2017 · Anche in questo libro fa parlare il quotidiano, il ... fu giorno per notte per sempre ......

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O Editoriale di Anna Zucchini O “Il Poeta del mese”, a cura di Rosalba Casetti O Visti da Francesco Montori o Incipit: ”Uno sciame di istanti” da una poesia di Gian Mario Villalta o Scheda di lettura, a cura di Anna Maselli o Le “pâgin dal dialàtt”, a cura di Viviana Santandrea o Le pagine di Tortoreto, a cura di Angela Falcucci o Le pagine dei lettori o Il racconto: “ La spora” Maria Iattoni a cura di Valeria Bragaglia. o Giochi, indovinelli ed altro ancora di Sandro Sermenghi

Anno 2017: venticinquesimo anniversario del Laboratorio di Parole Appuntamenti:

- Giovedì 2 marzo 2017 ore 15:30 incontro con il prof. Gianni Cascone.

- Giovedì 16 marzo 2017 ore 15:30 incontro con il prof. Guido Armellini

- 31 marzo 2017 data ultima per la consegna dei testi per PAROLE 2/2017.

Abbonamento annuale 5 numeri € 15,00 Una copia € 3,00. Tessera ARCI 2017 € 11,50 Iscrizione 2017 al M. D. C. € 1,00

www.laboratoriodiparole.it

Resurrezione

Nell’aria elettrica che ci conduce son solo in pochi con la “stella in fronte” Le poche stelle non bastano a dar luce a tutti gli assetati della fonte. Signore Dio dell’onnipotenza solo ti fan vedere la croce dovresTi “riverdir” la tua presenza. È troppo scolorita la tua voce. Un po di gioia dentro la passione per una Pasqua di resurrezione.

BUONA PASQUA!!!

Maria Iattoni

Registrazione Tribunale di Bologna N° 8044 del 18/02/2010 Direttore responsabile Primo Mingozzi

Redazione: Anna Maria Boriani, Oscar De Pauli, Nadia Minarelli, Gabriella Penzo, Viviana Santandrea,

Stampa: Copisteria Asterisco snc. Pubblicazione a diffusione interna del “Laboratorio di Parole”

Via Pirandello, 6 - 40127 BOLOGNA - Tel. 051 505117, Fax. 051 6333781, Bar – ristorante 051 511807 E mail [email protected] Sito internet: www.circolofattoria.it

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Editoriale

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La lettura. Il verso e le pause Ripren-

diamo qui dopo mesi il tema della lettura delle poe-sie. Argomento di-battuto al nostro interno ogni volta che la qualità di un

testo non è sufficientemente apprez-zata per colpa di una lettura non ade-guata. Ma quando riesce a esserlo, ade-guata, visto che forse poeti lo siamo, ma fini dicitori spesso no? Che dire poi della fretta che sembra ci assalga ogni volta che leggiamo? Pare che dob-biamo concludere con urgenza: il re-spiro e le pause necessarie scompaiono, i toni mantenuti al minimo e la poesia che scivola via. Davanti al pubblico do-vremmo far risaltare il testo, trasmet-tere oltre alle parole anche la nostra es-senza di autore. Si tratta di scrivere una seconda volta la poesia, usando lo stru-mento più personale (anzi direi unico) che abbiamo: la voce. Spesso i poeti uc-cidono le loro poesie recitandole in ma-niera distaccata, monocorde, senza sentimento.

Si sa che in un testo poetico l'effetto ritmico è determinato anche dalle pause che interrompono i versi, alternando suoni e silenzi. Spesso si sente leggere la poesia come fosse prosa, inseguirne il significato logico portando al minimo ritmo e musicalità. Dovremmo invece leggerla come è stata scritta, quindi con una piccola pausa alla fine di ogni verso (ricordia-moci che se un poeta va a capo ci deve

pur essere una ragione!). L’inizio e (so-prattutto) la fine di un verso sono luo-ghi di rilievo: quello che capita in que-ste posizioni va enfatizzato rispetto alla parte centrale del verso. L’ultima parola di ogni verso, quella prima dell’ “a capo” dà la giusta sospensione, crea l’attesa e l’affanno, accentua l’intensità di un testo.

Se qualcuno pensasse che nella poesia si va a capo così, coma capita, col verso più o meno a lungo secondo le mode, o per dimostrare che si tratta di poesia e non di prosa, è invitato a leggere, per esempio, “Spiego alcune cose”, di Pablo Neruda. È una poesia profonda e viscerale, un lamento per il sangue versato nella guerra civile spa-gnola. Il componimento, appartenente all'ultima sezione della terza “Resi-denza sulla terra”, termina con la stessa frase mandata a capo per tre volte in tre modi differenti: “Venite a vedere il sangue per le strade,

venite a vedere il sangue per le strade,

venite a vedere il sangue, per le strade!”

Il poeta prima enuncia il con-cetto nella sua interezza, poi sposta l’at-tenzione sulla parola vedere, poi ancora sulla parola sangue e infine su strade. Una grandiosa capacità di gestire le pa-role chiave, di enfatizzare la cesura tra un verso e l’altro ottenendo un ritmo diviso ed efficace.

Anna Zucchini

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Il poeta del mese: Gian Mario Vlllalta a cura di Rosalba Casetti

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Nato a Visinale di Pasiano (PN) nel 1959, è insegnante di liceo e direttore artistico della manifestazione lettera-ria pordenonelegge.it. Ha pubblicato molti libri di poesia, tra i quali Altro che storie, Vose de Vose / Voce di voci, L’erba in Tasca, Nel buio degli alberi, Vanità della mente. È inoltre autore di narrativa e di numerosi saggi di critica

letteraria, in particolare su Andrea Zanzotto. Ho ripreso il poeta Villalta (già presente su Parole del 2012) per presentare il suo nuovo libro Telepatia. Anche in questo libro fa parlare il quotidiano, il passato, il legame con la terra ma con un di più, mi sembra, di attenzione e al-la riflessione sul rapporto con gli altri, allo stare nella vita con l’altro, alla uni-versale appartenenza al genere umano. Questa facoltà che hanno gli umani di “appartenere agli altri, a molti altri … e non sapere dove siano gli altri o noi stessi”. Il suo è un linguaggio chiaro, scorrevole che sostiene una lirica essenziale e matura, che per molti versi richiama la poetica di Mario Benedetti con cui condivide l’origine geografica. Il libro è strutturato in poemetti di quattro testi ognuno, quello che presen-tiamo qui dà il titolo al libro Telepatia, una meditazione sulla “corrisponden-za d’amorosi sensi” di foscoliana memoria.

I Uno stormo di istanti, per sempre curvò nella luce dell’una, innalzò il respiro con tutte le radici.

Sarebbe un modo di dirlo. Un altro è che avvenne, lasciò una scia attraversò senza ferita, senza cicatrice fu giorno per notte per sempre divise il sangue, smise di essere di qualcuno, e pensammo il nome detto nostro una volta per tutte.

Prima persona plurale, modo incondizionato tempo perfetto.

INCIPIT: uno stormo di istanti

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Il poeta del mese: Gian Mario Villalta a cura di Rosalba Casetti

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II Quando ti penso, perché so che un esistere vero è dove mi porta a te, a me ti porta, il pensiero? Pur se nulla afferro, nulla è, cosa tra cose, corpo tra corpi, perché occupi spazi, profumi, sei causa di decisioni, rinunce: lo sai che non posso chiedere, né avere altra risposta – eppure sei tu che parli, fai l’amore e la morte? III Dico che ti penso. Penso che sia il pensiero di te, che io invento nella mia mente, che sono io, cioè, a trovarti in me stesso e a portarti in un luogo e in un tempo, perderti di nuovo. Ma sei tu che mi pensi, forse, perché sei tu che vieni e il pensiero ch ti porta è già te: quell’io che ti pensa, può essere che sei tu che lo crei? So che esisto fuori di me. Le prove? Lasciamo perdere. Ma so che persiste irrevocabile. Forse l’oscuro di ciò che chiamiamo essere è appartenere agli altri, a molto altro (anche luoghi, date, vuoti di noi stessi) e non sapere dove stiamo ancora insieme, dove siamo altri o gli stessi.

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Il poeta del mese: Gian Mario Villalta a cura di Rosalba Casetti

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IV

Il pensiero di te, che ha origine In me stesso, viene da altrove, suppongo, e lontano, per questo mi chiama, o è come se lo facesse, e spesso sorprende la mente intenta al lavoro, alla guida, a se stessa, nel riflesso che rigira il presente.

