Leggende veneziane a cura di Myriam Da Rin. Introduzione Camminando per Venezia nelle giornate...

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Leggende veneziane

a cura di Myriam Da Rin

Introduzione

Camminando per Venezia nelle giornate

appena velate di nebbia, seguendo itinerari non

percorsi dal flusso continuo dei “foresti”, si

possono ascoltare gli echi di storie misteriose.

Venezia in una giornata di nebbia

Percorrendo calli e campielli si può entrare in un mondo

inconsueto, in un luogo magico dove trascorrere

giornate indimenticabili alla scoperta di storie di fantasmi,

di mostri marini , di sirene e streghe .

Nelle pagine che seguiranno, verranno raccontate alcune delle innumerevoli leggende

veneziane.

La strega che si trasformò in gatto

Marietta, figlia del pittore Jacopo Robusti, meglio

conosciuto come Tintoretto, dopo la prima

comunione, come da usanza, per 10 giorni

doveva recarsi presso la cappella del convento di Madonna dell’Orto per ricevere l’eucarestia.

Tintoretto

Il primo giorno comparve una vecchia che le

assicurò che se avesse nascosto le particole e quindi

gliele avesse consegnate, avrebbe potuto assumere le

sembianze della Madonna.

La vecchia

La bimba fece così come la donna aveva

detto e nascose le particole in

giardino dietro l’ abbeveratoio

dove si dissetavano un

asino e da alcuni maiali che il

padre allevava.

I maiali e l’asino all’abbeveratoio

Dopo alcuni giorni gli animali diedero segni

di sofferenza ; si inginocchiarono

davanti all’abbeveratoio e

non vollero più alzarsi.

Vista la situazione, la bimba confessò tutto

al padre il quale, essendo a

conoscenza di alcune pratiche di magia,

riportò le particole in chiesa, si procurò un

grosso bastone e ritornò a casa. Istruì quindi la figlia sul da

farsi.

Al decimo giorno, come suggeritole

dal padre, Marietta attese la vecchia e

la fece salire in casa: la vecchia

non fece a tempo ad entrare, che il

Tintoretto l’aggredì a legnate:

la vecchia si tramutò in un gatto nero

e cercò di scappare, arrampicandosi sulle

tende e le pareti; infine con l’impeto della

disperazione, si gettò contro il muro,

sfondandolo: dallo squarcio uscì e mai più

venne vista.

Il Tintoretto, per impedire un eventuale rientro, fece apporre alla parete un rilievo

rappresentante Ercole con la clava in mano.

Il rilievo è ancora visibile in fondamenta dei mori, all’anagrafico

3399, sestiere di Cannaregio.

Ercole con la clava

Il pescatore e la sirena

Alla Bragora

- Sestiere di Dorsoduro –

c'é uno dei sottoportici più

bassi di Venezia: qui un tempo

viveva Orio, un giovane

pescatore.

Il pescatore Orio

Una notte, gettando le reti al largo di

Malamocco, Orio sentì una vocina che diceva

“liberami, ti prego liberami . . .” e quindi

vide due mani femminili che si

aggrappavano alla rete:

dalle oscure acque emerse un bellissimo

viso di fanciulla dai

rossi capelli e al posto delle gambe una

lunga coda di pesce di un

verde brillante.

Orio liberò la fanciulla dalla rete; questa gli disse di

essere una sirena e di chiamarsi Melusina.

Il giovane se ne innamorò

immediatamente; per molte notti si incontrarono

fino a che Orio non la chiese in sposa: lei

acconsentì dichiarandosi disposta a rinunciare alla

libertà del mare e affrontare la durezza della

terra procurandosi un paio di gambe.

Unica condizione: fino al giorno delle

nozze non si potevano vedere

al sabato.

Una notte Orio non seppe resistere e

andò al posto in cui si

incontravano: dopo un po’ vide guizzare un serpente e una voce gli

disse:

Orio e Melusina tramutata in serpente

”ti avevo avvertito di non venire: per un

maleficio,al sabato devo tramutarmi in serpente, ma dopo le nozze

ciò non accadrà più”

I due si sposarono, ebbero tre figli, vivendo nell’agiatezza. Ma un

giorno Melusina si ammalò gravemente; prima di morire chiese

al marito di essere sepolta nel luogo in cui si erano incontrati, cosa

che Orio fece.

Nei mesi successivi alla morte, Orio si accorse con

stupore che la casa era sempre pulita e i bimbi

curati; pensò ad una vicina spinta da compassione.

