· “La gran bonaccia delle Antille” è il rac - conto satirico di Italo Calvino pubblicato su...

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FOLIGNO - Febbraio 2017 30 www.alquadrivio.wordpress.com LA GESTIONE POST SISMA [pag. 2] LA NOSTALGIA DEL MONDO CONTADINO [pag. 3] CRONACHE PARTIGIANE [pagg. 4] MUSICAL BOX LUIGI TENCO [pagg. 5] UOMO DAL MULTIFORME INGEGNO [pag. 6] FUORI DAL COMUNE SPOLETO [pagg. 7] FUORI DAL COMUNE GUALDO E GIANO [pagg. 8] SOMMARIO “La gran bonaccia delle Antille” è il rac- conto satirico di Italo Calvino pubblicato su “Città aperta” nel 1957, che prelude alla sua uscita dal Pci. In esso si rampo- gna l’immobilismo del partito, la sua in- capacità di proiettarsi in modo dinamico verso la modernità. Si descrive una nave corsara che incappa in una bonaccia de- stinata a durare anni e come il capitano si limiti a fronteggiare il galeone “papista” ossia, fuor di metafora, la Dc. È quanto sta avvenendo – nonostante le apparenze - nella politica nazionale e in quella loca- le dopo il voto referendario. La cosa non riguarda solo i partiti, ma coinvolge il go- verno nazionale e quelli locali e, se si vo- lesse allargare il quadro, la stessa Unione europea, ormai attonita dopo quanto è avvenuto non solo in Gran Bretagna (la Brexit), ma soprattutto negli Stati Uniti con l’elezione di Trump. Al di là delle agitate riunioni poco o nulla si muove sui terreni che contano: l’eco- nomia, i servizi, l’occupazione, il funziona- mento delle istituzioni. Prendiamo quanto succede a livello di Foligno. Le notizie sono sempre le stesse. È stato presen- tato il piano industriale per la Fils, non si riesce a raggiungere il numero legale per discuterlo. L’opposizone per bocca della consigliera Filipponi rampogna il sindaco e la maggioranza, accusandolo di clientelismo. Mismetti invoca il rispet- to delle istituzioni e chiede al presidente del Consiglio di intervenire per tutelare la dignità del Comune. Intanto iniziano i lavori per il biodigestore e la Vus an- nuncia che verrà costituito un Comitato degli utenti che dovrebbe controllare l’esecuzione del progetto (fuor di chia- ve per organizzare il consenso), mentre i camion che raccolgono i rifiuti non ri- escono a scaricarli in discarica se non dopo un’attesa di ore. Insomma niente di nuovo o che meriti particolare enfasi. Intanto l’Aur ha presentato il suo rappor- to annuale incentrato sulle differenze tra Umbria, Marche e Toscana. L’Umbria è quella che sta peggio, che scivola verso il Meridione. Le differenze sono marcate, le decantate omogeneità non esistono né sul piano economico, né su quello sociale e tantomeno su quello culturale. Su quale terreno dovrebbe essere costruita la ma- croregione – ammesso che sia ancora d’attualità dopo l’esito del referendum – è francamente poco chiaro, né le dichiara- zioni dei politici riescono a fornire qualche elemento in più di comprensione. Il dibat- tito è destinato ad inabissarsi. Con ogni probabilità non se ne farà nulla e del resto il suo presupposto, la grande riforma ren- ziana, ha fatto la fine di quella pensata da Craxi. Nel frattempo imperversano i feno- meni, se non di malaffare, di malcostume. L’ultimo fiore è l’assunzione dopo due contratti semestrali del compagno della segretaria particolare del ministro Del Rio come assistente dell’amministratore delegato della “Quadrilatero”, quella che ha presieduto alla costruzione del retico- lo viario tra Umbria e Marche, tra cui la nuova e magnificata Val di Chienti, con il modico stipendio di 120.000 euro annui. Dopo lo scandalo delle gallerie con poco cemento si era annunciato che sarebbe stata sciolta. La società è ancora là e c’è da pensare che durerà ancora a lungo, se assume - sia pure in modo discutibile - dirigenti. Ma tutto questo altro non è che un aspetto di una più generale difficoltà che riguarda il sistema paese. Sono stati sottovalutati, o ancora non appaiono in modo evidente, gli effetti sul sistema politico- istituzionale dell’esito referendario. Quello che appare evidente è che il sistema politico è nuova- mente in crisi. È entrato in una situazio- ne di acuta fibrillazione quello che era il suo pivot, ossia il Pd a trazione renziana. Il progetto dello “statista” di Rignano (un uomo solo al comando e rafforzamento degli esecutivi) è crollato e con esso le politiche intorno al quale si articolava, il cui risultato è stato quello di aggiungere ulteriori sofferenze e frammentazioni alla disarticolazione sociale già esistente. Il governo Gentiloni in questo quadro ap- pare la prosecuzione del vecchio governo con meno smalto, è destinato a riparare i danni maggiori determinati dall’ex sinda- co di Firenze e a … sopravvivere, in at- tesa del confronto elettorale, che peraltro è appeso alla nuova legge elettorale che non si sa quando verrà partorita, né che carattere avrà (maggioritario o proporzio- nale?). In tale contesto si pone il dibatti- to nella sinistra e nel Pd. Fino agli ultimi giorni di gennaio tutto sembrava fermo, poi tutto è entrato in movimento. Non tan- to per l’iniziativa di Giuliano Pisapia, che peraltro in poco più di venti giorni sta già cambiando segno; né per il dibattito in- terno a Sinistra Italiana, che ancora prima di nascere deve scontare una scissione, o per la proposta di Rifondazione delle Convenzioni per l’alternativa (cosa già sperimentata e fallita), quanto per quello che sta avvenendo nel Pd e per la pro- babile scissione che si verificherà in quel partito. Se questa avvenisse si avrebbero alcune conseguenze di non secondaria importanza. La prima è che, indipenden- temente dal suo peso elettorale, una lista che si collochi a sinistra del Pd farebbe perdere voti allo statista di Rignano, desti- nandolo ad una sconfitta e mettendone in forse il suo controllo di quanto rimane del suo partito. Peraltro la sua maggioranza è disposto a seguirlo finchè vince e a mol- larlo nel caso di una ulteriroe sconfitta. La seconda è che una scissione del Pd ri- mette in movimento quanto c’è a sinistra, non senza ambiguità e rischi, ma comun- que in un quadro instabile in cui ognuno può giocare le sue carte. Infine una pos- sibile lista di sinistra ed un suo risultato di qualche consistenza offre una sponda istituzionale all’opposiziine sociale. Non è molto, ma può rappresentare un inizio, a patto che si riapra il dibattito politico e si costruisca una piattaforma d’opposizione che dica poche cose, ma chiare, e indivi- dui una direzione strategica che non può essere la pura riproposizione di un keyne- sismo estenuato, ma offra una ipotesi di ricomposizione sociale e di un nuovo mo- dello non di crescita, ma di sviluppo, ossia elementi che consentano di individuare un diverso modo di produrre, di consu- mare, di vivere. Questo non è un compito riservato solo ai dirigenti delle diverse for- ze politiche già esistenti o in probabile via di costituzione, ma al largo fronte sociale che si è mobilitato per il No al referendum costituzionale. Ci vorrà tempo, ma oggi la situazione è migliore di quella di tre mesi fa. È possibile che si spezzi la calma piatta del Mare dei Sargassi e riprenda a soffia- re il vento. Re.Co. Vivian Maier - Selfportrait Si è svolto il 13 febbraio, nella sala con- ferenze dell’Hotel Albornoz a Spoleto, il convegno “RICOSTRUIAMO?” organizzato da CGIL CISL e UIL, con la partecipazione della Presidente della Regione Katius- cia Marini, il Commissario Straordinario Vasco Errani e il Sindaco di Spoleto Fabrizio Cardarelli. La CGIL propone di costruire dei tavoli permanenti di gestione delle emergenze di aiuto al processo di ricostruzione ma non mancano le critiche, primo fra tutti il Sindaco di Spoleto Fab- rizio Cardarelli che ha criticato quella parte del decreto che limita ai Comuni con meno di trentamila abitanti la possi- bilità di avvalersi di ulteriori tecnici, provo- cando ritardi e sottoponendo la struttura già esigua a ritmi di lavoro esagerati. Interessante l’intervento di Laura Tulli di Confindustria, che ha posto l’accento sull’importanza della sicurezza del posto di lavoro e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Sicurezza intesa non solo come sicurezza fisica, ma anche come aiuto ai dipendenti, per superare i momenti diffi- cili di paura e d’ansia che purtroppo ac- compagnano l’aspetto meramente fisico delle scosse. Si è parlato di ricostruzione di edifici, ma anche d’infrastrutture per ottenere quella rigenerazione urbana che possa favorire la permanenza delle per- sone nei territori offesi dal sisma. L’unica nota positiva è venuta dalla Coldiretti: in Umbria le 800 stalle nella zona del cra- tere sono tutte operative e, grazie alla corsa all’acquisto dei prodotti della zona, non si sono perse quote di mercato. Da più parti è stato posto l’accento sulla ne- cessità e valenza del DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva), sulla con- gruità (regolarità dei versamenti dovuti alla Cassa e congruità della manodopera rispetto all’entità e alla tipologia dei lavori) e sulla condizione che tutte le imprese applichino il Contratto Collettivo Nazi- onale di Lavoro. Si è affrontato anche il tema della busta pesante, il rischio che le aziende da zero a cinque dipendenti rimangano senza ammortizzatori sociali, la viabilità strozzata da Spoleto a Terni e la gravissima situazione del tessuto turis- tico ed economico. La Presidente Marini ha ravvisato la necessità di condividere il percorso tra tutti gli attori e di attuare un’informazione corretta e continua. Pa- rola d’ordine Sicurezza. Per tutte le scuole non si parlerà di miglioramento sismico ma di adeguamento sismico, per raggi- ungere il massimo grado di sicurezza e la ricostruzione potrà essere finanziata con i fondi strutturali Europei. Ha anche parlato di progetto socio economico, un proget- to che richiede uno sforzo più comples- so, considerato che sono coinvolti circa quarantamila lavoratori. Agire sul fronte della tassazione, ma anche sull’idea che la ricostruzione sia di medio e lungo periodo per ottenere nuovi investimenti. Il Commissario straordinario Errani ha posto l’accento sul fatto che siamo di fronte all’evento più significativo degli ultimi cento anni e che la ricostruzione in questo territorio significa applicare un nuovo modello di sviluppo, in costanza di significativi processi di spopolamento già in atto. Occorre per questo un sussulto di comunità. Il Commissario ha comunica- to che lo Stato si è impegnato a pagare il cento per cento della ricostruzione, e saranno ricostruite ventuno nuove scu- ole mentre quelle danneggiate verranno adeguate. Va ricostruito, ha precisato, meglio di com’era prima ascoltando le comunità territoriali e intavolando un per- corso di equità e stimolando il controllo sociale. Per quanto riguarda le imprese il Governo si è impegnato a ricercare un percorso per trovare una misura dentro la normativa europea che riconosca il dan- no indiretto. Occorrono insomma idee, anche idee nuove. Bisogna fare un salto di qualità. Qualità del lavoro, sicurezza del lavoro, competizione sana. Solo così po- tremo ricostruire questo territorio. Isabella Caporaletti

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FOLIGNO - Febbraio 2017 30www.alquadrivio.wordpress.com

LA GESTIONEPOST SISMA

[pag. 2]

LA NOSTALGIA DEL MONDO CONTADINO

[pag. 3]

CRONACHE PARTIGIANE[pagg. 4]

MUSICAL BOXLUIGI TENCO

[pagg. 5]

UOMO DAL MULTIFORME INGEGNO

[pag. 6]

FUORI DAL COMUNESPOLETO

[pagg. 7]

FUORI DAL COMUNEGUALDO E GIANO

[pagg. 8]

