A10 · 27 e 31 e sui suffissi di 37 e 41; si regolarizza anche l’endecasillabo sovrab- bondante...

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A1084

Piero della Vigna

Rimeedizione critica a cura di

Gabriella Macciocca

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I edizione: maggio 2004

10. .Piero della Vigna.

(Ed. Gabriella Macciocca)

10.1 Poi tanta caunoscenza

(IBAT 55.8)

Mss.: V 37, c. 10r (piero daleuingne); V1 c. 1v (vv. 1-2); P 49, c. 28r

(Messer jacopo mostacci dipisa); Ch 236, c. 80r (Notaro Giachomo dalentino). Edizioni: D’Ancona-Comparetti 1875-88, I, 107; Langley 1915, 42; Sa-

linari 1951, 112; Panvini 1957, 59; Panvini 1962-64, 412; Clpio, 246, 315. Metrica: a7 b11 c11, a7 b11 c11; d11 e7 f7 (f)e5+6 d11 (Antonelli 1984,

309: 2). Canzone di quattro stanze singulars di undici versi; labilmente capfi-

nidas, e con modalità anomale, II-III (solo in V e Ch) e III-IV; sirma variabi-le nella prima stanza di tutti i testimoni: in P e Ch, ~; d11 e7 c7 (c)e5+6 d11; in V, ~; d11 b7 c7 (c)b5+6 d11, la ripetizione della rima comporta anche la ripetizione del rimante (cfr. Antonelli 1978, 190-191); nella quarta stanza di P l’alternanza di rime -anza/-enza determina un’apparente variazione della sirma in ~; d11 a7 e7 (e)a5+6 d11. Stesso schema ma diversa formula sillabi-ca in Rinaldo d’Aquino, Poi li piace c’avanzi suo valore (a11 b7 c11, a11 b7

c11; d7 e11 f7, f7 e7 d11, Antonelli 1984, 309: 1), e in Mazzeo di Ricco, Lo

core innamorato (a7 b7 c11, a7 b7 c11; d7 e7 f11, f7 e7 d11, Antonelli 1984, 309: 3), entrambi con strofi di 12 versi. Da notare che la sirma della canzone è identica, fatta eccezione per la rima interna, all’altra di Piero, Amor da chui

move (cfr. il modulo rimico a b c, c b a in Antonelli 1984, p. 172). Scelta la lezione di P, è stato necessario intervenire soltanto sulle forme piene dei vv. 27 e 31 e sui suffissi di 37 e 41; si regolarizza anche l’endecasillabo sovrab-bondante del v. 14 (con lieve intervento su così, con Panvini; rispettando la lezione tràdita, si avrebbe cesura epica); v. 18 è ipotizzabile aferesi iniziale, cfr. GiacLent, Guiderdone aspetto avere 34. Rime siciliane: 7 miso : 11 so-

preso, 24 morire : 25 vedere, 27 disire : 28 podere; rime equivoche: 3 : 9 da-

to V P; rime equivoche-identiche: 5 : 10 amore V, 35 : 38 avenire V; rime identiche: 12 : 15 sottrasse Ch; rime derivative: 35 : 38 avenire : adovenire

P, venire : avenire Ch; rime grammaticali: 12 : 14 sottrasse : sottragesse, 32 : 33 : 34 cominciato V Ch incuminciato P: cominciamento VPCh: inconinza-

glia V, incomminciaglia Ch, cominzanza P; rime ricche: 1 caunoscença : 4 increscença, 8 valere : 10 PCh volere, 12 sotrasse : 15 furasse, 14 sotragesse

: 17 pungesse V P, 20 innamorato : 21 alterato V P, 25 vedere : 28 podere, 29 confortamento : 33 cominciamento, 40-44; rime refrain: I-II-III -ato, I-IV -ato; III-IV -ire, III-IV -ire; III-IV -ento; rime ripetute: I-IV -enza, I-II-III-IV -ato, II-III-IV -are, I-III -ere, III-IV -ire; rimanti ripetuti equivoco-identici: 22 - 43 fare, 31 - 39 amato.

