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Il libro

Nidhoggr, la malvagia viverna cheun tempo cercò di distruggere

l’equilibrio della natura, è tornato.

Il sigillo che lo teneva imprigionatoè stato infranto e il suo potere ha

soggiogato la Terra intera,trasformando tutti gli uomini inmostri disposti

a qualunque sacrificio per

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sconfiggere Sofia e gli altriDraconiani. La loro

missione è trovare il frutto diThuban, l’ultimo e il più importantedei

cinque globi magici che farannorisplendere di nuova vita l’Alberodel

Mondo e riporteranno sulla Terra ilregno di Draconia. Ma Ofnir,

il

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nuovo alleato delle viverne, hafrantumato il frutto contro il sigilloper

liberare il suo padrone, e iframmenti sono nascosti in treluoghi misteriosi

sparsi per l’Italia. Nell’ultima,fatale battaglia che Sofia dovràcombattere,

ostacoli imprevisti si opporrannoalla vittoria: i draghi che hannosempre

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vissuto nel cuore dei suoi compagnirischieranno di svanire per sempre,e

con loro il regno di Draconia…

L’autore

Licia Troisi, nata a Roma nel 1980,è l’autrice fantasy italiana piùvenduta

nel mondo, grazie allo straordinariosuccesso delle saghe del “Mondo

Emerso”, della “Ragazza Drago” e

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della nuova saga “I Regni diNashira”.

Laureata con una tesi sulle galassienane, lavora come astrofisica.

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Prologo

Tutto era buio e silenzio. Unanotte nera era scesa sul lago diAlbano, e

sotto la sua superficie gelida nonfiltrava la luce della luna. Lacreatura

avrebbe rabbrividito, se il suocorpo metallico fosse stato ingrado di

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provare freddo. Ma non c’eracarne a rivestire i suoimeccanismi, non

c’erano nervi intorno alle sue ossad’acciaio.

«Sono stanco di questo buio. Failuce» disse.

L’uomo, dietro di lui, schioccò ledita. Una fiaccola fluttuante

comparve tra le sue mani e acceseuna luce opaca sulla distesa che li

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circondava. Era una piana brulla edilavata, arsa dal fuoco diun’antica

catastrofe. In alto, sulle loro teste,il guscio d’acqua che liracchiudeva

rifletteva quel fioco bagliore.Erano immersi nelle profondità dellago,

eppure potevano respirare.

La creatura avanzò per prima, con

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passo lento e trascinato. Uno

stridio di meccanismi imperfetti, ilgemito del metallo che tagliava il

silenzio. Ormai abitava quel corpomeccanico da settimane, maancora

non si era abituato. I suoimovimenti erano lenti e scattosi.

«Volete che vi aiuti?» si offrìl’uomo, tendendo una mano. La

creatura lo respinse con un gesto

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sprezzante. Odiava sentirsi debole.

L’uomo abbassò gli occhi e siritrasse.

Avanzarono piano, finché nongiunsero sull’orlo di un profondo

avvallamento. Laggiù, nel puntopiù basso, si ergeva unacostruzione

appena distinguibile nellapenombra. Una fila di colonnesgretolate dal

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tempo sorreggeva una cupolafatiscente: un tempio in rovina.

«Non ricordo questo posto» dissel’uomo.

«Non puoi» gracchiò la creatura.«Eravate tutti già morti quando

venne costruito da Lung, il primodei Draconiani.»

L’uomo fece una smorfia didisgusto, quindi sputò a terra.

«Io ero già sepolto nelle viscere

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della terra, allora» continuò la

creatura «ma dall’oscurità dellamia prigione li sentivo muoversi,

ripopolare la superficie einvaderla con le loro orribilicostruzioni…

Stirpe maledetta, traditori! Loroerano miei, miei!»

«Lo saranno di nuovo» dissel’uomo.

Scese per primo lungo il dirupo, e

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questa volta l’essere non rifiutò il

suo aiuto. Gli sarebbe statoimpossibile percorrere una discesatanto

ripida con quell’umiliantecaricatura di corpo che eracostretto ad

abitare.

Giunti sul fondo, entrarono neltempio.

L’oscurità oltre la soglia era

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rischiarata da una luce pulsante.

L’uomo rabbrividì. La creaturanon poteva dargli torto: il potereche

promanava da quel luogo era cosìintenso e puro che faceva persino

scricchiolare le giunture del suomisero corpo. Lo assaporò fino infondo.

«Vai» sussurrò.

L’uomo avanzò. Al centro del

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piccolo tempio si ergeva una lastradi

pietra larga una decina dicentimetri, lucida e calda. Dallasua superficie

trasudava un sangue nero,violaceo, la fonte di quella tetraluminosità.

Lento e viscoso, scorreva a rivoliper il pavimento, scoppiando ditanto in

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tanto in pigre bolle. L’uomo evitòaccuratamente di calpestarlo e,giunto

vicino alla pietra, si accovacciò.Indossò un paio di guanti di pelle,poi

estrasse qualcosa da una sacca divelluto: era un globo luminoso,che

brillava di una guizzante luceverde.

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«Aspetta!»

L’uomo si fermò.

L’essere ripercorse in un istantetutto quel che era accaduto dal

momento in cui era statoimprigionato nel sigillo. I secoli, imillenni

consumati al buio e al freddo, ilrancore come unico compagno e il

desiderio di vendetta così urgenteda farlo impazzire. Ma adesso

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tutto

stava per finire. Erano gli ultimiistanti di schiavitù.

«Il tuo sacrificio non è servito anulla, Thuban» sibilò condisprezzo.

«E nemmeno la tua progenie ti èstata d’aiuto… È stato così facile

sopraffarla! I tuoi sforzi sono statiinutili.»

Guardò l’uomo, quindi annuì.

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Quello sollevò il globo e lo sbattécon

violenza contro la pietra nera. Lasfera si ruppe in tre pezzi, e per un

istante la sua luce si diffusetutt’intorno. Ma fu soltanto unattimo. La

pietra iniziò a creparsi, primaquasi impercettibilmente, poisempre più a

fondo. Il sangue eruppe violento,

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un terremoto squassò il tempiofino alle

fondamenta. Infine la pietra vennedivelta del tutto dalla sua sede, esopra

il frastuono si alzò una risataraggelante. Il tempio si sgretolò,la piana fu

invasa da un’accecante luceviolacea. L’uomo fu costretto acoprirsi il

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volto, mentre gli occhicominciavano a lacrimargli.

Una sagoma immensa emerse dalpavimento. Il profilo di un corpo

lungo e sinuoso come quello di unserpente distese le sue spire oltrelo

squarcio nella cupola, alimastodontiche e membranose sispalancarono

di scatto, sferzando la superficie

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in un unico, possente battito. Ilrosso di

un ghigno irto di zanne baluginònel buio, e due occhi accesi di una

malvagità senza pari scintillaronoferoci.

L’uomo si prostrò fronte a terra.

«Mio Signore, mio Signore, mioSignore!» urlò.

La viverna si erse in tutta la suavertiginosa altezza: il capo, sul

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collo coperto di spine, sfiorava iltetto d’acqua. Mosse ancora le ali,

quindi ruggì al cielo. Da ultimo,guardò il corpo metallico,abbandonato

in un canto come un involucrovuoto. Lo incenerì con un’unica,densa

fiammata. Quando ebbe finito,rimase solo una pozza di metallofuso.

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«Mio Signore!» urlò ancoral’uomo.

La viverna lo guardò con alterigia.«Sì, sono il tuo Signore, di nuovo

nel pieno del suo vigore, propriocome un tempo.» Mosse gli artiglipiano,

quasi a saggiarne la forza. «Ècome se non fosse passato neppureun

istante da quando ancora regnavo

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su questo mondo, da quandoquesto

corpo era un perfetto strumento dimorte» tuonò.

L’uomo sorrise, commosso.

«E per te, che non mi hai maitradito, che mi hai atteso per tutti

questi anni, il più prezioso deidoni.»

Allungò un artiglio e incise afondo il petto dell’uomo, che urlò

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di

dolore. Il suo sangue si mescolò aquello della viverna, e dalla ferita

eruppe una sostanza scura emetallica, simile a mercurio. Unistante, e

guizzò fino a coagularsi inun’armatura nera come la notte,che avvolse

completamente il suo corpo.

«Nessun uomo ha mai ottenuto in

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dono il mio sangue» disse la

viverna. «Solo a te spetta questoprivilegio, Ofnir, solo al mio lealeservo.»

Ofnir chinò il capo. «Non videluderò.»

«No» mormorò la viverna, e la suavoce fece tremare la terra. «Non

lo farai.»

«E ora, mio Signore?»

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Le fauci della viverna si aprironoin un ghigno malizioso. «E ora ci

riprenderemo ciò che ciappartiene.»

Ruggì al cielo, e l’acqua che lisovrastava ribollì, trasformandosiin

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un’immensa nube di vapore nero.Poi tracimò dalla caldera del lago,ne

percorse rapida le pendici e sidiffuse su tutta Roma, e giùancora, oltre la

città, oltre il mare e i suoi confini,inarrestabile.

La viverna rise, e rise ancora, diuna risata folle e selvaggia. Poi

batté le ali, pronta per il grande

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balzo. «È tempo di tornare acasa.»

Un’esplosione d’acqua ruppe lasuperficie del lago, e la viverna fu

fuori, all’aria aperta. Si innalzònel cielo con un urlo lacerante e si

diresse verso la sua antica dimora.

Era tornato. Nidhoggr era tornato.

1.Un amaro risveglio

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Sofia si svegliò di soprassalto. Unasensazione di terrore la prese allagola

non appena aprì gli occhi.

“Un incubo. Devo aver fatto unaltro incubo.”

Si tirò su piano, scrutò il buio. Eranella sua stanza, al sicuro, in una

notte come le altre. Ma un senso diinquietudine le stringeva il petto.

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Forse aveva sognato un’altra voltail frutto, non riusciva a ricordare.

Nelle ultime settimane era statatormentata dalle visioni. Ogni voltache

sembrava delinearsi un luogopreciso, un’altra immagine nemostrava uno

diverso, confondendola. Secontinuava così, rischiava diimpazzire.

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Appena appoggiò i piedi nudi aterra avvertì un fremito, come un

lungo brivido che saliva dalpavimento.

“Forse quelle visioni mi stannodando alla testa” si disse. Andò alla

finestra, aprì i vetri e le imposte.Un’aria gelida invase la stanza.Sofia alzò

gli occhi e trasalì: il cielo era di unnero compatto, innaturale. Non era

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semplicemente nuvoloso: era comese qualcuno avesse steso una

pennellata di vernice sulle stelle esulla luna. Non era buio:semplicemente

la luce non esisteva più. Eppure ilbosco intorno al lago di Albano era

illuminato da un bagliore spettrale.Sembrava di essere in un filmhorror di

serie B.

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“È successo qualcosa… qualcosadi orribile” pensò.

Scattò verso la porta, ma non fecein tempo a raggiungerla, perché

quella si aprì di colpo e sulla sogliacomparve il professor Schlafen.

«Prof, cos’è successo?» chiese d’unfiato Sofia, indicando la finestra

spalancata. C’era un freddo cheghiacciava le ossa.

Lui non rispose. Per qualche istante

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rimase immobile davanti alla

porta, il capo chino e le bracciaabbandonate lungo i fianchi.

«Prof… va tutto bene?»

Il professore alzò lentamente latesta. Era pallido come un cencio,gli

occhi chiusi. Quando li aprì, Sofiasentì braccia e gambe pietrificarsidalla

paura. Erano rossi, e scintillavano

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come braci nel buio della stanza.

Schlafen aprì la bocca in un ringhiosibilante, e sulle spalle gli

esplosero due enormi alimetalliche, nere come la pece elucenti come

lame.

Sofia non credeva ai propri occhi.Quei segni portavano un solo,

inconfondibile marchio: Nidhoggr.Ma non aveva tempo per porsi

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domande. Il neo sulla sua frontebrillò fulgido e le mani sitrasformarono

negli artigli di Thuban. Sulle spallecomparvero due maestose ali didrago,

e il suo corpo fu pronto allabattaglia.

Ma prima che Sofia potesse reagire,il professore si avventò su di lei.

Il metallo delle ali ora aveva

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ricoperto anche le braccia,formando due

guanti dotati di rostri affilatissimi.Sofia li scansò per un pelo.

«Prof, svegliati!» urlò, ma era comeparlare al vento. Il professor

Schlafen si gettò ancora su di lei, ei rostri si allungarono fino asfiorarle la

carne della spalla.

Sofia percepì l’agghiacciante

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sensazione del metallo chegraffiava la

pelle.

«Professore!» urlò ancora, ritrattain un angolo, ma lui insisteva ad

attaccarla, il volto deformato in unasmorfia di furore cieco. Sofia si

limitava a schivare i colpi, senzatuttavia osare aggredirlo. Era ilprof, non

poteva fargli del male!

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Un istante, e un artiglio sciabolò aun nulla dal suo viso, recidendole

una ciocca di capelli. Sofia siacquattò a terra, rotolò di lato e siprecipitò

giù per le scale. Dietro di sé,sentiva il sibilo delle lame chefendevano

l’aria, sempre più vicine. Quandogiunse all’ultimo gradino, si voltò evide

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che i rostri avevano scavato lunghisolchi bianchi nel tronco del grande

albero che troneggiava al centrodella villa, nella casa che ormai daquasi

due anni condivideva con ilprofessore e Lidja.

“Lui non farebbe mai del male allaquercia della villa” si disse, ma la

creatura che incombeva su di leinon aveva più nulla di Georg

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Schlafen.

«Lidja!» gridò a squarciagola.«Dove sei finita?»

Non ricevette risposta. L’unicorumore che sentiva era lo stridiodegli

artigli ormai vicini.

Si distrasse un istante, sufficiente afar sì che il professore le balzasse

addosso, stringendole il collo inuna presa ferrea e inchiodandola a

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terra. I

suoi occhi fiammeggiantiincrociarono lo sguardo sperduto diSofia per

lunghi secondi. In fondo a quellepupille non si scorgeva che rabbia e

follia.

Alzò un pugno e glielo portòdavanti agli occhi, pronto a sferrareil

colpo mortale. Sofia strinse i denti

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e si risolse a fare l’unica cosapossibile.

Abbracciò il professore con tutte leforze che aveva, e dalle mani le

eruppero lunghe liane di un verdeacceso che lo avvolserocompletamente,

bloccandone i movimenti. Siconcentrò, quindi mosse le liane inmodo da

esplorare la zona del collo, dove in

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genere si annidava l’impianto che

permetteva l’assoggettamento.Doveva capire in che modoNidhoggr fosse

riuscito a ridurlo in quello stato, manon trovò nulla. Di nuovo rimase

incerta per una frazione di secondo,e di nuovo il professore neapprofittò.

Spezzò le liane con uno strattone, sisciolse dall’abbraccio e spalancò

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le

ali, riguadagnando distanza. Sofia sitrovò chiusa all’angolo, ansimante.

Scosse la testa e cercò di riportarela mente alla realtà: ora il

professore era un nemico, e sevoleva salvarlo doveva combatterlo

esattamente come avrebbe fatto conqualsiasi creatura di Nidhoggr. Sifece

forza e gli lanciò contro un secondo

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fascio di liane, ma lui si muovevada

un lato all’altro della stanza rapidocome una freccia, tranciandole dinetto.

Sofia tese allora l’altro braccio escagliò contro le sue ali nere unviluppo

di liane. Finalmente il professorecadde a terra, dibattendosi come un

pazzo, ringhiando e graffiando il

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pavimento. Lei lo strinse ancora piùforte

e volò intorno all’albero. Unadecina di giri, e Schlafen venneridotto

all’immobilità. Sofia si concentròun’ultima volta e trasformò le lianein

saldi rami di legno.

Non fece in tempo a tirare unsospiro di sollievo che un urlo

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giunse

dal piano di sopra. Lidja. Sofiaspiegò le ali di Thuban e volò indirezione

del rumore, gettandosi nella stanzadell’amica. La scena che le sipresentò

aveva dell’incredibile: Lidja, le alidi Rastaban spiegate, tendeva gliartigli

verso un uomo, all’altro capo della

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stanza, mezzo sepolto da una catastadi

mobili.

Era Thomas, eppure non era lui.Urlava, il volto deformato, gli occhi

rosso sangue. Sulla sua schienaerano esplose ali metallicheidentiche a

quelle del professore, come identicierano gli artigli che puntava contro

Lidja.

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«Sof, non ce la faccio, dammi unamano!»

Sofia si riscosse all’istante. «Faivolare il lenzuolo!» gridò.

Lidja non se lo fece ripetere, e con isuoi poteri telecinetici gonfiò la

stoffa fino a farla veleggiare soprala testa di Thomas. Sofia laintercettò

con una liana, quindi la strinse piùforte che poteva intorno al corpo

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del

maggiordomo. Poi, come avevafatto con il professore, trasformò laliana

in legno.

Si piegò in due, esausta, le manisulle ginocchia, il fiato corto.

«Stai bene?» chiese Lidjaappoggiandole una mano sullaschiena.

Sofia annuì, rossa in viso. «Il

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prof… anche lui… è stato

assoggettato» riuscì a dire tra gliansiti.

Lidja la guardò incredula e rimasein silenzio qualche istante.

«Non è possibile… Sof… cosa stasuccedendo?»

«Non lo so, Lidja. Non lo so.»

Trascinarono Thomas giù per lescale e assicurarono anche lui al

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tronco dell’albero. Lidja corsenello studio a prendere la pozioneche il

professore aveva usato peraddormentare Effi, la madreadottiva di Karl, a

Monaco, quando le avevano estrattodal corpo l’embrione di viverna che

l’aveva posseduta.

Costringerli a berla fu un’impresa.Pur avendo gambe e braccia

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immobilizzate, muovevano la testacome furie e mordevano l’aria,

tentando di affondare i denti nellemani di Lidja e Sofia. Ma bastò far

scivolare loro una sorsata tra lelabbra, ed entrambi persero subito

conoscenza.

Sofia rimase immobile a osservarli,incapace di credere a ciò che

aveva appena fatto. Volse losguardo alla casa. Per tanto tempo

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era stata un

rifugio, un luogo sicuro in cuiproteggersi da Nidhoggr. Ma adessoera

stata violata e portava i segni di unaterribile battaglia. Profondi tagli

avevano messo a nudo il legnochiaro sul tronco dell’alberointorno al

quale si sviluppavano i muri.Alcuni gradini della scala che

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conduceva al

piano di sopra erano sfondati, e lacarta da parati che rivestiva lepareti era

lacerata in più punti. Parte dellamobilia era andata distrutta, e una

credenza antica cui il professoreera molto affezionato giaceva aterra, con

le ante sventrate.

«Non capisco» disse Lidja

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riportando Sofia alla realtà. «Nonhanno

l’innesto degli Assoggettati.»

«Lo so, l’ho già cercato. Sembrache abbiano creato un nuovo

sistema di assoggettamento.»

Ispezionarono i corpi con piùattenzione, ma non trovarono alcuna

traccia del ragno metallico tipicodegli Assoggettati, che affondava le

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zampe nel collo per insinuarsidentro la colonna vertebrale. Le ali,cui

erano connessi gli artigli, siinnestavano sulle scapole e ilmetallo

penetrava direttamente nella carne.

«Forse l’innesto ha cambiatoforma» disse Sofia.

«Tu pensi che gli abbiano messo leali così, sulle spalle? E come

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abbiamo fatto a non accorgerceneprima?» obiettò Lidja, pococonvinta.

«Questo varrebbe anche nel casodell’innesto a forma di ragno. Ieri

sera il prof e Thomas eranotranquilli, non avevano nessunsegno di

assoggettamento. È successostanotte.»

«Impossibile. Siamo protetti dalla

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barriera della Gemma.»

«Forse la sua efficacia è diminuita.Ti ricordi? È già successo in

passato, quando Karl era morto.»

Lidja la guardò intensamente. «Iosono stata nel dungeon ieri sera, ed

era tutto a posto. E comunque nonavrebbe senso. Se le viverne sono

entrate qui dentro, perché hannoperso tempo ad assoggettare ilprofessore

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e Thomas? Avrebbero potutoucciderci nel sonno.»

Sofia si morse il labbro, nervosa.Lidja aveva ragione. Che diavolo

stava succedendo? Quella terribilesensazione di paura continuava a

stringerle le tempie, inesorabile.Quanto avrebbe voluto che Fabiofosse lì

con lei. Scacciò subito con rabbiaquel pensiero. Fabio era l’unica

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cosa a

cui non doveva pensare in quelmomento. Da quando si eranolasciati, a

Edimburgo, il loro rapporto eradiventato ancora più difficile, eogni volta

che lo vedeva le mancava la terrasotto i piedi. Senza contare che

scompariva per giorni e rispuntavasolo quando ne aveva voglia.

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Almeno,

da quando lei aveva iniziato adavere quelle strane visioni, si eradegnato

di farsi vivo e ora si trovava conKarl a Isola Farnese, un piccoloborgo nei

dintorni di Roma, alla ricerca delfrutto.

Ewan e Chloe invece erano rimastia casa loro. Avevano trovato un

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piccolo appartamento a CastelGandolfo, e si erano stabiliti lì conGillian.

«Karl si è portato via tuttal’attrezzatura, stasera?» chieseSofia.

«Non lo so… È uscito con un belpo’ di roba» rispose Lidja. «D’altra

parte era il minimo che potessefare, visto che non saresti andatacon loro a

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cercare il frutto.»

Negli ultimi giorni Sofia avevaspremuto tutte le energie neltentativo

di sintonizzarsi con il frutto diThuban, l’ultimo e il più importantedei

cinque frutti che avrebbero fattorisplendere di nuova vita l’Alberodel

Mondo. Ma un’energia di segno

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opposto sembrava corrompere lesue

visioni, e ogni volta che partiva allaricerca tornava esausta e senza aver

trovato nulla. L’ultima sera, mentrecercava nei dintorni di Roma, era

svenuta.

«Un altro giorno e sarei morta»sospirò. «Mi sento completamente

prosciugata. Karl non ha portatocon sé il draconoscopio, giusto?»

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«No, penso di no. Che hai inmente?»

«Voglio andare in fondo a questafaccenda.»

Trovare il draconoscopio non fufacile. Karl si era ritagliato un

angolo nel dungeon sotto la villa:aveva preso possesso di unastanzetta e

l’aveva riempita di tutte le suecianfrusaglie. La confusione

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regnava

sovrana. Quel posto era uno stranomiscuglio di antico e moderno:c’erano

computer – da quelli vecchi, deiprimi anni Ottanta, a un MacBookAir

nuovissimo – ma anche alambicchie strumenti in ottone, e poi tubi di

gomma, cavi di ogni diametro elunghezza, un paio di televisori e un

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oscilloscopio che sembrava averfatto la guerra. Dovettero frugare unbel

po’ prima di riuscire a trovare lostrumento capace di rilevarel’essenza dei

Draconiani. Del resto, dopo ilviaggio a Edimburgo non avevanopiù avuto

occasione di usarlo.

Lo tirarono fuori, faticarono un po’

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a rintracciare il paio di spessi

occhiali e il computer che vidovevano collegare e portaronotutto al piano

di sopra. Thomas e il professoredormivano ancora.

«Tu sai come funziona? Io non ne hoidea» ammise Sofia.

«Diciamo che ho guardato conattenzione Karl quando lo usava»

rispose Lidja inforcando gli

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occhialoni da aviatore. «E speroche basti.»

Accese lo strumento, e Sofiaappoggiò sul petto del professore edi

Thomas una serie di piccoleventose. Sullo schermo si accese untracciato

che mostrava un intrico di lineeverdi, simili a vene.

Sofia rimase interdetta. «Queste non

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si dovrebbero vedere… Solo i

Draconiani hanno un simile potere.»

Lidja tacque a lungo, regolando unaserie di manopole. Di riflesso, le

linee sullo schermo si ispessivano odiventavano più sottili. Poi toccò un

interruttore e le linee divenneroviola, così brillanti da riempirequasi tutto

lo schermo.

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«Cos’hai fatto?»

Lidja non rispose. Si sfilò gliocchiali e guardò Sofia. Aveva

un’espressione sgomenta.

«Ho cambiato lo spettro. Se hocapito quel che mi ha spiegato una

volta Karl, ho sintonizzato ildraconoscopio su emissioni simili aquelle

dell’embrione di viverna cheabbiamo trovato dentro Effi.»

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«Il potere di Nidhoggr…»

Lidja annuì grave, e Sofia sentì unamorsa di terrore stringerle il

petto.

«Vuoi dire che…»

«È nel loro sangue, Sof, ovunque.Sono infettati dal sangue di

Nidhoggr.»

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2.Il mondo impazzisce

«Un altro buco nell’acqua» disse

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Fabio.

Karl sbuffò e si sfilò il casco. Eraun incrocio tra un elmetto tedesco

della Prima guerra mondiale e uncopricapo perl’elettroencefalogramma:

sulla struttura in ottone si innestavauna manciata di tubi e fili, alcuni

collegati al petto di Karl tramiteventose, altri a un rudimentalepalmare.

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«Perché devi essere sempre cosìdisfattista?»

«Sono solo realista.» Fabio tirò uncalcio a un sasso, che andò a

sbattere contro il muro in pietra diun pozzo, al centro della piazzetta.Il

piccolo borgo di Isola Farnese,qualche chilometro a nord di Roma,si

ergeva su una rocca in mezzo a un

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parco naturale, ed emanava unfascino

antico, misterioso. Appena arrivati,Fabio aveva percepito una strana

atmosfera. Le visioni di Sofia,seppure disturbate, si eranoconcentrate in

quella zona le ultime notti, e mentrelei era a casa a riposare, lui e Karl

avevano deciso di non perderetempo e continuare le ricerche.

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Karl utilizzava quel rilevatore diemissioni energetiche che aveva

costruito quando erano ancora aEdimburgo, mentre Fabio faceva

affidamento solo sui propri sensi diDraconiano. I trabiccoli di Karl gli

sembravano aggeggi inutili che ilragazzino costruiva per propria

soddisfazione, più che attrezzi utilialla riuscita della missione. Ma con

quell’affare o senza, la ricerca non

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aveva portato risultati.

“Se solo Sofia fosse in grado diaiutarci…” Fabio soffocòall’istante

quel pensiero. Sofia era ancoraargomento off limits. La sua mentefiniva

sempre per tornare a Edimburgo,quando lei lo aveva difeso controgli

attacchi di Nida. Rivedeva il suo

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volto pallido mentre la teneva tra le

braccia. Non la voleva ricordarecosì, non voleva ricordare come siera

sentito.

«Potremmo perlustrare di nuovo lachiesa» disse Karl interrompendo

il flusso dei suoi pensieri.

«L’ho battuta io, palmo a palmo,sagrestia compresa. E non c’è

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niente» rispose Fabio sbrigativo.

«Ti detesto quando fai così.»

«Ho solo detto la verità.»

«E allora che vorresti fare?Rinunciare? Ma perché non te netorni da

dove sei venuto? Non fai chesmontare sempre tutto e tutti!»

Fabio gli si fece sotto. «Non misembra che tu, con i tuoi stupidi

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trabiccoli, sia stato più utile.» Erapronto per partire con un pugno,quando

qualcosa lo bloccò a metà delmovimento. Una vibrazionenell’aria, un

tremito nella terra, qualcosa dioscuro gli gelò all’istante le mani.

«Be’, cos’è? Hai paura di picchiareuno con gli occhiali?» disse Karl.

Poi anche lui sentì.

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Entrambi alzarono gli occhi.D’improvviso, le poche stelle soprale

loro teste si oscurarono, mentreogni cosa intorno si accendeva diriflessi

viola fosforescente. Era come seuna nebbia innaturale si fossediffusa

ovunque, simile a fumo in unastanza che andava a fuoco.

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«Cos’è questa roba?» chiese Karl.

Fabio scosse la testa, in preda alterrore. «Non lo so… Ma credo sia

meglio rientrare.»

«Sono completamente d’accordo»disse Karl cercando di controllare

il tremito nella voce.

Si avviarono rapidi verso lapiazzetta, ma non appena furonosotto

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l’ombra dell’arco, tutte le porte e lefinestre delle case intorno siaprirono

di colpo, con un unico, fragorososchianto, vomitando fuori uomini e

donne di ogni età. Tutti avevano ilvolto trasfigurato da una furia

demoniaca, e gli occhidardeggiavano nell’inconfondibilerosso degli

Assoggettati. Una frazione di

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secondo, e sulle loro spallecomparvero

grandi ali metalliche.

Si gettarono su Karl e Fabio,circondandoli, gli artigli sguainati,le

bocche che cercavano di azzannaree dilaniare. Era più spaventoso del

peggiore degli incubi, piùmostruoso di qualsiasi cosapotessero

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immaginare. Era l’inferno in terra.

Una donna affondò i denti nel collodi Fabio, e fu il dolore a

riportarlo a se stesso. L’Occhiodella Mente sfavillò fulgido sullasua

fronte, e le sue membra sitrasfigurarono all’istante nel corpopossente di

Eltanin. Aprì le ali, ruggì al cielo, equel movimento bastò a liberarlo

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dall’orda di creature. Si rimise inpiedi, quindi sferzò l’aria con ununico

colpo d’artiglio e anche Karl fulibero. In pochi istanti al posto delpaffuto

ragazzino biondo apparve unosplendido drago color del ghiaccio:Aldibah,

in tutta la sua magnifica potenza.

I due draghi si affiancarono, pronti

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all’attacco.

I nemici in breve tempo si eranotrasformati in vere e proprieviverne

di metallo, dalla testa ai piedi, edigrignavano le zanne assediandoliin un

circolo perfetto.

I loro corpi adesso eranocompletamente avvolti dagli innesti

metallici; tra squama e squama era

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ancora possibile intravedere ilpallore

della pelle, ma quel che risaltava dipiù rimaneva il rosso terribile degli

occhi.

Karl e Fabio si slanciarono versol’alto, ma le viverne furono rapidea

seguirli.

Fabio cominciò a scagliare linguedi fuoco contro le ali dei nemici

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mentre Karl cercava di congelarli,però entrambi trattenevano inqualche

modo la propria forza. Nondimenticavano che sotto quellearmature

c’erano persone che non avevanonessuna colpa. I loro nemici,invece,

colpivano per uccidere.

Un paio di viverne precipitarono

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verso il basso, le ali fuse dal fuoco

di Fabio, ma Karl creò uno scivolodi ghiaccio e intercettò la lorocaduta.

Le viverne rotolarono a terra einiziarono a dibattersiscompostamente.

Fabio decise di non usare lefiamme: era troppo rischioso per

l’incolumità di quelle creature,quindi prese a colpire con gli artigli

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e le

zanne. Lacerò le ali di tre nemici eKarl, come prima, fu pronto a

intervenire per evitare che sisfracellassero al suolo.

Riuscirono a liberarsi dal nugolo diviverne senza troppe difficoltà,

ma non ebbero il tempo diriprendere fiato: anche se si eranoallontanati da

Isola Farnese e sorvolavano ormai

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la periferia di Roma, diretti versoCastel

Gandolfo, dalle case siaffacciavano altri occhi rossi, afrotte.

«Sono dappertutto» disse Fabioatterrito.

Dalle case, dai portici, dai giardinipubblici, da ogni angolo della

città sbucavano viverne, come sepercepissero la presenza dei

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Draconiani.

«Vola più in alto che puoi» urlòKarl, e Fabio obbedì.

Forzarono le ali al massimo,salirono fin dove l’aria erararefatta,

difficile da respirare. Solo allora leviverne rinunciaronoall’inseguimento.

«Non ho mai visto una cosa delgenere» mormorò Karl.

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«Nemmeno io. Tutta la città èinvasa» disse Fabio.

«Chissà se è solo Roma… Forse leviverne sono arrivate più

lontano.»

«Ho paura di saperlo. Dobbiamocorrere dagli altri, potrebberoessere

in pericolo!»

Volavano veloci come proiettili,dritti verso Castel Gandolfo.

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«Comunque» disse Karl «cel’abbiamo fatta a difenderci daquelle

creature… Non sei poi così inutile,in fondo!»

«Lo so. Ma ora smettila di sprecarefiato, cervellone, e vedi di darti

una mossa!» E sorrise tra sé e sé.

Sorvolarono rapidi la città. L’ariaera immobile anche lassù, dove in

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genere i venti erano forti. Non c’eratraccia di luna né di stelle, eppure il

cielo non sembrava nuvoloso. Tuttoera immerso in un nero profondo. Il

panorama, sotto di loro,risplendeva di luci violacee.

Fabio cabrò lateralmente, e in menodi un minuto furono in vista di

Castel Gandolfo. Le viebrulicavano di Assoggettati. Sicalpestavano l’un

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l’altro, procedendodisordinatamente in direzione delcentro storico, e la

casa di Chloe e Ewan era quasicompletamente ricoperta di viverne

metalliche. Gli Assoggettati eranoassiepati sotto le sue mura ecercavano

di arrampicarsi fino al sottotetto,mentre alcuni volavano imperterriti

davanti alle finestre. A intervalli

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regolari, da una di esse uscivanopotenti

soffi di vento.

Fabio e Karl si misero a volare incircolo.

«E adesso?» disse Karl.

«Non possiamo bruciarli» disseFabio. «Sono esseri umani. E non

hanno colpa.»

«Ho un’idea» fece Karl dopo un

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istante. «Quando te lo dico, lanciala

fiamma verso il cielo, okay?»

Fabio annuì.

Karl scagliò in aria un lungo gettodi ghiaccio. «Ora!» urlò.

Fabio evocò una fiamma enorme,che investì in pieno il ghiaccio

sciogliendolo in un potentescroscio, e l’acqua si abbatté sulleviverne

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come un’onda. Karl continuò aprodurre ghiaccio e Fabio ascioglierlo con

la sua fiamma, fino a quando ilvicolo davanti alla casa di Ewan eChloe

non si trasformò in un fiume inpiena.

Gli Assoggettati finirono spazzatidalla corrente verso la piazza. Karl

ne approfittò all’istante. Eresse una

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spessa barriera di ghiacciotutt’intorno

alla casa, alta fin oltre il tetto.Fabio si infilò dentro la finestra,tornando

all’istante nella sua forma umana.

Chloe e Ewan erano parzialmentetrasfigurati; avevano un artiglio e

un’ala di drago ciascuno, ed eranomolto pallidi. Dietro di loro,accucciata

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in un angolo, c’era Gillian con unpigiama dei Griffin e un paio di

pantofole giganti. Appena lo vide,balzò in piedi e gli saltò al collo.

«Thankyouthankyouthankyouthankyougli urlò.

«Va… va tutto bene…» provò arassicurarla Fabio, mentre cercavadi

staccarsela di dosso.

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Anche Karl era entrato, ed eraaccorso a vedere come stavano i

gemelli. «Dobbiamo andarcene, labarriera non terrà a lungo.»

« What the hell is going on? » urlòChloe. Aveva imparato l’italiano,

come suo fratello del resto, maquando era agitata tornava alla sualingua

madre.

« I have no idea» la assecondò

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Karl. «Ma non abbiamo il tempo di

capirlo. Dobbiamo scappare.»

«La porti tu?» chiese Ewan a Fabio.Lui annuì. Aveva ancora Gillian

attaccata al collo.

Ewan e Chloe si abbracciarono,quindi i nei sfavillarono sulle loro

fronti. Si gettarono dalla finestra, eun istante dopo si videro due draghi

viola solcare il cielo. Karl e Fabio

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li seguirono immediatamente.

Stavolta non c’era modo di volarealti. I Draconiani potevano

sopportare il volo in quota, maGillian di sicuro non ce l’avrebbefatta, per

cui cercarono di essere più rapidipossibile. Due Assoggettati simisero

loro dietro, ma ci pensarono Ewane Chloe a spazzarli via con un

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tornado.

Il viaggio fu breve. Pochi battitid’ali e si ritrovarono a volare soprail

lago. Giunsero rapidamente in vistadella villa del professore, ma lebrutte

sorprese non sembravano finite.Davanti al cancello era assiepatauna

ventina di Assoggettati. A turno si

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gettavano contro il muretto che

delimitava la casa, solo per finiresbalzati via da un’esplosione discintille

verdi. Almeno la barriera eraancora attiva.

I Draconiani atterrarono appenaoltre il cancello, tra le grida dirabbia

degli Assoggettati. Fabio ritornòsubito alle sue sembianze umane e

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corse

dentro spalancando la porta.

«Sofia!»

Lei era lì, ancora in pigiama, conLidja al suo fianco, entrambe

sedute davanti al professore e aThomas, incoscienti e legatiall’albero. Era

avvilita e spaventata, ma stavabene. Fabio avvertì un’ondata disollievo

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sciogliere la tensione dei muscoli.Si sentiva stanchissimo.

«Sei ferito» disse Sofia, e allungòla mano, ma lui si ritrasse

impercettibilmente. Non si eranopiù toccati da quella mattina,quando si

erano detti definitivamente addio.Era una specie di tacito accordo,però

Sofia non poté impedirsi di restarci

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male.

«È solo un graffio» minimizzò lui.

Gli altri entrarono alla spicciolata.

«State tutti bene?» chiese Lidja, eognuno raccontò la propria

avventura: Karl l’attacco a IsolaFarnese, Gillian la paura che avevaavuto

quando le prime viverne avevanopreso a colpire porte e imposte,Sofia la

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possessione del professore e diThomas.

Alla fine di quei racconti concitati,fu Fabio a riportare l’ordine e a

esprimere il pensiero di tutti:«Temo che Nidhoggr abbiacominciato a

invadere il mondo… O forse l’hagià fatto.»

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3.Una vecchia alleanza

Chloe guardò fuori dalla finestra.

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Gli Assoggettati continuavano acercare

di forzare il blocco, i voltimostruosi rischiarati dai lampidella barriera che

proteggeva la villa. Si scagliavanocontro di essa come se fosserodisposti

a morire pur di abbatterla, mavenivano puntualmente rimbalzatiindietro.

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Il professore e Thomas eranoancora legati all’albero in stato di

incoscienza, quando quell’orda dicreature aveva circondato la casa.Sofia

e Lidja avevano dovuto cavarselada sole.

«E se riuscissero a passare?»chiese Gillian con il suo tipicoaccento

inglese. «Gli insetti meccanici che

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ci hanno aggrediti poco tempo fa

sapevano erodere la barriera con leloro mandibole. Che orrore… mi

vengono i brividi se ci ripenso!»

Karl scosse la testa. «Non lo so.Non ho mai visto creature simili.Ma

suppongo che, se sapessero comeattraversare la barriera, avrebberogià

cominciato a farlo. Probabilmente

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quegli insetti erano stati in grado di

infrangerla, a Edimburgo, perchéera molto più sottile di quella che

protegge la villa. La miaimpressione è che questi si scaglinocontro la

barriera per puro istinto, come sefossero mossi soltanto da una furia

cieca.»

«È vero» disse Fabio. «Sembranocreature senza volontà, zombie…»

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«Continueranno in eterno,potrebbero morire nel tentativo di

attaccarci» disse Karl.

Chloe inorridì. «Ma sono esseriumani innocenti… Cosa ne sarà di

loro?»

«Purtroppo non abbiamo tempo perchiedercelo» intervenne Lidja.

«Sembra che il mondo siasprofondato nel caos, e dobbiamo

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comprenderne

al più presto la ragione.»

Erano tutti radunati nel soggiornodella villa.

Una delle numerose pendoleaddossate alla parete segnava lesei,

eppure non c’era traccia di sole.Nel cielo del mattino persistevaquel nero

compatto e impenetrabile, e le

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uniche luci erano i riflessi violaceiche

soffondevano la terra.

«Non abbiamo ancora capito perchélei non sia diventata

un’Assoggettata» disse Fabioindicando Gillian. «Sembra chetutto il resto

del mondo, a parte noi Draconiani,sia sotto l’influsso di Nidhoggr.»

Sofia guardò la madre di Ewan e

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Chloe. «Sei sicura di stare bene?»

La donna, ancora pallida per lospavento, annuì. «Non hai sentitoniente

quando è scesa la nebbia, come unformicolio, una sensazione

spiacevole?»

«Ho solo avuto tanta paura» risposelei cercando di sorridere «ma

sono sempre rimasta lucida.»

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«Evidentemente chi ha un legame disangue con i Draconiani è

protetto da questo maleficio»osservò Fabio.

«Infatti il prof e Thomas ne sonostati colpiti» disse Lidja. «Tra un

po’ torneranno in sé, dovremooccuparci anche di loro.»

Sofia cominciò a tormentarsi lemani. Il silenzio sceso dopo quelle

parole la metteva a disagio. Tutti

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aspettavano il suo parere. Ovvio, ilcapo

era lei, per quanto il ruolo lepesasse e per quanto poco lecalzasse.

«Dobbiamo cercare di curarli»disse infine. «Scenderemo tutti

insieme nel dungeon, intorno allaGemma. Vedremo se il suo potere

benefico basterà per farli tornarealla normalità. Abbiamo bisogno

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del prof,

ora più che mai.»

Nessuno fece commenti. In silenzio,i Draconiani circondarono

Thomas e il professore e lislegarono dall’albero al centrodella casa,

quindi scesero nei sotterranei.

La sala era rischiarata dalla lucecalda e rassicurante della Gemma,

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sospesa a mezz’aria in una bolla.Incastonata in una nicchia allaparete, la

statua di Lung, il primo deiDraconiani che aveva accolto in sélo spirito di

Thuban, sembrava vegliarla.

La bolla era ora racchiusa tra duestrutture metalliche, simili a mani,

collegate a quattro rudimentalisedili in bronzo disposti

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tutt’intorno. Tra la

bolla e i sedili erano statiincastonati quattro grossi cristalli,che servivano

a convogliare e amplificare leemanazioni della Gemma. Era statoil

professore a costruire quelmarchingegno, con l’aiuto di Karl,per sfruttare

al meglio il potere della Gemma e

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infonderlo ai Draconiani. Bastava

sedersi e godere dei suoi influssibenefici se si voleva essere curati,o

concentrarsi per sfruttarne i poteri.Sofia aveva passato intere nottiinsonni

seduta su uno di quei sedili,cercando il frutto di Thuban, senzaperò

ottenere alcun risultato.

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A contatto con la Gemma, iDraconiani potevano percepirne

l’energia, benefica e protettiva, eper un istante Sofia si illuse che non

fosse accaduto niente, che quantoera successo quella notte non fossealtro

che un incubo. Ma tornòrapidamente in sé: se c’era una cosache aveva

imparato in tutto quel tempo, era

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che non bisognava mai abbassare la

guardia. Si concentrò su Thomas eil professore, ancora assopiti.

«Quanto dura l’effetto della pozioneche gli abbiamo

somministrato?» chiese.

«Dipende dalla quantità. Ècomunque potente, come abbiamo

constatato quando l’abbiamo data aEffi» rispose Karl. Gli occhi gli si

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velarono un istante non appenapronunciò il nome della madreadottiva, e

per scacciare quel momento difragilità si rifugiò nella freddezzadelle

nozioni scientifiche. «È uncomposto di linfa e tintura di pianteche…»

«Era una fiala» lo interruppe Lidja.«Una fiala divisa in due.»

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«E allora dovrebbero dormireancora per qualche ora.»

«Non abbiamo tutto questo tempo»osservò Sofia. «Dobbiamo

trovare un modo per svegliarli ecapire se accanto alla Gemmatorneranno

in sé» aggiunse rivolta a Karl. «Nonabbiamo qualcosa che possa

anticipare il risveglio?»

Il ragazzino rifletté. «Forse sì»

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disse infine. «Dammi solo unistante»

e scomparve, diretto al suostudiolo.

Nel frattempo, Sofia si avvicinò aFabio. «Vieni, siediti anche tu qui.

Hai una brutta ferita, devi curarti.»

Lui provò a protestare. «Basta lamedicazione che mi ha fatto Ewan.»

Sofia gli si avvicinò di più, fino adarrivargli a un soffio dal naso. Lo

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vide impallidire, e lei stessadovette stringere i denti; il cuore lebatteva a

mille. «Ho bisogno di te. Sano esalvo.»

Fabio distolse lo sguardo, ancorariluttante. Poi si rassegnò a

obbedire e si mise su uno dei sedili,accanto a Thomas e al professore.

Karl rientrò con le braccia piene diampolle di vari colori e le dispose

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a terra. «Ho preso qualcosa chepotrebbe servirci. Queste» e indicòalcune

boccette rosse «fanno rinvenireall’istante, mentre queste fanno

addormentare, e sono un po’ piùefficaci di quelle che avete usatovoi.

Queste altre potrebbero tornare utilinel caso la Gemma non facesse

tornare in sé il professore e…»

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«Ma dove tenevi tutta quella roba?»lo interruppe Lidja.

«Sono filtri che stavo studiandoinsieme al prof per spezzare

l’assoggettamento piùrapidamente… Però li stavamoancora mettendo a

punto. Spero funzionino.»

«È un rischio che dobbiamocorrere» affermò Sofia, tesa. Quindisi

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concentrò, fece confluire l’energiadi Thuban lungo le dita ed evocò un

fascio di liane. Le strinsesaldamente intorno ai sedili, inmodo da

assicurare Thomas e Schlafen,mentre Karl versava il liquido diuna delle

ampolle in un bicchiere.

«Da chi comincio?» chiese.

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«Dal prof» rispose sicura Sofia.Poi guardò Ewan e Chloe. «Voistate

pronti: credo che le mie lianeterranno, ma questi Assoggettatisono

imprevedibili, e molto tenaci.»

I due gemelli si disposero ai lati delsedile occupato dal professore.

Lidja si sistemò alle loro spalle.

Karl avanzò piano, la mano che gli

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tremava. Appoggiò il bicchiere

alle labbra del professore e versòlentamente il contenuto. Quandoebbe

finito, si allontanò e si disposeinconsciamente in posizioned’attacco. La

tensione era al massimo.

Per qualche secondo non accaddenulla. Schlafen teneva la testa

china sul petto, abbandonata. Poi,

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lentamente, cominciò ad alzarla.Tutti

fecero un passo indietro, le bracciaimmediatamente trasfigurate negli

artigli dei draghi, mentre ilprofessore apriva gli occhi. Per unattimo da

sotto le palpebre balenò il rossoterribile degli Assoggettati, poi lepupille

si spensero e stinsero nel nero.

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Schlafen scosse piano la testa eguardò tutti a uno a uno. «Ragazzi…

cos’è successo?»

L’operazione non funzionòaltrettanto bene con Thomas.Appena

sveglio, riprese immediatamente aurlare, cercando in tutti i modi di

liberarsi, gli occhi rossi comebrace. Karl fu costretto a farlo

riaddormentare, rimediando

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un’abbondante dose di graffi.

Il professore, nel frattempo, avevaosservato allibito la scena. I

ragazzi, a turno, gli spiegarono tuttoe, man mano che procedevano nei

loro racconti, lui diventava semprepiù pallido.

«Hai qualche idea, prof?» chieseSofia.

«Posso solo fare delle ipotesi»rispose.

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I ragazzi si disposero all’ascolto.

«La mia è soltanto una congettura,ma…» Sembrava avere difficoltà

a trovare le parole.

La paura si fece palpabile tra iDraconiani.

«Credo che Nidhoggr si siaincarnato di nuovo» disse infine. «Eche

abbia usato i suoi poteri per

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assoggettare gli umani. Durantel’ultima

battaglia fra Thuban e Nidhoggr,quest’ultimo fece ricorso alla suaarma

più potente. Aveva sempre godutodell’appoggio di alcuni uomini, che

spontaneamente avevano deciso diservirlo; ma ce n’erano molti altriche

combattevano al fianco dei draghi e

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altri ancora che, o perché non

potevano combattere o nonvolevano schierarsi, erano neutrali,e

assistevano allo scontro. Nidhoggraveva perso molte delle sue vivernee,

anche se i Custodi erano ormaiquasi tutti morti, la situazione gliera

ancora sfavorevole. Per questo

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evocò un incantesimo, grazie alquale

assoggettò buona partedell’umanità.»

Un silenzio di tomba seguì quelleparole.

«Prof… ma se Nidhoggr è ancoravincolato dal sigillo, come ha fatto

a compiere un incantesimo cosìpotente?» obiettò Sofia.

«E poi, come ha fatto a reincarnarsi

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di nuovo?» chiese Karl.

«L’ultima volta è stato costretto aprendersi il corpo di Chloe… Seera a un

passo dal liberarsi, perché fare unamossa del genere?»

Il professore scosse la testa. «Nonne ho idea. Il sigillo imposto da

Thuban non sarebbe durato ineterno, questo lo sapevamo, masperavo che

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ci restasse almeno il temponecessario a recuperare l’ultimofrutto.»

Guardò Sofia.

«Non lo sento» mormorò lei. «Levisioni continuano a indicarmi

luoghi sbagliati… E quando misembra di avvertirlo, è come sequalcosa

annebbiasse la percezione.»

Un’idea terribile si fece strada

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nella sua testa.

«Prof… perché non sento il frutto?»disse con voce tremante. «Pensi

che l’abbia preso Nidhoggr?»

«Non saltiamo a conclusioniaffrettate» replicò cauto Ewan.«Anche

in passato avete avuto problemi asentirlo, no?»

Sofia non staccava gli occhi dalprofessore. Nel suo sguardo c’era

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una disperata preghiera.

“Non è così, vero? Non può esserecosì…”

«E poi non può nemmeno toccarlo!»considerò Lidja.

Il professore fece un lungo sospiro.«È vero, Nidhoggr non tollera il

potere dei frutti, dunque per luisono intoccabili, impossibili da

maneggiare. Ma abbiamo visto che

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Ratatoskr e Nidafjoll ci sonoriusciti.

Questa potrebbe dunque non esserepiù una limitazione. E un umano

avrebbe potuto aiutarlo.»

«Ma il frutto potrebbe avere ilpotere di liberarlo dal sigillo?»chiese

Fabio.

Schlafen rimase in silenzio a lungo,spostando gli occhi dall’uno

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all’altro.

«Sì» capitolò «potrebbe. Il sigillo èstato imposto da Thuban, e i

frutti, come sapete, sonostrettamente connessi ai Draghidella Guardia. Se

c’è qualcosa al mondo che potrebbespezzare il sigillo, è lo stesso

strumento che l’ha creato: il fruttodi Thuban. È il principio del

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funzionamento di una chiave.»

Sofia sentì l’aria mancarle. Erasuccesso il peggio, quello che finoa

quel momento si erano rifiutatipersino di immaginare. Peggio dellavolta

in cui Karl era morto ed eranotornati indietro nel tempo persalvarlo.

Guardò i suoi compagni, e sui loro

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volti vide solo smarrimento.

«Non sappiamo se le cose sianoandate davvero così…» concluse il

professore. «Sto solo facendo delleipotesi in base a quanto accaduto in

passato.»

«Dobbiamo considerare lo scenariopeggiore» disse Sofia. «Se quel

che dici è vero, cosa possiamofare? Ad esempio, per farti tornarein te è

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bastato semplicemente portarti qui,ma con Thomas non funziona.Gillian

invece sta bene.»

«Per quel che riguarda me,possiamo dedurre che il fatto che iosia un

Custode mi rende, se non immune,almeno curabile. E Gillian…» la

guardò dubbioso «… forse il fattoche sia la madre di due Draconiani

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l’ha

salvata.»

Sofia si sforzò di non sembrarescoraggiata. Quello di cui avevano

bisogno ora era un po’ di fiducia, ese gli altri non riuscivano aprovarla,

doveva essere lei a infonderla nelgruppo.

«Va bene. Forse Nidhoggr ha rottoil sigillo, e non sappiamo come

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comportarci con i nuoviAssoggettati. Questo è un punto chepuò studiare

Karl. Poi dobbiamo capire dov’è ilfrutto di Thuban. Se davvero l’hapreso

Nidhoggr… se davvero ce l’halui…» scosse la testa. «È giàsuccesso, non

lo dimentichiamo.» Passò inrassegna i suoi compagni con

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sguardo deciso

e si appuntò su Lidja. «Nida avevaquello di Rastaban.» L’amica annuì.«E

anche il frutto di Aldibah è stato inmano di Ratatoskr» concluse

guardando Karl. «Ce loriprenderemo, come abbiamo fattoallora.»

«Ma tu non lo percepisci…» disseChloe.

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«Mi impegnerò di più» ribattéSofia. «Ci impegneremo tutti di più.

La situazione è grave, ma lo è statatante volte anche in passato, e ce

l’abbiamo sempre fatta, no?»

Tutti fecero timidi cenni di assenso,e il professore soffocò un

sorriso.

Una mano si alzò. Sofia si voltò, eil suo cuore ebbe un sussulto.

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Fabio chiedeva parola.

«Dimmi» disse brusca, cercando dicontrollare il tremito della voce.

Non sapeva che aspettarsi. Fabioera sempre stato il più pessimistatra loro,

e in passato non aveva esitato ametterla in imbarazzo davanti atutti.

Adesso che erano ai ferri corti,chissà cosa si sarebbe inventato.

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«Cercare il frutto è prioritario»esordì «ma bisogna anche capirecosa

è successo. Dobbiamo sapere concertezza se è in possesso diNidhoggr,

perché questo cambia tutto.»

«E come possiamo saperlo?»chiese Sofia.

«Nida.»

Tutti insorsero.

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«Ti rinfresco la memoria: l’ultimavolta che l’hai vista, ha cercato di

ammazzarti!» sbottò Lidja.

«Non mi fido di quella donna e nonla voglio più vedere!» gemette

Chloe, mentre il fratello lestringeva una mano.

«Non possiamo fare affidamento sudi lei» disse Sofia. Ricordava

ancora Fabio sovrastato dalla furia

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di Nida. «Ci ha già traditi unavolta.»

« Mi ha tradito, a dire il vero»replicò Fabio. «E non era un

tradimento. Era vendetta.»

«Ha cercato di ucciderti, non misembra un dettaglio trascurabile.»

«Questo lascialo decidere a me»replicò lui.

«No!» Sofia scattò in piedi. «Perquanto ti piaccia pensarla

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diversamente, sei uno di noi, e unattacco a te è un attacco a tutto il

gruppo. Nida è un nemico.»

Fabio sostenne il suo sguardo.«Calmati» disse pacato. «Esiediti.»

Sofia arrossì violentemente, maobbedì.

«Se c’è qualcuno che può saperedavvero cosa sta succedendo,quella

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è Nida. È molto più che sua figlia,in un certo senso è un pezzo di

Nidhoggr. Lei può dare una rispostaalle nostre domande.»

«Non credo sia più in contatto conlui. L’ha rinnegato» obiettò Lidja.

«Forse non è necessario. Sonocarne della stessa carne. E per ilresto,

è vero, ha cercato di uccidermi, maha fatto esattamente quello che ci

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aveva promesso. Ci ha portato dalui. Lei odia davvero Nidhoggr, e lo

vuole morto tanto quanto noi. Senzacontare che, se davvero Nidhoggr è

tornato, ora Nida avrà i suoiproblemi a nascondersi.»

Tutti tacquero. Sofia cercava diragionare, ma quando si trattava di

Fabio le risultava difficile esserelucida.

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«Quella donna è… treacherous»disse Chloe arricciando il naso.

«Infida» tradusse Ewan.

«Vi prego… io non penso che siauna buona idea» insistette Chloe.

Gillian corse ad abbracciarla.

Fabio appuntò lo sguardo su Sofia.«Sta a te» disse.

Sofia sentì il cuore in gola. Guardòi compagni, indugiando un istante

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di più su Lidja.

Lei intuì al volo. «Lo sai che io eFabio abbiamo avuto… divergenze,

in passato» disse con un mezzosorriso. «Ma, anche se mi costa

ammetterlo, stavolta sonod’accordo con lui. La decisioneultima spetta a

te.»

Sofia si tormentò il labbro con identi. Quanto detestava dover fare

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il

capo…

«D’accordo. La chiameremo.»

A Chloe sfuggì un gemito.

«Ci vado io» disse prontamenteFabio.

«Non mi sembra affatto una buonaidea» insorse Sofia. «Lei ti odia.»

«So come trattarla.»

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«Intanto la chiamiamo, poidecideremo chi la incontra e dove»stabilì

Sofia.

Aprì il cassetto di una credenza ene tirò fuori una bambolina vecchia

e impolverata. L’avevanoconservata dopo che Nida l’avevadata loro

come mezzo per comunicare,quando si erano incontrati a

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Edimburgo.

Fu Fabio a premere il bottoncinoche aveva sulla schiena, sotto il

corpetto del vestito di pizzo. Gliocchi della bambola si illuminaronodi

rosso, emettendo un breve suono.«Fatto!» esclamò. «Non ci resta che

aspettare.»

L’attesa non fu lunga, perché gliocchi della bambolina si accesero

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immediatamente. Brillavano aintermittenza di un rosso morente, a

intervalli a volte brevissimi, a voltepiù lunghi. I ragazzi fecerocapannello.

«Che vuol dire? Non so cosasignifichi» disse Fabio.

«Era mai successo qualcosa delgenere, prima?» chiese Chloe.

Sofia scosse la testa. Gli occhidella bambolina brillavano

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impazziti.

«Aspettate un po’…» disse Karlpiano, e strappò la bambolina dalle

mani di Fabio. Si mise a fissarlacon gli occhi a fessura, concentrato.«È

Morse! È il codice Morse!» esultòinfine, quindi scattò di nuovo fuoridalla

stanza, per rientrarci poco dopo conun foglio di carta e una matita.

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Si mise a scrivere freneticamente.

«A… i… u… t… o» scandì piano.Poi guardò gli altri ragazzi.

«È una trappola» sentenziò Chloe.

«È quello che vi dicevo, invece:Nida è sola, e braccata daNidhoggr.

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Se davvero è tornato, lei è la primasulla lista nera. È il momento giusto

per approfittarne.»

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Sofia rimase interdetta. Nonriusciva ancora ad abituarsi a certe

uscite crudeli di Fabio.

«Q… u… i… v… i… c… i… n…o… b… o… s… c… o.»

Karl non fece neppure in tempo afinire di segnalare il luogo in cui

Nida si trovava che Fabio era giàvolato fuori dalla stanza.

«Fabio!» urlò Sofia.

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4.Senza speranza

Nida inciampò e cadde faccia inavanti. La terra odorava di lui, tuttoaveva

il suo maledetto odore.

Si tirò su a fatica, e la caviglia leinflisse una stilettata di dolore. Fu

costretta a sedersi di nuovo. Nonsembrava ferita, ma al tatto facevamale

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da impazzire.

Quella creatura l’aveva attaccataall’improvviso, e lei era riuscita a

fuggire per miracolo. Non avevafatto nemmeno in tempo a capirecosa

fosse. L’aveva colpita alle spalle,per poi sparire con un battito d’alinel

nero della notte.

Frugò nella tasca del giubbino,

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guardò ancora una volta labambolina

con cui aveva comunicato con iDraconiani, a Edimburgo. Nonpensava

l’avrebbero ancora chiamata, dopoil modo in cui si era comportata.Ma

non era certo il momento di andareper il sottile. Sperò che sisbrigassero

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ad arrivare. Si lasciò sfuggireun’imprecazione sibilante,pensando alla sua

misera condizione. Era da tempoche non parlava più nella sua lingua

madre, quella che lui le avevainsegnato. Da quando avevaricevuto – o

meglio, si era presa – l’ampolla conla linfa dell’Albero del Mondo chei

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Draconiani avevano preparato, leera venuto naturale comportarsicome

un’umana qualsiasi. Era incredibilecon quale facilità ci si potesseadattare

a quella vita scialba, banale.Eppure l’aveva condotta perqualche mese.

Ma ora…

Strinse le dita intorno all’ampolla

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che aveva appesa al collo. Fino al

giorno prima le poche gocce dilinfa brillavano di una luce verde,calda e

benefica. Quando la toccava,sentiva quella spiacevole correnteche le

ricordava la sua vera natura: comeogni creatura di Nidhoggr, soffrivala

vicinanza di qualunque cosa avesse

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un legame con l’Albero del Mondo.

Quell’ampolla conteneva unaquantità di linfa minima, sufficientea

nasconderla al suo Signore, ma taleda non nuocerle troppo. Ora però la

sua luce era meno intensa. Erasuccesso quando si era alzato ilvento, e la

nebbia nera aveva inghiottito tutto.

“Maledetto… come ha fatto…”

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disse tra sé e sé. Anche per unacome

lei, vedere il mondo colpito da unmaleficio di quella portata era

impressionante.

Non pensava che quei ragazzinil’avrebbero chiamata ancora, dopo

quello che aveva fatto. Avevarispettato i patti, certo, ma lavendetta

sull’umano che aveva ucciso

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Ratatoskr era una clausola nonprevista. Ora

che Nidhoggr era tornato, però, erasicura che l’avrebbe cercata e non

avrebbe faticato a trovarla. Avevabisogno di aiuto.

Si tirò su e riprese a correre,zoppicando sulla caviglia ferita.

“Sbrigatevi ad arrivare…Sbrigatevi” pensò guardandoancora una

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volta la bambolina con cui avevacomunicato ai Draconiani il luogoin cui

si trovava. Era sulle sponde dellago di Albano, nella parte giàcoperta da

un fitto bosco. La villa deiDraconiani non doveva esseremolto lontana.

Poi udì di nuovo quel rumore, ilbattito lugubre e lento di ali

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membranose, ali di viverna. Eratornata, la creatura era tornata. Lo

spostamento d’aria la fece caderedi nuovo. Alzò gli occhi. Le stava

davanti.

Era un uomo, un semplice,maledetto uomo. I capelli neri,mossi, gli

occhi grigi, il fisico asciutto,abituato alla battaglia. Per alcuniversi

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avrebbe potuto ricordarle l’aspettoche Ratatoskr assumeva tra gliumani.

Ma qualcosa nello sguardo tradivale sue origini. Sulle ampie spalle si

aprivano un paio di ali nere, ali diNidhoggr. L’uomo le scoccòun’occhiata

truce, e le sue labbra si piegaronoin un sorriso di scherno. «Dovepensavi

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di scappare?»

Nida contenne la rabbia mentre sirimetteva in piedi con la caviglia

che la reggeva a stento.

L’uomo non si fece intimorire dalsuo sguardo di fuoco. «Davvero

credevi di poterla fare franca?Davvero pensavi che quando il mioSignore

fosse tornato avresti potutonasconderti ancora?»

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«Non è il tuo Signore, sei solo unpatetico essere umano.»

L’uomo rise beffardo. «Forse losono stato, ma adesso non più.»

Scoprì il petto, mettendo a nudo trelunghe cicatrici nerastre che lo

attraversavano parallele, da uncapo all’altro. Intorno, un reticolodi vene

nere in rilievo pulsavano affannose,come se un cuore rabbioso vi

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pompasse sangue con foga. Eccoperché aveva le ali. Nidhoggr gliaveva

dato il suo sangue. Nida non potésoffocare un moto di rabbia. Unuomo.

Aveva dato il suo sangue a un uomo,e aveva lasciato morire la carnedella

sua carne senza la minima reazione.Aveva considerato lei e Ratatoskr

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nulla più che stupidi servi, e avevaconcesso un tale privilegio a un vile

essere umano.

L’uomo sollevò un dito, e un lampoviola si abbatté al suolo, contro

Nida. Nonostante la ferita, lei riuscìa scostarsi prima di essere colpita.

L’uomo non demorse e prese alanciare lampi a raffica, che leischivò

ancora rotolando agilmente dietro

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un albero. L’uomo lo abbatté con un

solo colpo. Era forte, dannazione,molto forte.

«Non puoi competere con me!»urlò. «C’è stato un tempo in cui

eravate voi gli eletti, i servi del mioSignore, ma quel tempo è finito.

Adesso ha me, e io non fallirò comeRatatoskr, io non lo deluderò!»

«Taci!» gridò Nida da dietro unaroccia, lanciando a sua volta lampi

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viola dalle mani. All’uomo bastòalzare un braccio, e i colpi siinfransero

su un’invisibile barriera. Nida urlòancora più forte, e in un istante si

trasfigurò: immense ali lespuntarono sulle spalle; la testa sitrasformò in

un muso allungato, da serpe, irto dizanne affilate; il corpo divennelungo e

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sinuoso, con zampe possenti dotatedi artigli. Non indossava più quei

panni da quando aveva combattutocontro Fabio, a Edimburgo, e

all’improvviso si sentì quasiun’estranea in quel corpo. Avvertìun moto di

repulsione: possibile che si fosseabituata così tanto a vivere daumana?

Respinse quei pensieri e si gettò

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sull’uomo con tutto il proprio peso.

Lo trascinò a terra, e poi giù per lascarpata che conduceva al lago.Mentre

rotolavano via, lei cercò dimordere, graffiare e lacerare. Maogni volta che

le sue zanne toccavano la pelledell’uomo, si alzavano scintillenere.

Caddero sulla minuscola sponda

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del lago, a un nulla dall’acqua, e si

separarono.

L’uomo fu il primo a rialzarsi. «Hoil sangue del mio Signore in

corpo, non l’hai capito?» dissebattendosi il petto. «Ho la suaforza, la sua

resistenza, il suo potere!»

Nida si tirò su ansimando. «E iosono carne della sua carne» sibilò.

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«Non più!» urlò l’uomo. «L’haitradito, credevi fosse un gesto senza

conseguenze? La vita degli umani tiha corrotta, ti ha indebolita: seicome

loro, adesso.»

«Io non sono come loro.»

«Oh, sì che lo sei.»

« Tu sei un umano, dannazione!»urlò Nida.

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«Io ho rigettato quel sangue, horifiutato la mia natura, e il mio

Signore mi ha ripagato rendendomisimile a lui. Per secoli, permillenni, i

miei discendenti hanno tramandatoil suo culto, di generazione in

generazione. Ho atteso con ansiaquesto giorno, e ora che il suoregno è

tornato, io sono risorto a nuova

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vita.»

Proruppe in una risata folle edestese le braccia fino a trasformarlein

serpi, che si avvolsero fulmineeintorno al corpo di Nida ecominciarono a

morderla senza pietà. Lei urlò didolore. Non erano soltanto le feritea

tormentarla, quanto il veleno di cui

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erano intrise quelle zanne. Le spiredi

una delle serpi lentamente la stavastritolando. Sentì le ossa del collo

gemere. Perse la sua forma diviverna, a poco a poco tornòumana.

Distante, le giunse il suono di unarisata, ma tutto iniziava aconfondersi.

Poi, di colpo, la pressione delle

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zanne si annullò, le spireallentarono

la presa e le serpi caddero a terra.Nida scivolò al suolo, la schiena

appoggiata a un albero. Davanti alei si ergeva un enorme drago dalle

squame dorate.

Fabio le gettò appena uno sguardo.«Mettiti al riparo» le disse.

«Non puoi farcela contro di lui»protestò Nida.

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«Lo vedremo.»

Fabio squadrò l’uomo. A parte leali da viverna, sembrava un

semplicissimo umano, un trentenneatletico dal fisico muscoloso, nullapiù.

Emanava però un’aura strana,malefica, che dava i brividi. Nonera un

Assoggettato, non era un nemicoqualsiasi.

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L’uomo sorrise. «Ed ecco arrivareuno dei tuoi amichetti. Peccato

non sia quello giusto» disse.

Fabio scattò in avanti senza indugi.Mirò con gli artigli alle ali, ma il

colpo si infranse contro la barrierainvisibile.

«Non sono più quello di un tempo»mormorò l’uomo. «E adesso uno

come te non mi fa certo paura.»

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Tese di nuovo le braccia, e le serpisi lanciarono contro il corpo di

Fabio. Lui scattò in alto, schivò icolpi, tranciò con gli artigli dueteste

sibilanti e lanciò una fiammata,incenerendo i tronconi. Poi si posòa terra

con un sorriso di vittoria, ma duròpoco. Dai tronconi bruciatiproruppero

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nuovi serpenti, in numero doppiorispetto a prima.

Fabio si rialzò in volo, cercando dischivare i morsi e recidere le

teste, ma ne spuntavano incontinuazione.

Scese a terra, lanciò le fiamme piùpossenti che riuscì a evocare, e

una palla di fuoco avvolse l’uomo.

«Spostati» disse una voce dietro dilui. Si girò. Nida.

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Portò una mano al collo, staccò lacollanina con l’ampolla contenente

la linfa e la gettò tra le fiamme.Un’enorme vampata verdastrainvestì in

pieno l’uomo. Finalmente Fabio losentì urlare di dolore.

«Via, andiamo via!» strillò Nida.

Volarono il più velocementepossibile e dopo poco arrivarono invista

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della villa di Schlafen.

«La barriera…» mormorò Nida inaffanno. «Io non la posso

superare.»

Fabio rimase sospeso a mezz’aria.Non poteva scendere a terra,

perché lì era ancora pieno diAssoggettati. Sentì dietro di sé ilrumore di

grosse ali membranose che

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solcavano il cielo. A quantosembrava, l’uomo

si era già ripreso. Ragionòrapidamente.

