssicurazioniZoppoli & Pulcher

    DIREZIONE REGIONALEPER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DEL PIEMONTE

    Soprintendenza per i Beni Archeologicidel Piemonte e del Museo Antichità Egizie

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    cover marengo_Layout 1 12/11/13 15.27 Pagina 1

  • I CATALOGHI | MUSEO DI ANTICHITÀ DI TORINO | 3

  • Comitato scientificoMarcello BarbaneraEgle MichelettoGemma Sena ChiesaPaul ZankerProgetto scientifico Egle Micheletto, Gabriella PantòComitato TecnicoGabriella PantòAngela Griseri e Mario Verdun di Cantogno – ConsultaProgetto espositivo e grafica in mostraMassimo Venegoni Studio Dedalo TorinoTesti percorso espositivo e multimedialeGabriella PantòTraduzioni in lingua ingleseElisa LanzaRestauri Carmela Sirello – RestauriCoordinamento restauri Alessandro Sani Laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni Archeologici del PiemonteElaborazioni grafiche e impaginatoSusanna SalinesServizio iconograficoPatrizia Petitti

    A tutti coloro che hanno contribuito e partecipato alla realizzazione dell’iniziativa la nostra più viva riconoscenzaIn particolare si ringrazianoValentina BarberisFederico BarelloAlberto CrosettoMarica Venturino GambariGian Battista Garbarino

    Grafica e stampaAgit Mariogros Industrie Grafiche

    ISBN 978-88-950005-10-9© Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie

    TESORO DI MARENGOMuseo di Antichità di Torino

  • TESORO DIMARENGOa cura di Egle Micheletto e Gabriella Pantò

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    Dopo la mostra “Archeologia a Torino”, inaugurata nel maggio scorsonegli ambienti della Manica Nuova di Palazzo Reale, ora collegati alla Gal-leria Sabauda nel percorso che vede l’unificazione dei musei che costituisconoil Polo Reale, sono lieto di presentare il nuovo allestimento del Tesoro di Ma-rengo nei suggestivi ambienti dell’Esedra, fino ad oggi destinati a piccoleesposizioni temporanee.

    La cultura archeologica sta ancora tentando di penetrare il mistero cheavvolge il ritrovamento degli argenti avvenuto nel 1928. Per il metallo pre-zioso utilizzato, per la tecnica adottata nella lavorazione degli argenti, peril repertorio figurativo tratto da celebri opere dell’arte greca e romana, ilTesoro, grazie anche al suggestivo allestimento di Massimo Venegoni, su pro-getto scientifico di Egle Micheletto e Gabriella Pantò, rievoca la memoria diun passato lontano: come prodotto della capacità di straordinari artefici ce-sellatori, come arredi sontuosi, come vicenda umana che ha portato al suointerramento, probabilmente frutto di una razzia o rapina, fino al fortuitoritrovamento.

    Mario TurettaDirettore Regionale per i Beni Culturali

    e Paesaggistici del Piemonte

    Il Tesoro di Marengo, il più ricco per consistenza e varietà di oggetti pre-ziosi tramandatici dal passato e ritrovati in Piemonte, viene oggi ripresentatoal pubblico a seguito di nuovi studi anche archeometrici – i cui risultati im-plementeranno nel tempo l’apparato illustrativo – promossi dalla nostra So-printendenza avvalendosi di innumerevoli e qualificate collaborazioni.

    Se già il precedente allestimento nella sezione dell’Archeologia del terri-torio Piemontese, progettata dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Ore-glia d’Isola e inaugurata nel 1998, poneva il Tesoro al centro dell’interesseanticipando, con la sua collocazione al centro della Passerella, i contenutidel percorso espositivo, i nuovi spazi che lo accolgono consentiranno di ap-prezzare gli argenti non solo per il loro straordinario valore artistico, ma nesveleranno aspetti sino ad oggi sconosciuti, anche grazie alla presentazionedi minuti reperti, in gran parte inediti, sinora conservati nei Depositi delMuseo.

    La nuova piccola sezione dedicata al Tesoro e agli approfondimenti di-dattici ha potuto concretizzarsi grazie al generoso finanziamento della Con-sulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, cheringraziamo vivamente per aver voluto per la prima volta destinare risorsead un contesto archeologico di tale rilevanza internazionale.

    Egle MichelettoSoprintendente per i Beni Archeologici del Piemonte

    e del Museo Antichità Egizie

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    Massimo VenegoniSchizzo progettuale

    per l’esposizione del busto di

    Lucio Vero, 2013

  • Con il nuovo allestimento del Tesoro di Marengo – ritrovato nel 1928 edal 1936 esposto al Museo di Antichità di Torino – la Consulta per la Valo-rizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino vuole offrire ai visitatorila possibilità di ammirare i preziosi reperti esposti in nuove vetrine di avan-zata tecnologia. Per valorizzare adeguatamente questa straordinaria colle-zione di argenti, sono stati realizzati innovativi materiali didascalici, grafici,audio e video.

    Particolare impegno è stato dedicato per migliorare la fruizione delle opereda parte delle persone non vedenti o ipovedenti: è stato eseguito un rilievoin 3D, ad altissima precisione, del Busto di Lucio Vero, della Fascia conghirlanda di spighe e della Testina femminile che ha permesso di realizzarele riproduzioni delle tre opere.

    Dopo la recente inaugurazione del nuovo Percorso di salita alla TorreCampanaria della Cattedrale di Torino, che offre al pubblico un punto divista privilegiato su tutta l’estensione delle cinque realtà museali che costi-tuiscono il Polo Reale – Palazzo Reale, Biblioteca, Armeria, Galleria Sa-bauda e Museo Archeologico – il nuovo allestimento del Tesoro di Marengocostituisce un nuovo tassello dell’impegno della Consulta per il patrimoniostorico-artistico cittadino.

    La Consulta lavora dal 1998 al Progetto del Polo Reale di Torino e dal2009 collabora con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggisticidel Piemonte alla definizione della nuova realtà, mettendo a disposizione leconoscenze e le capacità gestionali ed organizzative del tessuto imprendito-riale delle Aziende Socie.

    La Consulta è nata nel 1987 dalla volontà di 12 Soci fondatori con loscopo di contribuire a valorizzare e a migliorare la fruibilità del patrimoniostorico-artistico torinese. Le 35 Aziende ed Enti che oggi ne fanno parte stan-ziano ogni anno un importo paritetico destinato a progetti di valorizzazionee restauro: in ventisei anni di attività sono stati impegnati più di due milionidi ore di lavoro di professionisti e restauratori e realizzati oltre 50 interventisui principali monumenti e musei torinesi, in stretta collaborazione con leIstituzioni e gli Enti di tutela.

    Maurizio CibrarioPresidente Consulta ValorizzazioneBeni Artistici e Culturali di Torino

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    Gli argenti esposti dopo ilritrovamento sul divano nella

    cascina Pederbona

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    Il Tesoro di Marengo: dalla scoperta alla musealizzazioneGabriella Pantò

    Il 2 giugno del 1928 Pietro Fedele, ministro della Pubblica Istru-zione (Ministero al quale faceva capo la Direzione Generale delleAntichità e Belle Arti, competente per i ritrovamenti archeologici),emanava un decreto di sequestro ai sensi della Legge 20 giugno1909 n. 364, assicurando al patrimonio e alla tutela dello Stato l’in-sieme di argenti di età romana, noto in letteratura come Tesoro diMarengo.

    Il ritrovamento era avvenuto in un momento imprecisato tra lafine di marzo e i primi di aprile del 1928 – forse il 6 aprile, giovedìsanto – ad opera di un bracciante agricolo avventizio dell’impren-ditore Romualdo Tartara, locatario della cascina Pederbona di Ma-rengo (Perbona negli antichi catasti), un piccolo centro agricolodella fertile pianura della Bormida, non lontano da Alessandria. Leattività di livellamento del terreno per la conduzione a coltura delfondo avevano fortuitamente portato in luce alcuni oggetti. Emersedal terreno dapprima il capitello con foglie di acanto [cat. 9], che ilbracciante cercò di trattenere immaginandolo un recipiente pienodi monete, quindi la fascia con divinità [cat. 7] e la fascia con ghir-lande di spighe [cat. 11]. Stando alle controverse cronache deltempo, i lavori di ampliamento e approfondimento della scavo pro-seguirono febbrilmente durante la stessa giornata, consentendo aglioperai impegnati nell’attività di vedere ad una profondità di 70/80cm i resti in traccia di una grossa cassa di legno di m 2 x 1,5 (madate le dimensioni, forse da interpretarsi come più contenitori af-fiancati) entro la quale erano stipati gli argenti, intenzionalmenteschiacciati e accartocciati in antico per ridurne il volume.

    In seguito fu avvisato il conte Zoppi di Alessandria, presidentedella Commissione provinciale per la conservazione dei Monumenti,il prefetto Federico Fusco e furono informati della scoperta anche al-cuni membri della Società di Storia Arte e Archeologia della provin-cia di Alessandria. Parecchi giorni dopo, ma prima del 15 aprile, fuavvisata del ritrovamento la Soprintendenza alle Antichità del Pie-monte, che solo allora poté avviare le necessarie azioni di tutela.

    L’insieme recuperato fu ripulito e fotografato forse lo stesso giornodel recupero, ma più probabilmente nei successivi, dal fotografo Car-bone di Alessandria. Per la realizzazione del servizio fotografico gliargenti furono sistemati in bella mostra su un divano portato al-l’esterno della cascina e coperto da un drappo di tela tesato fino aterra, sul quale furono appoggiati. L’unica fotografia pervenutamostra una disposizione non omogenea dei reperti, che appaiono

  • ammassati su un lato della spalliera del divano, mentre la parte sim-metrica è stranamente vuota, lasciando congetturare la frettolosarimozione di una parte dei pezzi senza che vi fosse la possibilità dimeglio sistemare quelli restanti. Tale vuoto, insieme all’effettiva spa-rizione di alcuni degli argenti che compaiono nella foto e di buonaparte dell’eterogeneo ammasso di lamine accartocciate posizionatea terra, acuisce i sospetti che il ritrovamento fosse più ricco di quelloche appare documentato, e che una parte sia stata dispersa subitodopo il ritrovamento. D’altro canto, se la memoria delle dimensionidella cassa (o delle casse) osservata in traccia sono veritiere e dun-que da tenere in considerazione, appare evidente come il volumedegli argenti fotografati sia di molto inferiore a quello stimabile delpossibile contenuto.