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Discussione testuale. Contini 1952, 383 n. 24, indica l’antecedente co-mune per valore al v. 8, per l’ipermetria del v. 14 (presenza della cong. che), e, meno cogentemente, per la mancanza di collegamento tra prima e seconda stanza, possibile segno della caduta di una strofe. Tutti gli editori hanno se-guito la lezione di V. Essendo erronea in V, con cui parzialmente Ch, la di-stribuzione dei rimanti nella terza cobla, seguiamo la lezione di P (Ch è coin-cidente con P nella prima strofe e, in luoghi diversi, sia con V che con P nella terza stanza): al v. 10, il bon/ben volere di PCh rimanda ad un originario *valere o *valire al v. 8, mentre il buono amore di V evidenzia il guasto per la ripresa di una parola-rima della fronte (cfr. Biadene 1901a, 33 e Antonelli 1978, 191). Soprattutto, la lezione di P ai vv. 23-26 è sola a tramandare la ri-ma siciliana força : possa, contro morire : valire V / morire : ardire Ch che, accanto alla serie in -ere dei vv. 25-28, è solo livellamento rimico e non rima siciliana. Nella quarta stanza vengono ripristinate le due serie, -anza 34-37 e -enza 41-44 (cfr. Avalle 1974a), nella distinzione delle quali si tiene anche presente la sequenza comensamens/comensansa di BnVent, Ab joi mou lo

vers (P.-C. 70.1) 4-5 (lo stesso testo è forse richiamato al v. 33 e al v. 43). Per l’attribuzione rimangono dirimenti la rubrica di V, generalmente precisa, e i notevoli riscontri con altre canzoni di Piero.

I. Poi tanta caunoscenza e compimento di tutte bellore senza mancare natura li à dato, no mi ven mai increscenza penare lungamente per suo amore: 5 quanto più peno e più serò inalzato, in sì gran sicuranza Amor m’à miso indel suo gran valere, a cui son tutto dato e infiammato di sì bon volere, 10 com’albore che d’ellera è sorpreso. II. Lo veder mi sotrasse sì come il ferro fa la calamita, sì m’è viso c’Amor mi sotragesse; parse che mi furasse 15

subitamente cor e corpo e vita, ch’eo non son mio quanto un ago pungesse. Inn-Amore ò dato tutto mio pensare

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e ’n sua subiezione, ch’eo sono innamorato 20 ed alterato di mia oppinione, che eo vo al morire e paremi ben fare. III. Son menato per forza ed eo medesmo mi meno al morire, ed esser la mia morte e non vedere! 25

Non ò tanta di possa né di valor ch’eo isforzi ’l meo disire, così m’à tolto Amore ogne podere: di ciò mi dono gran confortamento contra lo meo penare, 30 che son da·llei amato e incuminciato m’ave a meritare: bon fine aspetta bon cominciamento. IV. Sì alta cominzanza Amor m’ave donato d’avenire, 35 per ch’eo più aquisti ch’eo non ò mertato; non giocai in fallanza, che sovente ved’omo adovenire amare fortemente e non è amato; poi ell’à tanto di caunoscimento 40 d’Amor che la ’ntendenza più mi fa ralegrare, come de’ fare chi sì ben comenza, quant’à più de le donne insegnamento.

1 caonoscienza V, canoscienza V1, canoscença Ch 2 tuto b. V, tutto b. ChV1 [fine di V

1] 3 sanza V; la V, glia Ch 4 nonne mai i. V, nome uenne i. Ch 5 lungiamente V; su a. Ch 6 quantio V; e om. VCh; saro VCh; nalzato V 7 amore V; meso V, messo Ch 8 ilo s. V, el s. Ch; grande V; ualore PVCh 9 dichui sonnamorato Ch; sono tuto V 10 ed VCh; infiamato V; di suben v. Ch, disi buono amore V 11 albero V; dellere son preso Ch 12 uedere V; sottrasse Ch 13 comel f. Ch 14 cosi VP, chosi Ch; auiso V; pa-rue Ch; ch Ch; amore V; sottraesse Ch 15 parue VCh; mme sottrasse Ch 16 core V 17 io V; meo quantunagho Ch 18 in a. V; ennamar messo tuttol