Rigira l’origine, il pensiero, e quando arriva ci trova già rivoltati verso il futuro, in fuga da noi stessi, pieni di desiderio di essere stati: “Celeste è questa…”…facoltà che hanno gli umani di rivivere rimorire lontani, celeste… è il colore del cielo, a volte, quel colore inventato da noi umani, forse da uno rimasto solo e nel pensiero vicino all’amore come vicino all’amore nessuno.

Dal poemetto: Il secondo viaggio

I Con il sollievo di chi ha perduto finalmente qualcosa che l’amore non poteva vincere.

Con il terrore di chi si sveglia, il sole in faccia, la spiaggia deserta, la certezza che invecchia, tutto invecchia.

II

Amara è questa notte, e fuori splende il buio sulle cortecce e sulle gronde.

Selve e vento, altrove sempre ombre morbide circondano la casa dove è rinchiuso il sonno.

Ama l’amaro, ama la strada che ha portato fin qui, profumata come un sentiero, in salita all’inizio, e che poi precipita giù nel

[futuro

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Incipit

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Uno stormo di istanti È trasmigrato nella mente mia per decidere se andare avanti nel rintracciare la via di questo complicato rompicapo. Facciamo finta che sia facil cosa Come, ad esempio, cogliere una rosa. E, Dimenticando che ci son le spine, Cercar di giungere a un gradevol “FINE”.

Maria Luisa Bencivenni

uno stormo di istanti ardono e vivono perenne in questa vita che pulsa senza tregua.

Rosi Giglio

Uno stormo di istinti tanti piccoli indizi innumerevoli lusinghe.

Elio Manini

Uno stormo d’istanti Indussero gli astanti A liberar gli istinti

Viviana Santandrea

Uno stormo di istanti va a svernare dove la prima gioia è partecipe.

Aurelia Tieghi

Compleanno

Uno stormo di istanti due mila di milioni volati via e bianchi.

Anna Zucchini

Alfine ché una idea sia valida per tanti ci vuole Uno stormo di istanti.

Oscar De Pauli

Uno stormo di istanti, prepotente entrò nel giorno. La vita uscì dai

[cardini e per molti fu notte, nera notte.

Rosalba Casetti Lo sciame d’api che agredì mia madre le procurò,uno shch che ai suoi figli mandò uno stormo campanellini per più istanti

Maria Iattoni

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Le poesie del Laboratorio

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I segni (sono sogni?) realizzabili? Sì, con la Befana di niente!

ARIETE prende spunto dagli altri, ovviamente dal TORO, che, con le corna, scopre le viole GEMELLE, dei canterini merli. Pure CANCRI, i rossi papaveri, in mezzo a LEONI, su spighe, forti, tanto da girare alla VERGINE la voglia, di cambiare segno. Cambiare con la BILANCIA, sempre pari, a meno che, non abbia lo SCORPIONE a tenaglia, sul pollice. Fra le zampe SAGITTARIE, il biancospino, propone al CAPRICORNO di contendersi la nostalgia dell’ ACQUARIO. Tutti assieme, a minacciare i PESCI che… Potrebbero annegare!!!

Ripeto, non è vero niente, ma… Datemi il mio Leone che è nel primo cassetto del comodino, dentro la scatola dei miei preziosi. Il più prezioso, ap-punto, è il “Leone” che mi regalò mio marito il giorno della Befana 1952, quando la Befana portava noci che uscivano dal buco di una calza.

Chissà se quel “Leone” contrassegnato da forza e coraggio, mi darà oggi, la forza d’ uscir di letto, il giorno della Befana 2017, detta dei creduloni.

I miei figli, due, mi hanno regalato due Befane con i dolcetti in spalla e la risata rumorosa.

Ci hanno fatto divertire, le due Befane, quando è venuto nonno Eber, in carrozzina, con Fausto che lo spingeva. Mi hanno portato la famosa Befana con in spalla le caramelle e la scopa in mano.

Ci siamo ricordati, con Eber, le povere Befane del tempo dei Balilla, quando, appunto, uscivano le noci… Oggi, che noi siamo un po’ “imbalzati” abbiamo mangiato i cioccolatini della prodigiosa calza di Massimo.

Che bella festa!!! In via del Resisto n.M.I. Pure entrava anche il sole!

Maria Iattoni

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Poesie del Laboratorio

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E la terra trema ancora

Indifese le lacrime che nemmeno il vento asciuga. Hanno camminato i sogni lungo vite giunte quasi alla meta, vite appena sbocciate, vite cresciute con davanti giorni di polvere e illusioni infrante. Sconforto, sconcerto, lacrime che non rotolano. Non scendono, briciole di pietra come le loro case . Stanze al vento, impudiche nel loro mostrarsi, nude di intimità consolatoria. Aggrapparsi al niente che resta per andare avanti. Amore per la terra, per le stalle distrutte. Ripari di fortuna. Negli occhi la determinazione, accogliere una mucca, una capra, un cavallo, un maiale e dare un senso al domani che verrà assieme ad altre scosse, a polvere intrisa di di pioggia e dolore e speranza. Una coltre bianca indifferente. Non c’è più magia. Nessuna poesia, sprazzi nebulosi di voci in un niente dove anche la polvere dei sogni vacilla.

Fosca Andraghetti (16 gennaio 2017)

Terremoto 2016

Tasto nell’animo mio il dolore dei terremotati. Il terrore irrompe nei volti come l’abisso si radica la disperazione, l’angoscia la paura diventa epidemia che solca nei luoghi, nei cuori e negli occhi. La serenità frana ingoiata dalle macerie lo sguardo perde il suo panorama natio non riconosce la propria strada le radici sradicate, rivoltate disperse. Un tumulto che rimbomba anche fra i morti e più non si sa dove stare.

Rosy Giglio (29/10/2016)

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Visti da Francesco Montori

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Il nostro immaginario

La poesia fa ciò che può fare: nulla di pratico, fino a quando non rischiara le cose. Ma attenzione: non le aggiusta, non le modifica, getta luce e illumina ciò che stagna nel fondo di ogni pro-fondità, ma non lo fruttifica. La poesia è cronaca interna. Forse è per questo che la lettera di Michele, il ragazzo di Udine che si è tolto la vita per man-canza di lavoro - di prospettive - e di rappresentanza, è stata paragonata a un testo poetico. È la cronaca del rapporto tra migliaia di giovani e il mondo che li circonda (verbo, quest’ultimo, da leg-gere nella sua accezione militare). La lettera è talmente onesta da inclu-dere quella che può sembrare una sto-natura, rispetto all’accusa di alto tradi-mento e alla descrizione di un punto di non ritorno che costringe all’approssi-mazione della propria vita: “Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione”. L’unica cosa che invidio delle persone che dispongono di molti averi - e quindi dei mezzi per -, è la capacità di realizzare, con molta più facilità, ciò che hanno in mente. La loro immagina-zione si cristallizza nella realtà grazie al potere economico. Ciò che spesso si tace è che la volontà non basta, se non è seguita dalla possibilità, che nel no-stro mondo ha forma numerica e ri-siede nel portafogli, se vogliamo utiliz-zare un’immagine ormai antiquata. L’immaginazione.

Dovremmo scrivere dei volumi interi sulla Storia dell’Immaginaizone nel corso dei secoli. E scoprire qual è stato il punto di partenza che ha indotto Mi-chele e migliaia di noi, a volere il mas-simo, immaginare quindi se stessi “al massimo”. Da dove deriva questa vo-lontà di potenza? Su quali basi appog-giava? Che la generazione dei millenials sia nata in un contesto storico di eccessiva comodità e ricchezza, e che quindi sia stata viziata nel suo immaginario, è di solito la spiegazione più gettonata. Non è di certo l’unica, però. Abbiamo subito una castrazione chimica da parte della realtà, ma il nostro canto si è appiattito o è diventato più forte? L’immagina-zione si educa con la fatica? Come in molti sostengono? Si rende più ricca at-traverso la frustrazione? (l’evasione mentale, con tutti i suoi dettagli, è la specialità di noi essere umani). È giu-sto tutto questo? È meglio rispondere con un’altra domanda: è giusto aver dato credito alle nostre fantasie su noi stessi. Risposta: le categorie giusto o sbagliato c’entrano ben poco. È stato così e basta. A noi è toccato questo e basta; non vuol dire, però, arrendersi all’evidenza. La poesia è cronaca di una non resa. E il suo linguaggio deve cam-biare. Deve diventare istruzione per un sabotaggio.

