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MICHELE MARIda Euridice aveva un cane

Il volto delle cose

Il bambino grasso salì goffamente le larghe scale dell’enormescuola, poi si affrettò alla sua lontanissima aula (corridoiointerminabile, sudicia segatura sulle piastrelle bagnate, attaccapannipuntuti, varicosissime vene sui prosciuttosi polpacci delle arcignebidelle). Entrò nella classe maleodorante un attimo prima chel’odiato maestro incominciasse l’inquietantissimo appello, senzache ciò gli evitasse una sospettosa occhiataccia di preconcettarampogna: e sfilando fra i banchi binati, i beceri lazzi deicompagnuzzi crudeli.

Finalmente seduto, auff! il preoccupato bambino tirò fuori dallagommosa bisaccia gli strumenti preziosi alla triste bisogna delterribile tema: la rosicata biro che sperava non perdesse l’inchiostrobluastro in turpissime macchie, la gomma bicolore con sopra unbel pellicano, il primo foglio per la tormentata brutta, il secondofoglio per la bella azzardosa. Poi trasse un singolare sospiro dapersona vecchia, e aspettando il temuto titolo osservò i suoicompagni bastardi: davanti a lui la schiena curva del secchioneRanzani, i corti capelli che ricordavano uno spazzetton setoloso, ilcollo oscenamente arrossato: a sinistra quella bestia disgustosa delpuzzolente Cifoni, detto sgancia-sgancia; a destra il tapinoVallazze, che tuttodì caragnava perché gli era morta l’ossuta suamamma, e che per questo insolito fatto si permetteva ogni esosocapriccio nei confronti dei malcapitati vicini...

L’irritante voce del maestro severo interruppe la suacontemplazione svagata dando rapido inizio alla dettaturaincubosa, e tosto le sue dita sudate guidarono la tiepida plasticadella sua unica biro sulle righe grigine dell’apposito foglio. Ecco,ora doveva affrontare l’ingrato esercizio, più non davansi benevolescuse al suo pensoso indugiare.

Il bambino grasso percorre il lungo corridoio brandendo con lemani paffute il foglio sgualcito; i suoi begli occhi son colmi dilagrime salse, ma irretito com’è dal definitivo giudizio e dall’acreevidenza del voto fatale egli è lontanissimo dalla propriainconsapevol beltà. Nell’aguzza scrittura del maestro stizzito ilvoto fatale ha la forma perfetta di un insopportabile 4, il definitivogiudizio consiste in due sole parole seguite da un’esclamativapuntura: «TROPPI AGGETTIVI!»

Cicciottello come un correggesco puttino il grasso bambinoscende malinconico le larghe, sdrucciolevoli scale dell’enormescuola dall’insolente architettura fascista, e vede un mondo sporcofatto di brutte facce presuntuose di persone ingrugnate, vede iluridi marciapiedi pieni di vomitevoli scaracchi giallastri e divolitanti cartigli e di cicche schiacciate intese sia come mozziconifumati sia come chewing-gum salivosi sputati, vede il chiaroregrigiastro del cielo piovoso, piovigginoso o piovorno specchiarsinelle pozze fangose, la punta rotonda delle sue ridicole scarperosse bucherellate cosparsa di segatura bagnata che forma unacrosta sottile come pan grattato su milanese scaloppa, la fibbiaarrugginita della gommosa deforme e pur diletta bisaccia doveinsieme alla biro rosicata sbausciata e alla ruvida gomma bicoloregiace dimenticata una friabile merendina briciolosa ripiena dimarmellata arancione rappresa. Molto rappresa.