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meo p. Ch; tuto V 19 giuzione V, suggeççione Ch 20 acchui sono tuttor dato Ch; chio sono inamorato V 21 e a. V, ennaltero Ch; openione V 22 che uolglio morire Ch; chio V; parmine Ch; bene V 23 Sono menato almo-rire V, Somene atal morire perforça Ch 24 perforza edimedesimo micinuio V, edeo medesimo micinuio Ch 25 elamia morte me fara uedere Ch 26 nonno tanto ualire V, nono tanto dardire Ch 27 chio possa isforzare lomio disio V, cheo potesse sforçar lomeo disio Ch; ualore P 28 chello ma Ch; onne Ch 29 accio Ch; dona Ch; grande V 30 mio V 31 chio Ch; sono PV 32 ecominciato VCh; mae Ch 33 lobono V 34 jnconinzalglia V, in-comincialgla Ch 35 amore V; maue jnorato V, ma onorato Ch; diuenire Ch 36 perche piu aquisto chenonno meritato V, chonpiu daquistato nono merita-to Ch 37 Jnonno giucato jnfalglia V, Non ma giochato afalgla Ch; fallença P 38 che bene souente V; come souente Ch; uedemmo a. V, ueio me a. Ch 39 enoe Ch; e nonnessere a. V 40 p. nella e t. V, ma illei e t. Ch; canosci-mento V, chanoscimento Ch 41 edamore Ch; amore V; lantenza V, lantença Ch, lantendança P 42 epiu V; per me fa Ch; allegrare V, rallegrare Ch 43 sicome de f. Ch; bene V; inconenza V, chomincia Ch 44 chomeapiu Ch

1. Poi: congiunzione introduttiva di una prop. causale, è molto frequente nella Scuola siciliana, anche in posizione incipitaria; cfr. quantomeno l’incipit di GiacLent, Poi no mi val merzé e RinAq, Poi li piace c’avanzi. — caunoscenza: vale generalmente ‘saggezza, cortesia’; requisito distintivo del-la donna anche in RinAq, Venuto m’è in talento 65 nella redazione di P, Poi

li piace c’avanzi 26, Per fino amore 10. Per caunoscenza Contini 1960, I, 61, spiega -au- come «dittongo di compromesso tra co- etimologico e il meridio-nale dissimilato ca-». Testimonianze del passaggio poco chiaro di -o- proto-nica ad -au- (con lo stesso dittongo, ausato in Uno piasente sguardo 21, au-

nore in Amor, da cui move 21 e 25), ancora nel napoletano del Novecento, si trovano nei dialetti meridionali e settentrionali delle origini (cfr. Rohlfs 1966-69, § 131), probabilmente incentivate dalla parallela conservazione di -au- in protonia, propria anche del napoletano antico (cfr. De Blasi 1986, 360-361; Savj-Lopez 1906, 40).

2. compimento: ‘completezza’, ma più esattamente sull’occ. complimen, complement (< COMPLEMENTUM) ‘perfezione’; cfr. anche Amor, da cui move 56. — tutte bellore: tutti gli editori tut(t)o bellore. Il sost. femm. occ. belor, inteso maschile in V e Ch, come in generale nella lingua italiana delle origini (cfr. ‘tutto bellore’ in Guido Guinizelli, Gentil donzella, di pregio nomata 8, e le numerose ocorrenze in Guittone; notevole «Amico di Dante», Nobile

pulzelletta ed amorosa 2: «compiuta di piacere e di bollore»); in P, sebbene al plurale, il calco sull’occitano ha mantenuto il suo genere, e andrebbe forse riportato al sing., tutta bellore come tutta belleze (Contini restituisce vostra

bellezze in MzRic, Lo gran valore e lo pregio amoroso 28), cfr. in proposito

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PercDor, Come lo giorno 23-26, ove il sing. è dimostrato dalla rima equivoca bellezze : (vostra) bellezze.

3. mancare: intr., nel significato occ. di ‘sbagliare’ è attestazione unica nella Scuola siciliana. — natura: la natura come dispensatrice di doni, tratto già trobadorico, si ritrova in PVign, Amando con fin core 22-23, in TomSas-so, L’amoroso vedere 29-30: «Ancora si asomata / la natura v’avesse», e meno incisivamente in An, D’una alegra ragione 20, An, Naturalemente 3, An, Considerando 12.