Francesco Montori

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Poesie del Laboratorio

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La cantina di una volta

Nelle cantine di una volta damigiane e fiaschi vuoti da riempire di vino nuovo e polpa rossa di conserva

un nonno del cortile ci teneva biciclette usate, vecchie almeno quanto lui da smontare e riparare per diletto

io da piccino ci nascondevo dentro giochi e giornaletti in mezzo a scarafaggi neri e topi enormi che non si spaventavano dei gatti

a me turbava il buio il silenzio profondo da gelido sepolcro scavato sotto al livello della terra

con quella puzza tipica di umido e di grotta che trasformava il ripostiglio nel posto peggiore del palazzo.

Adesso, ho una cantina moderna, più accogliente senza ragnatele o mostri veri e neanche spettri

i brividi di allora, sono venuti fuori, in superficie

hanno imparato a far le scale tre alla volta per raggiungere quelli giovani in soffitta.

Piero Saguatti

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Poesie del Laboratorio

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Nella voce si aprono vicoli di garofano e solitudine. È il grilletto puntato alla tempia del sonno il lampo pensiero che mi sveglia all’improvviso. Mistero l’arrivo. Mistero è da dove a dove.

Nella voce si aprono vicoli di garofano e solitudine ci scorre il vento scuotendo il bianco del giorno. Dove cercare? Porte si aprono su paesaggi rimossi, tonfi di porte chiuse, luci si alternano al buio di ombre oscure profondità in risalita galleggiano un mormorare profondo arrossa angoli di memorie.

Respiro, respiro. Nel rettangolo della finestra è l’albero il lungo fremito di foglie ingiallite lo spazio misericordioso del mattino il silenzio che cova la luce.

Rosalba Casetti (17 novembre 2016)

L’ombra dell’età.

Ricamo immagini impossibili sui bordi di un’utopia stanca, stropiccio le tante primavere trascorse a cercare la bellezza.

Quel coacervo di stagioni non è mai riuscito veramente ad addolcirmi il vivere, ora tento di divorare il tempo.

La terza età può essere saggezza ma anche deviazione smarrimento. Tu che degusti un bianco al Bistrot io che fingo indifferenza pallida.

Abbassare la guardia, è denudarsi esporsi alle sfuriate del destino alle escoriazioni della passione. Crollo sotto il ciclone desiderio.

Mi aggrappo al disincanto in fuga nascosto dietro l’ombra dell’età, ora mi restano solo stagioni autunnali. La tua bellezza interiore, unica

[primavera!

Silvano Notari

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Poesie del Laboratorio

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Non sollevare l’occhio dalla strada

Non sollevare l’occhio dalla strada Guarda il gancio del macello alla parete Sei la gatta morta alle ginocchia Sei lo stralcio della gamba sulla lastra Sei l’occhio spremuto dentro l’orbita Togliti il callo Togliti il benservito Grida in faccia la tua lordura Che ti mangia la pancia E la paura Te la metti di fianco e te la succhi E te la contempli Sei la voce da eunuco Il seme sterile sei L’infelicità piena come una donna al nono mese Sei il vuoto che osservo svuotare Sei l’ossessione di orgoglio e potere La miseria Il punto più basso della scala degli umani

Nadia Minarelli

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Scheda di lettura, a cura di Anna Maselli

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Prospettiva di interni

L’ampia vetrata a illuminare i colori delle stagioni umane. Palloncini dondolano per la piccola festa e ragazzini si scambiano figurine. Sull’alto sgabello lei ascolta la voce come venisse da un piano inferiore. Osserva il corpo di lui che si muove in un andirivieni continuo una danza. Quel corpo racconta la sua storia una proiezione nello spazio una proiezione, l’attraversamento di moduli espressivi, di traiettorie con segmenti da unire in un tempo che lentamente si dissolve.

Scende dallo sgabello in un cambio di prospettiva I corpi riprendono la loro grammatica quotidiana nei gesti che segnano gli affetti nello scorrere del tempo.

Anna Maria Boriani (6.11.2016)

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Scheda di lettura, a cura di Anna Maselli

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E' una personalissima e suggestiva visione dello scorrere della vita nel variare dei colori, delle stagioni e dei sentimenti. L'attività di bambini che scambiano figurine è un'immagine consueta e familiare come la festa coi palloncini colorati. “Sull'alto sgabello...lei ascolta la voce...” L'introduzione di quel “lei” apre subito un'aspettativa di corrispondenza “...il corpo di lui …...una danza.” Il poeta contempla questo movimento “ come venisse da un piano inferiore” mentre osserva un corpo che disegna una danza e delle traiettorie che si sciolgono e s'intrecciano; raccontano la sua storia e il trascorrere del tempo che non può fermarsi, né accelerare o mutare le sue stagioni. L'osservatrice poeta “scende dallo sgabello” e tutto riparte in un cambio di prospettiva. È la vita che continua con le sue consuetudini e i suoi ritmi, mentre muta sol-tanto il punto di vista, non la realtà. Il linguaggio non è mai descrittivo e cerca forza ed efficacia soprattutto nella personale capacità di adesione e immedesimazione. Il vero protagonista rimane sempre il poeta* e questo è un tratto visionario tipico del primo '900 e in particolare dell'espressionismo.

Anna Maselli

* forse, visto il responso dell'Accademia della Crusca, avrei dovuto dire: “la poeta”, ma non mi viene.

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Poesie del Laboratorio

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Piano (2.8.90)

Il piano è il mio migliore amico Mi parla coi suoi tasti mi dà la musica nei giorni tristi e fa da sottofondo all’allegria e non mi chiede altro che di usarlo ///

È difficile vedere gli Appennini ma quando l’aria è più leggera, e il Sole da dietro i colli, illumina San Luca la mia campagna è grande, si colora come un’immensa distesa di pianura o come un’altra favola, forse, mai vissuta. (Agosto ’90)

Ali di rondini a fare da eco alla mia struggente, dolcissima malinconia e nello sfondo, il cielo (3.9.90) ///

Ispirato a Dino Campana (24.1.91)

Se nella notte il mio pensiero sfuma un altro giorno si fa luce, come fari nella nebbia della stanchezza delle stelle e della luna nell’aspettarti, mia dolce fortuna ///

Solitudine (2.5.91)

Quando si è soli, è strano: una lacrima raggiunge timida, l’immenso. Ed altre verità che si pèrdono, ritornano in silenzio. Nella pace soffusa del vento

Stefano Balboni

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Ricetta d’amore

Lo sai che questo è il mio modo di amarti te lo esprimo così, discretamente mentre vorrei gridarlo ai quattro venti far tremare d’invidia anche le stelle;

mancano pochi giorni e sul vecchio tagliere della nonna fioriscon tagliatelle mentre sul fuoco borbotta il condimento.

La mia cucina è tutta in movimento gli stampi delle torte e dei soufflé che dormivan beati sono già sull’attenti allineati, aspettan d’esser scelti.

Tiramisù, sformati, panna cotta o budini? No! A darti il “bentornato!” sono quei biscottini dal sapore d’infanzia nocciole e cioccolato.

Viviana Santandrea

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Il dolore ha strade sotterrane Come l'acqua, Riaffiora prepotente Zampillando dopo tempo, Dopo che si credeva Che non ci fosse quasi più. Come l'acqua Bagna completamente I tuoi vestiti di oggi, Tra la gente di ora E sembra fin impossibile Crederci. Eppure eccolo qui Che scorre ancora Insieme a te.

Piera Grosso Ho camminato le strade dell'inverno Gli alberi intermittenti alle ringhiere delle case Le siepi cavità dove si perde un cane Le luci addormentate come su un divano dopo il lavoro

Ho camminato le strade d'inverno Stretto i nomi gonfi di memorie Sotto i portici sgombri di gente Sotto i cieli di grigio ho ascoltato

Il Natale farsi vicino, farsi lontano

D'un tratto

Margherita Lollini

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Ci sono fiori

Ci sono fiori alla fattoria Viola e bianchi, bianchi e celesti… Ci sono fiori lungo la via E in fondo ai parchi Folti ed agresti Rosso di fiori Quasi nascosti come nei cuori delle zitelle. Lungo la via colori foschi Colori tenui di campanelle. Ci sono fiori alla fattoria Giardini verdi Colori lievi. Dita purpuree Lungo la via Voci sommesse Come di pievi

Patrizia Tomba

Pace e salame

Siamo partiti alle quattro e un quarto perché ci vogliono agevolare non si può proprio arrivare tardi quando l’invito è a manifestare.