«Tieniti stretta a me» disse. Nidaobbedì. Fabio evocò una palla di

fuoco e ci si avvolse dentro. Lefiamme erano a un nulla dalla carnedi

Nida, che già iniziava a sfrigolare,ma non la toccavano, e al tempo

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stesso

la circondavano proteggendola. Fucosì che varcarono la barriera e

atterrarono al di là, al sicuro nelgiardino della villa. Fabio feceappena in

tempo a scorgere l’uomo, immobiledavanti alla casa, che gettava i suoi

serpenti contro la barriera.Inutilmente. Le teste esplodevano alcontatto

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con lo strato di energia che liproteggeva dalle minacce esterne,emanando

lampi verdi. L’ultima cosa cheFabio vide, prima di chiudere laporta, fu il

suo sguardo di sfida.

Sofia accorse all’ingresso,trafelata. Nida giaceva incoscientesul

pavimento, la testa reclinata di lato.

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«È solo svenuta per l’impatto con labarriera» disse Fabio.

«Ma che diavolo è successo?»chiese Sofia.

«Questo dovrà spiegarcelo lei»rispose Fabio tirandosi su.«Insieme

alla verità sul ritorno di Nidhoggr ea un bel po’ di altre cose. ChiamaKarl,

forse saprà come rimetterla in

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sesto.»

Nida venne trasportata in cucina edistesa sul tavolo affinché Karl

potesse esaminare da vicino le sueferite.

«Credi di poterla curare?»domandò Sofia.

Gli altri Draconiani si eranoraccolti intorno a lei, fattaeccezione per

Chloe, che non voleva più vedere

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Nida neppure da lontano ed erarimasta

in soggiorno.

Karl si passò la mano sulla bocca,pensieroso. «Io e il prof abbiamo

preparato filtri che possono curare iDraconiani, ma non un’emanazionedi

Nidhoggr…»

«A meno che non usiamol’embrione di viverna che abbiamo

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estratto

dal corpo di Effi, o quello che ne èrimasto» propose Fabio.

«Ottima idea!» esclamò Karl.«Potrebbe avere proprietà curativeper

Nida. Sai che quando non ti impegnia fare il cinico disfattista sai anche

essere intelligente?»

«Ha parlato quattrocchi» risposeFabio con una smorfia di scherno.

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Mente scherzava, gettò uno sguardoa Sofia e le rivolse un sorriso

accennato. Era la prima volta che lofaceva da quando si erano lasciati.A

Sofia fece l’effetto di un buon tè,che riscalda tutto mentre scende giùper

la gola. Un dolce tepore le sidiffuse nel petto, ma durò solo unistante.

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Fabio recuperò subito il suoatteggiamento distaccato e si mise agirare

intorno al tavolo, studiando il corpodisteso.

Karl risalì dal suo studio dopo unadecina di minuti, reggendo in

mano un barattolo pieno di unasostanza densa e giallastra. Dentro

galleggiava un bozzolo scuro,coperto di grumi marrone. Aprì il

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barattolo

con cura, quindi vi infilò unasiringa e punse il bozzolo. Neestrasse un

liquido vischioso e nero con cuiriempì un flacone.

La siringa tra le mani, guardò i suoicompagni. «E adesso?»

«Be’, sei tu l’esperto» osservòLidja.

«Perché non proviamo a stendere

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quella roba sulle sue ferite?»

propose Ewan.

Karl guardò Sofia.

«Hai qualche altra idea?» disse lei.

Il ragazzino sospirò, quindi preseuna pezzuola di garza e ci mise

sopra una goccia di quel liquido.Non era soltanto disgustoso, mavibrava

anche di un potere inquietante, che

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causava a tutti loro una strana

sensazione di disagio.

Iniziò a tamponare le ferite con lapezzuola. Dapprima fu molto

cauto, ma apparve subito evidenteche Nida ne traeva beneficio. Non

appena la sostanza entrò in contattocon le ferite, cominciò a respirare

meglio e la sua fronte si spianò.Karl, incoraggiato, continuò.

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Quando ebbe finito, considerò lacaviglia. «Questa è solo slogata»

disse.

«Me ne occupo io» intervenneLidja.

Alla spicciolata i Draconianiuscirono, tranne Fabio. Rimase a

contemplare i gesti sicuri di Lidja,lo sguardo perso.

«Hai imparato al circo?» le chiese.

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Lei annuì. «Credo di essermilussata praticamente tutte le ossa,

quando lavoravo lì» disse con unmezzo sorriso. «Le ferite sonobrutte,

non credo si riavrà tanto presto.»

«Non fa niente. Tanto, siamo tutti inattesa, no?» rispose Fabio

scrollando le spalle.

«Ratatoskr era un nemico. Non devisentirti in colpa, soprattutto

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dopo che lei ha tentato diucciderti.»

«Cos’è, una moda? Tutti a cercaredi psicanalizzarmi.»

Lidja fece l’ultimo nodo albendaggio. «È che con te è facile.Ce l’hai

scritto in faccia.»

Fabio la sfidò con lo sguardo. «Ionon mi sento in colpa.»

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«Come vuoi» disse Lidja pulendosile mani. Il sangue di Nida era

denso come melassa, e dovettefaticare per lavarlo via. Quandoebbe finito,

fece per uscire, ma si fermò accantoa lui. «Già che ci siamo, un’altracosa:

non riuscirai a evitare Sofia persempre. Arrenditi: le vuoi ancorabene, e

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continuerai a volergliene.»

Fabio si girò di scatto, e fece perrisponderle con una battuta

sarcastica. Ma Lidja se n’era giàandata.

Nida rinvenne nel pomeriggio.Fabio era di fianco a lei, seduto.

«Be’? C’è qualcosa da mangiare?»gli chiese come se niente fosse.

«Sto morendo di fame!»

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Quando gli altri Draconianientrarono, la scena era surreale.Nida, le

gambe incrociate, era seduta sultavolo della cucina, le maniaffondate in

un sacchetto di patatine e le guancegonfie di cibo.

«Aveva fame…» si schermì Fabio.

Sofia fece un passo avanti e presein mano la situazione. «Bene, dal

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momento che ti sei ristabilita,immagino potrai dirci chi era il tipoche ti

stava dando la caccia.»

Nida smise per un istante disgranocchiare le patatine. «Vedoche ti è

spuntato un po’ di coraggio,dall’ultima volta che ci siamoviste» disse con

sarcasmo.

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«Falla breve e rispondimi.»

Nida affondò di nuovo le mani nelsacchetto. «Dovreste ricordarvi di

lui… Vi ha dato del filo da torcere,millenni fa, e a lui in particolare»disse

indicando col mento Ewan. Ilragazzo la fissò interrogativo. «Èstato lui a

uccidere Kuma. A farlo a pezzi, perla precisione» aggiunse con un

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sorriso

truce.

Tutti guardarono Ewan, ma luiscosse la testa. «Non ho alcunricordo,

al riguardo.»

«Non ci hai detto chi è» la incalzòSofia.

Nida alzò lo sguardo su di lei:adesso era seria. «È il più potente

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degli uomini che si schierarono conNidhoggr durante la grandebattaglia

in cui perdeste la vita. Era lui aguidare gli Assoggettati, lui acoordinare

gli umani che avevano deciso dicombattere al nostro fianco. Sichiama

Ofnir, ed era grande amico diLung.»

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A udire quel nome, Sofia sentì unastretta allo stomaco.

«Fabio ha detto che non sembravaun umano qualsiasi.»

Il volto di Nida si atteggiò a unasmorfia di odio. «Certo, perché

Nidhoggr gli ha dato il suo sangue.È un nemico temibile: non solo è

dotato di una grande forza, è anchemolto intelligente. E, pur se misecca

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dirlo, è più potente di me e diqualsiasi altro servo di Nidhoggrcon cui vi

siete confrontati finora. Adesso chelui è tornato, chiunque gli sia legatoè

incredibilmente più forte di quantofosse prima. Esclusa me. Io l’ho

tradito.»

Sofia fece un passo avanti,tremante. «Nidhoggr… è tornato?»

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Un lampo maligno attraversò gliocchi di Nida. «Certo. Non ditemi

che non l’avevate capito. Bastaguardarvi intorno.»

«Quindi tutto il mondo ha subitoquesta trasformazione…» disse

Ewan.

«Temo di sì» rispose Nidasgranocchiando un’altra patatina.

«E sai qualcosa del frutto diThuban?» intervenne Lidja.

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«Potrei anche dirvelo… ma a chepro? Forse sarebbe meglio che

andassi a consegnarmi e aimplorare pietà… In fin dei contisono sempre

sua figlia.»

«Dal modo in cui Ofnir ti dava lacaccia, non credo che Nidhoggr sia

molto incline al perdono» ribattéFabio.

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Nida gli scoccò un’occhiataccia.«In ogni caso, voi avete bisogno

delle mie informazioni,informazioni che non sonointenzionata a darvi

gratis.»

«L’ultima volta non hai rispettato ipatti» disse Sofia.

«Vi ho portato Nidhoggr. Eral’unico patto che dovevorispettare.»

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«E cosa vorresti, sentiamo»proseguì Sofia.

«Protezione.»

«Te l’abbiamo già data in passato.»

«Il vostro amico dovrebbe averviraccontato che l’ampolla non ha

fatto una bella fine, e comunque erainutile. Il potere di Nidhoggr ora è

sconfinato, non bastano certo duegocce di linfa a salvarmi. Questo è

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l’unico posto nel quale lui non puòraggiungermi, almeno per ora, evoglio

la vostra parola che minasconderete.»

«Che intendi dire con “per ora”?»chiese Ewan.

Nida lo guardò gelida. «La vostraparola.» Quindi spostò lo sguardo

su Sofia, in attesa.

Lei sospirò. «Lo sai perfettamente

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che non ti avremmo buttata fuori

in ogni caso.»

«A giudicare dai modi di quello lì»e indicò Fabio «non ne sarei così

sicura.»

«Hai la mia parola» dichiarò Sofia.

Nida annuì soddisfatta, quindisgranocchiò l’ultima manciata di

patatine, appallottolando laconfezione vuota. «Nidhoggr ha

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rotto il sigillo,

e l’ha fatto usando il frutto diThuban.»

Un mormorio costernato percorsel’uditorio, ma Sofia strinse i pugni.

«Com’è possibile? E dove l’hatrovato?»

Nida sorrise con ferocia. «Non neho la più pallida idea. Non sono

certo una sua intima confidente, inquesti ultimi tempi. Dev’essere

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stato

l’umano a trovarlo. La sua è unadelle generazioni più potenti elongeve tra

i servitori di Nidhoggr: hannodedicato millenni alla ricerca deifrutti.»

«E il frutto adesso dov’è?»

Nida si prese una lunga pausa primadi rispondere.

«Il sigillo è stato infranto, quindi

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c’è solo una possibilità: è andato

distrutto.»

I volti dei ragazzi erano sconvolti, eNida ne parve quasi divertita.

Sofia riportò l’ordine. «E tu comelo sai? Non lo vedi dai tempi di

Edimburgo.»

«Non c’era certo bisogno di starecon lui per capire cos’è successo.

Sapevamo a cosa servivano i frutti

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fin dal primo momento, fin daquando

abbiamo iniziato a cercarli.Nidhoggr li voleva per due motivi:impedirvi

di evocare Draconia e liberarsi dalsigillo. Sia io sia Ratatoskr

conoscevamo il rito per infrangereil sigillo: occorre un frutto, e

ovviamente che i tempi siano maturie la magia imposta da Thuban

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opportunamente indebolita. Che itempi sono maturi lo sapete anchevoi: il

sigillo ha iniziato a dare segni dicedimento molti anni fa, ma è da unpaio

d’anni che Nidhoggr ha potutoiniziare ad agire in questo mondo. Èstato

allora che siamo nati io e Ratatoskr,e che ci siamo messi sulle traccedei

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frutti.»

«Sì, ma come fai a sapere che èandato distrutto?»

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«Perché il frutto deve rompersi persprigionare il suo potere. Va

infranto sopra il sigillo. In questomodo la parte dei poteri di Thubanche vi

sono racchiusi si libera e il sigilloviene spezzato. Il frutto, a questopunto,

è inservibile.»

«Ma il sigillo potrebbe non esserestato rotto, come possiamo averne

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la certezza?» tentò Lidja.

«Mi stai prendendo in giro?» lagelò Nida. «Io lo sento, capisci?

Sono carne della sua carne, sanguedel suo sangue. Un istante dopo lasua

liberazione, ho sentito il suo poterefluire attraverso di me. Ho sentitola

sua rabbia, cieca e devastante. Eralui in tutta la sua potenza, in tutta la

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sua

forza, lui com’era trentamila annifa. E se non vi fidate delle mie

percezioni, be’, avete gli occhi perguardare: tutti gli umani sonodiventati

Assoggettati, con un incantesimoche Nidhoggr non sarebbe mai statoin

grado di evocare se il sigillo fosseancora intatto. E Ofnir non si

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sarebbe

mai risvegliato se il suo padronenon fosse tornato. E poi, sieteriusciti a

localizzare il frutto? Lo percepitecome sentivate gli altri?»

Un silenzio attonito seguì quelleparole.

Nida sorrise. «Mi spiace per voi,ma questa volta… ha vinto lui.»

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5.Sangue

La sala della Gemma era immersanel chiacchiericcio concitato dei

Draconiani, ancora sconvolti dallerivelazioni di Nida. Sofia avevasmesso

presto di parlare e pian piano si eraisolata dagli altri. Non riusciva a

staccare gli occhi dalla Gemma.Quel piccolo germoglio era tutto

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ciò che

restava dell’Albero del Mondo? Ilsuo destino era quello di avvizzire

lentamente al crescere dei poteri diNidhoggr? Davvero era finita?

Eppure, nonostante Nidhoggr fossetornato più forte di prima, la

Gemma continuava a splenderemagnifica, intoccabile e distante,quasi

indifferente alla tragedia che aveva

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travolto il mondo. In passato,quando

Karl era morto, la sua luce si eraaffievolita. Invece questa volta nonaveva

accennato a indebolirsi.

Sofia strinse i pugni con forza,finché non sentì le unghie inciderlele

palme, e si girò di scatto. «Silenzio,un attimo di silenzio!»

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Tutti tacquero e la guardarono.

Alzò un braccio e indicò la Gemmadietro di sé. «La vedete? Brilla,

come sempre. Non è finita.»

«È solo un’illusione, una stupidasperanza che non ci porterà da

nessuna parte» protestò Karl. Era laprima volta che Sofia lo sentiva

parlare con tanta amarezza.

«Non è vero. Abbiamo sempre fatto

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affidamento sulla Gemma. Ci ha

aiutati quando eravamo feriti,quando ogni speranza sembravatramontata,

ci ha avvisati dei pericoli, protettidai nemici. E adesso continua a

splendere.»

«Il frutto è stato distrutto, Sof…»disse Lidja.

«Il frutto di Kuma era spezzato indue, eppure non aveva perso le sue

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proprietà.»

«Sì, ma questo non riusciamoneppure a percepirlo» obiettòEwan.

«Ha infranto il sigillo che tenevaimprigionato Nidhoggr,

probabilmente è stato contaminatoin profondità dalla sua essenza.

Viviamo nel suo mondo, ora. E checi piaccia o meno, Nidhoggr ha

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trasformato la Terra a sua immaginee somiglianza. Non è vero, prof?»

disse Sofia voltandosi versoSchlafen.

Lui parve in imbarazzo, ma annuì.

«Sentite» proseguì Sofia «abbiamorischiato la vita fianco a fianco,

non ci siamo mai, mai arresi, e ionon voglio credere che sia statotutto

inutile. Siamo arrivati alla stretta

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finale, alla battaglia decisiva: e sepure il

frutto è perduto, troveremo un modoper richiamare Draconia,

combatteremo con quello che cirimane. Siamo ancora Draconiani, ono?»

Un lungo silenzio seguì quelleparole.

Poi, piano, Chloe si schiarì la gola.«Io… io penso che lei abbia

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ragione. Anche quando Nidhoggrera dentro di me sembrava tuttoperduto,

però avete insistito, e se adessosono qui è solo perché voi… voiavete

tenuto duro.»

Quindi fu la volta di Fabio. «So chedetto da me può sembrare strano,

ma… Sofia ha ragione.»

Il cuore di Sofia, che fino a quel

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momento le era rimasto bloccato in

gola, fece un balzo. «Lidja… tucosa ne pensi?» mormorò.

«Penso che sia una follia» risposelei, ma si alzò e le andò accanto.

Ewan la seguì a ruota, e l’ultimo fuKarl, che annuì con un sorrisostentato.

Sofia prese un lungo sospiro disollievo e guardò i compagni.Aveva

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avuto paura, ma si era dimostratadavvero un capo. I suoi amici eranolì,

intorno a lei, e se prima i loro voltierano tesi e contratti, oraaccennavano

deboli sorrisi. In un angolo, Gilliantratteneva a stento le lacrime. Infine

Sofia incrociò lo sguardo delprofessore. Sorrideva soddisfatto,paterno, e i

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suoi occhi le diedero la spintafinale.

«Prof» disse decisa «un frutto,anche se è spezzato, può ancora

funzionare?»

«Non posso dirlo con certezza ma,come hai ricordato tu, il frutto di

Kuma ha mantenuto intatto il suopotere anche se era rotto in duemetà.

Non penso che il numero di

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frammenti faccia differenza, quindisì, è

possibile che il potere del fruttonon sia andato perduto.»

Sofia si sentì immensamenterincuorata da quelle parole. «Il

problema ora è scoprire dov’è, ecome fare a ritrovarne i pezzi»concluse.

«Non è un problema da poco»osservò Fabio. «Ma abbiamo i

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nostri

informatori…»

Trovarono Nida al piano di sopra,in mezzo ai resti di quel che c’era

in frigorifero. Non aveva fattodifferenza tra dolce e salato, eaveva

spazzolato di tutto: sul tavolo c’erala confezione appallottolata di un

pezzo di formaggio, due vasetti diyogurt, un foglietto di stagnola che

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doveva aver contenuto dellacioccolata, e poi foglie di insalata,una lattina

vuota di aranciata e bucce di mela.

«Guarda che qui ci dovremo viverein nove, te compresa» osservò

Lidja pungente.

«Fuori è pieno di cibo» disse Nidacon noncuranza.

«Sì, pieno di Assoggettati che non

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vedono l’ora di saltarci al collo…»

«Sono sicura che avete una riccadispensa, là sotto, dove non volete

farmi entrare.»

«Smettila di prenderci in giro.Abbiamo cose molto serie di cui

parlare» si intromise Sofia.

«Basta che mi teniate nascosta, epotete chiedermi quello che

volete.»

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«Bene: c’è un modo grazie al qualeanche un Draconiano può

percepire la presenza di unaviverna?»

«È la domanda più stupida che tupotessi farmi» disse Nida

sprezzante. Sofia arrossì fino allaradice dei capelli. «Ognuno di voisente

Nidhoggr, o sbaglio?»

«Saremo più precisi» intervenne

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Fabio. «Pensiamo che i frammenti

del frutto siano intrisi dell’essenzadi Nidhoggr, e che per questo non

siamo capaci di percepirli: haiqualche idea di come aggirare ilproblema?»

Nida tacque un istante, poi sorriseironica a Sofia. «Sicura che

Thuban non si sia trasferito dal tuoamico, qui? Mi sembra molto piùfurbo

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di te.»

Lei divenne viola dall’imbarazzo.

«Piantala e rispondi» tagliò cortoFabio.

«Te l’ho già detto» disse Nida. «Ilfrutto è andato distrutto.»

«E se il suo potere fosse ancora inparte contenuto nei frammenti?»

«Il suo potere è stato usato perrompere il sigillo.»

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«Tutto, fino all’ultima goccia?»

Nida stavolta non rispose.

«Vogliamo percepire il poteresopito dei frammenti sotto le tracce

che ha lasciato Nidhoggr» ripreseSofia. «È possibile?»

Nida li guardò tutti, dubbiosa.

«Dimmi, qual è esattamente il tuopiano, adesso che il tuo padrone è

tornato?» le chiese Fabio

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all’improvviso. Nida parve presa incontropiede.

«Nasconderti qui in eterno? E se,come dici tu, lui avesse davverovinto?

Avrà tutta l’eternità per cercarti, edel resto neppure noi potremo

nasconderci per sempre. La tuaunica speranza è che quei frammenti

esistano davvero, e che possanoessere usati. Solo se vinciamo noi,

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vinci

anche tu.»

Nida contrasse la mascella,nervosa, poi alzò le mani. «Va bene,non

ho scelta» capitolò. «Sì, quel chedite è possibile. Di certo l’aura di

Nidhoggr ha lasciato traccia su quelche resta del frutto, e se i frammenti

hanno ancora un debole potere,forse non riuscite a captarli proprio

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perché

sopra c’è la… firma, chiamiamolacosì, del mio ex padrone. Se fostein

grado di sentire Nidhoggr come losento io, dovreste riuscire anche a

percepire il potere residuo deiframmenti del frutto.»

Allungò un braccio, mostrando ungraffio. Stillava ancora un po’ del

suo sangue nero e denso. Nida si

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passò un dito sopra la ferita, poi loalzò e

lo mostrò a tutti.

«Il segreto è qui» disse. «È il donoche ha ricevuto Ofnir, il sangue

della viverna. Grazie a questosangue, si partecipa della natura dinoi

viverne, e dunque si riesce apercepire tutto ciò che è intriso delnostro

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potere, esattamente come finoraavete fatto con i frutti.»

«Stai dicendo che se ciinoculassimo il tuo sanguepotremmo

localizzare i frammenti?» chieseKarl, improvvisamente interessato.

« Se esistono e se hanno ancorapotere» puntualizzò Nida.

«Suppongo non avrai problemi adarci un po’ del tuo sangue»

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intervenne Sofia.

L’espressione di Nida, ora, era diferoce scherno. «Se giurate di

tenermi qui al sicuro…»

«Perfetto. Karl, credi di essere ingrado di gestire la cosa?» chiese

Sofia.

«La fate troppo facile!» esclamòNida con una risata. I ragazzi si

girarono verso di lei.

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«Sputa il rospo» disse Fabio.

«Il mio sangue per voi è veleno.Una goccia può farvi star male, ma

troppo potrebbe persino uccidervi.»

Il silenzio scese sul gruppo comeuna pietra tombale.

«Mi spiace dirlo» continuò Nidaassaporando l’effetto delle sue

parole «ma ce ne vuole un bel po’perché siate in grado di sentirequalcosa

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di piccolo e sperduto come iframmenti di un frutto disintegratoin chissà

quanti pezzi.»

Sofia si terse un velo di sudoredalla fronte. «Quanto?»

Nida alzò gli occhi, come sefacesse complicati calcoli a mente.

«Abbastanza per provare un doloreindicibile… forse anche per morire,

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dipende dalla vostra tempra.»

Per un istante nessuno riuscì piùnemmeno a respirare.

Sofia prese fiato, quindi guardòKarl. «Sei la nostra unica speranza»

gli disse. «Credi di poter capirequanto sangue ci vorrebbe?»

Karl aveva un’espressionespaesata, ma cercò di mostrarsisicuro. «Ci

proverò.»

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Nida parve divertita. «Potetegirarci intorno quanto volete…tanto

uno di voi ci rimetterà le penne!»

«Lo vedremo» disse Sofia con unosguardo di sfida.

L’attesa fu lunga e snervante. Iragazzi abbandonarono la cucina esi

rifugiarono nel dungeon. Lì sottoerano più al sicuro, e comunque

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Lidja e

Sofia non avevano cuore di restarenella villa, devastata dallo scontrodella

notte. Era un luogo violato, in cuinon riuscivano più a sentirsi a casa.

Sofia cercò una stanza libera in cuipotersi riposare. Nel dungeon ce

n’erano molte. La prima volta cheera andata lì, aveva pensato chefosse un

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posto troppo grande per lei, ilprofessore e Thomas. Poi il grupposi era

allargato, e pian piano le stanzeabbandonate si erano riempite. Mane

restavano ancora di vuote, posti incui Sofia normalmente non sarebbemai

entrata. Si rifugiò in un localepiccolo e poco illuminato, simile auna

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segreta. A differenza della sala checustodiva la Gemma, aveva paretidi

mattoni malamente sbozzati, e ilpavimento di legno era velato dauno

spesso strato di polvere. Era tempoche nessuno ci entrava. Nella paretesi

apriva una nicchia che sembravauna specie di letto. Non c’era peròun

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materasso, solo il duro della pietra.Se lo sarebbe fatto bastare. Sisentiva

improvvisamente sfinita.

Si stese sulla pietra, portò unbraccio sugli occhi e finalmente fu

buio. La paura l’assalì come unabestia inferocita. Di colpol’immensità di

quel che era accaduto le fu addossoe la fece tremare. Era sola, sola

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come

non si era mai sentita prima. Nonpoteva nemmeno più contare comeun

tempo sull’aiuto del professore,ancora costretto a stare vicino allaGemma

per mantenere la lucidità.

E per il resto… Da quando c’eraEwan, Lidja sembrava tutta

concentrata nello sforzo di

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accalappiare il tombeur de femmesdel gruppo;

Karl era in gamba, ma aveva pocainiziativa e aspettava quasi sempregli

ordini di qualcuno; Ewan e Chloe sierano uniti a loro da troppo poco

tempo. E poi c’era Fabio. Ma eracome se non ci fosse. Per un istantelo

rivide mentre, le mani affondate

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nelle tasche, le dava ragione. Era un

ricordo bello, bello e doloroso.Perché, in fondo, non significavaniente.

“Non mi ha voluta, e ormai mi avràdimenticata. Quando ne saremo

fuori, se mai ci riusciremo, non lovedrò mai più.”

E invece aveva un bisognodisperato di lui, perché si sentivadebole,

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e fragile. Tutto gravava sulle suespalle, e lei non era fatta persorreggere

un peso del genere. Dannazione, leiera la ragazzina grassoccia, quellache

all’orfanotrofio tutti chiamavanoZucca, la bambina con le lentigginiche

nessun genitore aveva volutoadottare per tredici, lunghi anni.Come

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poteva essere proprio lei a salvareil mondo?

Lentamente si mise a piangere, lelacrime che le morivano sul

braccio. Singhiozzava come unabimba spaventata dal buio, sisentiva

indifesa e incapace.

Poi fu colta da una lieve sensazionedi calore, che dal petto andava

piano piano diffondendosi al resto

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del corpo.

Non sei sola. Io sono con te, disseuna voce nella sua testa.

Thuban. Lui era ancora con lei, erala sua forza, il suo coraggio, tutto

quello che le restava nei momentibui. E ci sarebbe sempre stato.

Si asciugò le lacrime con le mani,sorridendo. Era stata una stupida.

Si girò su un lato e, finalmente, siaddormentò.

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Fu Lidja a svegliarla. Per qualcheistante a Sofia parve di trovarsi

ancora nella sua camera, e chel’aria profumasse addirittura deibretzel

caldi col burro che preparavaThomas certe mattine. Poi l’odoredi muffa

della stanzetta la riportò alla realtà.

«Sof… Karl ha finito. Vuoleparlarci.»

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Sofia saltò su come una molla eseguì l’amica nella stanza della

Gemma.

La scena era la stessa: Thomas,abbandonato su uno dei sedili

collegati alla bolla sospesa, eraancora in stato di incoscienza,mentre il

professore era legato a un altrosedile, pallido in volto.

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«Prof, va meglio?» chiese Sofia conapprensione.

Lui si sforzò di sorridere, la fronteimperlata di sudore. «Faccio un

po’ fatica a rimanere sveglio… mava bene, non ti preoccupare.»

Sofia non ne era troppo convinta,tuttavia non c’era altro che potesse

fare per lui in quel momento. Sisentiva del tutto impotente.

Stava per raggiungere gli altri,

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quando il professore la fermò:«Sofia»

mormorò. «Non c’è ragione di averpaura.»

Sofia si portò istintivamente le maniagli occhi. Forse erano ancora

rossi di pianto, e lui le sorrise condolcezza.

«Sei stata bravissima, e sono sicuroche lo sarai sempre di più. Sono

davvero orgoglioso di te.»

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Sofia sentì un nodo in gola dallacommozione, e per un istante le

parve che anche gli occhi delprofessore fossero velati di pianto.Gli andò

vicino, lo abbracciò con forza. «Hoancora bisogno di te» gli sussurrò.

«E io sono qui. Sempre» le disselui accarezzandole la testa.

«Sofia, ci sono novità» la chiamòKarl.

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Sofia sorrise un’ultima volta alprofessore e raggiunse i compagni.

Karl era a un capo del circolo, condei fogli in mano. «Ho avuto poco

tempo, e la mia strumentazione nonè la più adeguata ad analizzareNida,

comunque…» e iniziò ascartabellare i fogli, fino a trarne ungrafico

colorato. «Come potete osservare

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in questo diagramma…»

Fabio gli abbassò la mano chesorreggeva il foglio. «In parole

povere?»

Karl gli scoccò uno sguardo gelido.«In parole povere possiamo

tentare, ma è pericoloso. Il confinetra una dose di sangue eccessiva euna

insufficiente è sottilissimo: unmilligrammo di troppo

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significherebbe

morte certa.»

«Ma il… lavoro sporco nonpotrebbe farlo uno dei tuoimacchinari?»

domandò Fabio.

Karl scosse la testa. «Tutti i mieistrumenti per trovare i frutti

necessitano sempre del potere di unDraconiano: abbiamocaratteristiche

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che le macchine non possonoreplicare. No, ci vuole una personain carne e

ossa.»

Il silenzio si fece denso.

«Lo farò io» disse Sofia condecisione.

«Lo farai tu un corno» sbottò Fabio.

«Scusa?» disse lei piccata. «Stiamocercando il frutto di Thuban, e se

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c’è qualcuno che ha più possibilitàdi trovarlo, sono io.»

«Non credo, Sofia. Se permetti»intervenne Karl «il fatto che in

questo momento il frutto siapervaso dall’essenza di Nidhoggrmi porta a

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pensare che siamo tutti sullo stessolivello rispetto alla capacità di

percepirlo. E poi dobbiamovalutare anche la resistenza fisica.Tu sei già

stata messa a dura prova negliultimi giorni, con le visioni.»

«Be’, non dimenticate che sono ilcapo, e devo assumermi la mia

quota di rischio.»

«Brava, hai detto bene, sei il capo»

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disse Fabio. «Ti risulta forse che

il presidente degli Stati Uniti simetta a combattere in prima linea?Non

siamo mica in Independence Day. »

«Che senso ha questo paragone…»

«Ma lo sapete che siete veramente,ma veramente noiosi?» disse

Lidja spazientita. «Faremoun’estrazione a sorte. Rapido,indolore ed

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equo.»

«Mi sembra giusto» convenneSofia. «Però qualsiasi personavenga

estratta, non ci devono esserelamentele.»

Ciascuno scrisse il proprio nome suun biglietto, poi li misero tutti

dentro un sacchetto. Ewan lo presee gli diede una scossa.

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«Chi estrae?»

Si fece avanti Fabio, senzaaspettare risposta.

Mentre svolgeva con lentezza ilbiglietto estratto, la tensione si

tagliava col coltello. Lesse, e unsorriso gli increspò le labbra. Lidjagli

strappò il foglietto di mano.

«Be’?» fece Karl.

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Lei si limitò a girare il foglioperché tutti potessero leggerlo. Conuna

grafia incerta, c’era scritto: Fabio.

6.Nei panni delnemico

Era ormai tardi quando decisero diconsumare un breve pasto.

Le urla degli Assoggettati, appena

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oltre il cancello, si facevano

sempre più insistenti. QuandoChloe si affacciò alla finestra, videcentinaia

di occhi rossi puntati sulla villa.

«Stanno aumentando…» sussurrò.

«Questi Assoggettati non sono ingrado di oltrepassare la barriera,

vero Nida…? Oppure sì?» chieseSofia affiancandosi a Chloe. Lo

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spettacolo di quelle creature che siscagliavano contro la casaschiumanti

di rabbia era una delle scene piùraccapriccianti che avesse maivisto.

Nida stava mangiando appollaiatasu una sedia, in disparte. A quanto

sembrava, l’abbuffata di qualcheora prima non le era bastata.

«Non fatemi domande a cui non

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posso rispondere» disse con

sufficienza. «Non ho mai avuto ache fare con quei tizi là fuori… Sosolo

che i poteri di Nidhoggr stannocrescendo. Si è reincarnato, è comese si

fosse risvegliato da un lungo sonno.Non ha ancora recuperato del tuttola

sua forza, ma lo farà a breve, e

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allora non so cosa accadrà. Forsequesta

barriera non basterà più.»

La trasfusione del sangue di Nida sifaceva sempre più urgente,

dovevano sbrigarsi. Dopo cenaKarl sequestrò Fabio e Nida perfare

qualche test e prepararel’esperimento per l’indomani. Glialtri si ritirarono

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nel dungeon, tranne Sofia, che andòin soggiorno. Non aveva sonno,

sebbene si sentisse stanchissima,ma soprattutto c’era una cosa chedoveva

fare prima di dormire.

Karl, Fabio e Nida si erano chiusiin una camera al piano di sopra.

Karl faceva su e giù di continuo perportare l’attrezzatura che gliserviva.

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Nida e Fabio avevano atteso insilenzio, seduti ai due capi dellastanza.

«Ironico che tocchi proprio a teprendere il mio sangue, non trovi?»

disse Nida. Fabio tacque, cercandodi ignorare la provocazione. «Madel

resto, forse sei già uno dei nostri: losei stato, e hai anche assaggiato il

sangue di Ratatoskr…»

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«Ho fatto la mia scelta, adesso.»

«Chi tradisce è traditore persempre, e tu lo sai.»

Fabio contrasse la mascella,stringendo più forte le ginocchia al

petto. «Ti ho detto che ho scelto, eper sempre.»

Nida scrollò le spalle. «Sei solo unpovero illuso.»

Fabio rimase a lungo in silenzio. Aintervalli regolari, Karl entrava

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carico di macchinari sempre piùstrani, pieni di tubi e cavi.

«E comunque, anche se per te nonconta niente, non sono fiero di

quel che è successo tra me eRatatoskr» aggiunse d’un tratto.

Nida scoppiò in una risata. «Quelche è successo tra voi, dici? Bel

modo per definire un assassinio.»

«Non avrei dovuto ucciderlo, lo

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so.»

Nida si guardava la punta deglianfibi con un sorriso strafottente.«È

questo quel che più mi irrita di tuttivoi, e di te in particolare: sietescesi in

guerra, ma non volete accettare ilprezzo che una guerra esige. Haifatto

bene ad ammazzarlo, era un

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nemico.»

«Non è così che funziona, per noi.»

Nida sbuffò. «Usi le stesse paroledella tua amichetta.»

«Perché sono vere. Quello che stocercando di dirti è che… mi

dispiace» sospirò Fabio. “Midispiace”: si era lasciato sfuggirecosì poche

volte quella frase in vita sua – emai, mai rivolta a qualcuno con cui

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si era

picchiato, o a cui aveva fatto untorto – che gli sembrò avesse unsuono

strano, pronunciata dalla sua voce.

Questa volta Nida non rise. «Per menon contano assolutamente

niente, le tue parole. Hai fatto quelche dovevi, ma io adesso sono sola,

sola per sempre.»

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«È tutto pronto» li interruppe Karl,entrando nella stanza con aria

soddisfatta. «Potete sistemarvi.»

Sofia attese tutto il tempo in unostato di tensione insostenibile. Il

silenzio era rotto solo dalle urlaindemoniate degli Assoggettati.

Di tanto in tanto, udiva le voci diKarl, Nida e Fabio dal piano

superiore, ma non riusciva a capirele parole.

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“Dovrei esserci io, là dentro” sidiceva, e non si dava pace.

Poi sentì i passi di qualcuno lungole scale. Nida apparve

stiracchiandosi, ma si bloccòquando la vide.

«Il capo non dorme mai, eh? Ineffetti potrebbe essere l’ultimavolta

che vedi il tuo amico vivo.» E se neandò in cucina senza aggiungere

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altro.

L’ultimo a scendere fu Fabio.

«Ti devo parlare» gli disse Sofia,facendosi coraggio.

«È stata una giornata pesante,abbiamo tutti bisogno di una bella

dormita.»

Fabio fece per andarsene, ma Sofiabalzò in piedi e gli afferrò un

polso. Rimasero entrambi immobili.

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«Hai barato» disse Sofia, dritta alpunto. «Hai fatto in modo di

estrarre il tuo nome.»

«Non è vero.»

«Ti sembra una coincidenza? Primascatti perché non vuoi che lo

faccia io, poi ti proponi perl’estrazione dei nomi e, guarda unpo’, esce

fuori proprio il tuo.»

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«Pensala come vuoi, ma io non hobarato. Sto solo agendo perché la

missione vada per il meglio. E se cirifletti bene, capirai che è giustoche

sia toccato a me. Sono io che hotradito, io che ho ucciso Ratatoskr.»

«Ma quante volte devo dirti chetutto questo non ha alcuna

importanza? Non ne ha per me, nonne ha per nessuno di noi!»

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«Ne ha per me, lo capisci?»

«Allora è vero… hai barato…»

Fabio sorrise con amarezza.«Siamo Draconiani, Sofia, è ilnostro

destino. Ed è buffo che sia io adoverti spiegare queste cose,quando poco

tempo fa eri tu a dire che si puòvivere rischiando di perdere lepersone che

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ami da un giorno all’altro.»

Sofia rimase a bocca aperta,incapace di rispondere aquell’obiezione.

Le venne in mente il verso di unacanzone tristissima che aveva

suonato qualche tempo prima Ewan:in quel momento, desiderava

ardentemente non aver maiconosciuto Fabio, e non essersenemai

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innamorata.

L’amore è una partita persa inpartenza. “Io non vinco mai”pensò, e

le si strinse un nodo in gola.

«Fa’ come ti pare, tanto hai sempreragione tu, e la stupida sono io.»

Fabio sospirò e la guardò condurezza. «Ti piace fare la vittima,ma

non ti fermi mai a chiederti se forse

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sei tu a non capire, se magari sei tuad

essere troppo compresa nel tuoruolo da non vedere quello che èevidente.

Ma io a questo tuo gioco non ci stopiù, e lo faccio per il tuo bene.»

Sofia sentì una rabbia sordacrescerle in petto.

«Non lo capisci, Sofia?» continuòFabio. «Se mi succedesse

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qualcosa, tu andresti avanti, lo so,perché sei forte, incredibilmentepiù

forte di quanto credi, più di tuttinoi.»

Sofia rimase a bocca aperta edebbe la netta sensazione che tutto

intorno a lei si dissolvesse: ilsalotto, le voci degli Assoggettati…C’era

spazio solo per il volto di Fabio e i

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suoi occhi, colmi di una sinceritàche

non aveva mai visto in lui. Larabbia svaporò, e d’improvviso sisentì

nuda, indifesa.

Fabio si ricompose, sbuffando. Nonebbe il coraggio di guardarla

quando le bofonchiò «buonanotte».Poi prese la via del dungeon,

lasciandola di nuovo sola.

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La mattina dopo, Sofia si presentòin cucina con un paio di occhiaie

violacee che urlavano “non hodormito” a un chilometro didistanza. Dopo

la discussione con Fabio, le erastato impossibile prendere sonno.

«Non hai chiuso occhio» osservòGillian non appena la vide. Dalla

cucina usciva una deliziosafragranza di porridge e uova al

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bacon. Gillian

non smetteva mai di stupirla:nonostante il dramma che si stava

consumando appena fuoridall’uscio, aveva trovato il tempo ela voglia di

mettersi ai fornelli. Sofia si sedettein silenzio. C’era anche un belbricco

di latte caldo, che si versò nellatazza. Gillian le si sedette davanti e

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le

piantò in faccia uno sguardoinequivocabile.

«Ne usciremo, vedrai…» le disseprendendole una mano, e Sofia si

sentì rincuorata. «Ma non è questoil problema, vero? È per Fabio.»

Sofia arrossì. «No, non…» provò adire, ma Gillian già sorrideva, tra

l’intenerito e il materno.

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«Lui ci tiene a te» continuò,allungandole una ciotolina con il

porridge. «È che voi ragazzi non vicapite mai… Oh, for heaven’s sake,io

ero come lui, alla sua età. Fa ilduro, capisci? Ma ci tiene a te, emolto.»

Sofia avrebbe davvero voluto chefosse tutto così semplice. «Adesso

comunque abbiamo cose più

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importanti a cui pensare» risposerimestando

il latte con il cucchiaino.

« Sure! Ma ricordati, lui c’è, anchese non sembra, anche se ti dice il

contrario. E non aver paura, andràtutto bene oggi, perché lui è un tipo

davvero tosto!» E Gillian le fecel’occhiolino.

Lidja entrò in cucinastiracchiandosi, e la conversazione

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finì. Quanto

meno, quelle parole le avevanofatto ritrovare l’appetito, pensòSofia.

Forse Gillian la faceva tropposemplice, ma sentirsi dire quellecose le

aveva fatto bene, soprattuttoconsiderato cosa sarebbe successodi lì a

poco.

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Fecero colazione tutti insieme,tranne il professore e Thomas,sempre

confinati nel dungeon accanto allaGemma. Fabio arrivò per ultimo:anche

lui sembrava avere la faccia di chiè decisamente in debito di sonno.Sofia

affondò il viso nel porridge e nonosò più alzarlo dalla ciotola. Nonaveva

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neppure il coraggio di guardarlo.

Karl mangiò prendendo appunti econsultando una serie di fogli fitti

di formule e calcoli.

«Lo faremo qui in cucina» spiegòmentre addentava una forchettata

di bacon. «Preleverò il sangue diNida e lo inietterò a Fabio, poi

aspetteremo.»

«Sei sicuro delle dosi e… di tutto,

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insomma» gli chiese Sofia.

Karl prese tempo per rispondere.

«Abbastanza» disse infine.

«Karl, tu sai meglio di chiunquealtro che siamo tutti indispensabili

alla missione…» iniziò Sofia, rossain volto.

Karl la bloccò tirando fuori da sottoil tavolo un’ampolla di liquido

verde. «Questa è la nostra salvezza.

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E quella di Fabio, ovvio» disse.

«Linfa di gemma…» osservò Lidja.

«Monitorerò col draconoscopio lostato di Fabio e, qualsiasi cosa

vada storta, gli inietterò questa. Hogià eseguito un esperimento invitro: è

in grado di neutralizzarecompletamente l’effetto del sanguedi viverna.»

«Di tutto quello che inietterai a

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Fabio?» insistette Sofia.

Karl parve titubante. «Penso…penso di sì.»

«Non c’è spazio per i dubbi!»sbottò Sofia scattando in piedi.

«Dobbiamo essere certi di ognidettaglio, o è la fine! Siamo andatifino nel

passato per salvarti la vita, ma…con lui non potremmo farlo.»

Lidja la prese per un polso.

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«Calmati» le impose.

«Andrà tutto bene, vedrai» disseKarl. «Non sarà certo piacevole,ma

nessuno di noi vuole che a Fabiosucceda qualcosa di irreparabile, losai.»

«Sì, andrà tutto bene» la rassicuròanche Fabio, quasi controvoglia.

«Ho la pelle dura, io.»

Sofia prese un bel respiro. «E

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allora facciamo quel che va fatto.»

Nida sembrava fresca a riposata.Mangiò una padellata intera di uova

al bacon che Gillian fu costretta aprepararle. Era incredibile quantocibo

potesse ingurgitare pur rimanendomagra e in forma.

Sul volto aveva l’ombra del suosolito sorriso ironico, e Fabio notò

che continuava a fissarlo.

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Evidentemente era contenta di quelche a breve

avrebbe patito.

Indurì lo sguardo, ma sentì un lungobrivido drizzargli i peli sulla

nuca. Riuscì a calmarsi solo alpensiero che se non fosse statobravo a

pescare il suo nome al momentodell’estrazione, sarebbe stata Sofiaa

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dover affrontare quella prova, equesto lui non avrebbe mai potuto

tollerarlo. La guardò un istante. Erapallida e tesa.

«Vogliamo procedere?» disse Karl.

Sul tavolo di cucina era stato stesoun lenzuolo. C’erano ventose

collegate al draconoscopio tramiteuna serie di tubi, e due cinghie dicuoio

che giravano tutto intorno al piano

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di legno. Fabio si fece forza e sisdraiò.

Di lato, su una sedia, la siringa eragià pronta: di vetro, con un agospesso

e l’impugnatura metallica, di sicuroproveniva dalla collezione dioggetti

antichi del professore. Piùminaccioso, però, era il liquido checonteneva.

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Nero e denso, sembrava un cilindrodi nulla condensato. Accanto, c’era

una siringa identica, ma con unliquido verde e trasparente. Fabioalzò lo

sguardo e vide il soffitto sopra di séincorniciato dai volti deiDraconiani,

preoccupati per la sua sorte.

«Sono proprio necessarie lecinghie?» chiese.

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«È meglio. Non vorrei ti facessimale» rispose Karl.

Fabio seguì il resto dei preparativicome se riguardassero qualcun

altro. Nella stanza regnava unsilenzio spettrale, che metteva ibrividi. In

un modo misterioso, si sentìaddosso lo sguardo di Nida. Si giròe la vide,

seduta in un angolo, che lo fissava

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con aria di sfida. Poi, finalmenteKarl

smise di armeggiargli intorno. Nelsuo campo visivo apparve lasiringa e

Karl che la stringeva con una manoguantata. Fabio ebbe un flash: era

bambino, sua madre era ancoraviva, e si trovavano in un ospedale

ungherese. Stava male per unmotivo che aveva dimenticato, i

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ricordi

erano confusi, ma rivedevaperfettamente l’immagine di unasiringa, e

riudiva la voce di sua madre, chiaracome se gli fosse lì accanto.

Una paura irrazionale lo assalì.

«Sei pronto?» gli chiese Karl.

Fabio si limitò ad annuire. La vocegli sarebbe uscita strozzata, e non

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voleva mostrare agli altri la suapaura.

Karl non doveva essere granchéallenato a fare iniezioni, perché la

puntura gli fece male. Per qualchesecondo, il pizzicore dell’ago fututto

quello che sentì. Poi, il sollievodella pressione nell’incavo delbraccio:

Karl aveva finito.

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«Stai bene?» chiese.

Fabio esitò prima di rispondere.«Sei sicuro di avermi iniettato il

liquido giusto?»

«Mi prendi in giro? Certo!»

«No, perché non sento n…» Leparole gli morirono in gola. Fucome

se una gigantesca mano glistringesse d’improvviso il collofino a

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chiudergli la trachea. Dal bracciouna sensazione di brucioredevastante si

diffuse alla spalla, al petto, a tutto ilcorpo. Era un dolore per il qualenon

esistevano parole, una sofferenzasenza nome che la mente si rifiutavadi

registrare. Era cominciata.

Gli altri videro il suo corpo

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contrarsi all’istante, e le cinghietendersi

sul suo petto. Gli occhi gli sirovesciarono e prese a tremare.

«Fabio!» scattò Sofia, ma Lidja latrattenne.

«Non c’è bisogno che guardi!»disse cercando inutilmente di

trascinarla via.

Sofia continuava a urlare il suonome, senza retrocedere di un solo

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passo. «Fabio! Fabio!»

«Sta bene! Sta bene!» urlava Karl,lo sguardo fisso al monitor

collegato al draconoscopio, macredergli non era facile. Il corpo diFabio

sussultava in preda agli spasmi e sicontorceva sotto le cinghie. Il voltoera

atteggiato a una sofferenza estrema.

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«Ve l’avevo detto…» sentenziòlugubre Nida, che tuttavia nonrideva

più.

«Dagli la linfa, dagli la linfa!»ordinò Sofia.

Karl sembrava non sapere cosafare.

«No!»

Tutti si girarono. Era stato Fabio aparlare, con voce strozzata.

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«Karl, ti prego…» insistette Sofia.

«No!… Ancora…» balbettò Fabio.Per un istante, riuscì a guardare

Sofia. I suoi occhi esprimevano unasupplica inequivocabile.

Lei rimase paralizzata. «Non puoichiedermi questo… non puoi…»

Fabio riprese a tremare con una taleviolenza che le cinghie si

lacerarono, lasciandolo cadere a

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terra in preda alle convulsioni. I

Draconiani si gettarono su di lui,cercando di tenerlo fermo.

«Dagli la linfa!» urlò Sofia,stravolta. Fabio non proferì parola,e

Karl, in preda alla disperazione,agguantò la siringa. Era così agitatoche

per poco non la fece cadere.

«Tenetelo fermo, tenetelo fermo…»

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disse.

A stento, in quattro, riuscirono abloccargli un braccio il tempo

necessario a iniettargli la linfa.

Per alcuni interminabili istanti,Fabio continuò a contorcersi comese

la linfa non avesse fatto effetto.Sofia era accanto a lui, inginocchio. Poi

gli spasmi si fecero meno violenti,

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e lentamente sembrò calmarsi. Ilrespiro

divenne meno affannoso, la fronte sispianò. Karl si mise sopra di lui e

prese a schiaffeggiargli il viso. Erapallido come un morto, le labbra

violacee.

Infine Fabio aprì gli occhi.Appariva esausto. Disse qualcosa,troppo

piano perché si potesse capire.

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Sofia si chinò e gli accarezzò unaguancia

delicatamente, con timore.

«Va tutto bene» gli sussurròsforzandosi di sorridere, ma nonriusciva

a non piangere.

«Ci sono…» mormorò lui. «Iframmenti…»

«Shhh… ora devi solo riposare»disse Sofia asciugandosi gli occhi.

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Ma Fabio continuò: «I frammenti…so dove sono.»

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7.I prossimi passi

La villa si stagliava sul nero dellanotte, avvolta dai riflessi violaceiche

pervadevano l’oscurità.

Nidhoggr rimase un istanteimmobile. Quel posto era moltodiverso

da come lo ricordava quando eraancora la sua casa. Gli umani

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l’avevano

infestato, vi avevano edificato leloro fragili costruzioni, avevano

contaminato tutto con la loropresenza.

Poco male. Il tempo di VillaMondragone stava per finire,almeno

nella forma che gli uomini leavevano dato cinque secoli prima.

Gli occhi della viverna

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scintillarono, e accadde. Gli alberisi

seccarono all’istante, mentre le lororadici prorompevano dal terreno,

invadendo i muri della villa comeun’edera velenosa. Le vestigia

dell’antica residenza romana chegiaceva sotto le fondamenta della

costruzione più recente emerserodal terreno, fondendosi con il resto

dell’edificio. Le mura si

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ispessirono, spuntoni di roccia siersero a

difenderne il perimetro, ogni cosasi trasfigurò. Pochi secondi, e alposto di

Villa Mondragone c’era una roccafortificata, più nera del nero. Lanuova

dimora di Nidhoggr.

«Un luogo appropriato per il nuovoSignore della Terra» disse Ofnir

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con un inchino.

«Il posto giusto per pianificare lamia guerra» ribatté Nidhoggr.

Con un ruggito si alzò in volo eplanò sopra la villa, calandosi

dall’alto. Il suo immenso corpo siacquattò in fondo alle quinte del

Giardino della Girandola, orainteramente coperto da un tetto dirami

secchi intrecciati, così come il

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Portico del Vasanzio. Lungo laquinta, dove

prima zampillava una grandefontana, adesso si innalzava unimponente

altare di ossidiana, dalle pareti irtedi spuntoni taglienti. Fu lì cheNidhoggr

si distese, osservando la sua nuovadimora.

Ofnir gli si inginocchiò davanti. «È

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tutto com’era un tempo» disse

sorridendo.

Nidhoggr ruggì con rabbia: «No chenon lo è!»

Il sorriso scomparve dal volto diOfnir. «Mio Signore… il mondo è

vostro, il frutto si è infranto… Cosavi turba ancora?»

«Il frutto non può essere distrutto. Iframmenti sono ancora intrisi di

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potere, e lo saranno per sempre.Mio fratello era forte, forte quantopuò

esserlo un Guardiano, e ancora ogginon sono in grado di annientare quel

potere.»

«Che importanza può avere ormai?Questo mondo ora vi appartiene.»

A Nidhoggr bastò stringere appenagli occhi, e Ofnir cadde a terra

urlando.

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«Il mondo non è ancora mio. IDraconiani sono tuttora vivi,

maledetto, stupido servo.»

Ofnir si tirò su a fatica. «Homandato gli Assoggettati a cercarli,ma

non è facile, mio Signore…»

«Non mi importa, i Draconianidevono morire tutti! Finché Thuban

sarà ancora in vita, tutto quel che

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vedi rischia di scomparire da un

momento all’altro.»

«Sopravvalutate il vostro nemico,mio Signore. Lui è morto da

tempo, e tutto ciò che ne resta ènella mente di quella ragazzina, una

pallida ombra di ciò che era. Voiinvece siete vivo, e forte, e avete un

mondo intero ai vostri piedi.»

«Sei tu che lo sottovaluti,

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esattamente come sottovalutasti iDraghi

della Guardia millenni fa.»

Ofnir si morse il labbro. «Nonaccadrà mai più.»

«Certo che non accadrà, perché sedovesse accadere di nuovo

dilanierò il tuo corpo in pezzi cosìpiccoli che di te non resteràneppure il

ricordo.»

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Ofnir chinò il capo. Nidhoggr notòcon soddisfazione che tremava.

«Ora fai quello per cui sei tornato:servi il tuo padrone» tuonò.

Ofnir lo guardò con deferenza.«Ordinate e sarà fatto.»

Sofia vegliò Fabio per diverse ore.Lui rimase tutto il tempo sdraiato,

a occhi chiusi.

Di tanto in tanto Lidja la

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raggiungeva. «Guarda che ha lapelle dura»

cercava di tranquillizzarla.«Lasciatelo dire da una che ne hatrascorse di

notti al tuo capezzale: sta solodormendo.»

Sofia ricordò con una punta dirimorso che in effetti anche lei in

passato li aveva fatti preoccupare,quando aveva rischiato di morire

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per

liberare Chloe dallo spirito diBloody McKenzie, nel cimitero di

Edimburgo.

Improvvisamente, il discorso cheFabio le aveva fatto la mattina in

cui erano partiti non le sembravapiù tanto codardo. Dover assisterealla

sofferenza di una persona amata eradavvero un’esperienza dura da

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sopportare.

“In ogni caso, non c’è scelta: unavita senza legami non è vita” si

disse. E se il prezzo per esserecircondati da affetto era quello, be’,valeva

comunque la pena pagarlo. Nonc’era paragone tra la vita chefaceva ora e

quella che aveva condotto pertredici anni all’orfanotrofio. Allora

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era

sempre al sicuro, certo, nonrischiava la vita e non aveva amiciche la

rischiassero ogni giorno. Però eraterribilmente sola.

Fabio si scosse appena, e Sofiaquasi scoppiò in una risataliberatoria

quando lo vide sbadigliare eprovare a stiracchiarsi. Ma il

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sorriso le morì

sul volto appena lo sentì gemere.

«Ti fa male?» gli chieseappoggiando le mani sulle coperte.Fabio la

guardò come se non lariconoscesse, poi batté le palpebreun paio di volte

e parve tornare presente a se stesso.Era pallido e aveva gli occhicerchiati,

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ma sembrava lo stesso di sempre.

«Mi sento solo… indolenzito.Come quando hai l’influenza. Mi fa

male dappertutto.»

«Non ti azzardare mai più» disseSofia guardandolo con severità. «È

già difficile così, non è il caso dicomplicare le cose mettendosi afare

anche il lavoro degli altri. Io nonvoglio che rischi di nuovo la vita al

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posto

mio, è chiaro? Hai detto che sonoforte, più di quanto credo. Be’,allora

ogni tanto dovresti fidarti della miaforza e lasciare che mi occupi diquello

che spetta a me. Ce la posso fare.»

Fabio fissava ostinatamente ilsoffitto, senza parlare.

«Me lo devi promettere» insistette

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Sofia.

«Ti pare una cosa che possopromettere? Uno come me?» disselui

voltandosi a guardarla.

«Se ho potuto sopportare io divederti rischiare la vita, forse tupuoi

farmi questa promessa.»

Fabio rimase in silenzio. Sofiastava per andarsene, quando lui

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finalmente disse: «Vedrò cosaposso fare.»

Lei sorrise mentre infilava la porta.

Andò a chiamare gli altriDraconiani, che si radunaronoattorno a

Fabio, trepidanti.

«Credo di aver percepito iframmenti del frutto: esistono, esono

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ancora intrisi del potere di Thuban»annunciò lui. «Sono però ricopertida

una patina del sangue di Nidhoggr.Era quello che ci impediva disentirli.

Ma quando il sangue di Nida mi èentrato in circolo… è stato come un

flash, ho avvertito il potere diNidhoggr e quello di Thuban, e hovisto i

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frammenti.»

«Quanti sono?» chiese Sofia con ilcuore in gola.

«Tre.»

«E dove si trovano?»

Stavolta Fabio si mostrò piùincerto. «La visione non erachiarissima.

Ho visto solo una porzione ristrettadel luogo in cui sono nascosti, mami

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sfugge il contesto. Non sono ingrado di riconoscere le città in cuisi

trovano.»

«Allora siamo in alto mare…»disse Karl scuotendo la testa.

«Non arrendiamoci subito» replicòSofia. «Descrivici cos’hai visto,

ci sarà pure qualche indizio.»

Fabio rifletté qualche secondo.

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«Dunque… in un caso c’eradell’oro intorno, molto oro. Era unposto

piccolo, una specie di stanzatappezzata d’oro alle pareti. Credoci fosse il

mare, e forse c’erano anche deimosaici… sacri, quelli con i santi ele

facce prive di espressione, e duedita messe così» e fece una speciedi

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segno di benedizione. «In un altrocaso c’era invece della roccia…come

una grotta, affacciata su unostrapiombo, ma vicina alla città.Era un posto

strano, non credo di averne maivisti di simili. E per ultimo… misono

apparse le segrete di un palazzo,una specie di fortezza. La cosacuriosa è

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che ho avuto la visione di… unuovo, qualsiasi cosa significhi.»

Fabio tacque, e automaticamentetutti si girarono verso Karl.

«Calma, non è che debba saperesempre tutto io, eh?» si schermì lui.

«Se c’è qualcuno che può tirarefuori qualcosa da queste visioni,

quello sei tu: finora ci sei sempreriuscito, no?» gli disse Lidja con un

sorriso, e Karl arrossì. Cominciò

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ad accarezzarsi il mento, lusingatoda

quelle parole.

«Dunque… direi che potremmoiniziare con il restringere il campodi

ricerca all’Italia: il frutto è statodistrutto qui, ed è ragionevolesupporre

che i frammenti non si sianoallontanati troppo. Per quel che

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riguarda la

prima visione, in Italia mi vengonoin mente un paio di posti in cui cisono

mosaici bizantini. Sì, Fabio, i santiche fanno così» e ripeté il gesto«sono

tipici delle rappresentazionibizantine» disse in tono saccente.

Fabio sbuffò con noncuranza, masorrise tra sé e sé.

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«Comunque, devo fare dellericerche, consultare i miei libri, ma

prima ho bisogno del suo aiuto»aggiunse Karl indicando Fabio.

«Resteremo ancora qui e ciconcentreremo sulle visioni.Dobbiamo

aspettare di avere altre indicazionisulla posizione dei frammenti, non

abbiamo scelta.»

«Perfetto. Datevi da fare, allora»

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concluse Sofia.

La riunione si sciolse, e di nuovociascuno ritornò ai propri compiti.

Sofia si concesse un sonnellino.Adesso che Fabio si era ripreso, la

stanchezza aveva avuto la meglio ele si chiudevano gli occhi.

Si ritirò nella sua camera, nesentiva davvero la mancanza. Tuttoera

rimasto come la sera dell’attacco.

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C’era confusione ovunque, i mobili

erano scheggiati e i vestiti sparsisul pavimento, ridotti a brandelli.Dalla

finestra si vedeva la folla diAssoggettati assiepati appena oltreil cancello

della villa, che continuavanoimperterriti a gettarsi contro labarriera. Sofia

ripensò con un brivido alle parole

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di Nida, e si domandò se avrebbe

resistito fino alla fine. Chiuse leimposte per non sentire più quelleurla,

raccolse la coperta da terra e sitrascinò sul letto. Se la tirò finsopra la

testa e si rannicchiò. Nel bozzoloavvolgente che si era ricavata,poteva

davvero credere per un istante che

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la bufera sarebbe passata. Sarebbestato

com’era prima di conoscere laverità, quando era solo contenta diessere

stata adottata e la vita colprofessore era così nuova edeccitante. Ma,

soprattutto, quel che davvero lariempì di un senso di pace fu sapereche

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Fabio ce l’aveva fatta, che era sanoe salvo.

“Per ora” sussurrò una voce, maSofia non la ascoltò. Non era in

vena di pessimismi. Si addormentòripensando alle sue parole quandole

aveva detto che ci avrebbe pensato,che forse le avrebbe dato retta.Tutto il

resto, al confronto, semplicemente

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svaniva.

Cenarono davanti alla Gemma. Tutticominciavano a sentire la

mancanza del professore, e quelloera un modo per aggiornarlo sugliultimi

sviluppi della missione.

Gillian servì un brodo di pollomolto saporito, ma lui si limitò a

piluccare un po’ di cibo senzatroppa convinzione. Era pallido e

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teso,

anche se cercava di sorridere.

Sofia gli leggeva in volto lo sforzoche stava compiendo per stare lì

con loro. Per un istante, quandoerano scesi nel dungeon carichi dipiatti e

stoviglie, aveva pensato cheavrebbero potuto godersi qualchemomento

insieme, come ai vecchi tempi. I

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Draconiani avrebbero esposto la

situazione e il professore, concalma, avrebbe spiegato loro il dafarsi e

avrebbe concluso con qualche frased’incoraggiamento. Si domandò se

quei tempi non fossero passati persempre; il prof era con loro, ma era

come se non ci fosse.

In ogni caso, non parlarono dellamissione prima del dolce, una torta

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di Dundee dall’aria deliziosa. Sofianotò con piacere che Fabiomangiava

di gusto. Si era alzato da poco, e leera sembrato incerto sulle gambe.Che

avesse fame, in ogni caso, eradecisamente un buon segno.

«Abbiamo identificato i luoghi incui si trovano i frammenti» disse

Karl mentre addentava la sua fetta

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di dolce.

« Great!» esclamò Ewan.

«Già, già» gongolò Karlsoddisfatto. «Ma per quantoriguarda l’uovo,

almeno tu, Fabio, avresti potutoarrivarci subito! Sei vissuto aBenevento,

no?»

«Non fare tanto il saputello e sparacosa hai scoperto» disse Fabio

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spazientito.

«A Napoli c’è Castel dell’Ovo, unafortezza sul mare, nelle cui

fondamenta, secondo la leggenda, ènascosto un uovo. Forse unframmento

del frutto di Thuban potrebbetrovarsi lì» disse Karl.

«Bravissimo!» esclamò Sofia. «Eper quanto riguarda gli altri due?»

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«Dunque, la stanza con l’oro è statafacile da identificare» riprese

Karl. «È la Cappella Palatina, aPalermo. Invece per la grotta astrapiombo

ho dovuto sudare un bel po’. Lavisione di Fabio non era chiara, edi posti

così ce ne sono a bizzeffe, e…»

«Karl, ti vogliamo tutti bene, esappiamo quanta fatica ti sobbarchi

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per queste ricerche» lo bloccòLidja. «Ci fa piacere sapere che seicosì

brillante, ma… perché una voltatanto non vai dritto al punto?» E glifece

l’occhiolino.

«Matera» disse Karl, un po’ offeso.«Il frammento è in uno dei sassi,

probabilmente in una chiesarupestre. Purtroppo non posso

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essere più

preciso. È pieno di posti delgenere, da quelle parti.»

Sofia sospirò. «Perfetto. Treframmenti, sei Draconiani.Dobbiamo

dividerci in tre coppie.»

«Ma come faremo a uscire?» chieseChloe. «Fuori è pieno di quelle

creature… e ci attaccherannosubito.»

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«Abbiamo bisogno di qualcosa checi protegga, che ci renda simili a

loro» disse Karl. «Forse potremmosfruttare la presenza di Nida… Ci

lavorerò stanotte. Qualcosa miinventerò.»

Non appena sentì nominare Nida,Chloe si alzò e si avviò al piano

superiore.

Solo qualche mese prima, il fratello

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l’avrebbe seguita. Erano

inseparabili, e i loro poteri simanifestavano esclusivamente inpresenza

l’uno dell’altra. Ma dopol’estrazione delle due metà delfrutto, la

situazione era cambiata, e quasi percaso Ewan e Chloe avevanoscoperto

di essere in grado di usare i loro

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poteri anche quando erano separati.

«Be’, non resta che decidere lecoppie» disse Ewan.

«Io andrò a Matera» si proposeFabio. «Dato che non sappiamo

esattamente in quale sasso si trovi ilframmento, è meglio che vada a

vedere di persona.»

«A Napoli andrò io» sentenziòKarl. «Mi sono informato moltosulla

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città.»

«Non è esattamente come essercistati. Guarda che perdersi è facile»

osservò Fabio.

«Ho i miei metodi» replicò l’altro.

«Okay, allora io andrò a… come sichiama?» disse Ewan.

«Palermo» intervenne Karl.

«Vengo con te» si lanciò subito

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Lidja. «A Palermo sono stata col

circo, la conosco molto bene» siaffrettò ad aggiungere.

Sofia nascose un sorriso.

«E mia sorella?» chiese Ewan.

«Verrà con me» disse Karl. «Vedraiche ce la caveremo. Sofia, a te

sta bene andare a Matera?»

Sofia sentì il cuore batterle forte. Isuoi occhi incrociarono quelli di

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Fabio. Li distolse quasi subito,guardò Karl e annuì rapidamente.

«Allora è deciso» disse ilprofessore. «Io, Gillian e Thomas

resteremo qui, anche perché due dinoi non hanno molti altri posti dove

andare» ridacchiò.

«Georg, forse sarebbe il caso chealmeno uno di noi rimanesse qui,

non credi?» osservò Fabio. «C’èNida, non potremo mai fidarci di lei

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fino

in fondo.» A Sofia parve che per unistante l’avesse guardata.

Schlafen scosse la testa. «No, èfuori discussione che tu vada dasolo

là fuori: è pieno di nemici, nessunodi voi può farcela senza uncompagno.

E per quel che riguarda Nida…» Sifermò un istante; aveva l’affanno.

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«È

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un’egoista, certo, ma ormai non c’èdubbio che abbia Nidhoggr contro.

Resterà qui, e si comporterà bene.In caso contrario, c’è la padella di

Gillian» e si produsse in un risolinostentato.

«Allora è tutto deciso» tagliò cortoLidja. «Io e Ewan andremo a

Palermo, Karl e Chloe andranno aNapoli e Sofia e Fabio a Matera. Si

parte domani.»

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Finirono di mangiare il dolce.Sofia, tra un boccone di torta el’altro,

gettava sguardi fugaci a Fabio.Sapeva che era l’ultima cosa su cuidoveva

soffermarsi, sapeva che la missioneera più importante di tutto, ma inquel

momento non riusciva a pensare adaltro: lei e Fabio avrebbero di

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nuovo

agito fianco a fianco, come ai beitempi.

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8.Partenza

«Ecco qui.»

Tutti si fecero intorno a Karl,impazienti e curiosi.

«Ho dovuto lavorarci tutta la notte,ma alla fine ci sono riuscito!»

disse con entusiasmo, nonostanteapparisse esausto.

Consegnò a ciascuno un ciondolo.

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Nel castone brillava una pietra

nerissima.

«Dentro ci sono gocce del sangue diNida» spiegò. «Finché li avremo

indosso, gli Assoggettati nonpotranno percepirci comeDraconiani. Il

principio è lo stesso dell’ampollache Nida ha preso a Edimburgo, eche

l’ha tenuta al sicuro fino a quando

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Nidhoggr non è tornato. Solo che, al

contrario, questo ciondolo ci daràquell’aura da viverne che ci serveper

muoverci indisturbati.»

«Hai detto bene: il ciondolo diNida ha funzionato finché non è

tornato Nidhoggr. Sei sicuro chequesti bastino per coprire le nostreaure?»

chiese Fabio.

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«Assolutamente sì; ho testato il miociondolo, e quando lo indosso il

draconoscopio non è in grado dirilevare la mia aura, se lo settosulle

frequenze della linfa.»

Fabio parve soddisfatto, ma Karlnon sorrideva.

«Ci sono però due limitazioni»aggiunse. «La prima è che

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funzionano solo se non usiamo inostri poteri.»

«Cioè sono inutili» commentòsubito Fabio.

Karl si irrigidì. «Scusami, haiintenzione di andartene in giro a

sparare fiamme giorno e notte? Èovvio che dobbiamo mantenere unbasso

profilo e ricorrere ai nostri poterisolo se indispensabile. L’ideale

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sarebbe

non farlo mai. In teoria nondovremmo averne bisogno:sappiamo dove si

trovano i frammenti, dobbiamo soloandarli a prendere.»

«Però non sappiamo quale sasso diMatera sia quello giusto» obiettò

Fabio.

«Li perlustreremo senza ricorrere ainostri poteri» disse Sofia. «In fin

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dei conti tu ricordi com’era il postoche hai visto, no?» Fabio annuì. «Ci

baseremo solo su quello.»

«E la seconda limitazione?» chieseEwan.

«Il sangue di viverna si degrada conil tempo, anche perché i nostri

poteri tendono ad assorbire il suo ead annullarlo piano piano.»