4. no mi ven mai increscenza: ‘non mi dispiace mai’; un’altra sola occor-renza in GiacLent, Ben m’è venuto 17-18: «E chi a torto batte o fa increscen-za, / di far plagenza penza, poi si pente», poi in ChiaroDav, Amore, io non

mi doglio 79. D’Ancona e Langley accettano la lezione di V, gli altri editori quella di P.

5. penare: cfr. v. 30 e peno in 6. 6. e: consecutivo, o meglio, conclusivo (cfr. Jensen 1986, § 92). — inal-

zato: ‘elevato’, cfr. anche Amando con fin core 4; collegato agli effetti di Amore anche in RinAq, Per fino amore 50, e Venuto m’è in talento 22 e 27.

7-11. ‘Amore mi ha messo in così grande certezza rispetto al suo grande valore, di cui sono completamente preso, ed infiammato di tanto buon amore, come albero che è sopraffatto dall’edera’.

7. sicuranza: ‘certezza’, cfr. GiacLent, Uno disio 54 e JacMost, A pena

pare 68. 8. valere: ‘valore’, infinito sostantivato. 9. son tutto dato: nei Siciliani frequentissimo il sintagma son dato per

indicare la dedizione d’amore, in particolare cfr. RinAq, Venuto m’è in talen-

to 7 e 69 V, e StProt, Assai cretti 27, attribuita a Piero in L. 10. infiammato: ancora, in variatio, in PVign, Uno piasente sguardo 3, e

cfr. anche la n. a 19; in If XIII 67-68 l’adnominatio con infiammò / ’nfiamma-

ti / infiammar. — bon volere: cfr. benevolere in NeriVisd, Oi lasso doloroso 48 e 63 (del solo V), e benvolere nell’anonima Amor fa come, 38; notevoli anche le varianti benvolere P, bene avere V in Sì altamente e bene 10 (nella stessa posizione versale).

11. albore: ‘albero’. — ellera: ‘edera’, costituisce l’attestazione più alta nella poesia italiana, cfr. poi Dante, If XXV 58. — sorpreso: calco semantico sull’occ. sobreprendre ‘cingere, circondare’, e per traslato ‘avvincere’; con il significato di ‘coprire, sopraffare, soffocare’ (PD, s.v.) si ritrova in Dante, Cv IV vii 4: «ma solo in quelle parti dove le spighe della ragione non sono del tutto sorprese» (Ageno 1995, 301, e si veda anche la variante del Riccardiano 1043 sonprese con Ch son preso), e nel sorpriso (‘meridionalismo’ in Devo-to 1953, 59) di Pg I 97 (il più comune ‘cogliere di sorpresa, riempire di me-raviglia’ in If XIII 111). In ambito siciliano cfr. An, Come per diletanza 33, e An, Del meo disio spietato 52, quindi MstFranc, De le grevi doglie e pene 37, Ingh, Poi la noiosa erranza 1. Tra i trovatori almeno Pujol, Ad un nostre

Genoes (P.-C. 386.1) 13-14: «que hom qu’ama ben manhatas ves / es per

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fin’amor sobrepres», BertZorzi, Aissi co·l fuocx (P.-C. 74.1) 64: «tant m’a greumen mos desirs sobrepres».

12. La presenza di veder (in luogo di un voler atteso da cobla capfinida) va collegata al sonetto di Piero della Vigna in tenzone con Jacopo Mostacci e Giacomo da Lentini, in cui è ripetuto ai vv. 1, 8, 10 (in quest’ultimo caso col topos della calamita, per cui cfr. 13), e al motivo della ‘vista’ come sede della nascita di Amore, per cui cfr. il sonetto in tenzone di Giacomo da Lentini, e, dello stesso Piero della Vigna, Uno piasente sguardo. — sotrasse: occitani-smo, ‘affascinò, attrasse’, ripreso a 14 (con la stessa radice, attrarre al v. 10 del sonetto in tenzone); anche in PercDor, Come lo giorno 23-26: «Per voi, madonna con tante bellezze, / sanza ferezze lo mio cor sotrasse / e sì m’à preso e tene l’adorneze, / vostra bellezze che ’l mio core atrasse» (Contini 1960, I, 163).