Il treno odora già alla partenza di mortadella per far capire che siamo quelli da Resistenza noi di Bologna, l’alimentare.

E’ una mattina arcobaleno per noi turisti-manifestanti ammutoliti dai toni grigi del Caravaggio di San Luigi.

Ed anche i rossi di Reggio Emilia davanti a luci di grazia accese smettono un attimo di dureggiare giusto un momento, per ripensare.

Piazza Navona coi poliziotti che guardano orde di sbandieratori. Torniamo a casa certo un po’ cotti dall’aver visto tanti colori.

(Manifestazione per la pace 2003) Maria Teresa Bertani

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Poesie del Laboratorio

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Senza pretese

Quando le frasi nate dal pensiero (ragionate in volontà riflessiva) sono evidenti su pagine bianche in un tempo breve dell’emozioni evidenziano lo stato d’animo che il conscio raccoglie sillabe sparse per dar forma, e sostanza definita, all’insieme di parole composte che diano il senso dell’espressione di una convinta volontà interiore e trasmettere il proprio sentimento (seppure con versi senza pretese) mentre la voce cerca tonalità liberata dalla gabbia mentale. Soltanto se l’insieme è in armonia, come l’accordo di un coro d’orchestra, mentre si pensa ad occhi chiusi ed inspirando profondamente, il sangue salendo ossigena il cerebro per giungere al culmine dell’estasi!

Crescenzo Guadagno

C’è un sole che

C’è un sole che mi riscalda questa mattina mi riporta a tempi lontani dove il caldo mi avvolgeva con le sue mani dorate.

Ti ricordi, com’era bello guardarsi, sfiorarsi e baciarsi con semplicità?

L’aria calda ci nutriva e il sole ci sorrideva.

Senti ancora quell’aria Il suo calore che ci unisce al mattino

Paola Mattioli

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Poesie del Laboratorio

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Anna L.

Per provare a te stessa la tua forza stringesti nel pugno un maggiolino di solitudine. - Non lo temo - dicevi- Vedi? Lo tengo in mano- Ma quando è volato via ti è rimasto sul palmo il solletico delle zampine. Ed è per questo che tieni i pugni chiusi e sei sola.

Bencivenni Maria Luisa Lacrime inutili (8/2/2016)

Ti ho guardato andare E non ho pianto. Ho pianto troppo Quando c’eri.

Bencivenni Maria Luisa

Piccolo il mondo

È un giorno come tanti sotto l’ombra delle torri Visi nuovi da stranieri occhi a mandorla e romeni Un bel socmel più non senti sono cambiati proprio i tempi Quante cose sono cambiate le frontiere azzerate Tutti parlano straniero a Bologna il mondo intero Variopinti e colorati i vestiti orientali Qualche capo anche coperto ogni testa un universo Che sarà di noi domani sbarcheranno anche i marziani Questo mondo è piccino e non è più quello antico!

Colonnello Tommaso

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Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea

2020<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<20

Al caratén di żlè

Al pasèva ala dmannga dåpp meżdé só par żå sänper da cl’åura mo mé a n avêva brîśa l arlói (e fôrsi an al cgnusêva gnanc), acsé a stèva żå int al curtîl sänper con un òc’ ala strè e al suldén da dîś franc in man. An m arcôrd brîśa s’l avêva un arciâm mo mé a curêva sóbbit quand al vdêva cunparîr da luntan. Al caratén l êra tótt bianc e anc la sacåńna dal żladèr; i gósst i êren solamänt trî o quâter, ardupè pulîd såtta ai cuérc’ lósster. Mé ai ślunghèva i mî dîś franc e ló l um rinpêva la paniréńna pió céńna, mo con una bèla cåulma. Una vôlta, an m arcôrd brîśa chi, l um regalé un’ètra munaida da dîś acsé a tulé un żlè da vént franc. Insónni ed tótt i cìnno, l êra fât con dåu tavlàtt retangolèr e al żlè méss in mèż. Che gósst tgnîri stra äl dîda e scuizèri pian pian fagànd vgnîr fòra cla delézzia, da pluchèr pôc ala vôlta!

Il carretto dei gelati

Passava la domenica pomeriggio più o meno alla stessa ora, ma io non avevo l’orologio (e forse nemmeno lo conoscevo), così me ne stavo giù in cortile sempre con un occhio alla strada e il soldino da dieci lire in mano. Non ricordo se aveva un richiamo, ma io correvo quando lo vedevo spuntare da lontano. Il carretto era tutto bianco così come la giacca del gelataio; i gusti erano solo tre o quattro, ben nascosti sotto i coperchi lucidi. Gli allungavo le mie dieci lire e lui mi riempiva la cestina più piccola, ma bella colma. Una volta, non ricordo chi, mi regalò un’altra moneta da dieci così presi un gelato da venti lire. Sogno di tutti i bambini, era fatto con due cialde rettangolari con in mezzo il gelato. Che piacere tenerle fra le dita e schiacciarle piano piano, facendo uscire quella delizia da leccare un po’ alla volta!

Anna Bastelli

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La scuèdra

Dala tribunatta t m inzitèv, ad ogni bôna aziån t alzèv al pòliz, t apruvèv. An i êra strategî particolèr int al nòster péccol stâdio un zûg d insàmm, d’una scuèdra armuniåusa e leèl. Un custànt alenamänt e un èlt apagamänt regalè a l’ânma fén a fèri tuchèr al zîl.

Po’ la fôrza dal tänp che al stravôlz e canbia incôsa: i zugadûr i én carsó e i méliten in ètri scuèder. Ormâi pió inción al cói i mî crôss, i mî lanz, inción pió realéz za al zänter. Al tô pòliz al tîra ala bâsa. A i avanza una sufétta d arcôrd, sucuànti cåpp, foto inzalé

scarpéňni e balón sgunfiè.

La squadra

Dalla tribunetta mi incitavi, a ogni buona azione alzavi il pollice, approvavi. Non c’erano particolari strategie nel nostro piccolo stadio un gioco d’assieme, di una squadra armoniosa e leale. Un costante allenamento e un alto appagamento elargito all’anima fino a farle toccare il cielo.

Poi la forza del tempo che tutto travolge e cambia: i giocatori sono cresciuti e militano in altre squadre. Ormai più nessuno raccoglie i miei cross, i miei lanci nessuno più concretizza al centro. Il tuo pollice tende al verso. Resta una soffitta di cimeli, coppe, foto ingiallite palloni sgonfiati e scarpette.

Elio Manini

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Al ṡgunbrén

Cla porta là in casån l è un sicûr arciâm pr’al mî gât che quât quât al va in perlustraziån con fèr indiferänt; al cuntrôla zà ed là cardànd d an èser vésst come se gnìnta fóss stmänter un mèż mêter ed cô l è anc fôra da l óss.

Ai n è di quî da vadder in ste métar quadrè! Côsa ai srà in cal butélli? E pó tótti cal scâtel da l’ udursén suspèt ch’al sént quand al s’acuàcia

ataiṡ ai pî dal lèt?

L è tôtt un månd da dscrûver: dal pianèl con al fèr par stirèr la bughè con in vatta la roba tótta bèle pighè -che bèla gabanèla lé, se ai pséss arivèr!-

Pó la granè, al spazòn e tótt i vèri arnîs ch’i sérvan a l arzdåura;

mo al vadd, a l inpruvîṡ såtta un tûb arvuiè al måsster gataròn… e ló ed cal magnapållver l à sintó dîr un fât: che insàmm a la pållver al tira só anc i gât!

Al scàpa vî inspuré!

Ciapè l óss al fà fénta d èsar gnó lé par chès e con flèma elegànta arudlinè int ‘na scrâna l arpiàta ûc e nès,

mo da cómm al ṡbadâcia as capéss ch’l è cuntänt dal sô girtén

int al ṡgunbrén.

Viviana Santandrea

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Il ripostiglio

Quella porta socchiusa è un sicuro richiamo per il mio gatto che quatto, quatto si aggira per l’ambiente con fare indifferente; controlla qua e là credendosi invisibile che nessuno lo bada mentre fuor dalla porta resta un pezzo di coda.