    L’effettiva quantità e natura degli oggetti conservati nel sotto-suolo non è mai stata accertata e gli elementi indiziari circa la pos-sibile sottrazione di una parte dei ritrovamenti, con il passare deltempo non si sono concretizzati in prove. Il convegno tenutosi adAlessandria nel 2010 (Il Tesoro di Marengo. Storie, misteri, ricerchee prospettive 2013), promosso dalla Soprintendenza per i Beni Ar-cheologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie in collabo-razione con la Società di Storia Arte e Archeologia per le provincedi Alessandria e Asti, finalizzato a ripercorrere la storia della sco-perta del Tesoro e far conoscere le problematiche legate al ritro-vamento attraverso una pluralità di aspetti, non ultimo quello deirapporti tra classe dirigente e intellettuali del periodo fascista, eraanche volto all’acquisizione di nuove informazioni utili alle inve-stigazioni avviate dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio

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    Veduta dellacascina Pederbona,1936

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    Culturale con l’Interpol. Il Nucleo operativo di Torino sta infattitentando di far luce su una complessa questione legata alla testimo-nianza – mai provata – dello studente milanese di giurisprudenzae giornalista Carmelo Azzolina che nel 1951 aveva avuto l’opportu-nità di conoscere e frequentare al Cairo i conti Karkathopoulos re-sidenti in una lussuosa villa a pochi chilometri dalla capitaleegiziana. Il giovane vide tra gli arredi di casa una serie di importantiargenti che i proprietari gli riferirono essere parte di un Tesoro ri-trovato presso Marengo, di cui egli al momento della confidenzaignorava l’esistenza. Il giornalista milanese Francesco Goy che loaccompagnava scattò alcune foto dei reperti, comprendenti unbusto femminile ammaccato e mutilo sopra il mento, una lastra consei divinità, una lamina molto rovinata che poteva sembrare unbusto acefalo, un vaso schiacciato con decorazioni vegetali e unalamina con decorazioni d’armi (Ballerino 2013, pp. 30-31). In se-guito Azzolina pubblicò diversi servizi su la “Voce Alessandrina” esul mensile milanese “Incontri”, ma mai le foto scattate al Cairo, so-stenendo negli articoli che gli argenti sarebbero stati acquistati dal-l’armatore Karkathopoulos presso un antiquario di Genova.

    La scomparsa di importanti documenti, il mancato reperimentodelle fotografie scattate al Cairo dal Goy, la perdita forse durante unevento alluvionale che interessò gli archivi dell’Università di Genovadella tesi di laurea di Ornella Orbassano sul Tesoro di Marengo, se-guita da Antonio Giuliano e discussa nel 1969 all’Università di Ge-nova, che affrontava gli aspetti del ritrovamento e degli ammanchied era corredata di fotografie con oggetti dispersi (Orbassano 2013),la tardiva testimonianza dello scopritore secondo il quale sarebbestato trovato anche un piatto non decorato dal diametro di 40-50cm con al centro una scena di trionfo con soldati in atto di sfilare

    Lavori di scavoall’epoca del

    ritrovamento allapresenza di

    Romualdo eFrancesco Tartara,

    aprile 1928(Collezione

    privata)

  • sotto un arco onorario (Ballerino 2006-2007, p. 26), alimentano idubbi circa lo svolgersi delle vicende dopo la scoperta. In tale otticasembra assumere un ruolo di primo piano lo spregiudicato anti-quario Ferruccio Ildebrando Bossi, attivo collaboratore del TerzoReich nel commercio delle opere d’arte prese alla vittime naziste(Ballerino 2013, p. 31).

    Fu infatti Bossi ad accompagnare il 1 giugno 1928 nel viaggio in-trapreso in auto verso Roma Romualdo Tartara, che portava con séil Tesoro (o parte di esso?) stipato in una valigia e in una cappelliera(o in due valigie) al fine di incontrare il Direttore Generale delle BelleArti Arduino Colasanti e ottenere i diritti per la proprietà esclusivadel Tesoro e all’esportazione (Crosetto 2013, pp. 50-51). L’antiquarioin quel momento deteneva almeno un oggetto del Tesoro, ovvero laTabella con iscrizione votiva [cat. 2] che fu costretto a restituire nel1930 dopo la formale richiesta avanzata dal Ministero della PubblicaIstruzione. Pertanto, nel caso la testimonianza del giornalista Azzo-lina si dimostrasse veritiera, forse non sarebbe difficile associare lafigura dell’ignoto antiquario genovese citato dai coniugi Karkatho-poulos con il Bossi.

    Con l’atto di sequestro del ministro emanato il giorno successivoal trasferimento a Roma del Tesoro, ovvero di ciò che era stato portatonei due colli, gli argenti vennero depositati presso il Museo NazionaleRomano e pesati: furono accertati 26 kg lordi ma il peso degli argentiera probabilmente corrispondente a 21 kg.

    Su iniziativa di Giuseppe Moretti, Soprintendente alle Antichitàdi Roma e direttore del Museo Nazionale Romano, nel 1936 il re-stauro fu affidato al celebre scultore e cesellatore Renato Brozzi ori-ginario di Parma, legato per amicizia a Gabriele d’Annunzio, chelavorò per soli due mesi con il collega Mario Minari nel laboratoriopresso il Museo Nazionale delle Terme. Al termine del restauro ipezzi del Tesoro, ritenuti eccezionali per lo stato di conservazionee il valore artistico, furono esposti al pubblico nella stessa sede.

    Un prezioso album con la documentazione fotografica degli og-getti prima e dopo il restauro fu donato dal Brozzi a Gabrieled’Annunzio ed è tutt’ora conservato a Gardone Riviera nell’Archi-vio Generale del Vittoriale (Harari 2013, p. 133); probabilmenteuna copia pervenne anche alla Soprintendenza torinese, come fa-rebbe supporre l’identità di impostazione tra l’album conservatoal Vittoriale e alcune riproduzioni da lastre fotografiche ancorapresenti in archivio.

    L’affidamento definitivo al Museo di Antichità di Torino fu decisodal ministro della Pubblica Istruzione, conte Cesare De Vecchi diVal Cismon il quale, rientrato nei primi di giugno del 1928 dalla So-malia al termine del suo mandato di governatore, aveva incontratoa Roma Romualdo Tartara e l’antiquario genovese Bossi il giornoprecedente l’atto di sequestro.

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    La pubblicazione dei reperti fu affidata a Goffredo Bendinelli,professore di Archeologia e storia dell’arte antica nell’Università diTorino, che aveva avuto l’opportunità di vedere il complesso di ar-genti a Roma, negli uffici del Museo Nazionale Romano, e di valu-tarne l’importanza scientifica e la singolarità, e che nel luglio 1936,a distanza di otto anni dal ritrovamento, si recò a Marengo per rac-cogliere informazioni utili al suo studio. L’opera Il Tesoro di Argen-teria di Marengo uscì nel 1937, nella collana Monumenti d’ArteAntica della Reale Accademia delle Scienze di Torino, senza chel’autore riuscisse a chiarire le intricate vicende del ritrovamento, lequestioni delle dispersioni e delle relazioni con il mercato antiqua-rio del tempo.

    A Torino, secondo il verbale di consegna al Soprintendente alleAntichità di Torino Gioacchino Mancini, datato 18 aprile 1936(Crosetto 2013, pp. 96-97), in cui gli argenti sono erroneamente in-dicati come rinvenuti fortuitamente a “Bosco Marengo” (altra lo-calità dell’alessandrino che nulla ha a che vedere con il luogo diritrovamento), pervennero kg 12,855, di cui 4,865 kg non restauratie destinati al magazzino.

    La presentazione al pubblico dei preziosi reperti avvenne nel 1936nella nuova sede del Regio Museo di Antichità nel Palazzo dell’Ac-cademia delle Scienze in tre vetrine collocate nella Sala Romana,

    Album fotograficocon alcuni reperti

    prima del restauro

  • appositamente costruite su richiesta del Soprintendente GioacchinoMancini riprendendo il modello di quelle utilizzate nell’allestimentonella capitale.

    Il Tesoro fu rimosso dalle sale della sede espositiva nel 1940 etrasferito temporaneamente nel castello ducale di Agliè, insieme adaltre preziose opere del Museo di Antichità, ai fini della loro salva-guardia e preservazione dai possibili danni causati dai bombarda-menti iniziati a Torino l’11 giugno di quell’anno. Forse in taleoccasione è possibile che vi siano state le ulteriori dispersioni, con-statabili attraverso il riscontro tra l’attuale consistenza del Tesoroe il verbale di consegna del 18 aprile 1936 (Crosetto 2013, doc.170, pp. 96-97), dalla differenza di peso degli argenti oggi accertatoin complessivi 11,748 kg (8,558 per i pezzi già esposti, 3,190 perquelli di deposito), dalla documentazione fotografica pubblicata

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    Esposizione delbusto di Lucio Veronel Regio Museo di Antichità,allestimento del 1936

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    dal Bendinelli di cui si conserva copia non completa nell’archiviofotografico della Soprintendenza.

    Nell’esposizione “Ori e argenti dell’Italia antica”, che si proponevadi “esibire i prodotti rari e preziosi dell’arte più lussuosa del mondoantico” (Maiuri 1961, p. 1), presentata nelle sale del Palazzo Chiablesedi Torino tra giugno e agosto nel 1961, il Busto di Lucio Vero conl’insieme degli argenti fu esposto a confronto con l’altro eccezionaleritrovamento piemontese di argenti e oreficerie del V-VI secolo d.C.legato alla presenza ostrogota e noto come Tesoro di Desana, an-ch’esso fortuitamente ritrovato in circostanze mai chiarite.

    Una più attenta e migliore valorizzazione del Tesoro si ebbe nel-l’esposizione nel nuovo Museo di Antichità, trasferito dal Palazzodell’Accademia delle Scienze alle Orangeries di Palazzo Reale dove,per volontà del Soprintendente Liliana Mercando, divenne simbolodel Museo e il punto focale dell’accesso al percorso espositivo delpadiglione ipogeo dedicato all’archeologia del Territorio piemontese,progettato dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Oreglia d’Isolae inaugurato nel 1998. La nuova presentazione fu accompagnatadall’edizione scientifica degli argenti nel volume di studi miscellaneisull’archeologia romana piemontese, curato dalla stessa Mercandoed edito in tale occasione (Sena Chiesa 1998; Baratte 1998).

    In tempi più recenti il Tesoro fu esposto temporaneamente nellamostra allestita nello stesso Museo di Antichità, nei suggestivispazi della Manica Nuova di Palazzo Reale in occasione della mo-stra curata da Pietro Giovanni Guzzo “Argenti. Pompei Napoli To-rino”, promossa dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali ePaesaggistici del Piemonte, organizzata in collaborazione con la

    Esposizione degliargenti nel Regio

    Museo di Antichità,allestimento

    del 1936

  • Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli eCaserta e inaugurata nell’ottobre 2006.

    Nel 2012 il prestito temporaneo per la prestigiosa rassegna espo-sitiva romana “L’età dell’equilibrio. Traiano, Adriano, Antonino Pio,Marco Aurelio”, curata da Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presiccecon Annalisa Lo Monaco, presentata nelle storiche sale dei MuseiCapitolini, ha rappresentato non solo l’occasione di riportare nellacapitale, a distanza di quasi un secolo dal restauro e dalla primapubblica esposizione, lo straordinario complesso di argenti di Ma-rengo, ma anche per promuovere una nuova accurata campagna dipulitura degli oggetti.

    Nell’anno in corso, nel viaggio di rientro dalla capitale, il Tesoroha toccato Alessandria per la breve esposizione temporanea nel Pa-latium Vetus, dal titolo “Argenti di Marengo. Un Tesoro nel Tesoro”,attuata in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio diAlessandria, la cui finalità era di presentare al pubblico nel capo-luogo di provincia prossimo al sito di ritrovamento, gli argenti finoad allora mai esposti in sede locale. Grazie alla collaborazione conla Fondazione è ora possibile contare su un finanziamento che haconsentito di effettuare una serie di indagini diagnostiche archeo-metriche e metallografiche, con l’applicazione di metodiche stru-mentali, i cui risultati potranno fornire informazioni sullaprovenienza e la composizione dei metalli e costituire un nuovoprezioso strumento di conoscenza delle tecnologie antiche. Tali ri-sultati confluiranno in un nuovo volume di studi che affronteràogni possibile aspetto storico artistico, iconografico, storiograficoma soprattutto archeologico esaminando l’eccezionale ritrovamentonel contesto di provenienza.