SOMMARIO

“La gran bonaccia delle Antille” è il rac-conto satirico di Italo Calvino pubblicato su “Città aperta” nel 1957, che prelude alla sua uscita dal Pci. In esso si rampo-gna l’immobilismo del partito, la sua in-capacità di proiettarsi in modo dinamico verso la modernità. Si descrive una nave corsara che incappa in una bonaccia de-stinata a durare anni e come il capitano si limiti a fronteggiare il galeone “papista” ossia, fuor di metafora, la Dc. È quanto sta avvenendo – nonostante le apparenze - nella politica nazionale e in quella loca-le dopo il voto referendario. La cosa non riguarda solo i partiti, ma coinvolge il go-verno nazionale e quelli locali e, se si vo-lesse allargare il quadro, la stessa Unione europea, ormai attonita dopo quanto è avvenuto non solo in Gran Bretagna (la Brexit), ma soprattutto negli Stati Uniti con l’elezione di Trump.Al di là delle agitate riunioni poco o nulla si muove sui terreni che contano: l’eco-nomia, i servizi, l’occupazione, il funziona-mento delle istituzioni. Prendiamo quanto succede a livello di Foligno. Le notizie sono sempre le stesse. È stato presen-tato il piano industriale per la Fils, non si riesce a raggiungere il numero legale per discuterlo. L’opposizone per bocca della consigliera Filipponi rampogna il sindaco e la maggioranza, accusandolo di clientelismo. Mismetti invoca il rispet-to delle istituzioni e chiede al presidente del Consiglio di intervenire per tutelare la dignità del Comune. Intanto iniziano i lavori per il biodigestore e la Vus an-nuncia che verrà costituito un Comitato degli utenti che dovrebbe controllare l’esecuzione del progetto (fuor di chia-ve per organizzare il consenso), mentre i camion che raccolgono i rifiuti non ri-escono a scaricarli in discarica se non dopo un’attesa di ore. Insomma niente di nuovo o che meriti particolare enfasi. Intanto l’Aur ha presentato il suo rappor-to annuale incentrato sulle differenze tra Umbria, Marche e Toscana. L’Umbria è quella che sta peggio, che scivola verso il Meridione. Le differenze sono marcate, le decantate omogeneità non esistono né sul piano economico, né su quello sociale e tantomeno su quello culturale. Su quale terreno dovrebbe essere costruita la ma-

croregione – ammesso che sia ancora d’attualità dopo l’esito del referendum – è francamente poco chiaro, né le dichiara-zioni dei politici riescono a fornire qualche elemento in più di comprensione. Il dibat-tito è destinato ad inabissarsi. Con ogni probabilità non se ne farà nulla e del resto il suo presupposto, la grande riforma ren-ziana, ha fatto la fine di quella pensata da Craxi. Nel frattempo imperversano i feno-meni, se non di malaffare, di malcostume. L’ultimo fiore è l’assunzione dopo due contratti semestrali del compagno della segretaria particolare del ministro Del Rio come assistente dell’amministratore delegato della “Quadrilatero”, quella che ha presieduto alla costruzione del retico-lo viario tra Umbria e Marche, tra cui la nuova e magnificata Val di Chienti, con il modico stipendio di 120.000 euro annui. Dopo lo scandalo delle gallerie con poco cemento si era annunciato che sarebbe stata sciolta. La società è ancora là e c’è da pensare che durerà ancora a lungo, se assume - sia pure in modo discutibile - dirigenti.Ma tutto questo altro non è che un aspetto di una più generale difficoltà che riguarda il sistema paese. Sono stati sottovalutati, o ancora non appaiono in modo evidente, gli effetti sul sistema politico- istituzionale dell’esito referendario. Quello che appare evidente è che il sistema politico è nuova-mente in crisi. È entrato in una situazio-ne di acuta fibrillazione quello che era il suo pivot, ossia il Pd a trazione renziana. Il progetto dello “statista” di Rignano (un uomo solo al comando e rafforzamento degli esecutivi) è crollato e con esso le politiche intorno al quale si articolava, il cui risultato è stato quello di aggiungere ulteriori sofferenze e frammentazioni alla disarticolazione sociale già esistente. Il governo Gentiloni in questo quadro ap-pare la prosecuzione del vecchio governo con meno smalto, è destinato a riparare i danni maggiori determinati dall’ex sinda-co di Firenze e a … sopravvivere, in at-tesa del confronto elettorale, che peraltro è appeso alla nuova legge elettorale che non si sa quando verrà partorita, né che carattere avrà (maggioritario o proporzio-nale?). In tale contesto si pone il dibatti-to nella sinistra e nel Pd. Fino agli ultimi

giorni di gennaio tutto sembrava fermo, poi tutto è entrato in movimento. Non tan-to per l’iniziativa di Giuliano Pisapia, che peraltro in poco più di venti giorni sta già cambiando segno; né per il dibattito in-terno a Sinistra Italiana, che ancora prima di nascere deve scontare una scissione, o per la proposta di Rifondazione delle Convenzioni per l’alternativa (cosa già sperimentata e fallita), quanto per quello che sta avvenendo nel Pd e per la pro-babile scissione che si verificherà in quel partito. Se questa avvenisse si avrebbero alcune conseguenze di non secondaria importanza. La prima è che, indipenden-temente dal suo peso elettorale, una lista che si collochi a sinistra del Pd farebbe perdere voti allo statista di Rignano, desti-

nandolo ad una sconfitta e mettendone in forse il suo controllo di quanto rimane del suo partito. Peraltro la sua maggioranza è disposto a seguirlo finchè vince e a mol-larlo nel caso di una ulteriroe sconfitta. La seconda è che una scissione del Pd ri-mette in movimento quanto c’è a sinistra, non senza ambiguità e rischi, ma comun-que in un quadro instabile in cui ognuno può giocare le sue carte. Infine una pos-sibile lista di sinistra ed un suo risultato di qualche consistenza offre una sponda istituzionale all’opposiziine sociale. Non è molto, ma può rappresentare un inizio, a patto che si riapra il dibattito politico e si costruisca una piattaforma d’opposizione che dica poche cose, ma chiare, e indivi-dui una direzione strategica che non può

essere la pura riproposizione di un keyne-sismo estenuato, ma offra una ipotesi di ricomposizione sociale e di un nuovo mo-dello non di crescita, ma di sviluppo, ossia elementi che consentano di individuare un diverso modo di produrre, di consu-mare, di vivere. Questo non è un compito riservato solo ai dirigenti delle diverse for-ze politiche già esistenti o in probabile via di costituzione, ma al largo fronte sociale che si è mobilitato per il No al referendum costituzionale. Ci vorrà tempo, ma oggi la situazione è migliore di quella di tre mesi fa. È possibile che si spezzi la calma piatta del Mare dei Sargassi e riprenda a soffia-re il vento.

Re.Co.

Vivian Maier - Selfportrait

Si è svolto il 13 febbraio, nella sala con-ferenze dell’Hotel Albornoz a Spoleto, il convegno “RICOSTRUIAMO?” organizzato da CGIL CISL e UIL, con la partecipazione della Presidente della Regione Katius-cia Marini, il Commissario Straordinario Vasco Errani e il Sindaco di Spoleto Fabrizio Cardarelli. La CGIL propone di costruire dei tavoli permanenti di gestione delle emergenze di aiuto al processo di ricostruzione ma non mancano le critiche, primo fra tutti il Sindaco di Spoleto Fab-rizio Cardarelli che ha criticato quella parte del decreto che limita ai Comuni con meno di trentamila abitanti la possi-bilità di avvalersi di ulteriori tecnici, provo-cando ritardi e sottoponendo la struttura già esigua a ritmi di lavoro esagerati. Interessante l’intervento di Laura Tulli di Confindustria, che ha posto l’accento sull’importanza della sicurezza del posto

di lavoro e sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Sicurezza intesa non solo come sicurezza fisica, ma anche come aiuto ai dipendenti, per superare i momenti diffi-cili di paura e d’ansia che purtroppo ac-compagnano l’aspetto meramente fisico delle scosse. Si è parlato di ricostruzione di edifici, ma anche d’infrastrutture per ottenere quella rigenerazione urbana che possa favorire la permanenza delle per-sone nei territori offesi dal sisma. L’unica nota positiva è venuta dalla Coldiretti: in Umbria le 800 stalle nella zona del cra-tere sono tutte operative e, grazie alla corsa all’acquisto dei prodotti della zona, non si sono perse quote di mercato. Da più parti è stato posto l’accento sulla ne-cessità e valenza del DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva), sulla con-gruità (regolarità dei versamenti dovuti alla Cassa e congruità della manodopera rispetto all’entità e alla tipologia dei lavori) e sulla condizione che tutte le imprese applichino il Contratto Collettivo Nazi-onale di Lavoro. Si è affrontato anche il

tema della busta pesante, il rischio che le aziende da zero a cinque dipendenti rimangano senza ammortizzatori sociali, la viabilità strozzata da Spoleto a Terni e la gravissima situazione del tessuto turis-tico ed economico. La Presidente Marini ha ravvisato la necessità di condividere il percorso tra tutti gli attori e di attuare un’informazione corretta e continua. Pa-rola d’ordine Sicurezza. Per tutte le scuole non si parlerà di miglioramento sismico ma di adeguamento sismico, per raggi-ungere il massimo grado di sicurezza e la ricostruzione potrà essere finanziata con i fondi strutturali Europei. Ha anche parlato di progetto socio economico, un proget-to che richiede uno sforzo più comples-so, considerato che sono coinvolti circa quarantamila lavoratori. Agire sul fronte della tassazione, ma anche sull’idea che la ricostruzione sia di medio e lungo periodo per ottenere nuovi investimenti. Il Commissario straordinario Errani ha posto l’accento sul fatto che siamo di fronte all’evento più significativo degli

ultimi cento anni e che la ricostruzione in questo territorio significa applicare un nuovo modello di sviluppo, in costanza di significativi processi di spopolamento già in atto. Occorre per questo un sussulto di comunità. Il Commissario ha comunica-to che lo Stato si è impegnato a pagare il cento per cento della ricostruzione, e saranno ricostruite ventuno nuove scu-ole mentre quelle danneggiate verranno adeguate. Va ricostruito, ha precisato, meglio di com’era prima ascoltando le comunità territoriali e intavolando un per-corso di equità e stimolando il controllo sociale. Per quanto riguarda le imprese il Governo si è impegnato a ricercare un percorso per trovare una misura dentro la normativa europea che riconosca il dan-no indiretto. Occorrono insomma idee, anche idee nuove. Bisogna fare un salto di qualità. Qualità del lavoro, sicurezza del lavoro, competizione sana. Solo così po-tremo ricostruire questo territorio.

Isabella Caporaletti

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N. 30 – FEBBRAIO 2017ECONOMIA - SOCIETÀ - ISTITUZIONI22

Da quando il servizio idrico della provincia di Terni è passato dalla gestione diretta del Comune a quella del SII, società di capitali misti con maggioranza pubblica e socio privato Umbriadue (divenuto re-centemente di proprietà ACEA al 98%), il risultato è stato principalmente uno: au-mento delle bollette – il costo dell’acqua a Terni è tra i più alti d’Italia – e peggiora-mento del servizio.

Il sapore dell’acqua di rubinetto in Valner-ina è sempre più un ricordo sbiadito che abita solo nella memoria di alcuni, mentre i più giovani bevono da sempre acqua in bottiglia, dato che da troppi anni or-mai quella “pubblica” ha uno sgradevole sapore di cloro.Perché? Semplice: la gestione comunale delle acque faceva lavorare i fontanieri, operai che periodicamente pulivano i bot-tini e riparavano le perdite facendo così in modo che nei rubinetti arrivasse acqua microbiologicamente pura e buona. Al contrario, con la presenza dei privati nella gestione idrica l’acqua è divenuta di pes-sima qualità, con i bottini che non vengo-no manutenuti e quasi la metà dell’acqua che viene persa (lo stesso SII dichiara il 40% di perdite) a causa delle reiterate

mancate riparazioni dei buchi della rete di distribuzione Tutto ciò a fronte di costi lievitati notevolmente a causa dei nuovi (lauti) stipendi destinati ai dirigenti della nuova società e alla necessità di remu-nerare al 7% di interesse il capitale priva-to investito, che così non rischia nulla e ha il guadagno assicurato. Ora a tutto questo si aggiunge un ulteriore disastro, con la costruzione del nuovo acquedotto terna-no-amerino: un’opera-mostro che mette a rischio (come hanno più volte spiegato diversi studiosi, geologi e biologi) il fiume Nera e la stessa Valnerina.

L’acquedotto, finanziato dalla Regione Umbria con 24 milioni di euro (9 mln dai fondi europei per lo sviluppo e la coesi-one, che avrebbero potuto essere utilizza-ti per ben altre cose, 6 mln direttamente dalla Regione – le nostre tasse – e 8mln dalle bollette), esemplifica al meglio l’azi-one dei capitali privati nella gestione id-rica: privatizzare i guadagni, socializzare le perdite, che ricadranno sui cittadini. I lavori per la realizzazione dell’opera sono stati affidati, senza alcuna gara d’ap-palto, alla Severn Trent Italia, anch’essa proprietà del colosso romano Acea. Una vicenda a dir poco ben strana, sulla quale è stato chiesto di far luce tramite un es-posto presentato all’ANAC (Autorità Nazi-onale Anti Corruzione) dal coordinamento dei comitati, assistiti dall’avv. Passeri. Tuttavia non basta.Con i suoi 34 km, l’acquedotto dovrà