Quante cose si scoprono In quel metro quadrato! Tutte quelle bottiglie? Inoltre quelle scatole dall’odore sospetto che sente anche acquattato presso i piedi del letto?

È un mondo da scoprire: lo scaffale col ferro per stirare il bucato con sopra già la roba tutta ben ripiegata -lì poterci arrivare, sai che bella dormita?-

Poi lo spazzone, scope e arnesi vari che alla massaia sono necessari; e d’improvviso tra un tubo aggrovigliato la sagoma del mostro rumoroso… lui di quel mangiapolvere ha sentito dei fatti: dicon che con la polvere lui tiri su anche i gatti.

Scappa via spaventato!

Fuori, si aggira con grazia felina quasi fingendo d’esser lì per caso sceglie una sedia ove si acciambella scompaion occhi e naso, ma dalle orecchie e da uno sbadiglio io capisco che alfine è soddisfatto del suo giretto nel mio ripostiglio.

Viviana Santandrea

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Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea

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Caranvèl 1950-2917

Con l’òrganen a bocca al sunadàur l’andèva vajja a fer un poc d’armòr I Zùvnot i avèven al schèrp con i ciòd ciaper on pistot Al vlèeva dir andèer spòs Na sòla sira d’arpiant da màma andè anc a mè Giulio l’um dè un “pistòt” cla sira lè L’èra al cinquanta… Soquànti còti e crùdi a io paàse Giulio l’è andè col Sgnaur cal l’ha ciàmè… stasìra què da par mè a io dimòndi pinsè… L’è caranvèl dàrset a son gnanc guarè

Carnevale 19950 – 2017

Con l’organino in bocca il suonatore andava a vegli per fare un po’ di rumore I giovanotti avevano le scarpe con i chiodi prendere un “pestotto” voleva dire andare sposi Una sola sera di nascosto da mamma andai anch’io Giulio mi diede un “pestotto” quella sera li Era il cinquanta… Soquante cotte e crude le ho passate Giulio è andato col Signore che l’ha chiamato Stasera qui da sola ho molto pensato… E carnevale duemiladiciasette Non sono ancora guarita

Maria Iattoni

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Poesie del Laboratorio

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Ora e qui

Ora e qui nel sole invernale d’Abruzzo che ci riscalda sopra le strade di ghiaccio della memoria Ora e qui davanti al mare di impalpabile turchino sulle onde docili al maestrale Ora e qui siamo ancora noi e non ci sono strade Anche stanotte eravamo in rotta per la Dalmazia lontani dai clangori degli uomini liberi dalla follia di essere come Dio Ora e qui non mi resta che chiudere gli occhi e cercarti in quel porto dove ti ho smarrito

Angela Falcucci

Dio non concede più speranza; il suo forte sdegno nel morso del vento nell’infinito ci ha lasciato, e noi nelle tombe dell’invisibile troveremo la ragione, della verità…

Luigi Cuoco

Santa Fosca a Torcello

Alle cinque della sera un surreale sacerdote officia una messa per se stesso, salmodiando glorifica per certo un Dio, che in questa cappella romanica di sicuro c’è e ancora una volta ci perdona per la nostra assenza.

Franco Lipari

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L’epigramma, a cura di Angela Falcucci

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“Isola mia nutrice fu Tiro, Gàdara mi generò,/ antica patria fra le genti di Siria. […]” Così scrive Meleagro sulle sue origini. Nato a Gàdara, in Siria, intorno al 130 a.C., in gioventù si trasferì a Tiro e negli ultimi anni visse a Cos, dove morì intorno al 60 a. C. Due furono le donne più importanti tra le tante amate dal poeta: Eliadora e Zenofila. “La mia anima mi dice di fuggire/ l’amore di Eliodora, perché sa/ le gelosie, le lacrime d’un tempo./ Dice, ma io non ho forza di fuggire./ Essa m’avverte. Vero! Ma poi senza/ pudore nello stesso tempo l’ama.” (Antologia Palatina, Liber V, 24) Questo è l’amore, o meglio la passione, sentimento estremo irrazionale e invincibile perché: “Dentro, dentro il mio cuore, proprio Eros/ ha dato forma a Eliodora che dolce/ mi parla, anima dell’anima mia,” (A.P., L.V, 155). Dioniso e Afrodite, l’ebrezza del vino, l’estasi e il tormento d’amore: “Su, versa e ripeti una volta ancora/ una volta ancora, ancora: -A Eliodora!-/ Ripeti e mischia col suo dolce nome/ vino puro. E mettimi la corona/ di ieri umida ancora di profumi/ per suo ricordo. Guarda,/ piange la rosa amica degli amanti/ se non la vede qui stretta al mio petto.” (L.V,136) “Intreccerò la bianca/ viola, intreccerò il tenero narciso/ con i mirti, intreccerò anche i ridenti/ gigli, intreccerò anche il dolce croco,/ e intreccerò il giacinto purpureo,/ e intreccerò la rosa/ cara agli amanti: Voglio che alle tempie/ di Eliadora dai riccioli odorosi/ la mia corona ricopra di fiori/ la sua splendida chioma,” (L. V, 147) “Eros vi ha fatto così affilate,/ unghie di Eliodora! Le vostre ferite/ giungono fino al cuore.” (L. V, 157) La gelosia lo assale nelle solitarie ore notturne: “O notte, o desiderio di Eliodora/ che mi fa insonne, tormenti che amate/ le lacrime dei perfidi mattini,/ di me è rimasto ancora qualche segno?/ E un bacio prende calore al ricordo/ in fredda apparenza? Ha per compagne/ di letto le lacrime, e bacia e stringe/ al petto la mia immagine nel sogno,/ e illude così il suo cuore? O ha un nuovo/ amante? […] (L. V, 166); Eliodora fu strappata al suo amore non da un rivale, pensiero che tormentava il poeta, ma dalla morte. Meleagro scrive: “Lacrime anche lì, attraverso la terra/ ti offro, Eliodora, reliquie d’amore,/ nell’Ade, lacrime aspre sulla tomba/ molto compianta, memoria dei miei/ desideri, memoria del mio amore./ Ah, miseramente, misera-mente/ io Meleagro qui piango su te, cara/ anche tra i morti, vana/ offerta ad Acheronte. Ah, dov’è il mio/ amato germoglio? Lo strappò Ade,/ lo strappò. Ed ora la polvere sporca/ il vivo fiore. Terra che ci nutri,/ ti supplico, accogli tenera al tuo/ seno, madre, quella che tutti piangono” (L.VII, 476) Ed ecco Zenòfila: “Già fiorisce la bianca violaciocca/ e il narciso fiorisce amante d’acque/ e fioriscono i gigli alle colline./ E già, fiore che s’apre in mezzo ai fiori,/ dolce rosa di Peito,/ Zenòfila fiorisce. Perché prati,/ ironici, ridete spensierati/ scuotendo le chiome? Sì, la fanciulla/ vale più delle corone odorose.” (L.V, 144) “Dolce si rallegra la tazza. Dice/ che ha toccato la bocca di cicala/ di Zenòfila, amante dell’amore./ Come è fortunata! Oh se ora Zenòfila,/ bocca su bocca,/si bevesse d’un fiato la mia anima!” (L. V, 171)

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L’epigramma, a cura di Angela Falcucci

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Ancora Zenòfila che infiamma d’amore il poeta: “Dolce canto tu moduli sull’arpa/ Ze-nòfila, per l’arcade Pan, dolce/ canto fai risonare./ Dove ti fuggirò?/ Da ogni parte mi assediano gli Amori,/ non mi danno un momento di respiro./ Ti desidero per la tua bellezza,/ o per il tuo canto, o per la tua grazia,/ o…? Che dico? Tutto è fuoco, e io brucio. (L.V, 39) E tante altre donne: “ Per Timo, per i suoi riccioli amati/ e la bella chioma, per l’odorosa/ pelle di Demo che porta via il sonno/ per i dolci giochi amorosi di Ilia/ e per la lampada insonne che vide/ infinite orge, l’ultimo respiro/ mi resta sulle labbra, Eros. Se vuoi/ anche questo, parla e io te lo darò” (L.V, 197) La brama di amore sensuale con i suoi giochi, con il desiderio e la gelosia, con il tormento e con l’abbandono al piacere delle sensazioni non si rivolge solo alle fan-ciulle: “Scatena Cipride fuoco d’amore/ per le femmine ed Eros per i maschi./A chi mi volgerò? Al figlio o alla madre?/ So che la stessa Cipride dirà:/ “Vince il fanciullo audace!” (L. XII, 86) E ancora: “Sono vischio i tuoi baci e i tuoi occhi fuoco,/ O Timario. Se tu mi guardi brucio/ e se mi baci rimango attaccato.” (L.V, 96) “O Miisco, a te sono strette le gomene/ della mia vita. Ed in te è pure il soffio/ che rimane della mia anima. Certo,/ o fanciullo, lo giuro sui tuoi occhi/ che parlano anche ai sordi, sul tuo splen-dido/sopracciglio: se mi guardi rannuvolato/ vedo inverno, se mi guardi ridente/ fiorisce allora dolce primavera." (L.”XII, 159)