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    Inaugurazione della mostra “Ori e argentidell’Italia antica”,Torino, PalazzoChiablese, 1961(foto Comm. R.Bertazzini, Torino)

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    Infatti, dopo la pubblicazione del Bendinelli l’interesse scientificoper il Tesoro si espresse in numerosi studi soprattutto di caratterestorico artistico senza però avere la fortuna critica che avrebbe me-ritato, e senza che il ritrovamento fosse accuratamente valutato dalpunto di vista archeologico, in particolare negli aspetti relativi al-l’originaria situazione stratigrafica.

    Resta ancora non sufficientemente investigato il rapporto delsito di Marengo con il territorio circostante, posto sulla direttricedi collegamento tra Hasta (Asti) e Dertona (Tortona), lungo l’anticavia Fulvia che nel III secolo d.C. forse aveva già perso importanza,come sembrano suggerire i dati delle recenti indagini archeologiche

    Esposizione nelMuseo di Antichitànell’allestimento diRoberto Gabetti e

    Aimaro Oregliad’Isola, 1998

  • condotte lungo il tratto glareato individuato che attraversava l’abi-tato di Forum Fulvii (Villa del Foro) (Betori, Zanda 2002). Tuttaviail ritrovamento a Spinetta, un piccolo abitato oggi amministrativa-mente unito a Marengo, di una prestigiosa sepoltura entro sarcofagoanepigrafe con coperchio ad acroteri, accompagnata da un ricco estraordinariamente importante corredo di vetri incisi, tra cui l’ec-cezionale coppa a foglia d’oro con la raffigurazione di Costanzo II,dovrebbe portare a riconsiderare le dinamiche del popolamentonella tarda antichità in questa zona del Piemonte. La tomba di Spi-netta, databile alla metà o seconda metà del IV secolo d.C. e pro-babilmente parte di una più ampia necropoli (Negro Ponzi, 2005),è stata suggestivamente posta in relazione con un membro dell’ari-stocrazia terriera o di alto grado militare. In quest’ottica assumeparticolare rilevanza l’ipotesi dell’originario utilizzo degli oggettidel Tesoro come arredo di un sacello di carattere privato (dedicatoad una divinità solare?) o a un vero e proprio santuario pubblico,forse sede di un collegium per il culto imperiale, che poteva trovarsineppure troppo distante dal luogo di occultamento degli argenti.

    Questa molteplicità di tematiche, con una particolare conside-razione per gli aspetti archeologici passati e in divenire, è affrontatanella nuova esposizione realizzata nelle due sale retrostanti l’Esedra,punto di cerniera tra la Manica Nuova di Palazzo Reale e il Padi-glione del Territorio piemontese. L’allestimento, progettato dall’ar-chitetto Massimo Venegoni grazie a un finanziamento dellaConsulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di To-rino, presenta in un nuovo suggestivo contesto i 24 reperti già pre-cedentemente esposti, ma anche molti manufatti minori decorati,lamine accartocciate e minuti frammenti non riconducibili a precisielementi, fino ad ora conservati nei Depositi del Museo ed oggettodi un recente intervento di pulitura.

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    Viaggio daPiacenza a Torino,“Guida per ilviaggio d’Italia inposta. Nuovaedizione con licambiamenti nellePoste, ed accresciutadelle strade degliStati di Terrafermadi S. M. il re diSardegna […]”,Torino 1786, tav. 14

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    L’esposizione affronta nuovi percorsi indirizzandosi a pubblicidiversi attraverso la comunicazione di tipo tradizionale e multime-diale, ma soprattutto si rivolge a ipovedenti e non vedenti che nellasala didattica dedicata possono effettuare una esperienza tattile sulBusto di Lucio Vero [cat. 1], sulla fascia con ghirlanda di spighe[cat. 11] e la testina femminile [cat. 30] riprodotti fedelmente intre dimensioni sulla base del rilievo laser-scanner.

    La nuova presentazione se non scioglie le incognite e i misteriche hanno accompagnato il Tesoro dal suo occultamento alla sco-perta, certamente nell’allestimento restituisce l’importanza dovutaall’eccezionale complesso di argenti.

    Disegno a pennaacquerellato

    rappresentante ilterritorio versosud-est per unraggio di circa

    15 Km, firmatoGius. Conti Ing.

    Topografo, 1815.Istituto GeograficoMilitare, Archivio

    cartografico, doc. 63, foglio 1

    (inv. 8608) (in rosso

    localizzazione dellacascina, asse della

    via Fulvia)

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    Uno straordinario complessodi argentiAnna Maria Riccomini

    Gli eccezionali ritrovamenti nelle aree vesuviane ci hanno resti-tuito pregevoli complessi di argenterie, composti in prevalenza divasellame da tavola (il servizio da mensa è detto, nel suo complesso,ministerium), suddiviso in recipienti per contenere e mangiare lepietanze (argentum escarium) e recipienti destinati alle bevande (ar-gentum potorium). La raffinatezza tecnica e artistica dell’argenteriarecuperata accanto ai corpi delle vittime dell’eruzione o in ripostiglidelle domus più facoltose e delle ville suburbane (celebri sono i Te-sori della Casa del Menandro a Pompei, di Boscoreale e di More-gine), con vasellame databile tra il I secolo a.C. e il 79 d.C.,confermano la rapida penetrazione in ambito italico di una modadiffusa presso le sfarzose corti ellenistiche, con cui i Romani en-trano in contatto a partire dal II secolo a.C. L’abbondanza e l’ecce-zionale stato di conservazione delle argenterie ‘sigillate’ dalla lavadel Vesuvio non hanno confronti con i ritrovamenti, pur numerosi,dei secolo successivi.

    È soprattutto a partire dalla metà del III secolo, in concomi-tanza con le prime incursioni barbariche nell’Impero Romano,che il seppellimento intenzionale di tesori si fa nuovamente in-tenso. Si tratta di un fenomeno diffuso nelle province danubianee renane, lungo il limes, ma che sembra riguardare soprattutto laGallia, la regione più colpita dalla minaccia di popolazioni alaman-niche (Trésors d’orfèvrerie 1989).

    Proprio dalla Gallia, tanto dall’area settentrionale che da quellameridionale e prossima alla catena alpina, proviene un grande nu-mero di tesori di argenterie, di cui alcuni recuperati in regolaricampagne di scavo, che hanno permesso di datare con buona ap-prossimazione l’epoca del loro interro (come quello di Vaise, pressoLione, scoperto nel 1992, il cui seppellimento si colloca tra il 250e il 270 d.C.: Aubin et al. 1999).

    La composizione di quasi tutti i tesori d’argenterie scampati allerazzie barbariche continua a comprendere vasellame da mensa, diforma, fattura e decorazione diversa da quello trovato nell’area ve-suviana (offrendo interessanti spunti di riflessione sull’evoluzionedel ministerium romano), cui si affiancano, a seconda dei contestie delle possibili provenienze, statuette votive di divinità, gioielli emonete, mentre del tutto eccezionali sono gli oggetti pertinenti al-l’arredo e i ritratti privati o imperiali (un raro esempio è il busto inlamina d’argento, inferiore al vero, raffigurante forse Gallieno, dalTesoro di Vaise: Baratte 1999, n. 20, p. 81).

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    Allo stato attuale il Tesoro comprende circa trenta pezzi e nume-rosi frammenti minori (alcuni esposti per la prima volta), per untotale di 11,748 Kg di argento. Le fotografie scattate al momentodella scoperta documentano l’esistenza di elementi oggi dispersi:insieme a piccoli frammenti rimasti forse a Roma, per l’impossibi-lità di pulirli e restaurarli, si distinguono pezzi di maggiore inte-resse, come una laminetta con protome di ariete (pertinente alcomplesso con i simboli dello Zodiaco, cat. 21-26) e una con fregiod’armi, pendant di quella ancora conservata [cat. 18]. Dalla docu-mentazione sulle vicende relative alla scoperta e agli spostamentidel Tesoro (Ballerino 2006-2007; Orbassano 2013), il peso dell’ar-gento, ancora da restaurare, consegnato allo Stato sarebbe stato di26 Kg (ma si parla anche di 36,5 Kg): pur tenendo conto del mate-riale eliminato con la pulitura e del peso delle valigie che contene-vano gli argenti, è evidente che non pochi elementi mancano oggiall’appello.

    Mai giunti a Torino, perché subito immessi sul mercato anti-quario, sarebbero i pezzi visti al Cairo, presso i coniugi greci Kar-kathopoulos, dal giornalista Carmelo Azzolina: una secondalamina con fregio d’armi (quella fotografata all’epoca della sco-perta) e un secondo capitello corinzieggiante, una fascia con seifigure di divinità, un busto femminile acefalo, di dimensioni na-turali, riprodotto in una vecchia fotografia (perduta) insieme albusto di Lucio Vero [cat. 1]. Il mistero, di certo affascinante, sugliargenti portati in Egitto non ha purtroppo trovato riscontri sicurie pertanto gli interrogativi sulla reale composizione del Tesorosono destinati a rimanere tali.

    Il tesoro di Vaise,II-III secolo d. C.,Lione, Musée de lacivilisation gallo-romaine (da Aubinet al. 1999)

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    Composizione del TesoroPer la selezione degli oggetti che lo compongono, il Tesoro di Ma-

    rengo è un caso isolato tra i tesori di argenterie oggi noti e, più in ge-nerale, tra i tesori di oggetti preziosi. Del tutto assente è il vasellameda mensa: un elemento a forma di coppa (kalathos) corinzieggiante[cat. 9], ritenuto in passato un piccolo cratere, sembra piuttosto dainterpretare come capitello ornamentale. Quasi tutti gli oggetti delTesoro sono pertinenti ad elementi di arredo, di cui faceva senza dub-bio parte un suntuoso letto (kline). Numerose sono le cornici e le la-mine di rivestimento conservate [cat. 11-20], decorate con motivigeometrici, floreali e persino con un (raro) motivo a fregio d’armi[cat. 18]: per forma, curvatura e dimensioni differenti dovevano de-corare diversi tipi di mobilio, prevalentemente in legno, oggi di dif-ficile interpretazione. La lunga fascia con figure di divinità [cat. 7],forse completata a comporre un circolo completo dalla fascia con seifigure segnalata al Cairo da Carmelo Azzolina [pag. 11], poteva de-corare la sommità di una base circolare o di un puteale. Alcuni pezzi,come l’elemento di pulvino con Menade [cat. 3], erano applicati alsupporto originario mediante l’incastro dei bordi, mentre altri eranofissati con dei chiodi (di cui restano i fori lungo i margini).

    Alcune figure di animali sono state in passato associate a due di-stinte serie di simboli zodiacali, realizzati a rilievo e a tutto tondo.Dovevano sicuramente comporre un anello zodiacale le laminettesimboleggianti le costellazioni dei Pesci e dei Gemelli [cat. 24-26](da unire a quella dell’Ariete oggi perduta), mentre più incerta ri-mane l’originaria funzione di altri frammenti di animali (bovide,capro, aquila), disomogenei per stile e dimensioni [cat. 27-29].

    Lamine perdutecon segno

    dell’Ariete e confregio d’armi (da

    Bendinelli 1937) elamina con fregio

    d’armi [cat. 18]

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    Pertinente ad una statuetta di divinità è la delicata testina fem-minile già interpretata come Vittoria [cat. 30], per l’(improbabile)associazione con il frammento di braccio destro, teso a reggere unacorona d’alloro [cat. 31].