A partire dal 24 agosto ma in parti-colare dopo il sisma del 30 ottobre Cittadinanzattiva, organizzazione di atti-vismo civico, con il sostegno di molte or-ganizzazione come il CESVOL Umbria e di comitati locali, ha avviato un’attività volta a tenere in collegamento le comunità ter-remotate rimaste sul territorio epicentrale e quelle che erano state disperse nei vari alberghi, cercando di raccoglierne le esi-genze e provando a fornire informazioni corrette.Ne è scaturito un impegno e una stra-tegia, quella dei Presidi Civici, che a partire dall‘Umbria si sta ora allargando a Marche, Lazio e Abruzzo, nel segno della correttezza e della trasparenza e di una sussidiarietà che non è a servizio delle istituzioni, ma serve a far emergere il protagonismo dei cittadini.Il testo che segue è il manifesto su cui è partita una raccolta di firme sia online (su Change.org) che materialmente tra le comunità sfollate e nelle frazioni di Norcia e che ha già raggiunto diverse centinaia di firme.Il sisma del 30 ottobre ha prodotto una si-tuazione di grande impatto sulla vita del-le persone e sulle strutture del territorio umbro interessato, così come nel resto dell’area dell’Italia centrale.La complessa situazione che si è gene-rata nel gestione del post sisma, anche a seguito del grande numero di persone che sono state evacuate in altre zone, nonostante lo sforzo profuso nella prima fase di assistenza e di emergenza, pre-senta delle evidenti criticità in termini di effettiva comunicazione e chiarezza nella applicazione dei provvedimenti, coinvolgimento attivo e partecipazione delle popolazioni interessate. Per evitare ulteriori disagi e sofferenze, e per rendere praticabili percorsi di ri-pristino di condizioni di normalità anche lavorativa e di ritorno nei territori, nonché di rinascita e rigenerazione, è necessario garantire piena trasparenza, comunica-zione e partecipazione pubblica.Diverse comunità locali e cittadini singoli e organizzati, anche attraverso l’iniziativa dei presidi civici, nonché numerose as-sociazioni, sono già impegnate in attività volte al perseguimento dell’interesse collettivo e generale secondo il prin-cipio di sussidiarietà e nel mettere in atto azioni per fronteggiare l’impatto complessivo del sisma, contestualmente a quanto viene realizzato dalla protezione civile e dalle istituzioni locali.Tutto questo va valorizzato e sostenuto, perché ricomporre l’identità delle nostre

comunità e dei nostri territori passa dal-la fatto di sentirsi parte di un processo di rigenerazione e rinascita collettivo e dal prendere parte alla definizione di scelte che riguardano questa area, con un consenso attivo e informato della cit-tadinanza, dimostrando di essere cittadini responsabili e attivi rispetto al futuro di questi territori.Tutto ciò premesso, e considerando quan-to disposto, in particolare dall’art.118 titolo V u. c. della Costituzione in mate-ria di iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà, dalla L. di conversione n.229 del 15/12/2016 del D.L. n.189 del 17/10/2016 art.16 per quanto riguarda la consultazione e partecipazione delle popolazioni interessate, dal D.L. 17 maggio 2016 di “Riordino della disci-plina riguardante il diritto di accesso civi-co e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, al fine anche di promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministra-tiva e favorire forme diffuse di con-trollo sul perseguimento delle fun-zioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché quanto pre-visto dal titolo III -istituti di partecipazione dello Statuto comunale di Norcia,

richiedono alle istituzioniinteressate di:

• condividere e attivare un sistema di informazione, comunicazione e ascolto del cittadino, coordinato con tutte le forme di attivismo civico, as-sociativo e di organizzazione delle comunità locali

• promuovere la realizzazione quanto pri-ma di incontri informativi e di ascol-to ripetuti nel tempo, anche a livello di area (Trasimeno, Perugino, Spoletino) con i cittadini ospitati nelle diverse strut-ture, e con quanti sono presenti nell’area epicentrale

• concordare la promozione di forme di coinvolgimento dei cittadini attra-verso metodologie di partecipazione per-tinenti per le diverse fasi, per esercitare il diritto e il potere di informare e comu-nicare rispetto a quanto sta avvenendo, e di praticare forme di progettazione partecipata rispetto al rilancio di questi territori

• attivare, specificatamente, un tavolo regionale per la comunicazione e la partecipazione nelle zone terremo-tate, con la presenza di rappresentanti delle comunità interessate, forum civici comunali e commissioni miste te-matiche nei Comuni Area 1 dell’Umbria

• promuovere altresì iniziative articolate nei territori, di analisi e programmazione partecipata con la finalità prioritaria di condividere un piano straordinario per il lavoro e lo sviluppo a seguito degli effetti provocati dal sisma.

Prefazione all’appelloIl Coordinamento Nazionale per la Juguslavia o.n.l.u.s. è sorto per ricor-dare la Federazione Juguslava e la sua storia, con particolare attenzione alla lotte antifasciste combattute e sop-portate dalla sua popolazione contro l’occupazione italiana prebellica e poi contro quella nazifascista durante la 2a guerra mondiale. Nella ricostruzio-ne delle figure dei perseguitati politici, includiamo anche quelle dei deporta-ti dalla loro Terra oltre l’Adriatico nei campi di prigionia italiani. Il campo delle Casermette di Colfiorito fu il più grande del Centro Italia e per non far-lo cadere nell’oblio, vorremmo apporvi una lapide in ricordo. Di questa ope-razione il Coordinamento ha avvisa-to l’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) e la Fondazione Lelio Basso, interessa-te dal punto di vista storico. Lancia un appello ai cittadini dell’Umbria affinchè insieme costituiscano una base sociale di sostegno per tale realizzazione, af-finché vengano contemporaneamente sollecitate Istituzioni Pubbliche.

COORDINAMENTO NAZIONALEPER LA JUGUSLAVIAVia di Casal Bruciato 31 00159 R O M A

Al sig. Sindacodott. Nando Mismettie p.c. alla Assessora con delega alla Memoria dott.ssa Maura Franquillo, Comune di Foligno

Alla Regione UmbriaAlla Provincia di Perugiaalla Sovrintendenza ai Beni Culturali di Perugia

agli antifascisti umbri

COMUNICATO

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus, (c.p. 13114, ufficio Roma 4- 00100 Roma) evidenzia e pro-muove la necessità non altrimenti procrastinabile di riconoscere in modo pubblico e istituzionale l’im-portanza storica del complesso del-le “Casermette” di Colfiorito, quale campo di concentramento di anti-fascisti italiani e stranieri, dunque luogo-simbolo di rilevanza interna-zionale della Resistenza al nazifa-scismo.Il luogo di detenzione, oltre ad essere ben ricordato nella memoria orale, è meta di visite di interessati provenienti da svariati paesi, conoscitori dei fatti e discendenti dei reclusi, che però si disilludono quan-do non trovano alcun segno attestante il passato e il suo significato.A 74 anni dalla grande fuga dei prigio-nieri jugoslavi dal campo (22 Settembre 1943) e dall’inizio della lotta partigiana nella zona, non esiste ancora alcun monumento, targa, centro visita, museo o manufatto che richiami la centralità delle Casermette nella vicen-da dell’antifascismo umbro, italiano ed europeo. Questo nonostante siano acca-dute enunciazioni ed iniziative, che negli scorsi anni abbiano attestato una volontà di istituire un Museo della Memoria da erigere in alcuni dei locali dell’ex campo. Basti citare:

– 2001: progetto di “Centro di Documentazione sull’internamento”, per il quale fu istituito un gruppo di la-voro incaricato di redigerne il progetto esecutivo (prof. Fabio Bettoni assessore alla Cultura di Foligno, ricercatori ISUC ed altri) e fu approvata una Delibera co-munale che destinava ad esso ca.170mq della ex caserma. Secondo il Documento licenziato dal gruppo di lavoro, il Centro di Documentazione si sarebbe dovuto por-re, tra l’altro, come riferimento regionale per la celebrazione della Giornata della Memoria (27 Gennaio).– 2003: Convegno di studi “Dall’internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito”, Foligno, Palazzo Trinci, 4 novembre.– 2009: stanziamento della Giunta

Regionale di oltre un milione di euro per interventi alle “Casermette” e conseguenti dichiarazioni degli ammi-nistratori sul “Museo della Memoria” come primo obiettivo degli interventi stessi.– 2010: Delibera di Giunta Comunale di Foligno n.198 del 17 maggio, che destina alcuni locali delle “Casermette” a “Museo della Memoria”.– 2014: Delibera di Giunta Comunale di Foligno n.190 del 30 aprile, che ap-prova il progetto in tal senso elaborato da ISUC e Officina della Memoria.

La eccezionale importanza storica del-le “Casermette” giustificherebbe pe-raltro, da parte della Soprintendenza e del Ministero, la imposizione di speciali vincoli non solo sul complesso archi-tettonico ma anche sul luogo, in quan-to bene culturale esso stesso, tali che ne regolamentino gli utilizzi, oltre che ne tutelino l’integrità fisica.Già dopo il terremoto del 1997 << l’affanno dell’emergenza [aveva] can-cellato tracce che narravano gli eventi del luogo: reticolati, torrette, sbarre alle finestre dei capannoni, che nel frattempo sono diventati Uffici pubblici, negozi, bar >> (Dino Renato Nardelli, ISUC).Fortunatamente i recenti sciami sismi-ci non hanno causato danneggiamenti, per cui non sussistono ragioni per rin-viare ulteriormente qualsiasi iniziativa, anche se di carattere eminentemente simbolico e di costi estremamente contenuti, come l’apposizione di un elemento monumentale o di una lapi-de.Quindi il nostro Coordinamento, a ri-cordo e a spiegazione dell’importanza del luogo, propone la apposizione di un elemento memoriale-celebrati-vo che illustri la vicenda dram-matica e gloriosa degli internati antifascisti delle Casermette di Colfiorito.A tal fine auspica la collaborazione dal-le Istituzioni Pubbliche e dei Cittadini Umbri.

JUGOCOORD onlus il segretario

Andrea Martocchia

LA GESTIONEPOST-SISMA

passare al margine di zone Sic del parco fluviale del Nera e in alcuni punti addirit-tura a non più di un metro dalla riva del fiume, prelevando ben 400 litri di acqua al secondo.I 9 pozzi previsti attingeranno l’acqua dalle falde profonde del sistema idrico del Nera: quelle falde che alimentano le nu-merose sorgenti situate nell’alveo stesso del fiume permettendone la sopravviven-za. Si tratta di sorgenti di acqua pura, ogget-to di studio per la flora e fauna peculiare nemmeno menzionate nel progetto, che verranno con ogni probabilità alterate per sempre.

A cosa serve tutto questo? Di certo non alla città di Terni, i cui abitanti hanno a disposizione 195 litri di acqua ciascuno ogni giorno e si ritroveranno, grazie al nuovo acquedotto, un aumento dei costi in bolletta e un ambiente fluviale distrutto solo per i guadagni del SII.

Non lo permetteremo! Non lasceremo che il nostro territorio e il nostro fiume venga-no distrutti.Per questo, venerdì 24 febbraio abbiamo organizzato una manifestazione a Feren-tillo, borgo della Valnerina, per fermare questo scempio.

Marco VulcanoMaria Assunta Pucciatti

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N. 30 – FEBBRAIO 2017ECONOMIA - SOCIETÀ - ISTITUZIONI 33

Per questa nota, prendo lo spunto da un emendamento che alcuni autorevoli esponenti di Sinistra Italiana, tra i quali il deputato Stefano Fassina nonché i pro-fessori Carlo Galli e Michele Prospero, hanno proposto all’attenzione dei mili-tanti di quella formazione politica la quale (nel momento in cui scrivo: 13 febbraio) sta vivendo le ultime, assai travagliate battute della propria fase fondativa la cui conclusione è prevista in Rimini con il congresso nei giorni 17-19 febbraio. Si tratta dell’emendamento alla tesi n. 14 del documento congressuale intitolato C’è alternativa che è stato varato dalla Commissione Progetto; tesi ufficiale che enuncia un «europeismo radicalmente critico verso l’Europa com’è». Dico subito che detta tesi 14 è impre-gnata dei soliti umori neo-spinelliani (da Spinelli, quello di Ventotene): basti citare il collaudato mantra: «il progetto di in-tegrazione europea è nato con obiettivi nobili e ambiziosi», ecc. ecc.; mantra cui fanno seguito le altrettanto solite gere-miadi sul destino cinico e baro che ci ha messo tra i piedi il neoliberismo, matrice «della competizione tra Stati e della su-premazia dei meccanismi di mercato», come se i meccanismi di mercato non esercitassero la propria supremazia sin dall’origine. Dopo varie considerazioni e venendo al sodo, si riconosce la porta-ta negativa della moneta unica che ha «scaricato sulla svalutazione del lavoro la competizione - prima giocata in larga misura sulla svalutazione delle monete nazionali - tra i paesi membri, a tutto vantaggio dell’interesse dei più forti tra essi»; si ammette che «la sua adozione da parte di economie strutturalmente diverse, unitamente alle politiche mer-cantiliste attuate dall’economia più forte dell’area (guai a chiamarla con nome e cognome: Germania, si potrebbe cadere nel nazional-populismo!), ha determinato l’emergere di crescenti squilibri, defla-grati in occasione della crisi finanziaria»; insomma si arriva a sostenere che «l’euro ci ha resi più deboli», «c’im-pone di competere nella svalutazio-ne del lavoro», «ha portato alle po-litiche di austerity che stanno pro-gressivamente smantellando i diritti sociali e impediscono l’uscita dalla stagnazione». Nonostante codeste euristiche schifez-ze, e pur affermando che «un’Europa al servizio del capitale finanziario, e con-tro il lavoro e i servizi sociali, non è la nostra Europa», nella tesi ufficiale n. 14 di Sinistra Italiana non si dice ciò che conseguentemente si dovrebbe dire, ovvero un deciso e decisivo NO. La tesi vuole che si cambi rotta, e in tal sen-so la via maestra sarebbe la riscrittura dei Trattati unitari, ma deve riconoscere che la medesima riscrittura è in mano al sistema di potere egemone nell’Unione Europea il quale sta preparando modifi-che peggiorative e dunque da rifiutare, tuttavia, dicono gli estensori della tesi, la sinistra non deve rinunciare all’obiet-tivo della revisione. L’assetto della mo-neta unica, sostengono, «non può es-sere considerato un dato irreversibile», ragione per la quale «opzioni che con-templino il superamento della moneta unica, pur gravide di rischi, non posso-no essere escluse a priori». Frasi tortuo-se, buone per rimanere fermi nel limbo attendista, séguìte da una giaculatoria finale che ha dell’incredibile conside-rando che è pronunciata da una forza politica mossa da istanze governiste: è «essenziale», si afferma, «un’attenta valutazione delle opzioni e dei rapporti