Un sabato mattina, rientrato prima del

tempo, trovò un grosso serpente che

uccise.

Da quel giorno la casa e figli divennero

trascurati: Orio capì così di aver ucciso la

sua amata moglie Melusina

E’ in ricordo di questa storia d’amore che sulla

volta del sottoportego dei Preti , a pochi passi

dalla salizada del Pignater (sestiere di

Dorsoduro) dove sorgeva la casa di Orio

e Melusina, si può vedere un cuore in

pietra, portafortuna per gli innamorati.

Venezia - Sottoportego dei preti

La musica scritta sull’acqua

Antonio Vivaldi, musicista, nacque

nel 1678 a Venezia nel sestiere di

Dorsoduro ( località della

Bragora), e venne subito battezzato

dalla levatrice perché in pericolo

di vita.

Due mesi dopo gli vennero impartiti esorcismi e oli

sacri in chiesa, ma in quei sessanta giorni pare che il diavolo avesse

allungato le proprie mani sul

piccolo.

Il diavolo

L’esorcismo ebbe successo, ma non del tutto: in Vivaldi rimase

viva una sorta di doppia natura

angelica e malvagia che si combattevano aspramente. Vinse la

natura angelica e Vivaldi decise di

diventare sacerdote.

Nel 1703 fu infatti ordinato

sacerdote e fu subito

soprannominato il prete rosso per il colore della sua

capigliatura.

Vivaldi

Il demonio, constatando la

situazione, giocò un’ultima carta impedendo al compositore di

scrivere l’opera che avrebbe strabiliato il

mondo, costringendolo a mantenerla

racchiusa nel cuore.

Nel 1704 ottenne una dispensa dal

celebrare messa per” motivi di salute”.

Attorno a questo fatto, si diffusero leggende: in particolare il conte

Grégoire Orloff raccontò il seguente

aneddoto:

"Una volta che Vivaldi diceva la Messa, gli venne in mente un

tema di fuga. Lascia allora l'altare sul quale officiava, e

corre in sacrestia per scrivere il suo tema; poi torna a finire la

Messa. Viene denunciato all'Inquisizione, che però

fortunatamente lo giudica come un musicista, cioè come un

pazzo, e si limita a proibirgli di dire mai più Messa".

Alla morte (1741) Vivaldi trovò finalmente la pace:

un unico rammarico, quello di non aver potuto scrivere ciò che aveva nel cuore. Ancor oggi, nelle notti in cui il vento increspa le

onde, lo spirito del “prete rosso” scrive sull’acqua le

note di una malinconica melodia che nessuno potrà

mai ascoltare.

Lo scialle della morta

In una gelida notte di novembre

d’inizio secolo XX, all’indomani della

Prima guerra, Antonio Salvatici, medico personale del vescovo, stava facendo ritorno a

casa mentre infuriava una

tormenta di neve.

All'altezza della riva che va in calle del

sottoportico Zurlin sente una voce che chiede

aiuto dalla riva. Salvatici fece attraccare, e si accorse che la voce

apparteneva a una fanciulla stretta in uno

scialle logoro nel tentativo di ripararsi

dalla neve.

Nevicata notturna

La ragazza riconobbe il medico, e lo

pregò di recarsi a visitare sua

madre gravemente ammalata.

Il medico la seguì fino a una vecchia casa

nei pressi del sottoportego Zurlin, sito nella zona del campo della Ruga

(Castello), dove trovò una donna - che

subito riconobbe come una sua ex domestica

- ammalata di polmonite.

Si diede da fare per aiutarla, e nel frattempo si complimentò con lei

per la figlia, così amorosa e devota da affrontare il gelo e la neve pur di trovare un

medico; se la domanda d'aiuto fosse giunta

anche la mattina successiva sarebbe stato troppo tardi.

Sentendo quelle parole , la malata disse che sua figlia era morta un mese

addietro. Il dottore non voleva

crederci, si girò e non vide più la ragazza. A riprova di quanto

detto, la donna mostrò al medico le scarpe e lo scialle della defunta.

Salvatici riconobbe lo scialle con il

quale si riparava la ragazzina, ma era

asciutto, e chiaramente

nessuno poteva averlo indossato

quella notte.

Ogni ricerca nei giorni successivi

fu vana: della fanciulla che lo aveva condotto dalla donna non

si seppe mai nulla.