«Quanto tempo?» domandò Fabio.

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«È difficile dirlo. Ho provato asottoporre un campione… Non piùdi

una settimana, forse meno.»

«Dovrebbe bastare» commentòEwan.

«Io non ne sarei così sicuro»proseguì Karl. «Avete riflettutobene sul

viaggio?» I ragazzi lo guardaronosmarriti, ma poi compresero al

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volo. «In

condizioni normali non sarebbecomplicato arrivare a Napoli,Matera e

Palermo. Solo che non siamo incondizioni normali. A quanto ne

sappiamo, tutto il mondo è statocolpito dal maleficio di Nidhoggr…Sono

tutti Assoggettati, per cui nonfunzioneranno né gli aerei né i treni.

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E direi

che nessuno di noi sa guidare.»

« It’s a disaster! Non possiamoandare a piedi!» esclamò Chloe.

«Per secoli la gente ha viaggiato apiedi…» suggerì Ewan.

«Hai idea di quanto ci vorrebbe?»obiettò Fabio.

«L’unica soluzione è volare» disseKarl.

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«E usare quindi i nostri poteri»aggiunse Fabio.

«Non abbiamo scelta» intervenneSofia. «Voi siete già scappati in

volo, no? E avete detto che se si vamolto in alto, gli Assoggettati non ci

seguono.»

«Esatto. Ma così in alto cistancheremo presto, l’aria è troppo

rarefatta. L’unica soluzione è volaresul mare. È il modo migliore per

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passare inosservati. Secondo i mieicalcoli, io e Chloe dovremmoarrivare

a Napoli in giornata: il tragitto èbreve; anche se allunghiamopassando sul

mare, un paio d’ore dovrebberobastare. Per Matera ho calcolatouna

giornata di viaggio. La traversatamarittima dovrete farla in una volta

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sola,

non ci sono isole in cui potreteconcedervi una sosta.» Karl allungòa Sofia

una cartina. Rappresentava l’Italia,e il tragitto in rosso indicava il loro

volo.

Fabio e Sofia si guardarono.«Dobbiamo volare per un bel pezzovia

terra, e poi il tratto sul mare è

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lunghissimo» osservò Fabio.

«Potete riposarvi una notte sullacosta.» Karl tirò fuori un’altra

cartina, identica alla prima, ma conun tragitto molto più lungo. «Tu e

Ewan invece ve la farete tutta viamare. Tra qui e Ustica dovrete fare

un’unica tirata.»

Lidja guardò la cartina. «Non èpossibile, non ho mai volato così a

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lungo!»

«So che è difficile, ma ce lapossiamo fare, d’accordo? Ce la

dobbiamo fare» disse Sofia.«Abbiamo risorse inaspettate. Inostri draghi

ci hanno sempre aiutato e lo farannoanche ora, ne sono certa.»

Gli sguardi che i suoi amici leindirizzarono non erano però per

niente convinti. E del resto anche

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lei non lo era del tutto. Il tratto di

pennarello rosso che tracciava illoro tragitto sul mare sembravainfinito.

“È quasi mezza Italia…” pensò, macercò di nascondere lo sconforto.

Karl allungò loro delle piccolebussole. «In mare è difficile

orientarsi, sapete usarle?»

«Diciamo che so come funziona…»rispose incerta Lidja.

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«Io e mia sorella siamo stati scout,ci sappiamo orientare

praticamente ovunque» disse Ewan.Lidja tirò un sospiro di sollievo.Karl

guardò Fabio.

Lui si rigirò la bussola tra le mani,poi scrollò le spalle. «Non mi

sembra complicato: una bussolaindica sempre il Nord, basta solocapire in

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che direzione si deve andare.»

«Ce la caveremo» concluse Sofia.«Direi che siamo pronti.»

«State dimenticando qualcosa.»Tutti si girarono. Era stato il

professore a parlare. «Come faretea uscire?»

«Fuori ci sono gli Assoggettati…»mormorò, quasi tra sé e sé, Chloe.

«E la barriera che protegge la villa

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non vi permetterebbe mai di

uscire schermati dai ciondoli. Aquanto pare, posso ancora esserviutile»

disse il professore con un sorrisosofferto.

Camminarono per buona parte deltempo in silenzio, uno dietro

l’altro, chini per via del soffittobasso, le torce in pugno. La luce si

estingueva un paio di metri davanti

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a loro, e illuminava sempre lostesso

panorama: una galleria bassa dimattoni, il pavimento sterrato e unacortina

di ragnatele sopra le loro teste.

Davanti a tutti c’era Sofia. Ilprofessore aveva consegnato a leila

cartina col tragitto. «Tu lo sai,questo posto è molto più antico

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della villa, e

ha parecchie uscite segrete, alcunedelle quali ignote persino a me. Unaè

quella che porta al lago, te laricordi?»

Sofia non poteva dimenticarla: erastato all’inizio di quella storia,

quando aveva scoperto da poco diessere una Draconiana. Erano uscitiin

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perlustrazione del fondo del lago diAlbano con un piccolosommergibile a

forma di pesce. Ricordavaquell’episodio con tenerezza.Eppure all’epoca

era spaventata: tutto era nuovo,sconosciuto, e lei più fragile. Ma ipericoli

che avevano affrontato allora lesembravano poca cosa rispetto aquelli che

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si trovavano davanti adesso.

Il professore le aveva tracciato suuna mappa il percorso da seguire.

Era tortuoso, e lungo. «Uscirete nelmezzo del Parco dei Colli Albani»le

aveva detto. «Non dovrebbe essercinessuno, lì.»

Sofia aveva guardato il percorsopreoccupata. Tutto era infinitamente

più complicato di quanto avesse

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creduto.

Il professore le aveva stretto unamano. «Sofia, non perderti d’animo,

stai andando benissimo.»

Quanto le mancava… Era lì davantia lei, eppure così distante,

diverso. Era pallidissimo, ilineamenti contratti, gli occhiattraversati da

un’ombra rossa, colma di dolore.

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«Arriva sempre un momento in cuioccorre cavarsela da soli» aveva

proseguito. «Perché si cresce,perché ci sono prove che nessunopuò

aiutarci ad affrontare, ma nonbisogna aver paura, perché lepersone che

amiamo sono sempre con noi, unpasso indietro, ma ci sono.»

Sofia gli era saltata al collo,

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l’aveva stretto a sé con forza,aspirando

a fondo il suo profumo, un profumoche sapeva di casa e famiglia.Perché

il prof questo era: la sua unicafamiglia.

«Quanto manca?»

Sofia si riscosse. Era stata Chloe aparlare. Era quasi in coda alla fila,

seguita solo da suo fratello. Sofia

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controllò la cartina. «Poco» disse,ma la

verità era che non ne aveva idea.Erano già un paio d’ore che

camminavano, avevano incontratodiversi condotti laterali e crocicchi,e

ogni volta lei aveva guardato lamappa e controllato la bussola. Le

sembrava di aver capito più o menoa che punto erano, ma dire quanto

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mancasse le era impossibile.

«Tra un’ora e mezza dovremmoesserci» disse Fabio. Sofia si girò

appena nella sua direzione. Luiindicò qualcosa sulla mappa. «Èl’ultima

deviazione che abbiamo preso.Vedi? Siamo oltre metà.»

«Grazie» sussurrò lei. «Io conqueste cose sono una frana…»

«Stai andando benissimo» la

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incoraggiò lui.

Continuarono ad arrancare lungoquei condotti identici a se stessi,

pieni dell’odore stantio della muffa.Cominciavano già ad esserestanchi.

“E siamo solo all’inizio” pensòSofia, facendosi sfuggire unlamento.

Quando Karl aveva detto di avercapito dove si trovavano i tre pezzi

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del

frutto, aveva pensato che per unavolta le cose si erano messe bene.Certo,

Nidhoggr era tornato ed erano inguai grossi, ma almeno avevano

indicazioni precise riguardo aiframmenti, più di quanto avesseromai

saputo quando avevano cercato glialtri frutti. Non aveva pensato a

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tutte le

difficoltà che si trovavano davantiora.

Esattamente un’ora e mezza dopo, ilsentiero iniziò a salire.

«Ci siamo quasi» disse Fabio.Sofia lo sperò ardentemente. Si era

messa scarponi comodi proprio invista della lunga camminata, ma

ugualmente i piedi le dolevano,senza contare che ognuno portava a

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tracolla una pesante sacca condentro quanto poteva servire per la

missione.

Il tunnel lentamente si rischiarò:riflessi violacei, inconfondibili.

Erano davvero vicini all’uscita!

Pochi passi, e si trovarono davantiil cielo nero del mondo dominato

da Nidhoggr. Tutto intorno, unbosco che in condizioni diverse

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doveva

essere meraviglioso. Illuminatocom’era da quella luce spettrale,aveva ora

qualcosa di fosco. I rami deglialberi apparivano oscenamentecontorti, le

piante del sottobosco malignamenterigogliose. C’era qualcosa dimalato,

in quel luogo.

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«Perfetto. Adesso dobbiamo solotrovare una strada» disse Fabio.

«Perché, non voliamo?» chieseKarl.

Fabio si girò: «Non avevi detto dinon usare i nostri poteri?»

«Sì, ma non vedo come…»

«Lascia fare a me» concluse Fabiocon un sorriso.

Ci volle un’altra ora buona dicammino per arrivare finalmente a

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una

strada. Sofia la conosceva: qualchevolta l’aveva percorsa assieme al

professore per andare a fare un giroal lago di Nemi, che non distavamolto

dalla villa. Ricordava inparticolare una gita che si eraconclusa con una

lunga sosta in un bar con vista sullago, dove aveva mangiato delle

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ottime

fragoline di bosco con la panna.All’epoca erano solo lei e Schlafen.

Sebbene fosse un posto checonosceva, le sembrò alieno. Lungola

stretta carreggiata erano stateabbandonate delle auto, le portiere

spalancate. C’era anche un camion,il carico mezzo sparso per lastrada. Il

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silenzio era assoluto. Sembrava unfilm postapocalittico, di quelli che

piacevano tanto a Karl. Sofiainvece li odiava: non riusciva mai astaccarsi

a sufficienza dalle vicende tanto dadivertirsi. Pensava sempre a cosa

avrebbe fatto lei in una situazionedel genere, e le prendeval’angoscia.

“Ecco, stai per scoprirlo” si disse.

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Fabio avanzò, ispezionando le auto.Un paio erano state coinvolte in

un incidente, e a terra c’erano anchemacchie di sangue, ma nessuna

traccia dei conducenti.

Entrò in un abitacolo. Le chiavierano ancora infilate nel cruscotto,e

con un mezzo giro la plancia siaccese e la spia della benzina sialzò fino a

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raggiungere metà dell’indicatore.

«Ci basterà» sentenziò. «Forza,saltate su.»

Ma i ragazzi rimasero fermi.

Fabio li guardò: «Be’?»

«Sai guidare?» chiese Lidja.

Fabio arrossì. «Sì, forza, salite.»

«Ma è la macchina di qualcuno! Èun furto!» protestò Karl.

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Stavolta Fabio si innervosìdavvero. «Sai di chi è questamacchina?

Di uno che, mentre tu stai qui aperdere tempo, va in girosoggiogato dal

potere di Nidhoggr! E secontinuiamo a farci inutili scrupolidi coscienza,

ce lo troveremo alle calcagna che cidà la caccia.»

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Fu Sofia a rompere gli indugi. Giròintorno all’auto e si sedette al

posto del passeggero.

Pigiandosi al massimo, riuscirono aentrare tutti, ma dietro si stava

scomodi, e alla fine Chloe, che erala più minuta, si mise in braccio al

fratello.

«Un vigile ci farebbe una bellamulta…» osservò Karl.

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«Magari. Se incontrassimo un vigileadesso, ci farebbe la pelle, altro

che…» disse Fabio. Poi si tirò inavanti, concentrato al massimo. Ilmotore

ruggì, quindi con uno scatto lamacchina fece un balzo e si spensedi colpo.

«Sicuro che sai guidare?» chieseLidja dal sedile posteriore.

«Dall’ultimo orfanotrofio in cui mi

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avevano sbattuto sono scappato

con la macchina del direttore»rispose Fabio. Girò di nuovo lachiave,

l’auto diede ancora uno strappo, mastavolta il motore rimase acceso.«È

solo che è un po’ che non guido.»

A singhiozzo, la macchina si mise inmoto. Fabio accelerò e dopo un

po’, facendo grattare a più non

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posso gli ingranaggi, cambiòmarcia.

Presero velocità, e l’auto avanzòpiù dolcemente. Fabio si rilassò,

abbandonando la schiena sul sedile.

«Dobbiamo andare sulla costa: haiidea della strada da fare?» chiese

girandosi verso Sofia. Lei sbarrògli occhi. Era un bel po’ che vivevada

quelle parti, e avrebbe saputo

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andare da lì a uno dei paesi vicini,forse

anche fino a Roma, ma per il restobuio fitto. Non aveva neppure ideadi

quanto mancasse al mare o in chedirezione fosse.

«Io… ecco…» balbettò.

«Vai verso Albano, poi c’è unasuperstrada che porta ad Anzio»

intervenne Lidja.

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Fabio obbedì senza fiatare.

Oltre i finestrini sfilava unpanorama spettrale. L’aria eraimmobile,

tutto era fosforescente, il boscoincombeva come una minaccia.Ogni tanto

erano costretti a cambiare corsiaall’improvviso, perché qualchemacchina

abbandonata ostruiva il passaggio.

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Dopo un po’ cominciarono aincrociare i primi paesi. Le case

sembravano deserte, le finestre inalcuni punti spalancate come orbite

vuote. Il silenzio era perfetto, rottosolo dal rombo del motore.

Incrociarono Ariccia, dove eranostati una volta, poco dopo il lororitorno

da Monaco. Sofia se la ricordavacome un posto grazioso, intriso di

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un

senso di accoglienza caldo epiacevole. Avevano mangiato in una

fraschetta, una specie di tavernaalla buona in cui si erano riempitidi

antipasti squisiti: sott’oli, salumi,formaggi e un’ottima mozzarella.Adesso

tutto appariva abbandonato eminaccioso. Da una finestra,

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all’improvviso

videro affacciarsi una donna, gliocchi rossi che brillavanonell’oscurità. Si

gettò di sotto con un grido, poispalancò le ali e passò a un nulladal

parabrezza, tagliando loro la strada.Fabio sterzò con violenza, fecero

testacoda e a stento riuscì amantenere il controllo dell’auto,

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fermandosi in

mezzo alla strada.

«Ma i ciondoli non dovrebberoschermarci?» urlò Lidja.

«È tutto a posto, non può sentirci, ètutto a posto!» insistette Karl.

In effetti la donna descrisse un paiodi circoli in cielo, poi si

allontanò. Tutti tirarono un sospirodi sollievo. Fabio rimise in moto.

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«Siamo un po’ troppo tesi…»osservò, mentre accanto a lorosfilava

un altro Assoggettato, le aliripiegate, che sembrava fiutarel’aria. «Guarda

un po’ se trovi della musica» dissea Sofia.

Lei frugò nelle tasche delle portieree tirò fuori un CD senza

custodia. Lo mise su, e ne venne una

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musica soul a metà tra il triste e

l’ironico.

«Wow… Amy Winehouse…»commentò Ewan. Sofia riconobbe il

brano. Ogni tanto lui lo suonava.

La musica fece loro uno stranoeffetto: sembrava di assistere a un

film con la colonna sonorasbagliata, come se nel bel mezzo diuna scena

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comica partisse una marcia funebre,o a commento di una scena tragicaci

fosse una musichetta allegra. Ilpanorama attorno a loro nonc’entrava

niente con quella voce roca esofferta, anzi, quella musicarendeva tutto

ancora più tetro. Resistettero nonpiù di dieci minuti, poi Fabio tiròfuori il

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CD con un grugnito.

«Okay, pessima idea» bofonchiò.«In ogni caso, non dovrebbe

volerci più di un’ora.»

In verità ce ne volle una e mezza,ma alla fine, quando ormai

avevano perso ogni speranza, e lalancetta del serbatoio sfiorava

inesorabilmente la riserva, videroun cartello con su scritto ANZIO.

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Attraversarono la città cercando dinon guardarsi troppo intorno. A

differenza di Ariccia, stavoltac’erano più Assoggettati in giro.Quasi tutti

fiutavano l’aria, scrutando lo spaziointorno con i loro occhi rossi.

Cercavano qualcosa, era evidente,ma non sembravano in grado di

percepirli.

Infine, furono in vista del mare. Era

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una distesa nera, più nera ancora

del cielo sulle loro teste. Dovevaessere agitato, perché quella massa

d’inchiostro era punteggiata dalarghe bande viola fosforescente,con ogni

probabilità spuma di mare.

Abbandonarono la macchina inmezzo alla strada e scesero a piedisu

un’ampia spiaggia, dalla sabbia

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fine. Giunsero in vista di unpromontorio

di arenaria, traforato da diversegrotte, che con quella luce avevanoun’aria

spettrale. Proprio sul picco siintravedevano delle rovine romane.Stavolta

non c’era il solito, assordantesilenzio: sulla battigia, cavallonialti un paio

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di metri si infrangevano con unrombo, dissolvendosi in quelladisgustosa

spuma violacea.

I Draconiani rimasero fermi acontemplare il mare. La sola idea di

sorvolarlo metteva addosso a Sofiauna paura senza fine.

Karl guardò l’orologio. «Ciabbiamo messo troppo, è notte.

Fermiamoci qui, mangiamo e

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riposiamoci. Ripartiremo domanimattina.»

Sofia non poté fare altro cheannuire, e tornarono indietro sulla

strada. Dovettero camminare unpo’, ma trovarono un ristorante. Era

deserto, le cucine lasciate indisordine. Nelle padelle c’era ciboormai

carbonizzato, una pentola eraannerita dal fuoco.

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Frugarono qua e là e trovarono deibarattoli di sugo già pronto e un

paio di bistecche. Furono Lidja eSofia a cucinare.

Mangiarono in un silenzio attonito.Non immaginavano che il

mondo, fuori dalla villa, fosseridotto in quello stato. Ci fu unmomento di

tensione quando un Assoggettatoentrò dalla porta. Chloe scattò in

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piedi,

ma suo fratello l’afferrò per unpolso.

«State fermi. Non ci farà niente»disse Karl, anche se la sua voce

vibrava di tensione.

L’Assoggettato era una bambina.Andò in giro per la stanza

annusando l’aria, guardò sotto itavoli, sfilò loro accanto come senon li

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vedesse, quindi si avventò su unpiatto abbandonato in un angolo.Mangiò

con la faccia affondata dentro, comeun animale. Quando ebbe finito,

semplicemente uscì.

Per la notte si arrangiarono nelsalone del ristorante. Avvicinaronoi

tavoli, usarono le tovaglie comecoperte e organizzarono i turni di

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guardia.

Sofia ci mise un po’ adaddormentarsi. Era stanca, maquello che

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aveva visto l’aveva inquietata nelprofondo. Il mondo sembrava unposto

perduto, gli Assoggettati nonavevano più nulla di umano.Davvero tutto

sarebbe potuto tornare come prima?C’era ancora possibilità disalvezza, o

era già troppo tardi?

“Non ci devi neppure pensare. Devi

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credere che andrà tutto bene.”

Ma avere fiducia in se stessa, epersino in Thuban, non le era mai

sembrato così difficile.

9.Napoli

Riemersero da un breve sonno solograzie alla sveglia di Karl. Il buio

dominava ogni cosa, e la luce delgiorno ormai non era che un pallido

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ricordo.

Era difficile abituarsi aquell’oscurità senza scampo. Finchéerano nel

dungeon, non si erano accorti diquanto quella notte infinita fosse

opprimente.

Fecero una robusta colazione,saccheggiando la dispensa. Gli

scrupoli del giorno prima riguardoai furti si erano eclissati. Il mondo

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era

diventato un luogo di morte edesolazione, e se davvero volevanofar

tornare tutto come prima dovevanoadeguarsi.

Uscirono sulla spiaggia. I cavallonisembravano perfino più alti della

sera precedente, e la linea dellabattigia era avanzata, mangiandosiun

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metro buono di litorale.

I Draconiani guardarono ilpaesaggio sgomenti. Quello era ilmondo

di Nidhoggr, un mondo in cui leregole della natura erano statesovvertite e

perfino le cose più belle e piene dipoesia erano state corrotte.

Presero le cartine e studiarono ipercorsi. Per un piccolo tratto

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avrebbero fatto la stessa strada, poiEwan e Lidja avrebbero tagliatoper il

mare aperto, verso Ustica, mentreKarl e Chloe sarebbero atterrati nel

golfo di Napoli. Fabio e Sofia,invece, avrebbero proseguito fino aSapri.

Ewan tirò fuori la bussola. «Fino aNapoli vi guiderò io» disse.

Era il momento. Il mare, che si

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stendeva a perdita d’occhio davantia

loro, mugghiava come un mostrofamelico in attesa della preda.Dovevano

affrontarlo, non avevano scelta.

D’istinto si presero tutti per mano.Da lì in poi e per chissà quanti

giorni sarebbero rimasti separati. Siconcentrarono, e i nei sfavillarono

sulle loro fronti. I corpi si

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trasfigurarono in un istante, e sullaspiaggia

apparvero cinque draghi: Thuban,Rastaban, Eltanin, Aldibah, Kuma.Il

verde, il rosa, l’oro, l’azzurro e ilviola. Un istante ancora, e Kuma si

sdoppiò in due draghi, ciascuno conuna metà del corpo diafana, quasi

evanescente.

Un unico grido proruppe da

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centinaia di gole, distante masempre più

vicino.

«Si sono accorti di noi!» urlò Karl.

I Draconiani non indugiarono unistante di più. Spiegarono le ali e

spiccarono il volo proprio mentrela spiaggia si riempiva diAssoggettati.

Cercarono di prendere quota, madue di quelle orribili creature

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riuscirono ad afferrare le zampe diChloe, trascinandola verso laspiaggia.

La circondarono in un lampo.

«Chloe!» ruggì Ewan.

«Ci penso io a lei! Voi andate!»urlò Karl scendendo in picchiata.

Solo dopo averlo visto bloccare inemici in una robusta gabbia di

ghiaccio, e Chloe libera, Ewan si

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convinse e spiccò il volo versol’alto,

seguito dai compagni. Forzarono almassimo le ali, mentre le fruste

metalliche degli Assoggettatisibilavano dietro di loro. Volarono,volarono

sempre più in alto, l’aria che sifaceva gelida e rarefatta.Finalmente agli

occhi di Karl divennero puntini

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lontani contro l’oscurità del cielo,mentre

gli Assoggettati che avevanocercato di inseguirlispiraleggiavano verso il

basso, precipitando in acqua.

Presto altri Assoggettati attaccaronolui e Chloe. Karl ruggì e scagliò

un fascio di ghiaccio sulle loro ali,riuscendo a fermarli. Chloe sistrinse al

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suo fianco, tremante.

«Mi devi aiutare» le disse lui colfiatone. La sentì scuotere il capo.

«Non sei sola, ci sono io.»

«Ma non c’è mio fratello» gemettelei. «Non ho mai fatto niente

senza di lui.»

«Ce la puoi fare» la esortò Karl conconvinzione.

Continuava a farsi schermo col

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ghiaccio, ma se anche riusciva a

tenere lontano gli Assoggettati, lorodue rimanevano bloccati a terra.

«Chloe, usa il tuo potere e spazzalivia» la spronò. «So che ne sei

capace!»

Chloe continuava a scuotere latesta. Non aveva mai davvero

combattuto, nemmeno quando eracon suo fratello. L’unica volta cheaveva

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affrontato il nemico aveva perso, edera toccato agli altri salvarla.

Poi avvertì il corpo di Karlcontrarsi sotto la sua stretta. Aprìgli

occhi, e vide un ampio taglio rossosul suo costato. Una delle lingue

metalliche di un Assoggettato erariuscita a rompere la barriera dighiaccio

e l’aveva ferito. Sentì il suo dolore,

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percepì il suo sforzo, e capì che dasolo

non ce l’avrebbe fatta.

Accadde quasi contro la suavolontà. Era come se una forza

sconosciuta, arcana e benigna, leesplodesse nel petto. Ruggì al cielo,e un

tornado apparve dal nulla. Lei eKarl erano al centro, nell’occhiodel

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ciclone, mentre intorno a loro siscatenava il finimondo. GliAssoggettati

vennero sbalzati via e la sabbia sialzò in una nuvola fitta,insinuandosi

negli ingranaggi dei loro innestimetallici. In pochi istanti,tutt’intorno si

fece il vuoto. Gli Assoggettatigiacevano a terra, immobili, gliinnesti

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divelti e distrutti.

«Ora!» urlò Karl, ed entrambi silevarono in volo, dritti verso ilcielo.

Salirono, salirono e salironoancora, là dove erano scomparsi glialtri

Draconiani. La spiaggia, i nemici,la città stinsero in un intrico lontanodi

sabbia e strade. L’aria si fece

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sottile e fredda.

«Okay, okay…» ansimò Karl«quassù può bastare.»

Volarono più lentamente, restandosospesi a mezz’aria. Erano tutti e

due senza fiato.

«Sei ferito!» esclamò Chloe.

Karl si guardò il costato: c’era unbel taglio, e bruciava, anche se il

sangue si era già fermato e il dolore

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era sopportabile. «Non è niente,solo

un graffio.»

Chloe prese a singhiozzare piano. Isuoi incantevoli occhi azzurri

sembravano di cristallo, ora cheerano pieni di lacrime.

Karl si sentì in imbarazzo. «Ehi, vatutto bene! Io sto bene, tu stai

bene… e sei stata bravissima!»

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Lei tirò su col naso. «Ho avutopaura… io ho sempre paura.»

«Be’, non si direbbe: li hai stesitutti con un colpo solo.»

Chloe si lasciò finalmente sfuggireun sorriso. Si asciugò gli occhi

maldestramente, con gli artigli dellaparte più evanescente del suocorpo.

Karl si rese conto che non si eraancora abituata al suo aspetto di

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drago.

«Direi che ci siamo riposatiabbastanza. Non vorremo micaessere gli

ultimi a portare a casa il frammento,no?»

Chloe annuì, ma rimase in attesa.

Se Karl avesse avuto ancora il suoaspetto umano, sarebbe arrossito.

«Ehm… io non è che sia così bravoa orientarmi… per cui…»

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Chloe trasalì leggermente. «Oh,sure! Sorry.»

Con qualche difficoltà, riuscì asvolgere la mappa con le zampe e a

estrarre la bussola.

«Là» disse allungando un artiglio.«Sempre dritti.»

Presero entrambi un bel respiro epartirono.

Nessuno dei due aveva mai volato a

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lungo, tuttavia il viaggio non

riservò particolari difficoltà.Andavano talmente veloci chenessuno poteva

raggiungerli. Probabilmente gliAssoggettati a terra percepivano laloro

presenza, ma non erano in grado didare fastidio.

Il volo durò soltanto un’ora, equando giunsero in vista del golfo

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di

Napoli rimasero stupiti di quantol’impresa fosse stata facile.

La soddisfazione, però, durò poco.In lontananza, una luce rossastra

andava diffondendosi in modosinistro nella distesa nera del cielosoffusa

di viola fosforescente. Man manoche si avvicinavano a Napoli, laluce

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diventava più forte, e presto nescoprirono con orrore l’origine.

Il profilo del Vesuvio si stagliavanetto contro il cielo, nero come la

pece, fatta eccezione per la cima,coronata di un rosso intenso. Ampirivoli

simili a sangue scivolavano lungo ifianchi del vulcano, mentre dalla

sommità, a intervalli regolari,uscivano sbuffi di scintille roventi.

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Dal cono

si alzava una nuvola immensa aforma di fungo. Il Vesuvio era inpiena

eruzione.

«Non è possibile…» disse pianoKarl.

«È possibile, invece. È il mondo diNidhoggr, come ha detto Lidja.

Tutto sta impazzendo» sussurròChloe.

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Più si avvicinavano, più la nube sidiffondeva nell’aria.

Cominciarono a tossire, primalievemente, poi sempre più forte,fino a

doversi tenere la gola. Eraimpossibile respirare con quel gasmefitico.

Rimasero impietriti, fermi amezz’aria, poi Karl si costrinse a

riscuotersi. «Sai nuotare?» chiese.

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Chloe annuì. «Allora ciavvicineremo

un po’ alla costa e ci butteremo inmare. È più sicuro.»

Così fecero. Man mano che siavvicinavano alla città, l’aria

diventava sempre più spessa.L’odore di zolfo era quasiinsopportabile.

Abbandonarono i loro corpi didraghi a un metro dall’acqua e a un

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centinaio dalla banchina del porto.Il mare era gelido, e per qualcheistante

rimasero entrambi paralizzati. Karlvide la testa di Chloe scompariresotto

il pelo dell’acqua. Si gettò su di lei,si immerse per cercarla, mal’oscurità

era totale. Fu solo un caso se riuscìa trovare la sua mano. La tirò sucon

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tutta la forza che aveva.

«Stai bene?» le chiese quando lavide emergere. Lei tossiva e

sputacchiava, ma annuì. Il mare eramosso, e Karl doveva tenerle

saldamente il polso per riuscire arimanere accanto a lei. L’acquaaveva un

odore strano, ed era innaturalmentegelida. Sulla superficie galleggiava

uno spesso strato di polvere

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finissima, che sembrava avere unaconsistenza

oleosa.

«Ce la fai a nuotare?» disse Karl.Chloe annuì ancora, ma sembrava

davvero stremata. Karl le strinsepiù forte il polso e prese a nuotare.

L’impresa si rivelò decisamente piùcomplessa del previsto. La risacca

spingeva al largo, l’acqua eraghiacciata e con i corpi dei draghi

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se n’era

andata anche la resistenza allafatica. Karl era esausto, e Chloenon

sembrava da meno. La banchinaappariva come un miraggio

irraggiungibile. Certo, avrebberopotuto trasformarsi di nuovo, ma inquel

caso ad attenderli al portoavrebbero trovato frotte di nemici.

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Karl

raddoppiò gli sforzi, tuttavia latraversata fu molto più lunga diquanto

pensassero. Poi, finalmente, la suamano riuscì a sfiorare il muro di

cemento della banchina. Un’ondaperò lo spinse lontano. Nuotò,ancora, e

ancora, ma ogni volta che toccavala banchina, un’ondata lo trascinava

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via.

Sentiva le gambe indolenzite, nonaveva più fiato. D’improvviso,l’idea di

smettere di opporsi alle onde elasciarsi trasportare dalla correntegli parve

incredibilmente attraente, tanto piùche quel freddo glaciale gli stava

mettendo addosso un sonnoinvincibile. Batté fiaccamente i

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piedi, tentò

un’altra bracciata, ma si rese contoche era tutto inutile. Si lasciòandare, la

presa sul polso di Chloe sempre piùdebole.

«No, Karl, no! Non ti arrendere!»gemette lei, ma Karl stava già per

chiudere gli occhi.

Chloe diede una spinta decisa conle gambe e lo afferrò per la vita,

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sforzandosi di tenerlo fuoridall’acqua fino al petto. Lui eraormai inerte

tra le sue braccia. L’acqua lecopriva la bocca e arrivava alambirle il naso.

Chloe concentrò tutti gli sforzi sullegambe e nuotò a rana dando fondo

alle ultime energie, finché nonraggiunse il limite della banchina.Issò

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prima Karl, poi, a stento, riuscì atirarsi su anche lei. Giacquero lì

entrambi, supini. Karl eraincosciente, Chloe aveva il fiatogrosso. Nel

cielo echeggiava il rombo delvulcano.

Si tirò su piano, scosse l’amico.«Karl… wake up… siamo al

sicuro… Karl!»

Il ragazzo non rispose. Un’ondata di

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sconforto le riempì il petto. E

adesso? Era sola, a chilometri echilometri da casa, in mezzo a

un’eruzione, in una città che nonconosceva. Stava per mettersi apiangere,

quando un rumore attirò la suaattenzione. Si girò di scatto e videun

Assoggettato appollaiato sulla puntadella banchina, le ali spiegate.

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Ebbe

l’istinto di gridare, ma si portò lemani alla bocca. Il nemico laguardò a

lungo con i suoi occhifiammeggianti. Poi le si avvicinòpiano, a quattro

zampe. Chloe pregò che il ciondolocostruito da Karl funzionasse e nonsi

fosse esaurito prima del tempo.

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L’Assoggettato le si fermò davanti,prese ad annusarla. Chloe sentiva

il cuore che le battevaall’impazzata. Si costrinse a restareimmobile, anche

se tremava come una foglia. Lacreatura le sfiorò il petto con unartiglio,

ma il suo tocco si fermò sulciondolo. Lo guardò per qualchesecondo. I

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suoi occhi erano indecifrabili.Infine, con uno scatto fulmineo,spalancò le

ali e volò via, scomparendo prestoalla vista. Chloe sentì le gambecedere.

Sebbene fosse già seduta, cadde inavanti, le braccia sul cemento. Non

riuscì a impedirsi di singhiozzare.Non aveva mai desiderato così

ardentemente avere accanto sua

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madre e suo fratello. Non si era maisentita

così disperatamente sola.

“Ma mamma e Ewan non ci sono, eKarl sta male. È tutto nelle tue

mani, sei o non sei unaDraconiana?” le disse una voceinteriore.

Tirò su col naso, guardò Karl.Sembrava addormentato. Forse era

solo stanco, o forse stava male a

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causa di quel freddo. Dovevatrovare al

più presto un posto dove rifugiarsie degli abiti asciutti. Si guardòattorno.

Il porto distava centinaia di metri.Intravedeva però la sagoma dialcuni

capannoni. Di sicuro lì avrebberotrovato riparo.

Prese di nuovo Karl per la vita, si

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girò un suo braccio intorno al collo

e piano piano cominciò adavanzare.

A intervalli irregolari il terrenotremava, mentre il vulcano

prorompeva in cupi brontolii. Lalava continuava a scendere, e lagola tra il

Monte Somma e il Vesuvio eraormai un unico lago incandescente.Chloe

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tossiva. C’era polvere dappertutto,e respirare stava diventando

un’impresa. Aveva dei flash in cuiricordava quanto aveva letto sullafine

di Pompei. Si vedeva già esposta inqualche museo del futuro, con unbel

cartellino nella teca che l’avrebbecontenuta: VENTUNESIMOSECOLO,

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VITTIMA DELL’ERUZIONE DELVESUVIO.

Il porto aveva un aspetto orribile.Le navi alla rada erano

abbandonate a se stesse, icapannoni avevano un’ariaspettrale. Chloe non

riusciva neppure a scorgere la città.Tutto sembrava esaurirsi in quelluogo

abbandonato, illuminato dai

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bagliori delle esplosioni.

Cercò di farsi forza, ma si sentivainadatta al compito che il destino

le aveva riservato. Lei non era maistata un tipo forte e indipendente.

Preferiva appoggiarsi alle personeche amava e lasciarsi guidare daloro.

Perché era toccato proprio a leiospitare dentro di sé lo spirito di undrago?

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Perché Karl era svenuto,lasciandole tutto il peso dellamissione?

Guardò i capannoni. Le sembravanotutti ugualmente minacciosi, ma

non c’era scelta. Arrancò verso ilprimo della fila. Le battevano identi e

aveva un freddo tremendo.Soprattutto, cominciava a sentireuna strana

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sonnolenza. Era come se la terra lachiamasse, la risucchiasse a sé conuna

voce irresistibile. Pensò fosse solostanchezza, ma ricordò quello che

aveva imparato dagli scoutsull’assideramento. L’acqua in cuiavevano

nuotato era davvero gelata.

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Entrò e cadde sulla soglia, dopol’ennesima scossa di terremoto. Si

trovava in una specie di ampiohangar, occupato per la maggior

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parte da

grossi container mezzo arrugginiti.Trascinò Karl in un canto, loappoggiò

con la schiena alla parete. Eraancora assopito.

“Calore, ci vuole calore…” pensò.Si guardò attorno, cercò in giro

pezzi di legno e li ammassò a terra,insieme a qualche scatola di cartonee

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altro materiale che potesse bruciarerapidamente. In un angolo, dietro un

container, trovò anche un accendinoabbandonato. Provò ad azionarlo un

paio di volte, e solo alla terzafunzionò. Ci volle un po’ perché ilfuoco

attecchisse, ma alla fine un filo dicalore iniziò a diffondersi nell’aria.

Lasciò ancora da solo Karl e simise a cercare qualsiasi cosa

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potesse

sostituire i loro vestiti fradici. Fufortunata, perché uno dei containerera

pieno di abiti. Prese due paia dijeans e due maglioni. Si cambiò perprima,

poi portò gli altri vestiti da Karl.Quando lo raggiunse, il suo visoaveva

ripreso un po’ di colore, e

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sembrava appisolato. Chloe arrossì

violentemente quando realizzò cheavrebbe dovuto svestirlo erivestirlo lei.

Fece tutto in fretta, impacciata comenon mai.

Quando finalmente ebbe conclusol’operazione, si buttò a terra,

esausta. Il fuoco aveva attecchitobene e adesso covava quieto sottoun

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paio di pezzi di legno già anneriti.A quel punto, l’unica cosa chevoleva

era dormire. Al resto avrebberopensato dopo.

Il pavimento, sotto di lei,continuava a tremare a intervallisempre più

ravvicinati, e il vulcano brontolava,scoppiando di tanto in tanto in cupi

boati. Ma la stanchezza fu più forte

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di qualsiasi cosa, e Chloe scivolò

presto in un sonno profondo e senzasogni.

10.Matera

Sofia e Fabio si separarono daEwan e Lidja davanti al golfo diNapoli.

L’immagine del Vesuvio in fiammeli fece tremare, e il primo pensierofu

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per Karl e Chloe.

«Abbi fiducia in loro» disse Sofia,intuendo i sentimenti di Ewan.

«Ce la faranno, vedrai.»

Per tutta la durata del volo Ewanera rimasto chiuso in se stesso, in

un silenzio angoscioso.

«Non capisci» disse. «Noi siamosempre stati insieme, non abbiamo

mai fatto niente da soli.»

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Ma Sofia capiva benissimo, ed erasinceramente convinta che Karl e

Chloe potessero farcela: lui eramolto intelligente e sapevacavarsela in

qualsiasi situazione, e lei aveval’aria di una ragazza con molterisorse

nascoste. Lo sapeva, perché lesomigliava.

Prima di salutarsi, Fabio si fece

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spiegare per bene la strada da

seguire, poi ripresero il viaggio.

Volare in mare aperto non fu pernulla agevole. L’oscurità era

talmente fitta che risultavaimpossibile perfino capire dovefinisse il cielo e

dove iniziasse il mare. Tutto eranero, identico a se stesso,illuminato solo

di tanto in tanto da lampi viola che

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squarciavano il cielo.

La stanchezza per fortuna si fecesentire solo verso la fine del

viaggio, quando avevano iniziato asterzare verso la costa. Giàpotevano

scorgerla, alla loro sinistra, con lesue luci tremolanti. Sofia aveva la

schiena a pezzi e le ali mezzoaddormentate. Lassù era pieno dicorrenti, e

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per quanto cercassero di sfruttarle,a volte erano costretti ad andare

controvento per seguire la rotta. Ditanto in tanto folate laterali

costringevano le ali a uno sforzoestremo. Sofia pensò a quandoaveva

preso l’aereo, e alla paura cheaveva provato. Non avrebbe mai

immaginato che un giorno sisarebbe ritrovata ad essere, per

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così dire,

pilota di se stessa.

«Ce la fai?» le chiese Fabio,girandosi verso di lei. Sofia notòche il

suo muso di drago si contraevainvolontariamente ogni volta chebatteva le

ali: doveva essere sfinito anche lui.

«Sì, tanto siamo quasi arrivati, no?»rispose, cercando di non pensare

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alla fatica. Erano più di due ore chevolavano, e le sembrava che lameta

dovesse essere ormai vicina.

«Sì» fu il laconico commento diFabio, ma Sofia capì che mentiva:

con ogni probabilità non aveva ideadi quanto mancasse davvero.

Tirarono finché poterono, la costache continuava a sfilare alla loro

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sinistra, uguale a se stessa. Eraimpossibile capire dove sitrovassero.

«Atterriamo» disse a un trattoSofia.

«Non siamo ancora arrivati.»

«Sono almeno tre ore che voliamo,siamo andati veloci e credo che

abbiamo anche superato Sapri. Epoi siamo esausti, non possiamo

proseguire.»

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«Stai dicendo che ti ho portato fuoristrada?» quasi ruggì Fabio.

«Ti prego, atterriamo…» loimplorò lei, conciliante. Non ce lafaceva

a litigare, non di nuovo e comunquenon in quel momento.

Cercarono un tratto di costa in cuinon sembrassero annidarsi

Assoggettati e individuarono unascogliera.

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L’atterraggio fu più difficile delprevisto. Appoggiarono gli artigli

sulle rocce, e immediatamenteabbandonarono i loro corpi dadraghi per

non attirare eventuali creature neiparaggi. Ma mentre tornava umana,

Sofia perse l’equilibro. Fu unattimo, e si vide perduta. Gli scoglierano

aguzzi, e il mare in tempesta.

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Sentiva già i primi spruzzi sullafaccia,

quando Fabio la afferrò per unbraccio.

«Ti tengo!» gridò, mentre leicercava di recuperare stabilità.Fabio

l’attirò a sé, e per un istanterimasero in bilico sugli scogli,abbracciati e

ansimanti. Il mare alle loro spalle

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sembrava una bocca spalancata,pronta a

inghiottirli.

Quando Sofia trovò il coraggio diaprire gli occhi, soffocò un grido:

decine di luci rosse balenavanosinistre nell’oscurità. ParecchiAssoggettati

si erano radunati intorno a loro e liscrutavano con sguardi vacui.

Dovevano aver percepito la loro

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presenza quando erano atterrati informa

di drago, ma adesso non erano piùin grado di riconoscerli, grazie ai

ciondoli con il sangue di Nida.Fabio si staccò dall’abbraccio eprese Sofia

per mano.

«Va tutto bene, devi solo restarecalma. Camminiamo piano, vedrai

che non ci faranno niente.»

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Sofia annuì, nonostante il terrore leparalizzasse le gambe, e strinse

più forte la sua mano. Avanzaronotra gli scogli, facendo attenzione adove

mettevano i piedi. In condizioninormali quel tratto di costa dovevaessere

bellissimo, ma adesso Sofia nonriusciva a far altro che malediretutti

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quegli spuntoni aguzzi cheimpedivano il passo.

Barcollando e mettendo con cautelaun piede davanti all’altro,

riuscirono a risalire il piccolopromontorio dal quale siinnalzavano gli

scogli. Gli Assoggettati eranorimasti a guardarli senza muovereun

muscolo, senza neppure seguirli con

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lo sguardo, gli occhi fissi al mare.

«Sono proprio come zombie…»sussurrò Sofia mentre sfilavano tra

quelle creature agghiaccianti. «Simuovono solo guidati dall’istinto…Ci

vedono, ma non fiutano l’aura chescatena in loro la furia.»

Quando furono abbastanza lontani,si gettarono sull’erba, sfiniti. Per

un po’ fu solo il suono dei loro

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respiri a rompere il silenzio.

«Ho fame» disse infine Sofia.

«Adesso cerchiamo di capire dovecavolo siamo, e poi ci facciamo

uno spuntino» propose Fabio, manessuno dei due si mosse. C’era una

pace confortante su quella collina esotto quel cielo nero, una pace dicui

avevano un bisogno disperato.

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Fu Fabio a riscuotersi per primo e aporgere una mano a Sofia.

«Andiamo?»

C’era una dolcezza nuova nel suosguardo, e lei sentì una vaga,

remota speranza accendersi nelpetto. Ma la respinse subito conforza.

“Devi concentrarti sulla missione,non farti distrarre da nient’altro” si

rimproverò.

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Prese la mano di Fabio e si tirò sucon determinazione. La schiena le

faceva male da impazzire.

Il cartello all’imbocco dellacittadina diceva SCALEA.Guardarono

la mappa, e si accorsero che eranoun bel po’ più a sud del previsto.

«Idiota… avrei dovuto farmispiegare meglio da Ewan come siusa

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quella maledetta bussola…»imprecò Fabio gettando via lacartina.

«Non fa niente. Siamo arrivati aterra, e siamo sani e salvi.»

Fabio sbuffò, raccolsemalvolentieri la cartina, e si miseroa cercare

da mangiare.

Nella vetrina di un bar c’erano deipanini. Ne presero due a testa e li

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divorarono. Erano esausti eaffamati; Sofia sentiva le bracciapesanti, ogni

movimento le sembravafaticosissimo.

Nel frattempo, Fabio controllava lamappa. Fece un gesto

d’insofferenza. «Ci vorrà una vita.»

«Siamo così lontani?»

«Il problema è che dobbiamo

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passare attraverso i monti, e lastrada

non è per niente buona…»

Diede un calcio a una sedia, cherotolò lontano. Sofia ebbe un

sussulto. Non riusciva ad abituarsia quegli scatti d’ira improvvisi.

«Stai calmo» disse gelida. Poiaddolcì la voce: «Lo sapevamo che

sarebbe stato difficile. Da qui aMatera è lunga, ma ci arriveremo in

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serata,

ne sono sicura. E non è colpa tua»aggiunse. Fabio la guardò disottecchi,

ma la rabbia sembrava esserglisbollita.

Come avevano fatto nel Parco deiCastelli, si misero a cercare una

macchina. Ne provarono un paio,finché non ne trovarono una colpieno e

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salirono a bordo. Stavolta lapartenza fu meno problematica, masi

fermarono quasi subito in unaspecie di area di servizio.

«C’è qualche problema?» chieseSofia.

«Torno subito.»

Sofia sospirò appoggiandosi alsedile. Era incredibilmente faticoso

viaggiare con Fabio, più di quanto

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pensasse. Il silenzio cominciava a

pesarle. E poi quella stazione diservizio deserta la inquietava.Sembrava

che da un momento all’altrodovesse spuntare un maniacoomicida o

qualche mostro venuto dallo spazio.Invece dopo dieci minuti tornòFabio.

Aveva le braccia cariche di

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qualcosa che col buio Sofia nonriuscì a

decifrare.

Entrò e le posò in grembo unabusta: marshmallow, dolcetti che le

erano sempre piaciuti, l’unica dellacompagnia ad apprezzarli. MaFabio

come faceva a saperlo?

«Fa molto gita scolastica, no?»disse lui vagamente imbarazzato,

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mentre appoggiava sul sedileposteriore un pacchetto di biscottisalati che

aveva preso per sé. «Siamo inmissione, ma non vedo perché non

dobbiamo renderci le cose un po’più gradevoli.»

Sofia ebbe un flash. Era statodurante il trasloco dei gemelli aCastel

Gandolfo; in quell’occasione anche

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Fabio aveva dato una mano. Sulla

macchina carica della roba diGillian, Ewan e Chloe avevanoparlato delle

gite scolastiche, e lei avevaraccontato della sua passione per i

marshmallow. Guardò il sacchettopieno di batuffoli colorati e sentì un

senso di nostalgia occluderle lagola. Si voltò verso Fabio, ma luiera già

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passato ad altro: frugava in una piladi CD che aveva preso all’autogrill.

Ne tirò fuori uno dalla copertinanera e azzurra, con una donnavestita di

bianco. Aprì la custodia e lo infilò.Poi accese l’auto. Sofia riconobbe

immediatamente le prime note. Erala canzone dolce e triste cheavevano

ascoltato insieme mentre andavano

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dall’aeroporto di Edimburgo allacittà,

Unintended. Tacquero entrambi, eSofia provò un terribile desideriodi

piangere.

«Be’, non li mangi?» disse Fabioindicando il sacchetto dei

marshmallow.

«Grazie…» mormorò lei. «È statodavvero un pensiero carino.»

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Fabio arrossì fino alla radice deicapelli. «Mangia e non fare storie,

avanti.»

Dopo un lungo tratto di strada in cuisi trovarono ad attraversare

piccoli paesi, davanti a loro siaprirono chilometri e chilometri diun

paesaggio aspro e selvaggio. Montiricoperti di boschi, alberi che si

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protendevano verso la strada, roccescoscese. Era un panorama intrisodi

una tale primitiva bellezza cheneppure il buio innaturale di quellanotte

eterna era riuscito a stravolgere.Sotto la cupezza dei riflessiviolacei

restava immutato il fascino di unluogo primigenio, ancora intatto.

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Sofia s’incantò a guardare, mentrela musica, a volte più dolce, a

volte disperatamente violenta,riempiva il silenzio nell’abitacolo.Fabio

aveva attaccato all’autoradio il suolettore mp3, e in qualche modoSofia

capiva che le stava parlandoattraverso la musica. Non lo sentivapiù così

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distante, così irrimediabilmenteperduto. Ai Muse si alternarono i

Radiohead, infine una musicagrandiosa, piena di archi e fiati, e ilsuono

incombente delle chitarre elettriche.

«Questi chi sono?» chiese Sofia, ilsacchetto dei marshmallow, ormai

vuoto, stretto tra le mani come unareliquia.

«Si chiamano Nightwish. Ti

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piacciono?»

«Moltissimo» disse lei. «Ma perchéascolti sempre musica così

triste?»

Fabio scosse le spalle. «Non c’è unmotivo preciso. Mi piace

d’istinto, non mi pongo domande. Epoi non sempre la tristezza è unmale,

non trovi?»

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Sofia pensò alla solitudine di quegliultimi giorni, all’orrore per il

mondo che li circondava, a quel cheaveva provato mentre Fabio, ilsangue

di Nida nelle vene, cercava discoprire dove si trovassero iframmenti del

frutto. Non c’era nulla di bello intutto questo. Ma era anche vero che

quella musica non parlava di quel

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tipo di tristezza, ma di qualcosa dipiù

intimo e sottile.

«Essere Draconiani è triste, noncredi? Triste come canta questa

musica. Viviamo a metà tra duemondi, uno irrimediabilmenteperduto, e

l’altro, quello degli umani, che nonci appartiene mai del tutto. Io nonmi

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sono mai sentito a casa da nessunaparte, neppure prima di sapere diessere

un Draconiano. Perciò ascoltoquesta musica: perché parla di me.»

«Di noi…» disse piano Sofia.

Fabio tacque un istante. «Già… dinoi. In ogni caso, mi piace» tagliò

corto, e mise su un pezzo piùenergico. «E poi dà la carica, nontrovi?»

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aggiunse con un sorriso.

Sofia sorrise di rimando e siappoggiò al sedile, godendosi ilritmo

delle percussioni, la potenza dellechitarre e la dolce voce di donnache le

accompagnava.

Per un istante parve anche a lei diessere in gita, come se fossero due

normalissimi ragazzi in vacanza, e

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che l’oscurità all’esterno fossequella di

una semplice notte come tutte lealtre.

«Mi dai un po’ di biscotti?» chieseFabio, e Sofia aprì la scatola per

lui. Una strana calma scese su dilei. Tutto era finalmente normale,

nonostante lo spettacolo inquietanteche scorreva dai finestrini: c’era

un’atmosfera distesa, lì dentro,

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come l’aveva sempre sognata, conFabio

che sgranocchiava biscotti e lei cheglieli passava. A un tratto lui simise

persino a canticchiare, e Sofiasperò che quelle ore di viaggio nonfinissero

mai, che la strada si distendesseinfinita davanti a loro. Per qualchelungo,

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irripetibile momento, tutto sembròcome l’aveva sempre desiderato.

Arrivarono a Matera verso sera,stando a quanto diceva l’orologiosul

cruscotto. Fabio sembrava sfinito, eanche Sofia si sentiva stanchissima.Il

viaggio era stato piacevole, anchese la realtà ogni tanto aveva fatto

irruzione in quella parvenza di

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quiete: qualche camion di traversolungo la

carreggiata, un gruppo diAssoggettati sbucato all’improvvisosulla strada,

che li aveva costretti a una bruscasterzata. In ogni caso, giunsero a

destinazione sani e salvi.

Sofia aveva sentito parlare diMatera; chi c’era stato diceva chenon

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esisteva al mondo un posto simile,che la sua era un’atmosfera unica. I

primi sobborghi in cui siimbatterono, però, non avevanonulla di

particolare. Case comuni, stradecome ce n’erano migliaia al mondo,e

quell’atmosfera da luogoabbandonato che ormai avevapervaso ogni cosa.

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Seguirono le indicazioni per la zonadei sassi, e le vie presto si fecero

meno agibili, più tortuose. A untratto, lungo un vicolo, trovaronouna

macchina ribaltata.

«Dobbiamo proseguire a piedi»disse Sofia. «Non ce la faremo a

salire con l’auto.»

Scesero e si inoltrarono nel cuoredella città: ogni passo costava

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un’immensa fatica. Davanti ai loroocchi, le strade cambiavano

gradualmente volto. Le case sifacevano sempre più antiche, le viepiù

impervie. In giro non sembravaesserci nessuno, nessuna lucefiltrava dalle

finestre, non un Assoggettatovagava per le strade. Si ritrovaronoinfine in

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una piccola piazza, che dava su unparapetto. Oltre, si spalancava un

panorama da presepe. Centinaia dicase, quasi tutte in pietra bianca,

stavano arroccate lungo il profilo diuna scarpata. Sembrava un unico,

grande puzzle di tetti rossastri efacciate bianche, traforate dafinestre

vuote. Il tutto dava l’impressione diun caos organizzato, di una

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confusione

regolata da un ordine oscuro, cheobbediva a leggi proprie.Nonostante i

riflessi violacei e l’oscuritàminacciosa, c’era qualcosa distruggente in

quel panorama, che catturòentrambi.

Rimasero in silenzio, l’uno accantoall’altra, affacciati al parapetto.

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L’aria era immobile, e un senso dipace assoluta scese su di loro.

«Dobbiamo trovarci un riparo»disse infine Fabio.

Si misero a percorrere la città.Tutto aveva un aspetto antico,perduto,

una bellezza dolente regnavaovunque. Si imbatterono in unapiccola

piazza, dominata da una costruzione

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con due campanili, uno dei quali

ornato da un orologio immobile.Tra le guglie spiccavano due statue,di cui

una senza testa. Tutto sembravacongelato per effetto di unincantesimo,

originato da una forza diversa daquella di Nidhoggr.

Scesero una scalinata e siritrovarono in una parte della città

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dall’aspetto ancora più antico. Levie erano in vertiginosa discesa, etra

pietra e pietra, sull’impiantito,crescevano erbe infestanti. Mentrela

periferia sembrava innaturalmentespopolata, come se d’un trattoqualcuno

avesse fatto sparire gli abitanti,questa parte della città sembrava

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abbandonata da prima che Nidhoggrtornasse.

«Non credo vivesse qualcunoqui…» mormorò Sofia, assorta.

«No, anche qui ci sono caseabitate» disse Fabio, e le indicò un

balcone in ferro battuto da cuipendevano decorazioni di variogenere:

c’erano ghirlande di legno e pigne,fiori secchi, e poi corone di cipolle

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e

aglio, e piante in vaso.

Avanzarono ancora, tra case inristrutturazione e dimore diroccate,

finché una strana sensazione non licostrinse a fermarsi.

Sofia si bloccò di colpo. Si girò, esulla destra vide una porta di legno

consunto. Non aveva nulla dispeciale, ma da lì sentiva spirareun’aria

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quasi familiare, qualcosa che lericordava la Gemma e il dungeon.Fabio le

si affiancò.

«Lo senti anche tu?» chiese Sofia.Lui annuì. Si avvicinò alla porta,

mise la mano sul pomello: non erachiusa a chiave, e si aprì con untocco.

Dentro era buio, e odorava dichiuso. Pian piano gli occhi si

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abituarono all’oscurità e siaccorsero di trovarsi sulla soglia diuna vecchia

casa tipica del luogo. Addossati auna parete, c’erano un tavolo dilegno e

una grossa cucina di ghisa. Sofiafece per andare verso la dispensa,che si

intravedeva in un angolo, ma Fabiola bloccò.

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«Vado avanti io» disse. «Meglioaccertarci che non ci sianopericoli.»

Fabio guardò nella dispensa, poi simosse verso un altro ambiente

che si raggiungeva attraverso unarco. Sofia si mise dietro di lui. Fumentre

si sporgevano oltre quella specie disoglia che qualcosa attraversò illoro

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campo visivo, assieme a un urlo, unurlo di donna. Fabio si tirò indietro,

spinse Sofia in un canto e afferrò unvaso, la prima cosa che gli capitò

sotto mano. Colpì alla cieca, e ilvaso si frantumò contro il muro. Dinuovo

un grido di donna, poi un sospirodisperato.

«Non fatemi del male, vi prego…non fatemi del male.»

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Sofia ebbe un tuffo al cuore. Quellavoce le era familiare.

Si staccò dal muro e trovò ilcoraggio di sporgersi oltre ilbraccio di

Fabio, immobile davanti a lei.

Accoccolata di fronte alle scale, lebraccia strette intorno al corpo,

c’era una donna dai capelli rossi ericci. Piangeva, terrorizzata, e nonaveva

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il coraggio neppure di alzare gliocchi verso di loro.

Un’ondata di sentimenticontraddittori investì Sofia:sollievo, amore,

rancore, rabbia. Perché lì, davanti aloro, c’era sua madre.

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11.Per mare

Lidja iniziò a dare segni dicedimento che non erano neanche ametà

viaggio. Eppure avrebbe dovutoessere la più allenata. In fin deiconti,

anche se da tempo non praticavapiù le arti circensi, era pur sempre

un’atleta. E invece volare in quel

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nulla desolante, con violenteraffiche di

vento che le sferzavano le ali, lastava provando più del previsto.Davanti a

lei, Ewan sembrava totalmentesicuro del fatto suo e avanzavasenza

esitazioni, dando solo di tanto intanto uno sguardo alla mappa e alla

bussola per orientarsi.

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Lidja invece aveva le spalledoloranti come se qualcunol’avesse

presa a bastonate tra le scapole. Leali faticavano a mantenersi tese nel

vento, ma doveva farcela. Non leandava di fare la figura della

pappamolle, soprattutto davanti aEwan.

All’improvviso una raffica di ventoviolentissima la investì. Cercò

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con tutta se stessa di resistere, ma ilsuo corpo era troppo provato, e

cedette. I suoi muscoli nonriuscivano a sopportare lo sforzo.Sentì uno

strappo tremendo, e una delle ali sipiegò in una posizione innaturale.

Roteò nell’aria, in balia di correntifortissime, come se fosse trascinata

dalla forza di un gorgo. Urlòdisperata, mentre il mondo intorno a

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lei

vorticava in una folle spirale, e lanausea diventava pressante. Tuttoera

orribilmente simile a certi incubiche faceva quando era un’acrobata:

sognava di precipitare, e lasensazione era identica a quella cheprovava

ora. Si stava avvitando su se stessa,a precipizio sul mare, quando Ewan

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riuscì a raggiungerla e la salvò a unpelo dall’acqua.

«Stai bene?» le urlò stringendoleuna zampa.

«Sì…» rispose lei sconvolta. Laverità era che non andava bene per

niente; non era abituata a esseredebole, era una sensazione nuova e

sgradevole.

«Lo so che sei stanca» disse luisorreggendola. «Lo sono

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anch’io…»

Solo allora Lidja si accorse chetutto il corpo di Ewan era scosso da

brividi: li conosceva bene, eranogli spasmi dei muscoli sottoposti auno

sforzo eccessivo, qualcosa cheaveva provato durante gliallenamenti al

circo.

«Quanto manca?» chiese.

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«Almeno un altro centinaio dichilometri.»

Impossibile. Non avrebbe maipotuto farcela. «E se ci riposassimo

sul pelo dell’acqua?» propose.

«Pensi che galleggeremmo? E poisiamo in mare aperto, l’acqua sarà

gelida. Quanto potremmoresistere?»

«Hai ragione. C’è solo un’altra

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possibilità…» disse Lidja.

Girarono in circolo per quasimezz’ora, prima di riuscire atrovare

una nave. Era un grosso mercantile,il ponte ingombro di container.

Atterrarono senza abbandonare iloro corpi da draghi e rimaseroimmobili

sulla cima dei container, schienacontro schiena, pronti a scattare al

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minimo segno di pericolo. Per untempo che parve interminabile, tuttoquel

che percepirono fu il beccheggiaredella nave e il lamento delle ondeche si

infrangevano contro la prua.

Fu Ewan il primo a tornare umano.

«Non c’è nessuno, a quantosembra.»

«Devono essere volati via… o

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forse non ci hanno sentiti arrivare»

disse Lidja, tornando a sua voltaumana, ma lasciando gli artiglisnudati,

pronti a ogni evenienza.

«Dev’essere molto che questa naveviaggia, da quando l’equipaggio

ha fatto la fine di tutti gli altriAssoggettati. Meglio controllaresubito dove

sta andando» propose Ewan

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scendendo per primo dal container.

Trovarono con facilità la salacomandi. La plancia somigliava in

modo singolare a quella di unaereo. Era decisamente più grande,ma il

numero di strumenti, schermi eindicatori era paragonabile a quellodi un

velivolo. Ewan andò spedito versouno dei monitor.

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«Direi che ci è andata bene. C’è ilpilota automatico inserito, e la

rotta impostata è Palermo.»

«Grandioso!» esultò Lidja.

Ewan sorrise. «In questo tratto dimare non ci sono molte rotte… o si

va verso Roma o verso Palermo.Possiamo stare tranquilli e godercila

crociera.»

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Lidja parve ammirata. «Anchequesto lo insegnano agli scout?»

«Ho sempre avuto una passione pernavi e aerei. Però dobbiamo stare

attenti a quando arriveremo alporto: non possiamo rischiare diandarci a

schiantare. Il pilota automatico puòstabilire la rotta, ma non credo siain

grado di fermare la nave. Ora però

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cerchiamo qualcosa da mangiare!»

Dopo un breve giro diperlustrazione, trovarono la viadella cambusa.

La cucina era piuttosto piccola,l’equipaggio non doveva esserestato

numeroso, ma c’erano provviste inabbondanza. Si avventarono con

voracità su scatole, barattoli esacchetti. Mangiarono quasi con

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disperazione, stremati dal lungoviaggio.

«Scusami, non so davvero cosa miabbia preso…» disse Lidja

guardando i resti del pasto, quandoebbe finito di abbuffarsi.

« Are you kidding me?» replicòEwan divertito. «Abbiamo volatoper

cento e passa miglia… e hol’impressione che mantenere le

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nostre

sembianze di drago consumi unsacco di energie!»

Lidja annuì, soffocando una risata.«Mi sa che hai ragione…» Tacque

per un istante, godendosi lasensazione della pancia piena e illieve tepore

della nave. «Come vorrei farmi unbel sonno… Mi si chiudono gliocchi»

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aggiunse poi.

«Una buona dormita ci rimetterebbein forze» concordò Ewan con

uno sbadiglio «ma dobbiamorestare vigili, finché la nave è in

movimento.»

«Sdraiamoci qui… almenoriposeremo il corpo» propose lei

prendendo due pesanti coperte dauna cabina.

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Le distesero sul ponte, e Ewantrovò persino un libro da leggere,

riposto in un comodino: GordonPym di Edgar Allan Poe.

«Ideale per un viaggio in nave»osservò.

Rimasero a lungo in silenzio, allaluce della piccola torcia che Ewan

aveva acceso per leggere. Ilsilenzio era interrotto da gemitilugubri: la

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nave si lamentava sotto le bordatedel mare in tempesta. Ma stavano

avanzando senza fatica, ed era piùdi quanto potessero sperare. Lidjasi

rallegrò di non soffrire il mal dimare, e il pensiero andò a Sofia:chissà

come si sarebbe trovata lei suquella nave. Sentì una fitta dinostalgia per

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la sua adorabile goffaggine, per lasua forza mascherata da debolezza.

Ultimamente avevano avuto pocotempo per stare insieme, tra Fabio,tutto

quel che era successo, e Ewan,certo.

Lo sentì emettere un profondosospiro.

«Sei preoccupato?» chiesetimidamente.

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Lui tacque qualche istante.

«L’ho lasciata da sola in mezzo aipericoli» disse infine.

Lidja sorrise rassegnata. In queipochi mesi aveva imparato che, per

quanto ci tenesse a sembraresempre padrone della situazione, traEwan e

il mondo c’era sempre sua sorella.Era lei il primo pensiero la mattinae

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l’ultimo la sera. Qualsiasi cosafacesse, Chloe c’era sempre. Unapresenza

per certi versi ingombrante, dellaquale Lidja iniziava ad esseregelosa.

«Karl è in gamba» disse.

«Non è Karl che mi preoccupa, èlei. Sai cosa vuol dire vivere

sempre, sempre insieme aqualcuno? Io e Chloe siamo così.

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Non dividiamo

solo i poteri di Kuma, siamo duemetà di una stessa cosa.»

Lidja sospirò. «Non le vuoidavvero bene se la pensi così.»Ewan si

irrigidì all’istante, e lei si affrettò acorreggersi: «Voglio dire, capiscola tua

preoccupazione. Ma Chloe è forte,è una Draconiana come tutti noi.»

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«Solo con metà dei poteri di Kuma,però…»

«Già, proprio come te» disse Lidja.«E tu sei qui con me, no?»

Lo capiva: qualche volta anche a leiera capitato di stare in pena per

Sofia, di considerarla più fragile diquanto fosse in realtà. E in fondo

capiva anche quanto potesse esseregratificante sentirsi i più forti,quelli

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che avevano il compito diproteggere e salvare gli altri.

«E poi» continuò arrossendo «èanche un po’ per questo che sono

venuta con te…»

Ewan si ringalluzzì all’istante egonfiò involontariamente il petto.«Ti

preoccupi per me?»

«Non dovrei?»

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Rimasero in silenzio per qualcheistante, poi entrambi scoppiarono a

ridere.

«Ah, Lidja… sono contento diessere venuto qui con te. Se c’è una

persona che può distrarmi daipensieri tristi, quella sei tu.»

Lidja nascose un sorriso tra le maniappoggiate sulla coperta.

«Avessi la chitarra, ti canterei unacanzone.»

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«E tu canta lo stesso» disse leiguardandolo di sottecchi.

Ewan ci pensò un attimo, poi siconcentrò e iniziò a intonare delle

note dolcissime. La sua vocedelicata e intensa si diffusenell’aria,

insinuandosi negli ambienti desertidella nave. Era una canzone triste,

struggente, quasi una ninna nanna.

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Lidja sentì una dolce malinconiainvaderle il cuore. Rimase con il

volto appoggiato alle mani, adascoltare quella voce che amavacosì tanto,

convinta che in fondo parlasse diloro e di quel mondo impazzito, delloro

destino e della loro missione.Fuori, il mare sembrava quasiessersi

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calmato.

Lidja si svegliò di soprassalto.

Quanto avevano dormito? Quantotempo era passato? Ewan era

accanto a lei, coricato su un fianco,ancora assopito.

L’aria era tesa e gelida sul ponte, eil mare mugghiava come la sera

prima, inondando di spruzzi la prua.

Lidja si alzò e si affacciò al

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parapetto: scrutò quell’oscuritàperfetta,

rotta solo dai riflessi violacei dellaspuma, quando le parve di scorgere

qualcosa all’orizzonte. Sceserapidamente nella plancia dicomando, colta

da un brutto presentimento. Trovòun binocolo poggiato accanto a unodei

monitor, lo prese e salì di nuovo sul

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ponte. Quasi non ne ebbe bisogno,

perché adesso quel che avevaintravisto si distinguevachiaramente. Era il

profilo di una catena montuosa,sulla quale si stagliava un picco piùalto

degli altri.

Si precipitò da Ewan e lo svegliò.

«Cosa…» biascicò lui.

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«Ci siamo addormentati, e stiamoper andare a sbattere contro gli

scogli!» gridò Lidja.

«Dobbiamo fermare la nave e faremanovra per entrare in porto»

disse Ewan riscuotendosi.

Si precipitarono nella salacomandi, ma era tutto bloccato, e lanave

continuava il suo tragitto senzarallentare.

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«Okay, okay» iniziò a dire Lidja,quasi più a se stessa che al suo

compagno. «Basta scendere primache la nave vada a sbattere daqualche

parte, giusto?»

«Giustissimo, peccato che se citrasformiamo in draghi, all’arrivoal

porto ci toccherà dare subitobattaglia.»

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«Le scialuppe di salvataggio!»esclamò Lidja.

Ewan le afferrò il viso e leschioccò un bacio sulla fronte.«Grande!»

le disse con un sorriso.

Corsero alle scialuppe. C’era unatarga con le istruzioni e disegni che

illustravano una specie di tenda chegalleggiava sul mare e un tubo di

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gomma che la connetteva alla nave.Un’immagine inequivocabile

mostrava un omino che scendevagiù per il tubo.

Lidja scosse la testa. «No, io giùnon mi butto, saranno almeno dieci

metri…»

Ewan la prese per le spalle e laguardò. «Sei un’acrobata, volteggi a

venti metri d’altezza appesa a unpezzo di stoffa e hai paura di

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questo?»

«Hai detto bene: “appesa”… Io nonmi butto di sotto!»

«Lidja, o così o contro gli scogli.»

Cadere era sempre stata la suapaura più grande. Non le davafastidio

stare appesa ai tessuti aerei,camminare sul filo o volteggiare sultrapezio.