di forza, avendo sempre, quale nostra priorità, la difesa delle classi più deboli». Amen! Continuate a traccheggiare, in-tanto Salvini impazza!L’orizzonte neo-spinelliano accomuna ai proponenti ufficiali della tesi 14 anche gli emendatori di essa, i Fassina & C; costoro, come gli altri, tacciono sulla natura dell’Unione quale espressione del capitale e articolazione delle sue di-namiche imperialistiche; proclamano la propria identità di “sinistra del XXI seco-lo” secondo una formula vuotissima, o se si preferisce pienissima di assenze, priva com’è di ogni richiamo alla storia del movimento operaio e di ogni pro-spettiva socialista; innalzano inni alla centralità del lavoro (termine oggi molto ambiguo, condizionato com’è dagli usi estensivi e impropri a cui è ormai sot-toposto: anche Marchionne lavora, e quanto!) quale fonte di cittadinanza ma nessuna critica è rivolta a chi, come il sindacalismo collaborativo delle centrali maggiori, ha fortemente contribuito ad abbatterne la costitutiva e costituziona-le centralità; denunciano la subalternità della socialdemocrazia europea al neo-liberismo, ma non si spingono a dichia-rare definitivamente chiusa la stagione delle collaborazioni con essa (Cofferati, del resto, tra i fondatori di Sinistra Italiana, sta nel gruppo parlamentare dei S&D e non ha votato Forenza ma Pittella alla presidenza dell’europarlamento). Incisivi nella denuncia dei Trattati, de-finiti giustamente non riformabili e in netta contraddizione con lo spirito e la lettera della nostra Costituzione; espli-citi nel dichiarare che l’euro non può “girare” a favore del lavoro, riconoscono «la necessità e l’urgenza di supe-rare l’euro e l’ordine istituzionale, economico e monetario ad esso connesso»; decisi nell’affermare che un demos ovvero un popolo europeo non esiste, si spingono a scrivere che «il superamento dell’ordine dell’eu-ro è la condizione per rivitalizzare funzioni fondamentali dello Stato nazionale al fine di proteggere il la-voro da un’ulteriore svalutazione e rianimare la democrazia costituzio-nale», e per «rimettere in discussione, dopo un trentennio di subalternità cul-turale e politica, il nesso nazionale-in-ternazionale (per riprendere il lessico di Antonio Gramsci)». Anche Fassina & C, però, permangono in un colossale “culo di sacco” quando do-vrebbero fare il salto decisivo. Superare l’euro - scrivono nel titolo dell’emenda-mento - per rivitalizzare la democrazia costituzionale e salvare l’Europa. Già: salvare l’Europa! E il superamento do-vrebbe seguire la «via cooperativa» ed essere «assistito dalla Bce». Gli emenda-tori accolgono in sostanza le indicazioni di Joseph Stigliz e di qualche assennato seguace di lord Keynes. La morbidezza del verbo “superare” dovrebbe rendere più digeribile la sostanza della proposta. Ma i frequentatori del cosiddetto “cam-po progressista” dentro e fuori Sinistra Italiana, cioè quelli che dovrebbero dige-rire la pillola della lexit la cui necessità è stata tante volte proclamata da Fassina, non intendono ragione. Sulla loro ban-diera di piccoli politicanti aggrappati al carro della soicialdemocrazia, campeg-gia il motto: Primum vivere, deinde phi-losophari, che in parole povere vuol dire: prima di tutto salviamo la pagnotta, poi ci dedicheremo ai piaceri della conoscenza. Comunque vadano le cose congressuali, un dato è certo: alla fine, gli italosinistri hanno dovuto prendere di petto la que-stione dell’assetto monetario dell’Europa e di tutto ciò che vi è connesso. Suvvia amici, fate ancora uno sforzo: dite un NO cubitale!

il Moro

La comprensione dei fatti e delle idee con-temporanee è difficile, e questa difficoltà in-terpretativa finisce per colorare il presente di una nota negativa, che ci fa dire oggi come ieri, con un’espressione logora e che significa tutto e niente, che il mondo è in crisi. Dibattiti, analisi, prospettive cercano di far chiarezza, ma raramente si riesce ad arrivare ad una con-clusione. E d’altra parte sarebbe impossibile, giacché il presente è divenire e l’attimo che stiamo vivendo è già contemporaneamente passato e futuro, vissuto da archiviare e futuro da inventare. Per questa difficoltà a capire, a trovare un filo conduttore, spesso si riman-da ad un’età dell’oro in cui le cose andavano meglio. Nella storia è stato sempre presente questo strabismo di chi guarda il presente e il futuro con gli occhi rivolti al passato. Lo strabismo potrebbe essere un fatto virtuoso se significasse apprendere gli insegnamenti della storia. Quando questo non è, si carica lo sguardo al passato di giudizi di merito, nel senso di ritenere il passato, l’età dell’oro. La cosa tipicamente vale per la nostalgia del mondo contadino. Ora il mondo contadino non era propriamente un luogo di felicità. I contadini erano una classe di poveracci che lavorava su terre spesso non di proprietà, e la cosa valeva anche per le case che abita-vano. Come compenso ricavavano i mezzi di sostentamento alimentare e poco altro. Da noi i proprietari erano una classe privilegia-ta di nobili, borghesi ed ecclesiastici spesso lontani dai loro possedimenti, preferendo risiedere in città.Addirittura in Russia, sino alla fine dell’Ottocen-to, i contadini erano di fatto schiavi: li chiama-vano servitù della gleba. E ancor prima, schiavi erano i contadini dell’Impero Romano come si evince dal libro di Columella, dove accanto alle indicazioni sulle coltivazioni, sulla cura degli animali e su tutto quanto concerneva la vita in campagna, si davano indicazioni sulle pene da infliggere agli schiavi che lavoravano la terra. Ed anche prima ai tempi della repubblica, quando la terra era lavorata da liberi cittadini, le condizioni erano talmente misere che la maggior parte era costretta ad ingrossare la plebe cittadina, dove almeno si poteva contare sulle elargizioni fru-

mentarie dello Stato. Non cambiarono di molto le cose, almeno da noi, sino ai tempi più recenti. I braccianti e i mezzadri delle nostre campagne vivevano nei casolari lontani dai paesi e dalle cit-tà, comunque distinti da questi. Vivevano in una promiscuità familiare naturistica, dove accanto a rapporti di solidarietà e condivisione, non erano infrequenti pratiche violente, talora incestuose in un contesto di paganesimo panteistico pre-cri-stiano. La nobiltà dei sentimenti e dei comporta-menti erano accidenti genetici fenotipicamente virtuosi, ma spesso occasionali. E contadini furono gli assassini dei fratelli Pisacane, e sempre contadini furono le masse dei lazzaroni che agli ordini del cardinale Rufo di Calabria annegarono nel sangue il tentativo rivoluzionario della repubblica partenenopea. Ma la colpa di tutto questo non era imputabile a loro, se si considera il degrado nel quale era-no costretti a vivere, le condizioni precarie nelle quali si svolgeva la loro vita, che lasciava poco spazio ai comportamenti nobili. E le case dei contadini non avevano intorno alberi a differenza di quelle dei padroni: perché gli alberi servivano per la legna, e rubavano spazio alle coltivazioni e non erano compatibili

Vivian Maier - senza titolo

con i lavori dell’aia; di più piantare un albero si-gnificava un progetto, un radicamento in quel posto per sé e la famiglia a venire, e questo confliggeva con la precarietà della loro con-dizione, con la possibilità o necessità non in-frequente di una migrazione dell’intero gruppo familiare ad altro casolare. Poteva accadere di nascere in una casa, di lavorare in un altra, si morire altrove. E alle sventure naturali, le malattie, la morte, si aggiungeva ciclicamente la violenza dello stato che si veniva a prendere i giovani forti e sani e li mandava a morire su lontani fronti di guerra. L’unica soluzione a tutto questo era l’emigrazione. Si andava ad ingrossare le file dei dannati della mano d’opera nelle miniere e nelle fabbriche del progresso con la speranza di un futuro migliore per i figli. Ma non sempre si riusciva a raggiungere quella condizione pur gravosa, spesso li attendeva il destino di sottoproletari disoccupati che ingrossavano le zone degrada-te della città, nuova plebs frumentaria. E basta così.

M.P.

Quante saette, a decoro della dog-matica economica moderna, reg-istra chi guarda in campo lungo il banchetto planetario ribollente tra gote gonfie e denti radi veterani, che battono dannati sulle gengive dome.Che vuoi dunque Lazzaro, se anche i cani ti voltano le spalle? Tenere in vita te e le tue piaghe è gran fatica:

ne va del sacro PIL. Né, per pruden-za, possiamo suggerire sobria dieta al Ricco Epulone, che è lento all’ira solo zavorrato.Chi pratica il cannibalismo animale è “assassino innocente”.Ancora più innocente chi, nella specie umana pratica il “cannibalismo” finan-ziario e attuariale, con sistema pen-sionistico “retributivo” e nuovi squisiti debiti applicati al collo di giovinetti in-ermi e nascituri accidentali.L’indice di Gini, intanto, a lungo ino-sservato, si abbandona al gesto es-tremo, stiracchiandosi alla sua mas-sima statura.

Noi, capelli sale-pepe, fermati dag-li anni a metà del guado, ci siamo chiusi dall’interno a laccio stretto nel sacco tessuto dai Poteri duri in compagnia di pasciuto gatto selva-tico, denominato “Debito Sovrano”.Cos’è però, perdinci, questo crep-itìo insistente di banconote nuove appena nate che scorrazza sul tetto e sotto al letto? Signori, per favore, silenzio e compostezza grata. As-secondiamo la fatica delDrago plurale, che soffia e soffia dentro la bolla finale.

C.C.

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TRA PASSATO E PRESENTEN. 30 – FEBBRAIO 201744

Eredi. «Nessun pensatore italiano gode attualmente di una fama più ampia di quella di Antonio Gramsci. Le citazioni accademi-che e i riferimenti online che lo riguardano sono più numerosi di quelli relativi a Machiavelli, men-tre la bibliografia inerente all’o-pera gramsciana, composta sia di articoli che di monografie, arriva oggi a sfiorare le ventimila voci». Così comincia il saggio di Perry Anderson, storico britannico di caratura internazionale, intitolato The Heirs of Gramsci, apparso sul-la prestigiosa rivista inglese “New Left Review” nel numero di lu-glio-agosto del 2016, ora tradotto in italiano con il titolo Gli eredi di Gramsci, per il numero di genna-io 2017 dell’altrettanto prestigio-sa rivista “MicroMega/Per una Sinistra Illuminista”. I pochi che mi seguono con assiduità hanno già capito che il notevole contri-buto di Anderson s’inserisce nel-la prospettiva di commemorare l’80° anniversario della morte di Gramsci (27 aprile), benché non lo dichiari apertamente Anderson, come non lo dichiarino i redatto-ri di “MicroMega”, i quali peraltro

collocano il contributo dello stu-dioso inglese nella sezione “Bilanci e Prospettive” insieme a interessan-tissimi interventi (Axel Honneth, Peter Engelmann, Alain Badiou) su “Socialismo, comunismo e l’ere-dità di Gramsci” con ciò ponendosi proprio in quell’orizzonte. Anderson è un gramsciologo di lungo corso; e lo considererei un gramsciano: scontando i limiti intrin-seci di classificazioni consimili. Quelli della mia generazione interessati al tema hanno letto e riletto di lui The Antinomies of Antonio Gramsci del 1977, nella traduzione che ne pro-mosse l’Editore Laterza l’anno suc-cessivo dando all’opera il fuorviante titolo di Ambiguità di Gramsci, an-che se, traducendo con il termine letterale di Antinomie, si sarebbe corrisposto perfettamente al caratte-re critico-analitico della monografia senza ingenerare equivoci nei po-tenziali lettori. Antinomia, infatti, in Italia come in Gran Bretagna, indica l’insieme di due proposizioni con-traddittorie ognuna delle quali presa in sé si può giustificare razionalmen-te; e il carattere avalutativo del ter-mine è chiarissimo. Ambiguità, invece, tanto nella lingua italiana quanto

nella britannica, si presta a valutazio-ni negative alludenti ad equivocità, incertezza, possibilità di significati diversi. Per Anderson è stato proprio il carattere antinomico delle pagine gramsciane, egli si riferiva allora ai Quaderni del carcere ed oggi fa altret-tanto, a favorirne l’amplissima diffu-sione. Il pensiero di Antonio, osserva Anderson nel saggio del 2016 edito come ho detto quest’anno in versio-ne italiana, è “multidimensionale” e “frammentario”: qui risiede la sua forza. In sintesi, i percorsi della “multidi-mensionalità” si possono enucleare così: «la storia dei più importanti Stati europei; la struttura delle loro classi dirigenti; i tratti distintivi del loro do-minio sui governati; la funzione degli intellettuali e la sua mutazione; l’e-sperienza operaia e la mentalità con-tadina; i rapporti tra Stato e società civile; le forme più recenti di produ-zione e consumo; le problematiche filosofiche e pedagogiche; le inter-connessioni fra la cultura tradizionale e quella delle avanguardie e fra quel-la popolare e quella folkloristica; la costruzione delle nazioni e la soprav-vivenza delle religioni; e infine, non meno importante, la questione di come e con quali strumenti superare il capitalismo e fondare su solide basi il socialismo». La “frammentarietà”, a sua volta, ha generato e genera una vera e propria «attrazione magne-tica». Osserva Anderson: «Le note che Gramsci prendeva in prigione erano appunti disordinati, stringati e preliminari in vista di opere che non riuscì mai a scrivere da libero. (…) Ciò contribuì a renderle, più che tesi

Calendario del Popolo/1. «Giovedì mattina 17 febbraio 1600 l’ex domenicano Giordano Bruno dopo un processo interminabile muore arso vivo nel Campo dei Fiori col morso, perché aveva “bruttis-sime parole in gola”: non importa quanto valga intellettualmente; ne-gava dei dogmi, sostenendo inter alia che i mondi siano innumerevo-li, eterni, ed esistessero dei prea-damiti». Sintetico ed efficacissimo: Franco Cordero, Guerra all’intellet-to, in “MicroMega/Per una Sinistra Illuminista”, 2007, 1, p. 103.