    Completano il Tesoro il busto eseguito a sbalzo dell’imperatoreLucio Vero (161-169 d.C.) [cat. 1], un unicum nel panorama ritrat-tistico della Cisalpina, e la tabella con dedica votiva alla FortunaMelior [cat. 2]: due pezzi di fondamentale importanza per la defi-nizione degli estremi cronologici dell’intero complesso.

    La cronologiaLe circostanze del ritrovamento rendono difficile precisare le

    modalità e l’epoca dell’occultamento del Tesoro. L’assenza di pun-tuali confronti tipologici e stilistici per molti dei pezzi, alcuni di in-certa funzione, e l’innegabile disomogeneità tanto tecnica chequalitativa degli argenti, hanno creato tra gli studiosi non pochi im-barazzi nella definizione di un preciso inquadramento cronologico.

    Alcuni punti fermi, tuttavia, esistono. Il busto-ritratto di LucioVero (161-169 d.C.) [cat. 1] fornisce un sicuro terminus post quemper l’occultamento, un limite che scende fino almeno ai primi annidel III secolo d.C. grazie all’iscrizione sulla tabella votiva alla For-tuna Melior [cat. 2].

    L’esame stilistico e tipologico dei singoli pezzi può fornire ulteriorielementi di datazione. I primi editori (Bendinelli 1937; Albizzati 1937e ancora Ronchetta 1983), avevano proposto, per l’intero gruppo diargenti, una sostanziale unità cronologica, compresa tra il regno diLucio Vero e la fine del II secolo d.C. Uno studio specifico sulla tipo-logia e la decorazione degli elementi di pulvino di età ellenistica e ro-mana (Faust 1989), ha in seguito convinto ad alzare la datazione delpulvino con Menade [cat. 3] alla metà del I secolo a.C., isolandolo difatto dal resto degli argenti. Questa estensione degli estremi crono-logici (che, dunque, collocherebbe i pezzi del Tesoro tra la metà del Isecolo a.C. e la fine del II/inizio del III secolo d.C.) è stata unanime-mente condivisa negli studi degli ultimi decenni e solo di recentemessa in discussione (Riccomini 2012). L’indagine tecnica (favoritadal recente restauro) e iconografica del pulvino ha permesso, infatti,di ridare validità alla prima datazione proposta, così da collocare iprincipali elementi di arredo tra la tarda età antonina e il regno diSettimio Severo (seconda metà del II-inizio del III secolo).

    Se nel Tesoro va distinto un elemento di ‘antiquariato’, un pezzoconservato nel tempo per il suo particolare pregio artistico o sim-bolico, questo andrebbe forse riconosciuto, piuttosto che nel pul-vino, nella testina femminile di divinità [cat. 30], la cui datazione,fissata tradizionalmente alla metà del II secolo, potrebbe essere rial-zata di oltre un secolo.

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    Nessuno degli elementi che compongono il Tesoro autorizza, subasi stilistiche, una datazione posteriore ai decenni iniziali del IIIsecolo, lasciando aperta l’ipotesi di un occultamento del complessogià intorno alla metà del secolo.

    Le ragioni del seppellimento: il quadro storicoCome dimostrano le foto scattate all’epoca del ritrovamento e la

    documentazione fornita dallo stesso restauratore (tra cui un ineditoalbum di foto degli argenti, scattate prima e dopo il restauro, donatodal restauratore Brozzi all’amico Gabriele D’Annunzio: Harari 2013)i pezzi vennero trovati in cattivo stato di conservazione, alcuni consegni di tagli e bruciature e tutti deformati per schiacciamento.L’ipotesi di uno schiacciamento intenzionale, allo scopo di ridurrel’ingombro del materiale, sembra la più probabile. Non si tratterebbe,dunque, di un tesoro di argenterie occultato con cura dal proprieta-rio di una residenza o un insieme di beni appartenuti ad un santua-rio e nascosti per proteggerli da atti di vandalismo (come potrebbeessere il caso dei bronzi del Capitolium di Brescia, pag. 27).

    Il Tesoro di Marengo sembra, piuttosto, il bottino di una rapina(argentum dilaceratum), compiuta forse con l’intenzione di rifon-dere il metallo prezioso (Baratte 1998, p. 379; Brecciaroli Taborelli2006, p. 256). Il suo occultamento si può inquadrare tra la metà delIII e il principio del V secolo, un’epoca di grande instabilità politicainterna che finisce per avvantaggiare i tentativi di sfondamento dellimes da parte di popolazioni barbariche. È questo, infatti, un pe-riodo ininterrotto di scorrerie, a scopo di razzie e saccheggi, all’in-terno dei confini dell’impero e che vede i territori della Cisalpinaal centro delle operazioni militari contro le incursioni di tribù ger-maniche. Si datano alla metà del III secolo le invasioni dei Franchi

    Album Brozzi del1936 con foto delcapitello [cat. 9]

    prima e dopo il restauro

    (da Harari 2013)

  • e degli Alamanni, questi ultimi fermati nel 260 da Gallieno nellabattaglia di Milano. Le truppe dell’imperatore saranno di nuovo aMilano nel 267, questa volta contro l’usurpatore Aureolo, che avevasostenitori in Gallia (e, dunque, con un possibile coinvolgimentomilitare anche dell’area piemontese), mentre nel 270 è l’imperatoreAureliano a condurre l’esercito in Italia settentrionale contro la mi-naccia degli Iutungi.

    Si data, invece, ad oltre un secolo più tardi un altro significativoepisodio militare che potrebbe avere direttamente interessato l’areadi ritrovamento del Tesoro, posta sulla direttrice di collegamento traHasta (Asti) e Dertona (Tortona), lungo l’antica via Fulvia: al princi-pio del V secolo Stilicone respinge i Visigoti di Alarico da Milano adAsti, fino allo scontro decisivo nella battaglia di Pollentia (Pollenzo),del 402. Gli eserciti nemici dovettero inseguirsi lungo i corsi del Po edel Tanaro, attraversando quindi le terre nei dintorni dell’odiernaAlessandria. Tenendo conto della destinazione pagana degli oggetti,si potrebbe allora ipotizzare un episodio di distruzione e saccheggio,in un clima di intolleranza religiosa all’indomani degli editti promul-gati da Teodosio contro il paganesimo (380, 390-392 d.C.), che pre-vedevano anche la chiusura dei templi pagani e la distruzione degliarredi e delle immagini di culto (una tesi già avanzata in Bendinelli1937, p. 68). Razziati e nascosti, per essere recuperati e fusi in un

    26

    Busto di Lucio Vero[cat. 1] prima delrestauro; Renato Brozzi allavoro nel 1933 (da Crosetto 2013)

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    secondo momento, gli argenti potrebbero essere scampati alla defini-tiva distruzione proprio grazie alla minaccia visigota e alle scorreriedi eserciti nemici nella pianura di Alessandria al principio del V secolo.

    Ipotesi sull’originaria provenienza del TesoroLa mancanza di vasellame da mensa sembra escludere la possi-

    bilità che il Tesoro sia il bottino di un furto in una domus o in unavilla privata del territorio (di cui, peraltro, non si è individuata al-cuna traccia archeologica). La prevalenza di elementi di rivesti-mento pertinenti ad arredi o a basi di statue o puteali (comepotrebbe essere la fascia con divinità, cat. 7) suggerisce, al contra-rio, la possibile pertinenza ad un sacello di carattere privato o a unvero e proprio santuario pubblico (anch’esso, però, non documen-tato archeologicamente in zona). La tabella con iscrizione votivaalla Fortuna Melior [cat. 2] fornisce almeno un indizio su un pos-sibile destinatario del santuario. Quasi tutti gli oggetti che com-pongono il Tesoro potrebbero essere, in effetti, intesi come donivotivi, compresa la kline, dal probabile uso cerimoniale [cat. 3-6].La delicata testina femminile [cat. 30] apparteneva sicuramente aduna statuetta di divinità (anche se l’identificazione con Vittoria èincerta) e la serie dei simboli zodiacali [cat. 21-26] si adatta tantoalla decorazione di un sacello (dedicato ad una divinità solare?),che ad un arredo di carattere simbolico e celebrativo, forse con-nesso con la figura dell’imperatore.

    Già da tempo è stata notata la coincidenza tra alcuni oggetti delTesoro e quelli citati nell’inventario dell’arredo di una statio (sededi un collegio, forse militare) di Ostia (Degrassi 1939): oltre a sta-tuette di Vittoria e Fortuna, la statio prevedeva anche l’esposizionedi almeno sei busti in argento, quattro di Antonino Pio e due diMarco Aurelio e Lucio Vero. Il ritratto imperiale di Marengo [cat.1] potrebbe, dunque, suggerire un’originaria collocazione in un sa-cello o nella sede di un collegium dedicato al culto imperiale.

    Ma esistono altri interessanti confronti con il materiale prove-niente da complessi santuariali (Sena Chiesa 2013). L’associazionetra cornici di rivestimento e busti imperiali ritorna nel complessodi bronzi trovato nel 1826 in un ripostiglio annesso al Capitoliumdi Brescia (che ha restituito anche la celebre statua di Vittoria alata):la distanza cronologica tra le cornici architettoniche, databili tra ilI e il II secolo d.C., e i ritratti imperiali in bronzo dorato, in cui sisono riconosciuti Settimio Severo (193-211 d.C.), Claudio II il Go-tico (268-269 d.C.) e Probo (276-282), sembra suggerire un accu-mulo di oggetti ‘dismessi’ del tempio (Brescia. I Bronzi 1998). Ancheda un altro importante santuario romano della Cisalpina, quelloisiaco di Industria (Monteu da Po), provengono numerosi elementidi arredo in bronzo (cornici, appliques), trovati insieme a statuettee altri oggetti votivi, inquadrabili quasi tutti tra la seconda metà del

  • I e il II secolo d.C.: la pregevole fattura e la varietà tipologica dei ri-vestimenti architettonici e di arredo (Mercando, Zanda 1998; Indu-stria 2011) costituiscono un importante precedente, in ambitopiemontese, al complesso di argenti di Marengo.

    L’esame stilistico e tipologico del Tesoro non può che evidenziarele differenze tecniche e qualitative che distinguono alcuni nuclei dioggetti o caratterizzano singoli pezzi, ma tali differenze non sem-brano tali da avvalorare l’ipotesi del casuale ammasso di preziosi,depredati da diversi contesti antichi. Un gruppo di argenti, in par-ticolare, mostra caratteristiche iconografiche e di lavorazione cosìaffini da far pensare all’esistenza di una stessa officina toreutica.

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    Cornici in bronzoda Industria, I-IIsecolo d.C., Torino,Museo di Antichità

  • CatalogoAnna Maria Riccomini

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    1. Un ritratto di discussa funzione: il busto diLucio Vero1. Busto di Lucio VeroInv. 5456Lamina in argento lavorata a sbalzo h cm 55,3; h max della testa (dalla sommità dei capelli alla punta della barba), cm 27,8;largh. max cm 50,2; peso gr 2850, spess. lamina mm 1,5-2

    Il discreto stato di conservazione dellabarba, l’unica parte della testa ancora benleggibile al momento della scoperta, avevainizialmente suggerito l’identificazione conSettimio Severo, e solo dopo il complessorestauro eseguito dal Brozzi si è evidenziatala somiglianza con l’iconografia di LucioVero. Il tipo ritrattistico corrisponde infattia quello ufficiale (Haupttypus), degli annidella co-reggenza con Marco Aurelio, crea-to all’epoca dell’ascesa al trono (161 d.C.),o di poco anteriore, e rimasto sostanzial-mente invariato fino alla prematura mortedell’imperatore, nel 169 d.C. Alcune carat-teristiche lo avvicinano ad una variante del-l’Haupttypus, risalente ai primi anni delregno: in questo sottotipo il volto si fa piùaffilato, i baffi sono corti e non si congiun-gono alla barba e grande risalto ha il ciuffoarrotondato sulla fronte.