Era gettarsi nel vuoto che la

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terrorizzava, il semplice cadere,proprio come

era successo durante il loro volosul Tirreno.

Lidja chiuse gli occhi, riguadagnò ilcontrollo. Quando li riaprì,

Ewan le sorrideva incoraggiante.

«Ci servono dei remi, non credoche questo aggeggio ne abbia.»

Entrambi partirono subito allaricerca, e Lidja ne trovò un paio

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sull’altro lato della nave, dovec’era una scialuppa classica. Futentata di

chiamare Ewan e dirgli di usarequella, ma si rendeva conto che lazattera–

tenda era la soluzione migliore: aquanto dicevano le istruzioni,bastava

tirare una leva, e il resto veniva dasé. La scialuppa invece aveva un

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motore e un meccanismocomplicato per calarla in mare.Tornò di là con i

remi. Ewan aveva azionato tutto. Lazattera era già in mare, collegataalla

nave dal tubo di gomma.

«Vuoi che vada per primo?» sioffrì.

Lidja scosse la testa con vigore.Non voleva darla vinta alle sue

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paure.

Salì con decisione verso l’ingressodel tubo e si buttò di sotto senza

pensarci, le braccia strette al pettocome consigliavano le istruzioni. Le

sembrò di essere finita in unaspirapolvere gigante che la tiravaverso il

basso. Le pareti interne del tuboaderivano al corpo, in modo darallentare

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la caduta. Ugualmente sbucòdall’altra parte urtando col sederesul fondo

gonfio della scialuppa. Si sporse, eEwan lanciò i remi in mare. Leonde

erano alte e forti, e Lidja riuscì aprenderne uno solo.

«Ce lo faremo bastare!» urlò Ewan,poi si lanciò anche lui nel tunnel

e sbucò nella scialuppa. Quando

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furono entrambi dentro, la sganciòdalla

fiancata della nave.

La navigazione, però, si rivelòdecisamente più complessa del

previsto. I cavalloni, che mentrestavano sulla nave non sembravanocosì

alti, erano onde di almeno un paiodi metri. Si sentivano in completabalia

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del fortunale, e con un remo solomantenere la rotta era un’impresa.Ewan

si mise a remare come un pazzo,fendendo l’acqua una volta a destrae una

a sinistra.

Mentre cercavano disperatamentedi guadagnare la riva, davanti a

loro la nave proseguiva la suacorsa. Non ci mise molto a

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raggiungere e

sfondare con un boato il moloesterno. La videro poi procedere

inarrestabile, fino a quando la puntanon si incagliò nella banchina,

penetrando l’entroterra per qualchemetro. Alla fine, come una grande

bestia morente, si inclinò su un lato,mentre le onde la flagellavano sullato

opposto.

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Rabbrividirono entrambi nelprofondo, scioccati da quellospettacolo.

Ewan fu il primo a riscuotersi eprese a vogare con più foga.

In meno di un’ora raggiunsero leacque più calme del porto. Erano

convinti che, una volta arrivati, ilpeggio sarebbe stato superato. Einvece

si accorsero che erano solo

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all’inizio. Niente poteva prepararliallo

spettacolo che li attendevaall’ingresso del porto di Palermo.

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12.L’uovo

Karl si svegliò di soprassalto, la

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terra tremava sotto di lui. D’istintoevocò

i poteri di Aldibah. Mentre unbraccio si trasformava in artiglio, sirese

conto dell’errore che avevacommesso. Lo ritrasse, e l’artotornò subito

umano.

« For God’s sake, no!» bisbigliòChloe, cercando di coprirlo. Ma

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ormai era troppo tardi: davanti allaporta del capannone si erano giàaccese

decine di piccole luci rosse.Assoggettati. Karl sudò freddo. Erabastato

evocare per un solo istante unartiglio del suo drago, e i nemicil’avevano

fiutato. Sentì Chloe che tremava,premuta contro il suo corpo.

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«Va tutto bene, siamo protetti»sussurrò, e portò una mano al

ciondolo con dentro il sangue diNida. Pregò che funzionassedavvero.

Pochi, interminabili secondi. Poi gliAssoggettati presero a sciamare

via. Chloe tirò un profondo sospirodi sollievo.

«Che ti avevo detto?» disse Karl,ostentando sicurezza.

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«Ho perso dieci anni di vita»replicò lei dandogli una piccolaspinta

sulla spalla. Lo aggiornòrapidamente su quello che erasuccesso dopo che

aveva perso conoscenza. Anche inquel momento, a intervalli regolari,la

terra tremava e l’aria rimbombavadi rumori cupi e minacciosi.

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Karl si guardò intorno preoccupato.«Dobbiamo sbrigarci. Questa

città non mi sembra per nientesicura.»

Chloe annuì con convinzione. Poi,uno strano brontolio ruppe il

silenzio.

Chloe arrossì portandosi le manialla pancia. «Scusa… è che non ho

mangiato, ieri sera.»

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«Be’, ho fame anch’io! E sai che tidico? Non penso che la missione

ne risentirà se prima di andare aCastel dell’Ovo cerchiamoqualcosa da

mettere sotto i denti» propose Karlcon un sorriso.

Fuori, l’oscurità regnava ovunque, etutto era avvolto nello stesso

buio pastoso. L’unica diversitàrispetto a Roma era che a Napoli i

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riflessi

viola si alternavano a quelli rossi epulsanti del Vesuvio in eruzione.

Dal porto, presero a seguire illungomare. Per prima cosaentrarono

in un negozio di articoli per turisti epresero due mappe, una della città e

l’altra del castello.

Poi per un tratto continuarono acosteggiare la parte commerciale

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del

porto. Il panorama era piùdesolante che mai. Già incondizioni normali

quel posto non doveva ispiraremolta fiducia, ma adesso era anchepeggio.

Di tanto in tanto incrociavanoqualche Assoggettato. Sembravanotutti a

caccia di qualcosa, come in allerta.

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«Ci stanno cercando» disse Chloecon un tremito.

«Nidhoggr non si fermerà finchénon ci vedrà morti… Ma noi

abbiamo il ciondolo che ciprotegge. Non devi avere paura.»

Si infilarono in un piccolo barlungo la strada. Sul piano di marmo

c’erano un paio di caffè freddi, suun tavolino una brioche smozzicatae

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una tazza con un cappuccinolasciato a metà, di fianco a ungiornale aperto

alla pagina sportiva. Sembrava cheuna catastrofe avesse colto quelluogo

congelandolo nel tempo.

Nella vetrina erano espostitramezzini e dolcetti di variogenere. Karl

afferrò quattro paste grosse come un

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palmo, a forma di cono, fatte di una

pasta sfoglia friabile. L’aspetto erainvitante.

«Le conosci?» chiese a Chloe. Leiscosse il capo. «Provale, sono

ottime.»

Chloe ne prese in mano una,l’annusò. Aveva un buon profumo,

molto aromatico, e pesavatantissimo. L’addentò un po’scettica, ma fu

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amore a primo morso. Sebbene nonfossero freschissime – con ogni

probabilità stavano lì da qualchegiorno – la pasta era ancoracroccante, e

l’interno squisito. Aveva un saporeintenso e pieno che nonassomigliava a

nessun’altra cosa avesse maiassaggiato.

«Si chiamano sfogliatelle» disse

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Karl addentandone una anche lui.

«Sono dolci tipici di qui.»

Chloe si domandò come facesse asapere sempre tutto. Per quanto la

riguardava, prima dell’arrivo deiDraconiani non era mai uscita delRegno

Unito; gli unici viaggi che avevafatto erano stati le peregrinazionicon suo

fratello e sua madre in giro per

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l’Inghilterra e la Scozia, in cerca dipace. E

non aveva mai sentito la mancanzadi una vita più avventurosa. Era

contenta del suo angolino di mondo,non immaginava neppure che làfuori

fosse pieno di posti così diversi daquelli che amava.

Finirono di mangiare con calma, eChloe cercò di assaporare per

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quanto possibile quella brevepausa, certa che li aspettasse unagiornata

faticosa.

Karl prese un paio di bottiglietted’acqua e quattro panini, che infilò

nella sacca. Quindi uscirono e siavviarono di nuovo verso ilcastello.

Il panorama cambiò rapidamente.Ai palazzi più moderni e alle

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strutture del porto commercialeandarono lentamente a sostituirsipalazzi

in stile barocco. Stavano entrandonel cuore della città. Allo stessotempo,

al posto dei grossi mercantili odelle navi da crociera, nel porto si

intravedevano barche a vela.

Il silenzio era assoluto e dava allacittà un aspetto ancora più surreale

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di quello che aveva CastelGandolfo: era come se laconfusione del traffico

e il via vai della gente fosserosempre stati parte intima di quelposto.

Chloe si guardava intornoincuriosita. Fin lì, dell’Italia avevavisto

solo Castel Gandolfo e Roma, madi Napoli aveva sentito spessoparlare.

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Per certi versi le ricordava Roma;lo stile dei palazzi era simile, lostesso

barocco opulento che per leisignificava automaticamente Italia.C’era però

qualcosa di diverso, di più caoticoma anche più umano, quasi piùcaldo.

«Aspetta» disse a un tratto Karl.«C’è un posto bellissimo che vorrei

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vedere.»

Deviarono dal lungomare e siinoltrarono per un breve tratto

nell’entroterra. Si trovarono apercorrere una via ampia, con ilampioni

appesi a dei fili al centro dellastrada, che ogni tanto dondolavanoal ritmo

della terra sotto i loro piedi.

Camminarono per un breve tratto,

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poi all’improvviso la strada si aprì

in una grande piazza quadrata. Allaloro sinistra sorgeva una grossa

costruzione bianca, una chiesa conogni probabilità. La facciata erasimile

a quella dei templi greci, che Chloeaveva visto sulle foto dei libri di

scuola. Dietro, una cupola bassa,perfettamente tonda, e ai lati, comead

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avvolgere tutta la piazza, un ampiocolonnato. Assomigliava a quello di

San Pietro, che aveva ammiratoqualche mese prima, durante unadelle

prime visite a Roma, ma in questoc’era qualcosa di più austero e altempo

stesso più accogliente. Forse era lapurezza delle linee, forse quelbianco

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quasi abbacinante nel buio dellanotte perenne, ma Chloe si sentìscaldare

il cuore. Le parve che quellacostruzione avesse in sé qualcosa dibenefico,

che quel colonnato volesse quasiproteggerla.

«Wow… non pensavo fosse cosìbella…» disse Karl, ammirato.

«Conoscevi già questo posto?»

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Lui annuì piano. A Chloe parveavesse gli occhi lucidi, mentre

percorreva da un capo all’altro lapiazza. «Me ne aveva parlato Effi.»

Chloe aveva sentito nominarespesso quella donna, la madre cheKarl

aveva perso durante una battagliaper salvare un frutto dell’Alberodel

Mondo. Le venne in mente la sua, di

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mamma. A lei sarebbe piaciuto quel

posto; era così affamata di cosenuove, diceva sempre che avrebbevoluto

viaggiare.

Rimasero a guardarsi intorno perqualche istante, la piazza che

sembrava stringerli in un mutoabbraccio.

«Andiamo» si riscosse Karl, esenza voltarsi imboccò di nuovo la

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via

per il lungomare.

Sul mare, in mezzo agli spruzzi, siinnalzava una costruzione

massiccia, una specie di rocca.Sembrava un angolo di Medioevofinito

chissà come nel Ventunesimosecolo. A differenza della chiesache

avevano appena visto, Castel

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dell’Ovo aveva qualcosa cheinquietava

Chloe, e quasi la respingeva.

«Non mi piace» sussurrò.

Karl le sorrise rassicurante. «Se ilfrutto è davvero qui, entriamo,

prendiamo quel che ci serve e ce neandiamo.»

Si avvicinarono al castello a passospedito, passando attraverso una

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caletta occupata da piccole barche,alcune delle quali di legno e senzavela.

La rocca si stagliava davanti a loro,impenetrabile. Sembrava che ne

spirasse un vago senso di minaccia.

Entrarono attraversando un bassoponte che costeggiava il porticciolo

e oltrepassarono due torrioni dallaforma tozza. Chloe ebbe la netta

sensazione che qualcuno la

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guardasse, come se tra mattone emattone si

insinuassero piccoli occhi malefici.Anche il portone d’ingresso era

massiccio e imponente: tutto inquella costruzione era ostile, chiusoa

difesa.

Si inerpicarono per un passaggiostretto e in salita, che pareva

costeggiare le mura esterne del

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castello. Chloe teneva stretta lamano di

Karl, e continuava ad essereinquieta. A un tratto il percorso siaprì

lateralmente. Chloe si sentì quasiattirata dall’abisso e si sporse.Sotto, la

precipitosa fuga del muro di cinta siinterrompeva sulle rocce tufacee

dell’isolotto sul quale la fortezza

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sorgeva. Il mare mugghiavaimpetuoso,

gli spruzzi delle onde arrivavanofino a lei, odorosi di morte. Siritrasse di

scatto perché le era sembratodavvero che una voce la chiamassedal basso,

una voce profonda e oscura.

«Senti anche tu qualcosa?» chiese.

Si accorse che la mano di Karl era

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attraversata da un tremito.

«Sì, lo sento. Ma penso sia un buonsegno» disse lui cercando di

mantenere un tono neutro. «Secondome, sono le esalazioni del

frammento. È corrotto dal sangue diNidhoggr, e forse questa ne è la

conseguenza.» Si fermò e si guardòattorno. «Dobbiamo cercare unposto

buio, sotto il castello. La leggenda

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dice che è laggiù che si troval’uovo.»

Rifletté qualche secondo, poitornarono sui loro passi e siinfilarono

nel castello dal primo varco libero.

L’interno era austero almeno quantol’esterno. Grandi sale spoglie,

ampie volte a botte di mattoni, muradisadorne. Non c’era alcuna

concessione al bello: quella era una

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rocca, e ogni suo centimetroparlava di

guerra.

Karl tirò fuori dalla sacca la torciae la pianta del castello che

avevano preso al negozio disouvenir. Si mise a studiarla,integrandola con

la lettura di altri fogli che si eraportato dietro.

A un tratto sbottò in

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un’esclamazione. «Ma come hofatto a non

pensarci prima! Il romitorio!»

Prese Chloe per mano e la trascinòfuori.

«Castel dell’Ovo è molto antico»spiegò. «Un tempo qui sorgeva una

villa romana, e dopo ci fu unmonastero, e solo in seguitocostruirono la

rocca. I resti del monastero esistono

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ancora, c’è tutto un intrico di canali

scavati nel tufo. Forse è lì chedobbiamo cercare!»

Alla luce delle torce, riuscironoinfine a rintracciare la scala e si

ritrovarono nel romitorio.L’ambiente mutò radicalmente:erano in uno

spazio piccolo, scavato nel tufo,quasi appena sbozzato. In un angolosi

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innalzava una colonna, ma per ilresto non c’erano altre decorazioni.Il

pavimento era in parte sbancato, esi passava da una sezione all’altra

tramite assi di legno chepermettevano di superare ampicunicoli diretti

chissà dove.

Karl si fermò e frugò ancora nellasacca. «Se ho ragione, qui

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dovremmo essere abbastanza viciniper usare un apposito strumento» etirò

fuori uno dei suoi marchingegni.Era un palmare messo insieme conpezzi

raccogliticci: un lato era di legno,un altro di metallo, un altro diplastica, e

il tutto era tenuto insieme da diversigiri di nastro isolante. Al centro,

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subito sotto lo schermo nero everde, c’era un alloggiamentotondo, mentre

dal basso partiva un tubicino digomma collegato a un paio diocchialoni

da aviatore. Karl si tolse dal colloil ciondolo di Nida.

Chloe inorridì. «Sei pazzo? Citroveranno!»

Lui non rispose, prese il ciondolo

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di Chloe e lo infilò a una collanina

più lunga, che mise intorno al collodi entrambi.

«Così no» sorrise, poi appoggiò ilsuo ciondolo nell’alloggiamento

tondo dello strumento. Infilò gliocchiali e spostò una levetta. Sullo

schermo apparve un puntino verdefosforescente che pulsava.

«Ecco qua il pezzo del frutto»disse. «Vedi, questo strumento è

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settato sui parametri delle viverne.»

Per quanto sapessero dove sinascondeva il frammento, arrivarcifu

meno semplice del previsto. Icunicoli si diramavano in variedirezioni, e

la via era spesso tortuosa. Più diuna volta trovarono un muro abloccare

loro la strada; altre, quando

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sembrava che fossero a un passodalla meta, il

percorso girava e li portavalontano. Senza contare chemuoversi là sotto

non era per niente facile: i cunicolierano stretti e asfittici, e in più

occasioni dovettero avanzarecarponi. Inoltre erano legati dallacollanina, e

questo rendeva le cose più

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complicate. Karl iniziava ainnervosirsi. A un

tratto, si sentì tirare per il maglione.

«Che c’è?» disse più bruscamentedi quanto avrebbe voluto. Si girò e

vide che Chloe era bianca come uncencio, e indicava qualcosa sullasua

testa. In alto, sul soffitto dellastretta galleria, c’era una fila dimillepiedi.

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Erano lunghi un palmo, la corazzanera e lucente, e le miriadi dizampette

che si muovevano frenetiche. Unbrivido percorse la schiena di Karl.«Non

fanno niente, non ti preoccupare»disse.

Chloe scosse la testa. «No, non èquesto. È che ho notato che tutti gli

insetti vanno in una sola direzione,

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da quando siamo entrati. Forse, seli

seguiamo…»

Karl rimase qualche secondo abocca aperta, poi sorrise. «Macerto!

Sei un genio! Li attira il potere delframmento.»

Si misero a seguire i millepiedi,che presto raggiunsero scarafaggi

lunghi un dito. Cui si unirono

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rapidamente ragni di ogni forma e

grandezza. Era una vera e propriaprocessione di insetti cheavanzavano

spediti verso una qualche meta.Stavolta non ci furono impedimentidi

sorta: dove riuscivano a passare glianimaletti, passavano anche loro.

Tempo un quarto d’ora, e sbucaronoin una piccola stanza circolare.

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Non era larga più di due metri, e inaltezza sfiorava appena le loroteste. Il

soffitto, sbozzato nel tufo, sirichiudeva in una specie di arco asesto acuto.

La struttura aveva qualcosa distrano, che Chloe e Karl colserosolo a uno

sguardo più attento: aveva la formadi un uovo, esattamente come

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l’oggetto posto sul pavimento, alcentro della sala. Era proprio unuovo,

che si reggeva miracolosamentedritto nonostante il terreno, sotto diloro,

continuasse a sussultare. Era di uncolore minerale, la superficiesegnata da

miriadi di piccole fratture.

«Era vero, dunque…» sussurrò

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Karl. «La leggenda medievale dice

che fu messo qui da Virgilio, ilpoeta latino, e che finché fosserimasto al

suo posto e intero, Napoli sarebbestata al sicuro. La sua distruzioneinvece

significherebbe la fine della città.»

Non molto distante dall’uovo c’erauna specie di grumo nero. Karl si

avvicinò e si accorse che si trattava

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di un cumulo di insetti: era tutto un

brulicare di zampette e corpichitinosi, in continuo movimento.Persino lui,

che aveva per gli insetti uninteresse prettamente scientifico, sisentì

disgustato. Avvicinò piano la manoe provò a spazzare via glianimaletti.

Sotto i loro corpi intravide

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qualcosa. Si fece forza e lo presetra l’indice e il

pollice. Appena lo ebbe sollevato,lo scosse istericamente. Gli insetti

caddero a terra e alcuni finironoaddosso a Chloe, che urlòallontanandoli

con le mani. Karl guardò quel chereggeva: un pezzo di sfera, grandemetà

del suo palmo. Era completamente

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nero e ruvido, come se sopra cifosse

colato del catrame. Lo girò per tuttii versi.

«Credi sia questo?» chiese Chloe inun soffio.

Karl iniziò a grattarne la superficiecon un dito. Lo spesso strato nero

si staccò a pezzi, e sotto apparve unmarmo verdastro. «Io… io credo disì»

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disse col cuore in gola. Lo ripulìcon le unghie, e anche Chloe loaiutò. La

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parte fratturata era ruvida, maquella sferica era liscia, perfetta.

« Yes, yes» sussurrò Chloe. Perchénon poteva essere altrimenti. Era il

frammento, il frammento del frutto!

Quando l’ultima scaglia nera cadde,d’improvviso la superficie si

accese di un intenso bagliore verde,benefico e puro. Fu meno di un

secondo, ma tanto bastò perché lecose precipitassero.

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Un rombo profondo scosse la terrasotto di loro, diverso da qualsiasi

altro scossone l’eruzione avesseprovocato fino a quel momento.L’aria si

riempì di un’oscura minaccia,mentre il silenzio veniva rottodall’eco

lontana di grida stridule e dalticchettare di protesi metallichesulla roccia.

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«No… no!» urlò Karl.

13.Un incontro

Sofia e sua madre erano sedute incucina, intorno a un rozzotavolaccio di

legno. Fabio, frugando in dispensa,aveva trovato del tè e ne aveva

preparate due tazze. Poi, con lascusa di controllare che non cifossero

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Assoggettati nei dintorni, si eraallontanato e le aveva lasciate sole.

Sofia non sapeva se esserglienegrata o meno: da una parte voleva

scappare da quella situazioneimbarazzante, dall’altra si rendevaconto che

parlare con sua mamma davanti alui le sarebbe risultato ancora più

penoso.

Un flash di Beatrice a Edimburgo,

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appagata assieme alla sua

famiglia, le campeggiava ancoranella mente. Era l’ultima immagineche

aveva avuto della madre, e non eramai riuscita a figurarsela in modo

diverso: distante e felice senza dilei.

Adesso era pallida come un cencio,e più magra dell’ultima volta che

l’aveva vista. Era evidentemente

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provata, ma non mostrava alcunsegno di

assoggettamento. Era lei la giovanedonna sorridente della libreria, equella

fredda e scostante che le avevaaperto la porta qualche mese prima,

negando di conoscerla.

Continuava a bere a piccoli sorsi,gli occhi bassi, mentre Sofia

lasciava raffreddare il suo tè nella

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tazza.

Poi, finalmente, parve prenderecoraggio. «Sai dove siamo?» le

chiese guardandola in viso per laprima volta.

Sofia scosse la testa.

Beatrice si alzò, andò verso unavecchia credenza in un angolo, ne

prese una foto ingiallita dagli anni egliela porse. Ritraeva un ragazzocon

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gli occhi verdi e una cascata diricci castani; non doveva avere piùdi una

ventina d’anni, e un sorrisostrafottente e un po’ guascone.Sembrava un

tipo sicuro di sé, di quelli con unostuolo di ragazze ai propri piedi,anche

perché era molto attraente: aveva unfisico asciutto, un bel naso dritto, e

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poi tutti quei ricci a contornargli ilviso… A Sofia, chissà perché,ricordò

Fabio. Non si somigliavano, eppureli accomunava qualcosa di simile

nell’atteggiamento. Sulla fronte,vicino all’attaccatura dellesopracciglia,

scorse un’ombra, forse solo unpelucco sulla pellicola, o ungranello di

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polvere. Aguzzò lo sguardo, equando capì di cosa si trattava, ilmondo

parve trattenere il respiro con lei.Non era polvere: era un neo, un neo

verdastro che assomigliavaterribilmente a quello che lei avevatra gli

occhi.

«Sono certa che l’hai riconosciuto»disse Beatrice con un sorriso

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triste. «È Andrea, tuo padre.»

Sofia si perse nella contemplazionedella foto. Andrea. Era la prima

volta che sentiva pronunciare il suonome. Fino a quel momento, per lei

suo padre era stato una sorta difigura mitica che racchiudeva in sétutto il

buono di un genitore, soprattuttodopo aver scoperto che sua madrel’aveva

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abbandonata. Lui l’aveva tenuta consé, l’aveva cresciuta e protettafinché

gli era stato possibile, econdivideva il suo stessograndioso, tragico

destino. Ora invece era lì davanti alei, un ragazzo dall’aria spavalda,un

bel ragazzo. Sofia avrebbe volutosentirne la voce, vederlo muoversi,

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imparare le sue abitudini, scoprire isuoi difetti, anche solo per unavolta,

anche solo per un istante.

«Com’era?» chiese quasi senzarendersene conto.

«Esattamente come lo vedi nellafotografia: bellissimo e

inavvicinabile. Piaceva a tutte lemie amiche, in paese erano tutte

innamorate di lui, e lui cambiava

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una fidanzata al giorno perché era

consapevole del suo ascendentesulle ragazze. Io venivo qui ogniestate,

perché mia madre era originaria diMatera. Da bambina la odiavo: erauna

città piccola, lontana da tutti e datutto, troppo bassa per esseremontagna e

senza mare… Era il posto in cui i

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miei mi costringevano a seppellirmi

durante le vacanze. Quanto avreivoluto passarle come le mieamiche, che

tornavano a scuola a settembre confoto di tramonti sul mare e ragazzi

abbronzati che le abbracciavano…»Beatrice bevve un lungo sorso di tè,

poi riprese: «Quando lui comparve,avevo quindici anni. E a me non

interessava granché.» Sorrise. «Sai,

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io ero di quelle ragazzine un po’

antipatiche, che vogliono sempredistinguersi dal gruppo, esserediverse…

Lui piaceva a tutte, e quindi nonpiaceva a me. Troppo banale.

Probabilmente fu questo aincuriosirlo. Magari fu per unascommessa con

se stesso, non lo so, fatto sta che simise a farmi il filo. Ma la prima

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estate

gli andò male, perché io perdispetto iniziai a uscire con un altroragazzo…

anche se non mi piaceva tanto.»

Sofia era allibita. Era a dir pocoparadossale stare lì con sua madre,

che le si rivolgeva con il tono cheavrebbe potuto usare Lidja, aparlare di

suo padre. Eppure era catturata,

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beveva ogni parola come unassetato dopo

un viaggio nel deserto.

«Per tutto l’anno scolastico lui, acadenza mensile, mi mandò delle

lettere. All’inizio eranosdolcinatissime, poi, chissà, forseperché non gli

rispondevo, iniziò ad essere piùsincero. Mi raccontava di lui, diquel che

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faceva in questa città che amava.L’estate dopo ci mettemmoinsieme.»

Beatrice bevve un altro sorso.

Sofia guardava alternativamente leie la foto che stringeva

convulsamente tra le mani. «Questaera casa sua?» chiese timidamente.Si

sentiva la gola prosciugata.

La madre annuì. «In questi anni ci

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ha vissuto sua mamma… Io

mancavo da undici anni» aggiunsein un soffio, quasi imbarazzata.

Sofia si costrinse a riscuotersi, manon riusciva a separarsi dalla foto.

«Come mai sei qui? Dov’è la tua…famiglia?»

Gli occhi di Beatrice si velarono.«Neanche loro sono stati

risparmiati da questa catastrofe.Eravamo in Francia per una breve

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vacanza, quando è successo. Miomarito e mia figlia sono diventatidei

mostri. Avevano gli occhi rossi espaventose ali nere sulla schienaquando

sono scappata, e ho visto che tuttiintorno a me erano così. È stato…

orribile. Ho subito avuto unsospetto, ero certa che avesse a chefare con…

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con quella storia che riguarda quellicome te.» Sofia si irrigidì: nelle sue

parole c’era paura, ma ancheun’ombra di disprezzo. «Per questoho preso

la macchina e sono venuta qui, dasola. Gli aerei e i treni nonfunzionano.

È stato un viaggio da incubo. Hopensato che se davvero quel chestava

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succedendo aveva a che fare conquelli come te, questo era un posto

sicuro. Perché era la sua casa,capisci? La casa di Andrea.Qualcosa di lui

poteva essere rimasto, una tracciadei suoi poteri… Ero arrivata dapoco

quando siete entrati. Scusami peravervi spaventati, avevo paura, nonhai

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idea di quel che ho passato…»

«E così hai abbandonato tuo maritoe tua figlia» disse Sofia, fredda.

«Cosa potevo fare? Non erano piùloro. Io sono una donna qualsiasi,

io non sono come voi…»

«Smettila di dire voi con queltono!» sbottò Sofia. «Fai semprecosì,

tu. Quando le cose vanno male, tene vai.»

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Beatrice sospirò. «È molto piùcomplicato.»

«E com’è, allora? Spiegamelo,perché io davvero non lo capisco.So

solo che mi hai abbandonata, equando ti sono venuta a cercare,nella tua

casa a Edimburgo, hai finto di nonconoscermi. Non mi sembra ci sia

molto da capire.»

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Beatrice era arrossitaviolentemente, ma sembrava ancheirritata. «Io

e tuo padre avevamo diciotto anniquando sei nata, eravamo dueragazzini.

E io ho avuto incubi atroci per novemesi, sai che vuol dire? Nove interi

mesi che dovrebbero essere i piùfelici della tua vita passati achiederti

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cosa sono le figure mostruose che titormentano ogni notte, a chiederti

perché il sonno non ti porta piùriposo, ma solo terrore. Questo èstato

aspettare te, capisci? Non sapevopiù cosa pensare, mi domandavocosa mi

stesse crescendo nel ventre… Tuopadre cercava di starmi vicinocome

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poteva. “Sono solo sogni” midiceva, ma il fardello era mio,soltanto mio.

Mi svegliavo ogni notte urlando,disperata, sono arrivata sull’orlodella

follia.»

«Anche le madri degli altriDraconiani hanno vissuto le tuestesse

esperienze, eppure sono rimaste con

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i loro figli.»

«Forse erano più mature di me»rispose Beatrice per nulla intimidita

«e poi ogni persona è diversa.Guardati intorno, Sofia, guarda cosaè

successo. Questo è il mondo in cuivoi vivete: davvero pensi che siacosì

facile accettarlo? Davvero crediche sia qualcosa con cui si può

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convivere

a cuor leggero?»

«Io ci sono riuscita, e sono piùpiccola di quanto non fossi tuquando

mi hai abbandonata.»

Beatrice arrossì fino alla puntadelle orecchie e distolse losguardo.

«Lui lo sapeva, in cuor suo losapeva, e non mi ha detto niente»

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disse

quasi tra sé e sé. «Un giorno tuopadre tornò a casa. Era eccitato,

spaventato, ma soprattutto esaltato.Tu eri nata da poco, e io intuivo cheeri

diversa dagli altri, lo sentivo. Nonche non ti amassi, lo capisci,questo?

Sofia, ti volevo un bene dell’anima,eri tutto per me. Comunque»

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aggiunse

ricomponendosi «venne da me e midisse che aveva capito tutto, che un

uomo gli aveva fatto capire ognicosa. Mi raccontò di questoprofessore di

antropologia, un tedesco se nonsbaglio, che aveva conosciuto e chegli

aveva raccontato la verità su chifosse lui, e su chi fossi tu. È stata la

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prima

volta che ho sentito parlare diquelli come voi…»

«Draconiani. È così che cichiamiamo.»

«Non dubitai per un attimo chefosse la verità. Perché tra madre e

figlio c’è un legame particolare. Iosapevo chi eri e di cosa eri capaceda

quando avevo scoperto di essere

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incinta. Eri in me, Sofia, non poteva

essere altrimenti. Ma queste sonocose che si capiscono solo quandosi ha

un figlio.»

Sofia assunse un’espressionesarcastica, ma lasciò che la madre

proseguisse.

«Sono entrata in una profonda crisi.Perché avevo compreso cosa

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significava davvero quel che tuopadre mi aveva detto. Significavache da

quel momento il mondo per me nonsarebbe più stato lo stesso, che tutto

sarebbe cambiato, per sempre, eche per noi non ci sarebbe più statapace.

Sarebbe stata una vita di affanni, eio, Sofia, non me la sentivo.»

Tacque, forse attendendosi una

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risposta, ma Sofia rimaseimpassibile,

la foto di suo padre stretta tra ledita.

«Quello di cui ti devi rendereconto» proseguì Beatrice «è chel’ho

fatto per te. Non ero in grado distare al tuo fianco. Non ero comevoi, da

questa faccenda ero completamente

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tagliata fuori. Come avrei potuto

capirti quando a separarci c’era unabisso? Io ero una semplice umanae tu

appartenevi a un altro mondo, cosapotevo darti? È per questo che mene

sono andata, perché sapevo chesaresti stata meglio con tuo padre.Mi è

costato molto, Sofia, moltissimo.»

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Finalmente Beatrice abbassò losguardo sulla tazza, e tacque. Sofia

contrasse la mascella. Contò fino adieci, perché voleva essere certache

non fosse solo la rabbia a farlaparlare, voleva essere sicura difarle più

male possibile con le sue parole.

«Puoi darti tutte le scuse che vuoi,tutte le giustificazioni di questo

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mondo, ma la verità è che te ne seiandata. Le madri degli altriDraconiani

sono rimaste al loro posto, hannoprotetto fino alla fine i loro figli. Tusola

hai rinunciato prima ancora diprovare. Non l’hai fatto per me,l’hai fatto

per te. Altrimenti quando papà èmorto saresti venuta a prendermi, e

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quando ho bussato alla tua porta, miavresti accolta.»

Era scattata in piedi, paonazza. Sisentiva sopraffatta da un’ira cieca,

come non le era mai capitato in vitasua. Fissava Beatrice, all’altrocapo

del tavolo, che aveva le lacrimeagli occhi. Ma non le facevaneppure un

po’ pena.

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«Le cose sono complicate…c’erano anche altre persone

coinvolte…» provò a dire suamadre, ma Sofia la interruppe.

«Ti odio, ti odio perché non mi haivoluta, e invece di chiedermi

perdono accampi patetiche scuse!Ti odio e ti odierò sempre!»

Scoppiò in un pianto irrefrenabile,finché non si sentì abbracciare da

dietro. Fabio.

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«Va tutto bene, va tutto bene» leripeteva.

Beatrice si alzò dal tavolo, inlacrime, ma si fermò un istanteprima di

abbandonare la stanza. «Sono statauna codarda, lo ammetto, ma…

davvero, io ti voglio ancora bene,Sofia. Non ho mai smesso divolertene.»

Sofia ci mise un bel po’ a calmarsi.

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«Ce ne dobbiamo andare… Nonvoglio restare un istante di più sotto

il suo stesso tetto» balbettò.

Fabio si sedette davanti a leiostentando tranquillità. La cosa lairritò:

perché non era arrabbiato anchelui? Perché non si affrettava a darle

ragione, a dirle che sua madre erauna persona orribile?

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«Questo posto è speciale» disseinfine lui «l’hai percepito anchetu.»

Sofia non poteva negarlo. «Quisiamo al sicuro e, a meno che nonsia

necessario andarsene, penso siameglio se facciamo base qui.»

« È necessario! C’è lei!»

Fabio allungò una mano el’appoggiò su quella di Sofia. Lei

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sentì una

specie di scossa. Toccarsi eraancora tabù. Si morse il labbronervosa, poi

si sporse verso di lui.

«Perché non mi dai ragione?»

«Servirebbe a qualcosa accanirsi sudi lei?»

Sofia non lo aveva mai visto così:rassicurante, calmo, sereno.

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Indurì lo sguardo. «Mi farebbe staremeglio.»

Fabio le lasciò la mano, siappoggiò allo schienale della sediae

distolse lo sguardo. «Ti assicuroinvece che non ti farebbe sentireaffatto

meglio.»

«Tu non puoi capire: tua madrec’era, c’è sempre stata. È morta per

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te!»

Negli occhi di Fabio passò unlampo, e Sofia temette di averparlato

troppo.

«Hai detto bene. È morta. La tuainvece è di là, e tutto quello che sai

fare è odiarla.»

«Mi ha abbandonata! E quandosono andata a bussare alla sua porta

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ha finto di non conoscermi.»

«Sofia, forse mia madre non mi haabbandonato, ma ti assicuro che

di rancore me ne intendo. Miopadre ha fatto esattamente quel cheha fatto

tua mamma. E non hai idea diquante energie abbia speso nellamia vita a

detestare la gente, a sognare dipotermi rivalere su chiunque mi

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avesse

fatto soffrire. E l’ho anche fatto, losai. Mi sono vendicato parecchievolte.

Adesso che guardo tutto da un’altraprospettiva, posso dirti che è stato

tempo sprecato. Avrei potutoimpegnarlo in modo diverso, avreipotuto

provare ad essere una personamigliore, proprio quello che voleva

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mia

madre per me. Lo sai che non mi hamai parlato male di mio padre?Mai.

Mi diceva di cercare di capirlo, eio la detestavo quando faceva così,

perché lei aveva tutto il diritto diodiarlo, così come lo avevo io.Perché

avrei dovuto perdonarlo?»

Sofia si fece piccola. «E allora

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perché non stai dalla mia parte,

adesso?»

Fabio sospirò e le si avvicinò dinuovo. «E invece sto esattamente

dalla tua parte. Odiare tua madre,cercare di farla soffrire, è inutile.Odiare

lei significa odiare te stessa.»

Sofia ingoiò le lacrime. «Ma lei hafatto una cosa tremenda…»

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«È vero, ma a cosa serverecriminare? È qui da sola,terrorizzata, e

tutto quello che ti ha detto…»

«Ci hai ascoltate…»

Fabio arrossì: «… tutto quello cheti ha detto dimostra che ne è

consapevole. Le sue scuse servonosolo a lenire il senso di colpa. Èuna

persona fragile, Sofia, nulla di più e

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nulla di meno. E una persona sola.Ha

paura, l’ha sempre avuta, e questapaura ha eretto dei muri tra lei e il

mondo. Lo capisci?»

Lo capiva, e faceva male. Perchéodiare era molto più facile.

«Hai idea di quale tristezza debbaavere in fondo al cuore una

persona che fa vincere i propritimori sull’amore per la figlia? E il

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terrore

che prova l’ha allontanata anchedalla sua nuova famiglia. È unadonna

spaventata, una donna che non è maistata in grado di sconfiggere le sue

paure. Non ti sembra che questa siagià una punizione sufficiente?»

Sofia pensò all’iniziodell’avventura, a quando ilprofessore le aveva

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spiegato chi era, all’attacco diMattia, il primo Assoggettato concui si era

scontrata. Anche lei aveva avutouna paura tremenda, e il primoistinto era

stato quello di scappare. Cosasarebbe successo se non avessetrovato

dentro di sé la forza di andareavanti? Paura ne aveva ancheadesso, paura

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ne aveva sempre; anche solosfiorare Fabio la gettava in unabisso di

paura.

«Non ti sto chiedendo diperdonarla. Ti chiedo solo di nonperderti

dietro un odio sterile, che fa malepiù a te che a lei.»

Fu come aprire una porta. Lelacrime trovarono la via facile, e

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Sofia

non fece nulla per fermarle. Per unavolta, non se ne vergognava. Scattòin

piedi e si strinse a Fabio. In quelmomento aveva bisogno di lui piùdi ogni

altra cosa, e non l’aveva mai sentitotanto vicino. Fabio non si sottrasse.

Dopo un primo momento di stupore,Sofia sentì le sue mani accarezzarle

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la

schiena, e poi stringerla a sé, comeaveva fatto a Edimburgo, una serache

sembrava lontanissima. Rimaserocosì, immobili, abbracciati stretti in

quella notte infinita.

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Sull’uscio, Beatrice li guardava insilenzio. Per la prima volta in vita

sua aveva avuto il coraggio diconfessare a se stessa in quale

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baratro

l’aveva precipitata quell’unica,terribile decisione che quindici anniprima

aveva cambiato la sua vita.

14.Una piccola chiesad’oro

Il porto di Palermo era scomparso,sommerso dall’acqua che aveva

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invaso

la città. Le navi erano accatastatelungo il bordo dei palazzi, alcune

rovesciate su un fianco, altresventrate dalle onde più impetuose.

Continuavano a spingersinell’entroterra a un ritmoincessante,

infrangendosi contro i muri einsinuandosi lungo strade e piazze.

Lidja e Ewan guidarono la

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scialuppa in un’insenatura piùriparata che

si era creata tra gli edifici delporto, e rimasero a contemplarequello

scenario apocalittico. A ogni ora, ilmondo sembrava precipitare in un

abisso sempre più profondo. Lospirito di Nidhoggr aveva ormai

contaminato ogni cosa.

«Dobbiamo trovare il frammento al

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più presto» disse Ewan. «Temo

non ci resti più molto tempo.»

Lidja riprese a remare con vigoreper entrare nella città allagata.

Fortunatamente il moto ondoso lisospingeva nella direzione giusta,ma

controllare la scialuppa non erafacile, specialmente con un remosolo e in

un mare agitato.

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«Ci serve una vera barca, con dueremi e anche un motore» decise

Ewan.

Barche, ovviamente, ce n’erano inabbondanza: ma poche si

trovavano in buone condizioni ederano raggiungibili con lascialuppa. A

fatica, riuscirono ad avvicinarsi aun gommone a motore, dotato anchedi

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remi. Ewan stabilì che faceva alcaso loro.

Lidja si limitò a obbedire. Lesembrava strano non essere lei illeader

della situazione, soprattuttoconsiderato che Ewan si era unitoal gruppo da

poco. Ma lui sembrava davveroesperto di barche e navigazione,mentre lei

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non ne sapeva nulla. E poi, infondo, era piacevole non sentirsi ilpeso

della responsabilità sulle spalle.Forse, non si fosse trattato di Ewan,

sarebbe stata infastidita dalla suaintraprendenza e dal tonoautoritario con

cui le dava ordini. Ma era Ewan, eper una volta fare la damigella in

pericolo non le dispiaceva affatto.

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«Ecco, devi tenerli così» le disselui spiegandole come impugnare i

remi.

«Non mi dirai che hai fatto ancherafting» lo punzecchiò Lidja.

Ewan fece un sorriso spavaldo. «Einvece sì, molte volte, con gli

scout. Sono anche piuttosto bravo.»

Si spostarono dove la corrente erapiù forte, e a poco a poco non

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furono più in completa balia delleonde, ma iniziarono a cavalcarle.Ewan

sapeva esattamente come sfruttarela loro spinta anziché farsene

travolgere, e in breve, spediti eprecisi, entrarono nella città. Lospettacolo

che si aprì davanti ai loro occhi erairreale. Tutto era sommersodall’acqua.

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Le macchine erano ammassate l’unacontro l’altra nelle piazze e lungo le

strade; a volte occludevano ilpassaggio, costringendoli a lunghe

deviazioni. Il silenzio era assoluto,l’acqua quasi del tutto immobile.

Sembrava di stare in una specie dienorme palude cittadina. I riflessi

violacei che illuminavano lasuperficie diedero a Lidjal’impressione di

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essere finita in una versione ancorapiù spaventosa delle Paludi Mortenel

Signore degli Anelli.

I palazzi barocchi si alternavanoalle palazzine moderne, che

sommerse in quel mare facevanol’effetto di astronavi aliene finitenel bel

mezzo di una città del Settecento.L’impressione complessiva

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lasciava

spiazzati: quella mescolanza di stiliera incomprensibile, a volte persino

violenta. Inoltrandosi verso ilcentro della città, però, il panorama

cambiava, e Palermo apparivasempre più come una vecchia dama

bellissima ma un po’ sfiorita. Glisplendidi palazzi antichi a volteerano

fatiscenti, i muri scrostati e

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impiastricciati da brutti graffiti odai resti di

generazioni di manifesti attaccatil’uno sull’altro. Ma era proprio inquesta

bellezza sciupata e dolente che sicelava il fascino della città.Doveva

essere un posto meraviglioso, incondizioni normali.

Le strade, ormai trasformate in

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canali, a volte erano ampi viali

costeggiati da palme, altre vicoliangusti e tortuosi in cui la scialuppa

andava continuamente a sbatterecontro i muri delle case. In unodovettero

fare lo slalom tra le tende di alcunebancarelle, le cui mercanzie

galleggiavano sul pelo dell’acqua:arance, limoni, mandarini… E poi

sacchetti di spezie, capperi,

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pomodori secchi, frutta e verdura.Alcuni

erano andati a male, ma altrisembravano intatti e Lidja neapprofittò,

pescandone alcuni al volo tra quelliche parevano ancora buoni. Mentre

avanzavano ricordò cos’era quelposto: la Vucciria, il mercatoinebriato di

profumi e colori che tanto aveva

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amato quando, da bambina, l’aveva

visitato con sua nonna. Sentì unastretta al cuore. Poi qualcosa passòsotto

il gommone, facendola trasalire elanciare un grido strozzato.

«Cosa succede?» chiese Ewanallarmato.

«C’è qualcosa sott’acqua!» disseLidja attaccandosi istintivamente al

suo braccio.

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Poco distante emerse una testa.Aveva gli occhi rossi, e alle spalle

due ali metalliche che entravano euscivano dall’acqua, muovendosilente,

come le pinne di un pesce.

«Un Assoggettato…» mormoròEwan. Appena parlò, quello si

immerse di nuovo e sparì in unflutto. «Sembra che si siano adattatia

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questo nuovo ambiente.»

Tremando, Lidja trovò il coraggiodi guardare ancora. Ne vide un

altro scivolare nella correnterapido e agile come una lontra.Aveva una

lunga coda, e gli impianti metallicierano foggiati a formare pinne che

coprivano mani e piedi. Il metallocircondava anche la bocca,

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probabilmente un sistema chepermetteva a quegli esseri umani direspirare

sott’acqua.

«Fantastico…» mormorò con unbrivido.

«Se il ciondolo con il sangue diNida continua a funzionare, ci

ignoreranno» disse Ewan. «Ma nonsappiamo quanto tempo ci rimane,

dobbiamo sbrigarci.»

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Lidja tirò fuori dalla sacca unaguida di Palermo che aveva preso

dalla libreria del professore eguidò Ewan attraverso il dedalo divie.

«Dovrebbe essere in fondo a questastrada» disse, e si predisposero a

una lunga traversata. Il silenzio erarotto solo dal rumore del motore e

dallo sciabordio dell’acqua lungole sue fiancate.

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Dopo non molto si ritrovarono inuna piazza ottagonale circondata da

quattro palazzi barocchi in pietra.Sembravano quinte di un teatro, e idue

ragazzi ne rimasero talmenteaffascinati che rallentaronol’avanzata.

Proseguirono ancora, sempre dritti,costeggiando palazzi, piazze e

chiese. Una in particolare li colpì

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più delle altre: l’intera facciata era

decorata da fregi a metà tra ilgotico e uno stile che ricordava ilmondo

arabo, e l’effetto complessivo eraquello di una specie di splendido

merletto in pietra. Lidja eraincantata. Nel buio quasi assoluto,la chiesa

sembrava emanare luce propria e sirifletteva, perfetta, nell’acqua. Solo

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la

prua del gommone frantumavaquell’immagine in miriadi dischegge,

replicate all’infinito dalleincrespature causate dal loropassaggio.

Avanzarono ancora, fino acosteggiare un giardino. Gli alberi

affioravano in superficie comesperduti isolotti verdi, e le cime

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delle palme

davano perfino l’impressione diessere finiti in un atollo tropicale.

Poi, finalmente, intravidero unimponente palazzo che dominava la

città da una bassa collina.Sembrava all’asciutto, come unnaufrago che

fosse riuscito a mettersi in salvo.

«Ci siamo» disse Lidja. «Il Palazzodei Normanni. La Cappella

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Palatina è lì.»

Attraccarono col gommone sotto laporta e raggiunsero la grande

piazza davanti al palazzo.Sembrava un miracolo esserefinalmente sulla

terraferma, anche se lo spiazzo erapieno di pozzanghere più o meno

ampie.

«O ha piovuto tanto, o l’acqua del

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mare si è ritirata» osservò Ewan.

Lidja guardò il piazzalepreoccupata. «In ogni caso, laCappella è al

primo piano, in alto, forse è statapreservata.»

Entrarono nel palazzo. Ancheall’interno tutto era umido, e il

pavimento era disseminato dipozze.

Dovettero girare un bel po’, perché

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Lidja non ricordava esattamente

dove si trovasse la Cappella.Attraversarono ampi saloni,passarono per un

cortile circondato da porticidisposti su tre ordini; il ritmo con ilquale gli

archi si susseguivano era di unaperfezione tale che rimasero quasi

ipnotizzati a guardarli. Infine, un po’per caso un po’ per fortuna, si

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imbatterono nella scala giusta;Lidja la riconobbe all’istante.

«Di qua.»

Salirono i gradini di corsa e siritrovarono in un chiostro, al primo

piano. Lidja ricordava tutto, estraordinariamente bene: erapiccola quando

era stata lì, ma era l’anno prima chesua nonna morisse. Aveva iniziato a

sentirsi male proprio poco dopo

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aver lasciato Palermo. Quantoaveva fatto

in quella città le era rimasto dunquescolpito in mente, e la visita alla

Cappella più di tutto. Non potevadimenticare come brillavano gliocchi di

sua nonna mentre percorrevano orie fregi, e la devozione timorosa concui

le aveva indicato l’enorme mosaico

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del Cristo Pantocratore. Si erasentita

in soggezione anche lei sotto il suosguardo enigmatico.

La porta era aperta, e Lidja entrò.Rimase senza parole, esattamente

come la prima volta. Si trovava inuna delle tre navate di una piccola

chiesa completamente ricopertad’oro. Fatta eccezione per lecolonne che

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dividevano le navate e per ilpavimento, entrambi in marmo, tuttoil resto

era decorato da meravigliosimosaici bizantini. Severe figure disanti dagli

sguardi austeri, decori d’ognigenere e foggia travolgevano losguardo. Il

luccichio dell’oro, i colorisfavillanti, l’accavallarsi di archi asesto acuto

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davano l’impressione di qualcosadi troppo bello e sontuoso peressere

raccolto in uno spazio così piccolo.Lidja ebbe la netta sensazione che i

suoi occhi non fossero in grado direggere tutta quella bellezza. Se ne

sentiva il cuore traboccare, e comela prima volta ebbe quasi paura.Paura

di tutta quella perfezione, di quel

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tripudio di colori e fregi cheappariva

identico a com’era quando gliartisti che ci lavoravano l’avevanofinito, e

per secoli, millenni, avrebbecontinuato a emanare la stessasfavillante

meraviglia.

Si riscosse non appena Ewan latoccò. Aveva anche lui gli occhi

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fissi

al soffitto decorato dalle muqarnas,un fitto intrico di stelle a otto punte

che si aprivano su nicchie espuntoni che davano allo spaziosopra di loro

l’aspetto della volta di una grottapiena di stalattiti.

Spostarono lo sguardo dalle paretie lo indirizzarono al pavimento.

Le panche erano accatastate alla

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rinfusa, verso il fondo, alcunemezzo

rotte, appoggiate in equilibrioprecario alle pareti o davanti allabalconata

che delimitava l’area dell’altare.

«Tu perlustri la navata di destra, ioquella di sinistra» decise Lidja.

Cercarono ovunque, in ogni angolo,dentro ogni nicchia, sull’altare.

Quando si ricongiunse con Ewan al

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centro della navata, capì che la

caccia non era andata bene neppurea lui. «Hai guardato dappertutto?»

chiese. «Anche nel fontebattesimale?»

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«Sì.»

«Cerchiamo di nuovo, dev’esserequi per forza» insistette Lidja,

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nervosa.

All’inizio del terzo tentativoinfruttuoso, dopo che ormai

conoscevano ogni centimetro diquel posto, Ewan la prese per lespalle.

«Stiamo perdendo tempo.»

«Fabio l’ha visto, deve essere qui.»

«Hai guardato a terra? Hai toccato imuri? È tutto bagnato. C’è stata

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l’acqua. Il mare dev’essere arrivatofin quassù e ha spostato ilframmento.»

«Ma Fabio l’ha visto» insistetteLidja.

«Dev’essere successo dopo lavisione. E non chiedermi come sia

stato possibile, non lo so. Ma temoche l’acqua l’abbia trascinato via.»

Lidja gemette. «Quindi può essereovunque, anche in mare aperto!»

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Ewan si limitò ad annuire.

«Questa è una tragedia, è la finedella missione. Non può essere

così!»

«Calmati» disse Ewan tranquillo.«Non è la fine della missione. Ho

un piano.»

15.Due addii

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Karl infilò rapido il frammentonella sacca e afferrò Chloe per unpolso.

Ma la loro fuga si interruppe subito:si erano affidati allo strumento diKarl

e agli insetti, e non avevano fattocaso alla strada percorsa perarrivare fino

alla stanza dell’uovo.

Si lanciarono alla cieca in quel

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dedalo infernale, lo zampettio

metallico che si faceva sempre piùforte, nonostante avessero ancora il

ciondolo intorno al collo. Karl tolserapidamente il suo dallo strumentoe

lo indossò di nuovo, ma non c’eraniente da fare: gli inseguitori erano

sempre più vicini.

«Perché non ci copre più?» gemetteChloe.

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«No, avvertono il frammento!Abbiamo tolto il sangue per vederese

si trattava del frutto, e adesso il suopotere, per quanto debole, viene

percepito dagli Assoggettati.»

Voltarono un angolo e imboccaronouno stretto cunicolo, ma si

trovarono davanti un muro. Nonavevano scelta: il neo sulla frontedi Karl

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brillò fulgido, e in un lampo ilbiondo ragazzino paffuto assunse le

sembianze di Aldibah. Con la testasfondò il soffitto di quello spazio

asfittico e si divincolò conviolenza, riuscendo ad aprire unvarco

sufficiente a far passare anche ilcorpo dell’altro drago.

Kuma premette contro le pareti,allargando ulteriormente lo spazio

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intorno a loro, ma solo le testeerano riuscite a sfondare ilpavimento,

mentre il resto del corpo era ancorabloccato nel cunicolo sotterraneo.

Entrambi presero ad agitarsi piùche potevano, ma le pareti delpassaggio

ferivano loro i fianchi.

Fu in quel momento che arrivarono.All’inizio si udirono solo i sibili

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affannati, poi il ticchettio sinistrodegli artigli. Ne furono prestocircondati,

li sentirono aggrapparsi alla carne euna sensazione di insopportabile

calore avvolse loro le membra.Ruggirono di dolore, ma furono leferite a

dare l’ultimo impulso. Si scosserocon violenza inaudita e riuscirono

finalmente ad arrampicarsi fuori dal

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tunnel, in uno degli ampi saloni del

castello.

Karl salì per primo e tirò fuoriChloe afferrandola per gli artigli.La

loro pelle era segnata da feritesimili a scottature, come se lame

incandescenti li avessero colpitiovunque.

Quando finalmente videro i loronemici, rimasero senza fiato. Erano

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Assoggettati, ma di un tipo che nonavevano mai incontrato. Gli innestisul

loro corpo erano incandescenti,accesi di un giallo sfavillante, e

scagliavano getti di lava anzichélingue metalliche. Il potere diNidhoggr

aveva creato mostri diversi perogni ambiente.

Cercarono una via di fuga, ma le

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finestre e le porte erano troppo

piccole per passare e i loro corpi didrago, feriti, non riuscivano a

sfondarle. L’unica possibilità eratornare alle sembianze umane.

Il primo a ritrasformarsi fu Karl,subito seguito dalla compagna.

Spalancarono la porta e siprecipitarono fuori, ma gliAssoggettati si

lanciarono al loro inseguimento.

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Strisciavano a terra, volavano nella

stanza, erano in tutto e per tuttosimili nei movimenti agli insetti che

brulicavano nel romitorio. Le loroali sembravano di fuoco. Chloeevocò

un forte vento e riuscì a scagliarneuna decina contro le pareti, mentreKarl

ne paralizzò altri con un getto dighiaccio. Ma erano in numero

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spaventoso, decine, centinaia.Sbucavano da ogni dove, entravanodalle

finestre, irrompevano dalle porte.Sembravano ovunque. I dueDraconiani

avevano un’intera città contro, cheli fiutava come i cani con le volpi.

Erano circondati.

Corsero a perdifiato, disperati,infilando le porte una dietro l’altra,

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cercando una via verso l’esterno.

Continuarono a scappare, colpendoi nemici con attacchi combinati

di ghiaccio e di vento. Infine,riconobbero il corridoio per ilquale erano

entrati. Ma era completamenteingombro di nemici. Rimaserobloccati un

istante, paralizzati dal terrore. FuChloe a reagire per prima. Urlò con

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tutto

il fiato dei suoi polmoni ed evocòun violento tornado. Riuscì aliberare

quasi del tutto la via. Karl si gettòin avanti.

«Bravissima! Andiamo, prima cheritornino!» gridò.

Ripresero a correre, calpestando icorpi rimasti a terra e saltando gli

ostacoli. L’aria aperta distava

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ormai pochissimo, e con essa lalibertà. Il

rettangolo di cielo che riuscivano aintravedere parve loro bellissimo,

allettante, nonostante l’oscurità.Chloe lo contemplava come unassetato

nel deserto fissa il miraggio diun’oasi. Ma qualcosa interruppe laloro

corsa. Chloe inciampò nell’ala di

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un Assoggettato e cadde a terra.Sbatté il

mento e per lunghissimi istantirimase intontita, incapace di capiredove si

trovasse e cosa fosse successo.Karl si chinò su di lei e la sorresse,

aiutandola a tirarsi su.

«Avanti, ci siamo quasi!»

Chloe si fece forza. Non era ilmomento di lasciarsi andare alla

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debolezza. Guardò Karl condecisione, fece per alzarsi. Poiqualcosa saettò

fulmineo sopra la sua spalla:sembrava un lampo di luce,qualcosa che la

sua retina fece appena in tempo aregistrare, ma le conseguenze suKarl le

si impressero a fuoco nella mente.Vide la testa del compagno scattare

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all’indietro: il neo sulla sua fronteera infranto, e la pelle intorno come

ustionata. Un sottile rivolo azzurroiniziò a colare dal neo, lento e

vischioso, scivolando intorno alnaso e giù fino al labbro. Karlaveva gli

occhi chiusi, ed era mortalmentepallido. Poi, piano, le cadde fra le

braccia, inerte. Chloe urlòdisperata. Sentì una lingua di fuoco

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stringersi

intorno alle caviglie, e il dolore lariscosse. Non c’era tempo per aver

paura, doveva agireimmediatamente. Evocò una vera epropria tempesta, e

scrosci di pioggia si abbatteronosul corridoio. L’aria si riempì divapore

caldo. Chloe sentì le creaturestridere e gracchiare. Si tirò su, si

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mise Karl

in spalla e corse nella direzione incui aveva visto l’esterno l’ultimavolta.

Il fresco la investì subito, unasensazione che sapeva di salvezza.

Evocò Kuma e in un lampo schizzòverso il mare, quindi si alzò più inalto

che poteva. Sentì le lingue di fuocosibilarle accanto, percepì le grida

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di

rabbia e impotenza degliAssoggettati. Volò ancora, versol’oscurità

perfetta del cielo, il vento che lesferzava il muso, volò finché nonsentì le

grida farsi stridii lontani. Soloallora si fermò, Karl stretto in unodegli

artigli. Era ancora incosciente,

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pallido come quando era statocolpito, il

rivolo azzurro che gli imbrattava lafaccia come trucco sfatto. Il neosulla

fronte, il simbolo dei Draconiani,non era più blu, ma di un marrone

spento, sporco di sangue. Chloe loscosse delicatamente, cercò di

chiamarlo, ma Karl era immobilenella sua stretta. Le salirono le

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lacrime

agli occhi, si sentì sola e perduta.Singhiozzò senza ritegno, dandosfogo a

tutta la sua paura. E non era ancorafinita. Perché il frammento era nella

sacca, e si trovavano a chilometri echilometri da casa, con una torma di

nemici alle calcagna. E dovevafronteggiare tutto da sola.

«Ewan…» mormorò sconsolata.

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Doveva farsi forza, si dissetergendosi le lacrime. Piangere nonaveva

senso, e finché rimanevano in cielonon poteva fare niente per Karl.

Doveva raggiungere la villa emettere il frammento al sicuro, otutto quello

che avevano passato sarebbe statoinutile. Solo vicino alla GemmaKarl

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avrebbe potuto essere curato, losapeva. Però l’idea di volare dinuovo da

sola sul Tirreno l’angosciava, eraun’impresa che andava oltre le sue

possibilità.

“Ma solo tu puoi farlo, e nessunaltro. La vita di Karl è nelle tue

mani. È stato ferito per proteggerti eadesso devi, devi salvarlo.”

Prese coraggio e si mise a volare,

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cercando di mantenersi vicino alla

costa. Nella sacca di Karl riuscì atrovare solo la bussola, e si affidò

completamente a quella. Si disposead affrontare un lungo viaggio

solitario. Il buio era fitto, il ventoteso e gelido, il mare, sotto di lei,

increspato da miriadi di ondeviolacee che da lassù sembravanopiccole,

ma dovevano essere alte svariati

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metri. Tutto era alieno, ancor piùdella

prima volta. Le ali le dolevano, laschiena sembrava sul punto dispezzarsi,

ma non c’era altro da fare se nonandare avanti, senza fermarsi.

La sua costanza e il suo coraggiofurono premiati. In neppure un’ora

riconobbe il tratto di costa dalquale erano partiti. Fu tentata di

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atterrare,

ma era troppo distante da CastelGandolfo, ed era sola, con ilframmento

ad attirare tutti gli Assoggettati deidintorni. Doveva proseguire.

Salì ancora lungo la costa. Karl,abbandonato sulla sua schiena, trale

ali, non dava segni di riprendersi.

Mezz’ora, e vide il litorale intorno

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a Roma. Riconobbe la grande

pineta e la serie di stabilimentibalneari. Non poteva andare oltre,era il

momento di scendere. Si fermò amezz’aria, attanagliata dalla paura.Non

appena toccata la riva, le sarebberostati tutti addosso.

Rimase sospesa a lungo, le aliappesantite dallo sforzo. Doveva

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trovare al più presto una soluzione.La disperazione gliene suggerì una.Si

abbassò più che poteva, lasciò chegli artigli tornassero mani e sfilò il

ciondolo dal collo di Karl. Con ungrande sforzo estrasse il frammento

dalla sacca e vi ruppe sopra ilciondolo. Le poche gocce di sanguedi Nida

contenute nell’amuleto colarono

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sulla sua superficie. Chloe lespalmò il

più uniformemente possibile. Lostrato grigiastro che ricoprì ilframmento

non era paragonabile a quello,spesso e scuro, che lo avvolgevaquando

l’avevano preso, e sperò con tuttase stessa che bastasse. Prese ungrosso

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respiro, chiuse gli occhi e planòdecisa verso la spiaggia. GliAssoggettati

l’attendevano, gli occhi rossipuntati su di lei, urlando famelici.Chloe

dovette fare ricorso a tutte le sueriserve di coraggio per scendere.Tornò

umana a un paio di metri da terra,atterrando malamente sulla sabbia.

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Come aveva fatto Karl inprecedenza, attaccò il suo ciondoloalla collanina

più lunga, che avvolse a un polso dientrambi.

Gli Assoggettati l’annusavanoconfusi. Le erano tutti attorno,

percepivano qualcosa, ma non lastavano attaccando: il ciondolo la

proteggeva, invece l’aura del fruttonon era schermata completamente

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ed

emetteva un’energia percepibiledalle orribili creature. Chloe si alzòpiano,

Karl ancora inerte appeso a unaspalla.

Un gruppo di Assoggettati la seguì.Le stavano intorno, la

guardavano incerti, macontinuavano a non attaccarla.

Lei si avviò lentamente lungo la

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strada, seguita da quell’inquietante

corteo. Era sfinita, Karl era un pesomorto e gli Assoggettati le siparavano

davanti da ogni dove. Sentiva lelacrime salirle agli occhi, macontinuò a

camminare trascinando i piedi.

Davanti a lei, la via si srotolavadritta e implacabile. Non si voltava

per non farsi prendere dallo

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sconforto, ma sapeva di averpercorso al

massimo un paio di chilometri, edera almeno a una trentina da casa.

Poi una sagoma si stagliò almargine della strada, qualcosa chele

parve di riconoscere. Chloeaccelerò il passo scansando un paiodi

Assoggettati che le coprivano la

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visuale. Quando arrivò vicino, nonriuscì

a credere ai propri occhi;appoggiato a un pino, mezzorovesciato, c’era un

sidecar. Ne aveva visti pochissimiin vita sua, e non avrebbe maineppure

osato sperare di riuscire a trovarneuno lì, nel bel mezzo del niente. Le

venne da ridere, una risata a metà

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tra il sollevato e l’isterico.Appoggiò

Karl di lato e, con le ultime riservedi energia, rimise in piedi la moto.

Ewan a Edimburgo aveva unmotorino, e ogni tanto l’aveva fattoguidare

anche a lei. Era decisamente piùpiccolo del bizzarro mezzo che sitrovava

davanti ora, ma si disse che i

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comandi non dovevano essere poitroppo

diversi, o almeno lo sperava.Riuscì a issare Karl sul carrozzino,quindi si

mise in sella. La chiave erainserita: pregò ci fosse benzina.Prese un bel

respiro e diede gas.

I primi due tentativi non andarono abuon fine, ma al terzo,

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finalmente, il motore rombò. Chloeesplose in un’espressione di giubiloe

partì con una sgommata. Eradecisamente più potente delmotorino di suo

fratello, e pesava parecchio di più,ma aveva un mezzo, e sarebbearrivata

a casa!

Guidò a rotta di collo, seguendo i

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cartelli che incontrava lungo il

percorso. Poteva farcela, se losentiva, l’incubo stava per finire.

A un tratto udì un mugolio. Karl sistava svegliando. Era pallido

come un cencio, ma aveva gli occhiaperti.

«Karl! Come stai?» disseemozionata.

Lui la guardò senza capire. «Che èsuccesso?»

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«Sei stato colpito a Napoli, ma ti hoportato via, e adesso stiamo

tornando alla villa!»

Karl tacque qualche istante, come acercare di assimilare tutte quelle

informazioni.

«E dov’è il frammento?»

Chloe indicò la sacca che lui avevatra i piedi. «Lì dentro, al sicuro.»

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E gli spiegò come aveva fatto acamuffare in parte i suoi poteri.

Karl sorrise debolmente. «Sei stataproprio brava.»

Chloe arrossì. «Ma tu? Come tisenti?»

Karl prese del tempo perrispondere. «Come se mi fossepassato

sopra un camion…»

Chloe lo guardò preoccupata, e

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proprio in quel momento il motore

prese a singhiozzare. « What thehell! » imprecò.

Fecero qualche balzo in avanti, poiil motore tacque. Le ruote

avanzarono qualche metro perinerzia, e infine si fermarono.

«La benzina» disse Karl.

«E adesso?»

Gli Assoggettati si erano già

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assiepati, in attesa. I piùintraprendenti

si avvicinavano.

Karl si guardò attorno. «Conoscoquesta strada» disse «mancano non

più di cinque chilometri.» Si giròverso Chloe: «In volo sono pochiminuti.

Siamo vicino a casa, ci vorràpochissimo. Scatteremo versol’alto, e poi

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giù in picchiata oltre la barriera.»

«Almeno lascia che ti porti» disseChloe rassegnata.

Karl scosse la testa. «Ce la possofare.»

Scesero dalla moto, si guardarononegli occhi. Karl a stento si

reggeva in piedi.

«Sei ancora troppo debole»protestò Chloe.

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Senza darle il tempo di replicare,Karl chiuse gli occhi e si concentrò.

Ma non accadde nulla. GliAssoggettati continuavano aguardarli. Karl

provò di nuovo, con più intensità.Niente.

Aprì gli occhi, e per la prima voltada quando erano partiti, Chloe lo

vide vacillare. Aveva paura.

«Non lo so… non riesco…» Provò

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ancora, ma sulla sua fronte il neo

rimaneva inerte. «Non sento piùAldibah» sussurrò infine.

Chloe non indugiò oltre. Gli strinseun braccio intorno ai fianchi, si

trasformò in Kuma e spiccò un

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balzo verso l’alto. Fu così rapidache gli

Assoggettati non ebbero il tempo direagire, e quando si accorsero di

quello che era successo, loro dueerano già troppo in alto.

«Sei solo stanco» disse Chloe in unsoffio.

Finalmente la villa si profilòall’orizzonte. Chloe si lanciò in

picchiata, le ali ripiegate contro il

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corpo, ma a un tratto sentì unaspecie di

tremito, una sensazione di terrore esvuotamento. Il corpo di Kuma

scomparve e al suo posto riapparvequello umano. Lei e Karl caddero

ruzzolando a terra. Chloe si tirò suimmediatamente e si portò unamano al

petto. Qualcosa di orribile erasuccesso, ne era sicura.

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D’improvviso si

sentiva sola, come se un pezzo di sél’avesse abbandonata, come seavesse

perso qualcosa di inestimabile.

“Ewan!” fu il suo primo pensiero.

Karl si sollevò a fatica, stremato,confuso.

«Cosa…?» provò a chiedere, ma ladomanda gli morì in gola. Chloe

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era davanti a lui, il viso sconvolto.Sulla fronte, tra le sopracciglia, dalsuo

neo colava un liquido violaceomisto a sangue.

16.Un ostacolo lungoil cammino

Fabio convinse Sofia a fermarsiancora un po’ nella vecchia casa disuo

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padre. In biblioteca c’erano alcunilibri sulla città, guide illustrate egrossi

volumi di fotografie: avrebberopotuto cercare un luogo chericordasse la

visione senza andare in giro perMatera alla cieca, correndo inutilirischi.