Calendario del Popolo/2. Nell’orizzonte politico-culturale del popolo laico, socialmente ra-dicale e idealmente anticlericale, il mese di febbraio è tuttora il mese di Giordano Bruno da Nola. Lo è stato per decenni anche a Foligno, ove nel 1888 gli fu dedicata la piazza San Domenico, dalla quale però fu sfrattato nel 1927, a fa-scismo ormai imperante. Oggi il nome di Bruno è rientrato in quella piazza. In una forma molto partico-lare, tale da non offendere i tanti clericali che tuttora allignano da noi. Comunque possiamo veder-lo, il suo Nome, inciso su di una bella pietra posta in elegante teca (ci dicono che l’insieme sia stato progettato dall’architetto Luciano Piermarini nostro illustre concit-

tadino). L’Eretico, tuttavia, non fron-teggia la piazza, poiché su di essa è sempre dominante l’arcigno frate originario di Guzmán, san Domenico appunto; perciò occorre aggirare la teca e leggere il nome del Nolano sul retro della targa. È proprio vero: il posto dei cattivi sta dietro la lavagna.

Calendario del Popolo/3. Il 17 febbraio del 1907, il movimento democratico-popolare di Foligno, in sintonia con quanto avvenne in molte città italiane, commemorò Giordano Bruno nel 307° anniver-sario della morte. La manifestazione fu imponente. A promuoverla si era formato un Comitato il quale affisse il manifesto che segue: «Cittadini, Non era possibile che l’Italia rimanesse indifferente innanzi alla grande lotta della Francia per separare lo Stato dalla Chiesa. L’Italia deve sostene-re contemporaneamente non una, ma due grandi lotte; quella stessa della Francia per la separazione e l’altra contro il Re-Pontefice che re-clama la restituzione di Roma come sovrano spodestato e come capo del mondo cattolico. Nessuno può quindi negare l’evidenza; l’evidenza che impone all’Italia di mettersi e ri-manere arditamente all’avanguardia dell’anticlericalismo. Invece i nostri governanti abbandonano perfino la semplice difensiva, ed appartiene ai buoni cittadini il richiamarli al ri-spetto della sincerità. Nella manife-stazione nazionale del 17 febbraio, l’Umbria che si sollevò il 20 giugno 1859 contro il Governo teocratico esprimerà la sua giusta sorpresa nel veder lasciati in dimenticanza i de-

creti del proprio Commissario stra-ordinario Napoleone Pepoli sui privi-legi ecclesiastici, sulla indipendenza delle Opere Pie e di tutti gli educan-dati pubblici e privati dalla vigilanza diocesana; sulla soppressione delle corporazioni religiose, delle decime sulle donazioni di estrema volontà ad enti religiosi. Cavour allorché fu rimproverato dai clericali subalpini per i provvedimenti Pepoli, rispose: Come volete che l’Umbria cammini nella via del progresso con il peso di diecimila frati? Gli anticlericali di Foligno nel 307° anniversario della morte di Giordano Bruno chiede-ranno semplicemente l’osservanza delle leggi promulgate contro le corporazioni, contro i voti solenni, le ricostituzioni e le donazioni simula-te; e nuove leggi a mantenimento delle promesse più volte fatte per la laicità completa della scuola, per la sua graduale avocazione allo Stato, per la precedenza del matrimonio civile, per il divorzio. L’unione dei partiti sinceramente anticlericali ro-vescia in Francia tutto un vecchio mondo; la stessa unione affretterà in Italia le semplici soluzioni che appunto perché semplici sono le grandi soluzioni e le grandi libera-zioni. Il Comitato di Foligno». Alla fine della manifestazione, fu votato l’ordine del giorno che riporto qui: 17 febbraio 1907. 307°anniversa-rio del martirio di Giordano Bruno, Ordine del giorno votato in solenne comizio dal popolo di Foligno. Le associazioni ed i cittadini intervenu-ti al comizio del 17 febbraio 1907, ricorderanno il 307° anniversario del martirio di Giordano Bruno;

dal sapere definitivo, semplici sug-gestioni, facilmente soggette, una volta morto il loro estensore, a ten-tativi di ricostruzione immaginifica all’interno di questo o quel quadro d’insieme. Meno vincolanti di una te-oria fatta e finita, proprio per questo erano in grado di attrarre interpreti di tutti i tipi, una sorta di partitura che lasciava libero campo all’improvvi-sazione. Nel paese del loro autore le conseguenze di tutto ciò furono infelici, dal momento che a tenere le fila di tutto il processo c’era il parti-to che Gramsci stesso aveva guida-to e che, tuttavia, aveva subìto un mutamento di pelle durante la sua prigionia, finendo, una volta in esilio, sotto il rigido controllo di Stalin. Ciò significò una costante strumentaliz-zazione per scopi ufficiali del pen-siero gramsciano, usato a mo’ di di-fesa e di esemplificazione della linea politica del Pci, a prescindere dalle numerose posizioni contraddittorie che quest’operazione era in grado di generare, dai tempi del Cominform a quelli dell’eurocomunismo, e anco-ra più in là fino all’autoliquidazione finale. Una simile camicia di forza tattica impedì ovviamente qualsiasi esame critico delle tensioni e delle incertezze, come anche delle illumi-nazioni, contenute nei Quaderni». Ad esemplificare la ricezione di que-sta sintesi tra multidimensionale e frammentismo, Anderson prende in esame quattro Eredi di Gramsci, i quali a suo dire hanno espresso un «uso creativo» del suo pensiero, «libero da limitazioni istituziona-li»; si tratta del giamaicano Stuart Hall, acuto lettore del thatcherismo;

dell’argentino Ernesto Laclau, l’analista del populismo; del ben-galese Ranajit Gua, attento alle ribellioni contadine; dell’italiano Giovanni Arrighi, il teorico dei “cicli egemonici” d’accumulazione che hanno caratterizzato l’evo-luzione del capitalismo. Ed è ap-punto sul tema dell’egemonia che questi quattro studiosi, cia-scuno a suo modo, hanno realiz-zato la propria «appropriazione» del pensiero di Gramsci. Il saggio di Anderson non è facile: presup-pone la conoscenza dei quattro “eredi”. Tuttavia ci si può provare, anche perché pagine come quel-le su Laclau e il populismo sono impregnate di attualità, come lo sono quelle su Arrighi, più com-plesse ancora ma altrettanto at-tuali solo che si pensi al bellissimo Adam Smith a Pechino (2008), ove l’autore, come non manca di no-tare Anderson, si pone tra gli altri un quesito di fondo: «Una società di mercato concepita alla ma-niera di Smith, tutt’altro che un fautore dell’avidità mercantile e dell’aggressione coloniale poteva forse rappresentare un’alternativa egualitaria al capitale così come lo aveva descritto Marx?» Questione che ci rende la Cina tanto vicina.

fb

La studio di Anderson del 1977 (Ambiguità di Gramsci) si trova nella Biblioteca Comunale alla quale fu dona-to da Mauro Ciotti, un giovane asseta-to di conoscenza. Lo ricordo con affetto grandissimo.

Memori del suo eroismo, della sua immolazione al rogo, con la certez-za di non esser compreso dai suoi contemporanei, fidente pienamente nelle future generazioni che avreb-bero ottenuto ed assicurato il trionfo permanente della ragione umana; Riconoscenti alle grandi nazioni di Francia e d’Inghilterra che respin-gono le invasioni confessionali nella scuola, in tutti i dominî della laicità; Convinti che la separazione lungi dall’offendere i diversi culti li mette e li lascia doverosamente nella pie-na libertà del diritto comune; Nella certezza che per l’Italia la separa-zione e l’anticlericalismo costitui-scano una necessità storica e na-zionale, tanto per le ragioni generali che muovono Francia ed Inghilterra, quanto per le sue speciali contro il Papato Regio e Cosmopolita; In piena armonia con tutte le legisla-zioni civili che proclamano la neu-tralità di fronte a tutte le religioni, a tutti i culti; Deliberano la propria solidarietà a quella che manifesta-no oggi in altrettanti comizi le città italiane, affinché cessi l’alleanza dei governanti con i clericali, affin-ché non si tengano più nella polve-re le leggi già promulgate contro i Gesuiti, contro tutte le Corporazioni religiose, i voti monastici, l’accat-tonaggio serafico, le ricostituzioni, le donazioni indirette. Aderiscono senza riserve a quanto dovrà fare ulteriormente il Comitato nazionale di Roma, per ottenere nuove leggi per la laicità della scuola, per la sua avocazione allo Stato, per la presenza del matrimonio civile, per il divorzio e Deliberano di non ces-

sare dall’agitazione fino a scopo raggiunto, mantenendo sempre l’unione delle forze tra tutti gli anticlericali in Italia e fuori. Calendario del Popolo/4. La crisi politica del regime czarista, iniziata in Russia nel novembre 1916, precipitava tra il gennaio e il febbraio del 1917, sull’onda di una massiccia mobilitazione po-polare che squassò l’universo po-litico dal 23 febbraio (8 marzo da noi) al 27 (12 marzo da noi), con un grande sciopero generale il 25 a Pietrogrado. La scintilla era scoc-cata il 23 febbraio/8 marzo, giorna-ta delle donne, quando coincisero una manifestazione di operaie e la serrata delle fabbriche metallurgi-che Putilov. La molla era la fame, l’obiettivo il pane. Il 27 febbraio, sempre a Pietrogrado, si registra-vano: l’ammutinamento di vari reggimenti, l’assalto alla fortezza di Pietro e Paolo, la formazione del soviet degli operai e dei soldati; il 28 ancora a Pietrogrado il comitato provvisorio della Duma e il soviet si accordavano per sostenere un governo espressione della stessa Duma sulla base di un programma che prevedeva, tra gli altri punti, l’affermazione piena delle libertà civili e politiche, e l’elezione a suf-fragio universale di un’Assemblea Costituente. Il 2 marzo (15 da noi), nasceva il primo governo provviso-rio. Quelle giornate rivoluzionarie videro 53 ufficiali, 602 soldati, 73 poliziotti e 587 civili feriti o uccisi.

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MEMORIA E CULTURAN. 30 – FEBBRAIO 2017 55

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Sono le primissime ore di venerdì 27 gennaio 1967. Da poco è terminata la prima serata del Festival di Sanremo, che si svolge al Salone delle Feste del Casinò Municipale e che vedrà vincitori Claudio Villa e Iva Zanicchi con il bra-no “Non pensare a me”. Ma quell’edizione sanremese non viene ricordata per questo, bensì (anche) per quanto ac-cadde, nelle prime ore del 27 gennaio, nella camera n. 219 dell’Hotel Savoy. Lì, qualche ora più tardi, venne rinvenuto il corpo senza vita di Luigi Ten-co; un suicidio, come confer-mava il biglietto scritto a mano trovato nella stanza, durissimo atto d’accusa a chi aveva elim-inato la sua “Ciao amore ciao” dalla finale. In questa sede non ci occupiamo dei lati oscuri di quella notte che ha messo fine alla vita ed alla carriera di un grande talento, innovatore e precursore, ma vogliamo brevemente ripercorrerne la storia. Classe 1938, nato da una relazione extraconiugale, Tenco si avvicina alla musica dapprima come clarinettista e sassofonista jazz: nel 1953 fon-da una band con Bruno Lauzi, poi entra in un’altra che aveva tra i componenti Fabrizio De André, quindi incontra Mar-cello Minerbi e Gino Paoli. Si trasferisce a Milano ospite, con Piero Ciampi, di Gianfran-co Reverberi, arrangiatore alla Ricordi, che lo fa partecipare come session man ad alcune registrazioni che gli consento-no di ottenere un contratto discografico come cantante. La carriera da solista parte nel 1961, quando esce il primo

45 giri, I giorni perduti. L’anno successivo pubblica il primo 33 giri, contenente successi quali Mi sono innamorato di te e Angela, ma anche Cara mae-stra che venne censurata e gli costò l’allontanamento dalle trasmissioni RAI per due anni. La censura lo colpisce anche nel 1963, quando le canzoni Io sì e Una brava ragazza vengo-no bloccate; poco prima aveva lasciato la Ricordi per la Jolly e rotto l’amicizia con Gino Paoli (a causa di... Stefania Sandrel-li, ma anche questa è un’altra storia). Parallelamente ha una breve ma fortunata carriera da attore, lo si vede ne La cuc-cagna di Salce e in 008: oper-azione ritmo di Piacentini, ed in seguito stipula un contrat-to con la RCA ed incide Un giorno dopo l’altro, che diventa sigla del Commissario Maigret e segna dunque la “riconcili-azione” con la RAI. Altri suc-cessi del periodo sono E se ci diranno, Uno di questi giorni ti sposerò, Ognuno è libero e soprattutto Lontano lontano e Vedrai vedrai, canzoni che ancora oggi, a mezzo secolo dalla scomparsa, non lasciano certo indifferenti all’ascolto. L’ultimo album viene pubbli-cato nel 1966, giusto un anno prima della partecipazione (controvoglia, a detta di De André) a Sanremo e della fine tragica.Come spesso accade, dopo la morte hanno iniziato a pro-liferare omaggi, elogi, premi e coccodrilli vari, ma in fondo poco è cambiato se Tenco, allora considerato un corpo estraneo perché dallo stile di-verso rispetto al mainstream rappresentato da chi vinse quel famigerato Sanremo, oggi è semisconosciuto ai più.