    Rispetto ai ritratti marmorei, quello diMarengo non stempera le irregolarità delviso: gli occhi asimmetrici, dal bulbo spor-gente e lo sguardo strabico rivolto all’insù,o il naso aquilino che si ingrossa all’estre-mità escludono ogni ipotesi di idealizza-zione, a vantaggio di un’espressività digusto più realistico, in cui si è voluta rico-noscere una matrice stilistica provinciale.È possibile che si tratti di un’opera di arti-gianato locale, anche se il confronto con irari ritratti in metallo dell’imperatore evi-denziano, rispetto agli esemplari marmo-rei, un’accentuazione delle peculiarità

    fisionomiche. Il ritratto bronzeo dal Seba-steion di Bubon (Licia, Turchia) mostra evi-denti somiglianze nella resa asimmetricadegli occhi e nell’inclinazione del rotolo dicapelli sulla fronte, lievemente sollevatosopra la tempia destra (Lahusen, Formigli2001, n. 144, p. 233). Non va però trascu-rata la possibilità di un intervento interpre-tativo del restauratore, che potrebbe averealterato l’originaria inclinazione e la fisio-nomia del ritratto (come sembra suggerirel’eccessiva verticalità del collo).

    L’uso sapiente della martellina per pic-chiettare le palpebre, il naso e le guancecrea un effetto coloristico che dà risaltoagli occhi e imita la porosità dell’epider-mide, mentre l’accurata rifinitura a cesello

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    e bulino delle ciocche della barba, dei baffie dei capelli traduce nel metallo il gioco dichiaroscuro ottenuto col trapano. È questauna ricerca di naturalismo che contrastacon la resa sommaria del petto. Sopra unatunica, di cui spunta lo scollo, l’imperatoreindossa una corazza (lorica) con un mo-tivo a egida, con le squame che si distri-buiscono a raggiera intorno al gorgoneioncentrale: la testa di Medusa, con la linguapenzolante, è di tipo arcaizzante e la capi-gliatura è fortemente stilizzata. Si direbbeche il maestro dell’officina (faber argenta-rius) abbia limitato il proprio interventoall’esecuzione della testa imperiale, affi-dando ad un allievo più inesperto il com-pletamento della corazza.

    L’attributo dell’egida fissata alla corazza,come segno di assimilazione a Giove, è ri-servata agli imperatori. Tra i primi esempinoti è il busto in argento di Galba, da Er-colano (al Museo Nazionale di Napoli, La-husen 2010, p. 81), della fine del I secolod.C., che costituisce anche il più antico ri-tratto in lamina d’argento lavorata a sbalzosinora conservato, mentre i ritratti in la-mina d’oro di Marco Aurelio da Avenchese quello di Settimio Severo dalla Tracia(Lahusen 2010, pp. 77-78), che come ilLucio Vero presenta la rara particolaritàiconografica dell’assenza del mantello, co-stituiscono una più preziosa evoluzionedel tipo.

    Per il materiale impiegato il ritratto diLucio Vero rimane un unicum nel pano-rama ritrattistico della Cisalpina, ma rien-tra in una categoria di ritratti imperiali(imagines principum) in metallo preziosoben documentata dalle fonti, soprattuttoin riferimento all’ambito militare: rimandaad una probabile destinazione militare(all’interno di collegi legati al culto impe-riale o di accampamenti legionari) anchela tipologia del busto loricato, mentre la

    Denario in argento con ritratto di Lucio Vero,

    Roma 162-163 d.C., Torino, Museo di Antichità

    (inv. F3404)

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    leggerezza del materiale doveva agevolareil trasporto di queste imagines in occasionedei frequenti spostamenti dell’esercito.

    La presenza di fori per i chiodi lungo ilbordo indica che la lamina in argento do-veva essere fissata su una sagoma, proba-bilmente lignea. Sull’originaria funzione diquesto busto sono state avanzate diverseipotesi. Si è pensato ad un ritratto da inse-rire all’interno di un clipeo (Sena Chiesa1998 e 2008), secondo una tipologia ritrat-tistica frequente in contesti di carattereonorario (imagines clipeatae): questa ipo-tesi, suggerita dalla forma tondeggiante delpetto, sembra però presupporre un’inclina-zione del collo maggiore di quella attuale(che però è, almeno in parte, attribuibile alrestauro moderno).

    Più di recente (ad es. Fejfer 2008, p. 167)si è proposto di riconoscere in questo tipodi ritratti delle immagini imperiali da issarein cima all’asta di un vessillo militare, comemostrano i rilievi romani con scene militarie di trionfo e ben documenta la stele fune-

    raria di Genialis a Magonza (Segenni 1991,p. 251, fig. 297): è questa un’ipotesi di certoprobabile per ritratti di dimensioni inferiorial vero, come sono i già ricordati busti diMarco Aurelio e Settimio Severo in oro, mache sembra meno convincente per un ri-tratto delle dimensioni e del peso (quasi trechili) del Lucio Vero di Marengo.

    In base alla documentazione raccolta(Orbassano 2013), il busto di Lucio Veroavrebbe avuto nel Tesoro un pendant fem-minile (il ritratto della moglie Lucilla?),trovato in uno stato di conservazionemolto più frammentario, quasi acefalo, ein seguito segnalato al Cairo da CarmeloAzzolina [pag. 11]. Non è purtroppo piùpossibile trovare riscontro a questa notiziané si è mai recuperata la fotografia in cui idue busti dovevano comparire insieme(andata probabilmente distrutta). Se sidesse credito alla reale esistenza del bustofemminile, l’interpretazione del ritratto diLucio Vero potrebbe essere ancora un’al-tra, più legata ad un ambito di carattere

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    onorifico o cerimoniale, piuttosto che mi-litare: i due busti potrebbero avere decoratoun sacello o la sede di un collegio dedicatoal culto imperiale, del tipo di quello docu-mentato a Ostia [pag. 27].

    Busto in lamina d’oro di Marco Aurelio, 170-180 d.C.,Avenches (Svizzera), Musée Romain

    Stele funeraria di Genialis,particolare, I secolo d.C., Mainz, Mittelrheinisches Landesmuseum

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    2. Un’iscrizione votiva a Fortuna2. Tabella con iscrizione votivaInv. 5449Lamina in argentoh cm 8,5; lungh. max cm 12,3; h lettere cm 0,9-1; peso gr 25, spess. lamina mm 0,33

    Destinata ad essere fissata con dei chiodi(di cui restano i fori) su un supporto di le-gno, forse la base di una statua di Fortuna,la piccola tabula ansata ricorda l’offerta vo-tiva alla Fortuna Melior da parte di un de-dicante illustre, Marcus Vindius Verianus,prefetto della flotta romana stanziata nellaprovincia della Moesia (bassa valle del Da-nubio), che all’epoca della dedica aveva giàraggiunto il grado più alto (il terzo) dellacarriera militare:

    FORTUN(ae) MELIORI/M(arcus) VINDIUS/VE-RIANUS PRAEF(ectus)/CLAS(sis) FL(aviae)MOES(iae)/ ET A MILITIIS III/D(ono) D(edit).

    Il nome di M. Vindius Verianus è docu-mentato anche da un’altra iscrizione, tro-vata proprio in Moesia (a Histros, attualeRomania), relativa ad eventi databili tra il198 e il 201 d.C., sotto il regno di SettimioSevero (Degrassi 1939). Tornato in patria,Vindio avrebbe fatto una dedica a Fortunaper i successi militari conseguiti.

    Per il suo preciso inquadramento sto-rico, la tabella fornisce un sicuro riferi-mento cronologico (il più basso) oltre ilquale è possibile datare l’occultamentodell’intero Tesoro.

  • 3 -10. Elementi d’arredo di una stessa officina3. Elemento di pulvinoInv. 5451Lamina in argento con dorature lavorata a balzoh cm 36; lungh. cm 57; peso gr 930, spess. lamina mm 1

    4-5 Due elementi di zampe di lettoInv. 39554, 39555Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 4,7; diam. max cm 7,7; peso gr 16,71, spess. lamina mm 0,22h cm 6,5; diam. max cm 5,5; peso gr 9,49, spess. lamina mm 0,25

    6. Medaglione con busto virile (applique di pulvino)Inv. 5451bLamina in argento con dorature lavorata a sbalzoDiam. cm 13; peso gr 165, spess. lamina mm 0,65-0,75

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    Un elemento che accomuna i pezzi ri-conducibili alla stessa manifattura [cat. 3, 6,7, 8, 9] è la fine e regolare puntinatura delfondo, ben diversa da quella presente sualtre cornici del Tesoro (es. cat. 15 e 18), difattura più grossolana e dall’andamento tal-volta un po’ casuale. Sembra questa una‘firma’ dell’officina toreutica, che enfatizza ivalori cromatici dei metalli preziosi utiliz-zati (tutti gli elementi di questo gruppo pre-sentano tracce, più o meno conservate, didoratura) e accentua la plasticità delle figurea sbalzo. La scelta e le modalità di selezionedel repertorio figurativo costituiscono,come vedremo, un altro importante ele-mento di riconoscimento del modus ope-randi di questa officina, a lungo trascuratonegli studi passati. Ad unire, poi, i diversicomponenti di questo gruppo, sono le evi-denti ingenuità anatomiche e prospettichecon cui sono rese alcune figure: la Menadedel pulvino ha le gambe troppo corte, l’eroedel medaglione ha il braccio destro un po’rachitico, nella fascia con divinità i cavalli

    sembrano azzoppati e il secondo cavalieresta per inciampare. Da non sottovalutare,nell’inquadramento stilistico e cronologicodei pezzi, è infine la somiglianza tra le testefemminili della fascia con divinità e quelladella Menade.

    L’unità stilistica di questi pezzi era giàstata segnalata fin dall’epoca della scoperta(Albizzati 1937), ma la più recente ipotesi didatare l’elemento di pulvino alla metà del Isecolo a.C. (Faust 1989) ha messo a lungoin ombra le prime interpretazioni. Vale,dunque, la pena di esaminare più da vicinoun pezzo così problematico.

    Un pezzo di discussa datazione: l’ele-mento di pulvino

    Eseguito in spessa lamina lavorata asbalzo, con finiture a cesello, è l’elementodella spalliera laterale (fulcrum) di un tipo diletto (kline), utilizzato tanto nell’ambito delbanchetto che in contesti funerari. I bordisono piegati a squadra per l’applicazione,con chiodi, al supporto in legno.