Sofia si chiuse nella stanza di suopadre al piano di sopra, portando

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con sé due grossi volumi dasfogliare. Voleva concentrarsi,questa era la

scusa ufficiale, ma la verità era chenon sopportava di vedere sua madreun

minuto di più, e aveva voglia distare sola con i propri pensieri.

Beatrice, invece, si chiuse incucina. La casa si riempìrapidamente di

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un intenso profumo di cibo. Eraun’abitudine che aveva da sempre:quando

era stanca, depressa, sfiduciata,cucinava. Quella sera aveva datofondo

alla dispensa, riscoprendo saporiche non frequentava più da tempo.

D’improvviso, gli odori e gli aromiche si spandevano dalla cucina la

riportarono indietro negli anni, a

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quelle lontane estati della suainfanzia,

quando niente era ancora deciso ela vita era una promessa. Andò in

soggiorno, ma ci trovò solo Fabio.

«La cena è pronta… dovete esseremolto affamati. Potresti chiamare

Sofia?»

«È sconvolta» rispose Fabio. «Nonpossiamo fermarci molto, ma le

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farà bene riposare un po’. Se possodarle un consiglio, la lasci stare peril

momento. Ha bisogno di riflettere.»

Beatrice annuì triste, mentre sislacciava il grembiule consunto e

tornava in cucina, seguita da Fabio.

Sorbirono una zuppa, mentre Fabiole spiegava la situazione nei

dettagli. Beatrice lo interruppediverse volte: dei Draconiani non

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sapeva

davvero nulla, e il ragazzo dovetteragguagliarla su molte cose. Lei lo

ascoltava interessata, ma Fabioleggeva nei suoi occhi un fondo dipaura.

«Capisco» disse infine Beatricerigirando il cucchiaio nella zuppa.

Non aveva mangiato quasi niente.

«Quando avremo trovato il frutto,se vuole potrà venire con noi,

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abbiamo un posto sicuro in cuirifugiarci.»

Beatrice rise sarcastica. «Noncredo proprio che Sofia ne sarebbe

felice.»

«Le fa un torto, se la pensa così.Sofia non abbandonerebbe mai

nessuno, neppure il peggiore deisuoi nemici.»

«Perché, c’è qualcuno che odia più

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di me?»

Fabio ripose il cucchiaio nel piattovuoto. «Sofia non la odia. Sofia è

delusa da lei e, mi creda, vorrebbecon tutto il cuore poterla amare.»

Raccolse i piatti e fece per riporlinell’acquaio, lasciando Beatrice

sola al tavolo. Preoccupata eindecisa com’era in quel momento,

assomigliava terribilmente a Sofia.

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«Ha perso molto quando ha decisodi abbandonare sua figlia» le

disse «ma pensare a tutto quello chevi siete lasciate indietro non hasenso,

ormai. Deve decidere se vuoleinstaurare un rapporto con leiadesso, qui e

ora, oppure, quando tutto saràfinito, tornare alla sua vita come seniente

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fosse stato.»

«Non so se sono ancora in tempoper rimediare» disse Beatrice.

«Io credo di sì» ribatté Fabio.

Nel silenzio ovattato della casa,Beatrice iniziò a piangere piano.

Sofia aveva riconosciuto subito lacamera da letto di suo padre: aveva

l’aspetto che hanno tutte lecamerette dei ragazzi, e per certiversi

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somigliava alla sua, anche se iposter ai muri erano di film vecchialmeno

di quindici anni e anche i CD eranodi gruppi che andavano di modaprima

che lei nascesse. L’ordine eraesemplare: evidentemente suanonna puliva

ogni giorno quella stanza, comefosse una specie di reliquia del

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passato da

conservare e proteggere dal tempo.C’erano foto di suo padre, dabambino

e da ragazzo, da solo e incompagnia di amici. Accanto alletto, che

sbucava dal poster dei Nirvana,c’era un’immagine che attirò la sua

attenzione. Suo padre, abbronzato esorridente, stringeva a sé una

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giovanissima Beatrice. Sofia notòche lui le assomigliava in modo adir

poco inquietante; la differenzaprincipale era nello sguardo, decisoe

sicuro. Erano così belli insieme, esorridevano spensierati… Per unistante

Sofia riuscì a non provare rancoreverso sua madre. In fin dei conti,era

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sempre e comunque colpa diNidhoggr. Se non fosse stato per lui,Andrea e

Beatrice sarebbero stati una coppiadi ragazzi qualsiasi. Si sarebbero

sposati, avrebbero avuto lei, echissà, magari anche altri bambini,e

insieme avrebbero condotto unavita semplice e serena.

Stremata dal pianto e dalla

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discussione con la madre, econsolata

dalle parole di Fabio, alla fine siaddormentò vestita, senza infilarsisotto le

coperte. Disfare quel letto lesarebbe sembrato un sacrilegio, ecosì si era

assopita, circondata dai ricordi disuo padre, quasi protetta dalla sua

presenza che aleggiava tra quelle

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mura.

A svegliarla fu l’aroma dellacolazione. Si stropicciò gli occhi esi

trascinò in cucina.

«Se vuoi ci sono biscotti… oppurefette biscottate e marmellata. Ho

preparato il latte, ma se preferisci iltè…»

Le parole di Beatrice finirono in unborbottio confuso.

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Il tavolo della cucina era copertoda una vecchia tovaglia, e sopra

c’era ogni ben di Dio.

Sofia si sedette lentamente, confusa.Fabio sbucò dal soggiorno, con i

capelli arruffati e l’aspetto di unoche non aveva dormito troppo.

Si infilò in bocca un paio di biscottie afferrò una tazza di coccio

fumante.

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«Dobbiamo andare a cercare ilfrutto» disse Sofia, sorseggiando il

suo latte. «Hai scoperto qualcosasui libri?»

«No. Nulla di nulla» rispose Fabio.«Sono pieni di foto, ma nessuna

mi ricorda il luogo della visione.»

«Se posso esservi utile in qualchemodo…» si inserì Beatrice

timidamente.

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Fabio le spiegò per filo e per segnola visione, cercando di

aggiungere più particolari possibili,comprese le sensazioni che aveva

provato.

La donna rimase pensierosa qualcheistante.

«Dentro ti sembrava semplicementeuna grotta?» chiese.

«Be’… sì… c’era un pavimento dilastroni, e una volta a botte… e un

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paio di nicchie, ora che ricordo. Eforse in un angolo una specie diaffresco

molto rovinato, con dei santi oqualcosa del genere. Ma tutto eraspoglio,

quasi abbandonato. C’erano anchedei sassi a terra…»

Beatrice rifletté ancora un po’, poidisse: «Potrebbe essere Santa

Maria de Idris. È una delle chiese

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rupestri più spoglie in assoluto,scavata

all’interno di un picco roccioso cheforse avrete visto arrivando qui. È

quella specie di grosso sasso consopra una croce di ferro.»

«Me lo ricordo!» esclamò Sofia,pentendosi quasi subito di quello

slancio. Le dava fastidio dareimportanza alle parole di suamadre, anche

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in modo indiretto. Comunque eravero, se lo ricordava bene: era unpicco

desolato e solitario, con quellacroce severa e imponente che sialzava in

cima. Le aveva fatto venire in menteun quadro evocativo che avevavisto

una volta. Lo aveva persino studiatoa scuola.

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«Fossi in voi, comincerei da lì.Adesso vi spiego come ci siarriva.»

Beatrice si alzò e andò a prenderecarta e penna. Sembrava quasieccitata.

Fu prodiga di dettagli, e si offrìanche di accompagnarli sul posto.

«No, sei stata chiarissima» disseSofia, prima che Fabio potesse

costringerla a una mezza giornata

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gomito a gomito con sua madre.

«Davvero, non ci possiamosbagliare.»

Uscirono poco dopo aver finito difare colazione, la mappa di

Beatrice in mano. Sofia dovevaammettere che era davvero brava a

disegnare e che conoscevastraordinariamente bene quellacittà: la piantina

sembrava uscita da uno stradario,

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dettagliata e chiara.

Matera era deserta esilenziosissima, proprio come lasera prima.

Ogni tanto vedevano Assoggettatistrisciare nei vicoli e tra i palazzi,ma

non crearono loro problemi.Nonostante l’aspetto lugubre, Sofiaera

incantata da quella città. C’era

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qualcosa di magico e arcaico, quelsilenzio

così denso, il modo in cui la rocciasi trasformava in pietra squadrata, ele

case, senza soluzione di continuità,che si scioglievano di nuovo nella

roccia, ma anche l’asprezza stessadel paesaggio… Tutto la intenerivae

l’affascinava.

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Il picco descritto da Beatrice sipresentò davanti a loro doponeanche

mezz’ora di camminata. Si stagliavacontro il cielo nero, solitario e

imponente come uno scoglio inmezzo al mare. La croce, eretta alcentro

della parte più bassa, aveva unaspetto imponente e severo. Dadove si

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trovavano, si intravedeva unaspecie di campanile a vela, foratoda due

strette finestre a tutto sesto.

Fabio guardò le indicazioni diBeatrice, poi additò il campanile.

«Dovrebbe essere quella, lachiesa.»

Dovettero fare un giro lungo perriuscire a raggiungerla. L’accesso

avveniva tramite una scalinata che

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conduceva alla piccola piazza sulla

quale sorgeva l’edificio. Lafacciata era semplicissima, in pietrabianca.

Era una costruzione austeraesattamente quanto la croce che lasovrastava,

e parlava di una religiositàsemplice, senza fronzoli. In qualchemodo,

sembrava testimoniare della dura

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vita che per secoli la gente diquella città

aveva condotto.

«Questo posto ti dice niente?»chiese Sofia.

Fabio percorse la facciata con losguardo. «Non ho visto l’esterno…

dobbiamo entrare.»

Poi abbassò gli occhi e diede unpiccolo calcio all’aria, quasiisterico.

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Sofia seguì il suo sguardo e si sentìgelare. Davanti a lui c’era unpiccolo

scorpione nero. Ne aveva già vistialla villa del professore – lì gliinsetti

abbondavano sempre, anche seThomas riusciva miracolosamente anon

far varcare loro la soglia di casa –ma le fece comunque impressione.

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Tanto

più che c’erano anche altrianimaletti di vario genere:formiche, cervi

volanti, centopiedi. Sofia fece unistintivo passo indietro. Gli insetti

procedevano verso la chiesa e siinfilavano nella porta socchiusa.

«Cosa c’è là dentro?» mormorò.

«Quello che cerchiamo, credo»rispose Fabio.

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Entrarono, e si ritrovarono in unpiccolo ambiente spoglio. Il

pavimento era di lastroni, la voltascavata nella roccia e sostenuta daun

paio di colonne rozzamentesbozzate. Sulla destra, alcuniaffreschi mal

conservati mostravano figure disanti dagli sguardi enigmatici. Infondo, si

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stagliava quello che probabilmenteera stato un altare, e che adesso era

ingombro di pietre. Il pavimentobrulicava di insetti chezampettavano

veloci in quella direzione, mentresulle pietre si arrotolavano serpentidi

varie dimensioni. Sofia ebbel’istinto di fuggire, ma si imposesulle gambe

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che volevano portarla lontano da lì.

«È questo il posto?» chiese convoce tremante.

«È identico alla visione» risposeFabio con sicurezza. «Quanto ci

scommetti che il frammento è traquelle pietre?»

Sofia si lasciò sfuggire un lamentostrozzato. «Non ci possiamo

infilare la mano… e se fosserovelenosi?» provò a dire.

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«In effetti mi pare di vedere almenodue vipere.» Sofia iniziò a

sudare. «Tu aspetta qui.»

Fabio scattò fuori e ritornò con unbastoncino di legno. Quindi

avanzò sicuro verso il fondo dellachiesa. Gli insetti erano tanti chenon

poté fare a meno di calpestarnequalcuno. Il suono crocchiante deicarapaci

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schiacciati dai suoi scarponi fecerabbrividire Sofia. Con delicatezza,

Fabio iniziò a prendere i serpenti ea scansarli. Quelli soffiavano non

appena venivano spostati.

«Vieni a darmi una mano.»

Sofia, a malincuore, si avvicinò.

«Lo vedi?»

Sofia si sporse. Tra tutte quelle

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pietre biancastre, se ne scorgevauna

nerissima. Sembrava coperta da unostrato di catrame, che però non era

uniforme, e in molti punti apparivascrostato, lasciando intravederequel

che c’era sotto: una specie digranito verde e liscio.

«Dici che sia quello?» chiese Sofia.

«Ne sono sicuro. È quello che ho

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visto. Mentre io tengo lontani i

serpenti, tu lo prendi, va bene?»

Sofia si sentiva paralizzare dallapaura, ma annuì. Fabio si aiutò

anche con gli scarponi e finalmenteriuscì a spostare tutti i serpenti, ma

non gli insetti. Sofia dovetteaffondare le mani in un oscenobrulichio.

Chiuse gli occhi, represse ildisgusto e afferrò il frammento con

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una mano.

«Ferma!» strillò Fabio, e Sofia lolasciò cadere. L’aveva sentito

anche lei. Appena l’aveva toccato,una specie di scossa le aveva

attraversato il braccio. Quando aprìgli occhi, la parte verde delframmento

si stava lentamente spegnendo.

«Si è illuminato appena l’hai presoin mano!» disse Fabio

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esterrefatto.

Sentirono grida lontane, urlainequivocabili.

«Tu sta’ qua» ordinò Fabio, mentreandava a sbirciare all’esterno.

«Un paio sono appostati qua fuori efiutano l’aria» disse. «Altri sistavano

avvicinando, ma ora sono fermi.Dannazione, il frammento si attivase lo

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tocchi, e quando succede, gliAssoggettati lo percepiscono.»

Le serpi, lentamente, stavanoriguadagnando il pezzo di frutto.

Fabio rimase pensieroso qualcheistante. «In te vive lo spirito di

Thuban, e i tuoi poteri diDraconiano sono più forti. Forse, selo tocco io…

dammi una mano, tieni lontano iserpenti.»

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Sofia si mise a pestare il terrenointorno al frammento. Alcuni

serpenti tirarono su la testa. Provò ainsistere, ma era terrorizzata.Intanto,

con estrema delicatezza, Fabioprovò a prendere il frammento tradue dita.

Bastò sfiorarlo, e si accese dinuovo. Stavolta un Assoggettatoentrò nella

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chiesa. Fabio e Sofia rimaserogelati al loro posto. Si trattava diuna donna,

le ali ripiegate intorno al corpo.Fiutò l’aria, avanzò piano fino algruppo di

pietre in cui si trovava ilframmento. Le smosse con gliartigli, fiutò

ancora, poi si allontanò lentamente.Sofia e Fabio ripresero fiato.

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«Che facciamo ora?» chiese lei.

«Non lo so, maledizione…Qualcosa ci inventeremo.» Fabiorimase

immobile dove si trovava, gli occhifissi al frammento. «Ma oradobbiamo

andarcene. Cercheremo unasoluzione fuori di qui.»

Quando uscirono, ai lati dellascalinata d’accesso due file di

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Assoggettati li scrutavanosospettosi, in attesa. I dueDraconiani sfilarono

indisturbati, ma sentivano chequegli sguardi rossi erano colmi di

un’oscura minaccia. Tornarono acasa, sconfitti e preoccupati.

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17.La chiesasommersa

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«È assolutamente fuoridiscussione!» protestò Lidja.

Erano ancora nella CappellaPalatina, seduti a terra, e Ewan leaveva

appena spiegato la sua idea su comerecuperare il frammento del frutto.

«È molto meno rischioso di quantosembri» disse.

«Fabio si è potuto iniettare ilsangue di Nida solo perché Karl era

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pronto a intervenire con l’antidoto,eppure hai visto quanto hasofferto.»

«Nel ciondolo c’è solo una gocciadi sangue, è meno di quello che si

è iniettato Fabio. E comunquequesto è l’unico modo perrintracciare il

frammento. Potrebbe essereovunque.»

Lidja continuò a scuotere la testa.

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«È troppo pericoloso.»

«Io non ho nessuna vocazione a farel’eroe, Lidja. A me piace

suonare la chitarra, stare con gliamici e godermi la vita. Ho sedicianni,

abbiamo sedici anni, ed è giustoche sia così. Ma abbiamo anchedelle

responsabilità, e ora ci siamodentro fino al collo. Se vogliamo

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che un

giorno tutto questo finisca,dobbiamo trovare il frammento aogni costo.»

«Non ti sto dicendo che vogliovenire meno ai miei doveri di

Draconiana, è il contrario: se tiinietti quel veleno, non porteremomai a

termine la missione.»

«Non abbiamo scelta.»

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Lidja tacque qualche istante, poipuntò su Ewan uno sguardo pieno di

determinazione. «Allora lasciaalmeno che sia io a farlo. Ho piùesperienza

di te, so gestire meglio i mieipoteri. Ho più possibilità disopravvivere.»

«No, non voglio» disse seccoEwan.

«Non sottovalutarmi» replicò Lidja.

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«Non lo sto facendo.»

«E allora perché non vuoi che ciprovi io?»

«Lo sai.»

Nel silenzio che seguì, Ewan laguardò con tanta intensità che Lidja

arrossì.

«Stiamo perdendo tempo prezioso»tagliò corto lui. «E poi non sarò

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il solo a rischiare, se è questo chetemi. Io troverò il frammento, masarai

tu ad andarlo a recuperare mentre iodistraggo gli Assoggettati.»

«Io… non voglio che ti succedaniente di male» disse Lidja

abbassando la testa.

Ewan le si avvicinò piano, le preseil mento tra le mani e le sollevò il

viso. «Andrà tutto bene» le

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sussurrò. E la baciò sulle labbra. Fuun bacio

lungo e dolcissimo, che lasciò Lidjasenza fiato. E lo sguardo con cui

Ewan accompagnòquell’affermazione era così fermo esicuro che lei capì

di non poter più obiettare nulla.Fece di sì con la testa, e fu deciso.

Ewan preparò il necessario perl’operazione. Aprì il coltellino

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svizzero che aveva portato con sé edepose il ciondolo sul pavimento.

«Adesso cercherò di trovare ilframmento. Appena lo vedo, tuscatti a

prenderlo.»

«Va bene» disse Lidja amalincuore.

«Non c’è bisogno che usi i tuoipoteri, per cui il ciondolo ti

proteggerà e non dovrebbero

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seguirti.»

«Ma tu come farai, se romperai iltuo ciondolo?»

«Mescolerò il contenuto al miosangue, dovrebbe proteggermiancora

di più. Ora basta con le domande,dobbiamo muoverci!»

Lidja sentì una stretta al cuore.

«Okay… vado?» disse Ewan. I suoiocchi non erano più limpidi

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come prima.

Lidja gli afferrò una mano e glielastrinse in segno di assenso.

Ewan afferrò il coltellino e tese unbraccio pallido e magro. La mano

gli tremava, ma cercò di tenerlasalda e riuscì a praticareun’incisione

abbastanza precisa sulla pelle versometà dell’avambraccio. Dopo un

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istante, dal taglio uscì una grossagoccia rossa.

«Fin qui tutto bene» sorrise. «Laconosci quella storiella?»

«Quale storiella?»

Ewan posò il coltellino e prese ilciondolo. «Racconta di un uomo

che cade da un palazzo di cinquantapiani.» Guardò il ciondolo in

controluce: era nerissimo, e la lucesi fermava sulle pareti sottili di

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vetro.

«A ogni piano dice: “Fin qui tuttobene, fin qui tutto bene.”» Strinse il

ciondolo tra l’indice e il pollice elo mise a pochi centimetri dallaferita. Il

sangue scorreva in un rivolo sottileche scendeva lungo il braccio fino a

cadere in una goccia sul pavimento.«Il problema non è la caduta, ma

l’atterraggio.» Ewan fece una

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pressione più forte e il ciondolo siinfranse,

ferendogli i polpastrelli. Lo spalmòsulla ferita con un leggeromassaggio,

poi abbassò entrambe le braccia, igomiti appoggiati alle ginocchia

intrecciate. «E direi che ormaisiamo decisamente vicini a terra.»

Proprio come era accaduto conFabio, per alcuni, lunghissimi

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istanti

sembrò non accadere nulla. Lidja sisorprese a sperare che non

funzionasse, che al sangue di Nidafosse successo qualcosa mentre era

chiuso nel ciondolo, o che fossetroppo poco per fare effetto. In quel

momento le sembrava che nienteavesse più importanza di Ewan.

Poi, all’improvviso, lui si piegò discatto in avanti, trattenendo un

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gemito. «È… tutto okay» mugugnò,ma il suo volto era contratto dal

dolore.

Lidja lo prese per le spalle,cercando di fargli forza. «Rimanicon me!

Resisti!»

Ewan si contraeva sotto gli spasmidi dolore e teneva gli occhi

ostinatamente chiusi.

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Poi, a un tratto, parlò: «Viola…rosso… lampade che pendono dal

soffitto… una chiesa… Rosalia…»Le parole gli morirono in bocca per

l’ennesima fitta.

“La cappella di Santa Rosalia!” sidisse Lidja. Era nella cattedrale

della città, c’era stata con sua nonnain quel lontano viaggio. Ricordavail

suo velluto rosso, la luce viola

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sulla cupola, e quei turiboli chependevano

dal soffitto come grani di unacollana.

Corse fuori e si lanciò giù per lescale, attraversando di volata il

piazzale.

Dal muro di cinta del Palazzo deiNormanni si gettò direttamente sul

gommone e partì di volata,cercando di ricordare cosa le aveva

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detto Ewan

sul controllo di una barca.

Fu costretta a lasciare il gommonenella grande piazza davanti alla

chiesa che avevano incontratodurante il tragitto dal porto.L’ingresso era

completamente sommerso, e nonpoteva attraversarlo se non a nuoto.Non

appena si tuffò in acqua, un

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Assoggettato le sfiorò una gambacon il suo

corpo freddo, sgusciandonell’acqua lesto come un’anguilla.Lidja sentì un

brivido scorrerle lungo la schiena.

Dentro, la chiesa eracompletamente allagata e l’acquaarrivava fin

quasi ai capitelli delle colonne. Pernuotare verso la cappella, dovette

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immergere di nuovo la testa. Lachiesa, sommersa com’era, aveval’aspetto

di un relitto affondato. Ogni cosastingeva in un verde spento euniforme;

le sedie erano ammassate qua e là,alcuni arredi sacri galleggiavano in

superficie e i paramenti stavanosospesi a mezza altezza, comelugubri

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aquiloni.

Lidja riemerse proprio sotto lacupola, più o meno all’altezza dei

turiboli sospesi, che per metàgalleggiavano sull’acqua, le cateneche li

sostenevano intrecciate tra loro. Ilpanno di velluto dietro l’altare siera

staccato e fluttuava sulla superficie,rosso cupo, come una grande

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macchia

di sangue rappreso. Non c’eramolta luce, e Lidja non avevaneppure

chiesto a Ewan se avesse vistocome era fatto il frammento. Siguardò

intorno, frugando tra gli oggetti chegalleggiavano sotto il panno di

velluto, ma nulla le ricordava laforma degli altri quattro frutti che

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avevano

trovato nel corso dei loro viaggi.

Forse il frutto di Thuban era andatoa fondo, e doveva spingersi

sott’acqua per cercarlo. Prese unbel respiro e si rituffò. Il silenzioattonito

della cattedrale sommersa l’accolsedi nuovo. Scese verso il basso,l’acqua

che le premeva dolorosamente sui

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timpani. Si mise a frugare sul

pavimento, ma la ricerca eracomplicata dal fatto che parte degliarredi

erano stati trascinati dalla correnteed erano ammassati sul fondale,alla

rinfusa. Sentiva i polmoni bruciarlee riemerse per prendere fiato, e poi

ancora giù, per tre volte. La testacominciava a girarle, quando

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finalmente

vide una forma tondeggianteadagiata in un angolo. La raggiunsee scorse

qualcosa di nero, come un pezzo dicatrame. Se lo girò tra le mani,

ricordando la metà del frutto diKuma che avevano recuperato dalcorpo di

Ewan qualche mese prima, e sidisse che doveva essere quello: la

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spessa

crosta nera che lo ricopriva potevaessere il sangue di Nidhoggr.L’aveva

trovato, aveva trovato il frammento!

Salì in superficie rapidissima,nuotò verso l’esterno e riguadagnò

l’imbarcazione. Fece ripartire ilmotore, la prua del gommone che

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beccheggiava con violenzasull’acqua, e andò letteralmente asbattere

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contro il muro del Palazzo deiNormanni.

Corse più rapida che poteva versoil colonnato che immetteva nella

Cappella Palatina, ma vide ungruppo di Assoggettati sgusciarefuori dalla

porta. Quando entrò, si sentì gelare.Ewan era steso a terra,pallidissimo.

Nel suo abbandono c’era un

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languore mortale, e dal neo sullafronte colava

un liquido viola misto a sangue.

«Ewan!» urlò sgomenta. Corse dalui, provò a sollevarlo. Non dava

segni di vita. Lo chiamò ancora, eancora. D’istinto gli mise due ditasulla

carotide, e sentì il pulsare delsangue. Era vivo, almeno era vivo!

Bastò questa consapevolezza a

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ridarle quel minimo di lucidità

necessario ad agire. Si mise unbraccio di lui intorno al collo eguadagnò

l’uscita.

“Quegli Assoggettati devono averpercepito la sua aura. Il sangue di

Nida mescolato al suo non l’haprotetto” si disse. “È come avevadetto

Karl: il sangue di viverna si

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degrada con il tempo, e i nostripoteri tendono

ad assorbire il suo. Bene: sonocinquecento chilometri al buio e alfreddo,

e dovrò farli tutti da sola con Ewanin spalla” pensò mentre scorrevauna

delle mappe che Karl aveva datoloro ed estraeva la bussola dallasacca.

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Ora l’animava una disperataostinazione: arrivare eraindispensabile,

il sacrificio di Ewan non potevaessere vano.

Raggiunse il porto, protetta dalciondolo. Poi un istante di

concentrazione, e si trasformò inRastaban. Davanti a lei, l’oscuritàdel

cielo e del mare l’attendeva

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minacciosa. Strinse i denti e spiccòil volo per

quel lungo viaggio solitario.

18.Sacrificio

Sofia e Fabio si sedettero su unmuretto lungo la strada, pensando auna

soluzione. Gli Assoggettati non lidegnavano di uno sguardo:l’interesse

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nei loro confronti era svanito nonappena avevano lasciato la chiesa eil

frammento.

«Forse, se cospargessimo il fruttocon il sangue di Nida potremmo

prenderlo senza farci notare»propose Sofia.

«C’è già quello di Nidhoggr, e nonè sufficiente.»

«Intendo sulle parti scoperte, sono

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quelle ad attirare gli

Assoggettati.»

«Il sangue di Nida è troppo poco,non basterebbe neppure se

mettessimo insieme entrambi iciondoli. A giudicare dalla forma, e

ricordando le dimensioni cheavevano i precedenti frutti, sembrail

frammento più grosso. Il fruttodev’essersi spezzato in parti

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diseguali

quando ha infranto il sigillo, e ilpezzo che abbiamo trovato noi è piùdella

metà.»

Sofia ripensò alla superficie delfrutto, e non poté che concordare.

«Dato che è il contatto con la nostrapelle ad attivare il frammento»

osservò «potremmo provare atoccarlo con una protezione… dei

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guanti,

per esempio.»

«Aspetta, proviamo con questo»disse Fabio togliendosi il giubbino.

«Se lo prendiamo attraverso lastoffa…»

Rientrarono nella chiesa eprovarono con quel sistema, mabastava

sfiorare il pezzo di frutto perché gliAssoggettati si assiepassero di

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nuovo

all’ingresso.

A sera, rincasarono senza averrisolto nulla.

«Forse uno di noi potrebbeprendere il frutto mentre l’altrodistrae i

nemici. Poi dovremmosemplicemente volare via.Possiamo farcela.»

«La chiesa è molto piccola, e gli

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Assoggettati verrebbero a frotte. È

troppo rischioso. Sembrano attiraticome calamite da questoframmento»

disse Fabio. «E poi c’è tua madre.Non possiamo lasciarla qui.»

«Qui è più al sicuro di noi duemessi insieme.»

«È spaventata. E sola.»

Sofia tacque. Sapeva che Fabioaveva ragione, ma parlare di sua

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madre le metteva addosso ognivolta una sensazione spiacevole.Questo

era Beatrice per lei: un’ombrainestinta, una questione irrisolta chela

tormentava come un pungolocontinuo.

Appena varcarono la soglia di casa,li investì un buon profumo. La

tavola era imbandita, e Beatrice era

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ai fornelli, con un atteggiamento trail

lieto e il timido.

«Ero sicura che foste stanchi eaffamati» disse.

Sofia rimase qualche secondoimmobile. Quella era una scena chesi

era immaginata infinite volte: suamadre che cucinava per lei. Quandoera

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ancora in orfanotrofio, siabbandonava spesso a quellafantasticheria,

specie quando in tavola c’eraqualcosa che non le piaceva, esuccedeva

quasi sempre. Nella sua fantasia, lascena era accompagnata dal sorriso

dolce di sua madre che, prima diiniziare a mangiare, le schioccavaun

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bacio sulla fronte. Tutto eracirconfuso da un’aria di casa, da uncalore che

le scaldava il cuore. Ora, invece, lefaceva solo rabbia.

Suo malgrado si sedette e prese unapiccola porzione di melanzane e

carne.

Mentre mangiavano, Fabio spiegòquel che era successo. Beatrice

sembrava sinceramente interessata.

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«Quindi avevo ragione, si trattavadavvero di Santa Maria de Idris.»

«Già» disse laconico Fabio.

«E se provaste a farvelo portare daun animale? Che so, un cane?»

«In ogni caso, dopo lo dovremmocomunque prendere, quindi lo

attiveremmo. Ma a te cheinteressa?» disse acida Sofia.

Sua madre arrossì all’istante,

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mentre Fabio le scoccò un’occhiata

significativa. «Niente… è che…volevo solo essere utile.»

«Non hai fatto niente per quattordicianni, ed è andata benissimo

così. Ti consiglierei di continuare.»

Sofia prese una fetta di focaccia escomparve nell’altra stanza.

Mangiò in silenzio e velocemente,con rabbia. Non avrebbe voluto

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essere così severa. Perché piùpensava alle parole di Fabio, più sirendeva

conto che aveva ragione. Ma erapiù forte di lei. Il rancore velavatutto,

impedendole di vedere in Beatricenient’altro che la donna che l’aveva

abbandonata e ignorata per anni. Sisentiva meschina, ma non riusciva a

trattenersi.

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In cucina, il resto della cena siconsumò in silenzio. Beatrice

sembrava completamenteannichilita dalle osservazioni dellafiglia.

Fu Fabio a parlare per primo. «Hapensato al da farsi?»

Beatrice si voltò verso l’acquaio.«Io… non voglio dare fastidio in

nessun modo.»

«Non si tratta di dare fastidio, ma

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di tornare al posto che le spetta. So

che l’ha negato per tanti anni, ma leifa parte di questa storia, come noi.

Non è una persona normale, e laprova è che non è stata assoggettatacome

il resto dell’umanità…»

Beatrice si girò, interrompendolo:«Cosa dovrei fare? Mia figlia non

vuole più saperne di me.»

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«Venire al sicuro con noi, nel nostroquartier generale. Solo finché

non rimettiamo a posto le cose.»Fabio si alzò. «In ogni caso, domani

dobbiamo agire. Abbiamo perso fintroppo tempo. Per cui ci pensistanotte,

e poi ci faccia sapere. Io leconsiglio di venire, per la suasicurezza. E

comunque, sappia che anche sua

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figlia la vorrebbe con noi.»

Poi uscì dalla stanza, e Beatrice fudi nuovo sola con i propri

pensieri.

Sofia e Fabio erano già andati adormire, Sofia nella stanza di suo

padre, Fabio sul divano delsoggiorno, come la sera prima.Beatrice,

invece, non aveva sonno. Nonriusciva a togliersi dalla mente le

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parole

della figlia. A mezzanotte si coricò,ma sebbene si sentisse stanca, lamente

non voleva saperne di riposarsi.Pensava a Sofia da bambina,pensava ad

Andrea, al giorno in cui li avevalasciati entrambi, al terrore cheaveva

dominato le sue azioni. Rifletteva

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sulla sua vita fino a quel momento,a

quanto la paura l’avesse sempregovernata, a come l’avesse spintaancora

una volta lontana da ciò che amava.I suoi cari si erano trasformati in

mostri, e lei era lì, a migliaia dichilometri di distanza, di nuovo a

nascondersi come una vigliacca.Quante cose aveva perso, a causa

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della

paura? Quante altre ne avrebbeperse se avesse continuato afuggire?

Si tirò su di scatto, si vestì quasisenza pensarci. La casa eraimmersa

nel silenzio. Non prese altro cheuna torcia, infilò una giacca, poi sifermò

sull’uscio di casa, pensierosa.

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Entrò piano nella stanza che erastata di Andrea. Sofia dormiva

vestita, sopra le coperte.Addormentata, sembrava piùpiccola di quanto

fosse in realtà. Beatrice la trovòbellissima. Pensò a quanto si fossepersa

di lei in quei quattordici anni.

Aprì piano l’armadio, estrasse unplaid e glielo mise addosso.

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Indugiò un istante, poi, impacciata,le sfiorò la fronte con un bacio

delicatissimo. Sofia neppure simosse.

Beatrice chiuse la porta e uscì dicasa.

Da quando era tornata a Matera,non aveva fatto neppure una

passeggiata. Terrorizzata dagliAssoggettati, si era rintanata incasa.

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Erano anni che mancava, eppureritrovò tutto esattamente com’era

tanto tempo prima, quando viveva lìcon Andrea. Camminare per quelle

strade le trasmetteva una sensazionestrana, quasi di irrealtà. Non

sembrava cambiato niente, eppureera cambiato tutto.

Non si era mai davvero soffermataa riflettere sulla morte di Andrea.

Se ci pensava adesso, a mente

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fredda, l’aveva sempre negata.Appena era

successo, si era sentita annichilita,anche se in quel momento si eranogià

lasciati. Poi, semplicemente si eraimposta di non pensarci. Presto siera

fatta un’altra vita e aveva costruitoun’altra famiglia lontano da lì.Matera,

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Andrea e Sofia erano diventatiricordi sbiaditi. Ora però,circondata dalle

memorie del passato, non potevaimpedirsi di sentire l’assenza di chitanto

aveva amato, perché aveva amatoAndrea, moltissimo, e altrettanto neera

stata amata. Una sensazione dilacerante rimpianto l’avvolse.

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Strinse i pugni, si disse che non eratardi per rimediare.

Lungo la strada incontrò pochiAssoggettati, e tutti eranoindifferenti

alla sua presenza. Si muovevanolenti per la città, annusando di tantoin

tanto l’aria. Beatrice eraterrorizzata, ma cercò di farsi forza.Ogni volta

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che ne vedeva uno, pensava a suomarito e a sua figlia, e provava uno

straziante desiderio di rivederli.

“Stai facendo questo anche perloro, per salvarli. Quando tutto sarà

finito, torneranno come prima”pensò.

Ben presto arrivò alla piccolaspianata davanti a Santa Maria deIdris.

Rimase per un istante immobile

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davanti alla facciata severa. Erauna delle

chiese preferite di Andrea, anche selei non ne aveva mai capito ilperché.

Così piccola e spoglia, le mettevatristezza. Lui invece ne eraentusiasta, e

nel breve periodo in cui avevanopianificato il matrimonio, più di unavolta

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aveva accennato al fatto di volersisposare lì.

Beatrice prese un profondo respiro,quindi entrò. L’interno lo

ricordava più grande, e quellospazio angusto le trasmise unasensazione di

soffocamento. Il desiderio discappare si fece impellente quando,

abbassando lo sguardo, si accorseche il pavimento brulicava di

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insetti.

“Non ce la farò mai, è più di quantoio possa sopportare.”

Si impose di ricordare a se stessa ilmotivo di quella missione.

“Forse, se sono io a prendere ilfrutto, non si attiverà, e potròportarlo

fino alla villa viaggiando lontanodai ragazzi e mettendolo in salvo.”

Le sfuggì un singhiozzo, ma lo

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soffocò. Chiuse gli occhi, e quando

guardò di nuovo l’interno dellachiesa, una insolita determinazione

accendeva il suo sguardo.

Non c’era bisogno di cercare: tuttigli insetti avanzavano verso un

unico punto. Stando a quando Fabiole aveva detto riguardo alframmento

e all’aura maligna che locircondava, quello doveva essere il

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nascondiglio.

Con tanta buona volontà e coraggio,Beatrice riusciva a immaginarsi

mentre infilava le mani tra gliinsetti per prendere il frammento.Quello

che però era certa di non poter fareera toccare i serpenti che si

contorcevano sulle pietre vicinoall’altare. Per fortuna, a terra c’eraun

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ramoscello di legno che sembravafatto apposta per scostarli via.

Lo prese, la mano che le tremava, epiano, tra piccoli strilli di

disgusto, riuscì ad allontanarli tutti,vincendo la paura e il ribrezzo chele

provocavano i loro soffi inferociti.

Finalmente, quando il campo fuabbastanza sgombro, infilò la mano

tra i sassi e li smosse a uno a uno,

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cercando allo stesso tempo ditenere

lontani gli insetti con i piedi. Quasisubito le balzò agli occhi una forma

nera, del tutto diversa dai sassicalcarei ammassati lì in fondo.

Rimase interdetta: in effetti, nonaveva idea di come fosse fatto il

frammento. Di tutte le cose cheFabio le aveva spiegato in quei duegiorni,

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questa le mancava completamente.Il nero di quell’oggetto peròl’attirava:

era troppo diverso da tutto il resto,e poi c’erano quegli insetti che

sembravano impazziti…

Prese il sasso tra le mani. A primavista appariva come un pezzo di

catrame, ma la crosta nera che loavvolgeva sembrava quasirocciosa,

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come se una colata lavica l’avessericoperto e poi si fossecristallizzata. A

ben guardare, però, non tutta lasuperficie era coperta. C’erano deilarghi

tratti in cui il colore originario eravisibile: la superficie libera eraliscia,

fatta eccezione per un lato, chesembrava fratturato. Il colore eraquello di

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un bel granito verde. Beatrice cipassò un dito sopra. Il polpastrello

scorreva quasi senza attrito.

Rimase qualche istante ferma conquel sasso in mano. L’attirava in

modo irresistibile. La superficiecosì liscia, così piacevole dasfiorare, quel

colore che non aveva eguali, e lasensazione di reggere tra le mani

qualcosa di leggendario, qualcosa

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che – lo sentiva – portava in sé unpotere

straordinario, la catturavanocompletamente. Aveva passato unavita intera

a negare che cose del generepotessero esistere, aveva cercato ditenersene

lontana il più possibile, e adessoche finalmente toccava con manoquanto

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aveva così tanto temuto, non neaveva più paura.

Cominciò a grattar via dallasuperficie la crosta nera. Era piùforte di

lei. Voleva vederlo, quell’oggettosovrannaturale dal qualedipendevano

così tante vite. Voleva vedere intutto il suo splendore quello per cui

Andrea e Sofia erano pronti a dare

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la vita, quello che aveva segnato in

modo così drammatico anche la suaesistenza. E poi, si disse per

giustificarsi, voleva essere sicuradi aver preso la cosa giusta.

A mano a mano, le croste nerecaddero a terra, e la superficie del

frammento le si mostrò in tutta lasua perfezione. Era davvero unoggetto

proveniente da un altro mondo.

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Quando l’ultima crosta cadde, e il

frammento fu finalmente libero,Beatrice lo vide pulsare, accendersidi una

luce verde purissima. Un istantesolo, che la lasciò attonita. Poi sispense, e

tornò mera pietra. Da lontano, ununico grido animò la città diMatera.

Sofia si sollevò di scatto. Era

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successo qualcosa, lo sentiva. Tiròvia

la coperta, domandandosi per unistante da dove fosse uscita fuori.

Andò in soggiorno, e trovò Fabiogià in piedi.

«Hai sentito anche tu?»

Lui si limitò ad annuire. Andò allaporta d’ingresso, la socchiuse e

fece appena in tempo a vedere unpaio di figure nere correre urlando.

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Assoggettati.

«Cosa succede?» chiese Sofia.

Fabio si stava vestendorapidamente. «Gli Assoggettatisono eccitati,

e non ci sono le scarpe di tuamadre.»

Sofia si mise a chiamare Beatrice agran voce, cercò in tutta la casa,

ma non c’era. Fu come ricevere uno

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schiaffo in faccia. Le tornarono in

mente le parole con cui l’avevaaggredita, la sera prima: “Non haifatto

niente per quattordici anni, ed èandata benissimo così.”

Si vestì anche lei e uscì di casa arotta di collo. «È andata a prendere

il frammento e l’ha attivato!» urlòsgomenta. «L’ho sentito! E l’hanno

sentito anche gli Assoggettati!»

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«Devi stare calma, okay? È l’unicomodo per salvarla» le disse Fabio

stringendole un braccio.

Quelle parole la gettarono nelpanico. Si divincolò dalla stretta esi

mise a correre come una furia. Levie erano tutto un brulicare di

Assoggettati. Alle sue spalle, Fabiola chiamava disperato, ma lei non

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poteva fermarsi. Le sembrava diessere lentissima, le sembrava chela

chiesa, invece di avvicinarsi, siallontanasse, e allora non ci pensòdue

volte. L’Occhio della Mente lesfavillò sulla fronte, le ali leesplosero sulla

schiena, e spiccò il volo.

«Sofia, no!» imprecò Fabio, ma non

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c’era niente da fare. Era partita,

e già un gruppo di Assoggettati lainseguiva. Non poté fare altro che

trasformarsi a sua volta e lanciarsiin volo dietro di lei.

Sofia atterrò sul piazzale dellachiesa, e con la forza della

disperazione lanciò liane ovunque,ricoprendo il pavimento di unintrico

verde che bloccò al suolo tutti gli

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Assoggettati. Tornò umana, siprecipitò

dentro.

«Mamma!» urlò.

La chiesa era gremita di nemici.Erano tutti raccolti in fondo, làdove

c’era il frammento del frutto. Sofiaevocò gli artigli e spazzò via gli

Assoggettati con una furiasconosciuta. Non aveva mai

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combattuto così,

non aveva mai guardato ai nemicicon più odio. Colpiva alla cieca, e

sentiva le lame con cui gliAssoggettati si difendevano el’attaccavano. Ma

il dolore delle ferite era nullarispetto al pensiero di cosa fosseaccaduto a

sua madre.

Infine la intravide, dopo un tempo

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che le parve infinito. Era a terra,

rannicchiata, il frammentotenacemente stretto al petto, copertadi sangue.

«Mamma!» urlò di nuovo,disperata. Sembrava svenuta. Avevaferite

ovunque, la più brutta era un taglioslabbrato al fianco. Era pallida, e il

rosso dei capelli risaltava lugubresul colore cereo della pelle. Sofia

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la

scosse chiamandola tra le lacrime.

Fabio nel frattempo teneva a badagli Assoggettati, menando colpi

feroci e lanciando fiamme alte finoal soffitto.

Alla fine, Beatrice aprì gli occhi.Sofia provò un senso di sollievo.

Sorrise tra le lacrime, la strinse alpetto.

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«Mamma…» mormorò. In quelmomento pensò che avrebbe dato

qualsiasi cosa pur di riuscire adandarsene di lì sani e salvi, pensòche

avrebbe barattato il frutto e tutti isuoi poteri perché lei si salvasse.

Beatrice sorrise debolmente, leaccarezzò una guancia, la carezzapiù

dolce e struggente che Sofia avesse

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mai ricevuto. Poi, con l’altra mano,le

porse il frammento.

«Non dovevi, mamma, nondovevi…» mormorò Sofia.

Sentì Fabio accanto a sé cheansimava. «Dobbiamo andare» ledisse,

ma lei lo ignorò.

«Ho combinato un pasticcio…»sussurrò Beatrice, la voce rotta.

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«Sei stata bravissima, invece»replicò Sofia.

Poi Beatrice prese a tossire. Lelabbra le si macchiarono di sangue.

Fabio si fece avanti, la guardò piùattentamente. «Ce ne dobbiamo

andare, Sofia.»

Lei annuì, fece per prendere inbraccio sua madre, ma la donna si

scostò. Aveva il volto sofferente. La

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guardò con intensità, scosse la testa.

«No, non mi puoi chiederequesto…»

Beatrice scosse ancora il capo,provò a divincolarsi, ma era troppo

debole. Il maglione che avevaindosso era intriso di sangue, Sofiasentiva il

suo calore penetrare anche lapropria maglia.

«Ti prego, non farmi questo…»

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Beatrice la guardò a lungo. «Va’…»mormorò infine. «Perdonami, se

puoi.»

Poi chiuse gli occhi.

Sofia tentò di tirarla su, ma Fabio leafferrò un braccio. «Non c’è più

niente da fare.»

«Dobbiamo portarla vicino allaGemma, la Gemma la guarirà.

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Dammi una mano, avanti!»

«Sofia…»

«O forse con i miei poteri, con lalinfa!»

«Sofia, è finita!» urlò Fabio. «Vuoiche il suo sacrificio sia stato

vano? Qui è pieno di nemici, ce nedobbiamo andare. La barriera di

fiamme che ho eretto davantiall’ingresso sta per spegnersi, trapoco

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entreranno!»

«Non può andare così, non può!»urlò Sofia.

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Poi qualcosa la colpì a un braccio.Gli Assoggettati avevano ripreso a

invadere la chiesa, eranocircondati. Guardò il volto serio diFabio, poi

quello terreo di sua madre. E fucostretta a capire. Scoppiò insinghiozzi

irrefrenabili. Sentì Fabio che lastringeva a sé, mentre il corpo disua

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madre le scivolava via dalle mani.Vide Fabio trasfigurarsi, le suefiamme

bruciare tutto intorno, le sue alispiccare infine il volo e portarlalontano,

verso casa. L’ultima immagine fu ilcorpo di sua madre che scompariva

sotto gli artigli degli Assoggettati.

19.Ritorno

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Chloe e Karl rimasero a guardarsiper qualche istante, confusi. Chloesi

portò una mano sulla fronte, atoccarsi l’Occhio della Mente, evedendola

sporca di sangue lanciò un grido.Karl si trascinò fino a lei con lepoche

forze che gli restavano.

«Dobbiamo entrare in fretta, o ci

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saranno addosso» disse. In soli tre

giorni la massa di Assoggettatiassiepata fuori dal cancello dellavilla si era

almeno quintuplicata. Continuavanoa gettarsi contro la barriera, per

esserne respinti tra miriadi discintille verdi, ma non sifermavano. Alcuni

di loro erano chini a terra, intenti aeroderla con le mandibole, e in quei

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punti la barriera sembrava brillaredi una luce più intensa.

Karl capì che non era affatto unbuon segno: afferrò Chloe per un

polso e, zoppicando, riuscirono aentrare nella villa. La porta si aprì,poi

rapidamente si richiuse dietro diloro.

«Bentornati a casa» disse Nida conun sorriso beffardo.

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Chloe e Karl sceseroimmediatamente nel dungeon. Eranocosì

stanchi e provati che Gilliandovette aiutarli ad arrivare fino allasala della

Gemma. Tutto sembrava identico acome l’avevano lasciato. Thomasera

ancora incosciente, e il professoreera legato al sedile, poco discostodalla

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Gemma. Era dimagrito, il voltoscavato e l’incarnato terreo.Nonostante

questo, li salutò con un sorriso.

«Karl, Chloe! Non avete idea di cheimmenso piacere sia rivedervi!»

I due ragazzi caddero a terra, ilfiato mozzo. Chloe alzò su di luiuno

sguardo disperato. «Professore, èsuccessa una cosa terribile! Non lo

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sento

più» disse. «Non sento più Kuma.»

Lidja giunse in vista del Parco deiColli Albani quella notte stessa.

Era stremata: le si chiudevano gliocchi e la schiena le infliggeva fitte

atroci. Eppure non potevasemplicemente scendere, perché lazona intorno

alla villa pullulava di Assoggettati,e le sarebbero stati addosso

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all’istante.

Cercò di individuare il punto in cuierano sbucati dal passaggio

sotterraneo che dal dungeonconduceva all’esterno. Si mise avolare in

circolo, spendendo le ultime forzeche le erano rimaste. Il bosco era

immerso nell’oscurità, il silenzioassoluto. Aguzzò lo sguardo più che

poteva, ma con tutto quel buio e la

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stanchezza che sentiva addosso,capire

dove fossero usciti tre giorni primaera pressoché impossibile. Cercòallora

la strada che li aveva condotti finoal mare, l’unico ricordo nitido chele

rimaneva del viaggio di andata.

Ewan, abbandonato sulle suespalle, era inerte. Non si era

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ripreso

neppure per un istante nel loroinfinito viaggio di ritorno. Eraancora

pallido come quando l’avevatrovato sul pavimento dellaCappella

Palatina, e respirava a fatica. Ilsangue e il liquido violaceoavevano

smesso di colare dal suo Occhio

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della Mente, e si erano seccati sulla

fronte.

Lidja riconobbe la strada e planò inuna zona libera da Assoggettati,

recuperando le proprie sembianzeumane non appena ebbe messopiede a

terra. Spremette le meningi, cercòdi ricordare ogni momento di quella

lunga marcia nel bosco e avanzòlungo la strada, finché non le parve

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di

identificare il punto in cuil’avevano imboccata. Tirò fuori labussola e

cercò di seguire al contrario ladirezione che avevano presoall’andata.

Ewan ormai era un pesoinsostenibile, ma strinse i denti eriprese il

cammino. La teneva in piedi solo la

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forza della disperazione, e la

consapevolezza che l’unico modoper salvare Ewan era arrivare ilprima

possibile al dungeon.

Non seppe dire dopo quante ore leapparve, seminascosto dalla

vegetazione, l’ingresso delpassaggio segreto. La semplicevista di quel

rettangolo di oscurità nel buio del

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bosco fu sufficiente a darle l’ultima

spinta. Quasi di corsa fece gliultimi passi e si inoltrò nelpassaggio, ma

non riuscì a fare molta strada.Cadde bocconi poco dopo chel’uscita del

passaggio era scomparsa, alle suespalle. Provò a sollevarsi, maseppe che

non ce l’avrebbe fatta. Era esausta.

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Tirò a sé Ewan, si mise il suo capoin

grembo e gli accarezzò piano lafronte. Sotto le dita, sentiva pulsareuna

vita debole, forse compromessa.Desiderò ardentemente di essere ingrado

di alzarsi e portarlo via, verso lasalvezza, ma le gambe non le

rispondevano.

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Così, vinta dalla stanchezza,appoggiò la testa al muro e si

addormentò.

Chloe e Karl si erano svegliati dapoco. Gillian aveva preparato loro

un’abbondante colazione. Laconsumarono nel dungeon, vicinoalla

Gemma, perché nessuno dei due siera ancora ripreso.

La sera prima non avevano avuto

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modo di parlare col professore in

modo approfondito di quanto erasuccesso. Stavano mangiando insilenzio,

in attesa di trovare la forza diraccontare quel viaggio infernale,quando

sentirono un rumore provenire dalfondo della sala. Karl scattò inpiedi,

pronto a evocare i suoi poteri, ma

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non accadde nulla. Il neo sullafronte

rimase inerte, e il suo aspetto restòquello di un pingue ragazzinobiondo.

Non si era mai sentito cosìimpotente in tutta la sua vita. Iltempo di

riflettere su quanto stavaaccadendo, e cercare un’arma concui difendersi,

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che la natura del pericolo simanifestò.

Sul fondo della stanza, sfinita ezoppicante, un corpo inerte appeso

alle spalle, c’era Lidja.

«Ewan!» urlò Chloe fuori di sé.

Lidja cadde a terra, e Karl siaffrettò a soccorrerla, mentreGillian si

chinava sul figlio.

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«Stai bene?» le disse scuotendolaper le spalle. Lidja annuì

lentamente, infilò una mano nellasacca che aveva a tracolla e ne tiròfuori

un oggetto nerastro.

Karl lo riconobbe al volo. «Loabbiamo preso anche noi» disse con

un sorriso trionfante.

Ma Lidja rimase seria e lo guardònegli occhi. «È successo

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qualcosa… qualcosa di grave aEwan.»

Quando finalmente anche Sofia eFabio arrivarono al dungeon era

sera inoltrata, e misero fine aun’attesa snervante.

«Sofia! Fabio!» esclamò ilprofessore trattenendo lacommozione.

«Cominciavamo a pensare alpeggio!»

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«Anche noi temevamo di nonarrivare più» disse Fabio. «Siamo

stravolti. Ma… dove sono glialtri?»

Il professore sospirò, il volto tirato.«Non stanno bene» rispose.

«Sono andati a riposare… Ma viracconteranno loro com’è andata.»

Fabio si morse il labbro, lo sguardorivolto a terra.

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«E voi, come state?» chiese ilprofessore guardando Sofia. Era

pallidissima, e tremavaleggermente.

«Credo che anche noi abbiamobisogno di riposo, ma stiamo bene.

Grazie al cielo siamo sani e salvi»rispose.

Fabio accompagnò Sofia nella suastanza. Gillian doveva aver messo

a posto, perché del disastro della

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sera in cui Nidhoggr era tornato invita

non era rimasto niente. I mobilidistrutti erano stati portati via,persino i

tagli sulla carta da parati erano staticoperti da poster.

Sofia si lasciò guidare senza direuna parola, poi rimase immobile al

centro della stanza, il capo chino.Da quando erano scappati da

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Matera,

non aveva detto una parola.

Fabio restò in piedi davanti a lei.«Hai bisogno di dormire» le disse,

ma Sofia sembrava paralizzata. Luiprese allora l’iniziativa: le sfilò le

scarpe, la fece sedere sul letto,l’aiutò a sdraiarsi e le stese unacoperta

addosso. Poi si sedette sulpavimento.

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La guardò a lungo, in silenzio.

«Non è stata colpa tua» disse infine.«Non è stata colpa di nessuno.

Ci sarebbe andata comunque,perché sentiva di doverlo fare, locapisci?»

Sofia non rispose. I suoi occhierano vuoti e trapassavano Fabio

come se neppure lo vedessero,come se attraverso di lui, intrasparenza,

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fissassero il muro alle sue spalle.

«Ha ritrovato se stessa, Sofia. Loso che è difficile da accettare, e che

forse queste parole ti farannoarrabbiare, ma ha sconfitto le suepaure. L’ha

fatto per te e per sua figlia, per chiha amato e in tutti questi anni non è

riuscita a proteggere. Tu questodevi ficcartelo bene in mente: la suanon è

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stata una sconfitta. Ha vinto su sestessa, la vittoria più alta che una

persona possa raggiungere nellavita. E ti ha dimostrato quanto tiamava.»

Sofia continuò a fissare imperterritail muro. Fabio sospirò

guardandosi le mani. Eraincredibile come, nonostante quelloche provava

per lei, non fosse mai in grado di

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consolarla davvero, di aiutarla adessere

più serena.

“Come sempre, so solo farlasoffrire.”

Si alzò sconfitto. Poco prima diraggiungere la porta, però, un

singhiozzo lo trattenne.

«Sono stanca della gente che rischiala vita e muore per me. Io non lo

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voglio questo affetto, non l’ho maivoluto.»

«Eppure te l’hanno dato. A questopunto puoi decidere di voltare le

spalle e macerarti nel dolore.Oppure vivere, e fare tesoro di tuttoquesto

amore.»

Sofia finalmente spostò lo sguardosu di lui. «E proprio tu vieni a

farmi questo discorso?» disse dura.

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«Proprio io.»

Sofia affondò la testa nel cuscino.«Se solo non le avessi detto quelle

cattiverie, se solo non avessibuttato il poco tempo che abbiamopassato

insieme a recriminare, a ferirla…»

Scoppiò in un singhiozzo convulso,che le mozzò il fiato in gola.

Fabio si chinò su di lei, le

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accarezzò piano i capelli.

«Non ho fatto altro che insultarla!L’ho giudicata senza conoscerla, le

ho gettato in faccia tutto il miodisprezzo, e adesso non c’è più, enon potrò

mai più rimangiarmi quel che hodetto, non potrò più neppure litigarecon

lei! Se n’è andata, se n’è andata persempre!»

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In quel momento Sofia desideravasolo scomparire, fondersi con il

cuscino che stringeva tra le mani esmetterla di soffrire. Non era stata

capace di perdonare, meritava didissolversi in quel preciso istante.

«Ma l’hai chiamata mamma»sussurrò Fabio. Sofia sollevò pianoil

volto, stupita. Nei suoi occhi videqualcosa che conosceva, il

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riverbero di

un dolore che adesso era anche suo.Erano simili, ora, e vicini come mailo

erano stati. «Lei questo l’ha sentitoe, credimi, quella parola vale più di

tutto quello che le hai detto.»

Sofia appoggiò la guancia alcuscino. Le lacrime continuavano a

rigarle il volto, ma piano, conminor violenza. Prese una mano di

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Fabio e

se la portò sotto il volto,stringendola.

«Non mi lasciare» sussurrò «nonadesso.»

«Non lo farò mai più.»

Fabio si sedette a terra, al suofianco, e lì rimase finché Sofia,dopo

aver pianto tutte le sue lacrime, nonscivolò in un sonno esausto.

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La mattina seguente si ritrovaronofinalmente tutti assieme nella sala

della Gemma, per fare il puntodella situazione. I frammenti delfrutto

giacevano a terra, inerti.

Ewan si era ripreso nel corso dellanotte. Portava una vistosa

fasciatura sul capo ed era biancocome un lenzuolo, ma era coscientee

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stava in piedi. Sofia, per parte sua,aveva trovato la forza di unirsi ai

compagni, anche se si sentivadevastata. Il sonno non era riuscitoa lavare

via il dolore, che le gravava nelpetto come un peso immenso.

Fu Fabio a prendere la parola, eraccontò il viaggio che avevano

affrontato, senza fare menzione diBeatrice. Sofia gliene fu

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intimamente

grata.

Ciascuno mise a parte gli altri dellapropria impresa.

Quando Karl prese la parola eraccontò dell’Occhio della Mente,

rimasto inerte al centro della suafronte, tutti ammutolirono.

«Ora come ti senti?» chiese Fabio.

«Vuoto» rispose Karl.

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«Esattamente come mi sento io»aggiunse Chloe.

«Ieri, quando Lidja e Ewan sonotornati e non li abbiamo

riconosciuti, nonostante misembrasse una situazione dipericolo non sono

stato in grado di evocare Aldibah»disse ancora Karl.

Fabio si inquietò. «Mi state dicendoche non percepite più i vostri

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draghi?»

«Stamattina, per curiosità, ho usatoil draconoscopio su di me» disse

Karl con tono grave. «Non harivelato niente. È stato comepassarlo sul

corpo di una persona normale. Maprima di giungere a qualsiasi

conclusione, vorrei analizzareanche Chloe e Ewan. Del resto,loro si

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sentono come me.»

Si spostarono nel laboratorio diKarl. Chloe fu la prima a sottoporsi

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all’analisi. Il draconoscopio, cometutti temevano, rimaseassolutamente

inerte. Lo schermo era spento,nessuna traccia dell’intrico di vene

luminose che era il tratto distintivodei Draconiani.

Karl provò allora a sintonizzare lafrequenza dello strumento sulle

emissioni delle viverne, maugualmente non ottenne nulla.

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«Ewan» chiamò secco.

Chloe si alzò e il fratello si sdraiòal suo posto. Il risultato fu

identico: nulla su tutta la linea.

Karl si tolse gli occhialoni collegatial draconoscopio e contrasse la

mascella: «Credo che io, Chloe eEwan abbiamo perso i nostri poteri.Ci

hanno colpiti sull’Occhio dellaMente, e i nostri draghi sono

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morti.»

20.Di nuovo insieme

«Magari è solo una reazionemomentanea. Avete affrontato ungrandissimo

sforzo» disse Lidja.

«Ma il nostro Occhio della Mentenon è mai stato così, mai! Lo vedi,

il mio? Era viola, fino a ieri, e ora

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è diventato un comunissimo neo»ribatté

Chloe.

«È tutto finito, è stato tutto inutile»le fece eco Karl.

Le voci dei ragazzi sisovrapponevano, caotiche epreoccupate. In

quella confusione, solo Sofia se nestava zitta, le braccia conserte. Le

sembrava di guardare un palazzo

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che crolla al rallentatore. Tuttoquello che

avevano costruito in quegli anni sistava sgretolando sotto i suoi occhi.

Nulla di quanto avevano fatto percontrastare Nidhoggr avevafunzionato;

ogni volta qualcosa era andatostorto. E ora l’ultimo atto, ladisfatta

definitiva.

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«Ragazzi, per favore!» intervenne ilprofessore. «Così non andiamo

da nessuna parte. Non ha sensopiangersi addosso. Cerchiamopiuttosto

una soluzione.»

I Draconiani smisero di parlare,poi, lentamente, spostarono lo

sguardo su Sofia. “È naturale”pensò lei. Era il capo. Solo cheadesso le

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mancava la forza di sperare.Sentiva di non potercela fare asostenere di

nuovo il peso del comando. Eraterribilmente stanca, e voleva solo

riposare. Forse arrendersi era lasoluzione migliore. Sarebberodiventati

Assoggettati anche loro, e sarebbefinita. Non avrebbero più avuto

consapevolezza di quel che

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accadeva intorno a loro, nessunavolontà

autonoma, non avrebbero piùprovato dolore.

«Sof… che ne pensi?» chiese infineLidja, dando voce al pensiero di

tutti.

Sofia si portò le dita alla radice delnaso, massaggiandola piano.

«Non lo so, davvero… non lo so!»rispose infine. «Se Karl dice che

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lui, Ewan e Chloe non sentono più iloro draghi, io non so cosarispondere,

non so neppure cosa pensare. Hobisogno di tempo.»

«Non ce ne resta molto, purtroppo.Là fuori gli Assoggettati stanno

erodendo la barriera, non so se vene siete accorti» aggiunse Lidja.

«Tutto è cambiato da quando èarrivato quel tizio che Nida chiama

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Ofnir» intervenne il professore.«Non so cosa abbia fatto, ma sottoil suo

comando è come se gli Assoggettatifossero più forti.»

Fabio imprecò a bassa voce.

«Non è tutto» continuò Schlafen.«La Gemma ha cominciato a

brillare più debolmente. La barrieraregge ancora, ma il mondo è pregno

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del potere di Nidhoggr, e questoinfluisce su di essa. Anche senessun

Assoggettato è ancora in grado diforzare il cancello, i loro continui

tentativi la stanno indebolendo.»

«Fantastico…» disse Lidja.

«Sei hai una soluzione, proponilatu» sbottò Fabio.

«Non ho soluzioni. Solo cheSofia… mi sembra fuori fase. E noi

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abbiamo bisogno di lei.»

Sofia si accorse che Fabio era sulpunto di parlare, e lo bloccò con un

braccio. Non aveva voglia cheraccontasse cosa era successo aMatera, e

comunque Lidja aveva ragione: glialtri avevano bisogno di lei, doveva

farsi forza.

«Ragazzi, io credo che non

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dobbiamo perdere la speranza. Non

possiamo farlo.» Tuttiammutolirono e la guardarono. «Èvero, non

percepiamo più Kuma e Aldibah,ma non sappiamo se questa sia unacosa

permanente o meno, giusto?» eguardò il professore.

«Qualsiasi ipotesi al momento valequanto un’altra» rispose lui.

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«Perfetto. E allora non staremo ainterrogarci oltre. Abbiamo ancora

tre draghi dalla nostra, ce lacaveremo.»

«Sì, ma per evocare Draconia civogliono tutti i Draconiani» obiettò

Ewan.

«Noi ci siamo tutti, o no? Ragazzi,so che le cose sembrano andare

sempre peggio, ma non possiamoarrenderci. Abbiamo dato tanto per

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questa missione, e le vittorie cheabbiamo conquistato le abbiamosempre

pagate a caro prezzo. È proprio perquesto che non possiamorinunciare.»

Sofia tacque un istante. «Non voglioche il sacrificio di tutte le personeche

ci hanno permesso di arrivare finqui sia stato vano. Effi ha dato la

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vita per

aiutarci a conquistare il frutto diAldibah. Vogliamo che la sua mortesia

stata inutile? E tutto quello che hapassato Fabio, prima di diventareuno di

noi? Per non parlare delle difficoltàche hanno affrontato Ewan e Chloe,le

rinunce di Gillian, la sofferenza che

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il prof sta provando anche ora. Epoi

mia madre…»

S’interruppe, e gli altri nonchiesero. Fabio rispose con unosguardo

eloquente all’espressioneinterrogativa di Lidja.

«Cosa facciamo?» chiese Karl.

«Innanzitutto dobbiamo mettereinsieme i pezzi del frutto. E questo

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è

qualcosa che potete fare solo tu e ilprof. Quando il frutto di Thubansarà

di nuovo intero, evocheremoDraconia.»

«E come faremo se Kuma e Aldibahnon si manifestano più?»

domandò Ewan.

«Affrontiamo un problema allavolta.» Poi Sofia guardò Karl.

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«Pensi

di riuscire a trovare un modo perrimettere insieme i frammenti?»

«Non credo sia un problema»intervenne Fabio. «Il frutto di Kuma

era già rotto, no?»

«È diverso» rispose Karl. «In quelcaso era ospitato all’interno di due

Draconiani, e questo in qualchemodo ne aveva preservato il potere,inoltre

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il legame tra i gemelli in qualchemodo ha permesso di unire le duemetà.

Stavolta il frutto è stato propriorotto, infranto e prosciugato daNidhoggr

per spezzare il sigillo. Purtroppo èuna cosa diversa.»

«E quindi?» concluse Sofia.

«E quindi mi metto subito allavoro» rispose lui, e si fiondò nel

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suo

laboratorio.

«Quanto a noi, non ci resta cheaspettare» disse Sofia, e si sforzòdi

prodursi in un sorriso stanco, maconvincente. Gli altri la guardarono

speranzosi.

Passarono un altro pomeriggio diattesa. Ognuno cercò di ingannare

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il tempo come poteva, mentre Karle il professore lavoravano davantialla

Gemma. Sofia andò nella sua stanzaperché si sentiva terribilmentestanca.

Non le riusciva di recuperare deltutto le forze, era come se ci fosse

qualcosa che gliele succhiava via.

Si mise a letto al buio, con leimposte chiuse per non sentire le

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grida

degli Assoggettati.

Sonnecchiò, ma per lo più rimase inuno stato sospeso di

dormiveglia, in cui la realtà avevaun aspetto sfumato, e al tempostesso

non sfociava del tutto nei sogni.

La porta si aprì piano e una lama diluce tagliò la stanza, per

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scomparire quasi subito. Sofia udìpassi felpati sul pavimento, passiche

avrebbe riconosciuto tra migliaia dialtri.

Lei e Fabio non riuscivano avedersi, con tutta quell’oscurità, manon

aveva importanza. Percepivano lapresenza l’uno dell’altra, e tanto

bastava.

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Lo sentì sedersi a terra, e perqualche tempo rimasero in silenzio.

«Sei stata bravissima» disse luiinfine. Sofia sussultò. Era la prima

volta che le faceva un complimentocosì diretto, che apprezzava il suo

operato.

«Era mio dovere» disseimbarazzata.

«No che non lo era. Abbiamo tuttidiritto alla stanchezza, al dolore,

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anche alla debolezza, e tu più ditutti. Per questo sei statastraordinaria.»

Lei rimase senza parole. Allora luisi alzò e si sedette sul letto

accanto a lei. Le prese una mano, e

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Sofia sentì il cuore battere a mille.Ma

se la paura e l’emozione eranofortissime, più forte ancora era la

consapevolezza che dovevaapprofittare di quel momento,doveva fare ciò

che sentiva, o di nuovo sarebberocaduti nelle incomprensioni, nelleinsidie

del non detto, nelle trappole delle

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loro paure. Così, di slancio, loabbracciò.

Il buio sembrò amplificare ognisensazione: il maglione di lui che

pizzicava sulla guancia, il rumoredel suo respiro, il tocco deciso maal

tempo stesso un po’ tremante dellesue mani sulla schiena.

«Sono contenta che tu sia di nuovoqui» disse piano.

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Fabio la strinse più forte, poi sistaccò delicatamente. Le prese il

mento tra pollice e indice e labaciò. Fu diverso dalle altre volte:non c’era

più lo stupore del primo bacio, néquel senso di agitazione. Sofia nonpoté

fare a meno di pensare che si eranoinfine trovati. Dopo una via lunga e

tortuosa, erano finalmente vicini,

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come non lo erano mai stati prima,e

stavolta sapeva che né le sueincertezze né le paure di Fabiosarebbero

riuscite a dividerli ancora.

Nel buio, si abbracciarono strettistretti.

21.L’ultima difesa

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Cenarono tutti assieme al piano disopra, fatta eccezione per Karl e il

professore, che continuavano alavorare nei sotterranei. Sembravala

classica tavolata delle feste. Era untrionfo di zuppe, secondi piatti edolci.

Quell’opulenza finiva per sembrarequasi grottesca, se appena si alzavalo

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sguardo sull’oscurità che regnavafuori dalla finestra. Ma Sofiacapiva:

ognuno cercava di distrarsi comepoteva, e Gillian e Chloe sirilassavano

dedicandosi alla cucina.