Alessandro Perugini

Martedì 31 gennaio 2017 ha avuto inizio il restauro dell’affres-co della Madonna Incoronata di Francesco Melanzio, posta nella chiesa di S. Pancrazio a Colle del Marchese.Il dipinto di pregevole fattura e di raffinate forme, ha incantato la sottoscritta; da questo ne è nato un movimento che ha coinvolto la comunità di Colle del Marchese con la giovane consigliera co-munale Lisa Filippucci, l’Azienda Fabiana Filippi che si è resa dis-ponibile per la copertura dell’in-tera somma necessaria per i la-vori, la locale cooperativa di oliv-icoltori che contribuirà nell’alles-timento di una documentazione fotografica e dell’illuminazione, la Coobec di Spoleto che sta prov-vedendo al restauro e il Comune di Castel Ritaldi, proprietario del bene, che ha curato la parte bu-rocratica. I luoghi della nostra terra sono davvero straordinari, puoi trovare tesori anche nel pìù piccolo gheriglio di un paese ap-parentemente lontano dai tran-siti attuali; il tempo trascorso, le persistenze e gli attraversamenti umani, pregni di lotte di sangue e d’amore, hanno lasciato segni profondi che avvincono anche il più distratto viaggiatore. Per noi che abbiamo gli occhi avvezzi a tali meraviglie, capita a volte di darne per scontata la presenza, mentre in altre ci soffermiamo e ne gustiamo a fondo la bellezza: a Colle del Marchese questo è successo.Dall’ammirazione della bellezza, all’azione di volerne recuperare interamente l’anima, si è costru-ita la partecipazione attiva di una comunità.Seguiamo i lavori di restauro ese-guiti dalle sapienti mani di Maria Antonietta Santoni e Antonella Filiani, che attraverso la lettura dei segni lasciati dal pittore, ci ai-utano a riportare in vita tecniche e sentimenti fissati nel colore.Alla fine di questo mese potremo rivedere nella sua veste migliore la grazia e la bellezza della Ma-donna Incoronata di Melanzio a Colle del Marchese.

Nella Propersi

È morto l’impiegato comunale Piero PieriEra stato un alunno della sezione A, Scuola Elementare Piermarini, in Corso Cavour. Anni 50, il sa-pore della guerra nell’aria, e insieme la voglia di ricomincia-re tutto da capo.Piero Pieri era uno dei trentacinque scolari che ogni mattina con la loro cartella, il grembiule, il colletto inamida-to chiuso davanti da un fiocco colorato salivano le scale del vecchio Ospitale, diventato da alcuni decenni scuola elementa-re, percorrevano i corridoi su cui si aprivano le aule. lasciavano i cappotti o quello che gli somi-gliava sull’attaccapanni fuori della porta ed entravano nell’au-la dove li attendeva il maestro Pagliacci. C’erano tute le classi sociali in quella classe. Pochi figli di professionisti, un po’ più di operai, e di artigiani, alcuni di famiglie disagiate. Piero Pieri è stato per tutta la vita un impie-gato del Comune. Ora non c’è più e lentamente se ne perderà la memoria, perché a lui come a tanti, come a tutti noi, suoi com-pagni di scuola, non è occorso nulla nella vita che li abbia resi famosi, che li abbia consegnati all’olimpo dei nomi illustri della città e oltre. Non è stato fortu-nato con la salute Piero Pieri, il cuore gli si è inceppato varie volte negli anni della vita, fino a quando l’altro giorno ha chiuso l’attività. Forse hanno contribuito le troppe sigarette, l’unica droga della nostra generazione. Se ne era andato in pensione da alcuni anni, ma non tanti da poter dire che se l’era goduto quel perio-do di meritato riposo. La nostra classe è del 47 e dunque Piero si è fermato al traguardo dei sessantanove anni, non molti rispetto all’attuale aspettativa di vita. Forse se lo sentiva di non campare a lungo e, magari per questo, nei pochi anni della pensione, accanto al quotidiano vivere in casa e a spasso, poco per Foligno, qualche volta ai Canapè, gli è presa la voglia di ritirare fuori una vecchia fotogra-fia. C’eravamo tutti noi di quella classe A della Scuola Elementare Piermarini di Corso Cavour, ri-tratti nel giardino dove si andava per la ricreazione di mezza mat-tina. Al suono della campanella, in fila, percorrevamo il lungo cor-ridoio in fondo al quale si apriva una vetrata, superata la quale si raggiungeva la breve libertà dello spazio aperto, del cielo sopra di noi. Giochi, lotte e sfottò sotto il

vigile sguardo del severo bidello, finché un altro suono della cam-panella troppo vicino al primo ci riportava in classe. Piero Pieri si è girato a lungo tra le mani quel-la foto, poi ha messo un numero sotto di ognuno, quindi il nome di quelli che ricordava, degli al-tri telefonate e ricerche, finché ognuno ha avuto il suo bel nome sotto il numero. Alla fine ne contò trentacinque e cominciò la ricer-ca uno per uno. Alcuni facili per-ché non si erano mai mossi da Foligno altri difficili e per taluni quasi impossibili perché lontani nel mondo. Ma li trovò tutti meno quelli che ci avevano lascato per l’aldilà’. Infine ha convocato tutti a una cena nel ristorante di uno di noi, nazzareno Brodoloni. Siamo andati in tanti e Piero Pieri quella sera era felice, come d’impresa bella compiuta, come di compito senza errori. Poi l’al-tro giorno, non tanto tempo dopo quella cena se n’è andato. Una vita la sua, come tante, trascor-sa lontano dalla ribalta, come le nostre e di lui la memoria so-pravvivrà nei parenti, in quelli di casa, poi sempre di meno e infine nulla, l’oblio. Virtù nasco-ste, grandezze inespresse, quo-tidianità ripetitiva e devastante, sparirà per sempre. Ma allora, a scuola, quasi sessanta anni fa, Tutto doveva ancora compiersi e Piero, quella sera, con tutti noi, è voluto tornare a quell’età prima di andarsene. L’ha fatto per lui, l’ha fatto per tutti noi, ci ha ridato quella sera la speranza che tutto poteva ancora accadere. Si vive di speranza, si vive d’illusioni per combattere la desolante cadu-cità dei giorni della nostra vita. Quella sera Piero Pieri ci ha re-galato tutto questo senza che noi ce ne accorgessimo. Per questo lo piangiamo oggi e lo raccon-tiamo perché il suo ricordo non svanisca.

Marcello Paci

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N. 30 – FEBBRAIO 201766 CULTURA

Eureka, un giovaneUn amico mi chiede di accogliere in questa rubrica le poesie di un giovane, edite in un libret-to tascabile da Melete Poesia edizioni ERA NUOVA. Mea culpa, disconosco sia la raccolta che la casa editrice e, soprattutto, non conosco l’autore… Giovan-ni Ruiu. È un giovane folignate di 26 anni, d’origine sarda, ha fatto studi che con la poesia non hanno nulla a che vedere (crim-inologia); poco altro sappiamo ed allora cerchiamo conforto nella prefazione della Prof. Is-abella Bartoccini. Peggio che andar di notte; una presentazi-one così scarna, in tanti decenni che mi occupo di poesia, non mi era mai capitata. Due elementi rendono invitante l’approccio al libretto: il titolo “Acqua piz-zichina” e la copertina che si avvale di un delizioso disegno floreale rosso di Iolida Tizi che si ripete con tantissime variazioni in bianco e nero nelle pagine interne. Provo a dissetarmi con quest’acqua pizzichina aprendo a caso: “è un po’ come leccarsi i baffi dopo aver gustato/ delle lumache cotte sui carboni ar-denti./ Eppure il fischiettio del loro lamento/ verso una morte percepita era assai frustrante./ Così, allo stesso modo, il mio corpo emana/ suoni di dolore udibili solo all’interno./ Io sono il guscio di me stesso. E devo chiudere gli occhi, per ritornare a vedere./ Che strano poetare! Cerco puntigliosamente di ag-ganciarlo a qualcosa di conos-ciuto, ma devo subito arrender-mi perché per quanto mi sforzi, non trovo nessun appiglio. Dun-que è originale! Dunque meri-ta attenzione. Lo rileggo come fosse la prima volta e mentre scorro i brevi versi, con stupore, mi sorprendo a sostare su pa-role che frettolosamente avevo classificato avulse dal contesto. Rifletto e scopro che accanto a isole armoniche la loro disarmo-nia sono l’essenza che illumina l’urgenza di comunicare un con-cetto intenso e vissuto. A questo punto sono proprio contento di proporvi questa piccola raccolta, sicuro di porgervi l’invito ad ac-quistarlo (€.9) per accedere ad un nuovo sentire. / Il giorno in cui la terra diventerà solo stra-da,/ i borghi solo vie,/ le piazze solo parcheggi, vorrà dire che l’uomo/ si sarà trasformato in oggetto.

Giovanni Ruiu

L’INDIRIZZO È:“[email protected]”,

oppure“[email protected]”.

Per conto de “Il Formichiere”, entrambe del 2016, due pubbli-cazioni omaggiano Lanfranco Radi scomparso nel 2006, ma ancora ben vivo nella memoria cittadina. La prima è curata da Paolo Belardi e Luca Martini: Lanfranco Radi. Il DNA rurale dell’architettu-ra umbra; la seconda, Calei-doscopio Naturae. Lanfranco Radi, curata da Michela Morelli, è il catalogo della mostra della pro-duzione pittorica del Nostro ospi-tata in Palazzo Trinci dal 25 giugno al 18 settembre dello scorso anno, nel decennale della sua morte.Scrive Belardi, in Premessa alla prima delle due opere, di aver scoperto in lui “un progettista che coniugando tradizione e innovazi-one era riuscito a riprendere il DNA dell’architettura rurale umbra senza rinunciare a un’espressione schiettamente contemporanea”. La monografia delinea la figura eclettica e poliedrica del proget-tista, disegnatore, rilevatore, illus-tratore botanico e satirico, pittore, designer, architetto (e poeta) Radi. Cui pare perfettamente attagliarsi l’aforisma di Giancarlo De Carlo, secondo il quale “l’architettura è troppo importante per essere las-ciata agli architetti”. Nel senso che la progettazione architettonica è stata in lui, pur privo di lauro ac-cademico dopo studi impegnativi nella facoltà fiorentina, l’approdo finale di approfondimenti teorici e operativi nelle più diverse direzi-oni. D’indole mite, schiva e riser-vata ma pure decisa e determina-ta, Radi ha inciso in modo origina-le sul tessuto culturale di Foligno. Belardi, Martini, Pietro Carlo Pel-legrini, Rita Fanelli Marini, Fabio Marcelli, Emanuela Ferretti, Valeria Menchetelli, Laura Nardi, Giovan-na Ramaccini, Italo Tomassoni, Luciano Beddini, Filippo Battoni, Alfiero Moretti e Michela Morelli ne illustrano le qualità umane e professionali con sottolineature “tecniche” che forse non sem-pre chi scrive è stato in grado di cogliere interamente. Giovanissimo, con Lanfranco Ce-sari, Bernardo Bolli e Alvise Cec-conelli, Radi organizza nel 1958, sulla scia della più famosa mani-festazione di Bordighera, la mos-tra-concorso dell’umorismo che, interrotta otto anni dopo, troverà felicissima continuazione, a par-tire dal 1985, nelle varie edizioni di “Humourfest”, delle quali Radi disegna abitualmente le locandine. E ricorda Marcelli che “l’umorismo fu l’asta che ha dato equilibrio ai passi di Lanfranco Radi sulla fune della vita”. Nel 1962-63, lavora al recupero del cuore medievale di Palazzo Trinci, riportando alla luce la “scala gotica” che univa le case vecchie dei Trinci al palatium novum di Ugolino III e lo stesso Mar-