    7. Fascia con tredici divinitàInv. 5457Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 12,2; lungh. cm 89; peso gr 1510, spess. lamina tra mm 0,5 e 1

    8. Applique a forma di alberoInv. 5463Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 12; largh. cm 3,5; peso gr 23,5, spess. lamina mm 1,45

    9. Capitello (?) corinzieggianteInv. 5459Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 16; diam. inferiore cm 11; diam. superiore cm 21,6; peso gr 701, spess. lamina mm 1

    10. Elemento con foglie d’acanto e pomelloInv. 5466Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 8,2; lungh. max cm 22,5; peso gr 107,1, spess. lamina mm 0,7

  • 38

    Dettagli del pulvino [cat. 3],a sinistra, e della fascia con

    divinità [cat. 7], a destra

    Letto in bronzo con doppiaspalliera, e particolare, da

    Amiternum, metà del I secolo a.C.,Roma, Centrale Montemartini

  • 39

    Negli spazi vuoti alle estremità erano in-serite due appliques, secondo la comune ti-pologia tripartita dei pulvini in bronzo: unelemento mediano, dall’andamento sinuoso,e due appliques laterali. Nell’esemplare diMarengo il campo mediano, incorniciatoda una cimasa dorata a foglie cuoriformi(kymation lesbio), presenta al centro uncespo di acanto da cui si originano duetralci a girali, che sembrano sorreggere unafigura semisdraiata di Menade, vista datergo e con le gambe incrociate: con la manosinistra porta una coppa alle labbra, mentrecon la destra si direbbe indicare un fiore.

    Il tema dionisiaco, per gli evidenti riferi-menti al banchetto, ma utilizzato in età ro-mana anche con valenza funeraria, è quellopiù diffuso nella decorazione dei letti. Tra leappliques superiori (qui perdute) primeg-giano le protomi a tutto tondo di mulo o difelino, mentre i medaglioni di quelle infe-riori mostrano in prevalenza busti di Satiri,Sileni, Menadi e piccoli Eroti. L’elementomediano è spesso scomparso (quello diMarengo è tra i pochi esemplari conser-vati), ma anche qui la decorazione sembrapreferire temi dionisiaci.

    Introdotto a Roma all’epoca del trionfosull’Asia (187 a.C.), l’uso dei letti in bronzosembra concentrarsi tra il II secolo a.C. ela fine del I d.C.: esemplari più tardi (conl’unica eccezione di quello di Marengo),

    non sono documentati archeologicamente.Proprio sulla base dei dati di scavo e delconfronto con le tipologie conservate, S.Faust ha alzato la datazione alla metà del Isecolo a.C., pur ammettendo che la formadel pulvino di Marengo è di un tipo ano-malo, privo di confronti puntuali (Faust1989, p. 211, n. 386 e p. 143). Ma le fontiantiche, e soprattutto gli autori cristiani,lamentano l’eccessivo sfarzo dei letti dabanchetti, rivestiti addirittura in osso eavorio (ne restano alcuni esemplari) e,verso la tarda antichità, persino in argento.L’esemplare di Marengo presenta, dunque,diverse anomalie che lo distinguono daifulcra più comuni. Oltre all’impiego del-l’argento (è questo l’unico caso conser-vato), vanno segnalate la particolaritàdella forma, dal profilo meno sinuoso esottile, e la composizione figurata, diversada quelle note. Negli esemplari bronzei piùantichi (II secolo a.C.) l’intero campo cen-trale è infatti occupato da figure dionisia-che sdraiate in alto rilievo, mentre in quelliposteriori (I secolo a.C.-I secolo d.C.) lescene figurate e i motivi vegetali sonoquasi sempre eseguiti a incisione, con age-minatura in rame e argento.

    L’iconografia della figura femminile de-riva da quelle delle ninfe marine di tradi-zione ellenistica (Pirzio Biroli Stefanelli 1991,p. 8, fig. 6), ma i confronti più stringenti si

  • 40

    Coperchio di sarcofago con banchettodionisiaco (particolare con Menade),

    metà del II secolo d.C., Torino,Museo di Antichità (inv. 611)

    Coppa in argento con Tritoni e Nereidi,particolare, I secolo a.C., Napoli,

    Museo Archeologico Nazionale

    Elementi di rivestimento di zampedi mobili all’epoca del ritrovamento

    (da Bendinelli 1937)

  • 41

    trovano nel repertorio di coperchi di sar-cofago con scene di banchetto dionisiaco,databili tra la metà del II e i primi decennidel III secolo d.C. Costante è qui la pre-senza della baccante vista da tergo che beveda una coppa, in una posa del tutto similealla nostra.

    Anche il soggetto del medaglione conbusto eroico [cat. 6], destinato a decorarel’estremità inferiore del fulcrum, è molto rarotra le appliques circolari di pulvini. La pre-sunta anomalia di tutti questi elementi si po-trebbe, più facilmente, spiegare con unadiversa datazione del pezzo, da inquadraretra i decenni finali del II e l’inizio del III se-colo d.C. (Riccomini 2012, p. 322).

    Appartengono con buona probabilitàalle zampe della kline alcuni elementi dirivestimento a forma di tronco di cono, insottile lamina d’argento lavorata a sbalzo epriva di decorazioni: si tratta di una tipo-logia di zampa ben documentata in età ro-mana tanto per i letti che per altri elementidi mobilio. Degli otto elementi visti e fo-tografati dal Bendinelli (1937, pag. 41 efig. 48) oggi se ne conservano solo due (dicui uno frammentario), di forma lieve-mente diversa [cat. 4-5].

  • 42

    Disegno ricostruttivodi un letto, particolare

    (da Pirzio Biroli Stefanelli 1990)

  • 43

    Un’applique anomala: il medaglionecon busto eroico

    Dal disco in spessa lamina lavorata asbalzo emerge, a rilievo piuttosto alto(che diventa quasi a tutto tondo in corri-spondenza della testa), un busto virile innudità eroica, dal petto parzialmente co-perto dal mantello affibbiato sulla spalladestra e gettato all’indietro. Il braccio de-stro è goffamente sollevato a reggere lalancia, mentre il sinistro è piegato a im-pugnare l’elsa della spada. Per enfatizzarela tensione del corpo giovanile il cesella-tore ha indicato il turgore delle vene sullemani, sulle braccia e sul collo: una ricercadi naturalismo che giustifica la lieve pic-

    chiettatura sulle guance e sul mento, asuggerire una barba rasata. L’espressionepatetica del volto, sollevato di lato, e lafolta chioma ondulata, rialzata sullafronte in due ciocche divergenti (ana-stolè), sono tipiche dell’iconografia diAlessandro Magno, con cui infatti si èproposto di identificare il personaggioraffigurato. L’espressione volitiva e la co-rona di alloro sulla testa di adattano tantoall’immagine di un condottiero che aquella di un eroe del mito. Si tratta in en-trambi i casi di un soggetto raro nelle ap-pliques circolari di pulvini, che in questaposizione prediligono personaggi delcorteggio dionisiaco, ma non isolato: da

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    Pella (Macedonia) proviene un’appliquecon busto in nudità eroica di eroe o so-vrano ellenistico (Barr-Sharrar 1987, p.76, C 171bis).

    Negli studi degli ultimi decenni l’innal-zamento cronologico del pulvino con Me-nade [cat. 3] alla metà del I secolo a.C.,unito alla rarità del soggetto, ha rafforzatola convinzione dell’originaria estraneitàdei due pezzi, rendendo incerta la realefunzione del medaglione. Sebbene il bustosi ispiri a modelli ellenistici, la resa calli-grafica e un po’ schematica delle rughe, ilforte rilievo chiaroscurale e la maldestratraduzione dello scorcio del braccio destrosuggeriscono una datazione ai decenni fi-nali del II secolo d.C. Compatibili conl’applicazione al pulvino sono tanto le di-mensioni che le tracce di mastice conser-vate sul lato posteriore del medaglione.

    La curiosa scelta del soggetto raffigu-rato potrebbe allora spiegarsi con l’ado-zione, nel corso del II secolo, di diverseiconografie o con la specifica richiesta diun facoltoso committente. Già i primi edi-tori del Tesoro avevano pensato ad un suc-cessivo adattamento di un medaglionecreato in origine come decorazione cen-trale di una coppa metallica (phiale) ocome decorazione militare (falera), da ap-plicare alla bardatura del cavallo o alla co-razza, del tipo delle falere in argentotrovate a Lauersfort, in Germania, conemblemi raffiguranti busti di personaggimitologici. Suggestiva rimane, pertanto,l’ipotesi che la (presunta) falera (poi adat-tata ad applique di pulvino) possa riferirsialle onorificenze militari conseguite da M.Vindius Veranius, ricordato nella tabellavotiva [cat. 2].

    Ma non è questo l’unico soggetto di diffi-cile identificazione tra gli argenti del Tesoro.Ancora più incerta rimane l’interpretazionedella scena nella fascia con divinità.

    Falere di Lauersfort (Germania),nella ricostruzione del

    Römermuseum, Haltern am See

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    Una parata di incerta interpretazione:la fascia con divinità

    È sicuramente questo il pezzo che piùha suscitato le curiosità degli archeologi,mettendo alla prova le loro capacità di let-tura e interpretazione iconografica. Findai primi studi le tredici figure schieratein modo paratattico in un’ambientazioneneutra (appena movimentata da pochi ele-menti architettonici e paesaggistici, meglioevidenziati dal recente restauro) hannoposto problemi di carattere esegetico.

    Poco seguito avrà l’interpretazione le-gata ai miti latini proposta dall’Albizzati(1937), che prevedeva, nel gruppo cen-trale con le figure sedute, la vestale ReaSilvia con i figli Romolo e Remo, seguitidai Dioscuri e dalla ninfa Iuturna (moltovenerata a Roma), con due compagne.Maggiore fortuna, negli studi successivi,ha invece la coeva lettura proposta dalBendinelli (1937), che all’insieme di divi-nità di tradizione greca, Atena, Giove,Giunone, seguiti da Nettuno con Anfitrite,Marte, Mercurio e Venere, i Dioscuri, Ce-rere e la figlia Proserpina, aggiunge la ro-mana Fortuna, separata da una colonnadivisoria che ne accentua la visibilità e in-sieme allude al sacello della dea. Nelle treultime figure femminili, tra le più enigma-tiche dell’intera serie, si è anche proposto

    di riconoscere Iuturna, Elena e Leda (Leh-mann-Hartleben 1939) o, di recente, Cli-temnestra, Elena e Leda (Maggi 2013).

    La notizia, oggi non più verificabile,dell’esistenza di una seconda fascia conalmeno sei figure di divinità, vista alCairo da Carmelo Azzolina [pag. 11], sug-gerisce la possibilità di un completamento(e chiarimento) del soggetto raffigurato:l’applique a forma di albero [cat. 8], deltutto simile a quelli della fascia, dovevaservire a mascherare il punto di congiun-zione tra le due lamine.

    La corretta interpretazione del fregiofigurato aiuterebbe anche a fare luce sul-l’originaria funzione del pezzo. Lungo ilmargine inferiore la lamina è piegata perl’inserzione su un supporto dalla formaconvessa, come suggerisce la curvatura:si potrebbe trattare della base di una sta-tua o di un puteale. La fine e regolarepuntinatura del fondo, le tracce di dora-tura e alcune goffe ingenuità nella resadella proporzioni anatomiche e degliscorci prospettici avvicinano le figure allaMenade del pulvino [cat. 3] e all’eroe delmedaglione [cat. 6], confermando unadatazione tra i decenni finali del II e l’ini-zio del III secolo d.C. Del tutto simile èanche la modalità di selezione dei mo-delli iconografici.