Nida, abbarbicata su una sedia in unangolo, aveva già iniziato ad

aggredire le pietanze con voracità.In quei giorni era stata

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insolitamente

collaborativa: spesso aveva persinoaiutato Gillian a cucinare, e un paiodi

volte si era cimentata nelle puliziedi casa. C’era qualcosa di stranonel

vederla comportarsi come unaragazza normale, anche se la suavera natura

emergeva comunque di tanto in

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tanto, in un gesto brusco o in unabattuta

sferzante.

Si accorse che Sofia la guardava esorrise altera. «Ho saputo che siete

tornati con i frammenti» disse.

«Già.»

«Non ti illudere che servano, sonosolo pezzi di qualcosa che ha

perduto ogni potere.»

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«Già, come te» commentò Fabio.

Nida si fermò col boccone amezz’aria. I suoi occhi divennerodue

fessure.

Sofia prese Fabio per un braccio elo fece voltare verso di lei.

«Smettila.»

«Perché la difendi? Non fa cheprovocarci e abbuffarsi col nostro

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cibo.»

«Ci ha dato il suo sangue, non lodimenticare.»

«Mangiate, su, che si raffredda!»disse Gillian per distoglierli da

quella conversazione. Lentamente,la tavolata si animò di una mesta

allegria, quella sorta di lieveserenità che a volte si riesce acreare anche

nei momenti più bui. Per qualche

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minuto, l’oscurità del mondodominato

da Nidhoggr rimase relegata fuoridalle mura della villa. Erano statitristi

troppo a lungo, avevano portatosulle spalle un peso insostenibileche non

vedevano l’ora di posare per unpo’.

Mangiarono i dolci, lodarono la

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bravura delle cuoche. Quandoebbero

finito, si riunirono tutti in salotto.Gillian aveva cercato di rimetterele cose

a posto anche lì: via i mobili rotti, ela carta da parati era statarattoppata

alla meglio con poster. In mezzoall’arredamento ottocentesco,austero ed

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elegante, ora sbucavano locandinecolorate di film e fotografie dicantanti.

Sofia soffocò un sorriso non appenaentrò.

Si sedettero tutti sul divano erimasero in silenzio.

«Che danno stasera in tv?» scherzòEwan.

« Il buio oltre la siepe» gli feceeco Lidja.

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Tutti si abbandonarono a una lieverisata. Con quello che stava

accadendo, il televisore eradiventato un inutile pezzo diplastica e vetro.

«Ho un’idea» disse Fabioalzandosi. Andò verso la libreria infondo,

miracolosamente scampata alloscontro. I libri erano più o menotutti al

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loro posto, e da uno scaffale preseIl Signore degli Anelli, uno deipreferiti

di Sofia. Cominciò a leggerne laparte finale, il viaggio di Frodo eSam

verso il Monte Fato, uno dei passipiù tristi. Eppure, in qualche modofece

loro bene. Perché sapevano comeandava a finire, sapevano che perquanta

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sofferenza ci fosse in quelle pagine,tutto sarebbe andato per il meglio.È

questa la forza delle storie che siamano, l’eterno potere delle favole.

Sofia guardò Fabio per tutto iltempo. Era come aveva sempre

sperato che fosse: uno di loro,davvero e fino in fondo. Era tuttocosì bello,

così perfetto, che le veniva quasi da

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piangere. Piano gli passò una mano

sotto il braccio e si strinse a lui. Maanche gli altri pendevano dalle sue

labbra. Si sentivano finalmenteuniti, come non lo erano mai stati.Soli,

abbandonati in quel mondo alieno,rappresentavano l’ultimo baluardo

contro la follia di Nidhoggr. E oranon contava quello che era appena

accaduto, non aveva importanza che

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i nei sulle fronti di Karl, Ewan e

Chloe fossero spenti: c’eraqualcosa in loro che rimanevaacceso, il

riverbero di una speranza.

« La Missione è compiuta, e tutto èpassato. Sono felice che tu sia qui

con me. Qui, alla fine di ogni cosa,Sam» lesse infine Fabio, e chiuse il

libro. Un silenzio denso avvolse ilgruppo. Ma non c’era

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rassegnazione, in

quel silenzio; c’era anzi un’energianuova, e Sofia la sentiva pulsare, la

vedeva passare di sguardo insguardo. Persino Nida dovevaaverla

percepita, perché aveva perso lasolita espressione impassibile.

Fabio si tirò su, quasi imbarazzato,rimise il libro sullo scaffale e si

infilò i pugni in tasca, recuperando

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la sua aria noncurante.

«Okay… Io me ne andrei a letto.»Sofia si alzò.

«Aspetta» disse la voce di Karl.Era salito in salotto insieme al

professore e tutti si voltarono aguardarli.

«Allora?» chiese Sofia.

«Avete trovato una soluzione?»aggiunse Fabio.

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«Forse. Venite di sotto» rispose ilprofessore.

Tutti scesero nel dungeon e sidisposero attorno alla Gemma.

«Credo ci sia modo di rimettereinsieme i pezzi» annunciò Karl.

«Magari finalmente le cose inizianoa girare per il verso giusto!»

esclamò Ewan.

Sofia notò che Karl e il professorecontinuavano però ad essere tesi.

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«Cosa c’è che non va?»

Il professore si schiarì la gola:«Abbiamo fatto un tentativo con la

piccola quantità di linfa dellaGemma che avevamo da parte,abbiamo

provato ad attaccare un frammentopiccolo e sembra funzionare.»

«Quindi abbiamo una soluzione»disse Fabio.

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«No» replicò Karl. «La linfa cheabbiamo da parte non basta a tenere

insieme il frutto: è troppo grande.»

«Ma ci provate gusto a darci lenotizie così, a spizzichi e bocconi?»

intervenne Lidja.

Sofia sospirò. «La soluzione?Perché c’è una soluzione, vero?»

«Sì. Possiamo produrre nuova linfatriturando la Gemma» disse il

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professore.

Tutti proruppero in esclamazionistupite.

«Ma la Gemma è l’unica protezioneche abbiamo da quella gente là

fuori!» insorse Chloe.

«Se abbiamo resistito, è merito solodella Gemma: niente Gemma,

niente villa» sintetizzò Lidja. «GliAssoggettati entrerebbero subito.»

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«Vuol dire offrirci mani e piedilegati ai nemici» insistette Fabio.

«È l’unico modo» sentenziò Karl.

«Anche la barriera è unica»protestò Lidja. «Non possiamo

rinunciarvi.»

«Tanto crollerà ugualmente» disseSofia. «Giusto, prof?»

Calò il silenzio. Il professoretossicchiò ancora. «È così. Nonposso

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darvi il tempo esatto, ma èquestione di giorni.»

«Nidhoggr è tornato, e l’unica cosache lo separa dal dominio

assoluto sul mondo siamo noi»aggiunse Sofia. «Se non facciamoniente è

destinato a vincere… La Gemma èpotente, certo, ma non così tanto da

riuscire a contrastare il suo potere.Del resto, i Guardiani hanno dovuto

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dare la vita per riuscire asconfiggerlo e imprigionarlo con ilsigillo.»

«Ragazzi, so che può sembraretremendo e, credetemi, sono più

spaventato di voi» disse ilprofessore. «Tutta la mia vita si èconsumata

all’ombra della Gemma, l’hocustodita per anni come unareliquia… Ma se

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non attacchiamo per primi, lo faràNidhoggr. Dobbiamo rimettereinsieme

il frutto ed evocare Draconia.»

«Perderemo questo posto. La villa.La nostra casa» osservò Lidja.

«Se Nidhoggr vince, non ci sarà piùalcun posto sicuro in tutta la

Terra» replicò il professore.

«E tu che farai?» chiese Sofia, e lavoce le tremava.

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Lui abbassò gli occhi. «Non è ilmio destino che è in gioco, qui.»

«E invece sì: se la Gemmascompare, diventerai unAssoggettato

come gli altri.»

D’improvviso tutti sembraronocogliere il senso di

quell’implicazione, che nessuno aparte Sofia aveva considerato.

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«Tutti gli uomini sono Assoggettati,uno in più o uno in meno non fa

alcuna differenza» dichiarò ilprofessore.

«La fa, invece!» gridò Sofia. «Tusei un Custode, tu ci hai cercati,

svegliati, addestrati, protetti! Noiabbiamo bisogno di te!»

«Sofia, il mio tempo con voi èfinito. Ho fatto quanto potevo, vi ho

raccolti e indirizzati, ma adesso ho

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esaurito il mio compito. Ora è tuttoin

mano vostra.»

Sofia stava per dire qualcos’altro,ma non ci riuscì e si gettò tra le

braccia del professore, stringendoloa sé.

Lui le accarezzò la testa. «Non èper sempre, mi capisci? Ci

ritroveremo, alla fine diquest’ultima, tremenda avventura, e

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finalmente tra

noi non ci saranno più missioni odestini, saremo solo un padre e una

figlia.»

Sofia si staccò, lo guardò a lungo.Le era impossibile non pensare a

sua madre. Dopo Beatrice, orastava per perdere anche lui. E se glifosse

successo qualcosa di brutto? Se nonl’avesse mai più rivisto?

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«Prof, mi devi giurare che tisalverai, mi devi giurare che faraidi

tutto per tornare da me.»

«Hai qualche dubbio in proposito?»

«Giuramelo lo stesso.»

«Certo che te lo giuro.»

Sofia si tirò su, cercò di tornarepresente a se stessa, poi si giròverso

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gli altri. «Questa operazione vacondotta con la massima attenzione.

Appena prenderemo la Gemma, inemici irromperanno da ogni parte,

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dobbiamo organizzare la difesa.»

«Io posso darvi un po’ di tempo»disse Nida, apparendo sulla soglia.

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«E tu come diavolo ci sei arrivataqui sotto?» sbottò Fabio.

Nida sorrise sarcastica. «Perfavore… Credevate che i vostri

trucchetti potessero fermarmi?» Poisi fece seria. «Il mio aiuto lo vuoi o

preferisci farti ammazzare daOfnir?»

«Abbiamo bisogno di tutti» tagliòcorto Sofia. «E ti saremo grati

dell’aiuto che vorrai darci.»

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Nida indicò con il mento ilprofessore e Thomas. «So anchecome

fare con quei due.»

Il volto di Sofia si illuminò.

«Non compio miracoli» precisòNida, mettendo le mani avanti «ma

posso fare in modo che non escanoda qui. È già qualcosa, no?»

«Perché lo fai?» chiese Lidja.

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Nida esitò. «Se cadete voi… cadoanch’io.»

«D’accordo» disse infine Sofia«d’accordo. Lo faremo. Tritureremo

la Gemma. E poi, saremo nellemani del destino.»

22.Le ultime vestigiadel passato

Il piano era semplice. Thomas e il

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professore sarebbero stati chiusi inuna

delle stanze del dungeon e lìsarebbero rimasti incoscientialmeno per un

po’, perché Karl avrebbe dato lorotutte le scorte della pozione cheaveva

somministrato a Thomas per tenerloaddormentato. Nida si sarebbe

assicurata che non uscissero.

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«Sono in grado di evocare sigillimagici» aveva spiegato. «Non si

tratta certo di sigilliparticolarmente forti, ma Nidhoggrè tornato e io

condivido parte dei suoi poteri.Credo di potervi garantire almenouna

settimana. In quel periodo nessunopotrà entrare o uscire dalla stanzain cui

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saranno rinchiusi il professore el’altro tizio.»

«E… finita quella settimana?»aveva chiesto Sofia.

«Se in una settimana non siete ingrado di battere Nidhoggr, siamo

tutti spacciati. Sta diventando piùforte di ora in ora, non lo sentite?»

Il pensiero del professore sigillatoin una stanza, probabilmente in

preda allo stesso furore che aveva

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visto negli occhi di Thomas ognivolta

che in quei giorni si era svegliato,non le piaceva neppure un po’, maera

decisamente più facile dasopportare della possibilità ditrovarselo davanti

come nemico. Perché era quello chesarebbe accaduto, se non l’avessero

imprigionato. Era stata quella

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considerazione, più di ogni altra, afar

decidere Sofia.

Scelsero la stanza nella quale, finoa quel momento, avevano

custodito i frutti. Era un locale chesi trovava sotto la Gemma, copertoda

una botola. «Questo posto adessonon ci serve più» spiegò ilprofessore

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con un sospiro.

A Sofia girò la testa. Tutto ciò cheaveva dato per scontato fino a quel

momento si stava sgretolando.Erano veramente alla finedell’avventura:

tutto si sarebbe giocato nei prossimigiorni, forse nelle prossime ore.

Karl spostò alcune assi di legno,sotto la teca della Gemma, e portò

alla luce quello che sembrava il

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portellone di un sottomarino. Era unoblò

di bronzo, rotondo, con sopra ungrosso volano.

«È là sotto» disse il professore.

Per aprire dovettero impegnarsi siaKarl sia Fabio. Il volano gemette,

ruotando prima lentamente, poi piùspedito. L’ambiente, sotto, erapiccolo,

a malapena sufficiente per due

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persone. Sul pavimento, di grossimattoni di

tufo, era steso un panno di vellutoviola. Sopra, brillavano i quattrofrutti

già in loro possesso.

Era la prima volta che li vedevanotutti assieme, e l’immagine aveva

in sé qualcosa di rassicurante epotente, la promessa che lasperanza non

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era del tutto perduta. I fruttipulsavano debolmente, e ciascunoera acceso

di una luce tiepida: rosa, oro,azzurro e viola. Mancava solol’ultimo, il

verde di Thuban.

Karl e Fabio li presero e liavvolsero nel panno di velluto.

Poi tolsero la Gemma dalla bolla incui era sospesa e ve la

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adagiarono accanto. Fuori dalla suateca, sembrava ancora più piccola,e

brillava di una dolce luce verdepulsante. Era davvero la fine diun’era.

Nessuno di loro l’aveva mai toccataprima.

Prepararono il nascondiglio comemeglio poterono, rifornendolo di

acqua e cibo a volontà, quanto

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poteva entrare lasciando libero unospazio

per i corpi di Schlafen e di Thomas.

L’aria, garantì il professore,passava attraverso alcune prese chesi

vedevano sul portello e da alcunisfiatatoi sulle pareti.

Calarono il corpo di Thomas,addormentato. Karl aveva già

provveduto a somministrargli la

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pozione.

Sofia non pensava che sarebbe statocosì penoso, ma adesso che

vedeva quella stanzetta, e il corpoabbandonato di Thomas, lesembrava

che quell’incombenza le fosseintollerabile. Fabio dovette capire,perché,

passandole accanto, le strinse unbraccio. Lei si sentì attraversare da

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un

calore confortante, e sorrise.

Il professore si fece avanti e Karlgli porse la boccetta con la pozione.

«Se non ti spiace, preferirei berlaquando sarò di sotto» disse lui.

«Voglio salutarvi per bene.»

Karl si limitò ad annuire. Ilprofessore li abbracciò a uno a uno,ed

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ebbe qualche parola per ognuno diloro.

«Grazie per quello che stai facendoper Sofia» mormorò a Fabio.

Lui abbassò lo sguardo. «È piùquello che sta facendo lei per me»

rispose.

«Già, lei è così, non è vero?»sorrise il professore. Poi strinsecon

forza Lidja. «Io e Thomas ce la

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caveremo, il piano funzionerà.»

Lei annuì, cercando di trattenere lelacrime. «Grazie, prof… Senza di

te io davvero… Ero così sola,prima…»

«Shhh» le fece Schlafen. «Grazie ate per tutto, ci vediamo dall’altra

parte, okay?» disse strizzandolel’occhio.

Infine guardò Sofia. Rimasero l’unodavanti all’altra, a lungo. Poi

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l’abbracciò stretta.

«Stai facendo la cosa giusta» ledisse.

«Lo spero, prof» rispose lei con unsospiro.

Il professore scese nella piccolastanza. Sembrava tranquillo, ma la

mano stretta spasmodicamenteintorno alla boccetta con la pozione

rivelava tutta la sua ansia. Quando

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fu sul fondo, seduto sul materassoche

avevano trascinato lì sotto, liguardò un’ultima volta. Sorrise e lisalutò con

la mano.

«Forza, è ora» disse.

Fabio e Karl accostaronolentamente il portello. Il tonfo cheprodusse

quando si chiuse aveva qualcosa di

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irreparabile e definitivo.

Nida si fece avanti. Evitòaccuratamente i frutti, girandonealla larga,

poi rimise le assi di legno al loroposto, sedendosi sul portellone.Chiuse

gli occhi, alzò le mani, e parlò inuna lingua che suonòimmediatamente

sgradevole alle orecchie dei

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Draconiani; aveva qualcosa disibilante e

osceno che li faceva inorridire.Dalle sue dita si dipartirono lunghi

filamenti neri, che sembravanoquasi collosi. Iniziarono a ricoprireil

legno, disponendosi come fili diuna ragnatela, al centro della qualeNida

stava seduta proprio come un ragno.

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Infine si alzò, fece un passo fuoridal

cerchio delle assi e lasciò chevenissero interamente ricoperte.Quando

smise di parlare e abbassò le mani,al posto della botola di legno c’erauna

superficie completamente nera.

«Ecco qua. I vostri compari sono alsicuro» disse.

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Sofia si accovacciò e sfiorò con ledita quella sostanza. Appiccicava

davvero come colla. Il professoreera là sotto, ma già le sembrava

infinitamente lontano, perduto.

Chiuse gli occhi, si alzò in piedi.«Muoviamoci» disse secca.

Ewan, Chloe e Gillian presero inconsegna i frutti e li misero in tre

borse che si infilarono a tracolla.Fu Karl ad accompagnarli al

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sottomarino,

quello che il professore aveva usatoper perlustrare il fondo del lago di

Albano durante la prima missionealla ricerca del frutto di Rastaban.Karl

non l’aveva mai usato, ma si erafatto spiegare tutto da lui. Quandovide

quello strano marchingegno a formadi pesce, rimase a bocca aperta.

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«Non vedo l’ora di guidarlo!» disseestasiato, prima di far entrare la

famiglia MacAlister e spiegare loroi comandi fondamentali.

«Noi non ce ne andremo senza divoi» dichiarò Gillian perentoria.

«Se fosse necessario, invece,dovrete farlo» replicò Karl. «Seentro

due ore non saremo qui, scappate,chiaro?»

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Gillian lo abbracciò con farematerno. «Sono sicura che ce la

farete… I’m sure!»

Karl fece il percorso a ritroso piùveloce che poteva. Quando ritornò

nella sala della Gemma, tutto erapronto. Lidja era seduta in unangolo, a

gambe incrociate. Aveva salutatoEwan con un bacio plateale, cheaveva

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lasciato Gillian con un palmo dinaso, sul volto un’espressioneindecisa tra

la contentezza, lo stupore e unacerta dose di disapprovazione.

Per un istante Lidja era perfinosembrata commossa, ma adesso erala

ragazza di sempre. Decisa, sicura,pronta.

«Tenete d’occhio la bambolina che

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ci ha dato Nida; le illuminerò gli

occhi quando sarà l’ora discappare» disse Sofia non appenaKarl fu

arrivato.

Fabio la tirò fuori dalla tasca egliela fece vedere. «È tutto a posto»

disse, cercando di essererassicurante, e insieme a Nida siavviò alla porta.

Nella stanza rimasero solo Sofia,

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Karl e Lidja. Il silenzio che calò

improvviso aveva qualcosa diminaccioso. In quei giorni c’erasempre

stata confusione, là sotto, essendo ilposto in cui si riunivano e

discutevano.

«Lidja, sei pronta?» chiese Sofia.L’amica annuì. «Allora iniziamo.»

Lidja chiuse gli occhi e si concentròprofondamente. Doveva

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chiamare a raccolta tutto il potereche scorreva nelle sue vene, lostesso

che le aveva consentito di erigereuna barriera attorno alla casa diGillian,

a Edimburgo. Karl e Sofiapercepirono il potere della barrierainvestirli e

avvolgere lentamente tutta la casa.Non era forte e benefico come

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quello

della Gemma, ma speravanosarebbe bastato.

Sofia raccolse i frammenti delfrutto, li mise davanti a sé.

«Ci sei?» chiese a Karl. Lui annuì.«Allora vai.»

Karl afferrò un paio di cesoie. Lamano gli tremava visibilmente

mentre recideva la Gemma dalpiccolo ramoscello che la

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sosteneva.

Cominciò col legno. Lo triturò conun grosso coltello che aveva preso

dalla cucina, fino a ottenerne unaspecie di poltiglia. Poi la pestò

energicamente in un mortaio e nespremette una sostanza vischiosa,che

emanava un profumo pungente mabuono. La Gemma, posata sulvelluto,

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emetteva una luminescenza piùflebile.

«Si sta indebolendo» osservò.

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Sofia gettò uno sguardo a Lidja. Lasua fronte era imperlata di

sudore.

Karl prese quella sostanza ecominciò a spalmarla sui primi due

frammenti del frutto. Provò adaccostarli, e per un po’ rimaseroattaccati,

ma appena lasciava le mani,tendevano a scollarsi.

«Non funziona, maledizione…»

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imprecò Sofia.

«Calma. Il potere è principalmentenella linfa della Gemma… Non

possiamo dire niente fino a quandonon avremo triturato quella.Speravo

non fosse necessario, e invecedobbiamo proprio sacrificarla.»

Karl guardò Sofia, e lei indugiò unistante. Era arrivato il momento,

non potevano più tirarsi indietro. La

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Gemma pulsava quasi morente. Una

goccia di linfa, dietro il gamboreciso, sembrava una minuscolaperla.

«Vai» disse Sofia.

Karl prese la Gemma, la appoggiòsul piano davanti a sé, quindi

prese il coltello. Rimase immobileper un secondo ancora. Poi, con un

movimento netto, la tagliò in due.

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Fu allora che iniziò.

23.La fine

Ofnir osservò la barriera constupore. Nell’ultimo giorno non siera

impegnato in prima persona neidintorni della villa. La situazionenon era

cambiata dal suo ultimosopralluogo, e lui aveva lasciato

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che gli

Assoggettati continuassero il loroassedio, indebolendola lentamente.Ma

adesso, all’improvviso, avevapercepito qualcosa. La barriera siera

trasformata, e si era sensibilmenteaffievolita. Lanciò al cielo unarisata

raggelante e rientrò nel rifugio che

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le schiere di umani asserviti aNidhoggr

avevano preparato per lui, neipressi della villa.

«Ci voleva proprio» disse, mentrepercepiva l’adrenalina scorrergli

nelle vene. L’inattività cominciavaa fiaccarlo, quel cambiamento

improvviso giungeva al momentoopportuno. Prese l’elmo e se localò

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sulla testa. Stavolta non si sarebbefermato prima di aver assaggiatocarne

di drago.

Fabio percepì il cambiamentoall’istante. Fu come una vibrazione

nell’aria, e dovettero coglierlaanche Nida e gli Assoggettati. Lecreature

smisero di erodere la barriera ealzarono la testa: i riflessi verdi che

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si

accendevano là dove le loro faucila toccavano si spensero, e apparveun

velo traslucido. Pareva la sottilepellicola delle bolle di sapone, congli

stessi riflessi iridescenti.Tremolava al più piccolospostamento d’aria, e

sembrava fragile come una

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membrana. Ma quello era ilmassimo che Lidja

potesse fare, sforzando i suoi poterial limite.

«Tutto qua?» disse Nida con unsorriso di scherno. «Non cifacciamo

niente con questa roba!»

Gli Assoggettati fiutarono l’aria,poi le loro bocche si aprirono in un

ghigno crudele, in preda a una sorta

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di grottesca euforia. Il primoaddentò

letteralmente la barriera. Bastaronoun paio di morsi e riuscì alacerarla,

rotolando con una capriola al di làdella protezione. Il velo si riformòalle

sue spalle quasi all’istante.L’Assoggettato volò oltre ilcancello, atterrando

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sul prato antistante il portoned’ingresso. Nida e Fabio sitrasformarono

all’unisono e si scagliarono su dilui. Lo misero fuori combattimentocon

facilità e lo lanciarono nel bosco,oltre il cancello della villa. Nel

frattempo, però, altri due eranoriusciti a entrare.

«Sarà una lunga nottata» ruggì Nida,

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e nella sua voce c’era una

sfumatura di piacere.

Sofia e Karl cercarono di triturarela Gemma il più rapidamente

possibile. Karl usò lo stessosistema che aveva già applicato peril tronco e

ottenne una pasta verde brillante,vellutata e compatta. Sofia sentì una

stretta al cuore al pensiero che laGemma non esisteva più, che su

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tutta la

faccia della Terra non c’era piùnulla che ricordasse quantosplendido e

rigoglioso fosse stato l’Albero delMondo al tempo dei draghi. Ma non

c’era posto per la nostalgia. Con lemani prese la pasta e si mise a

spalmarla sui frammenti. Poi, conl’aiuto di Karl, provò a farlicombaciare.

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Dietro di loro sentivano Lidjagemere per lo sforzo. Sofia laguardò: era

pallida e madida di sudore.

«Ci stiamo mettendo troppo» dissetra i denti.

«Ci stiamo mettendo quanto civuole!» borbottò Karl, e le porseuno

dei frammenti.

«Non voleva essere una critica… lo

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so che stai facendo del tuo

meglio» disse Sofia, e provò aincollare un altro dei frammenti, ilpiù

grosso. Le due parti combaciaronoalla perfezione, e per un istante lapasta

della Gemma si accese di una luceverde brillante. Karl e Sofiapremettero

i due pezzi assieme, poi li

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lasciarono andare. Finalmenterimasero

incollati, e Sofia stava già perabbandonarsi a un’esclamazione digioia,

quando i due pezzi si separarono dinuovo.

«Perché non funziona?» chieseangosciata.

Karl passò un dito sulla pasta.«Deve seccarsi» rispose.

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«Ma non abbiamo tempo diaspettare!»

«Tu rimani qui, vado a cercarequalcosa che ci aiuti» disse lui, e si

precipitò nel suo laboratorio.

Fabio e Nida seguitavano adabbattere Assoggettati l’uno dopo

l’altro, ma quelli non finivano mai,si susseguivano a ritmo continuo,

inarrestabili. Per di più, la barrierasi stava assottigliando a vista

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d’occhio,

e retrocedeva di minuto in minuto.Se avessero avuto il tempo difermarsi a

osservare, l’avrebbero vistaspostarsi, lenta ma inesorabile,sull’erba del

giardino.

Non parlavano, limitandosi alottare, ma erano perfettamente

coordinati, come se si intendessero

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alla perfezione. Fabio ne trasse una

sensazione di straniamento. Nidaera una nemica, eppure era lì, a

combattere al suo fianco come lamigliore delle alleate. Iniziavaquasi a

credere di potercela fare, quandovide la folla degli Assoggettati chesi

apriva. Nida imprecò nella sualingua oscena. In fondo al varco che

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si era

creato, apparvero un paio digigantesche ali membranose. Eranodiverse da

quelle di tutti gli altri. Fabio sentìun lungo brivido percorrergli laspina

dorsale. Ofnir.

La massa degli Assoggettati sidischiuse come un sipario, e lafigura

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del mostro apparve in tutta la suaspaventosa interezza. Indossava una

spessa armatura nera. Era opaca,scura come una notte senza luna néstelle,

e aveva un aspetto solido,inattaccabile, quasi fosse costituitada uno strato

di basalto. Ofnir avanzava solenne,un sorriso da vincitore stampato sul

volto, e gli Assoggettati si

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inchinavano fino a terra al suopassaggio. Tra le

mani reggeva un grosso tridentenero e lucido, dalle punte affilatecome

rasoi.

Istintivamente, Nida e Fabio siavvicinarono l’uno all’altra.

«E adesso?» mormorò Fabio.

«Adesso speriamo che i tuoi amicici chiamino al più presto.»

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Ma Ofnir fermò la sua avanzataproprio sotto la barriera. Viavvicinò

una mano e la sfiorò con il palmo.Chiuse gli occhi, comeconcentrandosi,

poi li riaprì sorridendo. Di colpo,caricò lanciando il tridente. La suapunta,

accesa di riflessi scuri, perforò labarriera come fosse fatta di nulla.

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Fabio

ne seguì la parabola sopra la suatesta, e solo quando la videperforare

anche il tetto della villa capì.

«No!» urlò lanciandosi in avanti,ma era già troppo tardi.

Karl gettò all’aria tutto nellaboratorio. Frugava tra gli scaffalicon

violenza. Le boccette caddero a

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terra, e così gli alambicchi, e moltadella

strumentazione che aveva costruitoin quei mesi. Prese alcuni piccoli

contenitori e tornò di corsa daSofia, che continuava a tenerestrette le due

parti del frammento.

Spalmò quel che restava della pastadi Gemma anche sull’ultimo

pezzo, e lo mise al suo posto.

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«Stringi» impose a Sofia, poi preseil sacchetto di plastica con dentro

una sostanza biancastra che avevaportato con sé.

«Cos’è?» chiese Sofia.

«Ghiaccio istantaneo. Se funziona,dovrebbe congelare la linfa.»

Premette il sacchetto al centro, loscosse e lo passò lungo le linee di

frattura del frutto. All’inizio non

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sembrò succedere niente. Dietro diloro,

Lidja si lamentava a voce semprepiù alta. Sofia si girava verso di leia

intervalli regolari, e la vedevasempre più pallida e provata, imuscoli

contratti.

Quando si girò l’ultima volta versoil frutto, si accorse che finalmente

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la pasta verde iniziava acristallizzare. Si trasformavalentamente in un

composto duro, della consistenzasimile al materiale di cui era fatto il

frutto stesso, che si accese per unistante di una debolissima luceverdastra.

«Funziona! Sei un genio!» esultòSofia.

«Grazie» disse Karl, continuando a

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passare la busta su tutta la

superficie del frutto.

«Chiamo Fabio e Nida» disseSofia, mollando finalmente il frutto:

aveva le mani indolenzite. Stavaper prendere la bambolina, quando

percepì qualcosa, una sensazione dipericolo incombente. Si slanciòverso

Lidja nell’istante stesso in cui iltridente di Ofnir bucò il soffitto

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sulle loro

teste. Sofia quasi non lo vide. Conun urlo abbracciò l’amica e si gettòsul

pavimento insieme a lei: il tridentela sfiorò appena e cadde a terra conun

clangore assordante.

«Sofia! Lidja!» gridò Karl.

Sofia si tirò su scuotendo la testa,ma Lidja rimase a terra, pallida

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come un cadavere. Un lungo tagliole attraversava la fronte; sembrava

superficiale, poco più di un graffio,ma aveva colpito in pieno il suoneo.

L’Occhio della Mente era spento,tagliato in due da una striscia disangue.

Ed era diventato marrone. Unsemplice, comunissimo neo.

Nida afferrò Fabio per un braccio,

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impedendogli di correre verso la

villa. «Mi servi qui» ruggì.

Non fece neppure in tempo a dirlo,che i nemici dilagarono per ogni

dove. Doveva essere successoqualcosa a Lidja, e la barriera siera dissolta.

«Occupati degli Assoggettati, io mela vedo con Ofnir» aggiunse

Nida, ma Fabio la scansò senza direuna parola. Spiccò il volo, e si mise

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davanti al capo degli Assoggettati.

«Da qui non passi» disse.

Ofnir gli rispose con un sorrisetto.«È da tempo che non ammazzo un

drago: sarà un piacere cominciareproprio da te. Mi hanno detto chehai

ucciso uno dei nostri. Spero tu siaall’altezza della tua fama, perché iolo

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sono molto della mia, più di quantoimmagini.»

«Lidja! Lidja!» Sofia continuava ascuoterla e a chiamarla, invano.

Karl cercò di mantenere la calmaed esaminò la ferita che aveva sulla

fronte. «È poco più di un graffio…»

«E allora perché non si riprende?Lidja!» continuò a implorare Sofia.

Era fuori di sé. Ce l’avevano quasifatta, dannazione, erano a un passo

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dal

ricomporre il frutto di Thuban edalla fuga. Perché dovevasuccedere tutto

proprio ora?

Il volto di sua madre si sovrapposea quello di Lidja, e per un istante

ci fu posto solo per una paura cieca,che la bloccò con le mani strette

convulsamente intorno alle spalledell’amica.

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“Non posso veder morire un’altrapersona cara, semplicemente non

posso…”

Le mancava l’aria, il mondo intornoprese a girare. Poi, dal fondo

dell’animo, sentì la voce di Thubane fu di nuovo presente a se stessa.«Il

frutto è ricomposto?» chiese a Karl.

Il ragazzo lo sollevò piano: con

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indescrivibile sollievo, Sofia videche

stava insieme, e brillava di una lucevivida.

«Ce l’abbiamo fatta!» mormoròKarl.

«Adesso prendi Lidja e il frutto evai al sottomarino. Se non arrivo in

venti minuti con Fabio e Nida,scappate» ordinò Sofia.

«Ma…»

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«Non è il momento di discutere.Obbedisci.»

Karl sospirò e annuì. «Stai attenta.»

Sofia corse fuori.

Ofnir iniziò l’attacco lanciandofurenti raffiche di lampi viola.Fabio

riuscì a schivarne la maggior partee bloccò gli altri con un muro di

fiamme. Approfittò di un istante di

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distrazione di Ofnir e lanciò una

fiammata violenta, ma quello mosseun braccio, e dal nulla comparveuna

barriera trasparente, intessuta divenature nere. Fabio insistette,

aumentando la violenza e il caloredegli attacchi. L’erba del giardinoprese

fuoco e le scintille iniziarono apropagarsi, ma il sorriso beffardo

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sul volto

di Ofnir non mutò e la sua barrieraresistette.

Allora Fabio si lanciò contro di luie lo gettò a terra, cominciando a

colpirlo ovunque con gli artigliavvolti dalle fiamme. L’armatura diOfnir

sembrava però animata di vitapropria; si allargava e si ritirava acomando,

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coprendo di volta in volta le partidel corpo che Fabio cercava dicolpire. I

suoi artigli producevano scintille,ma non facevano danni al nero

durissimo di quella corazzaimpenetrabile. Fuori di sé dallarabbia, provò

ad addentare il torace del nemico,ma le sue zanne di drago nonriuscirono

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a scalfire la protezionedell’armatura.

«Basta con questi giochetti… misono divertito abbastanza» disse

Ofnir. Dall’armatura prorupperoteste di serpi, che avvolsero il capodi

Fabio e lo allontanarono dal corpodell’avversario. La presa deiserpenti

era ferrea e implacabile: gli

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serrarono la mascella e siavvolsero intorno

alle narici, fino a togliergli ognipossibilità di respirare. Fabio sidibatteva

disperatamente.

Poi, di colpo, la presa si allentò elui cadde a terra, urtando

dolorosamente la mascella. Quandosi tirò su, vide che le serpi di Ofnir

erano strette nella presa di lunghe

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liane verdi. Davanti alla porta dellavilla

era apparsa Sofia.

«Sofia!» urlò Fabio con tutto ilfiato. Si levò in volo, approfittandodi

quell’istante di impaccio di Ofnir,ma non appena ebbe guadagnatoaltezza

intravide il corpo nero di Nida,quasi del tutto avvolto dagli

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Assoggettati,

la coda che si agitavascompostamente. Non ci pensò unattimo: evocò un

muro di fuoco e gli Assoggettatiretrocessero quel tanto che bastavaper

permettergli di raggiungere Nida erisollevarla.

«Ma che diavolo fai?» disse lei, tralo stupito e lo scandalizzato.

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«Ti porto in salvo.»

Corsero lungo il prato, mentre Sofiacercava di tenere a distanza le

serpi di Ofnir lanciando fasci diliane. Riuscì a bloccarle quasi tutte,tranne

una, che strisciò subdola sull’erba,afferrò Fabio alla caviglia e lo fece

cadere.

«Va’!» urlò Fabio. Nida rimaseincerta. «Scappa, dannazione!»

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Le serpi si moltiplicarono e gliavvolsero il corpo. La loro presaera

intollerabilmente stretta, tanto datogliergli il fiato. Una gli salì finoalla

testa e prese a strisciare viscidalungo le guance e sul naso, fino allafronte.

Poi, d’improvviso, Fabio avvertì undolore lancinante, giusto al centro

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della fronte, là dov’era l’Occhiodella Mente. I piccoli, affilati dentidella

serpe si erano stretti attorno al neo,e lo stavano svellendo dalla carne.

Con un urlo, Sofia si trasformò inThuban e si lanciò contro i

serpenti. Iniziò a trafiggerliovunque con gli artigli, ma nonbastò. Un urlo

di Fabio, e la serpe staccò dalla sua

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fronte un frammento sanguinolento.

«Ora!» urlò Nida, ed evocò una retedi filamenti neri che avvolse

Ofnir. Sofia ruggì e colpì nelmedesimo istante con tutta la forzache

aveva. Finalmente recise le testedelle serpi, e il corpo di Fabio siaccasciò

al suolo.

Fu Nida a raccoglierlo.

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«Andiamo!» urlò. Sofia si riscossee fuggì

con loro verso la villa, ma lospettacolo che li accolse erainfernale. Le

fiamme di Fabio avevano attecchitoall’interno, e l’ambientecominciava a

riempirsi di fumo; dal piano disopra si intravedeva il rossobaluginante di

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un incendio.

«Da che parte andiamo?» chieseNida. Zoppicava, ma cercava di

procedere spedita.

«Di qua» rispose Sofia. Corseroverso l’ingresso del dungeonproprio

mentre sentivano la portad’ingresso che cedeva di schianto,poi il rumore

metallico delle protesi degli

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Assoggettati, e una presenza piùoscura, più

potente, dietro di loro.

Corsero e corsero, disperate, Fabiocompletamente abbandonato nella

loro presa. A ogni bivio, toccava aSofia decidere. Sceglieva d’istinto,

perché le sembrava di nonricordarsi neppure più la strada checonduceva

al sottomarino. Ogni pensiero era

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annullato dall’immagine della testadella

piccola serpe, tra le zanne un lembodi pelle di Fabio.

Il fumo iniziava a farsi denso anchelà sotto. Sofia pensò al

professore e a Thomas, chiusi sottola Gemma, pensò alla villa avvolta

dalle fiamme, pensò alla sua vitache collassava su se stessa.

Finalmente davanti a loro comparve

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una grande porta di bronzo a

tenuta stagna. Era socchiusa, e oltreli attendeva il sottomarino.Sembrava

un enorme giocattolo di bronzo, conla sua forma di pesce, con tanto di

pinne e occhi. Karl li aspettava allosportello. «Cos’è successo?»

«Chiudi!» gli intimò Sofiagettandosi dentro il sottomarino.«Portaci

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fuori di qui, subito!»

Karl si mise ai comandi senza faredomande, aprì la prima paratia

esterna e l’acqua lentamente irruppenell’ambiente, mandando il

sottomarino a sbattere contro lepareti.

«Spalanca quella maledettachiusa!» gridò Sofia.

Karl obbedì e fece alzare la chiusache separava i sotterranei dal lago.

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L’acqua li investì violenta e per unistante si sentirono

completamente in balia della suaforza, mentre il sottomarino veniva

sballottato come un tappo disughero in un bacile d’acqua.

Poi Karl riprese il controllo delmezzo, infilò la chiusa, e finalmente

furono nel buio calmo erassicurante del lago.

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24.Sott’acqua

Le luci del sottomarino riuscivanoa penetrare l’oscurità solo per

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pochi

metri. I fari illuminavano unpanorama alieno di acqua torbida,popolata da

steli lunghissimi di alghe rossastreche si tendevano verso lasuperficie. Il

fondale era un ripido diruporoccioso e il silenzio era rotto solodal dolce

ronzio del motore.

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Chloe era china su Lidja, mentreSofia si occupava di Fabio. Si era

strappata un brandello di magliettae ne aveva fatto una compressa chegli

premeva sulla fronte. Era già quasidel tutto rossa di sangue: il suoodore

dolciastro e metallico le sembravariempire lo spazio della piccolacabina.

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Poche volte si era sentita cosìdisperata e impotente come in quel

momento. Aveva la sensazione didover arginare il mare a mani nude.Per

quanto premesse, per quantostringesse con forza la testa diFabio, la ferita

continuava a sanguinare, e lui erasempre più pallido.

Karl si alzò dal posto di guida,

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facendosi dare il cambio da Gillian.

«Il professore è un tipo previdente,sono sicuro che qui dentro, daqualche

parte, c’è un bel kit di prontosoccorso» disse.

Si mise a frugare mentre Sofiacontinuava a tenere il pezzo distoffa

premuto sulla fronte di Fabio.Quando tornò, aveva tra le mani una

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scatolina di legno chiusa da ganci inottone, con una piccola croce rossain

un tondo bianco disegnata sulcoperchio. Dentro c’era tuttol’occorrente:

garze, compresse di ovatta,disinfettante, cerotti, forbici, ago efilo.

«Avevo ragione» disse. Poi guardòmeglio Sofia. «Sofia… tutto

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bene?» le chiese.

«Perché?»

Karl le indicò la bocca. Sofia se latoccò: era bagnata. Si guardò le

dita e vide che era sangue: si eramorsa le labbra fino a farlesanguinare.

«È solo un graffio. È Fabio che mipreoccupa.»

«Adesso lo sistemiamo» cercò dirassicurarla Karl. Piano, ma con

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fermezza, le scostò la mano dallafronte di Fabio. Poi ispezionò laferita e

quindi la pulì con del cotone edisinfettante. «Va suturata» disse.

«Altrimenti non smetterà più disanguinare.»

Sofia sentì la testa che le girava.«Sai farlo?»

Karl la guardò. «Non ho neanchemai rammendato un calzino…

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Dimmi che tu te la cavi meglio.»

Sofia annuì. All’orfanotrofio avevaseguito un corso di ricamo, una

delle poche cose che ricordava conpiacere di quel periodo della suavita.

Era rilassante stare lì sedute ecomporre piccoli disegni a puntocroce. Ma

l’idea di ferire deliberatamente lapelle di Fabio, di cucirla come

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fosse un

fazzoletto… Sentì la nauseamontare. Eppure non c’era altrascelta.

«Dammi ago e filo» disse.

«Sei sicura di sentirtela? Seiimpallidita, magari Gillian…»

Sofia scosse la testa. «Ce la possofare.»

Fu più difficile del previsto. Le suemani erano percorse da un

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tremito convulso che non riusciva adominare, e come se non bastassenon

c’era molta luce a illuminare i suoigesti. Già imbroccare la crunadell’ago

fu un’impresa.

Scostò con una mano i riccioli diFabio, guardò la ferita. Era una

specie di buco rosso cupo daicontorni slabbrati. Aveva un aspetto

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osceno,

sulla sua pelle candida, coperta daun sottile velo di sudore. Sofiascacciò

la nausea, quindi pizzicò la pellecon l’ago. Procedette ripetendosiche era

solo un pezzo di stoffa, nient’altroche un pezzo di stoffa. Tutto avevaun

aspetto irreale, ma continuò finché

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non suturò la ferita. Tremando,tagliò il

filo con le forbici. Karl la coprìprontamente con una compressa digarza e

poi con dei cerotti.

«Sei stata fantastica» le disse conammirazione, e Sofia avrebbe

voluto saltargli al collo eabbracciarlo. «Ora occupiamoci diLidja.»

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Con lei le cose furono molto piùsemplici. Bastò disinfettare e

mettere sul taglio un po’ di cerottiche accostassero i lembi di pelle.

Bendarono il tutto, ed ebbero finito.

Non appena terminate lemedicazioni, Sofia sentì un violento

giramento di testa e si ritrovòappoggiata alla parete delsottomarino,

piegata in due dalla nausea.

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«Tutto a posto?» le chiese Karl.

Sofia annuì, pallidissima. «È statosolo un po’ impegnativo» rispose.

«Ma ho paura che non basti. Hannoperso molto sangue, e poi le feritenon

sono normali, ma causate dacreature di Nidhoggr. Sento chequel

maledetto sta ancora agendo su diloro, per questo non si svegliano.»

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«La barriera è caduta, non c’è mododi proteggerli ora» disse Karl.

«Invece possiamo. Al centro dellago» spiegò Sofia «dovrebbe

esserci una specie di bolla d’aria,vicino al fondo, dove c’è il luogo incui

Nidhoggr è stato prigioniero pertutti questi secoli. Dobbiamo andarelì.»

«In bocca al nemico?» esclamò

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Ewan, esterrefatto.

«Nidhoggr non c’è più, mi sembrache ne abbiamo le prove» e Sofia

guardò di sottecchi Nida. «Lì sottoc’è un tempio, o almeno c’era, aquanto

ci ha raccontato il prof. Forselaggiù ci sarà ancora una traccia diThuban,

un’eco del suo sigillo… Forsebasterà per proteggere Lidja e

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Fabio, perché

altrimenti…» non riuscì ad andareoltre.

«È una pazzia» disse Karl.

«È l’unica soluzione» insistetteSofia.

Karl tornò ai comandi, ilsottomarino accelerò. Continuaronoa

procedere cercando di costeggiareil fondo. Non si vedeva quasi

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niente.

Sofia se lo ricordavacompletamente diverso, quel lago.L’ultima volta che

c’era stata, l’acqua non era cosìtorbida, né il buio così completo.Tutto lì

intorno sembrava parlare didisperazione.

Poi i fari illuminarono qualcosa chebrillava debolmente.

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Sofia si sporse in avanti perguardare attraverso l’oblò. «Èquella!»

esclamò.

Un paio di metri davanti a loro,vibrava un’enorme bolla cheriluceva

cangiante alla luce dei fari.

«Entra» disse Sofia.

«Ma se non c’è acqua ilsottomarino non può navigare»

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obiettò Karl.

«Abbiamo soltanto due scafandri, enoi siamo in otto. E anche

volendo, non potremmo farliindossare a Fabio e a Lidja.Striscia sul fondo

ed entra nella bolla.»

Karl obbedì. Avvicinò ilsottomarino il più possibile alfondo, finché

non sentirono il bronzo che

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strisciava sulla sabbia. La viderosollevarsi in

pigre volute nere. Karl avanzòlentamente e attraversarono lasuperficie

della bolla. Fu come oltrepassareuna cortina d’argento. La luce deifari si

riflesse un istante, poid’improvviso fu libera di spaziaresu un panorama

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lunare; roccia basaltica a perditad’occhio e, in fondo, rovine diantichi

palazzi. Non appena il muso sbucòfuori dall’acqua, il sottomarinocadde

in avanti e la parte anteriore cozzòviolentemente a terra, strisciandolungo

la roccia, spinta dai propulsori.Karl li spense subito, maproseguirono per

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inerzia alcuni metri. Il rumore delbronzo che strusciava sulla rocciafu

assordante, e temettero che si fosserotto qualcosa. Poi si fermarono di

botto, e Chloe e Gillian caddero inavanti.

«Ci siamo» disse Karl dopoqualche secondo di silenzio. «E

speriamo di essere tutti interi, o quasotto ci resteremo per sempre.»

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Fu sempre lui ad aprire ilportellone. Si sporse di fuori, e unforte

odore di acqua stagnante riempìl’abitacolo.

«Scendete» disse Sofia. «Tu, Karl,no: mi servi qui. Dobbiamo

portare fuori Fabio e Lidja.»

In due presero prima Fabio poiLidja, attenti a non far loro male, eli

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posarono sul fondo sabbioso dellabolla. Le cose, là sotto,all’apparenza

non sembravano cambiate molto daquando Sofia c’era stata l’ultimavolta,

a parte… Rimase interdetta. Lasagoma del tempio all’orizzonte era

sparita.

Sempre sorreggendo i feriti,avanzarono lungo la piana. Laggiù,

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un

tempo, sorgeva Draconia. La città,ormai in rovina, aveva assistito

all’ultimo scontro fra Thuban eNidhoggr e, quando infine il dragoera

morto, si era staccata da terra eaveva preso il volo. Al suo posto,si era

formato il lago. Un po’ alla voltacominciarono a imbattersi nelle

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rovine

del tempio. La piana nerastra eradisseminata di minuscoli frammenti

bianchi. Sofia sentì un colpo alcuore. Sapeva perfettamente di cosasi

trattava, ma aveva sperato che perqualche miracolo il tempio si fosse

spostato, oppure di essersisbagliata sulla sua collocazione.Avevano un

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disperato bisogno di un postosicuro, e se anche il tempio non loera più,

dove avrebbero potuto rifugiarsi?

Quando arrivarono nel luogo dovesorgeva, ogni dubbio fu spazzato

via. La piccola costruzionecircolare non esisteva più. Dalsuolo si

innalzavano i tronconi dellecolonne, disposti in circolo. Si

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levavano da

terra per poche decine dicentimetri: sembravano zannescheggiate,

sbilenche e bianchissime. Il tettoera scomparso, e anche ilpavimento

sembrava esploso. Della pietra nerache chiudeva la prigione diNidhoggr

non c’era più traccia. Al suo posto,

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restava un profondo buco,imbrattato di

una sostanza catramosa ormaicristallizzata: il sangue dellaviverna.

«Il tempio non esiste più…»constatò Ewan. «Percepisciqualcosa?»

chiese poi rivolto a Sofia.

Lei si guardò intorno smarrita. No,non sentiva niente, a parte

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quell’acuta sensazione di disagioche le trasmetteva l’ombra delpotere di

Nidhoggr. Tutto sapeva di lui, làsotto.

«La bolla c’è ancora…» disse.«Quindi il potere di Thuban nonpuò

essersi dissolto. Non è normale checi sia una bolla del genere sotto un

lago.»

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«Magari è il potere di Nidhoggr,magari è una trappola.»

«Se fosse una trappola sarebbe giàscattata» osservò Sofia.

«Comunque, anche se non fosserimasta neppure una traccia delpotere di

Thuban, ci conviene rimanere quisotto. È pieno del sangue diNidhoggr, e

credo che questo schermi i nostri…

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i miei poteri. Da fuori nonsaprebbero

individuarci… giusto?» E guardòNida in cerca di conferma. Leiannuì.

«Ma la pietra su cui era imposto ilsigillo che bloccava Nidhoggrsottoterra

è scomparsa. Adesso voi state qui,e io vado a cercarla, d’accordo?»

Non aspettò una risposta, e si

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avviò. Sentiva un disperato bisognodi

restare in azione, perché aveva ilterrore che, se si fosse fermata,sarebbe

crollata.

Batté la piana a palmo a palmo,frugando tra le rovine del tempio. I

ruderi sopravvissuti erano miseri, eper buona parte il marmo era stato

disintegrato in una specie di sabbia

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bianchissima. Eccolo, il potere di

Nidhoggr, un potere che avevaattraversato indenne i secoli, imillenni. Poi

vide un oggetto semisepolto nellasabbia, dalla forma stranamente

regolare. Quando si avvicinò,esultò: era indubbiamente unframmento

della pietra. Era completamenteincrostato del sangue di Nidhoggr,

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ma era

quello senza dubbio. Cercò ancora,e trovò gli altri due. Accostandoli,si

accorse che la lastra ridiventavaquasi integra, segno che non si era

sgretolata quando Nidhoggr l’avevaforzata. Quindi il suo potere avevadei

limiti, oppure…

“Oppure il potere di Thuban è

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ancora attivo.”

Tornò dai suoi compagni con unbarlume di speranza. Erano sedutiin

circolo, i due feriti sdraiati a terra,sotto la testa un paio di magliette amo’

di cuscino.

«Ecco la pietra su cui Thuban haposto il sigillo» disse Sofia

posandola a terra. «Sopra c’è il

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sangue di Nidhoggr, è quello aschermarne

il potere.»

Fece per grattarlo via con le mani,ma Chloe la bloccò afferrandole il

polso. «Quando eravamo a Napoli,Karl ha fatto così… E quando il

frammento fu ripulito, hacominciato a brillare e harichiamato i nemici»

disse spaventata.

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Sofia rivide in un flash sua madre:doveva aver fatto lo stesso, perché

quando avevano preso il frammentoera del tutto pulito. Era stato quello,a

perderla, il suo desiderio di vedere,per una volta, un pezzo del mondodi

sua figlia.

«A noi quel potere serve» disse.«Serve perché Lidja e Fabio stanno

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male, e credo possa proteggerci.»

«Lo faccio io» intervenne Nidafacendosi avanti. Prese i frammenti

della lastra e iniziò a pulirli.

«Credi che li attirerà?» le chieseSofia.

«Questo posto ha tenuto prigionieroNidhoggr per millenni, ed è stato

infranto solo grazie alla rottura delfrutto… Stiamo parlando di un

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potere

che ha travalicato quello diNidhoggr per tantissimo tempo, eche

comunque lui non sarebbe stato ingrado di superare, non fosse statoper il

frutto. No, non li attirerà.»

Le ci volle poco per terminare illavoro, nonostante l’operazione le

causasse un evidente disagio.

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Dunque era vero, c’era ancoraqualcosa del

potere di Thuban su quella lastra.Quando anche l’ultimo residuo disangue

cadde a terra, Sofia finalmente losentì; il potere del sigillo. Erabenefico, e

prometteva protezione.

«Mettete i frammenti sotto le testedi Lidja e Fabio» disse, e i ragazzi

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obbedirono.

Ewan si sistemò vicino a Lidja,mentre gli altri entrarono nel

sottomarino a prendere quello chepoteva servire. Trovarono alcune

coperte, che portarono nei pressidel tempio.

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Sofia rimase accanto a Fabio pertutto il tempo. Ne studiava

ossessivamente il volto, alla ricercadi un segnale qualsiasi che lefacesse

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capire che era fuori pericolo, che sisarebbe salvato. Il suo colorito

rimaneva però cereo, e il suorespiro lievemente affannoso.Cercò di non

lasciar trasparire dal volto alcunaemozione. Vedeva come gli altri la

guardavano, percepiva quantoavessero bisogno di lei, della suadecisione,

della sua speranza.

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Lentamente, la stanchezza prese auno a uno i suoi compagni, finché

non fu sola, là di fronte alle macerieche parlavano del fallimento di

Thuban.

25.L’ora più buia

Nell’attesa, Sofia dormì un sonnoagitato. Si assopiva ogni tanto, mauna

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sensazione di costante pericolo eangoscia la costringeva ad aprire di

continuo gli occhi. A intervalliregolari, guardava Fabio. Daquando aveva

suturato la ferita, la benda erarimasta di un bianco immacolato.Lui

continuava però ad essere pallido,anche se il respiro si eraregolarizzato.

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Non si era ancora ripreso, e lostesso poteva dirsi di Lidja, cheperò

sembrava in condizioni migliori.Tutti gli altri dormivano, fattaeccezione

per Nida, che si era allontanata inesplorazione.

«Io non ho quasi mai bisogno didormire» le aveva spiegato primadi

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andarsene.

«E cosa fai di notte?»

«Quando combattevo ancora perNidhoggr, ero spesso in giro in

missione, ma adesso…»

Sofia l’aveva vista sparire lungo ladesolazione della piana.

D’un tratto si sentì sfiorare la manoe capì di essersi appisolata; si

riscosse dal torpore, e ad

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accoglierla vide gli occhi verdi diFabio. Era

provato, ancora non del tutto inforze, ma era sveglio. Le sorrise, ilsolito

sorriso un po’ sfrontato che tanto lescaldava il cuore. Se non avesseavuto

paura di fargli male, gli sarebbesaltata al collo. Invece si limitò achinarsi

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su di lui e ad accarezzargli piano icapelli, come fosse una cosafragile.

Non ci poteva credere. Era salvo,salvo! Allora non era stato tuttoinutile!

«Dove siamo?» chiese Fabiosussurrando per non svegliare glialtri.

«In fondo al lago di Albano. Siamoal sicuro, non ti preoccupare.»

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«I frutti?»

«Anche quelli sono tutti al sicuro.Ma tu come ti senti?»

Il suo sorriso si velò, e il cuore diSofia si strinse.

«Vuoto» mormorò. «È andato via,Sofia.»

«Troveremo il modo di farlotornare, te lo giuro» disse lei

continuando ad accarezzargli lafronte. Era salvo, le parlava, e

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questo per il

momento bastava.

«Mi dispiace di averti lasciatasola…»

Sofia scosse la testa con decisione.«Non l’hai fatto, non l’hai mai

fatto. Finché sarai al mio fianco, ionon sarò mai sola.»

«Avrei voluto starci fino alla fine erisparmiarti questo dolore.»

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Tese una mano verso di lei e con undito raccolse un’unica, piccola

lacrima.

«Ti aiuterò comunque» insistette«hai capito?» E la guardò con

intensità.

Sofia non poté fare altro cheannuire. «Adesso pensa a riposare.È

stata una giornata pesante.»

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Gli rimase accanto finché non siassopì, poi si alzò cercando di non

fare rumore.

La piana, alla luce freddadell’unica lampada che eranoriusciti a

rimediare – il professore,previdente come sempre, l’avevamessa accanto

alla cassetta del pronto soccorso,nel sottomarino – sembrava ancora

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più

desolata. Le rovine del tempiorilucevano di un candore innaturale,

mortale. Sembravano ossasbiancate dal fuoco, i restiscarnificati di un

essere vivente massacrato.

Sofia camminò piano verso quelche restava del tempio, verso

l’ampia voragine che si apriva alposto del pavimento. Nel silenzio

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di

quella notte profondissima, non erapiù Thuban, non era più l’ultimo

Draconiano rimasto sulla facciadella Terra. Era solo Sofia, laragazzina

che all’orfanotrofio nessuno volevaadottare, la figlia fifona delprofessor

Schlafen. Se ripensava a quegli annitrascorsi con lui, non si capacitava

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di

come avesse potuto fare quantoaveva fatto. Tutto le sembravaavvolto da

un’atmosfera di sogno, come se nonsi fosse trattato d’altro che di una

lunga visione, meravigliosa eterribile.

Non erano passati neppure due annida quando, proprio sulle sponde

di quel lago, aveva scoperto la sua

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vera natura. Anche l’incontro con il

primo Assoggettato le sembravaqualcosa di irreale. E adesso cheera sola,

come pensava di cavarsela? Comeaveva anche solo potuto sperare di

vedersela con un potere cosìtremendo e soverchiante comequello di

Nidhoggr? Non si era trattatodavvero di una lunga illusione, di

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un sogno

senza speranza? Per un istante siaugurò di poter tornare a quellasera in

cui aveva scoperto tutto, e ilprofessore le aveva dato lapossibilità di

scegliere. Se avesse rifiutato il suodestino allora… Chissà, a quest’ora

forse non sarebbe stata là sotto, avivere la sua ora più buia, ma in

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mezzo

agli altri esseri umani, ridotta a unfantoccio nelle mani di Nidhoggr.Un

Assoggettato, un essere senzavolontà, certo, ma anche senzacoscienza,

senza dolore. Era poi un destinocosì terribile?

Si inginocchiò davanti alla voragineche segnava il punto in cui

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Nidhoggr era stato confinatosottoterra per millenni. Poggiò lemani sulla

terra smossa, nel petto un’angosciache non aveva mai provato prima.Non

cercò di contrastarla; l’avevaseppellita in fondo al cuore pertroppo tempo,

non si era concessa un istante didebolezza da quando era morta suamadre.

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Da allora gli eventi l’avevanoavvolta in un unico turbine, e nonc’era stato

tempo per riflettere o anche soloabbandonarsi al lutto, se non perbreve

tempo. Ma adesso, adesso avevabisogno di lasciare spazio alledomande,

ai dubbi, alla disperazione, persino.Chiuse gli occhi, li strinse conforza.

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“Ti prego, so che qualcosa di tedeve essere rimasto in questoluogo,

oltre che in me. Io… io davverosono stanca e disperata. Non misono mai

sentita così sola in tutta la mia vita.Tu ci sei sempre stato, ogni voltache

ho avuto bisogno di te, ogni voltache si è trattato di combattere. Ma

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adesso… non lo so se sono in gradodi andare avanti. Lui è forte, piùforte

di quanto immaginassi, e lo sentoovunque, come se avesse già vinto.

Dimmi cosa devo fare.”

Strinse le dita sulla terra smossa. Ilsangue di Nidhoggr le bruciava le

palme.

Andare avanti, come hai semprefatto, rispose una voce dal

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profondo

del suo cuore .

“Non so se ne sono capace. Hocercato di farmi forza eincoraggiare

gli altri, ma adesso sono io ad averbisogno di conforto!” Chissà come,

Sofia percepì che Thuban stavasorridendo.

Anche Lung pensava di nonfarcela, e guardati: la sua forza

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era tale

che è sopravvissuta ai secoli, aimillenni, ed è arrivata fino a te.

“Lung era diverso, Lung era statoaddestrato dai draghi…”

Lung era un ragazzo come te.

“Dovevamo essere in cinque, ancheLung non era solo come me

ora…”

Non è finita, Sofia, non è finita

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fino a quando non deciderai di

arrenderti. Non è un caso che siatequi, non è un caso che i fruttisiano

qui. Devi aver fiducia in te stessa enei tuoi poteri.

“È possibile evocare Draconia,anche se gli altri non sentono più i

loro draghi?”

Il potere di Nidhoggr ha bloccatola voce dei draghi nei tuoi

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compagni Draconiani. Non sieteabbastanza forti per evocare ipoteri dei

frutti.

“E allora che cosa ci rimane?”

Forse nulla, forse tutto. Ma deviessere pronta ad accettare questa

prova, a muovere un difficile passoper vincere. Devi usare tutta la tua

forza. Adesso. Da sola. In questo

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luogo. Il tempio è dotato di unenorme

potere. Anche se Nidhoggr l’haridotto a pezzi, il potere rimane inogni

sua pietra. Se ti concentri, puoiriuscire a percepirlo.

Era vero, pensò Sofia. A mano amano che la voce di Thuban la

guidava, riusciva a sentire ognibriciola del tempio sparso sul

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terreno, ogni

suo frammento.

“Sì, lo sento.”

Devi usare la tua energia permettere questi frammenti in

connessione, Sofia. Devi far sì cheper un attimo il tempio torni avivere. È

un compito difficilissimo, ma se ciriuscirai, io potrò aiutarti acombattere

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ancora.

“E se non ci riuscirò?”

Allora sarà la fine di tutto.

Sofia rimase gelata. Quello che sicelava nelle parole di Thuban era

evidente. Se avesse fallito sarebbemorta, e subito dopo di leisarebbero

morti tutti i Draconiani. Fabio… Ilprofessore.

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“È troppo! Non sono in grado difarlo.”

Sei l’unica che possa riuscirci. Esei molto più forte di quello che

credi. Ma sei tu che devi decidere.

Sofia ripensò a tutto quello cheaveva avuto da quando aveva

incontrato il professore, alle gioie ealle sconfitte. Pensò alla mortedella

madre, agli abbracci di Fabio. Al

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primo bacio. Valeva la penarischiare per

tutto questo? Sì, mille volte sì.

“Va bene.” Si concentrò come nonaveva mai fatto in vita sua. Sentì

l’Occhio della Mente diventarerovente, e per un attimo le parve di

rivedere davvero il tempio com’eraprima, ma fatto di pura energia che

fluiva da lei come acqua. Fu solo unattimo, poi la magia scemò e la

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forza

cominciò a disperdersi.

“È tutto inutile” pensò. Una cupadisperazione iniziò a sommarsi alla

fatica fisica. “Non mi abbandonare,Thuban, non ora…” pregò.

Le restava un ultimo barlume diforza; sapeva che se avesse speso

anche quello, non sarebbe riuscita arestare cosciente ancora a lungo, ma

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gridò, e liberò quell’ultima tracciadi potere che le era rimasta.

All’improvviso ogni cosa le parveilluminarsi e risplendere di unpotere

nuovo. La sua forza risuonava con iframmenti del tempio e arrivava più

lontano, sino ai frutti ancoraconservati nel sottomarino, checominciarono

a risplendere, lanciando raggi di

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luce accecante che avvolsero tutto e

svegliarono i Draconiani distesiaccanto ad essi.

«Cosa sta succedendo?» chieseKarl ancora assonnato.

«Sofia» mormorò Fabio. I fruttiesplosero di luce, viola, verde,rosa,

azzurra e oro. I cinque colori sifusero in un bianco accecante cheriempì

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per intero la bolla, e un poteredevastante li attraversò tutti da capoa piedi.

La forza della deflagrazione fu taleche furono spinti lontano, tramortiti.

Fabio fu il primo ad aprire gliocchi, seguito dagli altri. La piana

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sembrava la stessa, e così lavoragine da cui Nidhoggr erascappato: fatta

eccezione per un unico,significativo particolare. Fabiosentì la bocca

seccarsi all’istante.

«Dove sono i frutti? E dov’èSofia?»

Ma, per quanto li cercasseroovunque all’interno della bolla, non

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furono in grado di trovarli.

26.Ritorno a casa

La prima cosa che Sofia percepì fuil vento sulla pelle. Non era il vento

cattivo, teso, che nei giornid’inverno faceva impazzire i suoicapelli

crespi. Era una leggera brezzaprimaverile, piacevole, invitante.

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Aprì gli occhi piano, e quel chevide fu il verde intenso di un vasto

prato. Il profumo dell’erba eraquasi inebriante. C’era molta luce,così

tanta che quasi l’accecava e leimpediva di vedere più chiaramentedove si

trovasse. Si tirò su pianostrofinandosi gli occhi. Si sentivaconfusa, come

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dopo un lungo sonno pomeridiano.L’ultimo ricordo era la sensazionedi

ogni forza che l’abbandonava. Siera sentita precipitare, possedutadalla

terribile sensazione che non ci fossefine alla caduta.

Il cuore fece un balzo. Se mettevainsieme i pezzi – contando anche

che quanto vedeva intorno a sé era

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il blu del cielo, il verde del prato eil

bianco di alcune costruzioni chesfumavano nella luce abbacinante –le

veniva in mente un solo pensiero.

“Non sarò morta davvero?”

Nonostante tutto, però, avvertivanel cuore una sensazione

rassicurante, di profondo benessere,come non provava da tempo. Intanto

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i

suoi occhi si erano abituati a tuttaquella luce. Solo ora che vedeva ilsole

si rendeva conto di quanto le fossemancato: giorni e giorni di buio le

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avevano quasi fatto dimenticarel’azzurro profondissimo e terso dicui

poteva brillare il cielo, o quantofosse piacevole il tepore dei raggisulla

pelle. Tutto le sembravameraviglioso, splendente di unaluminosità quasi

mistica.

Nel frattempo andavano

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delineandosi i contorni del luogo incui si

trovava: intorno a lei c’erano dellecostruzioni bianchissime,

probabilmente in marmo. Sofiadistinse il profilo di un grandepalazzo,

sulla cui facciata si ergeva un lungoportico composto da archi a tutto

sesto. Era decorato da un motivogeometrico di marmo bianco e

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grigio,

elegante e raffinato. Al centro siinnalzava una cupola di vetro emetallo,

che però era in parte in rovina: sene distingueva solo metà profilo,mentre

il resto era crollato. Il prato nelquale si trovava doveva esserestato un

giardino, diviso in quattro grosse

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aree da vialetti di lastre di marmo

sconnesse. Tra pietra e pietraaffioravano piante infestanti, eall’incrocio

dei sentieri c’era una piccolafontana prosciugata. La vasca era aforma di

conchiglia, e l’acqua doveva uscireda una sfera decorata posta alcentro,

dalla quale spuntava un tubo di

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metallo roso dalla ruggine. Su unlato, una

balconata di vetro sembrava daresul vuoto.

Si incamminò fino al balcone e,titubante, si sporse. Fu allora che

comprese ogni cosa: il panoramache vide si sovrappose a ricordisepolti, e

a quelli, più vicini, dei sogni cheaveva fatto fin da quando era

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piccola e

ancora viveva all’orfanotrofio. Aisuoi piedi si stendeva un’intera cittàdi

marmo e vetro, abbacinante nel suocandore; le costruzioni sembravano

accavallarsi l’una all’altra, purmantenendo un’impressione diordine

estremo. Molti tetti erano sfondati,il profilo delle torri sbrecciato,

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alcuni

palazzi erano in rovina e nerimanevano solo ruderi pericolanti.

Nonostante fosse mezzo distrutto,quel luogo manteneva una bellezza

sofferta, che commuoveva nelprofondo, e che non esisteva innessun’altra

città al mondo. Il cuore prese abatterle fortissimo: finalmente,dopo tutto

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quel tempo, e contro ogniaspettativa, era tornata a casa. Era aDraconia.

Camminò piano tra le vie dellacittà. Man mano che si addentravatra

i palazzi, ricordava moltissimecose. Ogni angolo le riportava allamente

qualche dettaglio: la casa in cuiaveva trascorso la sua infanzia didrago, la

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terrazza dalla quale per la primavolta aveva spiccato il volo, ilpalazzo nel

quale, assieme ai suoi compagni,aveva ricevuto la sua educazione.Era

come se quella città le appartenesseprofondamente. Non si era maisentita

a casa da nessuna parte, meno chemai a Roma, che per tanto tempoera

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stata per lei nulla più di unacartolina che spiava dal cancello

dell’orfanotrofio. Draconia, invece,era davvero sua, era un posto in cui

riusciva a riconoscersi, in cui sisentiva nuovamente completa. Maisi era

trovata così a suo agio come in quelmomento lungo quelle vie, che purea

un umano dovevano apparire aliene.