celli sottolinea l’eccezionale valore dell’intervento: Radi “era riuscito in un cimento dove altri avevano già fallito, miniando l’incipit per la conoscenza e la valorizzazione” del Trinci. Quattro anni dopo il termine dei lavori della scala gotica, nel 1967, il palazzo ospita una mos-tra d’arte contemporanea, epocale per Foligno e di fondamentale rilie-vo anche in un’ottica nazionale: Lo spazio dell’immagine, che vede in città, dal 2 luglio al 1 ottobre ’67, artisti del calibro di Getulio Alvi-ani, Mario Ceroli, Tano Festa, Gino Marotta, Pino Pascali, Michelan-gelo Pistoletto, Ettore Colla, Lucio Fontana e altri già grandi o che lo diventeranno. Nel cortile e nei saloni sono seminate “venti opere d’arte create ex-novo o riattate, per esplorare la corrispondenza tra una ricerca creativa, insoffer-ente delle etichette critiche, e gli ambienti di un monumento storico ritrovato e riscoperto con sommo stupore”. Anima del comitato or-ganizzatore, con Gino Marotta è Radi che il 10 marzo 2004, in una nostalgica commossa conferenza alla Biblioteca Jacobilli, ricorderà come “Foligno si trovò al centro dell’attenzione nel mondo dell’arte contemporanea”. Emblema della mostra, in copertina del catalogo, elaborato e stampato con un tono cromatico optical, l’uovo di struz-zo di Piero della Francesca nella Pala di Brera. Erano anni, quelli dal 1955 al 1968, in cui lezioni alte venivano dall’Umbria, “laboratorio nazionale sui temi del dialogo tra città antica e moderna, restauro e urbanistica”. E Radi, scrive Belar-di, sarà “uno degli ultimi esponenti della scuola umbra del restauro ‘colto’”. La rivoluzionaria mostra del ’67 a Foligno, riconosce esplicitamente Radi, ha avuto primario fermen-to nella figura di Dino Gavina che costruisce a Foligno nel 1961 uno stabilimento la cui produzione si caratterizza per l’originalità del design, e nel corteggio di grandi artisti e designers che con Gavi-na lavorano e creano: Fontana realizzava nell’opificio folignate i suoi Teatrini, Marotta vi costruiva i pannelli del soffitto monumentale della costruenda sede RAI di viale Mazzini. E tra i vari Fontana, Colla, Marotta, Biasi, Boriani, Alviani che frequentano Gavina e la sua fab-brica, Radi realizza la famosa se-dia pieghevole Stella, riprendendo il modello originale, con la stella sulla seduta, utilizzato dalle truppe americane della seconda guerra mondiale. Diceva Gavina, e Radi ne era altrettanto convinto: “ciò che è ben fatto va soltanto repli-cato”. Unanimi sono ormai i rico-noscimenti per il suo grande tal-ento di disegnatore che ne fanno un degno erede della prestigiosa tradizione italiana. “Mai come nel caso di Radi il disegno assume il ruolo di metodo d’indagine della realtà, di estensione dello sguardo,

di ‘forma-pensiero’ che si concret-izza sulla carta” (Menchetelli). Su questo specifico versante dell’op-era di Radi, di fondamentale ril-ievo culturale per Foligno è stata senz’altro la catalogazione degli elementi tipologici dell’edificato storico locale, condotta col figlio Lorenzo e pubblicata in Foligno in particolare. Elementi tipologici dell’edificazione storica, edito nel 1997, l’anno del terremoto. Lì, “le analisi tematiche classiche (dalle tessiture murarie alle pavimentazi-oni fino alle coperture) (…) sono state integrate non solo dal tributo alla sapienza del lavoro artigiana-le (del fabbro, del lattoniere e del falegname) ma anche e soprattut-to da un’elencazione di quegli ele-menti minori della città storica che, purtroppo, sono i primi ad essere immolati sull’altare dell’ammod-ernamento: cantonate, paracarri, copertine, edicole, portali, canne fumarie e fumaioli. Un’elencazi-one tassonomica (...) assurta suo malgrado a dizionario del dialetto edilizio locale volto a guidare la manutenzione e il recupero deg-li elementi esterni del patrimonio edilizio storico minato dagli eventi sismici del 1997” (Belardi). Foligno in particolare, insomma, si è rive-lato “un riferimento imprescindi-bile per il territorio folignate nella ricostruzione del dopo terremoto” (Fanelli Marini). Il suo forte legame al contesto culturale locale indagato e pro-mulgato senza mai scadere nel vernacolare ma attento a cogliere il rapporto locale-globale, emerge vistosamente anche dai due erbari da lui disegnati: Hortus celatus, del 1996 e Hortus mirabilis. I giardi-ni incantati, del 1999, che l’anno successivo gli varrà uno speciale riconoscimento della giuria al Pre-mio internazionale Giardini botani-ci Hanbury. Tra sussidio didattico e raccolta erudita, i suoi disegni acquerellati “che nei modelli di Linneo e di Leonardo trovano i più eminenti riferimenti per rigore sci-entifico e suprema bellezza, racco-ntano il sapere che ha segnato la cultura dell’uomo fino all’età mod-erna” (Tomassoni). E il Radi architetto? Particolar-mente illuminante la testimonianza di Battoni per la cui famiglia Radi effettuò nei primi anni Settanta la ristrutturazione di una vecchia casa sui piani di Ricciano (Colf-iorito di Foligno). La vicenda per-sonale viene raccontata in quanto emblematica d’un modus operandi di Radi nel rispetto pieno delle es-igenze della committenza. Era un periodo, ricorda Battoni, in cui tra la borghesia medio-alta della città andava di moda affidarsi all’ar-chitetto Radi. I cui lavori si sono profondamente diversificati da quanti in Umbria negli anni hanno progettato “casolari rurali” e “edifi-ci urbani” con un linguaggio verna-colare fatto di inutili capriate lignee private del loro ruolo strutturale,

LIBRI

UOMO DAL MULTIFORME

INGEGNOriproponendo solo esteriormente tipologie antiche in piena “sin-drome da Mulino bianco” (Moretti). Per quanto riguarda la sua pro-duzione pittorica, da più parti, in entrambe le pubblicazioni si sotto-linea la tendenza di Radi a conseg-nare i suoi paesaggi e i suoi quadri astratti ad una sorta di isolamento volontario, interrotto da non più di tre o quattro occasioni di rarissime e selezionate mostre. Per Tomas-soni: “Qui l’esercizio dell’arte come approccio alla scienza in quanto pittura, diventa il prodotto di un’at-titudine critica interamente costru-ita sulla superficie del quadro ove si sviluppano pattern visivi che coinvolgono direttamente la strut-tura della percezione e quella della coscienza”. E, significativamente, sempre a proposito del Radi pit-tore, scrive la Morelli: “in fondo la pittura di Radi risponde perfet-tamente alla metafora del seme in cui tutto (spazio, forma, colore, nascita e morte) è contenuto in po-tenza e si manifesta nella profonda esplorazione di questo contenuto indefinibile se non attraverso una comprensione primaria delle parti e un successivo sviluppo di tutte le loro implicazioni in rete”. Un ricordo personale, per chiu-dere. Una trentina d’anni fa, fui della squadra che realizzò il carro barocco che sfila tuttora col cor-teo storico della Quintana. Il cap-olavoro, corrusco di turchino con raffinati inserti dorati, fu appare-cchiato nel capannone del “Co-comero rock” dove si allestivano i carri del Carnevale di Sant’Eraclio. Zelante garzone di bottega ese-guivo gli ordini del clementissimo, bonario mastro progettista che al-tri non era se non Lanfranco Radi. In squadra c’erano anche Alfio Er-colani, Giuliano Scarponi, Luciano Beddini, Vladimiro Cruciani. Se non ricordo male, fui dunque “sesto tra cotanto senno”.

Adriano Serafini

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SPOLETON. 30 – FEBBRAIO 2017 77

È stato utile il convegno pro-mosso dai sindacati il 13 feb-braio? Quanto e su cosa?L’occasione è stata assoluta-mente utile, non solo perché ha dato la possibilità all’intera comunità spoletina di prendere atto di qual è la reale situazione post terremoto nel nostro ter-ritorio dal punto di vista delle emergenze, ma anche perché ha permesso, a me in qualità di am-ministratore e alle associazioni di categoria, di rappresentare le problematiche e di parlare delle grandissime difficoltà dentro cui tutti noi ci stiamo muovendo. Si è trattato quindi di un momento molto importante per ragionare sulle questioni relative alla situ-azione post terremoto, anche ri-chiamando la necessità di avere regole più agili per velocizzare l’iter della ricostruzione e per cercare di essere più efficaci nelle risposte ai cittadini.Quanta collaborazione ha trova-to dalle istituzioni e dai cittadini?Nonostante le difficoltà che in-contriamo quotidianamente, è innegabile la collaborazione avu-ta in questi mesi da parte delle istituzioni. La drammaticità del fenomeno sismico, che abbia-mo conosciuto da agosto in poi, rende difficile per tutti la solu-zione dei problemi. Quindi, an-che se qualche appunto da fare ci sarebbe, non abbiamo alcuna intenzione di porci in contrap-posizione, perché ci rendiamo perfettamente conto che, così come capita a noi a livello lo-cale, anche le istituzioni sovraor-dinate sono sottoposte ad una grandissima pressione, legata alle difficoltà e alle problematiche da affrontare. Per quanto riguarda i cittadini non posso che essere orgoglioso della collaborazione manifestata in questi mesi, una dedizione che ha coinvolto cen-tinaia di persone, di volontari che ci hanno aiutato ad assistere la popolazione e ad organizzare

i servizi. Un aiuto che, dopo il 30 ottobre e in meno di mezza giornata, si è dimostrato fonda-mentale per l’allestimento delle tre aree di accoglienza che abbi-amo attivato per consentire ad oltre 500 persone di dormire fuori dalle proprie abitazioni in una situazione di estrema emer-genza.Che carico di lavoro hanno i sindaci in momenti così difficili?Il carico è sia di ordine morale, che di ordine più strettamente operativo. Parlo di morale per-ché ovviamente, in situazioni così difficili, si corre il rischio di scoraggiarsi, di perdere la sper-anza di fronte ad incombenze che appaiono enormi. Non pos-siamo però abbandonarci allo sconforto, dobbiamo essere vi-cini alla popolazione e infonde-re la voglia e il desiderio di ri-partire. Chiaramente poi c’è da fare i conti con un impegno che è h24, per intervenire in tempo reale e coordinare sopralluoghi e aiuti. Non solo. In un contesto del genere e avendo più diret-tamente contatto con le prob-lematiche delle nostre comunità, siamo impegnati anche in inter-locuzioni continue con le istituz-ioni sovraordinate, per cercare di dare risposte normative e op-erative efficaci alla popolazione: sono decisioni che non dipen-dono direttamente dai Comu-ni, ma assumono comunque un valore enorme. Da una parte, quindi, va lanciato un messaggio di speranza, perché dobbiamo far ripartire le attività economi-che e la nostra economia legata al turismo; dall’altra non possia-mo però tacere rispetto ai dan-ni che abbiamo avuto. Su questo punto ho ricevuto addirittura accuse di titubanza, quando in realtà, pur non avendo all’inizio il pieno sostegno di alcune as-sociazioni di categoria, sono an-dato direttamente al Ministero dell’Interno a segnalare i danni causati dal terremoto al nostro territorio, ricevendo fortunat-amente risposte positive per la nostra città.

I lavori di ripavimentazione di piazza del Mercato, come concordato con i rappresen-tanti dei commercianti, sono iniziati a gennaio, e non nel periodo natalizio, per non pe-nalizzare ulteriormente la già difficile condizione economica del centro storico. A dicem-bre sono stati compiuti i rilievi georadar, affidati a una ditta di Latina e interesserà le reti sotto la pavimentazione e il riassetto del lastricato. Per un progetto di un costo di circa un milione e mezzo di euro, finanziato da Vus che si con-cluderà in 479 giorni. Il Co-mune, ha programmato con la Vus, di sospendere i lavori in prossimità del prossimo Festi-val di Spoleto, che compirà il sessantennale. Per mantenere la piazza aperta al traffico, i lavori procederanno per zone progressive. ‘Abbiamo deci-so – spiega il sindaco Fabrizio Cardarelli – che da giugno fino alla fine del Festival smantellia-mo il cantiere, probabilmente presenteremo la piazza senza pavimentazione, ossia col mas-setto a vista…’ Buon lavoro a tutti, e speriamo bene!

***

Ed ecco, nella foto, la ‘sposta’ dei primi sanpietrini.

Una storia lunga 15 anni (e chissà ancora per quanto du-rerà) caratterizzata da appalti assegnati, bufere giudiziarie, amministrazioni straordinarie, lavoratori senza stipendio, can-tieri bloccati, quella dei 9,8 chi-lometri che dividono Campello

sul Clitunno da Spoleto, lungo i quali dovrebbe essere realiz-zata una nuova linea ferroviaria a semplice binario con traccia-to diverso da quello della linea attuale. Un tratto di raddoppio ferroviario che rientra in quel-lo ben più ampio e strategico per il trasporto nazionale e um-bro, che interessa la linea Orte - Falconara. Uno sventurato cantiere aperto nel 2001 e co-stato, tra fallimenti, sospensioni

e inadempienze delle ditte ag-giudicatarie oltre 100 milioni di euro che se fosse stato portato a termine avrebbe potuto risol-vere i problemi dei tanti pendo-lari umbri. Quello che rimane di questa opera incompiuta sono cumuli di materiale da scavo, gallerie ed edifici incompleti, i box dei cantieri arrugginiti e metri e metri di rete arancione.