Mi tornano spontanee alla mente, dalle brevi poesie di Sandro Penna, le immagini così vive degli amanti, che sfondano i luoghi chiusi per immergersi in una natura infinita, o che ci sorprendono con epifanie improvvise. “ Le nere scale della mia taverna/ tu discendi tutto intriso di vento./I bei capelli caduti tu hai/ sugli occhi vivi in un mio firmamento/ remoto. // Nella fumosa taverna/ ora è l’odore del porto e del vento./ Libero vento che modella i corpi/ e muove il passo ai bianchi marinai.” Interno “Dal portiere non c’era nessuno./ C’era la luce sui poveri letti/ disfatti. E sopra un tavolaccio/ dormiva un ragazzaccio/ bellissimo./ Uscì dalle sue braccia/ annuvolate, esitando, un gattino.”

Immergersi in questi epigrammi dei lirici greci, mirabilmente tradotti da Quasimo-do, è come entrare nell’animo dei poeti, resi così vivi e vicini alla mia sensibilità da sentirli moderni. È con gratitudine che penso al suo accurato lavoro di studio e tra-duzione, senza il quale non li avrei mai conosciuti ed apprezza-ti, una traduzione che riesce a trasmettere con forza e con un’accurata scelta di vocaboli e ritmi tutto il pathos di questi componimenti poetici.

Meleagro canta l’amore e le sue infinite sfumature, e sa descri-vere anche la natura, come nella splendida poesia dedicata alla primavera: ne parlerò nel prossimo numero. Ciao a tutti da Angela

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Lettere dei lettori

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Un destino che cammina sui campi

Se è vero, com’è vero, che una delle doti preci-pue del poeta è la capacità di un’attenta osservazione, allora Elio Manini è fortunato perché è anche un ot-timo pittore. E lo denuncia in molti testi (sinopie/per gli affreschi della nostra mente” e ”Cromie di colori“, fino alla confessione delicatamente sfacciata “ecco sono un colore”.

È un artista completo Manini che nasconde, dietro all’espressione dialet-tale che gli è congenialmente cara, un mondo di esperienze profonde, razional-mente assimilate, rese da lui con esemplare traduzione in lingua italiana senza to-gliere nulla alla profondità dell’espressione originale.

Il tono generale della raccolta è soprattutto argomentativo, non c’è solu-zione di continuità fra simbolico e quotidiano anche se a volte esso indulge a un colore elegiaco nella malinconia di ciò che è andato perso, nel rimpianto dei tempi passati fino ad arrivare a un accento alto come ne ”La notte”.

È il tempo appunto, uno dei topos che sostanziano questa raccolta (la più matura, a mio parere, per una raggiunta stringatezza del linguaggio aderente a una ritrovata necessità del contenuto). Il tempo che è fermo “sediamo quieti sul no-stro tempo” o veloce “dentro al treno del tempo che corre incalzato dal vento”, o lento “il lento defluire della memoria/dice che è giunto il tempo di lasciare”.

Ma non c’è lagna né risentimento, c’è una confortevole malinconia e una disperata speranza in questa silloge, elementi che sostanziano il “rifugio” del ti-tolo, rappresentato in ultima analisi dal poeta stesso, dalla sua responsabilità nei confronti del futuro.

Il rapporto con la donna (sia essa la compagna della sua vita o un’amica) è sempre di tenera vicinanza, di com-passione, fino ad evolversi in consigli che il poeta dispensa come fossero la sola traccia percorribile” Non guardare il buio/ ascolta il bisbiglio del tuo sangue” E quando è amore, questo resiste al tempo che vuole cam-biarti, che ti cambia “è cambiata anche la voce/ma non la dolcezza del tatto”.

Altro topos di questi testi sono “le parole” che per Elio “sono di roccia, di ghiaccio, sembrano rose “e che feriscono il tuo pensiero come spine acuminate”.

La parola conserva tutto il suo potere balsamico e, magari, perfino salvifico, come l’Icona Sacra per l’Agnese che “recita salmi invocando prodigi”.

Zara Finzi Elio Manini “Il rifugio” pagg 155 Pendragon Editore

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Lettere dei lettori

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Un viaggio lungo venti anni, a cura di Angela Falcucci

Cari amici del Laboratorio, è con grande piacere che vi comunico che il 4 febbraio 2017 l’Associazione INSIEME di Tortoreto ha compiuto venti anni.

Abbiamo festeggiato allo chalet Sayonara, un bel locale affacciato sul mare. È stato un pomeriggio ricco di testimonianze e con l’intervento del Presidente del Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Teramo dottor Massimo Pichini. Per l’occasione sono stati con noi la soprano Bibiana Carusi e il tenore Fabio

Andreotti. Accompagnati al pianoforte dal maestro Massimiliano Caporali, ci hanno regalato romanze famose di Donizetti, Rossini e Puccini, cantate ed interpretate con grande professionalità. Nella seconda parte del concerto abbiamo ascoltato brani del musicista Francesco Paolo Tosti (Ortona 1846 – Roma 1916) un artista abruzzese conosciuto in Italia e all’estero. Tra le sue

oltre cinquecento romanze per canto e pianoforte, i cui testi vennero scritti anche da poeti come Antonio Fogazzaro e Gabriele d'Annunzio, i nostri artisti hanno scelto per noi alcuni tra i brani tuttora molto eseguiti: L'alba separa dalla luce l'ombra, Malìa, A’ vucchella e infine la celeberrima Marechiare, su testo di Salvatore di Giacomo, divenuto un classico della canzone napoletana. Il concerto si è chiuso con Caruso, di Lucio Dalla e una canzone del musicista tortoretano Nicola De Fabritiis: Barcatta d’ore. E inaspettata…una bellissima comunicazione: “Su proposta unanime del Consiglio Direttivo dell’Associazione, in previsione della ricorrenza del 20° anniversario di attività, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto del 16 ottobre 2016, considerate le particolari benemerenze acquisite nel settore della cultura e del volontariato, ha conferito l’onorificenza di

CAVALIERE DELL’ORDINE AL MERITO DELLA REPUBBLICA ITALIANA

alla nostra Presidente professoressa Eleonora Cruciani, con facoltà di fregiarsi delle relative insegne.” Eccola nella foto, insieme alla vicepresidente Maria Teresa Capriotti. E ora si continua, sempre sperando che l’Associazione si arricchisca di giovani animati dagli ideali di solidarietà e di amore per la Cultura, ai quali passare il testimone. Ciao a tutti da Angela.

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Il racconto di Fosca Andraghetti, a cura di Valeria Bragaglia

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La fotografia

Il candore della gonna sembrava riflettersi sulla faccia e sulle braccia dei due ragazzi. La luce partiva, in realtà, dal terreno come se il sole, o una enorme lampada, gettassero lì tutta la propria potenza. Dietro, gli alberi di una siepe non potata apparivano ancora più scuri, come se un qualcosa avesse tagliato di netto la luce facendola scomparire di colpo.

Era una foto vecchia di anni. Non ricordavo chi l’avesse scattata, ma ri-cordavo dove anche se, osservandola, faticavo a individuare il punto esatto di quella casa e del cortile. Osservai meglio e mi tornarono in mente i tigli che so-vrastavano la siepe, il profumo dei fiori, le api che ronzavano intorno in una nenia incessante. E ricordai le voci dei bimbi che riempivano l’aria del cortile dell’asilo.

Confinava con casa sua e lei stava lì, quando la stagione lo permetteva, con i libri in mano a studiare o a sbucciare piselli e pelare patate. Quando final-mente mi decisi a parlarle, mi disse che le voci dei bimbi erano la sua radio. Non ci aveva mai pensato, eppure ero il loro maestro!