13. Forse apó koinoû tra 12 e 14 (ma è comunque da evitare la separa-zione fra 12 e 13, come avviene invece nei precedenti editori). Il paragone del ferro e la calamita, metaforico del potere d’Amore, come già nella poesia dei trovatori, è anche nel sonetto di Piero della Vigna in tenzone con Jacopo Mostacci e Giacomo da Lentini, per cui cfr. Però ch’Amore 9-11; il ‘trarre’ della calamita anche in GuidoCol, Ancor che l’aigua 77 e 81, MstFranc, Lo

vostro partimento 10 e An, Ogn’uomo à su’ voler 11, ma cfr. anche MzRic, Lo gran valore e lo pregio amoroso 28-29, e An, Come per diletanza 76.

14. m’è viso: ‘mi sembra’, gallicismo. Per il ripristino della misura del verso, in Langley e Salinari cade la congiunzione, D’Ancona-Comparetti tra-

giesse, e cfr. la nota metrica più sopra. 15. parse: anche nel sonetto di JacMost, Solicitando 8, in tenzone con

Piero e Giacomo da Lentini. — furasse: il verbo furare anche in StProt, Assai

cretti celare 20. 16. L’Amore che sottrae tutte le capacità dell’amante, con qualche diffe-

renza, anche in JacAq, Al cor m’è nato 9-10: «Così m’afina Amore, che m’à tolto / core e disio e tuta la mia mente» (ma cfr. anche BnVent, Can vei [P.-C. 70.43] 13-14 individuato dal Torraca [per cui Fratta 1996, 102] e Non es [P.-C. 70.31] 5-6: «cor e cors e saber e sen / e fors’e poder […]»); sarà motivo specifico di Guinizzelli e Cavalcanti, proprio nelle conseguenze mortali, non solo spirituali.

17. eo non son mio: cfr. anche GiacLent, Molti amadori 12 e An, Ciò

c’altro 10. — quanto un ago pungesse: ‘se non quanto risulterebbe dalla pun-tura di un ago’, e cfr. anche FilMess, Oi Siri Deo 7: «non sono meo quanto d’un ago punto» (per il motivo della perdita di sé, cfr. BnVent, Can vei [P.-C. 70.43] 17-20: «Anc non agui de me poder / ni no fui meus de l’or’en sai / que·m laisset en sos olhs vezer / en un miralh que mout me plai»).

18. Tranne Langley e Clpio, tutti gli editori hanno dat’ò (in Ch mess’ò). A prescindere dalla soluzione adottata, ò dato rimanda anche alle numerose rime interne, tutte in -ato, ad eccezione della quarta strofe in -are; oltre che

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all’anasinalefe, per l’ipermetria si può pensare, ma più difficilmente, ad una zeppa in archetipo (mio?).

19. subiezione: < SUBIECTIONEM ‘assoggettamento, sottomissione’; an-che nel Libro de la desctructione de Troya (De Blasi 1986, 59 15) e nelle Storie de Troja et de Roma (Monaci 1920, A 328 29); subezione in Chiaro-Dav, La mia vita, poi ch’è sanza conforto 21, per cui Menichetti: «(occ.) atto di omaggio»; presente nel Convivio come «lo stato di chi deve ‘sottostare’ all’autorità e al potere di altri». Tra le epistole latine di Piero a carattere pri-vato, cfr. Huillard-Bréholles 1865, 426: «Vivat igitur, vivat sancti Friderici nomen in populo, succrescat in ipsum fervor devotionis a subditis, et fidei meritum mater ipsa fidelitas in exemplum subjectionis inflammet». In Clpio, sua giuzione V, è restituita con giu[risdi]zione (ma cfr. Antonelli 2002, 16).

21. alterato di: ‘deviato da’, ma cfr. anche alterare, alterazione in Dan-te, Convivio (del quale, tolta una sola occorrenza nella Commedia, è esclusi-vo, cfr. ED, s. vv.). — oppinione: ‘pensiero; giudizio’, talora ‘intento’, sost. legato alla definizione di Amore, con rare occorrenze nella sola forma ope-

nione (ma oppinione sempre in Dante): cfr. anche GiacLent, Certo mi par 12, JacMost, Di sì fina ragione 4 (opinione P / openione V) e nei sonetti in ten-zone Disidero lo pome 7 (attribuita da una mano seriore di V a Chiaro Da-vanzati), e An, Naturalemente 14.