La giovane scomparsa

La monaca infelice

Chiaretta Loredan, figlia di un nobile ricco, si innamorò di Sauro, povero

falegname dell’Arsenale, e

decise di sposarlo.

Quando suo padre lo venne a sapere,

indignato la rinchiuse tra le mura del

convento di Sant’Anna – sestiere di Castello -

dicendole che, se proprio voleva sposare un falegname, quello

sarebbe stato solo Gesù Cristo.

La ragazza però non si arrese e progettò di

fuggire con il suo giovane innamorato.

Nel frattempo le monache, impietosite

dalla evidente sofferenza di Chiaretta, decisero di mandare a chiamare il padre per

convincerlo a riportarla a casa.

Disgraziatamente l’uomo arrivò al

convento proprio nella stessa sera in cui vi si era recato

anche Sauro, e sorprese la figlia che scavalcava un muro

di cinta per raggiungere la barca

dell’amato.

Sauro e Chiaretta

Accecato dalla collera, Loredan colpì

entrambi con la spada e gettò sulla

ragazza una terribile maledizione: avrebbe continuato a vagare per il convento fino a che questo non fosse

stato ridotto in polvere.

L’indomani le monache

ritrovarono i due corpi, e mentre

riuscirono a salvare il giovane

Sauro, non poterono far altro

che seppellire Chiaretta.

Da allora , in alcune notti oscure, si vede l’ombra di

Chiaretta vagare lamentandosi per la

cattiva sorte toccatale.

Chiaretta

La principessa Hao Dong

Dei 25 anni passati in viaggio,

Marco Polo ne trascorse ben 17

a lavorare per l'imperatore della

Cina, Qubilay Khan.

L’imperatore Qubilay Khan

Durante la sua permanenza,

il giovane Polo si innamorò di una delle figlie più giovani ed

avvenenti di Qubilay, Hao Dong, tanto da

chiederla in moglie al Khan.

Marco Polo

Di indole dolce e riservata, per lunghi anni essa

ricambiò col suo amore quello del compagno e ne seguì le gesta o ne attese

il ritorno. Poi per Polo arrivò il

momento di tornare in patria.

Hao Dong decise di seguire le sorti del marito, ma la sua vita a Venezia

non fu felice.

Invisa alla famiglia e ai cittadini per gelosia,

invidia e diversità razziale, la principessa

decise di rimanere segregata in casa, per non creare problemi al

suo sposo.L'unico svago che Hao Dong si concedeva nei

giorni della sua prigionia volontaria era il canto.

Non era raro infatti, nelle serate più belle,

ascoltare il canto struggente con cui la

donna ricordava il tempo in cui un intero impero la onorava e lei viveva felice nelle

lontane terre del Kathay.

Per mesi la situazione si trascinò così, fino

all'imprigionamento di Marco Polo da parte

dei genovesi. Una volta giunta a Venezia la notizia,

per ferirla le fu annunciata la morte di Marco, anziché la

carcerazione.

La stessa notte Hao Dong, morì

per la disperazione, concludendo così la sua breve ed

infelice permanenza nella

città.

Da allora è ancora possibile, nelle sere d'estate in cui il sole indugia al tramonto, passare nei pressi

dell’ edificio ove viveva la famiglia Polo , vicino al

Teatro Malibran (sestiere di S.Marco), e sentire un

canto lieve e triste. E' Hao Dong che canta il suo amore per Marco.

Torcello e il ponte del Diavolo

Durante l’occupazione austriaca, una

ragazza veneziana, che

chiameremo Giulia, si

innamorò di un ufficiale

dell’esercito austriaco.

La famiglia di lei ne fu fortemente

contrariata; il giovane, un giorno, fu trovato

pugnalato. La ragazza non

mangiò più, deperì, si disperò talmente tanto da chiedere

aiuto ad una vecchia maga.

Questa promise a Giulia di poter vedere

l’amato in un’altra dimensione e ciò

sarebbe stato possibile contattando

un diavolo minore: questi diavoli

custodiscono sotto la lingua tre chiavi d’oro che possono aprire le porte dello spazio, del

tempo . . .

Il demone contattato promise

di far tornare il ragazzo dall’aldilà e farlo incontrare con l’innamorata.

La maga e il diavoletto minore

Venne stipulato un contratto: la maga avrebbe dovuto

consegnare al diavolo le anime di sette fanciulle. Venne anche trovato il

luogo adatto all’incontro: un arco di pietra sopra un corso d’acqua, il ponte di

Torcello per l’appunto.