Cominciai a parlarle più spesso, ad accompagnarla in giro, forse anche a farla sognare perché sul retro della fotografia aveva scritto: “Tua per sempre Na-dia.”

In quel paese restai poco. Ottenni il trasferimento, ci salutammo con tra-sporto e promisi di scriverle, ma non lo feci mai. Di quella fotografia, sfuggita dalle pagine di un libro avuto da chissà chi, resta l’immagine sfocata di voci come musica alla radio.

Fosca Andraghetti

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Poesie del Laboratorio

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Tutto questo tecno è necessario? Sì c’è utilità ma tutto il resto.

Quel sasso fuso e poi trasformato perché l’attuale sia simile a visione di una fantasia che non riposa… abbiamo smesso di lasciare stare senza più la passione di guardare tutto già modifichiamo nella mente vogliam essere soli nel mezzo della gente per quel solo per noi, ch’è differenza in fretta, presto, non abbiam pazienza senza immaginare il futuro risultato dobbiam cambiare aspetto a sto creato.

Ricordo il telefono, nero, appeso al muro che ci si acconciava prima di rispondere delle infinite scuse per l’errore aveva aperto il varco in casa nostra il passo successivo…il televisore di lì è partito il progetto di cambiarci per non aver bisogni insoddisfatti, poi cellule elettroniche hanno infettato tutti inserite in ogni cosa attuale, strumenti che ci pongono in disparte perché restiamo noi, senza il contagio non al servizio dell’industria di controllo ch’erano nati per essere utili, non despoti di questo pianeta ormai ridisegnato, dove quasi è impossibile fuggire, ma io con la mia identità me ne son già andato.

Sarò un indio, ora che s’allontana un passo dopo l’altro retrocedo verso la terra, quella dell’infanzia, sarà questo, forse legato alla mia stagione con un calo di curiosità per il progresso… guardo volentieri alla natura, là dove ha ancora l’aspetto del mio passato… ricerco ora quel po’ di mondo dove il tecnologico creatore, non ha creato.

Carlo Boari

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Poesie del Laboratorio

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A una donna sconosciuta

Ti ho vista seduta sulle rovine i tuoi occhi di buio senza orizzonti ho visto le tue braccia consumate cullare l’agonia di un bambino Ti ho vista camminare per le strade nascosta spaventata dietro un velo ma anche con le altre a viso aperto pretendere di progettare la tua vita Ho camminato con te orgogliosa del futuro E poi ti ho vista sola gonfia di bellezze mimare la seduzione al maschio di potere pavoncella priva di ingenua levità Per lui sei tornata cortigiana solo da lui aspetti il tuo futuro hai rinnegato le compagne e il tuo cuore per favore queste competizioni lasciamole ai pavoni Sempre più femmina fuori e maschio dentro sei tornata nella notte e nel degrado fino a rischio della vita Se guardo in alto non ti trovo in basso non voglio guardare mi fa male ti allontani sempre più sei sconosciuta

Anna Maselli

Eppure restano nudi

Più sono neri, più sono bianchi Gli occhi dei bambini del Congo

Incollano lo sguardo sgomento Su stomaco faccia passione

Vorresti strapparlo dal pianto Eppure restano nudi

Gabriella Penzo

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Poesie del Laboratorio

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Lepre in salmì (annotazione di una casalinga che non voleva cucinare)

Ah! vedere quella lepre alla ferma

è illegittimo

tanto più con il cappello vermiglio in testa. Vi è lealtà costringerla

ad essere cacciata e servita?

-Vorrebbe ancora rimbalzare in natura-

Posso sollevarne i balzi nell’ora del desco?

Che mai dirà la cipolla alla mentuccia

a cui scende una lacrimuccia?

E pure quel pomodoro… che colora il sugo in coro alla carota

che aria da ostrogota! L’animale

aveva incollato a sé, l’istinto di sopravvivenza

-un tuffo in padella e la corsa s’è spenta-

Aurelia Tieghi

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Poesie del Laboratorio

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A Bologna il 05-02 2015 nelle ore nove mattina

È un giorno stracarico di pioggia a raffica

Fa freddo e guardo i giovani alberi sono pronti per sbocciare…

È primavera; io stessa ho un mordente invitante…

Il pino mi guarda, dondola, parla, chissà? Ci amiamo?

Ma a Bologna 05-02-2015 Nevica! Ore tredici e cade…

È pesante, come una bugia, lunghissima, a filamento

Il mio pino raccoglie e si sorprende…

Tra il luxore del cielo trasparente

Passa la Croce Rossa, trombetta, acuta,

e la neve scende silenziosa ora è svelta, pare si

voglia scaricarsi in fretta,

fa un po’ paura… ma... mi attrae, sono emozionata… grazie bellezza!

Pellizzari Emelina

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Poesie del Laboratorio

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Largo ai duri

Quegli sguardi nei dì che s’aprono ai diciotto s’incrociano un giorno e si fissano in un sorriso. Poi, nel piano alto di un cinema, isolati dal resto, curiose mani rubano sconosciuti brividi attesi.

Sulla guancia scoperta, mentre plasma le labbra al seno che risponde sincero, silenziose lacrime sferzano e stroncano chi si riconosce essere, quello ch’è lì, non è.

Da grande, calzata l’opportuna sua maschera, ritornano puntuali quelle sferzate sul viso e quel tremore, scambiato per altro tremore.

Ora vecchio, vorrebbe ritornare com’era, ma la sclera del cuore ne ha cancellato memoria.

A che servirebbe? Il carnevale è comunque, davvero finito.

Giampietro Calotti Io dormo qua Accanto a te Ti abbraccio Voglio tenerti stretto Non ci credo Che non ci sei più Ti sto qui vicino Mi senti Ci sono Abbraccio il legno Che ti copre Come l'altra notte Sotto le coperte Ero stretta a te

Alessandra Generali

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Poesie del Laboratorio

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Il rumore del Silenzio

Dolce e violento il rumore del Silenzioquando voci remote e vecchi ricordi riemergono dal mare dell’Io … E cerco tracce di Te in un libro mai scritto, nel lieve fruscio di pagine sfogliate dal Tempo, mentre rimango sospesa in un Silenzio senza memoria e senza età.

Chloy Vlamidis

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Giochi, indovinelli ed altro di Sandro Sermenghi

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I tu stradlén

Mo la mi tèsta, la mi tèsta!

Såul a pinsèret al sangv am s'armaśda,

èlb dapmeźdé nôt pasè insàmm, acsé insàmm che anc sänza ed té

a t era aśvén!

E quand la telecom la sunèva a sperèva t foss té.

Turmànt, źoia e śgumànt,

deśiderè stravagànt mumént vissò insàmm, såul insugnè!

E la said mai sudisfâta ed té,

ed bàvver al tô câliz, sintîret, cgnòssert, caminèret

atraversànd i tû stradlén!

Insónni, piaśàvvla e persistanta iluśiån

ch'la dvintarà realtè såul se forsi quand

s'incuntraràn!

I tuoi stradellini

Ma la mia testa, la mia testa! // Solo a pensarti/ il sangue mi si rimescola, / albe meriggi notti passate insieme / così insieme che / anche senza di te / io ti ero/ vicino! // E quando la telecom suonava / io speravo / che fossi tu.// Tormento, / gioia e sgomento,/ desiderati stravaganti momenti vissuti insieme,/ solo sogna-ti. // E la sete mai soddisfatta / di te,/ di bere al tuo calice, / sentirti conoscerti camminarti / attraversando i tuoi stradellini! // Sogno, / piacevole e persistente illusione / che diverrà realtà /

solo se forse quando / si avvererà! // Ciaosandrén

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Poesie del Laboratorio

38

Casa natale

c’erano novantasette gradini, tutti sudati dal brontolio dei vecchi un cortile di streghe a colori e ginocchia sbucciate c’erano terrazzini di affacci e di accordi di fili, di bucati e di pochi gerani c’erano due stanze e una cucina c’era una stufa bollente coi cerchi rossi a borbottare una pentola perenne c’era la catinella del sabato in mezzo alla stanza minaccia o conforto di un bagno subìto c’era una radio dalle parole importanti la sera quando zitta era la macchina per cucire c’era il lettone con tutti i segreti e un mal di pancia bambino c’erano il torto delle sculacciate e la panna montata della domenica c’era un tavolo - solo quello - di un legno remoto a sopportare maccheroni e una qualche bistecca panni da stirare, giornali da notizie bestemmiate e sempre i libri, giovani quaderni matite colorate a interrogare disegni di vite serene