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Tutto infatti era gigantesco: ipalazzi,

le strade, le porte. Nei suoi ricordi,tutto invece le appariva di misura

normale, perché erano i ricordi diThuban, le cui dimensioni di dragoerano

perfettamente commisurate a quelledel luogo. Così, anche adessoniente le

sembrava davvero troppo grande,

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perché la sua mente popolava quelposto

delle immagini dei draghi che vierano vissuti. Li poteva vederemuoversi

per le vie, entrare e uscire daipalazzi, consumare in quelle strane

costruzioni le loro vite.

Ogni tanto, però, c’erano deiquartieri in cui tutto tornava amisura

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d’uomo. Erano le aree di Draconiaabitate dagli umani. L’alternanza trale

case enormi, simili a grossichiostri, e le piccole abitazionidegli uomini

non aveva nulla di strano né diartificioso; il passaggio dall’unoall’altro

tipo di costruzione era armonico enaturale.

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L’attenzione di Sofia fu attratta dauna grossa arena. Si fermò, la

guardò a lungo. Rivide gli altridraghi, ancora giovani e inesperti,che lì si

addestravano assieme a Thuban. Erivide anche l’Anziano, di cui alungo

non aveva avuto memoria. Ricordòd’un tratto quanto l’amasse, e dicome

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per Thuban fosse stato un vero eproprio padre. Sentì il cuorestringersi, e

più ancora quando rivide Nidhoggr,bello e forte com’era prima che il

desiderio di potere lo facesseimpazzire. Com’erano statipiacevoli quegli

anni, e com’era bella l’esaltazionenella quale vivevano. Eranogiovani, ed

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erano convinti che l’avvenireriservasse loro cose meravigliose;Draconia

allora sembrava immortale, unposto di splendente bellezza chemai nulla

sarebbe stato in grado di scalfire.

E invece di lì a pochi anni la cittàsarebbe stata distrutta della guerra.

Se ne intravedevano ancora i segni:il nero del fuoco sulle mura di

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alcuni

palazzi, i colpi delle terribili armiche Nidhoggr aveva fatto costruirea

uomini e viverne, e che aveva usatoper riprendersi ciò che ritenevasuo.

Ogni tanto Sofia si affacciava dallebalconate, ed ebbe così modo di

capire che Draconia non era affattotornata sulla Terra, come aveva

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pensato

in un primo momento. Vicino allemura, al livello più basso dellacittà, che

si sviluppava tutta intorno a unadolce collina, aveva visto sotto disé

quella che era inequivocabilmenteuna gigantesca zolla di terrasospesa in

aria. Si vedevano sporgere perfino

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enormi radici, che pendevano suuno

strato compatto di nubi nerissime,increspate come un mare appenamosso.

Le nuvole si dispiegavano a perditad’occhio, senza alcun varco che

permettesse di scorgere cosa cifosse sotto. Draconia si librava neicieli,

volava.

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Sofia continuò a percorrere la cittàe si accorse ben presto di

procedere verso la sommità;qualcosa le diceva che era il postogiusto dove

andare. Quando giunse in cima,rimase senza fiato davanti allospettacolo

del palazzo reale: era immenso, irtodi pinnacoli e guglie, decorato da

marmi policromi, a differenza del

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candore assoluto degli altri edifici.Era

decisamente a dimensione di drago,ma al tempo stesso ispirava un’ariadi

leggerezza, grazie ai minuziosidecori e alle ampie vetrate. Davantisi

apriva un enorme giardino. Le siepiapparivano disordinate, ma glialberi

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erano sani, imponenti, e l’erbaverdissima, rorida di rugiada.

Sofia avanzò lungo uno dei viali,fino a quando non si trovò in un

ampio spazio recintato da un bassomuretto di marmo scolpito. Alcentro,

sorgeva un albero enorme, morto.Le dimensioni sembravano quelledi una

sequoia, col tronco così largo che

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ci sarebbero volute almeno sei osette

persone per abbracciarlo tutto, mal’aspetto era quello di un salice

piangente. I rami si dipartivano daltronco, separandosi a raggiera, finoa

formare la cupola di una chiomaimmensa, con i ramoscelli piùsottili che

sfioravano terra. Nonostante avesse

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un aspetto imponente, era secco:

alcune radici erano esposte, mezzofratturate, e il colore del tronco eraun

grigio malato. Inoltre, i rami eranodel tutto spogli, e a terra c’era un

tappeto di foglie. Non erano delgiallo o del rosso delle foglieautunnali,

ma di un marrone rinsecchito, escricchiolavano morte sotto i piedi.

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Sofia

lo guardò con un misto diammirazione e pena; non potevanoesserci

dubbi: era l’Albero del Mondo.

“Non ha funzionato… È morto,come è sempre stato, e Draconianon

è tornata sulla Terra. È tuttoperduto…”

A cosa era servito allora il

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sacrificio di sua madre, del prof, ditutti

loro? Si accucciò sul terreno enascose il volto tra le ginocchia,finché non

sentì una mano poggiarsi sulla suaspalla. Trasalì e si voltò di scatto.

Lì davanti c’era un ragazzo pocopiù grande di lei, magro e slanciato.

Indossava una corta tunica senzamaniche, verde tenue, stretta in vita

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da

una sottile cintura di cuoio; un paiodi calzoni attillati, di cuoioanch’essi,

che arrivavano appena sotto ilginocchio; e sandali dorati. Avevalunghi

capelli biondi, stretti in una coda, eocchi azzurri limpidissimi. Erapallido,

il volto affilato, e tra le

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sopracciglia aveva un neo chebrillava di una

rassicurante luce verde.

Sofia lo guardò a lungo a boccaaperta. «Lung…» mormorò.

Lui si limitò a sorriderle e aporgerle una mano. Sofia la prese, eil

ragazzo l’aiutò a tirarsi su.

«Ti stavo aspettando.» Aveva unabella voce, pacata e profonda. «Ti

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stavo aspettando da molto tempo.»

Si sedettero vicino all’Albero, suuna panca semicircolare di marmo.

Sofia respirò a pieni polmoni l’ariaprimaverile, poi si girò verso Lung.

«Scusami se sono così diretta… matu non dovresti essere morto?»

Lung scoppiò in una risatacristallina che faceva bene al cuore,e

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Sofia divenne rossa fino alla radicedei capelli.

«In effetti sì, dovrei… e forse losono.» Sofia impallidì, e Lung si

affrettò a spiegare. «Non sono unfantasma, non ti preoccupare.Quando

Thuban morì e Draconia si staccòdal resto del mondo, io rimasi aterra.

Tutto era diverso, dopo la

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scomparsa dei draghi, tutto eraimprovvisamente

terribile e desolato. Consumai lamia esistenza terrena, vissi comevivono

tutti. Poi, quando venne il miomomento, tornai nel posto in cui untempo

si trovava Draconia. Il lago avevagià iniziato a formarsi, e il tempioche

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avevo costruito era già quasi deltutto sommerso. Sentii come unavoce

chiamarmi, ed entrai in acqua. Fustrano, perché là sotto non avevo

bisogno di respirare e non dovevoneppure fare fatica per rimanere sul

fondo. Quando arrivai alla pietranera, quella che sigillava Nidhoggr,

ricordo solo una grandissima luce,e poi mi ritrovai qui, giovane

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com’ero

quando Thuban morì.»

«E sei rimasto qui trentamila anni?»

Lung guardò lontano. «Già.»

«Da solo?»

«Da solo.»

«Non dev’essere stato bello…»

«Tu sai quanto ho amato questoluogo, quanto sono stato felice qui,

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quando ancora c’erano i draghi. Seripenso alla mia vita, tutto ciò chec’è

stato tra la distruzione di Draconiae il mio ritorno mi sembra solo un

lungo incubo: mi sentivo fuoriposto, sulla Terra, nonostante i mieiaffetti e

la vita che là mi ero costruito. Eraquesto il posto cui appartenevo, eperciò

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non mi è mai pesato vivere qui dasolo. Sono certo che tu mi capisci.»

Era vero, Sofia capivaperfettamente. Aveva la sensazioneche se

esisteva un posto in cui avrebbepotuto essere davvero felice, quelloera

Draconia, poco importava se inrovina e desolata. La sua bellezzaera

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qualcosa che andava oltre le murasbrecciate e lo stato di abbandono.

«Hai detto che mi aspettavi…»

«Da sempre. È per questo che sonoqui, che sono stato qui tutti questi

anni. Sofia, quando Thuban morì,quel giorno lontanissimo, non stava

finendo una storia: era solo l’inizio.Per tutta la vita mi sono sentito

incompleto, come se mancassequalcosa al mio cammino, ma solo

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quando

sono tornato qui ho capito cos’era:la storia di Thuban e Nidhoggr nonsi

era ancora chiusa. Sebbene unofosse morto e l’altro seppellitonelle

viscere della Terra, il loro scontronon era finito. Ho capito che fino a

quando il loro destino non si fossecompiuto, neppure io sarei arrivato

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al

termine del mio cammino. Ed è perquesto che sei qui, Sofia: tu sei lafine

di ogni cosa.»

Sofia si sentiva la gola secca. «Maperché io? E perché io sola?»

«Credimi, anch’io mi sono postoquesta domanda tantissime volte.

C’erano molti uomini schierati con idraghi, trentamila anni fa, ma

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Thuban

ha scelto me: perché? Cos’avevo diparticolare? Una risposta non c’è.

Questo è il nostro destino,possiamo solo accettarlo orifiutarlo, e se tu sei

qui è perché a un certo punto haidetto sì, e hai continuato a dirlo, eancora,

e ancora, una battaglia dopol’altra.»

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Sofia si guardò le mani. «Sì, questolo capisco… e lo accetto. Ma non

so se sono in grado di compiere lamissione fino alla fine. Eravamo insei,

e adesso qui ci sono solo io.»

«Ho avuto una vita lunga, sono statol’ultimo ad andarmene, per cui

anch’io sono rimasto solo. Non èstato facile non poter condividerecon

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nessuno quello che avevo vissuto,sapere di essere il solo a ricordare

Draconia, la sua bellezza, la suaperfezione. Ma l’ho fatto, perché ho

dovuto. Io credo che tutti siamocapaci di grandi imprese, dobbiamosolo

avere la volontà di fare quanto civiene chiesto. Nessun compito ètroppo

gravoso, per nessuno di noi.»

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Sofia sospirò. «Ma la situazione ègrave: i miei amici non sono più

Draconiani, i loro nei sono statiinfranti, e non percepiscono più idraghi

dentro di loro, non hanno più poteri.Rastaban, Eltanin, Aldibah, Kuma

non sono più sulla Terra. Ci sonosolo io, e Thuban. Ho dovuto fare

appello a tutti i miei poteri perarrivare fin quassù. Ma forse tu

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questo lo

sapevi già.» Lung sorrise in segnodi assenso. «Mi avevano detto cheper

attivare i frutti sarebbero serviti ipoteri di tutti i Draconiani, e cheuna

volta che fossero stati attivati,Draconia sarebbe tornata sullaTerra, e

l’Albero del Mondo avrebbe

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recuperato i suoi poteri. Invecesiamo quassù,

tra le nuvole, e l’Albero…» Loindicò sconsolata. «Non so neppuredove

siano finiti i frutti.»

«Sei sicura di averli persi?» disseLung.

«Quando mi sono svegliata nonc’erano, probabilmente saranno

rimasti a…» Sofia si bloccò.

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Mentre stava parlando si eraguardata attorno,

e all’improvviso, ai suoi piedi,aveva visto i cinque frutti;brillavano

dolcemente, e sotto la luce calda diquel sole primaverile sembravano

ancora più splendenti, colmi dipotere. «Ma prima non c’erano!»

«E invece sono sempre stati con te»disse Lung alzandosi. «Credo sia

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arrivato il momento di ridareall’Albero ciò che gli appartiene,non credi?»

Sofia sentì il cuore fare unacapriola. Si alzò e prese tre frutti,mentre

Lung raccolse gli altri due. Siavvicinarono piano all’Albero, eSofia ebbe

la netta sensazione di partecipare aqualcosa di sacro. Le sembrava di

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essere in processione, come le eracapitato qualche volta nella suainfanzia

da essere umano. Non era mai statamolto religiosa, ma ogni volta chesi

trovava insieme ad altre personeper celebrare qualche rito,percepiva la

sacralità del momento, la correntesotterranea di speranza espiritualità che

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percorreva le persone riunite conlei.

Guardò la cupola quasi perfettadella chioma, sopra la sua testa,

mentre le foglie secchescricchiolavano sotto i piedi. Tra lefronde, il sole

faceva capolino. Riconobbeall’istante i rami sui quali sitrovavano

originariamente i frutti, e capì anche

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a quale ramo appartenesseciascuno.

Alzò il frutto di Rastaban, il primodi cui si erano impossessati. Levenne

da sorridere al pensiero di quantoera ingenua e impaurita all’epoca. Il

globo si staccò da solo dalle suemani, salì fino al suo ramo e sidepose

dolcemente al posto che gli

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spettava. Non appena il frutto toccòil ramo,

quello iniziò a coprirsi diminuscole gemme verdissime.Qualcuna divenne

persino una foglia.

Sofia alzò dunque il frutto diEltanin, quello alla cui storia era

probabilmente più affezionata; eragrazie a quello che avevaconosciuto

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Fabio. Ricordò quanto dura fossestata la lotta, ma anche quanto bello

fosse stato ritrovarsi, alla fine.

Alzò il frutto di Aldibah e ricordòEffi, la sua dolcezza e la sua

determinazione, e il suo sacrificio.Era come se qualcosa di lei fosse

rimasto in quel globo, e oratornasse a splendere, mentre ilfrutto trovava il

suo posto sull’Albero.

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Sollevò il frutto di Kuma, e levennero in mente i gemelli, eGillian.

Ricordò Edimburgo, e il suo primobacio con Fabio.

Infine, sollevò l’ultimo frutto,quello che apparteneva a Thuban, e

dunque a lei. Non poté fare a menodi pensare a sua madre, esoprattutto al

modo in cui l’aveva guardata per

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l’ultima volta, quando le avevadetto

addio a Matera. Si erano ritrovate,sebbene solo per un istante, ma inquei

pochi momenti erano state davveromadre e figlia.

Mentre l’ultimo frutto saliva versoil ramo, Sofia rifletté su quanto

della sua vita fosse racchiuso inquei globi luminosi. Si chiese se

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tutto il

percorso che aveva compiuto perrecuperarli e portarli lassù nonavesse un

senso nascosto, pensò a se stessaattaccata da Mattia, sulle rive dellago di

Albano, quando ancora non eraconsapevole di chi fosse davvero, ealla

ragazza che era diventata ora. Sì,

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c’era un senso riposto in quel lungo

percorso, un mosaico cuimancavano ancora poche tessere.

Il frutto di Thuban si appoggiò sulramo, e subito tutto venne avvolto

da una luce sfolgorante. In un unicoflash, Sofia rivide Draconia

risplendere dei fasti dei suoi giornimigliori. I palazzi d’improvviso le

parvero tornare integri, le vie siriempirono di un vociare allegro,

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ogni cosa

fu com’era stata, e l’Albero delMondo… l’Albero del Mondo eradi

nuovo vivo, sano, traboccante dipotere, ponte tra cielo e terra,eterno

guardiano dell’equilibrio naturale.Era coperto di un manto denso e

fragrante di foglie verdissime, e ifrutti, ciascuno sul proprio ramo,

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brillavano come non avevano maifatto prima, spargendo ovunque unaluce

calda e rassicurante. Sofia si sentìin cuore una gioia traboccante, sisentì

quasi sopraffatta dalla bellezza diquello spettacolo, e percepì lelacrime

salirle agli occhi. Poi, ogni cosa sidissolse in quel bianco abbacinante.

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Sulla Terra, all’improvvisoqualcosa accadde. Un singoloraggio di

sole riuscì a bucare lo spesso stratodi nubi e toccò il suolo, salvifico,

benefico. Tutti gli Assoggettatiguardarono il cielo, lasciandoperdere

qualsiasi cosa stessero facendo.

Ofnir stava perquisendo le rovinedella villa, alla ricerca di un

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indizio

che lo aiutasse a trovare iDraconiani. Sentì un’inquietudineprofonda, una

paura senza nome. Si guardò attornosperduto, e vide: gli Assoggettaticon

gli occhi volti al cielo, e i loroimpianti che si dissolvevanonell’aria come

fumo. Caddero a terra a uno a uno,

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addormentati, e ormai liberi dalpotere

di Nidhoggr.

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Ofnir urlò, si gettò sul primo deisuoi servi, lo afferrò per il bavero.

Stava allora chiudendo gli occhi,occhi che non erano più rossi, ma

nocciola, occhi da semplice umano.

Il cielo si aprì definitivamente, lenuvole vennero spazzate via con un

unico, possente colpo di vento, e fudi nuovo luce, luce ovunque. Il sole

non rischiarò il mondo di Nidhoggr:il suo incantesimo era stato rotto.

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27.Per vincere

Sofia ci mise un po’ a recuperare lavista. Tutto quel bianco l’aveva

accecata, e si sentiva come quandod’estate restava all’aperto troppo a

lungo: rientrando in casa, tutto erabuio e confuso. E poi la visione cui

aveva assistito era stata cosìsplendida, così perfetta, che ogni

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altra cosa al

confronto le appariva spenta esbiadita.

A poco a poco ogni cosa tornò afuoco: il palazzo, il giardino, Lung

al suo fianco. Davanti a loro,l’Albero era rimasto magnificoproprio come

nella visione. I suoi rami erano fittidi foglie verdissime, così tenereche

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fremevano come uccelliniinfreddoliti da ogni refolo di vento.Sembrava

brillare di una luce nuova; non solola chioma, ma anche il tronco, irami,

persino le radici. I fruttipalpitavano di vita, in alto sui rami.Era una

visione meravigliosa, qualcosa cheSofia era certa non sarebbe stata in

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grado di descrivere ai suoi amici,una volta che fosse tornata da loro.

Le ci volle un po’ per staccare gliocchi dall’Albero; guardarlo,

riposarsi all’ombra della suaimmensa chioma, le riempiva ilcuore di un

senso di speranza. Ma alla fine sigirò, muovendosi verso una delle

balconate della città. Avevapercepito qualcosa, un

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cambiamento che aveva

attraversato il terreno sotto i suoipiedi come una vibrazione sorda.

Si affacciò, e il manto di nubi neresul quale avevano navigato fino a

quel momento era scomparso. Sottodi loro ora si distinguevachiaramente

la Terra. Il cielo non era solcatoneppure dalla più piccola nube, edera così

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terso che si riuscivano a distinguerei particolari più minuti del terreno.

Sofia era stata in aereo, e dunqueaveva già visto il mondo dall’alto,ma

adesso le appariva molto piùdistante di quanto non le fossesembrato ogni

volta che aveva volato. Guardandoverso l’orizzonte, si coglieva la

curvatura terrestre.

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«Ma quanto siamo in alto?» chiese.

«Molto» sorrise Lung.

Per un po’, Sofia fu catturata dalpanorama. Quando però la

meraviglia iniziò a scemare, siaccorse che c’era qualcosa che nontornava.

Si girò verso Lung.

«Perché siamo ancora qui? PerchéDraconia non è tornata sulla

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Terra?»

Lung le sorrise mesto. «Perchéquesta non è ancora la fine. Vieni,

abbiamo molto di cui parlare.»

Si avviò verso il palazzo, e Sofia loseguì confusa. Era sempre stata

sicura che, una volta raccolti icinque frutti e riportato alla vital’Albero del

Mondo, la sua battaglia sarebbefinita, Draconia sarebbe tornata

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sulla Terra

e Nidhoggr sarebbe semplicementescomparso, o sarebbero tornato

prigioniero. E così sarebbe finitaquella battaglia millenaria.

Si inoltrarono nel palazzo. L’internoera stupefacente quanto

l’esterno. Le decorazioni in marmosi ripetevano anche nelle stanze,

mentre i soffitti e il tetto erano tuttidi cristallo, cosicché sembrava

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quasi di

essere ancora all’aperto. La luce inalcuni punti filtrava da ampievetrate

colorate o da lastre di alabastro,che proiettavano sul pavimentodisegni

fantastici. Buona parte di quelledecorazioni, in verità, erano ridottein

frantumi che scricchiolavano sotto i

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loro piedi, ma quel che era rimasto

intatto parlava dello splendore diquel palazzo nei suoi tempi d’oro.

Attraversarono un’immensa sala atre navate, divise da gigantesche

colonne, foggiate in modo dasembrare il tronco dell’Albero delMondo. Il

motivo dell’Albero tornava un po’ovunque, nelle decorazioni. Infondo

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c’era un enorme trono di cristallocon accanto una sedia più piccola,ma

non meno splendida per decori efoggia.

«Sì, Sofia, ai tempi di Thuban e deisuoi compagni l’unione tra

draghi e uomini era molto stretta; ilRe dei Draghi aveva un consigliere

umano e molti erano gli uomini chevivevano tra queste mura.»

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Sofia avvertì una sensazione distruggente nostalgia per quei tempi

che una parte di sé ricordavamagnifici.

Andarono fin sotto al trono. Lìdavanti, Lung si inchinò, e Sofia lo

imitò, vinta dall’atmosfera solenneche ancora sentiva spirare da quel

luogo. Poi Lung toccò un decoroche si trovava a terra, il disegnostilizzato

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in onice di un piccolo drago. Ledita lo spinsero finché non affondòdi

qualche centimetro. Davanti ai suoipiedi, una sezione del pavimento

ruotò, rivelando una scala chescendeva nel sottosuolo. Lung andòper

primo, e Sofia lo seguì.

La scala a chiocciola, ampia econfortevole, sembrava scendere

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per

almeno un paio di piani. La luce lìsotto non arrivava, e Lung prese una

lanterna di bronzo da una nicchianel muro; l’accese con un acciarinoche

aveva nella tunica.

«Questo posto non era accessibileai draghi… è troppo piccolo»

osservò Sofia.

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«Infatti. Questo è un santuariodedicato ai Draconiani, un postoche

volle creare proprio il consigliereumano del Re dei Draghi, quando sicapì

che l’unico modo per salvarsi erafondersi con gli uomini.»

Finalmente giunsero in un ambienteraccolto, a misura d’uomo. Era

una specie di cripta in cui lo spazio

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era diviso da una serie di colonnedi

cristallo, ancora una volta a foggiadi Albero del Mondo. Rispetto allesale

che avevano visitato poco prima,quel locale era piuttosto piccolo,ma non

sembrava angusto; merito delbianco e del cristallo chedecoravano ogni

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superficie. In fondo, c’era unaparete con cinque nicchie nere, e fulà che

Sofia e Lung si diressero. Sisedettero lì davanti, sul pavimento,la lanterna

tra di loro.

«Voglio rispondere alla tuadomanda nel modo più chiaropossibile»

iniziò Lung. «In un certo senso,

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Draconia è tornata sulla Terra: haivisto, le

nuvole si sono diradate, e possodirti che gli Assoggettati sonoridiventati

tutti normali esseri umani.»

Sofia non riuscì a trattenereun’esclamazione di gioia; per primacosa

pensò al professore e a Thomas.

«È l’influenza di Draconia e

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dell’Albero del Mondo» continuòLung.

«In questo senso Draconia è dinuovo sulla Terra, e il mondo non

appartiene più a Nidhoggr.»

Sofia attese qualche secondo.«Ma…?» chiese, davanti al voltoserio

di Lung.

«Ma molto è cambiato da quando idraghi calcavano la Terra, troppo.

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Il mondo in cui vivi tu non è unposto nel quale Draconia possa più

esistere. L’assenza dell’Albero delMondo in questi millenni ha fatto sìche

la Terra diventasse un luogocorrotto, nel quale l’Albero nonpotrà mai più

affondare le radici, e che i draghinon potranno più abitare.»

«Mi stai dicendo che ci sono danni

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che non possono più essere

riparati?»

«Esattamente. Il tempo dei draghi èfinito, Sofia, è finito quando

Thuban chiuse gli occhi, trentamilaanni fa.»

«Ma noi Draconiani…»

«Siete Draconiani, appunto,qualcosa di diverso. Però non deviessere

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triste; la vita è così, non guarda maiindietro, le cose cambiano dicontinuo

e quel che è passato non torna più.Del resto, spesso si cambia inmeglio,

non trovi?»

«Non in questo caso…»

«Non essere così dura conl’umanità. Ha fatto cose tremende,ma ha

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anche ottenuto conquistemeravigliose in tutti questi secoli. Èproprio per

difendere ciò che di buono c’è almondo che hai fatto quel che haifatto, e

sei salita fin quassù.»

Sofia pensò ai suoi amici, alprofessore, a Gillian e a sua madre,e

pensò a Fabio. Nessuno più di lui

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dimostrava quanto bene possanascere

anche dal male.

«Ma Nidhoggr non è ancorasconfitto. In questo momento, sulla

Terra il tempo è immobile per tutti,tranne che per voi Draconiani, per

Ofnir e per Nidhoggr. Tutti gli altrisono bloccati in un eterno presente.

Questo è quanto l’Albero delMondo è riuscito a fare: ora siete

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solo voi

contro di lui.»

«Ma sono rimasta soltanto io… eNidhoggr invece ha ancora Ofnir.»

Gli occhi di Lung si velarono, eSofia ricordò le parole di Nida.Prese

il coraggio a due mani. «Cosa puoidirmi di lui?»

Si pentì quasi subito di quelladomanda, perché Lung le parve a

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disagio. Tacque qualche secondo,come cercando le parole periniziare il

racconto.

«La nostra storia è stata spessodolorosa. Sai già cosa ha legato in

passato, e lega ancora, Nidhoggr eThuban. Be’, per Ofnir è successo

qualcosa di simile.»

«Nida, l’ex alleata di Nidhoggr, mi

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ha detto che era tuo amico.»

«Il più caro» disse Lung, la voceche gli tremava. «Eravamo orfani, e

siamo cresciuti assieme comefratelli. Lui era più grande di me,ma

nonostante questo nella coppia eroio quello più forte; ero io che lo

proteggevo da quelli che ciprendevano in giro, io che glifacevo forza nei

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momenti peggiori. La nostra non èstata un’infanzia facile. Proprio per

questo eravamo incredibilmenteuniti; quel che faceva l’uno, facevaanche

l’altro, ci capitava persino dicondividere i pensieri, e cicapivamo al volo.

Era un’amicizia meravigliosa, checi arricchiva entrambi. Finché idraghi

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non entrarono nella mia vita.»

Lung abbassò lo sguardo.

«È strano, ma Thuban credettesubito in me. Non so cosa vide,

eppure in qualche modo capì di mepiù cose di quanto io stesso avessi

capito fino a quel momento.All’inizio fummo solo amici, poiiniziò a

portarmi sempre più spesso con séa Draconia, e infine mi chiese di

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fargli

da scudiero. Lo sai, i Custodi eranoaddestrati anche all’uso dellearmi.»

«E Ofnir?»

«Cercai di coinvolgerlo. Lui era lamia metà, la persona con la quale

avevo spartito ogni cosa nella vita,era ovvio che volessi condividerecon

lui anche questa. Invece capii

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abbastanza presto che Thuban nongli

piaceva; stava con noi, mainterveniva raramente nelle nostre

conversazioni, e sebbene tentassi ditrascinarlo nelle attività che

svolgevamo, lui sembrava semprepartecipare controvoglia. Quandopoi

Thuban non c’era, e restavamo dinuovo soli, mi stava addosso in

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modo

quasi morboso, si lamentava se miassentavo, mi voleva al suo fianco

qualsiasi cosa facessimo. All’epocaero giovane e non capivo, maadesso

mi è chiaro che aveva paura:temeva che quanto stavo vivendocon i draghi

mi potesse allontanare da lui, e ioero tutto quello che aveva, capisci?

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Io

sapevo di poter affrontare il mondoanche senza lui, e avevo bisognodei

miei spazi. Lui no, lui voleva che lanostra amicizia fosse esclusiva, che

non ci fosse posto per altro. Volevaun altro sé, un’immagine conformeche

lo accompagnasse.»

Sofia avvertiva in fondo al petto un

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dolore sordo. Perché per certi

versi quella storia le ricordavaquella di Thuban e Nidhoggr,proprio come

Lung le aveva detto.

«Il dramma accadde quando venninominato scudiero di Thuban. A

Ofnir i draghi non offrirono niente.Provai a insistere perché trovasseroun

ruolo anche per lui, a Draconia, ma

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non fu possibile. Avrebbe potutovivere

in città, ma solo come ospite. E alui questo non bastava. Mi mise difronte

a un’alternativa: o i draghi o lui. Edera una scelta per me obbligata.»

Sofia tacque qualche istante. «È perquesto che andò da Nidhoggr?»

Lung scosse la testa. «Non lo so. Sosolo che quanto più il mio ruolo

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presso i draghi si facevaimportante, tanto più lui siallontanava. Era

diventato scostante, ombroso, nonriuscivamo più a parlarci senzalitigare.

Non ci capivamo più, era come cifosse un muro tra noi. Scomparve, e

io… sì, l’ho cercato, ma non quantoavrei dovuto, non conconvinzione… I

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miei nuovi impegni a Draconia, ilmio posto accanto a Thuban…»

Non riuscì ad andare oltre. Sofia glistrinse una mano.

«Lo rividi poco prima dellabattaglia finale. Era un’altrapersona, non

sembrava neppure più lui. Mi disseche non avevamo più nulla incomune,

che aveva detto addio alle

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debolezze degli uomini, che avevacapito che

eravamo tutti traditori, noi e idraghi, e che l’unica speranza eranole

viverne.»

«Mi spiace…» sussurrò Sofia.

«È colpa mia. Quando un amico siperde, è perché non l’hai cercato a

sufficienza.»

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«È stato lui a non aver accettato chetu stavi cambiando, e non ha

voluto cambiare con te.»

Lung la guardò con gratitudine.«Grazie per queste parole, Sofia.

Forse hai ragione, ma una parte dime si sente comunque in colpa. Inogni

caso ora Ofnir non è più un uomo.Pur non essendo un’emanazione di

Nidhoggr, come Nida e Ratatoskr,

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condivide i poteri delle viverne,perché

ha nelle vene il loro sangue. Avraivisto la ferita sul suo petto.» Sofia

annuì. «Gliel’ha fatta Nidhoggr, egli ha dato il suo sangue. Lui ècome

voi, Sofia: voi siete Draconianiperché partecipate di entrambe lenature.

Be’, lui è uomo e viverna al tempo

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stesso, e questo lo rende molto

pericoloso.»

«Lo ricorderò» affermò Sofia. «Maperché continui a dire “voi”?

Sono rimasta soltanto io…»

Lung sorrise. «Sofia, tu sei qui, no?E ci sei perché i frutti si sono

attivati. Ebbene, resta semprequalcosa, quando si è ospitato in séun

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drago, sempre. E anche se tu seil’ultima Draconiana, i tuoi amicinon ti

abbandoneranno mai. Non farel’errore di rifiutare il loro aiuto.»

Sofia assaporò quelle parole.«Cosa devo fare?» disse allora.

«Lo devi sconfiggere. Per sempre.Ma per farlo, hai bisogno di

qualcosa.» Lung le indicò le nicchielungo la parete. Sofia le guardò

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senza

capire; poi, su invito di lui, si alzòe si avvicinò.

In ogni nicchia c’era una piccolasfera bianca; quando la luce vi

batteva sopra, ognuna delle cinquesfere brillava di riflessi colorati.Una

era rosata, una violacea, unaazzurra, una dorata e una verde. Icolori dei

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Guardiani. Una delle sfere, inoltre,aveva una banda nera a metà, lungola

circonferenza. Sofia si girò versoLung con un’espressioneinterrogativa.

«Come avrai capito, ognuna diquelle sfere appartiene a un

Draconiano. Dovrai portarle ai tuoiamici, anche se non hanno piùpoteri.

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Vedrai che saranno loro utili in ognicaso. Prendi la tua.»

Sofia guardò la sfera verde. Lasollevò tra le dita, se la girò inmano.

Non c’era alcun segno di apertura,era una semplice sferetta dicristallo;

l’interno sembrava avvolto da unaspecie di nebbia lattea.

«Cos’è?» chiese.

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«Lo scoprirai quando ne avraibisogno. Sarà questa sfera adaiutarti a

sconfiggere Nidhoggr nel momentogiusto. Prendi anche le altre.»

Sofia obbedì, se le infilò in tasca.Si rese conto che il suo tempo a

Draconia stava per esaurirsi. Sentìun dolore struggente in fondo alcuore:

non voleva andarsene.

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Lung dovette intuirlo, perché le siavvicinò con uno sguardo dolce.

«Non temere. Draconia resterà qui,continuerà a viaggiare nel cielo,con il

suo Albero, in eterno. Non sei piùsola, l’Albero è con te, e tiproteggerà.»

«E tu?»

«Io ho fatto quanto dovevo.Consegnandoti le sfere, ho assolto

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il mio

compito. Non c’è più ragione, perme, di restare qui. Draconia è inbuone

mani.»

«Vuol dire che scomparirai? Chenon ti rivedrò mai più?»

Lung le mise le mani sulle spalle.«Io sono con te, lo sono sempre

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stato e sempre lo sarò. Siamosangue dello stesso sangue, lo sai, eabbiamo

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condiviso moltissimo. Ma sonostanco, il mio tempo è finito. Sono

contento di andarmene, credimi,perché so di lasciare la mia ereditàin

buone mani. Sei stata bravissima,Sofia, la migliore di tutti.»

Sofia sentì un groppo in gola. Lesembrava che Draconia già

scolorisse, intorno a lei, come seogni cosa stesse perdendo

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consistenza.

«Un’ultima cosa» disse, nelladisperata speranza di trattenerequella

visione. «Dovrò uccidereNidhoggr?»

Lung divenne improvvisamenteserio. «È un nemico.»

«Anche Ratatoskr lo era, ma questonon ha reso meno tremendo quel

che Fabio ha fatto. Ci pensa ancora,

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ci penserà per sempre…»

«Perché Nidhoggr possa tornare ildrago che tu ricordi, è necessario

uccidere la viverna che è in lui. Insé trattiene ancora una piccolascintilla

di quello che era un tempo, cosìcome vive in Nida, e vive ancoraanche in

Ofnir. Sta a te portarla alla luce. Soche puoi farcela.»

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«Io… ci proverò.» Ma la visionestava inesorabilmente svanendo.

Ogni cosa intorno a lei si facevasottile, diafana, e le parve di essere

immersa in un sogno. Era stato tuttovero? O semplicemente aveva

immaginato ogni cosa, e ora si stavasvegliando?

No, doveva essere stato vero, glielodiceva il cuore. Quello, e il

sorriso sicuro di Lung, davanti a

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lei, un sorriso che le infondevacoraggio,

che le dava la forza di affrontare labattaglia definitiva. Fu proprio quel

sorriso l’ultima cosa a svanire.

28.Verso l’ultimabattaglia

Sofia riaprì gli occhi nel mezzodella piana sotto il lago di Albano.

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Provò

una fitta di dolore davanti a quelpanorama desolato, soprattuttodopo aver

visto lo splendore di Draconia.

I suoi amici si erano radunatiattorno alla voragine dalla qualeera

emerso Nidhoggr. Sofia si schiarì lagola, e gli altri si girarono.

«Da dove diavolo sei uscita?»

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chiese Fabio.

«Ti abbiamo cercata ovunque!»disse Karl.

Lei sorrise timida. «Ho fatto unviaggio straordinario.»

Si sedettero in circolo, e Sofiaraccontò tutto: la magnificenza di

Draconia, il ritorno alla vitadell’Albero del Mondo, Lung e tuttoquello

che le aveva detto, compresa la

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storia di Ofnir.

Gli altri la guardavano stupiti.

«Ma… davvero ti è successo tuttoquesto?» domandò Chloe.

«Certo, perché?»

«Sof, dopo il lampo che c’è stato,quando sei sparita… al massimo

sono passati dieci minuti prima chericomparissi. Ti abbiamo vistasvanire

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all’improvviso, e poco dopo ci seiapparsa alle spalle. Non sei statavia

molto…» spiegò Lidja.

Sofia non seppe che dire.«Evidentemente lassù il temposcorre in

modo diverso. Vedete? I frutti nonci sono più, perché ora sono appesi

all’Albero. Non è stato un sogno. Epoi, fuori, c’è il sole adesso.»

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Non che là sotto si vedesse molto.Tutto era buio e desolato

esattamente come quando eranoarrivati. Sofia guardò le facceperplesse

dei compagni.

«Ma sul serio dubitate che siasuccesso davvero? Ragazzi, iolassù ho

trovato una cosa che ci mancava, cimancava terribilmente: Lung mi ha

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ridato la speranza, ed è l’unica cosache ci serve adesso. Non siamo più

soli, capite? Là fuori il mondo nonè più popolato di nemici, siamosolo

noi e Nidhoggr!»

« Tu e Nidhoggr» osservò Ewan.

«A questo proposito» disse Sofiafrugando nelle tasche «Lung mi ha

dato queste per voi.»

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I ragazzi guardarono le sfereincuriositi.

«Cosa sono?» chiese Karl.

Sofia rimase incerta. «Veramentenon lo so. Lung mi ha solo detto

che ci serviranno, anche se voi nonavete più i vostri poteri, e che cen’è

una per ciascuno di noi. Devonoessere importanti, perché sonotornata qui

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solo dopo che me le ha consegnate.Ha detto che così aveva assolto ilsuo

compito.»

Le poggiò a terra, e lì rimasero perqualche secondo. Poi, ognuno dei

ragazzi prese la propria,comprendendo al volo quale gliappartenesse.

Fabio si girò la sua tra le mani,gettando occhiate perplesse a quelle

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degli altri. «La mia ha una bandanera, mentre le altre sono tuttebianche»

osservò.

Sofia scrollò le spalle. «Non soperché… ve l’ho detto, Lung non mi

ha dato altre spiegazioni.»

Lidja osservò seria la sua sfera.«Dunque finisce così: Draconia non

tornerà mai più sulla Terra enessuno di noi, a parte te, la vedrà

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mai.»

Un silenzio profondo scese suquelle parole. Sofia non ci aveva

pensato. Tutto le era parso naturale,non appena si era trovata lassù, maera

vero: dei Draconiani, solo leiaveva avuto la possibilità di vederel’Albero

del Mondo, solo lei aveva visitatoil luogo da cui provenivano, e a cui

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appartenevano. Fino a quelmomento non era stata cosciente diquale

straordinario privilegio le fossestato accordato. Aveva sognatoDraconia

tutta la vita, ed era certa che anchegli altri si sentissero come lei.

«Forse, quando avremo sconfittoNidhoggr, potremo rivederla tutti

insieme» disse.

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«Questo più di ogni altra cosadimostra che per noi è finita»

considerò Lidja. «Non siamo piùDraconiani, non abbiamo più dirittoa

vedere l’Albero del Mondo, avisitare Draconia. Siamo personenormali, a

tutti gli effetti.»

Improvvisamente quella parola,normale, aveva un sapore di

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disfatta;

Sofia aveva trascorso buona partedel suo tempo da Draconiana asperare

di essere normale, a desiderare dipoter un giorno dimenticare

quell’avventura assurda tra magia ecreature mitologiche. Se lodicevano

spesso, con Lidja, e ora anche conFabio. Assaporavano il momento in

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cui

avrebbero concluso la battaglia, efinalmente sarebbero stati come tuttigli

altri. Ma adesso che quel momentoera giunto, si dimostrava assai più

amaro di quanto avrebbero maipotuto immaginare.

«Ti ha detto niente Lung, di noi? Tiha detto se queste sfere possono

aiutarci a tornare quel che

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eravamo? Ti ha spiegato se davverosei sola o se

c’è un modo per farci combattereinsieme?» chiese Fabio.

Sofia fu costretta a scuotere la testa.«Mi ha solo detto che mi servirà

ancora il vostro aiuto.» La notizianon suonò molto rassicurante. «Non

resta che tentare. Proviamo aconcentrarci sulle sfere.»

I compagni la guardarono scettici, e

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l’unico che provò subito a

seguire il suo consiglio fu Fabio.Sofia chiuse gli occhi a sua volta.

Ci volle pochissimo; bastò appenaattingere ai suoi poteri, e percepì

una nuova forza attraversarle ilcorpo. Aprì gli occhi, e rimasesenza

parole. Tra le mani, al posto dellasfera, stringeva una meravigliosaspada

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bianca, che riluceva di riflessiaccecanti persino alla scarsa lucedella

lanterna. Sembrava fatta di unmateriale trasparente e duro come il

diamante, era lunga almeno unmetro, la lama sottile e affilatissimada

ambo i lati. L’elsa, a differenza delresto dell’arma, era verde, dismeraldo

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o qualcosa del genere, e il pomoloera foggiato a forma di testa didrago.

Sofia la guardò a lungo,soppesandola tra le mani,saggiandone

l’impugnatura, finendo persino pergraffiarsi un dito. Sembrava fatta

apposta per la sua presa, tanto lasentiva comoda in pugno, e inoltreera

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straordinariamente leggera. Quandoriuscì a staccarle gli occhi di dosso,

vide che anche gli altri laguardavano ammirati, ma tra lemani stringevano

ancora le sfere.

«Con voi non funziona? Aveteprovato a concentrarvi?» insistette,

mettendo da parte l’arma.

«Non funziona» disse Ewan deluso.

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«Lung ha insistito molto perché videssi quelle sfere, a qualcosa

devono per forza servire.»

«Abbiamo perso definitivamente inostri poteri, e non c’è niente che

tu o qualsiasi altro al mondo possafare per darceli indietro. Non siamopiù

Draconiani, e non lo saremo maipiù!» aggiunse Ewan scattando inpiedi.

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Sua sorella provò a calmarlotirandolo per la maglietta, ma lui

sembrava davvero fuori di sé.

«Ewan, stai esagerando…» disseLidja.

«No che non sto esagerando, tileggo in faccia lo stesso dolore che

sento io, lo stesso senso diimpotenza.»

«Siamo riusciti a evocareDraconia» cercò di spiegare Sofia.

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«Già, dove sei salita solo tu, perchétu sei un Draconiano, non noi!»

Sofia cominciava a innervosirsi.«Io lo capisco come vi sentite,

d’accordo?» disse alzando su Ewanuno sguardo duro. «E mi dispiaceper

tutto quello che è successo. Maquesto non è più il tempo dilamentarsi e

abbattersi. Il mondo non è più di

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Nidhoggr, ti sembra poco? E sì cheanche

tu ti sei dovuto muovere in mezzo auna città infestata di Assoggettati!

Non siamo fermi al punto dipartenza, siamo riusciti a farrivivere l’Albero

del Mondo, abbiamo rottol’incantesimo di Nidhoggr, mancasolo l’ultimo

passo, la battaglia finale. E io non

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mi tirerò indietro, farò quel che vafatto.

Perché ho fiducia in Lung, hofiducia in Draconia, credoprofondamente in

tutto quello che ho fatto finora. Vuoiritirarti? Vuoi arrenderti? Libero di

farlo. Tanto tempo fa il prof milasciò la libertà di scegliere, diandarmene

se volevo, e adesso ce l’hai anche

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tu, ce l’avete tutti» e li guardò a unoa

uno. «Vi chiedo solo di decidere, edi smetterla di piangervi addosso.»

Tacque, aveva il fiatone. Adessoche aveva detto quel che doveva, si

meravigliava lei stessa di queldiscorso. Se un paio di anni primale

avessero detto che sarebbe finitacosì, a spronare, anzi, addirittura a

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rimproverare qualcuno perché stavamollando, non ci avrebbe creduto.

Ewan si sedette in silenzio. Perqualche secondo nessun altro parlò.

«Hai ragione» disse infine Lidja.«Ma credo che in ogni caso

dobbiamo riflettere, e capire cosafare ora, come usare queste sfere.Magari

Karl può analizzarle e studiarle…»Guardò il compagno, e lui annuì.

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«Sono perfettamente d’accordo»rispose Sofia, calma. «Ma se

qualcuno di voi non se la sente, lodica, perché abbiamo bisogno disapere

su chi poter contare.»

Lidja si girò verso Ewan, lo guardògelida: «Sei dei nostri o no?»

Lui distolse lo sguardo, ma annuì.

«E allora faremo come dice Lidja»tagliò corto Sofia. «Cercheremo

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di capire, e poi elaboreremo unpiano.»

Trascorsero il resto della giornatatra i tentativi di attivare le sfere e le

indagini di Karl, che usò tutto quelche trovò nel sottomarino. «Se fossinel

mio laboratorio…» disse. «Pensiche ci potrei tornare?»

«È vero che adesso il mondo è unposto più sicuro e dobbiamo

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vedercela solo con Ofnir eNidhoggr, ma resta il fatto cheappena mettiamo

il naso fuori da qui sotto, lui puòpercepirci e darci la caccia. No, èmeglio

che restiamo qui.»

Karl sbuffò. «Non credo riuscirò afare molto… Prima di partire

avevo messo qua dentro un po’ diattrezzatura, ma è davvero

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insufficiente.»

«Cerca di fare il possibile» loincoraggiò Sofia.

Sulla piana, intanto, quasi tuttianalizzavano le loro sfere, qualcuno

provava anche, sempre senzarisultato, ad attivarle. Persino Nidacercava

di dare una mano, seppur tenendosia debita distanza.

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«Quella roba è potentissima» dissea Fabio.

«La sfera, intendi?»

Lei annuì. «È peggio dei frutti, misento attraversata da una specie di

corrente elettrica.»

Fabio se la rigirò tra le dita. «Einvece io non sento niente»concluse

sconsolato. «Tu percepisciqualcosa, in me?» le chiese

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guardandola.

Nida lo osservò intenta per qualchesecondo. «Non lo so… Avete

tutti una specie di aura, qualcosa distrano… come un odore molto fortela

cui fonte è stata tolta da una stanza,ma permane nell’aria. Ecco, c’è la

traccia di qualcosa, in voi… inognuno di voi.»

«Se solo bastasse…» disse Fabio.

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Ewan si era avvicinato a Lidja, checontinuava a cercare di attivare la

sfera. Lui, però, si limitava aguardare lei, la sua sfera appoggiataa terra, lì

accanto.

«Non ci provi?» gli chiese Lidja inun attimo di pausa.

«Sai bene che è inutile.»

«E allora?» disse lei, così

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tranquilla che Ewan la guardòstupito.

«Quando siamo partiti per andare aprendere i frammenti del frutto,

eravamo soli contro il mondointero. Anche allora non avevamomolte

possibilità. E quando mi hai salvatola vita, a Palermo, sapevibenissimo

che avresti rischiato di morire.»

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«Non capisco dove vuoi arrivare.Avevamo i nostri poteri, allora.»

«Ma tu pensi davvero che quelloche siamo si esaurisca nei nostri

poteri? Che io sia meno Lidjaperché Rastaban non è più conme?»

«Stai facendo filosofia da quattrosoldi.»

«E tu stai diventando noioso.» OraLidja sembrava davvero irritata.

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«Te lo dico con franchezza, non tiriconosco più. Non sei più ilragazzo

che mi ha cantato una canzone sullanave, né quello che mi ha baciata

prima di mandarmi a prendere ilframmento e rischiare la vita perme.

Anch’io ho avuto i miei momenti disconforto, e sono abbattuta anche

adesso, ogni volta che provo a far

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qualcosa con questa stupida sfera enon

ottengo niente. Ma Sofia ha ragione:non è più tempo di lamentarsi. È

tempo di agire. Io lo sto facendo: etu?»

Lo guardò in attesa, ma Ewan nonsapeva cosa rispondere. Lidja si

alzò senza aggiungere altro, e siallontanò a grandi passi sulla piana

deserta.

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A sera, nessuno di loro era giunto auna conclusione. Si riunirono per

consumare una magra cena a base dicibo in scatola.

«Sono le ultime scatolette cheabbiamo» disse tetra Gillian. «Da

domani non so cosa mangeremo.»

Sofia chiese subito a Karl comefosse andata la sua ricerca. Non

avevano più tempo, la situazione

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stava precipitando e, sebbenecapisse

perfettamente lo stato d’animo deglialtri, occorreva prendere una

decisione.

«Col materiale che ho qui non sonoin grado di analizzare le sfere.

Ho fatto il possibile, ma noncapisco davvero come le si possaattivare, o

come possano tornarci utili» disse

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lui.

Sofia rimestò abbattuta i suoifagioli.

«E se provassi ad attivarle tu?» lechiese Lidja.

«Ho già provato con quella diFabio. Nelle mie mani è

completamente inerte. A malapenariesco a sentirne il potere.»

«Guardate che sono oggetti potenti»intervenne Nida, e spiegò ai

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ragazzi quel che aveva già detto aFabio.

«D’accordo, saranno anche potenti,ma se non sappiamo come

attivarle…» sbuffò Ewan.«Dobbiamo capire come fare»aggiunse

guardando di sottecchi Lidja.

«Di sicuro qui sotto non possiamorestare, senza cibo» sentenziò

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Gillian.

Andarono a dormire ancora unavolta abbattuti. Il senso di speranza

ed esaltazione che Sofia avevaprovato si era già sciolto comeneve al sole.

Di nuovo il futuro le sembravagrigio, di nuovo si sentiva sola. Ma

stavolta, quanto meno, non sisentiva inutile: c’era qualcosa chepoteva

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fare, e l’avrebbe fatto.

Sofia seppe che era l’ora quando siaccorse che tutti erano

addormentati. Sulla piana regnavaun silenzio desolante. Si tirò su,prese la

sfera con sé. L’aveva scopertoquasi subito: la spada potevatornare sfera a

suo piacimento, una qualità moltoutile, dato che non aveva idea di

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come

tirarsi dietro nel viaggio una lamatanto lunga.

Si era ripromessa di andarsene ilprima possibile, e senza guardarsi

indietro. Non voleva rischiare chequalcuno si svegliasse. Ma non leriuscì

di allontanarsi senza aver almenogettato uno sguardo a Fabio. Gli si

avvicinò piano, quasi senza

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respirare. Dormiva profondamente.Meno

male, perché tra tutti con ogniprobabilità sarebbe stato quello chesi

sarebbe opposto con più forza allasua idea. Eppure, non fosse statoper lui,

forse non avrebbe mai trovato ilcoraggio di fare quel che stava perfare.

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Non poteva dimenticare come le erastato accanto, come l’aveva

supportata, in molti casi anchedifesa. Fu tentata di dargli un bacio,ma non

poteva rischiare che si svegliasse.Sperò soltanto di poterlo rivedere,in un

mondo finalmente libero. Che sensoaveva, del resto, salvare il mondose

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non aveva qualcuno con cuicondividerlo?

Si avviò decisa lungo la piana, nelcuore le immagini meravigliose di

Draconia e dell’Albero del Mondo.

Si allontanò finché non arrivòvicino al sottomarino. Lì era

abbastanza distante. Il professoreuna volta le aveva detto che il lagoin

alcuni punti toccava una profondità

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di centosettanta metri, e si chiese se

potesse farcela a risalirli da sola,senza il sottomarino. Chequell’aggeggio

dovesse rimanere là sotto per i suoiamici era fuori discussione.

“Lo scoprirò presto” si disse,cercando di farsi forza.

Chiuse gli occhi un istante,l’Occhio della Mente sfavillò sullasua

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fronte, e il suo corpo di ragazza sitrasformò in quello, verde epossente, di

Thuban. La sua testa sfiorava lasuperficie della bolla d’aria. Preseun bel

respiro, guardò sopra di sé, e poisemplicemente saltò verso l’alto.

Fu meno orribile di quanto avessetemuto, ed enormemente più

rapido. La sensazione dell’acqua

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gelida intorno al corpo, il senso di

pressione sulle orecchie, e ipolmoni che bruciavano in cercad’ossigeno.

Poi la barriera d’acqua si infransesopra la sua testa e fu fuori,

nell’aria fresca della sera. Siguardò attorno. Sopra di lei c’eraun

magnifico cielo notturno; di stellenon se ne vedevano molte, ma in

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compenso c’era una lunameravigliosa, piena, luminosissima.Si riusciva a

distinguerne la superficie fino al

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più piccolo dettaglio. Sembravagigante, e

proiettava ombre nette e definite.

Sofia rimase qualche secondoincantata a osservare quelpanorama,

poi nuotò verso la riva. Si tirò su, siscosse per un attimo l’acqua cheaveva

addosso. Spiccò il volo, ma nonriuscì a resistere, e prima di andare

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dove

doveva, fece un giro sopra la villa.Quel che vide le strinse il cuore: al

posto della casa in cui avevatrascorso gli anni più belli della suavita c’era

un rudere di legno bruciato. Il tettoera del tutto crollato, il magnifico

albero intorno al quale la villa sisviluppava era completamente

carbonizzato. Pali fumanti si

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sollevavano sbilenchi dal terrenonero di

cenere. Era finita, dunque. E ilprofessore? E Thomas? Il dungeon?

Non c’era tempo. Doveva farecome se fossero vivi, doveva agire

come se non tutto fosse perduto.Perché nel mondo di Nidhoggr, inogni

caso, non ci sarebbe stato posto pernessuno di loro.

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Fece un ultimo, ampio giro sullerovine della casa, poi si avviòverso

l’ultima battaglia.

29.Non sei sola

Fabio si svegliò in preda a unpresentimento. Scattò in piedi,scrutò la

piana. Sofia non c’era. Sofia sen’era andata!

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Era prevedibile, ovvio persino. Eral’ultima Draconiana rimasta.

Bastava conoscerla anche poco perintuire che sarebbe andata adaffrontare

Nidhoggr da sola. Come avevapotuto non pensarci, come avevapotuto

farsela scappare sotto il naso?

Corse verso il sottomarinopregando che fosse ancora lì. C’era.

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Anche questo era prevedibile. Sel’avesse preso, loro sarebberorimasti

intrappolati là sotto senza cibo. Inogni caso, adesso serviva a lui.

Aprì il portello ed entrò nellacabina di pilotaggio. Il sottomarino

giaceva sul fondale con la panciaaffondata nella sabbia, e soprattutto

all’asciutto: come avrebbe fatto amuoverlo? E poi, come si guidava?

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Davanti a lui c’era una planciapiena di indicatori, levette epulsanti.

L’unica cosa di cui capiva l’utilizzoera un piccolo timone in legno.

Provò a premere qualcosa, e perpura fortuna alla fine riuscì ad

avviare i motori, solo che le elichenon facevano che cigolare sullerocce

appena sotto lo strato di sabbia.

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Nonostante tutto insistette, maall’ennesimo rumore gracchiante si

fermò, diede un calcio al timone esi arrese all’evidenza. Era bloccatolì

sotto, senza possibilità di seguireSofia. Se solo avesse avuto i suoi

maledetti poteri, se solo Eltaninfosse stato con lui… Sentì montarela

rabbia. E fu allora che avvertì

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qualcosa. Un pulsare flebile cheproveniva

dalla tasca dei suoi jeans, e unasensazione familiare nel cuore. Non

riusciva a crederci, non volevacrederci.

Infilò piano la mano nella tasca e ledita si strinsero attorno alla

superficie di vetro della sfera. Unaspecie di scossa elettrica gliattraversò

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le dita. Tirò fuori la sfera, e videche brillava di fiochi riflessi dorati.Ma

più di quello, a farlo esultare fu ildebole potere che ne sentivapromanare.

Percepiva quella sensazione dicalore, quel potere benefico chel’aveva

accompagnato per tutta la vita, cheaveva temuto da bambino, cheaveva

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sfogato, più grande, quando odiavail mondo intero, e che avevaimparato

infine a controllare accanto a Sofia.Era debole, ma c’era, dannazione,

c’era!

Strinse con forza la sfera, se laportò alla fronte.

«Fa’ qualsiasi cosa tu debba fare…Attivati, maledizione… attivati!»

Una luce accecante invase la cabina

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del sottomarino, e per un istante

tutto fu bianco. Quando i contornidelle cose si disegnarono di nuovoin

quel candore, Fabio si guardòstupito la mano: al posto della sfera

stringeva una lunga lancia bianca,di un materiale trasparente ebrillante,

del tutto simile a quello checostituiva la spada di Sofia. La

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punta era

affilatissima, e sebbene fosselavorata in modo da avere unaspetto leggero,

dava un’impressione di solidità. Siinnestava sul manico tramite unaspecie

di manicotto dorato, decorato dacomplesse incisioni. L’arma era

completamente bianca, fattaeccezione per una lunga e spessa

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venatura

nera che ne percorreva tutto ilmanico, come una ferita. A Fabiobastò

guardarla per capire: era il fruttodel suo tradimento, l’eterno monitoche

gli ricordava il suo errore. Ma, altempo stesso, gli rammentava anchela

sua forza, la capacità di tornare sui

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propri passi e ricominciare da dovesi

era smarrito.

Rimase qualche istante incontemplazione della lancia: gli

trasmetteva un’energia benefica, manon sentiva dentro di sé Eltanin.No,

non era tornato un Draconiano.

“Però ho un’arma, un’arma daDraconiani…”

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La posò in un canto, scattò verso unarmadietto sul fondo. Sofia gli

aveva detto che là dentro c’eranogli scafandri. Due, insufficienti perloro

sei, ma decisamente abbondanti perlui solo. Ne prese uno, lo indossò

rapidamente. Uscì fuori e si infilòanche il casco. Strinse la lancia in

pugno, guardò il confine tra la bollad’aria e le acque del lago. Prese un

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grosso respiro, quindi lo attraversò.Il buio lo avvolse, lo scafandro glisi

strinse leggermente addosso per viadella pressione. Staccò dallacintura

tutti i pesi, ma rimaseinesorabilmente ancorato al fondo.Allora guardò la

lancia, la strinse con forza,concentrando ogni pensiero su di

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essa.

“Lo so che adesso sono unoqualunque, ma tu prima ti seiattivata…

Allora aiutami, ti prego, aiutami!”

Sentì di nuovo, lontana, lasensazione rassicurante che avevaprovato

quando la lancia si era generata,assieme a quella di esseretrascinato verso

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l’alto. Si guardò attorno e vide ilfondo allontanarsi sempre più.Esultò

intimamente, poi volse gli occhiverso l’alto, alla superficie.

“Vedi di non fare stupidaggini,Sofia. Sto arrivando!”

Sofia si accorse subito che le coseerano enormemente cambiate

rispetto a come le ricordava. Primala sagoma di Villa Mondragone era

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a

malapena visibile, in parte celatadalla vegetazione, lungo il pendiodel

monte Tuscolo. Ora, al posto dellacostruzione rossa che facevacapolino

tra gli alberi, sorgeva un’enormerocca nera, irta di pinnacolialtissimi. La

vegetazione intorno era morta, come

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ci fosse passato un asteroide che

avesse bruciato ogni cosa.

Sofia atterrò lungo quel che restavadella strada che un tempo

collegava Monte Porzio e Frascati,e che conduceva anche alla villa.La

strada per un tratto sembravanormale, ma girata una curva,spariva. Al suo

posto si stendeva una terra brulla e

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arida, senza neppure un filo d’erba.

Sofia rimase immobile, i piedisull’asfalto, di nuovo in formaumana.

Per un istante aveva sperato dipoter contare sull’effetto sorpresa.

Ricordava l’antico accesso allavilla tramite l’ampio viale alberato.Lo

aveva percorso un paio di anniprima, quando era andata a

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barattare il

frutto di Rastaban per la vita diLidja. Adesso, nel raggio di unchilometro

attorno non c’era nulla: nessunapossibilità di nascondersi, diavvicinarsi

furtivamente.

Si sentiva esposta, là sotto.

Mise un piede sulla terra battuta,preparandosi al peggio. Il neo sulla

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fronte già brillava, quando si sentìafferrare per la spalla. Trasalìvoltandosi

di scatto, un braccio già trasformatoin artiglio. Ma a fermarla non erastato

un nemico.

«Fabio?» esclamò Sofia, incredula.

Era proprio lui, con ancora addossolo scafandro, e le sorrideva.

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«Tu… tu non dovresti essere qui»disse confusa.

«No, tu non dovresti essere qui.Non senza di me! Lung non ti aveva

avvertita che avresti dovutoaccettare il nostro aiuto?»

Sofia arrossì. «Non è detto cheavesse ragione, anzi, non ce l’aveva

di certo, visto che non c’è modo chepossiate aiutarmi. Le sfere non

funzionano.»

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«Ah, sì?» replicò Fabio con unsorriso sarcastico, quindi tirò fuori

dalla tasca la sfera e gliela mostrò.Non dovette neppure concentrarsitanto.

Bastò un attimo, e si trasformò nellalancia.

Sofia rimase interdetta. «Seiriuscito ad attivarla?»

«Così sembra. È lei che mi haportato qui.» Le spiegò come fosse

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riuscito a emergere dal lago graziealla lancia, e come, sempre graziead

essa, fosse riuscito a volare fin là.

«Sei tornato un Draconiano!» esultòlei.

«No, purtroppo non sento più lapresenza di Eltanin. Ma questa

lancia ha poteri cui posso attingere.Sofia, io posso aiutarti!»

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Sorrideva, illuminato, ma Sofia eratitubante. «Fabio, la cosa

migliore è che tu vada dagli altri espieghi loro come hai fatto adattivare la

sfera. Poi, se vorrete, tornerete quitutti insieme.»

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«Non lo so come ho fatto! Ero nelsottomarino che non voleva

partire, e mi sono semplicementearrabbiato, ed ecco che la sfera si è

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attivata. Non ho fatto niente,capisci? Che senso avrebbe tornareindietro?

E tu cosa faresti, intanto?»

«Fabio…»

«Io non ti voglio più lasciare sola,l’ho fatto troppo a lungo, e lo sai

perfettamente. Non mettermi in unangolo, non negarmi la possibilitàdi

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starti al fianco. Io per te fareiqualsiasi cosa.»

Sofia si sentì avvampare, ma più diogni altra cosa non riuscì a dire

di no a quegli occhi che laguardavano con una taledeterminazione, con

una tale intensità che se ne sentivacontagiata. Sì, aveva bisogno dellasua

forza e del suo appoggio, aveva

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bisogno di lui. Gli prese una mano,gliela

strinse, infine gli sorrise.

«Insieme, allora.»

Lui annuì. «Insieme.»

Si diedero un bacio a fior di labbra,quindi Sofia estrasse la sua sfera,

e in men che non si dica ebbe inmano la spada. Fecero un passo, e iloro

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piedi calcarono la terra battuta chesegnava il confine della rocca di

Nidhoggr.

30.Il ritorno

All’inizio, Fabio e Sofia si mosseroindisturbati sulla piana. Tutto era

terribilmente silenzioso, immobile edeserto.

«L’aria è strana» osservò Fabio.

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«Credo sia dovuto al fatto che iltempo si è fermato quando l’Albero

del Mondo è tornato a vivere. Losenti? L’aria non è mai cosìimmobile.»

Era vero. Non solo non tirava unalito di vento, ma sembrava quasidi

muoversi nell’acqua, perché l’ariaaveva una consistenza strana,vischiosa.

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Poi, d’improvviso, sentirono unavibrazione profonda nel terreno. Si

bloccarono all’istante. Sofia evocòimmediatamente la spada e Fabio la

lancia.

Una figura nera si staccò dallasagoma oscura della rocca di

Nidhoggr. Bastarono due battitid’ala e fu davanti a loro. Atterrò

sollevando un nugolo di polvereche rimase sospesa, congelata nel

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tempo

come il resto del mondo.

«Avete un bel coraggio a venirequi… e con lui ridotto in quelle

condizioni» disse Ofnir tra i dentiindicando Fabio.

«Vedrai che le mie condizioni nonmi impediranno di vedermela con

te» replicò lui.

«Pensate davvero di aver cambiato

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qualcosa? Credete che ci importi

di aver perso gli Assoggettati?»

«L’Albero del Mondo è tornato»disse secca Sofia.

Ofnir scoppiò a ridere. «Oh, madavvero? E cos’ha fatto?» Mostrò

con le braccia lo spettacolo intornoa sé. «Noi siamo ancora qui, il mio

Signore è ancora qui. Abbiamovinto.»

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«Lung ti manda i suoi saluti, Ofnir»disse Sofia.

Un tripudio di lampi neri esploseintorno al corpo dell’uomo.

«Oh, certo, adesso si ricorda di me!Ma non l’ha fatto quando ha

scelto i draghi.» Cercò di calmarsi.«Comunque, non ha importanza.Tutto

finirà, adesso. Ti ammazzerò eporterò la tua testa al mio Signore.

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La tua

bella avventura termina qui.»

Portò un braccio dietro la schiena, etra le mani gli apparve lo stesso

tridente nero con il quale avevaucciso Rastaban. Sofia contrasse la

mascella fino a far scricchiolare identi.

«Io lo distraggo, tu va’» disseFabio a mezza voce. Le sorrise perun

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istante, prima di scattare versoOfnir.

«Fabio!» urlò Sofia, ma la sualancia aveva già incrociato iltridente.

Inaspettatamente, sostenne il colpoe riuscì a pararlo.

«Va’!» ruggì Fabio.

Ofnir urlò, lanciò un nuovo attacco,ma Fabio riuscì a respingerlo e

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l’altro fu costretto a indietreggiare.

Con un grido, Sofia si tramutò inThuban.

«Muoviti!» la spronò Fabio.

Lei lo guardò per qualche istante.«Non farti ammazzare!» strillò.

Lui le rivolse un ultimo sorriso,ironico e deciso. Sofia, infine, si

decise a spiccare il volo,portandosi nel cuorequell’immagine. Pregò che

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la lancia fosse potente come avevadetto Lung, sperò che quel che leaveva

consigliato, di non rifiutare l’aiutodei suoi amici, avesse un senso.

“Non morire, non morire!” pensòdisperata mentre volava verso la

rocca.

Ofnir sferrò un attacco ancora piùviolento, ma Fabio riuscì

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ugualmente a contrastarlo. Sistupiva lui stesso della propriaresistenza.

Era certo che Ofnir fosse un nemicoal di fuori della sua portata, lo eragià

quando ancora lui aveva Eltanin alsuo fianco, figurarsi ora. E invece isuoi

movimenti erano straordinariamenteprecisi, e soprattutto quell’arma

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sembrava una specie di estensionedel suo braccio. Gli si adattava alla

perfezione, faceva esattamente quelche le chiedeva, manovrarla gli

risultava naturale come camminare.

Quando aveva inseguito Sofia,aveva fatto i conti con l’idea chenon

ne sarebbe uscito vivo. Glisembrava l’unica soluzionepossibile, ma era

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un bel modo di morire: dare la vitaper lei. Ora improvvisamente

cominciava a pensare di potercelafare.

«Non crederai che quella stupidalancia ti possa servire a

qualcosa…» sibilò Ofnir.

«Tu che ne dici?» ribatté Fabio,partendo di nuovo all’attacco.

Stavolta però Ofnir non parò coltridente, ma tese la mano destra e ne

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fece partire una scarica di lampineri. Istintivamente Fabio sischermò con

la lancia, e fu un gestoprovvidenziale, perché i lampifurono

completamente assorbiti dalla lungastriatura nera che ne percorreva il

corpo. L’arma fremette tra le suemani, poi tornò normale, splendente

come al solito. Stavolta persino

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Ofnir sembrò stupito. Fabio sipermise un

mezzo sorriso, e l’altro digrignò identi.

«Fai male a cantare vittoria!» urlò.Estese di nuovo la mano, ma

stavolta ne emersero lunghi serpentineri che si gettarono famelici verso

Fabio. Il ragazzo sentì un brivido dipaura attraversargli la schiena. Se li

ricordava. Improvvisamente, come

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in un flash, rivide l’istante in cuiuna di

quelle serpi gli aveva staccato dallafronte il neo, recidendo il suo unico

legame con Eltanin. Sentì ancora ildolore, e il devastante senso diperdita

che aveva percepito.

Mise di nuovo la lancia davanti asé, e anche stavolta sembrò

funzionare. I primi serpenti che la

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toccarono esplosero in una nube difumo

nero, ma erano troppi, e prima cheFabio potesse pensare di far roteare

l’arma, alcuni gli avevano giàagguantato il braccio, schivandol’attacco, e

avevano iniziato a stritolarlo.

Fabio venne sollevato in alto,mentre le serpi stringevano semprepiù

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le proprie spire. La lancia gli caddedi mano, l’aria iniziò a mancargli.Capì

che non c’era niente che potessefare, stavolta era davvero la fine.Come

aveva potuto anche solo sperare cheuna lancia, per quanto magica e

potente, fosse in grado dicombattere un mostro del genere?

Poi, un urlo di Ofnir, e la pressione

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delle serpi intorno al suo corpo si

allentò. Fabio cadde a terra, tossìmentre recuperava la capacità di

respirare. Si gettò a riprendere lalancia, poi finalmente si guardòintorno.

A terra, i serpenti recisi si stavanodissolvendo in fumo. Qualche

passo più indietro, distinse lesagome di quattro persone. Non cipoteva

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credere, erano arrivati anche loro:Lidja, Karl, Ewan e Chloe!

«Non potevamo lasciarvi soli.Grazie a Nida siamo riusciti aspingere

il sottomarino e a farlo ripartire»spiegò Lidja.

«E con questo, direi che non ho piùdebiti nei tuoi confronti, se anche

me ne rimanevano» disse Nida,allungando una mano per farlo

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rialzare.