22. Il trovarsi vicini al morire per amore, anche in GiacLent, Poi no mi

val merzé 19: «Spessamente disïo e sto al morire», Troppo son dimorato 15: «[…] ed i’ ne so’ al perire», e An, Amor fa come 46-47: «ben m’ancide e confonde / quella per cui son miso al morire».

23-25. ‘Sono condotto per forza, ed io stesso mi conduco a morire, e non vedo che è la mia morte’.

23. Nell’apparente assonanza -orza : -ossa, -orza sta per -ozza (cfr. An-tonelli 1984, 309:2 e p. 118; Tallgren 1909, 301 e 373), con assimilazione di r + cons. come nel siciliano (cfr. Rohlfs 1966-69, § 240; fozza ‘forza’, che si trova nel sic. moderno, cfr. Tropea 1985 e 1990), rimanda al «dialetto plebeo di Sicilia» (Cesareo 1894, 113); per possa (qui sost.) e la rima -orzo : -ozzo

(del resto, cfr. Baldelli 1965, 79, dove si trova il congiuntivo possi per ‘poz-zi’), cfr. anche TomSasso, D’amoroso paese 8-9: «[…] e quanto più mi sfor-zo, / allora meno posso […]» di L, pisano, contro sforzo : pozo di V (nel con-trasto di Cielo d’Alcamo, pozo al v. 131). Notevole la vicinanza di 23-24 (e 12-13) con MzRic, Lo gran valore e lo pregio amoroso 28-29: «che la vostra bellezze mi ci ’nvita / per forza, come fa la calamita / quando l’aguglia tira per natura» (Contini 1960, I, 154). L’essere costretto con forza da Amore an-che in An, A lo stettar 5: «Alora Amore per forza il pingie e mena», e in MzRic, Madonna, de lo meo namoramento 7-8: «c’Amore, che sormonta on-gne ardimento, / mi sforza e vincie e mena al suo talento»; cfr. anche 26.

24. eo medesmo: cfr. anche GiacLent, Amor non vole ch’io clami 44: «ch’io medesmo non mi veo»; medesmo collegato all’impossibilità di reagire del soggetto amoroso anche in RinAq, In amoroso pensare 31: «che lo meo

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core a me medesmo sperde». — mi meno: ‘mi conduco’, cfr. MzRic, Madon-

na, de lo meo namoramento 8: «mi sforza e vincie e mena al suo talento», e An, Doglio membrando 6: «che quasi mi mena la morte».

25. e non vedere: verbo infinito coordinato al precedente verbo di modo finito, cfr. Ageno 1965, § 10, Clpio, clxxviia (costruzione: ‘non vedere essere la mia morte’, cioè ‘non vedo che è…’).

26. possa: sost., in dittologia con valore a 27; nella Navigatio Sancti

Brendani: «la possa e la forza» (Grignani 1975, 177), nel Ritmo di S. Alessio 51, poi in Jacopone e Dante; in ambito siciliano, solo in An, Morte fera e di-

spietata 35, altrimenti possanza (cfr. Amor, da cui move 28 e GuidoCol, A-

mor, che lungiamente 5: «c’ho più durato ch’eo non ò possanza» [Contini 1960, I, 104]). Diversamente da posso, per cui è attestata anche la forma poz-

zo, l’eccezionalità di possa > pozza nel sign. di ‘possanza’ (nel sic. moderno si trova pozza interiezione e cong. [Piccitto-Tropea 1990, s. v.), lascia solo ri-cordare l’unica presenza dell’it. ant. poggia, poza, pozza, pozia < lat. PODIA(M), sia nel significato di ‘cavo adoperato per tirare la nave sottovento’ che nella metonimia ‘vela che prende il vento’ (con il più ovvio rinvio a or-

za), e quindi ai tecnicismi della lingua del mare, come altre volte in Piero (cfr. Navigatio Sancti Brendani: «e tegna ben lo gropo de la pozia» [Grignani 1975, 150], Maestro Piero, Con dolce brama e con gran disio 14: «Adentra pozza, mola de la sosta» [Corsi 1970, 5], e nella forma poggia, Francesco da Barberino, Documenti d’Amore: «tirar la poggia» [Egidi 1924, III, 125], e Francesco di Vannozzo, Chi non sa voltezar a la buonazza 7 “volta la poggia al pelago profondo» [Manetti 1994, 5022]).