Anna Zucchini

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Un temporale (Giorgio)

Di giorno i tuoni di notte i lampi che temporali forse un vulcano sotto al camino della fucina? Batteva il ferro su quell’altare là, di lamiera dove i tondini e gli stampati eran piegati sotto al tam tam sotto a quel maglio la dittatura il ferro è dolce il ferro è santo un’Ave Maria I tuoni e i lampi i tuoni e i lampi ma quando il maglio faceva piano era armonia un’Ave Maria Un temporale che dove ha preso ha detto ai duri. un temporale che dove ha preso ha detto ai duri di far poesia di far poesia di far poesia di far poesia

Arnaldo Morelli

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Canto

Dentro mi scosse tutto l’azzurro di Spagna Volti angoli e pietre dolci bocche e baci Gridi soffocati ossa palpebre e fior Avanzi e di languori rose e sul sepolcro poso Vento e delle ambrate risvegli suoni e passi Come dolor la prima volta Aprire gli occhi l’adolescente lo sguardo Che deridendo par m’inviti Un fiore pallido di brace Mi tolgo un peso dal petto piombo L’ore dell’ultimo tremore la notte fugge Non più di tanto ti dono e ti veggo Non più di tanto ti prendo e ti bacio Dove va cogliendo quest’eco lontana Fino un bosco nella sua ampiezza e vicinanze suoni Pensava tutto sino un sole fasciato e ci rispondeva Le mie mani incrociate sul petto leggere Dolce sfiorava una luce erano le tue labbra il sospiro

Amleto Tarroni

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Seguo le nuvole che avanzano e tralascio di dirti quanto io t’ammiri. Non sempre l’affetto sa rendersi visibile nella fatica del fare e del sembrare nell’esuberanza dello spirito. Così viviamo, opachi o splendenti canestri pieni d’anni, mesi, istanti. Adesso che rallenti il passo, cerchi di spostare il margine d’attesa. In silenzio compongo la tua figura nella memoria Quel che era mondo ora è sospeso dentro il flusso del tempo. Alla sua porta preme, insistente, il possibile

Anna Maria Boriani

E’ una cifra narrativa un gioco di edifici a misura d’uomo una mano aperta per dialogare l’alloggio come specchio della cultura flusso di tensione dal bianco al colore un frammento modulare una cellula monastica dove poter creare forme, volumi spazi di luci, rapporti col verde. È frammento del nostro orizzonte verticale un corpo di libertà.

Anna Maria Boriani (13.09.2016)

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Brackley

Dalvay by the Sea un pomeriggio. un sito idilliaco dove ho desiderato una morbida vecchiaia di chiacchiere e caffè, di musica e velluti. Poi ho ricordato i miei Modelli appesantiti dagli affanni, su questa terra di gabbiani. Maldoror e il Capitano Nares e tutto quello che ho sognato e rincorso fino ad oggi per sostare tra brezza e fresche ombre di betulle su un grande prato che digrada al mare sotto nuvole bianche e luminose. Vorrei fermarmi a leggere molti libri e dormire senza sogni. Vorrei sparire in una commedia spiritosa con una tazza di cioccolata calda e due battute cattive pronunciate a saldo d’un debito di gioco

Andrea Venzi

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Poesie del Laboratorio

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Della vita sapevamo soltanto estati di imposte socchiuse. Ci siamo conosciuti per quello che eravamo, dunque soli.

tutto è stato a nostro vantaggio anche ciò che non abbiamo avuto anche ciò che abbiamo perso lungo il cammino il rapporto fra il tempo e la felicità e l’istante rubato al suo ritmo mentre il destino accarezzava i propri desideri. noi nascevamo ogni mattina da quello che restava da quello che riuscivamo a fare

scolpire togliere tirare via vedere il nostro futuro

zara finzi

“ Errata corrige – La lettera di Bàrberi Squarotti pubblicata il mese scorso accanto al commento di Maria Iattoni si riferiva ad una mia precedente pubblicazione. Invio ora , a rettifica, la lettera dello stesso critico correttamente riferita al mio ultimo lavoro“ Escluso il ritorno”. Mi scuso per l’involontario errore e auguro a tutti un anno di leggerezza. zara finzi”

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Indice alfabetico

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Cognome e nome N° di pag. Cognome e nome N° di pag. Andraghetti Fosca 7, 30 Saguatti Piero 9

Balboni Stefano 14 Santandrea Viviana 5, 15, 22, 23

Bàrbieri Squarotti Giorgio 43 Sermenghi Sandro 37

Bastelli Anna 20 Tarroni Amleto 40

Bencivenni Maria Luisa 5, 19 Tieghi Aurelia 5, 33

Bertani Maria Teresa 17 Tomba Patrizia 17

Boari Carlo 31 Villalta Gian Mario 2, 3, 4

Boriani Anna Maria 12, 41 Venzi Andrea 42

Calotti Gianpietro 35 Vlamidis Chloy 36

Casetti Rosalba 2, 5, 10 Zucchini Anna 1, 5, 38

Colonnello Tommaso 19

Cuoco Luigi 25

De Pauli Oscar 5,

Falcucci Angela 25, 26, 27, 29

Finzi Zara 28, 43

Generali Alessandra 35

Giglio Rosy 5, 7, 4 di cop.

Grosso Piera 16

Guadagno Crescenzo 18 Iattoni Maria 2cop, 6, 24 Lipari Franco 25

Lollini Margherita 16

Manini Elio 1 di cop, 5, 21, 28

Maselli Anna 13, 32

Mattioli Paola 18

Meleagro 26

Minarelli Nadia 11

Montori Francesco 8

Morelli Arnaldo 39

Notari Silvano 10

Pellizzari Emelina 34

Penna Sandro 27

Penzo Gabriella 32

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Il Movimento Difesa del Cittadino di Bologna (MDC Bologna), è una delle sedi

provinciali dell’associazione nazionale Movimento Difesa del Cittadino (MDC), ed

opera avvalendosi della collaborazione di esperti e qualificati liberi professionisti, per

dar voce ai Tuoi diritti.

I cittadini che necessitano di un consiglio e assistenza legale, di qualsiasi genere

(bollette pazze; contratti truffa; consegne postali; viaggi; liti condominiali;

famiglia; infortunistica stradale e multe, etc),possono usufruire, previo

tesseramento, della consulenza GRATUITA di un esperto.

Tra le principali novità che interessano i consumatori, Ti segnaliamo che dal 1°

gennaio 2017 è partito il progetto Tutela Simile, un regime di transizione tra la

Maggior Tutela e il libero mercato voluto dall’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il

Sistema Idrico (AEEGSI). Si tratta di un’iniziativa presa proprio allo scopo di

accompagnare gli utenti verso il libero mercato, in previsione dell’abolizione del regime

tutelato che avverrà nel 2018, salvo ulteriori proroghe.

La sede di Bologna può assisterTi in questa importante decisione, sottoponendo alla

Tua libera scelta, per il tramite di un facilitatore accreditato, l'elenco di offerte e relativi

sconti presenti sul portale istituzionale dell' AU e proposti dagli operatori.

Ti ricordiamo inoltre, che la sede MDC di Bologna tutela i propri associati, sia in

materia di indebitamento, che di sovraindebitamento fiscale; i nostri esperti sono

inoltre a disposizione per illustrare le ultime novità in tema di rottamazione dei ruoli

con Equitalia e per assisterTi nella presentazione della relativa istanza: hai tempo fino al

31 Marzo!

Per gli iscritti è attivo il servizio gratuito di newsletter (via mail) sulle più importanti

novità normative e sulle principali opportunità per i consumatori.

- Lo sportello MDC Bologna è aperto tutti i giovedì dalle ore 16:00 alle ore 19:00 presso il

Circolo la Fattoria, Via Pirandello n. 6 – primo piano – Si riceve senza appuntamento

Per informazioni visita il Sito: clicca su mdcbologna2016.wix.com/difesadelcittadino

- Per fissare un appuntamento e per essere ricevuti dai nostri Consulenti in orari e giorni

diversi dal Giovedì, scrivi a: [email protected] o telefona allo 051.505117

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I pittori del

Laboratorio di Parole

Rosi Giglio: frutti autunnali, olio su tela cm. 70 x 40 anno 2004