Il diavolo sogna le anime delle sette fanciulle

Si fissò una data, il 24 dicembre, quando le forze del bene erano

affaccendate altrove… Il diavolo

puntualmente si presenta: la fanciulla

sale sul ponte ed attende in assoluto

silenzio:

il diavolo estrae dalla bocca una delle tre chiavi e la butta in

mare: sull’altra sponda appare il

giovane:Giulia e il suo amato

si ricongiungono in un lungo abbraccio e poi

scompaiono.

La maga avrebbe dovuto rivedere il

diavolo esattamente dopo una settimana per portare il premio

che era stato pattuito; ma un po’ vecchia e smemorata, un po’

distratta e forse un po’ imbrogliona, non si

fece vedere.

Si accordò per un nuovo appuntamento

nei successivi 7 giorni, ma morì per cause naturali prima di far

fronte alla promessa.Da quel giorno ogni

notte, il diavolo appare sul ponte ad aspettare

le anime pattuite.

Il diavolo si recò per anni ogni settimana al ponte e poi, stanco, si fece sostituire da un

gatto nero, che ancora oggi va al ponte del

diavolo per attendere la maga .. .

La leggenda di S. Marco

Nell’800 - durante il dogato di Giustiniano

Partecipazio (827-829) - la leggenda vuole che

Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, aiutati dal loro servo

Basilio, fossero riusciti a trafugare da

Alessandria di Egitto le spoglie dell’evangelista

Marco.

Le trasportarono sul fondo di una cesta ricoperta da una partita di carne di

maiale: il carico passò senza ispezione alla dogana a causa del

non apprezzamento dei mussulmani - seguaci del Profeta - per questa

derrata.

A Basilio, quale premio per la sua

grande collaborazione nella trafugazione delle spoglie del Santo,

fu concesso di portar via il rosaio che era cresciuto

sulla tomba dell’evangelista.

Ritornato a Venezia, Basilio piantò il

rosaio nel giardino della sua casa alla Giudecca. Alla sua

morte i due figli litigarono per

l’eredità; vi fu una divisione della casa e

il rosaio segnò il confine tra le

proprietà.

I litigi continuarono nelle successive

generazioni: il rosaio si inaridì e cessò di

fiorire.

Un 25 aprile di molti anni dopo nacque un

amore a prima vista tra una fanciulla

discendente da uno dei due rami e un giovane

dell'altro ramo familiare. I due giovani si innamorarono

guardandosi attraverso il roseto che separava i

due orti.

Il roseto felice dello sbocciare dell'amore tra parti nemiche,si

coprì di boccioli rossi, e il giovane

cogliendone uno lo donò alla fanciulla.

In ricordo di questo amore a lieto fine,

che avrebbe restituito la pace tra le due

famiglie, i veneziani il 25 aprile offrono

ancor oggi il boccolo rosso alla propria

amata.

La fata che donava la bellezza

La giovane Dorina che aveva compiuto i

16 anni da un solo giorno, tornando a casa dai Vespri,

incontrò una dama stupenda, tutta

vestita di bianco. Ciò accadde per 3

giorni.

Il quarto giorno la dama si rivolse alla

giovane, chiedendole “ Dorina, ti piacerebbe diventare bella come me?”. La giovane si

spaventò pensando di trovarsi di fronte ad

una strega ed espresse il suo

pensiero.

La dama di mise a ridere e rassicurò Dorina. Disse di

chiamarsi Laura e di essersi trasferita da

pochi giorni nel quartiere e che

avendo visto quanto era pia, aveva

deciso di svelarle il segreto della sua

bellezza.

Dorina era attratta dal segreto e chiese cosa doveva fare.

Laura le disse “questa notte, quando ti sarai

rinchiusa nella tua stanza, copri tutti i mobili con lenzuola

bianche.

Poi spogliati e ungi il tuo corpo con il

contenuto di questa ampolla, accendi molte candele e

mettiti a letto dopo aver indossato una camicia candida e

lasciato uno spiraglio della finestra.

Dopo un po’ arriveranno tre donne vestite in

bianco come me. Non aver paura, non

invocare Dio o la Madonna e chiedi

cosa vuoi. Ricordati di non

lasciare specchi in vista”.

Dorina eseguì le indicazioni con precisione, ma

dimenticò di coprire uno specchio. Le

dame arrivarono, ma lo specchio rivelò

che queste erano in realtà delle streghe.