27. isforzi: ‘forzi, riesca a cambiare’; cfr. anche An, Io non credetti 11: «che ciò dire isforzaro lo mio core», e An, Donna, lo fino amore 8: «sforza l’amorosa mia natura». Il più raro disire di P, contro disio di V Ch, rinvia ad Amore, in cui disio 17.

28. podere: in rima siciliana con disire, per cui cfr. anche podire, non in rima, in Amando con fin core 36. Sulla mancanza di ‘potere’ cfr. RinAq, Poi

li piace c’avanzi 30: «non ò podere di farne mostranza». Sul piano metrico, possibile anche sì in posizione iniziale vs ms. così (cfr. sì 14 vs chi sì 43), con dialefe, e cesura lirica, tolto Amore.

29. di ciò: prolettico di 31-32. — dono: ‘do’, possibile gallicismo (cfr. anche Cella 2003, xxi), con cui più avanti, a 35, donato. Il ‘darsi conforto’ anche in Amando con fin core 39: «più ke darmi conforto e buona vollia», e 42: «tanto comfortto ch’io vivo in dolglia».

30. penare: già in 5; cfr. l’incipit di PagSer, Contra lo meo volere che in V occupa la posizione immediatamente precedente a Poi tanta caunoscenza; per altre relazioni (lo mio penare), cfr. GiacLent, Molti amadori 4; An, Don-

na, lo fino amore 41 e An, Quando fiore 31. 32. incuminciato: la u protonica anche in giucato, v. 37 della redazione

di V. — meritare: ‘compensare’; verso praticamente identico a RinAq, Per

fino amore 48: «Amor m’à coninzato a meritare».

10. Piero della Vigna (Macciocca) 13

33. ‘un buon inizio prevede una buona fine’, solita sentenza gnomica in clausola, come nei trovatori, e particolarmente vicino a BnVent, Ab joi mou

lo vers (P.-C. 70.1) 3-4: «e so, que bona fos la fis, / bos tenh qu’er lo comen-samens» (e cfr. la Discussione testuale); cfr. anche An, Oi avenente donna 5-6: «Amore ch’è di buona inconinzalglia / e melglio per fenita deve avere». Tale procedimento è particolarmente distintivo dello stile di Giacomo da Lentini e RinAq, In un gravoso affanno, 10 e In amoroso pensare 36. Per il motivo del ‘buon inizio’ nella poesia siciliana cfr. Fratta 1991.

34. cominzanza: ‘inizio’ (cominciamento a 33), con suffisso occitaneg-giante (occ. comensansa) o francesizzante, con poche occorrenze (comin-

cianza in Brunetto Latini, Tesoretto 296, e Favolello 65 [Contini 1960, II, 186, 280]), ma cfr. BnVent, Ab joi (P.-C. 70.1) 5: «per la bona comensansa». Non priva di interesse la variante inconinzaglia, anche in An, Oi avenente

donna 5. 35. avenire: ancora nel significato occ. di ‘raggiungere’ (già Gaspary

1882, 287-288). 36. ‘affinché io acquisti più di quello che ho meritato’, in opposizione a

32; il congiuntivo anche in JacMost, Umile core 20: «ond’eo aquisti ciò ch’eo perdei d’amore»; cfr. anche RinAq, Per fino amore 56: «in più d’aquisto ch’eo non serviraggio». Per il motivo del merito nel conseguimento d’amore, cfr. Fratta 1991.

37-39. ‘Non commisi errore, come sovente accade a chi ama fortemente e non è amato’.