  • 46

    Considerate singolarmente le figure dellafascia con divinità sono riconducibili (inbuona parte) a noti modelli statuari grecidi età tardoclassica e ellenistica (con-fronti puntuali sono proposti in Maggi2013). Il gesto di Giunone, ad esempio,rimanda al tipo ammantato della ‘Pudi-citia’, spesso replicato in età romana perritratti di carattere pubblico e privato. Lafigura virile seduta su uno sperone diroccia si ispira al modello del Marte se-duto, nel tipo dell’Ares Ludovisi, mentreil suo vicino con un piede sollevato è unachiara citazione dell’Hermes creato allafine del IV secolo a.C. dallo scultoregreco Lisippo. Anche la Menade del pul-vino si atteggia come le ninfe a cavallo ditritoni e mostri marini di età ellenistica.Il repertorio iconografico cui attinge l’of-ficina toreutica è quello aulico, dellagrande statuaria greca, che gli artigianidimostrano di conoscere bene. Ma al-cune incongruità nei gesti o significativecombinazioni di figure dimostrano che

    tale conoscenza passa attraverso delletraduzioni bidimensionali dei modelli atutto tondo. L’anonimo cesellatore si è,insomma, ispirato per le sue composi-zioni a immagini desunte dai rilievi di etàromana (soprattutto dai sarcofagi mar-morei), che probabilmente non ha co-piato direttamente, ma ha utilizzatoservendosi di modelli o ‘cartoni’ prepara-tori (Riccomini 2012).

    L’iconografia della Menade [cat. 3], siè visto, trova puntali riscontri con quelladelle Menadi sui coperchi di sarcofagicon banchetti dionisiaci del II-III secolod.C. Il confronto con gli esemplari mar-morei permette di chiarire il curiosogesto della mano destra. Sui sarcofagi, in-fatti, la Menade offre un grappolo d’uvaa un Erote, tenuto in braccio da un Satiro:si direbbe che del giocoso gruppetto il ce-sellatore abbia ‘ritagliato’ solo la Menade,eliminando anche il grappolo d’uva desti-nato all’Erote, perdendo così il significatogestuale.

  • 47

    Un’analoga selezione dei modelli figuraticaratterizza anche la fascia con divinità,dove i celebri modelli statuari dell’arte grecasono citati in combinazioni nuove, persinoaccostando creazioni del IV secolo a.C. aquelle del tardo ellenismo. È questo unprocesso di reinterpretazione e riconte-stualizzazione dei modelli tipico dell’arteromana e ben documentato sui sarcofagia tema mitologico.

    Alcuni esempi sono, a questo propo-sito, illuminanti.

    Il trio di figure centrale, che ruota in-torno al modello lisippeo dell’Hermes, èpressoché identico ai rilievi laterali di al-cuni sarcofagi con il mito di Meleagro(Koch 1975, n. 159 e 168): qui le tre figurerappresentano l’eroe, un compagno dicaccia e Atalanta, mentre i due cacciatoriin secondo piano potrebbero essere glistessi che, nella fascia di Marengo, sono‘slittati’ più avanti, per evitare sovrappo-sizioni di figure (la pelle di pantera suldorso dei cavalli, attributo inconsueto per

    i Dioscuri, bene si adatta ad una coppiadi cacciatori). Ma ecco che per rendere datergo la figura di un cavaliere, il toreutasi è servito di un modello ancora diverso,utilizzato nei rilievi romani per raffigu-rare tanto i Dioscuri che altri eroi delmito (come in un sarcofago con Giasonee gli Argonauti).

    Anche l’ultimo trio di figure femmi-nili, di discussa interpretazione, ricalca,con lievi varianti, una composizione giàdocumentata nei rilievi di età augustea,come nel caso di un puteale a Villa Al-bani (Cain 1990): nel fregio marmoreo letre figure, divise da una albero invece cheda una colonna, sono state variamenteinterpretate come divinità eleusine o, piùprobabilmente, ninfe.

    Il ricorso a questi esempi non intendenecessariamente suggerire nuove (e pos-sibili) interpretazioni dell’oscuro sog-getto della fascia con divinità, ma mira achiarire le modalità di scelta e combina-zione dei modelli iconografici.

  • 48

    Atena dal sarcofago con Musee Sirene, III secolo d.C.,

    New York, MetropolitanMuseum of Art, e statua-ritratto

    nel tipo della ‘Pudicitia’, IV secolo d.C.,

    Ostia, Museo

    Argonauta da un sarcofago col mito di Giasone,

    II secolo d.C, Vienna,Kunsthistorisches Museum

    (disegno da C. Robert, Die antiken Sarkophagreliefs,

    II, 1890)

    Statua di Ares (cd. Ares Ludovisi),

    fine del II secolo a.C., Roma,Museo Nazionale Romano,

    Palazzo Altemps

    Fianco di sarcofago con mito di Meleagro,

    II secolo d.C., Autun, Musée Rolin

    Lisippo, statua di Hermes che si allaccia il sandalo,

    copia romana da originale del IV secolo a.C.,

    Parigi, Louvre

  • 49

    Medaglione di coppa in argentocon Mercurio, dal Tesoro diBerthouville (Normandia),

    fine II-inizio III secolo d.C.,Parigi, Bibliothèque Nationale,

    Cabinet des Médailles

  • 50

    La scarsità di confronti (data l’eccezio-nalità di questi ritrovamenti) rende difficileuna precisa localizzazione di questa offi-cina, che per ragioni stilistiche potrebbecollocarsi nell’Italia settentrionale o nellaGallia romana: alcune figure virili dellafascia sono stilisticamente vicine a quelleche decorano alcune coppe in argento delTesoro di Berthouville (Normandia), an-ch’esse databili tra la fine del II e l’iniziodel III secolo d.C. (Trésors d’orfèvrerie1989).

    Proviene dalla Gallia (Arles) ancheuno dei sarcofagi di Meleagro citati, aconferma della diffusione in quest’area diuno schema iconografico noto agli arteficidel Tesoro. Le insicurezze nella resa ana-tomica e persino nell’impostazione deicorpi (nel secondo cavaliere la posturadelle gambe del modello è stata evidente-mente fraintesa) denunciano un’officinatoreutica a disagio nella resa plastica dellefigure e più abituata agli ornati vegetali,come dimostra il gusto decorativo del ca-pitello corinzieggiante.

    Un capitello restaurato come cratere?L’alternanza cromatica tra le foglie di

    acanto in argento e quelle di loto, con do-rature, crea un elegante gioco decorativo,non privo di effetti chiaroscurali, purnella rigida stilizzazione. La ricerca di na-turalismo, evidente nelle marcate nerva-ture delle foglie e nell’ispessimento diquelle di loto, vivacizza la composizione,senza tuttavia alterarne la simmetria: undato stilistico che conferma la datazioneai decenni finali del II secolo d.C.

    Al momento della scoperta il pezzo eracompletamente schiacciato e poco inter-pretabile, dando al restauratore RenatoBrozzi la libertà di rimodellarlo in formadi coppa avviluppata da un elegante mo-tivo vegetale, ottenendo così un oggetto

    Puteale con Ninfe,I secolo a.C.-I secolo d.C.,

    Roma, Villa Albani,(disegno da S. Reinach,

    Répertoire de reliefs grecs etromains, III, 1912)

  • 52

    che curiosamente rispondeva al gusto de-corativo di inizio Novecento e che degliornati liberty doveva apparire come unremoto e illustre prototipo (Harari 2013).

    Come piccolo cratere corinzieggianteil pezzo è stato, infatti, pubblicato dalBendinelli, che ne ipotizzava il completa-mento con una controcoppa interna, de-stinata a mascherare l’orlo superiore nonrifinito (Bendinelli 1937, n. 9, p. 32).

    Si tratterebbe, in questo caso, del-l’unico elemento di vasellame dell’interoTesoro: un elemento decorato con foglied’acanto e con un pomello alla sommità

  • 53

    [cat. 10] è stato quindi interpretato comepossibile coperchio del cratere, ma le mi-sure non coincidono perfettamente e alpresunto coperchio manca ogni traccia didoratura.

    Nella produzione di lusso del vasel-lame da mensa il motivo delle foglie diacanto sovrapposte ad altre foglie (inquesto caso quelle di loto) trova interes-santi precedenti nell’artigianato del tardoellenismo, come documentano le coppein argento, con dorature, da Civita Ca-stellana, del II secolo a.C. (Pirzio BiroliStefanelli 1991, pp. 6-7, figg. 2-5). Sitratta di prodotti di raffinata toreutica,impreziositi dal sapiente uso dell’incisione,a marcare le nervature delle foglie. Il pre-sunto cratere sarebbe, secondo questa in-terpretazione, un adattamento di etàimperiale di simili modelli, ma l’assenza dipuntuali confronti tipologici con altri te-

    sori di argenterie e, in generale, con il va-sellame da mensa di età romana, rende in-certa questa ipotesi.

    Per l’affinità tecnica con gli altri ele-menti del gruppo, tutti pertinenti ad ar-redi, è più probabile che il pezzo sia inrealtà parte di un mobile o di un arredodecorativo (nella pittura di età romanasono spesso documentati piccoli capitelliornamentali in metallo pregiato o preziosielementi di mobilio). Il suggestivo con-fronto proposto di recente (Harari 2013)con la gamba modanata di un trono da AiKhanum (Afghanistan) farebbe pensareall’utilizzo del capitello come decorazionedella kline, ma le dimensioni sembranotroppo grandi e non si conoscono validiesemplari di confronto tra i letti conser-vati. Un possibile pendant (oggi perduto)era stato segnalato al Cairo da CarmeloAzzolina [pag. 11].

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    11 -20. Cornici e lamine di rivestimento11. Fascia con ghirlanda di spigheInv. 5453Lamina in argento con dorature lavorata a balzoh max cm 14,8: lungh. orlo superiore cm 104,5; lungh. orlo inferiore cm 117; peso gr 1150,spess. lamina 0,5

    12. Fascia con decorazione geometrica a ondeInv. 5468Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 4,9; lungh. max cm 37; peso gr 84,5, spess. lamina mm 0,6

    13-14. Due frammenti con decorazione a foglie di quercia e ghiandeInv. 5450 e 5450bisLamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 8; lungh. cm 18; peso gr 43,9., spess. lamina mm. 0,5-0,6h cm 2,3; lungh. cm 15; peso gr 6,8, spess. lamina mm. 0,5-0,6

    15. Frammento di lamina con decorazione florealeInv. 5458Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 28; largh. cm 16,5; peso gr 198, spess. lamina mm 0,5

  • 55

    Dal Tesoro provengono numerose la-mine di rivestimento e cornici ornamentali,originariamente fissate con dei chiodi susupporti in legno. Per forma, dimensioni etecniche di lavorazione differenti questipezzi dovevano decorare oggetti o arredi di-versi, che non è più possibile ricostruire.

    Accanto a fregi di carattere squisitamente

    ornamentale, come la fascia con motivo aonde [cat. 12], si trovano lamine e cornicidecorate con motivi dal possibile valoresimbolico, come le lamine con ghiande e fo-glie di quercia [cat. 13-14] e le due appliquesa foglia di quercia [cat. 16-17], la pianta tra-dizionalmente associata a Giove e ricondu-cibile in età romana al potere imperiale.