Fabio la prese e si tirò su,pulendosi la fronte dal sudore. «Sì,direi

che può bastare.»

Nida fece un mezzo sorrisetto. «Voiandate avanti. Qui basto io.»

Gli altri corsero verso la villa, maFabio rimase immobile.

«Be’? Non vai a salvare la tuabella?»

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Fabio indicò col mento Ofnir. «Houn conto in sospeso con lui.»

«Combattere continua a piacerti piùdi ogni altra cosa, eh?» disse

Nida.

«Fossi in te accetterei il suo aiuto,Nidafjoll: in due forse potete

arrivare a baciarmi i piedi» tuonòOfnir, il tridente puntato verso diloro.

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«Vedremo…» sibilò lei in risposta.Poi lanciò un urlo verso il cielo e

si trasformò in viverna. Si gettò contutto il proprio peso, le fauci

spalancate, verso Ofnir. Rotolaronoa terra, e per un istante Fabio non

seppe cosa fare, impietrito davantiall’immagine dei due corpiavvinghiati.

Nida, nella sua forma originaria,era assai più grande e imponente di

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Ofnir,

eppure quest’ultimo non sembravain difficoltà. Le aveva afferrato lefauci

con le mani, e riusciva a tenerglieleaperte, mentre le serpi della sua

armatura cercavano una viamordendo la pelle coriacea.

L’immagine di quel piccolo uomoche riusciva a tenere testa

all’enorme viverna aveva in sé

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qualcosa di mitologico.

Fabio si riscosse e si lanciò avanticon un urlo, concentrandosi sulle

serpi. Alcune si staccarono dalcorpo di Nida e presero adaggredirlo. Lui

stavolta non si fece trovareimpreparato. Mantenne la distanzadi sicurezza,

quindi cominciò a roteare la lancia.Riuscì a recidere parecchie teste,

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che

caddero al suolo dissolvendosi infumo.

Quando per un istante l’assalto siinterruppe, ne approfittò per

gettarsi vicino al corpo di Nida.Con una precisione che stupì anchelui,

cominciò ad attaccare tutti iserpenti che si accanivano contro laviverna.

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Riuscì a ucciderne parecchi, e Nidaparve trarne giovamento. Certo,

seguire i movimenti suoi e di Ofnirnon era facile, ma Fabio avevaormai

capito che la lancia gli stavaconferendo un’agilità del tuttoinnaturale.

Finalmente, un grido squarciòl’aria. Nida era riuscita adaffondare le

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zanne nella spalla di Ofnir. Questisi difese avvolgendole strettamenteuna

delle sue serpi intorno al collo.Nida strabuzzò gli occhi, fucostretta a

mollare la presa, ma non prima diessere riuscita a strappare via unpezzo

dello spallaccio dell’armatura.Fabio recise la testa del serpente, elui e

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Nida riguadagnarono per un istantela distanza di sicurezza. Nida sputòvia

il pezzo di armatura; non appenatoccò terra, si dissolse in cenere.

«Devo ammettere che sei menoinutile di quanto credessi» disse.

Fabio si limitò a sorridere. Davantia loro, Ofnir si teneva con una

mano la ferita sulla spalla,infuriato. Tra le dita, colava

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copioso un sangue

denso e nerastro.

«Te lo spillerò tutto, il maledettosangue di Nidhoggr che hai nelle

vene» gli sputò contro Nida.

«Tu non sei degna neppure più dipensarlo, quel nome!»

Ofnir si gettò di nuovo su di loro,puntando il tridente. Fabio lo

intercettò, ma Nida intervenne

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ancora, togliendolo d’impaccio.Ripresero a

combattere come prima, con Fabioche si concentrava sulle serpi eNida

che cercava di dilaniare Ofnir con isuoi artigli.

Ofnir li guardò fuori di sé, il fiatogrosso per la stanchezza e la

rabbia. Poi, d’improvviso, sembròcalmarsi. Uno strano sorriso gli si

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dipinse sul volto. «Se mi avesserodetto che sarei dovuto ricorrere aquesto

per combattere contro uno stupidoragazzino e una maledetta traditricenon

ci avrei mai creduto. Ma i mezzinon contano, giusto? Conta solo chiresta

vivo alla fine.»

Si staccò l’armatura di dosso un

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pezzo alla volta; sembrava in

qualche modo saldata al suo corpo,perché ogni volta che una porzionesi

staccava, la pelle, sotto, apparivaarrossata, quasi bruciata, e il suovolto si

contraeva in una smorfia di dolore.

Nida non rimase a lungo a guardarelo spettacolo. Non appena il

petto di Ofnir fu libero, si gettò in

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avanti.

Accadde tutto in una frazione disecondo. L’armatura, a terra,

coagulò in una specie di orrendamassa nera tremolante, che vibrò esi

aggregò in forme strane. Poi sislanciò verso l’alto come un unico,lungo

nastro, finché non si trasformò inuna gigantesca e spaventosa idra. Il

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corpo era quello di una viverna:lungo, serpentino, magro, le ali alposto

delle zampe anteriori, e quelleposteriori possenti e muscolose. Mainvece

di una sola testa ne aveva nove,nove enormi serpenti dai musiaffusolati e

le fauci irte di zanne affilatissime.

Tanto Nida che Fabio non ebbero

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tempo neppure di aver paura: l’idra

si lanciò immediatamente su Nida,mentre Ofnir, con un urlo, fu suFabio.

L’equilibrio della battaglia nevenne stravolto. Adesso Nida eFabio non

potevano più aiutarsi l’un l’altro,ed erano costretti a fronteggiare il

rispettivo nemico da soli.

Ofnir rise: «Non potrai resistere a

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lungo, e lo sai!»

Cominciò a lanciare lampi dallemani, sempre più intensi, che

presero a mordere Fabio ovunque.Lui strinse i denti, urlò per ildolore,

cercando di resistere, ma stavaperdendo il controllo. I muscoliesausti non

gli obbedivano più, le dita loimploravano di mollare la presa. Lo

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fece

quasi contro la propria volontà. Lamano si aprì, e la lancia gli sfuggì,

cadendo a terra tra la polvere.

Poi le gambe cedettero, e Fabio fuin ginocchio, fiaccato da tutto quel

dolore. Ofnir era sopra di lui,immenso, imponente, il tridentestretto tra le

mani e un sorriso senza pietà sulvolto.

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«Che ti dicevo?» sussurrò.

Caricò il colpo, e Fabio non potéfar altro che stare a guardare.

Sembrava stesse succedendo alrallentatore, ogni percezione sidilatò.

Poi, poco prima che la punta deltridente lo raggiungesse, un’ombra

nera travolse Ofnir. Fabio tornò insé. Nida l’aveva salvato, ancorauna

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volta. Ma il suo corpo di vivernaera già provato da numerose ferite,dalle

quali colavano lenti rivoli di sanguenero. Era stremata, lo si vedeva dai

suoi movimenti, e Ofnir invecesembrava ancora nel pieno delleforze.

Fabio strinse di nuovo le ditaintorno alla lancia. Anche solo quel

semplice movimento gli causò

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dolore in ogni parte del corpo.

Alzò lo sguardo giusto in tempo pervedere il tridente di Ofnir

infilarsi senza resistenza nel ventredi Nida, trapassandolo. Il colpo fucosì

violento che miriadi di gocce disangue nero si dispersero nell’aria.Ofnir e

Nida rimasero l’uno davantiall’altra per un secondo, immobili,

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e il sorriso

stampato sul volto dell’uomo eraquanto di più odioso Fabio avessemai

visto. Quindi Ofnir svelse iltridente, e Nida cadde all’indietro.Prima di

toccare terra, era già tornata umana,e in quella forma d’improvviso

apparve fragile e bellissima, nientepiù che una ragazzina.

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Fabio si lanciò verso di lei urlando,e riuscì a prendere tra le mani la

sua testa un attimo prima chetoccasse terra. «Perché?» dissesoltanto.

Lei lo guardò sorridendo appena, unsorriso terribilmente triste. «Mi

avete contagiata, con la vostramaledetta vita… Troppo umana,sono

troppo umana… E tu… tu più di

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tutti.» Gli indirizzò uno sguardo che

Fabio non avrebbe mai piùdimenticato.

Poi chiuse gli occhi, e fu silenzio.

Ofnir scrollò il tridente dal sanguedi Nida. Poi guardò l’idra.

Il mostro si lanciò su Fabio,letteralmente gli strappò di mano il

corpo di Nida. Fabio lo vide alzarsiin aria, stretto tra le fauci di duedelle

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teste. Urlò di rabbia e disperazione,le lacrime che scendevano bollenti

lungo il profilo delle guance. Urlòcosì forte che la gola gli fece male,urlò

così tanto che gli sembrò didissolversi in quel grido.

Fu allora che la lancia, a terra,parve esplodere in un tripudio di

scintille abbacinanti. Un ruggitopossente fece tremare la terra sotto

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i loro

piedi. Per qualche secondo né lui néOfnir furono in grado di capire cosa

stesse accadendo. L’aria fu laceratadal grido stridulo dell’idra.

Quando la visione fu più chiara,

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davanti ai loro occhi c’era uno

spettacolo inimmaginabile: duedelle teste dell’idra, quelle cheavevano

stretto tra le fauci il corpo di Nida,erano state recise, e i tronconi si

agitavano in aria.

Davanti alla bestia c’era un animalepossente, fantastico, bellissimo:

il corpo era armonico e muscoloso,di un oro purissimo, con le ampie

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ali

membranose spalancate nell’auraimmobile di quel tempo fermo. Trale

zampe anteriori stringeva condelicatezza il corpo di Nida.

«Non è possibile…» mormoròFabio. Perché quello che aveva

davanti non poteva che essereEltanin.

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31.L’ultimo atto

I ragazzi corsero verso la villa allaricerca di Sofia, carichi di energia

nuova. Ciascuno di loro avevavissuto per quel giorno, lo aveva

immaginato centinaia di volte,persino atteso. Erano nati perquello

scontro, la loro essenza avevaviaggiato attraverso i secoli solo

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per arrivare

incorrotta a vedere la fine diNidhoggr.

Percorsero di volata il terrenobrullo mentre la rocca, davanti aloro,

si faceva sempre più imponente.

«Confesso che me l’ero immaginatadiversa, Villa Mondragone…»

disse Ewan.

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«Ti assicuro che non era affattocosì, prima. È sotto l’influsso di

Nidhoggr» gli spiegò Lidja.

Si ritrovarono davanti a unpolverone inatteso. Sembrava fumo,

trafitto dai raggi di una lunaimmensa e brillante, e in mezzo amalapena si

distinguevano figure strane che sicontorcevano. Quando furono piùvicini,

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d’istinto rallentarono fino afermarsi. Perché adesso l’immagineera fin

troppo chiara.

In mezzo c’era Sofia, la spadastretta in pugno, che brillava di una

luce candida e purissima. Tuttointorno, era un unico formicolare di

orrende zampette. Migliaia di ragnimetallici le si arrampicavano sulle

vesti, si impigliavano ai capelli,

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cercavano di soffocarla. L’ariaecheggiava

dello stridore della spada suicorpicini di quelle creatureraccapriccianti e

del rumore ticchettante delle lorogiunture.

I ragazzi rimasero fermi un istante,quasi ipnotizzati da quella vista.

Come potevano aiutarla? Nonavevano più i poteri, ma solo quelle

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maledette sfere.

Ewan guardò quella che teneva inmano. Continuava a pulsare, pigra

e indolente. L’unica arma che avevaa disposizione erano le mani.

«Addosso!» gridò lanciandosicontro i ragnetti metallici. Per unistante gli

parve di aver ritrovato lesensazioni di quando ancora era unDraconiano;

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non sentiva in sé Kuma, mapercepiva quella stessa esaltazioneche aveva

provato ogni volta che avevacombattuto, quella stessa follecertezza che

non contava davvero il risultato, masolo lottare, fino alla fine, perché

questo dava un senso a tutto.

A mani nude afferrò un paio diinsetti metallici, li gettò lontano e

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provò a calpestarli con i piedi.

Gli altri lo guardarono per qualcheistante. C’era qualcosa di epico

nella sua figura che combattevadisarmata, una specie di lontanorichiamo

che li invitava alla lotta.

Il primo a unirsi fu Karl, cuiseguirono Lidja e Chloe.Afferravano gli

insetti metallici, li gettavano

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lontano, e quando ritornavanoall’attacco li

lanciavano ancora. Erano coperti dimorsi e punture, ma nondisperavano,

anzi raddoppiavano i loro sforzi.

E fu allora che accadde. Per primafu la sfera di Ewan: sfavillò dalla

tasca, una luce viola potente e pura.Poi fu la volta della sfera di Karl, e

quindi quella di Lidja, che

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esplosero in un lampo azzurro erosa.

Quando la luce scemò, i ragazzi nonerano più disarmati. Ewan

stringeva una grossa ascia bipenne.Era di diamante, lucida etrasparente, e

la parte di manico che fungeva daimpugnatura era di ametista, di unbel

viola splendente. Ewan rimase

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incantato un attimo a guardarla, poipercepì

qualcosa di strano sotto il palmo.Impugnò l’ascia con entrambe lemani, e

come per magia quella si divisesotto il suo tocco in due asce a lama

singola. Senza neppure pensarciprese quella che stringeva nellasinistra e

la lanciò con precisione alla

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sorella.

Chloe l’afferrò al volo con presasicura. Saggiò l’impugnatura:

l’arma sembrava davvero fatta perla sua stretta. La fece roteare unavolta,

e bastò lo spostamento d’aria ascaraventare via uno di quegliinsetti.

Karl stringeva un’arma diversadalle altre: non era trasparente, ma

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di

un bianco abbacinante, lucidissimo.Si trattava di un lungo arco d’osso,

molto duro, eppure elastico. Sipiegava docile al suo tocco, e luinon

doveva fare alcuna fatica pertenderlo. Capì che quell’osso nonpoteva che

provenire da un drago, un donoregale per un’arma infallibile.

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L’impugnatura era di un celestepallido e bellissimo, trasparente,

un’acquamarina di rara purezza.Sulla schiena, a tracolla, gli eracomparsa

anche una faretra di pelle, dellostesso colore della pelle diAldibah, da

dove spuntavano venti freccebianchissime, dalla punta didiamante.

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Lidja, infine, si ritrovò tra le maniuna lunga frusta in cuoio, ma un

cuoio candido, morbido eresistente. Pelle di drago, nonpoteva trattarsi

d’altro. Era lunga e sinuosa,l’impugnatura era rosa, mentre sullapunta

brillava un diamante bianchissimo.Lidja provò a caricare un colpo, esi

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stupì di quanto facile le risultasseusarla. In un’unica staffilata riuscì a

tagliare a metà tre insetti.

Sofia, sempre intenta a combatterecon la sua spada, sentì rinascere la

speranza. L’Albero del Mondo nonli aveva lasciati soli, e aveva fattoloro

un dono magnifico.

Chloe, Karl, Ewan e Lidja sistrinsero in cerchio attorno a lei,

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facendo il vuoto intorno.

«Tu va’, qui ci pensiamo noi» disseLidja.

«No… per favore… ho già dovutolasciare indietro Fabio» protestò

Sofia.

«È in buone mani, c’è Nida con lui»disse Chloe, e nelle sue parole

sembrava non esserci più tracciadel sospetto e della paura che da

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sempre

provava per la loro enigmaticaalleata.

«Sofia, solo tu puoi batterlo, e losai. Il tuo posto non è qui» insistette

Lidja.

Sofia annuì sentendo la verità nelleparole dell’amica, poi si spostò in

una zona libera dai mostriciattoliche li aggredivano e sparì allavista.

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I ragnetti avanzavano verso iquattro ragazzi. Ce n’erano cosìtanti –

e soprattutto così tanti necomparivano di continuo – chesembrava quasi

spuntassero direttamente dalterreno.

«Ma il ritorno dell’Albero delMondo non doveva mettere fine atutto

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questo?» disse Ewan.

«Evidentemente Nidhoggr ha al suoarco più frecce di quante

credessimo» osservò Lidja.

«Be’, quanto a frecce, ne abbiamoparecchie anche noi» disse Karl, e

accarezzò l’impennaggio di una diquelle che spuntavano dalla suafaretra.

Gli altri si concessero un vagosorriso, poi con un grido si

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slanciarono in avanti.

Sofia corse attraverso la piana.Ogni tanto spuntava un ragno

metallico e cercava di attaccarla,ma erano poche sporadicheapparizioni;

evidentemente il grosso eraimpegnato con gli altri. Le bastavala spada

per tenerli a bada. Solo alla fine sitrasformò in drago. La piana era più

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ampia di quanto sembrasse a primavista, e ci stava mettendo troppo a

raggiungere la rocca. Meglio andarein volo.

Atterrò sul primo contrafforte. Loriconobbe per il Giardino Segreto,

il piccolo giardino sospeso convista sul panorama di Roma cheaveva

visitato durante il suo primo scontrocon Nidhoggr. Era ritornata un’altra

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volta a Villa Mondragone, dopoquella terribile notte che era stata atutti

gli effetti il suo battesimo del fuoco.Aveva insistito il professore: «È un

posto meraviglioso, non è giustoche tu ne abbia solo quelbruttissimo

ricordo.»

C’erano andati in occasione di unconvegno di antropologia cui

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aveva partecipato Schlafen; la villaera di proprietà di una delleuniversità

di Roma, e veniva usata solo percongressi, mostre e cerimonie.

L’argomento della conferenza eranoioso per lei, così aveva iniziato a

gironzolare qua e là, scoprendo cheera davvero un posto bellissimo.Alla

fine aveva trovato rifugio nel

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Giardino Segreto, sotto i languidirefoli di un

venticello primaverile. Era statobello farsi ipnotizzare dalchioccolio della

fontana.

Di quel piccolo gioiello chericordava non era rimastopressoché

nulla. Il parapetto che delimitava ilgiardino era diventato un muro

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grezzo

irto di spuntoni taglienti. La vascadella fontana si era trasformata inun

fetido acquitrino dal qualespuntavano rami secchi e resti dipiante putride;

l’alzata aveva ora la forma di unpaio di fauci grottescamentespalancate e

ne scorreva, al posto dell’acqua, un

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sangue nero e puzzolente. Le siepidi

bosso erano secche, i rami ritortiavevano invaso tutto come piante

infestanti, e non mantenevano piùnulla della forma geometrica che

avevano in origine. Tutto era morto,sembrava lo spettro deforme del

giardino che era stato.

Sofia sentì il cuore stringersi.Perché questo era quello che

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Nidhoggr

faceva a qualsiasi cosa toccasse.Aveva volto in male quanto di benec’era

in lui, aveva cercato di ridurre ilmondo alla landa desolata che era ilsuo

cuore.

Sofia non fece in tempo a metterepiede nel giardino che venne

attaccata da quelle che sembravano

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due viverne metalliche. Le affrontò

con la spada e le distrusse entrambecon colpi ben assestati. Ma

cominciava a sentirsi stanca.

Percorse di filata due stanze e siritrovò nella sala delle cariatidi.Qui

il cambiamento era statoimpressionante. Al posto delle duestatue severe e

composte, c’erano due figure

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demoniache dalle cui bocchefuoriusciva una

lingua spessa e lunghissima,arrotolata come spire di unserpente. I loro

volti erano atteggiati a un ghigno diuna malvagità che gelava il sangue.La

decorazione intorno alla quale sitrovavano era completamente

trasfigurata; la grossa conchiglia

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che delimitava l’arco a tutto sestoera

stata sostituita dalla metà di untorace mostruoso, il costatocomposto da

un numero innaturalmente alto dicostole, la spina dorsale davertebre

piccole e aguzze. Sotto, un murodecorato da un macabro mosaico di

minuscole ossa spezzate. Il tavolo

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al centro della sala era sghembo,

coperto da uno spesso strato dipolvere; in mezzo, in un’alzatad’osso,

della frutta si stava decomponendo.

Sofia percorse la sala più ampia,quella nella quale si erano tenuti

buona parte degli interventi delcongresso cui aveva partecipatocon il

professore, e si diresse fuori, spinta

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da una specie di oscuro richiamo.

Sapeva che il nemico era lì.L’uscita però le fu sbarrata da altrequattro

viverne metalliche. Erano troppeper affrontarle da umana, tanto cheSofia

fu costretta a tornare drago anche selo spazio per muoversi era minimo.

Mentre le viverne potevano esserefrantumate dai colpi della spada,

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ora

che Sofia poteva usare solo gliartigli la loro pelle metallica eradura da

scalfire. Purtroppo la spada erainutilizzabile quando era un drago,per

questo non aveva osato trasformarsifino a quel momento, per paura di

perdere quell’arma che secondoLung doveva proteggerla da

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Niddoghr.

Tornò subito umana e la riprese, poicorse fuori attraverso il piccolo

arco in pietra che immetteva nelPortico del Vasanzio, ritrovandosidavanti

uno spettacolo surreale.

Il Giardino della Girandola erastato trasformato in un immenso

salone. Le mura del perimetro eranoora composte di ossidiana

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malamente

sbozzata, il soffitto era un intrico dirami secchi intrecciati, alcuni deiquali

scendevano fino a terra coperti diliane. L’effetto era quello di unaserie di

colonne che suddividevano lospazio in tre navate. In fondo, suquella che

era stata la quinta del giardino,

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dove c’era la grande fontana, siergeva un

enorme altare di ossidiana, e sopraera disteso…

Lui. Nidhoggr.

Per un attimo, Sofia lo videcom’era stato in passato, l’amatofratello

maggiore di Thuban, bello epossente. Sentì, nella parte di séche era

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drago, una nostalgia straziante,sperò che tutti quei millenni didolore non

fossero mai esistiti, pregò che perqualche miracolo l’Albero delMondo

potesse essere in grado di tornareindietro nel tempo. Poi la visionescolorì,

e Nidhoggr le apparve per com’era:il corpo enorme, attraversato dalle

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cicatrici di quello scontro fatale chel’aveva trasformato in viverna, leali

membranose, con i lembi sfrangiati,gigantesche, avvolte sulla quinta e

intorno all’altare, il muso affilato.Indossava un’armatura nera come la

notte, dello stesso materiale diquella che portava Ofnir. Gliproteggeva il

petto, seguiva in parte il profilo

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delle ali, e infine gli copriva ilcapo con un

elmo.

Sofia lo guardò a lungo. La primasensazione fu di terrore. Non tanto

per il suo aspetto, quanto per l’auradi malvagità che ne spirava. Strinsela

presa sulla spada.

«Ci rivediamo, infine» ghignòNidhoggr.

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«Sembra di sì.»

«Non mi piace parlarti quando hail’aspetto di quella stupida

ragazzina. Voglio vederti com’eri,non credi di dovermelo?»

«Io adesso sono così» disse leiportandosi una mano al petto.«Sono

Thuban, certo. Lui è in me, ma sonoanche Sofia.»

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«Non è per questo che sei in formaumana, vero? È perché pensi che

quella spada che impugni possasconfiggermi. Povera sciocca…»

«Lo vedremo» ribatté Sofiacercando di dominare la paura.

Il mostro proruppe in una risatagracchiante. «Mi fai pena. Costretto

a nasconderti per millenni nel corpodegli stupidi umani, ti sei abbassatoa

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scendere a patti con le creature piùmeschine che popolano questo

mondo.»

«Un tempo tu amavi gli umani.»

«Un tempo che per fortuna è finito.Arrenditi, non potrai neppure

toccarmi in quella forma. Gli umanisono deboli e sciocchi, non possono

niente contro il mio, un tempo avreidetto il nostro, potere.»

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«Non esserne così sicuro. Sonostata io a salire fino a Draconia e a

riportare in vita l’Albero delMondo. Nidhoggr, è ritornato al suoantico

splendore: te lo ricordi, com’erabello?»

Nidhoggr ringhiò con rabbia. «Erasolo il simbolo di un mondo

corrotto, l’immagine di tutto ciò chemi è stato rubato.»

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«Non la pensi davvero così, nonpuoi pensarla così… Tu lo volevi

difendere, l’Albero del Mondo,esattamente come me, non puoiaverlo

dimenticato.»

«Taci!» ruggì Nidhoggr. «Niente milega più a te, o a Draconia, o

all’Albero. Io sono altro, sonoqualcosa di più grande, che nonpuoi

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neppure capire, io sono il futuro cheattende il mondo! Batterò te e i tuoi

stupidi amici, ridurrò a brandelli icorpi dei vostri alleati umani, e

distruggerò l’Albero del Mondo,questa volta per sempre. Sarò quelche

avrei sempre dovuto essere, ildominatore di questo mondo! Equanto alla

tua spada… Vediamo se riuscirai

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anche solo a tenerla in pugno» efece un

gesto con il capo.

Delle ombre balzarono su Sofia.Figure nere, immense e terribili,che

sembravano sbucare dalle pareti.Erano viverne, con lo stesso aspettodi

Nida quando tornava alla sua formaoriginaria. Sofia cercò di

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combatterle

con la spada e con le liane, maerano troppe e troppo potenti. Lospazio del

giardino risuonò di una risatatremenda.

«Pensavi che gli Assoggettatifossero la mia sola arma? Tisbagliavi!

Contro di loro l’Albero del Mondonon può nulla! Come te la caverai

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adesso nel corpo di un’umana,Thuban, me lo dici?»

Sofia mulinò la spada, i suoi colpiandavano a segno, ma non

bastavano. Rotolò di lato, guadagnòun attimo di respiro. No, non poteva

continuare così. Chiuse gli occhi unistante, e fu di nuovo Thuban. La

spada cadde a terra tintinnando.

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32.Thuban e Sofia

Sofia combatteva senza

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risparmiarsi, avanzando verso iltrono di

Nidhoggr. Per quanto possibile,cercava di mettere fuoricombattimento le

viverne senza ucciderle. Nonpoteva impedirsi di provare penaper quelle

creature perdute. Nei loro occhivedeva una cieca obbedienza, unatriste

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rassegnazione al proprio destino.Pensò alla loro esistenza consumata

nell’ombra, ai millenni che avevanotrascorso nascoste, solo per essere

mandate al massacro. Capivaperché Nidhoggr avesse sceltoquegli alleati:

erano disperati, proprio come lui.

Per quanto si sforzasse, tuttavia, ilnemico la stava mettendo a dura

prova. Le viverne erano

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enormemente più forti degli insettimetallici, ed

emettevano lampi neri checolpivano il corpo di drago di Sofiacome

scariche elettriche.

Sofia ingaggiò un estenuante corpoa corpo, sola contro dieci

viverne, mentre cercava di farsiscudo con la linfa dell’Albero delMondo.

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Ma presto si rese conto che eranotroppo forti, e soprattutto troppe perlei.

Una viverna riuscì a morderle unaspalla, e Sofia sgroppò

strappandosela di dosso, ma a costodi un lembo di pelle. Per il dolore

perse l’equilibrio e cadde a terra.

Neppure il tempo di un respiro, e leviverne furono su di lei. Sofia si

avvolse completamente nella linfa,

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ma sentiva le zanne e gli artiglidegli

avversari forzare quella debolebarriera. Cercò di ispessire lostrato

protettivo, ma persino respirarecominciava a diventare difficile.Nello

spazio riecheggiava la risata diNidhoggr, gracchiante einarrestabile.

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«Arrenditi, non c’è niente che tupossa fare! Pensavi davvero di

potermi battere? Ti ho già uccisouna volta, cosa ti faceva credereche

stavolta sarebbe stato diverso?»

Le forze la stavano abbandonando,e per quanto cercasse di

aggrapparsi al presente, Sofiascivolava lentamente verso il buio.I suoi

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pensieri erano di rabbia. A cosa eraservito salire fino a Draconia,

raccogliere i frutti, lottare, soffrire,se soccombeva ai servi del nemico

senza nemmeno riuscire ad arrivarea lui?

“Non può finire così…” pensòfuriosa.

E così non finirà.

Conosceva quella voce. L’avevaattesa, ne aveva un disperato

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bisogno. Il buio coagulò in unaforma nota, di un verde brillante.Prima fu

solo il volto, poi l’intera figura diThuban si disegnò nella sua mente.

“Ho bisogno di te!” gridò Sofiadentro di sé. “Da sola non posso

farcela!”

Lo so. Ed è per questo che devilasciarmi andare.

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Sofia non capiva. “Che vuoi dire?”

Che ha ragione Nidhoggr. Devilasciarmi andare.

“Vuoi farti uccidere e divoraredalle viverne?”

Non mi uccideranno, come nonhanno ucciso nessuno degli altri

draghi.

“Sono ancora vivi? Non ci hannoabbandonati?”

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Sofia percepì che Thuban stavasorridendo. Non siete mai rimasti

soli, e non lo rimarrai neppure tuadesso. Ma così, nella forma che

abbiamo, non possiamo vincerequesta battaglia.

Sofia si concesse un istante diriflessione. “E allora dimmi cosadevo

fare.”

Devi troncare ogni legame con me.

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Io e te avremmo potuto vivere

nello stesso corpo solo fino aquando Nidhoggr non fossetornato sulla

Terra. Quando ancora eravincolato al mio sigillo, potevifronteggiarlo da

Draconiana. Ma adesso lui ètornato, e le mie forze, dentro dite, non

bastano più. Devi liberarmi, Sofia,

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devi permettermi di uscire da te e

tornare quello che ero: ora chel’Albero del Mondo risplende dinuovo,

posso farlo. Riavrò il mio corpo, etu sarai libera dalla mia presenza,di

nuovo solo Sofia e nient’altro.

Sofia si sentì turbata a quelpensiero. Nei primi tempi dopo cheil

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professore le aveva rivelato chiera, aveva sperato di svegliarsi unamattina

senza più quel drago dentro di sé.Tornare ad essere “normale” daallora

era stato il suo sogno proibito. Maadesso Thuban era parte di lei. Non

poteva immaginare di vivere senzadi lui. Era Thuban a fare di lei quelche

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era, era Thuban che l’avevatrasformata in un capo. Cos’era leisenza la

sua presenza?

“Come puoi dire una cosa delgenere?” gridò. “Senza di te nonsono

niente.”

Sbagli, Sofia. Non sono io chefaccio di te la persona che sei. Orasei

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in grado di camminare da sola.Tutti, Sofia, abbiamo paura del

cambiamento, ma arriva ilmomento in cui dobbiamo crescere,e cercare

la nostra strada. Tu hai giàcominciato a farlo, e da moltotempo. Per

questo ora posso lasciarti, perquesto ora possiamo affrontarequesta

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battaglia fianco a fianco.Attaccheremo Nidhoggr insieme, ese vinceremo

ti attenderà un futuro bellissimo,perché la vita è meravigliosa, enon hai

bisogno di un drago nel cuore perriuscire a volare.

Sofia pensò alla propria vita, el’immagine di Fabio le riempì la

mente. Quante cose avrebbero

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potuto ancora fare insieme, quantesfide

avrebbero potuto affrontare… Madoveva superare quell’ultimaprova.

Sorrise sotto lo strato sempre piùsottile di linfa e sentì che Thuban si

univa al suo sorriso.

A presto, Sofia, le disse.

Con le ultime forze, Sofia rotolò suse stessa e riuscì finalmente a

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raggiungere la spada. La strinse inpugno e con un unico, precisocolpo,

svelse l’Occhio della Mente dallapropria fronte. Il dolore fu atroce, esi

sentì urlare.

Poi ogni cosa fu investita da unaluce accecante, mentre un potere

benefico la percorreva da capo apiedi, restituendole le forze perdute

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e

guarendo le sue ferite.

Quando riaprì gli occhi, si ritrovòin piedi. Indossava una magnifica

armatura di diamante con inserti dismeraldo; era come la spada,durissima

e splendente, eppure leggera, quasifosse fatta apposta per il suo corpo.Tra

le mani, la spada brillava di una

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nuova luce.

Ma, soprattutto, davanti a lei videThuban: era un drago magnifico,

immenso e possente, forte com’erastato ai tempi degli antichi fasti di

Draconia. Le ali spalancate eranocosì grandi da oscurare il cielo, gliartigli

così potenti che le viverne strettenella loro morsa erano incapaci di

muovere un muscolo.

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Si guardarono negli occhi, per laprima volta dopo tutti quegli anni

insieme. Non ci fu bisogno di

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parole: si riconobbero, percepironodi essere

legati da qualcosa di inesprimibilee profondo. Di essere ancora, inmodo

diverso, una cosa sola.

33.Il tempo dei draghi

Eltanin pose delicatamente Nida aterra, mentre Fabio guardava con

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stupore la nuova armatura didiamante e oro, venata di nero, chegli

ricopriva il corpo.

Si accovacciò un istante accanto aNida. Nonostante le ferite,

sembrava quasi che dormisse. Nonera tornata alle sue sembianze

originarie, ma era rimasta umana.Chissà se era stata una scelta o un

desiderio nascosto nel cuore.

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«Ti giuro che il tuo sacrificio nonsarà stato vano» le disse ferendosi

una mano con la lancia, e lasciandoche qualche goccia di sangue le

colasse sul petto. Poi si tirò su conrinnovata determinazione.

«Questo non cambia nulla» ringhiòOfnir facendo un cenno all’idra.

L’animale si gettò con un gridocontro Fabio, ma Eltanin sifrappose tra

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loro, scagliando via la bestia. Ilterreno risuonava dell’urto dei duecorpi

giganteschi che si affrontavano,l’aria echeggiava delle loro grida.

Fabio riuscì a tornare di fronte aOfnir. «Spostati. Non sei tu il mio

nemico» disse gelido.

Ofnir rise. «Come, non vuoivendicare la tua amichetta?»

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«Certo. E per farlo devo arrivare aNidhoggr, non a te.»

Ofnir contrasse la mascella e sigettò su di lui con un grido.Ripresero

a battersi, Ofnir con il tridente eFabio con la lancia. Ma mentreprima era

lui ad essere in affanno, adessoOfnir sembrava in difficoltà. I colpidi

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Fabio si erano fatti più precisi epotenti, e quelli di Ofnir, per quanto

terribili, venivano intercettati dallasua nuova armatura. Fabio riuscì afarlo

indietreggiare, e con un tondo gliimpresse un lungo taglio su unaguancia.

L’uomo urlò e il suo corpo esplosein un tripudio di fiamme nere, maFabio

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le fece infrangere contro unabarriera di fuoco. Aveva di nuovo isuoi

poteri, anche se Eltanin non era piùdentro di lui.

Un ultimo, straziante grido li fecevoltare entrambi. L’idra giaceva a

terra, le nove teste tutte recise,l’ultima ancora in bocca a Eltanin.Ofnir

lanciò una maledizione al cielo, poi

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enormi ali nere gli esplosero sulla

schiena e volò via.

“Che sta succedendo?” pensòFabio.

È accaduto qualcosa, qualcosa chepreoccupa terribilmente

Nidhoggr.

Fabio si voltò. Era stato Eltanin aparlare, dietro di lui. Adesso che

poteva guardarlo meglio, si

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accorgeva di quale magnifica bestiafosse.

Sapeva qual era il suo aspetto,l’aveva sempre saputo, e l’avevaanche

visto nei suoi sogni, ma trovarselodavanti era tutta un’altra cosa. Nonpoté

impedirsi di accarezzargli unaspalla. Sentì il muscolo contrarsisotto il suo

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tocco.

Anche gli altri draghi si sonomanifestati, disse Eltanin. E hanno

aiutato i tuoi amici a battere gliinsetti di metallo.

“Anche Thuban è tornato?”

Certamente. Ma Sofia ha bisognodel tuo aiuto. Dobbiamo andare.

Fabio annuì, poi guardò Nida. “Elei? Non posso lasciarla qui.”

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Eltanin si avvicinò alla ragazza.Fabio la guardò per un’ultima volta.

Aveva fatto per loro, e soprattuttoper lui, qualcosa di straordinario,

qualcosa per cui si sarebbe sentitoin debito per sempre.

«Non ti dimenticherò mai» le disse.«E perdonami per tutto il male

che ti ho fatto.» Poi guardò Eltanin.Fu lui a lanciare la potentefiammata

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che trasformò il corpo di Nida incenere e fumo. Fabio lo videinnalzarsi

verso il cielo. Chiuse un istante gliocchi, l’ultimo addio, poi fu pronto.

Saltò in groppa a Eltanin.

«Andiamo» disse, e spiccarono ilvolo verso il cielo.

Nel momento in cui aveva rivistoThuban, Nidhoggr si era sentito

attraversare da un terrore

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paralizzante. Sperava di non dovermai più

rivedere il suo nemico, non inquella forma. Certo, Sofia era ingrado di

assumerne le fattezze, ma in quelcaso era diverso: c’era qualcosa difragile

e umano in lui, come se l’avervissuto così a lungo in un altrocorpo

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l’avesse indebolito. Adesso inveceera davvero quello di un tempo, lo

stesso che lo aveva imprigionatosotto terra per trentamila anni. Era

possente, forte, sicuro come allora,come il giorno in cui aveva ricevuto

dall’Anziano l’investitura aGuardiano, il giorno in cui gliaveva rubato

tutto.

Se avesse dato retta al suo cuore,

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sarebbe scappato, vinto dal ricordo

di quegli interminabili millennitrascorsi al buio e al freddo. Marimase

dov’era, e recuperò rapidamente lasua presenza di spirito.

“L’ho già ammazzato una volta e lorifarò” pensò. “Non conta che

l’Albero del Mondo sia tornato, iosono ancora il più forte, il piùgrande.”

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Per qualche secondo tutto rimaseimmobile, persino le viverne si

fermarono. Era come se tuttipercepissero la solennità diquell’istante.

Thuban e Nidhoggr si fissavano, perla prima volta dopo trentamila anni.

Nei loro sguardi, nel loro silenzio,c’era tutta la loro storia. Sofiarimase a

guardare senza una parola.

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«Speravo davvero di non dovertimai più rivedere» disse Nidhoggr.

«Io invece desideravo con tutto ilcuore di rivederti, fratello.»

«Non siamo più fratelli. Non mi haivisto? Tu hai voluto che non lo

fossimo, regalandomi questocorpo.»

«Non era quello che volevo. Hosbagliato, e sono millenni che

convivo con questa

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consapevolezza.»

«Già, ma io convivo da millennicon queste cicatrici, e col dolore di

essere stato tradito dalla carnedella mia carne.»

«Il nostro tempo è finito, lascia chece ne andiamo da fratelli, e non

da nemici.»

«Ho distrutto l’Albero del Mondoperché era quello che volevo, ti ho

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ucciso perché ti odiavo e ti odioancora, e non smetterò certoadesso.»

Nidhoggr squarciò l’aria con unurlo. Il tetto di rami intrecciati

esplose in una miriade di scheggementre le viverne, a terra, siagitavano di

nuovo, unendo le loro voci a quelladel padrone. Dal cielo scese a terra

Ofnir. Sofia rabbrividì di fronte al

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suo sguardo.

«Eccomi, mio Signore» disse. «Viaiuterò a combattere questi esseri

indegni.»

«E sei pronto a tutto per farlo? Aqualsiasi sacrificio?»

Ofnir lo guardò con occhi accesi daun fanatismo cieco, assoluto. «Sì,

mio Signore!» proclamò.

«E allora va’» disse Nidhoggr, e

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con un artiglio lo trapassò da partea

parte.

Ofnir urlò di dolore, e il suo corpoiniziò a trasfigurarsi. Le membra

si estesero innaturalmente, bracciae gambe si saldarono al corpo, latesta

si ingrandì e si allungò. QuandoNidhoggr finalmente ritrassel’artiglio, di

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Ofnir non era rimasto più nulla.Davanti a Thuban e a Sofia c’era un

serpente gigantesco, nero e viscido,la bocca aperta e la linguaguizzante.

«Prenditi la tua vendetta» mormoròNidhoggr, e il serpente si gettò

contro Thuban e Sofia, pronto adilaniarli. Ma prima che le suespire si

stringessero attorno alle prede,

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accadde quello che Sofia nonavrebbe mai

sperato: Eltanin, Rastaban, Aldibahe Kuma, maestosi e imponenti,

apparvero davanti ai suoi occhi.Sulle loro groppe sedevano i cinque

Draconiani. La squadra era riunitaper la battaglia finale.

Il serpente rimase indeciso un soloistante, poi urlò verso il cielo e si

avventò contro di loro.

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«Tu pensa a Nidhoggr! È tuo!»gridò Fabio, in groppa a Eltanin, esi

lanciò contro il mostro generatodalle carni di Ofnir. Era immenso,

sembrava crescere a vista d’occhio,e una sola delle zanne che gli

spuntavano dalla bocca era lunga asufficienza per trapassare da parte a

parte la testa di un drago. I ragazzigli volavano intorno, lanciandogli

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contro fiamme, bordate di ghiaccio,uragani e quanto i loro poteri eranoin

grado di evocare, però sembravatutto inutile.

Sofia saltò in groppa a Thuban e siavventò contro Nidhoggr, ma

Ofnir mosse le sue spire perintercettarli. Sofia se lo videarrivare addosso,

le fauci spalancate, il rosso della

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bocca che sembrava quello di unafornace

ardente. Poi, un lampo colordell’oro le occultò la vista. Eltaninsi era

messo in mezzo e il mostro avevastretto le fauci su una delle sue ali,

tranciandogliela di netto.

Guizzò verso Karl, che lo bloccòper un istante congelandogli la

testa, mentre Ewan e Chloe lo

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trattenevano con un uraganodevastante. Gli

altri gli si gettarono addosso. Ilserpente sembrava impazzito.Muoveva la

testa a destra e a sinistra, lanciandosibili inferociti. Con uno di quei

movimenti colpì in pieno Aldibah,che andò a sbattere con violenzacontro

il muro del giardino. Poi lanciò una

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fiammata nera contro Lidja e

Rastaban: il drago venne colpito distriscio a un fianco e Lidja a unaspalla.

Urlò di dolore.

«Lidja!» la chiamò Fabio, ma nonottenne risposta. Era piegata in

due, la mano stretta alla spalla.Sotto le dita, si intravedevaqualcosa di

nero che lentamente si estendeva al

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braccio. Fabio fece allontanare

Rastaban per un istante e atterrò inun angolo della sala.

«Lidja, dannazione, dimmiqualcosa.»

Finalmente lei alzò lo sguardo.Soffriva terribilmente. «È tutto a

posto.»

«Lidja, non ce la puoi fare, haivisto la forza di quel mostro. Haigià

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dato molto.»

Lei si morse le labbra. Una nuovafitta la piegò in due. Infine scese

dal drago, a malincuore.

«Abbattilo, Fabio, abbattilo e vaida Sofia» disse.

Fabio tornò a combattere, ma lasituazione appariva disperata.Kuma

si era trovato da solo ad affrontare

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il serpente, e sembrava aver avutola

peggio. Un larghissimo taglio gli siapriva sul petto; volava a stento, e

anche Ewan e Chloe sembravanoferiti dalle fiamme nere. Provaronoun

ultimo attacco: con disperazioneKuma si avventò sul serpente. Lomorse

proprio sotto la testa, affondando i

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denti più che poteva. Ofnir urlòverso il

cielo, prese a muoversiconvulsamente finché non riuscì atogliersi di

dosso il drago, che spiraleggiòabbattendosi al suolo.

Per un istante, il serpente sembròquietarsi, e Fabio poté valutare la

situazione. Erano comunque inquattro contro uno, per cui erano

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riusciti a

infliggergli numerose ferite chepunteggiavano il suo corpoimmenso. La

più grave sembrava uno squarciosul collo, senza contare le frecceche

Karl, in aria prima e dal suolo poi,era riuscito a mandare a segno. Masi

muoveva ancora bene, e lui ormai

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era solo. Gli altri draghi, compresoil

suo, erano a terra.

«Siamo rimasti io e te, dunque»disse Fabio. Rastaban tacque. «Sei

con me?» disse piegandosi sul collodel drago.

Come sempre, rispose lui.

«E allora andiamo!» E sislanciarono contro il nemico.

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Nel frattempo Sofia e Thuban siavventavano su Nidhoggr con foga,

ma lui evitava i colpi con un’agilitàinsospettabile. Non sembrava una

creatura rimasta bloccatanell’ombra per millenni. Il suocorpo era ancora

scattante e rispondeva conprecisione agli ordini. Lame di lucenere si

staccarono da lui, ma quando Sofia

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le colpì con la spada, si accorseche

erano dure come l’ossidiana.Alcune morsero la carne di Thuban.

Nidhoggr rise. «Cosa credevi, chemi fossi rammollito? L’odio ha

tenuto vivo il mio corpo per tuttiquesti secoli, lo stesso odio che midà la

forza di sconfiggerti!»

Si gettò su Thuban, affondando i

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denti nella sua spalla. Il dragocadde

all’indietro ruggendo, mentre uncolpo d’ala di Nidhoggrdisarcionava

Sofia. Si sentì scivolareall’indietro, cadde lungo la schienadi Thuban e

solo all’ultimo riuscì adaggrapparsi alle sue scaglie e amettersi di lato.

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Con un salto spericolato atterròsulla groppa di Nidhoggr.

Il contatto con la sua pelle letrasmise ribrezzo e paura. Siarrampicò

fino alla testa, non senza difficoltà,perché Nidhoggr e Thubanlottavano

avvinghiati l’uno all’altro. Sofiavide che Nidhoggr era ancorasaldamente

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aggrappato con i denti alla spalla diThuban e infilò la spada tra le sue

fauci, provando a far leva. Nonservì a nulla, la viverna era troppoforte.

Nidhoggr la sbalzò via colpendolacon uno dei suoi artigli. Sofia

avvertì un bruciore atroce invaderlela schiena. Non toccò il suolo, però,

perché Thuban riuscì a frenare lacaduta prendendola al volo,

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nonostante

gli mancasse un brano di carnesopra la spalla e perdesse sangue afiotti.

Lui e Nidhoggr si avvolsero dinuovo in un abbraccio mortale,

mentre la spada di Sofia solo atratti riusciva a penetrare la pelle di

Nidhoggr infliggendogli piccoleferite.

Era vero. Era forte, più forte di

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quanto lei avesse mai immaginato;

non potevano farcela loro due soli.Avevano bisogno degli altri.

A terra, il sangue rosso di Thuban simescolava con quello nero di

Nidhoggr. Ma Thuban era piùdebole, lo si vedeva dal suoatteggiamento,

dal modo stesso in cui faticava areggersi. E Sofia, Sofia era esausta.

Anche solo restare in piedi con la

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spada in mano le richiedeva unosforzo

supremo.

«Ho bisogno di aiuto!» urlò verso isuoi amici. «Ho bisogno di voi!»

Ma dalle sue spalle sentivaprovenire solo le urla e i soffiinferociti di

Ofnir.

Nidhoggr lanciò di nuovo le suelame nere, e Thuban stavolta non

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ebbe la forza di spostarsi. Fu Sofia,con un impeto estremo, a frapporsie a

cercare di pararle con la spadacome meglio poteva. Riuscì aevitarne la

maggior parte, ma molte leimpressero sottili, dolorosi tagli abraccia e

gambe.

Fabio e Rastaban, intanto, lottavano

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con il serpente. Si avvicinavano

il tempo sufficiente affinché Fabiopotesse infliggergli una ferita, poi si

allontanavano. Certo, non erapossibile sconfiggerlo così, masperavano

per lo meno di fiaccarlo, tanto piùche da terra Karl continuava acolpirlo.

Le sue frecce, dopo un po’, simaterializzavano di nuovo nella

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faretra, così

non era mai a corto di munizioni.Fino a quel momento non erariuscito a

fare grandi danni, ma con un colpofortunato finalmente infilò l’occhio

sinistro della bestia. Il serpentealzò la testa al cielo, gridando didolore, e

Fabio ne approfittò per avvicinarsie colpire l’altro occhio con la

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lancia.

Accecato, il mostro mosse il corpocon violenza tutt’attorno, e unadelle

sue spire si abbatté su Karlsbalzandolo contro il muro, mentrela testa

colpiva Rastaban, che cadde aterra. Il drago cercò di risollevarsi,ma il

nemico gli fu addosso e, con un

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terribile morso al ventre, loinchiodò al

suolo. Fabio sentì il dolore deldrago come fosse il proprio, e conun salto

disperato balzò sulla testa delserpente e la colpì con la lancia,

affondandola al centro.

Quindi cadde a terra, colpito a unagamba da una della fiammate. Fu

come se gliel’avessero strappata. Il

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dolore era così intenso che nonriusciva

neppure a gridare. Il serpente crollòal suolo, smettendo di muoversidopo

un’ultima convulsione. Era finita,pensò Fabio.

Ma non lo era per Sofia. Con unosforzo supremo, alzò la testa e la

vide. Stava davanti a Thuban, laspada in pugno, e respingeva le

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lame nere

che Nidhoggr le lanciava controcercando di proteggere il drago,stremato

e pieno di ferite. Era bellissimanella sua determinazione aresistere, nella

sua forza disperata, nel suocoraggio. Ma Fabio sapeva che nonavrebbe

potuto reggere ancora a lungo.

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In quel mentre risuonò la voce diEltanin, disperata e morente. C’è

ancora qualcosa che possiamofare, disse. L’unica. L’ultima.

Alla sua voce si unì quella deglialtri draghi. Dicevano la stessacosa,

chiamavano a raccolta tutti iDraconiani. Fabio si girò prono e sitrascinò

piano fino a Eltanin. I suoi occhi

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erano quelli di un essere morente.

L’Occhio della Mente pulsavadebole, ormai quasi spento. GuardòFabio, e

non ci fu bisogno di dire altro. Ilragazzo sorrise. Prese tra le mani latesta

del suo drago e avvicinò il volto alsuo muso, finché la fronte non

combaciò con l’Occhio dellaMente. I suoi compagni stavano

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facendo lo

stesso ciascuno con il propriodrago. Fabio sentì la vita scorrereattraverso

quel contatto, avvertì ogni bricioladelle sue energie residueUn’immensa,

dolce luce dorata li avvolse tutti.

La luce dorata investì Sofiaall’improvviso. Se ne sentì avvoltae

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dentro di essa sentì gli echi dei suoicompagni. C’erano la sicurezza di

Lidja, l’intelligenza di Karl e ladolcezza di Chloe, la spavalderia diEwan

e l’amore di Fabio. Sofia si sentì lasomma di tutti in quel momento.

La luce investì anche Thuban eparve infondergli nuova vita. Sofialo

vide trasfigurarsi in un drago

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immenso e meraviglioso, in cui siriunivano

le caratteristiche dei suoi cinquecompagni. Non era più soloThuban,

erano tutti i Guardiani insieme, eral’Albero del Mondo fatto carne.

Nidhoggr si ritrasse urlando. Ildrago, somma di tutti i draghi, nonlo

colpì. Rimase immobile davanti a

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lui, uno sguardo di profondo doloree

compassione negli occhi. Gli siavvicinò, lo avvolse con le sue aliin un

abbraccio fraterno. Nidhoggr sidibatté, ma non riuscì a spezzarequella

stretta: il drago adesso erainfinitamente più forte di lui.

«Stammi lontano! Non la voglio la

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tua compassione! Non lo voglio il

tuo amore!» urlò Nidhoggr, ma ildrago continuò a tenerlo strettosenza

parlare. I due musi, l’uno di fiancoall’altro, per un istante parvero aSofia

com’erano stati nei tempi antichi,quando la smania di potere non liaveva

ancora divisi.

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«Fallo, Sofia» disse Thuban. Sofiarimase immobile, la spada

abbandonata al fianco. «Il nostrotempo è finito, è ora per noi diandare. La

tua spada serve a questo, lo haisempre saputo.»

«Io non voglio colpirti» disseSofia.

«Non riuscirò a rimanere a lungo inquesta forma, Sofia. Devo

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andare, e Nidhoggr deve venire conme.»

Sofia sentì le lacrime che leinondavano il viso «No…»mormorò.

«È così che va questo mondosplendido e terribile nel qualeviviamo.

Anche tu hai dato e perso molto perarrivare fin qui, anche tu haisofferto.

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Non sminuire questa sofferenza, nonrenderla vana.»

Le sorrise, un sorriso meraviglioso,appagato, soddisfatto. Fu allora

che Sofia alzò la sua spada tra lelacrime e calò il colpo al centro diquel

bozzolo formato dalle ali diThuban. Thuban e Nidhoggr sidissolsero in

centinaia di scintille luminose, e

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per un istante Sofia ebbel’impressione di

aver visto persino Nidhoggrsorridere, un sorriso tenue enascosto. Poi

sentì le forze abbandonarla.

Cadde nel buio.

Epilogo

Sofia si svegliò in una stanza

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sconosciuta, in un letto che non lesembrava

il suo. Accanto a lei, c’era ilprofessore.

«Prof, sei vivo!» gridò gettandoglile braccia al collo, ma nel cercare

di alzarsi il corpo le inflisse unafitta di dolore.

«Certo che sono vivo» disse luidisorientato. «Chi ha rischiato lavita

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sei tu.»

E raccontò una storia che alleorecchie di Sofia non aveva senso.Le

parlò di un incidente stradale, diun’auto che l’aveva travolta, digiorni

passati in ospedale.

«Ma… questo quando sarebbesuccesso?»

«Una settimana fa. Sei stata tra la

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vita e la morte per tre giorni, però

adesso sei fuori pericolo.»

«E Nidhoggr? L’abbiamosconfitto?»

«Nid… cosa? Di chi stai parlando,Sofia?»

«Prof, sto parlando della vivernache ha ucciso Thuban, dell’Albero

del Mondo, dei frutti.»

«Hai bisogno di riposo, cara. Ecco

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qui, appoggia la testa al cuscino»

le disse Schlafen accarezzandole icapelli.

Sofia rimase senza parole.

Fu allora, di fronte alla facciaperplessa del professore, che capì.Lui

non ricordava niente. Non solo gliavvenimenti degli ultimi giorni: non

ricordava nulla dei Draconiani,dell’Albero del Mondo, di se stesso

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e del

proprio ruolo di Custode. Tuttoquello che avevano condiviso negliultimi

anni era semplicemente sparito.

Provò a porgli altre domande, malui parve prima confuso, poi

condiscendente, infine seriamentepreoccupato.

A sera lo sentì parlare con unmedico, appena fuori dalla porta

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della

sua stanza in ospedale.

«È ancora confusa, è normale, hasubito un trauma cranico di una

certa gravità. In ogni caso,domattina la faremo esaminaremeglio da un

neurologo.»

A quel punto, Sofia decise di farebuon viso a cattivo gioco, e smise

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di citare i Draconiani e l’Alberodel Mondo.

In capo a dieci giorni fu fuoridall’ospedale, di nuovo a casa.

Ma qui trovò un’altra bruttasorpresa ad attenderla.

La casa sul lago non era altro cheun normalissimo villino a Castel

Gandolfo, dove vivevano lei, ilprofessore e Thomas. Del maestosoalbero

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che cresceva al centro della casanon esisteva nemmeno un ramo, etutto

quel che restava della passione delprofessore per l’Ottocento era un

arredamento appena eccentrico,nulla più. Ma, soprattutto, nonc’erano

Lidja, Karl, né nessuno dei suoiamici. Sofia non ebbe il coraggio di

chiedere. Quella parola,

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“neurologo”, l’aveva spaventata.Iniziò a credere

di essere pazza, di aver sognatotutto, iniziò a pensare che gli ultimidue

anni fossero stati un parto della suamente, un frutto di quei giorni che

aveva passato sospesa tra la vita ela morte.

Eppure, la notte stessa del suoritorno a casa, la vide. La sfera che

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Lung le aveva dato era nella suastanza a prendere polvere su unamensola.

La prese in mano, chiedendosi senon fosse anche quella un’illusione.

Ma le bastò toccarla, e la viderisplendere di una luce verdastra,pulsare

debolmente. E allora capì. Non erastato un sogno, non era impazzita.Era

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tutto vero. Ma era così anche per isuoi compagni? O solo lei avrebbe

portato il peso di quel ricordo?Dov’erano Lidja, Karl, Fabio e igemelli?

Dov’erano i suoi amici?

Quando vide Fabio comparire sullaporta, stretto nella camicia a

quadri con cui l’aveva conosciuto,non riuscì a trattenersi e gli saltò al

collo.

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«Dimmi che ti ricordi, dei draghi,di noi, di tutto» gli mormorò sul

collo, il cuore in gola.

Fabio la strinse a sé. «E comepotrei averlo dimenticato? Daquando

mi sono risvegliato non ho fattoaltro che cercarti.»

Un colpo di tosse li interruppe.Dietro di loro c’era il professore,lo

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sguardo acceso da una sorta digelosia paterna. «Sofia, chi è questo

ragazzo? Si è precipitato in casasenza nemmeno presentarsi!»

«Un amico dell’orfanotrofio»rispose lei.

Fabio era esterrefatto. Schlafen chenon lo riconosceva?

Quando il professore si convinse alasciarli soli e andò a preparare

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qualcosa da bere, Sofia spiegò aFabio la situazione. Parlarono alungo,

ricordando gli ultimi momenti dellabattaglia.

«Ho creduto di essere pazzo. Noncapivo perché non fossimo

insieme, non ero più in grado didire se fosse stato un sogno o cosa.Ma

questa non poteva mentire, e ho

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capito che dovevo venire acercarti» disse

mostrando a Sofia una sfera.

«Allora è rimasta anche a te!»esclamò lei. «Anch’io l’ho ritrovata

qui, e ho avuto la riprova di nonessere impazzita come temevo. Mala cosa

peggiore era che non sapevodov’eri, non sapevo nemmeno sepure tu eri

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stato un’illusione.»

«Non sono un’illusione» mormoròFabio.

Si sorrisero timidamente, poi,piano, si baciarono.

Insieme, cercarono gli altri e a pocoa poco li ritrovarono tutti.

Lidja era di nuovo col circo,accampata nello stesso piazzaledov’era

montato il tendone la prima volta

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che lei e Sofia si erano conosciute.Li

strinse a lungo entrambi, nonappena li vide.

«Dimmi che almeno il prof siricorda» disse, ma Sofia dovette

deluderla.

Karl era di nuovo in Germania, ederano riusciti a mettersi in contatto

via mail, mentre Chloe e Ewanstavano a Edimburgo. Avevano

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raccontato

che anche Gillian non ricordavanulla, che era stato un incubo, cheprima

di sentirli avevano pensato di averavuto un’allucinazione.

Il mondo non ricordava, il mondoaveva dimenticato. Sui giornali

non c’era traccia dell’eruzione delVesuvio, o dello tsunami a Palermo.

Villa Mondragone era niente più

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che una residenza d’epoca, lefondamenta

erette su un’antica villa romana.

Tutto quel che riguardava draghi eviverne sembrava essere

scomparso dal mondo, e anche gliOcchi della Mente si eranotrasformati

in normali nei. Era questo cheintendeva Thuban quando avevadetto che il

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tempo dei draghi era finito? Eraquesto oblio che li condannava auna

solitudine eterna?

Il professore era il solito padreaffettuoso nei confronti di Sofia, e

fece amicizia molto presto anchecon Lidja e Fabio, che siritrovarono a

passare buona parte delle lorogiornate nel villino. Fabio ormai

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viveva nel

garage della casa, arredato in mododa essere una comoda stanzetta. Ma

per Sofia era dura non potercondividere con Schlafen una partecosì

importante della sua vita, quella cheaveva forgiato il loro rapporto.

Nella libreria trovò un volume incui veniva raccontato tutto per filo

e per segno, e provò a parlare con

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lui. Il professore fu prodigo didettagli, e

per un istante Sofia sperò potessericordare.

«Era quello che dicevo appena misono svegliata in ospedale, no?»

provò a dire.

«Già. Solo che tu ci credevidavvero, e queste invece sono solo

leggende. Magnifiche leggende, traquelle che amo di più, ma

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nient’altro

che storie.»

E questo chiuse per semprel’argomento tra loro due.

Il lago era quieto e silenzioso.L’acqua a malapena sciabordavalungo

la riva e in cielo splendeva una lunagigante, che gettava ombre nette e

intense. Con quella luce, il boscosembrava aver perso l’aura

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inquietante

che aveva sempre e sembrava unluogo fatato e benevolo. Sofia alzògli

occhi verso la luna. Eraterribilmente simile a quella chec’era quella sera,

mesi prima, quando avevanosconfitto Nidhoggr.

Erano di nuovo tutti insieme, comeun tempo.

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Tra Karl e Chloe ormai sembravaesserci un feeling particolare; si

capiva dal modo in cui lui lasosteneva mentre scendeva la rivaripida, dai

sorrisi timidi che si scambiavano.

Sofia guardò Lidja. Lei alzò gliocchi al cielo. «Sono due broccoli,

non hanno ancora capito che sipiacciono, e ce ne vorrà del tempo»

sussurrò. Sofia soffocò una risata

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sul palmo della mano.

Chloe e Ewan erano solo invacanza, ma stavano facendopressioni

su Gillian perché prendesse casanei paraggi, e la donna sembravasul

punto di cedere. Del resto, si erainnamorata quasi subito di Roma edei

Castelli. Karl invece era in viaggio

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studio con l’istituto nel quale si era

ritrovato confinato al risveglio. Inogni caso, era riuscito a falsificare

alcuni documenti in modo cheadesso il professore credeva fosseil figlio

di una sua stimatissima collegamorta prematuramente, e si stavafacendo

in quattro per adottarlo. Qualcosadella sua vita precedente doveva

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essere

rimasto addosso al professore,perché mostrava un affettoinconsueto per

tutti i Draconiani.

«Non so, a volte mi sembra diconoscervi da sempre» diceva unpo’

confuso, e Sofia sorrideva tra sé esé.

In ogni caso, stavano facendo di

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tutto per tornare di nuovo insieme,

ed erano certi di riuscirci a breve.

I ragazzi parlottarono per un po’ tradi loro, poi Sofia si schiarì la

gola. Tutti fecero silenzio.

«Bene, sapete perché siamo qui,no? Avete portato con voi

l’occorrente?»

Gli amici frugarono nelle tasche etirarono fuori ciascuno la propria

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sfera.

«Perfetto» disse Sofia.

«Secondo te c’è qualche speranzache funzionino ancora?» chiese

Karl.

«Be’, brillare brillano» osservòLidja. Era mano nella mano con

Ewan. Da quando lui era arrivato aRoma, si erano trasformati in una di

quelle coppiette appiccicose tutte

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baci e abbracci. Gli altrisopportavo con

qualche battuta le loro effusioniperché tutto sommato eranodivertenti, e

poi si vedeva che si volevano ungran bene.

«Noi non siamo più Draconiani,non credo ci sia modo di attivarle»

disse Sofia.

«Proviamoci» intervenne Fabio.

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«Un’ultima volta» sorrise.

Sofia ci pensò un istante, poisorrise anche lei annuendo.

Si concentrarono, una lieveemozione che serpeggiava nelgruppo.

Non avevano mai più testato i loropoteri da allora, anche perché nonce

n’era bisogno: i draghi se n’eranoandati, lo sentivano.

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E invece, bastò un istante solo diconcentrazione, e le armi furono di

nuovo nelle loro mani. La lancia diFabio, le asce di Chloe e Ewan,l’arco

di Karl, la frusta di Lidja, la spadadi Sofia. Quest’ultima era ancora

incrostata del sangue di Nidhoggr.

«Se facessimo vedere questo alprofessore e a mamma, ci

crederebbero» osservò Chloe.

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«No» tagliò corto Sofia. «Loro nonfanno più parte di questa storia.

Non sarebbe neppure giustocostringerli a ricordare. Io credoche questo

sia un peso che dovremo portarecon noi per il resto della nostravita:

siamo tutto ciò che resta dei draghi,di Nidhoggr, di Nida. Siamo gliunici a

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ricordare, è il nostro destino, ilnostro compito, forse.»

Gli altri annuirono in silenzio.

«Certo che sono proprio belle…»disse Ewan guardando il filo della

sua arma. «Ma se le tenessimo?»

«Lo sai che non avrebbe senso.»

Tutti tacquero. Sapevano che eravero.

«Okay, siete pronti?» disse Sofia

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guardandoli.

I ragazzi annuirono.

Il primo fu Karl. Lanciò l’arco condecisione. Poco prima di toccare

l’acqua, tornò di nuovo sfera. Ewane Chloe furono i successivi, poiLidja,

infine Fabio. Sofia fu l’ultima.Fabio le prese una mano, glielastrinse

forte. Lei guardò per l’ultima volta

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la spada, mentre tornava sfera.Sorrise,

e la scagliò verso l’acqua. Fece unplof tondo e preciso. Poi il silenzio.

«Ecco qua. Adesso è finitadavvero» disse.

«Un po’ mi spiace» mormorò Karl.

«Ti spiace non rischiare più la vitaun giorno sì e l’altro pure?» disse

Lidja.

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«No, che c’entra…»

«Giusto un nerd come te potevaessere contento di una cosa del

genere» lo punzecchiò Fabio.

Karl sbuffò, e tutti risero.

«Ci vediamo un film?» proposeEwan. «È uscito in DVD un horror

carino.»

«Tu e gli horror… a me nonpiacciono» protestò Sofia.

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«Sarai pure il capo, ma sei rimastapappamolla dentro» la canzonò

Lidja.

Si avviarono verso casa ridendo echiacchierando tra loro.

Appena sotto il pelo dell’acqua, lesfere continuavano il loro percorso

verso il basso, attraverso l’acquanera come la pece, tra algheflottanti e

pesci che nuotavano pigri.

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Poi, una alla volta, varcarono ilconfine della bolla d’aria sul fondo

del lago e caddero a terra, accantoal tempio di Lung, di un bianco

splendente, di nuovo intatto etraboccante di potere. Lì giacquero,metri e

metri sotto la superficie dell’acqua.

Ringraziamenti

Scrivere la serie della “Ragazza

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Drago” è stata l’avventura più lungadella

mia carriera di scrittrice. Se è veroche ho passato più tempo nelMondo

Emerso, non mi era però maicapitato di seguire per cinque anni idestini

degli stessi personaggi. E così,quando ho scritto l’epilogo diquesta

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lunghissima avventura, per la primavolta ho capito quanto davveroSofia e

i suoi amici mi fossero entratidentro, quanto ormai facesseroparte del

panorama delle mie giornate.

È iniziato tutto quasi per scherzo,per il semplice desiderio di fare

qualcosa di diverso, di staccare perqualche tempo dal Mondo Emerso.

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Presto però la storia mi è cresciutatra le mani, fino a diventarequalcosa

che non avrei immaginato, quandoho iniziato. Non dimenticherò mai il

divertimento che scrivere questestorie mi ha regalato, né la passione

crescente con la quale mi ci sonodedicata, e spero che parte diquesto

divertimento e di questa passione

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siano passate anche a voi.

Se è vero che un libro è sempre ilfrutto del lavoro di molte persone,

questo è ancor più valido per unaserie longeva come questa. Lepersone

da ringraziare, quindi, sonodavvero tante. Il primo è SandroneDazieri; è

lui che mi ha spinto a cimentarmicon qualcosa di totalmente diverso

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da

quello che avevo fatto fino a quelmomento, lui a darmi spunti,

suggerimenti, consigli, ad aiutarmisempre a dare il meglio di me.Grazie a

Fiammetta Giorgi per la passione ela dedizione che mette nel suolavoro;

in suo onore, per un po’ di tempoabbiamo chiamato tra di noi questo

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progetto “Flame Ragazza Drago”.Grazie alla mia copy editor, Silvia

Sacco Stevanella. Ormaifunzioniamo come un meccanismoben oliato, e

non potrei più fare a meno dei suoiconsigli e suggerimenti. Questi libri

sarebbero stati molto diversi senzadi lei. Grazie anche a Manola Carliper

la cura e la precisione che infonde

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sempre nel suo lavoro. Grazie aPaolo

Barbieri, perché sa dar corpo esostanza a ogni cosa io scriva, e lofa con

risultati sempre sorprendenti.Adoro le sue copertine, adoro i suoilavori, e

sono sempre più consapevole diquanto abbiano contribuito alsuccesso

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delle mie storie. E grazie anche aFernando Ambrosi che continua a

occuparsi dell’aspetto grafico deimiei libri in modo egregio.

Grazie agli uffici stampaMondadori di Roma e Milano e atutte le

persone nella casa editrice checontinuano a occuparsi di me e deimiei

libri. Tutto quanto di buono è

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successo in questi anni lo devoanche a loro.

Grazie ai miei amici, che sono lamia ancora, quel che mi tiene a

terra quando rischio di volaretroppo alto, o, al contrario, diprecipitare

troppo in basso. Se ancora non sonodiventata matta, lo devo a loro.

Grazie ai miei genitori, i miei primie più fedeli critici e lettori. So

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che la storia è iniziata da loro, enon smetterò mai di ringraziarli pertutto

quello che continuano a darmi.

Grazie a Giuliano. Ha creduto inquesto progetto anche più di me, ha

gioito e sofferto con i personaggi emi ha aiutato ogni volta che la tramasi

ingarbugliava troppo o iniziavo aentrare nella fase discendente di

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quella

curva gaussiana che è la miaautostima. Devo a lui più che aqualsiasi altra

persona, perché c’è sempre,capisce senza che debba parlare, edè capace

di starmi vicino e darmi forza inogni occasione.

Infine, grazie a Irene, che ancoranon legge e parla a stento, ma già

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ama le storie più di ogni altra cosa.Quel che scrivo, ormai, è per te.