37. fallanza: occ. falhansa, ‘errore, colpa’, cfr. ReGiovanni, Donna, au-

dite como 25 fallanza; ma fallenza in RinAq, Venuto m’è in talento 10, A-

mor, che m’à ’n comando 13, e soprattutto Per fino amore 38. Interessante, come per 34, anche la variante falglia, di chiara provenienza francese, soli-tamente nella locuz. san’ falglia / sanza falglia (cfr. JacMost, Mostrar vorria

in parvenza 14, il Contrasto di Cielo d’Alcamo, 139, PercDor, Amore m’ave

priso 36, ecc. 38. adovenire: ‘accadere’; due occorrenze in GiacLent, Uno disio

d’amore 25-27: «Geloso sono d’amor m’adovene, / così mi stene, / c’Amore è piena cosa di paura», e 52-54: «non adovegna con’ al mio temere / (vergo-gna è a dire), / che sicuranza ormai nulla no ’nd’aia»; nella forma adivenire

(adovenire è specifico di P), tra le falsamente attribuite a Piero della Vigna, in StProt, Assai cretti celare 11 e 58, e cfr. anche RinAq, Meglio val dire 9: «E saccio ben c’a molti è adivenuto», e In un gravoso affanno 15: «c’a po-ver’omo avene».

39. e: forse con valore avversativo-concessivo. — non è amato: il sogg. grammaticale è omo di 38, in proposizione infinitiva, coordinata a una finiti-va (omo è contemporaneamente oggetto del verbo reggente e soggetto dell’infinito, cfr. Rohlfs 1966-69, § 706).

10. Piero della Vigna (Macciocca) 14

40-44. ‘Poiché ella ha tanta saggezza, cortesia, che l’intendimento d’amore [l’amore] mi fa gioire moltissimo, come deve accadere a chi inizia bene, quanto ha maggiore conoscenza delle donne’.

40. Riprende i vv. 1-5, in amplificatio finale, e dipende da 42. 41-42. ‘che l’intendimento d’amore, mi fa gioire di più’; in modo con-

sueto nella sintassi latinizzante dei Siciliani, ma qui particolarmente elabora-to, con il determinante che precede il determinato; 42 è posto così a immedia-to contatto con de’ fare di 43.

41. ’ntendenza: calco dell’occ. entendensa, ‘intendimento d’amore’, in RinAq, Venuto m’è in talento 66 accanto a intendanza a 20 nel solo P; inten-

danza d’amor anche in GiacLent, Non so se in gioia 2: «Non so se ’n gioia mi sia / d’amor la mia intendenza». Sul trattamento dei suffissi -anza / -enza, cfr. Clpio, ccxlviib. L’alternanza intendanza / intenza anche in RinAq, In un

gravoso affanno 21. 43. Verso identico a RinAq, Per fino amore 52; per il collegamento

dell’inizio, del ‘cominciare’ con il ralegrare (allegrare V rallegrare Ch) di 42, cfr. anche l’incipit di BnVent, Ab joi mou lo vers e·l comens (P.-C. 70.1). — comença: ‘comincia’, probabile gallicismo (cfr. Cella 2003, 92-93, 199-202).

44. più […] insegnamento: ‘maggiore conoscenza’, occitanismo seman-tico; anche in Amore, in cui disio 32 e, tra le attribuite a Piero della Vigna, in StProt, Assai cretti celare 47.

10.2 Amore, in cui disio ed ò speranza

(IBAT 55.3)

Mss.: V 38, c. 10r (xxviii piero deleuigne); V1, c. 1v, vv. 1-2; Lb 120, c. 103b (Mess(er) Piero deleui(n)gne).

Edizioni: D’Ancona-Comparetti 1875-88, I, 110; Nannucci 1883, 26; Levi 1905, 12; Guerrieri Crocetti 1947, 227; Lazzeri 1950, 747; Salinari 1951, 114; Vitale 1951, 239; Monaci-Arese 1955, 89; Panvini 1957, 62; Con-tini 1960, I, 121; Panvini 1962-64, 127; Del Monte 1965, 70; Clpio, 178, 316; Panvini 1994, 187.

Metrica: 11 a b a b; c d d c (Antonelli 1984, 98:3). Canzone di cinque stanze singulars di otto endecasillabi, irregolarmente capfinidas: I-II ripeti-zione di venire, II-III ameragio-amore, III-IV in vostra spera, legame non ri-goroso tra IV e V [lo meo core 32 e 34]). Stesso schema rimico e formula sil-labica nelle canzoni in tenzone di Arrigo Baldonasco, Alegramente e con

grande baldanza (V 166) e Inghilfredi, Dogliosamente e con gran malenanza

(Antonelli 1984, 98:2), e nell’altra di Arrigo, Ben è rason che la troppo ar-