Legambiente Umbria

domande al SINDACO

Civiltà Laica, i Cobas e l’”UAAR” ritengono gravis-simo il fatto che nella nostra Regione l’ospedale di Folig-no non offra più il diritto alle donne all’IVG (interruzione volontaria della gravidanza) in quanto l’unico medico non obiettore che praticava gli aborti si è spostato in un altro ospedale.Dalla schiacciante vittoria referendaria del 1981 in cui la volontà popolare sancì la conferma della legge 194/78 e dunque il diritto di scelta e la libertà delle donne di de-cidere quando portare a ter-mine la gravidanza, contro le pretese anacronistiche e total-itarie della chiesa cattolica, si è cercato di ostacolare questo diritto in ogni modo.Intere regioni con medici obi-ettori o, sarebbe meglio dire opportunisti, che non rendo-no fattuale questo diritto alla scelta, alla maternità consape-vole e alla salute delle donne.Se l’obiezione di coscienza in materia di aborto poteva avere un senso nel 1978, oggi non ha più ragione di esistere: quando fu approvata la legge 194, era giusto prevedere in maniera transitoria la possibil-ità dell’obiezione per tutti quei medici che avevano scelto la specializzazione in ginecologia

prima che l’impianto giuridico cambiasse. Oggi quell’articolo va cancella-to o rivisto, senza se e senza ma. Uno studente di Medici-na che scegliesse di specializ-zarsi in Ginecologia dovreb-be sapere, sin dall’inizio, che nell’esercizio pubblico della sua professione rientra anche la possibilità di operare degli aborti.Nel caso in cui avesse prob-lemi di coscienza a operare in tal senso, non gli resterebbero che due alternative: lavorare in privato, dove gli aborti sono vietati, o cambiare specializ-zazione. Una volta palesata la posizione antiabortista, queste persone non dovrebbero né voler né poter accedere ad incarichi pubblici come ginecologi, per-ché il servizio pubblico deve garantire il diritto della donna di interrompere la gravidanza.Questo passaggio ci pare es-tremamente chiaro e lineare e chiediamo che sia applicato in Umbria: non devono esserci scuse per negare il diritto fon-damentale delle donne all’in-terruzione volontaria di grav-idanza.

Civiltà Laica, Cobas Terni, UAAR Terni

NO AI MEDICI OPPORTUNISTIDIRITTO ALL’IGV PER LE DONNE IN UMBRIA

Page 8:  · “La gran bonaccia delle Antille” è il rac - conto satirico di Italo Calvino pubblicato su “Città aperta” nel 1957, che prelude alla sua uscita dal Pci. In esso si rampo

N. 30 – FEBBRAIO 2017

MENSILE DI MILITANZA CIVILE FONDATO DA PIERO FABBRI

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una copia del libro Annuario Folignate 1911, a cura di Fabio BETTONI.

Direttore Responsabile: Cinzia Gubbini.

Periodico iscritto al Registro periodici del Tribunale di Spoleto n. 4 del 19 / 11 / 2013Editore: Il Formichiere di Marcello Cingolani, Via Cupa n. 31, 06034 Foligno (Pg), cell. 331 2664217, tel. / fax 0742 67649, P. Iva: 03018580542, Cod. Fisc. CNGMCL53P17D653Y, [email protected], Rea Perugia n. 257926, Codice Inps 24861719719RF, www.ilformichiere.it.Grafica: Vania Buono – Impaginazione: Dimensione Grafica – Spello (PG) – Tel. 0742 / 450500. Chiuso in redazione: il 15 febbraio 2016. Tiratura: n. 1.500 copie. Stampa: Dimensione Grafica snc – Tel.: 0742 / 652677. Caporedattore: Piero Dosi. In redazione: Fabio Bettoni, Vania Buono, Renato Covino, Alessandro Placidi, Alessandro Porcu, Roberto Tavazzi. Hanno collaborato a questo numero: Luciano Brunelli, Isabella Caporaletti, Carlo Cappotti, Andrea Martocchia, Marcello Paci, Alessandro Perugini, Roberta Privitera, Maria Assunta Pucciatti, Nella Propersi, Adriano Serafini, Sara Trionetti, Marco Vulcano. Pagina Web: Alice Porcu.Stampato su carta riciclata al 100% sbiancata senza cloro. DISTRIBUZIONE GRATUITA

88 GUALDO CATTANEO e GIANO DELL’UMBRIA

Proprio così. A Gualdo Cattaneo le formiche… cioè i bambini del-la Scuola Materna e insieme a loro un gruppo di giovincelli che te li vedi sempre in piazza a dare quattro calci ad un pallone, hanno deciso di “tossire”. Cioè farsi sen-tire. In che modo? Organizzando uno spettacolino nel pomeriggio di Martedì 28 Febbraio, ultimo gior-no di Carnevale, presso il Teatro Comunale.

I vigili tornano a casa, è il Consiglio Comunale di Gualdo Cattaneo a dare l’avvio a quella che sarà la fine del Corpo Unico di Polizia Municipale dell’Unione dei Comuni. In tre anni e mezzo si sono registrati solo l’aumento dei costi, il peggioramento del servizio (i vigili sono “desaparecidos” dal nostro comune) e un crescente malumore tra gli operato-ri, che lamentano la perdita di un pezzo di salario oltre ad un’organizzazione del lavoro approssimativa. In Consiglio Comunale i distinguo non mancano. Pensi e la sua vice Benvenuta hanno difeso strenuamente le scelte del pas-sato, altri membri della maggioranza hanno avuto l’onestà di ammettere l’errore (su tutti Cola e Gentili). La mi-noranza gongola: il nuovo asse grillino Antonini-Cerquiglini (costituitosi nei fat-ti al di là del gruppo di appartenenza a causa di un centro destra che sembra evaporato), s’interroga sull’utilità della stessa Unione incapace di discutere e decidere su cose serie (Cerquiglini cita i rifiuti) e, afferma che il fallimento del servizio Associato di Polizia Municipale era annunciato fin dall’inizio a causa di una palesata incapacità organizzativa. Due sono i nodi cruciali su cui vale, a mio avviso, la pena riflettere. Punto numero uno: dopo quindici anni e quat-tro mesi dalla nascita dell’Unione dei Comuni, chiamata Terre dell’Olio e del Sagrantino, se le finalità di “[...] garan-tire un sistema di economie di scala con un corrispondente risparmio per i cittadini e di fornire servizi pubblici con

sempre maggiore efficienza [...]” non sono state raggiunte, è forse il caso di iniziare a parlare di fallimento del pro-getto? Punto numero due: si va verso la fusione di Gualdo e Giano. Al di la delle dichiarazioni di facciata, le ragioni di fondo che hanno avviato il processo sono le stesse che nel 2001 hanno fat-to nascere l’Unione. Razionalizzazione, riorganizzazione e pseudo - risparmi (oltre alla ricerca di visibilità politica per alcuni): insomma un altro fallimento annunciato che pagheranno i cittadi-ni? L’organizzazione dello Stato appare sempre più approssimativa a ogni livel-lo a causa di una classe politica e diri-gente pseudo riformista al servizio degli interessi del Capitale (l’imprenditore di turno a livello locale, la multinazionale in Europa). Ogni riforma messa in atto o tentata negli ultimi periodi ha come obiettivo lo smembramento di tutto ciò che è pubblico per sostituirlo con il privato, la speculazione e il saccheg-gio dei beni di tutti per la ricchezza dei pochi. Ecco che la democrazia diventa un costo, le regole e i diritti dei freni allo sviluppo e i servizi dei privilegi che non possiamo più permetterci. Speriamo che dai territori più in difficoltà come i nostri possa presto essere costruita un’alternativa a questa visione, perché la ricchezza è ridistribuita dal basso verso l’alto e dalle periferie al centro e la maggioranza di noi sicuramente non ne beneficerà.

Alessandro Placidi

Risiko: la mappa delle deleghe

Il Sindaco di Gualdo dichiara aperta la sua silenziosa guer-ra alle deleghe. L’Ass. Brunella vince ai dadi contro l’Ass. Ben-venuta, conquistando la cultu-ra. Il Cons. Bellachioma attacca la Cons. Santi e fa sua l’urban-istica. Il Cons. Proietti, riesce finalmente a conquistare un territorio, aimè di poco conto, lo sport. Il neo Ass. Gili piazza i carri armati sui rifiuti e sul patri-monio dell’Ass. Cola e come da regolamento subentra in giun-ta all’ex Ass. Gentili, che riesce a difendere le sue deleghe. Chi ha perso il Risiko?

Evviva, è arrivato Topo Gigio!

Voci di popolo affermano che, la mattina del 13 febbraio, un dirigente del Comune di Gual-do Cattaneo, abbia deriso una proposta di raccolta firme in-detta dalla Proloco, per appor-tare migliorie al paese. Dopo una prima fase di scherno, la persona in questione si è con-vinta a firmare e, con un sorriso sornione, ha invitato le persone intorno a lui a controllare. E qui la scoperta: si è firmato Topo Gigio (sia in stampatello che in corsivo). Tutto ciò ci sconvolge, perché ci fa pensare che abbia-mo un piccolo burlone comico negli uffici, ma dal’altra parte ci conforta, perché riusciamo finalmente a spiegarci il moti-vo per cui molti lavori effettuati sono rimasti incompleti o in sospeso. Ma cosa mi dici mai?

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Quando, nel giugno del 2014, venne presentato il progetto della variante stradale che in-teressa la frazione di Bastardo e il risanamento della provinciale 451 che collega la frazione di Giano dell’Umbria a Spoleto, fu accolto con un sospiro di sollievo. Finalmente il traffico pesante non avrebbe più tran-sitato per il centro di Bastardo e le vie principali sarebbero finalmente state sistemate co-struendovi anche rotatorie e marciapiedi. Un investimento a sette cifre quello della Regione, che avrebbe riqualificato un’a-rea da troppo tempo dimenti-cata. E così iniziarono i lavori, di certo non illuminati dalla luce di una buona stella. Basti pen-sare al black out subito in gran parte del quartiere o all’attuale blocco dei lavori. In entrambi i casi si tratta di errore umano. Ma intanto possiamo ritenerci fortunati perché dopo una lun-ga attesa i lavori sono iniziati e, prima o poi, dovranno finire. Si spera. La nuova strada passerà tangente a quell’ampia area nota con il nome di Fornace di Bastardo: una fabbrica di lateri-zi di cui si ha notizia già dagli ultimi decenni del XIX secolo. Nel 1929 l’ingegner Francesco Bruno acquistò la grande fab-brica e diede l’incarico all’archi-tetto Tasca di realizzare il pro-getto di ammodernamento. L’ingegnere aveva già investito sul territorio dal 1918, quando era tornato dall’America fon-dando una società di estra-zione mineraria e ponendo in luce quella che sarebbe stata la futura centrale. Nella Fornace giungeva una diramazione del-la ferrovia che trasportava la li-gnite alla Centrale di Bastardo

I bambini con la collaborazione delle maestre e assistite dal “Coro delle Mamme“, hanno preparato una serie di canzoncine accattivan-ti alla maniera dello Zecchino d’Oro (già negli anni ‘70/’80 si faceva in loco una manifestazione chiamata, appunto, Rocca d’Oro). I più gran-dicelli invece, anche loro aiutati e diretti da qualcuno più anziano, si destreggiano con delle scenette brevi di umorismo spicciolo, ma assai simpatiche. Un esperimento che se piacerà, se verrà incorag-giato e aiutato, non è detto che non possa trasformarsi in una piccola compagnia teatrale. Per ora, du-rante le prove si divertono come matti… come pure i bambini nel cantare le loro canzoncine. Con l’occasione verrà allestita una mo-stra fotografica “Musica e teatro a Gualdo Cattaneo” Una raccolta di foto dagli anni ‘30 agli anni ‘80 che vede come protagonisti musi-cisti, teatranti, maschere, che negli anni si sono esibiti presso il Teatro Comunale. È già tanto. Il teatro ora c’è e in qualche modo bisogna go-derselo... In futuro si vedrà.

Luciano Brunelli

che si sviluppava nelle vicinan-ze, proprio al di là della strada. La lignite che giungeva così alla Fornace veniva impegnata come combustibile per la cot-tura dei laterizi. L’impianto in questione produceva 40.000 laterizi al giorno e occupava una superficie di 80.000 mq a cui si aggiungeva l’area della cava di 40.000 mq. La fabbrica rimase in funzione fino al 1955 e a seguito di un periodo di inattività, nel 1963 fu riavviata grazie all’intervento dell’Indu-stria Tacconi (SILT) e continuò a lavorare fino alla definitiva chiusura avvenuta nel 1988. Sono cambiati i proprietari nel corso di questi decenni ma l’impianto resta ancora lì, anche se un po’ nascosto da strutture più recenti. È da considerarlo ormai un tangibile esempio di quella che gli studiosi defini-scono archeologia industriale. Chissà, forse quando termine-ranno i lavori e la variante sarà finalmente utilizzabile, i tanti fruitori, meravigliati, si rende-ranno finalmente conto della presenza di questo grande im-pianto, abbandonato e caden-te, e magari a qualcuno verrà il desiderio, e sarebbe anche ora, di porre sul tavolo il problema.

Sara Trionetti