    16-17. Due appliques a foglia di querciaInv. 5452, 5455Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 10; largh. cm 6,5; peso gr 8,9, spess. lamina mm 0,5h cm 8,5; largh. cm 6,7; peso gr 8,4, spess. lamina mm 0,6

    18. Frammento di lamina con fregio d’armiInv. 5454Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 7,7; lungh. cm 27: peso gr 30, spess. lamina mm 0,39

    19. Frammenti di lamina con ovuliInv. /Vari piccoli frammenti di lamine punzonate e incise elemento maggiore: h cm 8,9; lungh. cm 7,1; peso gr 1,59, spess. lamina mm 0,1

    20.Frammenti di lamina con motivo vegetale stilizzato e grappoliInv. /Vari piccoli frammenti di lamine punzonate e inciseelemento maggiore: h cm 5,5; lungh. cm 6,2; peso gr 1,1, spess. lamina 0,06

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  • 57

  • 58

    Particolare significato, nell’ipotesi dellaprovenienza da un ambito santuariale o incollegamento con Lucio Vero o con lostesso M. Vindius Verianus citato nella ta-bella votiva [cat. 2], è la grande fascia conghirlanda di spighe [cat. 11], in lamina la-vorata a sbalzo, che segue l’andamento ri-curvo del supporto perduto, su cui erafissata con dei chiodi (restano i fori lungoi margini lunghi). La ghirlanda di spighe

    di grano (corona spicea) è tra gli attributicaratteristici del collegio sacerdotale deiFratres Arvales, di cui faceva parte ancheLucio Vero, insieme al fratello Marco Au-relio. Un collegamento simbolico tra la co-rona e l’imperatore raffigurato nel ritrattoin argento è stato, infatti, ipotizzato findall’epoca della scoperta (Bendinelli1937). La ghirlanda di spighe, beneaugu-rante auspicio di abbondanza e prosperità,

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    può essere anche intesa come omaggio aFortuna, la dea venerata del generale Mar-cus Vindius Verianus [cat. 2] e (dubitati-vamente) rappresentata nella fascia condivinità [cat. 7], ed è a questo personaggioe alle sue imprese militari vittoriose che ilBendinelli ha anche proposto di collegarequesta lamina. La rigida simmetria delledue file laterali di spighe, accentuata dalledorature, conferma una datazione tra i de-cenni finali del II e il principio del III se-colo d.C.

    Del tutto eccezionale, nell’ambito del-l’ornamentazione di oggetti metallici, è lalamina con fregio d’armi [cat. 18], un mo-tivo già noto ai Greci ma diffuso soprat-tutto in età romana su monumenti lapideidi carattere onorario e in contesti funerari.Ammassati in modo apparentemente ca-suale e sovrapposti su un fondo neutro,

    con puntinatura irregolare, si riconosconoun aplustre (ornamento di poppa dellenavi greche e romane) rovesciato, diversipuntali di lancia, una spada con il suo fo-dero, una corazza con frange (pteryges)rettangolari, un elmo a calotta e scudi divarie forme e decorazioni. La diversa fog-gia delle armi rimanda all’origine delle po-polazioni sottomesse. Quelle sulla laminasono in prevalenza di matrice occidentale,ma nel pendant perduto (fotografato almomento della scoperta: pag. 23) si distin-gueva anche uno scudo a pelta, di tipoorientale: l’insieme doveva alludere altrionfo universale dei Romani su tutto ilmondo barbaro. Per la rarità di questomotivo nell’ornamentazione di oggettimetallici, la lamina di Marengo, probabileapplique di un elemento di arredo, si po-trebbe spiegare come specifica richiesta daparte di un importante committente, che si

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    Rilievo con fregio d’armi,metà I secolo d.C.,

    Torino, Museo di Antichità(Inv. n. 581, D)

  • 61

    era distinto in ambito militare (propriocome il M. Vindius Verianus citato nella ta-bella votiva, cat. 2).

    Per la prima volta esposti sono i nume-rosi frammenti, in lamina sottilissima, diuna fascia con un motivo a ovuli [cat. 19]incorniciato da due file parallele di cerchiettipunzonati. I frammenti dovevano in originecomporre un’unica lamina di rivestimento,

    vista ancora in discreto stato di conserva-zione dal Bendinelli (1937, p. 47, fig. 53).

    Ad una diversa lamina con decorazionevegetale stilizzata [cat. 20], entro cui si al-ternano elementi a forma di grappolo, ap-partiene un numero più ridotto diframmenti, anch’essi di certo più numerosiall’epoca della scoperta, tanto che il Bendi-nelli (1937, p. 47, fig. 52) riuscì a disegnarneun frammento di oltre 20 cm di lunghezza.

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    Disegno ricostruttivodel disco dello zodiaco

    (da Bendinelli 1937)

  • 63

    21 - 26. Un disco con i simboli dello zodiaco21-22. Due frammenti di un disco con baccellatureInv. 39559, 39570Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 34; lungh. cm 15,5; peso gr 60.06,9., spess. lamina mm. 0,18-0,23h cm 31,5; lungh. cm 11,8; peso gr 44,9, spess. lamina mm. 0,24-0,29

    23. Frammento di discoInv. 39558Lamina in argentoDiam. max cm 26,2; peso gr 34,11, spess. lamina 0,11-0,12

    24. Elemento di zodiaco. I GemelliInv. 5460Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 17,3; largh. cm 10; peso gr 62,5, spess. lamina mm 0,7

    25-26. Elementi di zodiaco. I PesciInv. 5462, 5464Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 4,7; lungh. cm 15,7; peso gr 23,8, spess. lamina mm 0,5h cm 3,7; lungh. cm 8,5; peso gr 8,8, spess. lamina mm 0,5

    Di grande interesse, per la ricostru-zione del contesto di provenienza, è lapresenza di alcune laminette, interpretatecome elementi superstiti di uno zodiaco.

    A partire dal II secolo d.C., con la dif-fusione dei culti solari di origine orien-tale, l’ellisse zodiacale si combina spessocon il dio persiano Mitra e altre divinitàmisteriche, come Phanes, dio primordialedella religione orfica. In un rilievo ro-mano oggi a Modena (Giordani 2010) lozodiaco esprime il valore cosmico entrocui si inquadrano i culti misterici del mi-traismo e dell’orfismo, qui associati.

    Ma le dottrine mistico-filosofiche, e inparticolare quelle legate all’astrologia,sono tra le componenti più diffuse delleteorie escatologiche del tempo, tanto invoga anche tra i ceti più elevati della po-polazione.

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    Le lamine superstiti con i simboli deiGemelli [cat. 24] e dei Pesci [cat. 25-26](e quella dell’Ariete, perduta ma docu-mentata da una fotografia, pag. 23) do-vevano disporsi ad anello intorno ad unaraggiera baccellata [cat. 21-22], allusivaforse ai raggi del sole, il cui centro era co-stituito da un disco [cat. 23] di circa 46 cmdi diametro (Bendinelli 1937, pag. 43 cal-colava un diametro di 60 cm): i frammenti

    Elementi del discodello zodiaco

    all’epoca della scoperta(da Bendinelli 1937)

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    della raggiera e del disco sono qui espostiper la prima volta. L’insieme, di forte sug-gestione e di dimensioni imponenti (si cal-cola un diametro originario di circa 180cm: Bendinelli 1937, fig. 51), poteva farparte dell’arredo parietale o del soffitto diun sacello privato o di un tempio, dedicatoforse ad una divinità solare, ma non è daescludere un più diretto rapporto con la fi-gura di Lucio Vero: già nel celebre bustodi Commodo-Ercole, nei Musei Capito-lini, il globo con lo zodiaco sul sostegnoallude al dominio universale dell’impera-tore e, stando allo storico Cassio Dione(76,11), Settimio Severo aveva fatto deco-rare con il proprio oroscopo il soffittodell’aula di ricevimento del palazzo impe-riale sul Palatino (Bendinelli 1937, p. 62).

    Nella lamina con il segno dei Gemelli[cat. 24] la lira e la clava caratterizzano idue giovani come Apollo e Ercole: il loroabbraccio è stato interpretato come gestodi riconciliazione dopo la mitica contesaper il tripode di Delfi, escludendo ogni ri-ferimento ad un contesto zodiacale (Ba-ratte 1998). Ma una simile combinazionedivina, come simbolo dei Gemelli, si in-contra di frequente negli zodiaci di età ro-mana (come nel citato rilievo a Modena)e anche gli scrittori latini (Varrone, Igino)confermano l’identificazione tra i Gemellidella costellazione e la coppia Apollo/Era-cle (Gury 1997, p. 491).

    Rilievo con figuradi Aion/Phanes entro zodiaco,

    II secolo d.C., Modena,Galleria e Medagliere Estense

    Lastra con simboli dello zodiaco,calco di graffito su muro,

    età imperiale, Roma,Museo della Civiltà Romana

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    27 -29. Elementi di diversi animali27. Protome caprinaInv. 5447Lamina in argento con dorature lavorata a sbalzoh cm 18; lungh. cm 13; peso gr 250, spess. lamina mm 1

    28. Zampa di bovideInv. 5448Lamina in argento lavorata a sbalzoh dalla base dello zoccolo alla rotula cm 9; dalla rotula al termine della coscia cm 6; lungh. cm 13; peso gr 83,3, spess. lamina mm 0,82

    29. Testa di aquilaInv. 5467Lamina in argento lavorata a sbalzoh cm 9; lungh. max cm 20,7; peso gr 60, spess. lamina mm 0,55

    Differenze di carattere tecnico, stilisticoe di dimensioni rendono improbabilel’ipotesi, avanzata in passato, che la pro-tome caprina [cat. 27], la zampa di bovide[cat. 28] e la testa d’aquila [cat. 29] faces-sero anch’esse parte di un secondo insiemezodiacale, di cui sarebbero rimasti i fram-menti dei segni del Toro, del Capricorno edel Leone (in alcuni zodiaci romani sosti-tuito dall’aquila).

    La protome caprina si distingue per laparticolare raffinatezza esecutiva, che do-veva prevedere anche l’inserzione di ele-menti in materiale diverso, a completamentodegli occhi e delle zampe anteriori ram-panti (eseguite a parte). L’originaria poli-cromia, unita alla doratura, valorizzava ilsapiente lavoro di cesello nella resa dellasottile peluria del muso e della morbidezzadel vello, con un effetto finale di grandenaturalismo.

    Di fattura più corsiva è invece la testa diaquila, che al momento della scoperta do-veva essere intera, eretta e con le ali spiegate.

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    Tracce di mastice lungo i margini sugge-riscono, infatti, l’originaria presenza diuna seconda lamina, che completava latesta (nel verbale di sequestro si parla diuna testa di aquila e di “frammenti lami-nari d’argento componenti una grandeaquila”: Crosetto 2013, doc. 16).

    La totale assenza di doratura e somi-glianze stilistiche tra la trattazione del piu-maggio e le scaglie della corazza di LucioVero [cat. 1] suggeriscono una diversafunzione del pezzo, forse utilizzato comeun simbolo imperiale collegato al ritrattodell’imperatore: un’ipotesi che si accordacon una datazione alla seconda metà delII secolo d.C. Suggestivo, a questo propo-sito, può essere il confronto con le figuredi aquile a tutto tondo che sormontano leinsegne delle legioni romane portate, ap-punto, dagli aquiliferi, ben documentatein numerosi rilievi a carattere trionfale ofunerario di età imperiale (ad es. Segenni1991, fig. 285).

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    La presenza, tra i pezzi documentati maoggi perduti del Tesoro, di un frammentocon becco di rapace (Bendinelli 1937, n.24, p. 38, fig. 33), di dimensione compati-bile con quello dell’aquila, farebbe pensareall’esistenz