Strega allo specchio

Dorina fuggì, ma trovò Laura sulla sua strada che la fermò: solo allora Dorina scoprì che i piedi

della bellissima dama erano caprini: Laura sentendosi scoperta,

cercò di aggredire Dorina che esclamò

“Oh, madonna mia!”.

Un’immensa luce illuminò la calle e al

dissolversi del bagliore, la dama era scomparsa.

Ancor oggi, a Santa Croce, subito dopo il

Campiello dell’oratorio , nella calle drio la chiesa, si può vedere la statua

della vergine che schiaccia il diavolo sotto

forma di serpente .

Il mostro della punta della Dogana

Vecchi racconti popolari parlano di una grande cavità proprio

sotto punta della Dogana dove

dimorerebbe una spaventosa creatura .

Questo mostro assomigliava per metà a Kraken e

per metà a Nessie.

Ma chi sono Kraken e Nessie?

Kraken è un mostro

leggendario dei mari del Nord

dalle dimensioni talmente grandi da poter essere

scambiato - quando dorme in superficie - per

un'isola .

Viene generalmente rappresentato

come una gigantesca piovra, con

tentacoli abbastanza grandi da avvolgere

un'intera nave.

Kraken

Nessie - ovverosia il mostro di Loch Ness

– è una creatura leggendaria che vive

appunto nel Loch Ness, lago della

Scozia. Molte le persone che

narrano di averlo visto.

Alcuni sostengono si

tratti di un dinosauro

misteriosamente sopravvissuto fino

ai giorni nostri .

Nessie

Il mostro della Dogana uscirebbe

solo nelle notti senza luna, quando il vento increspa le acque rendendo indistinguibili le forme che vi si

muovono.

Nel 1933, due pescatori a bordo di

una barca con lampara, videro

emergere a pochi metri da loro un

mostro marino con bocca larga che

inghiottiva un gabbiano, sparendo

subito dopo:

Barca con lampara

la bestia aveva un corpo scuro, liscio e

spiraliforme, lungo circa 8 metri e la testa a

forma di cavallo con enormi fauci dotate di denti bianchi a sega. Nel muoversi, il corpo

della creatura ondulava ritmicamente e

sembrava sfiorasse il pelo d’acqua.

Il mostro della Dogana

Le tre vecchie sorelle

Tre vecchie sorelle vivevano nel sestiere di Dorsoduro in una casa con una crepa sul

terrazzino da cui spiavano la gente che passava.

La casa delle tre sorelle

Un giorno la maggiore vide

passare un bellissimo giovane

di famiglia nobiliare; prese allora un

fazzolettino ricamato e

profumato e lo lasciò cadere in

strada ai piedi del ragazzo.

Fazzoletto ricamato

Questi immaginò che la proprietaria del

fazzoletto fosse una giovane bellissima; raccolse il fazzoletto

e suonò la campanella della porta: venne ad aprire una delle

sorelle.

Il giovane si informò se vi era nel palazzo una giovane donna,

proprietaria del fazzoletto e se poteva vederla. L’anziana donna

rispose che non era possibile: solo dopo il

matrimonio poteva essere vista.

Il giovane decise di sposarla

comunque e corse ad informare la famiglia. Venne stabilita la data delle nozze.

Il giorno del matrimonio le due

vecchie si presentarono

tenendo sottobraccio la sorella coperta da sette veli. Lo sposo fece per alzarli, ma

venne bloccato: solo in camera nuziale era

possibile vedere la sposa.

La sposa velata

Il matrimonio venne celebrato. Giunti in

camera, a tarda sera, lo sposo accese una candela e quale la sorpresa! si ritrovò

davanti una vecchia decrepita e grinzosa: preso dalla rabbia,

sollevò la vecchia e la gettò dalla finestra.

La novella sposa

Questa cadde sul pergolato sottostante:

casualmente passavano di lì tre fate che videro la vecchia cui fecero dono della

giovinezza e della bellezza.

Il mattino seguente il giovane si svegliò e ricordando quanto

era successo, aprì la finestra e vide, adagiata sul

pergolato, una bellissima fanciulla.

La soccorse e le chiese mille volte perdono. Le due vecchie, quando videro la sorella così cambiata, trasecolarono e per tutta la loro

vita non si diedero mai pace.

La dama bianca di corte Lucatello

Vicino al ponte dei Bareteri, in corte

Lucatello (sestiere di S. Marco) ancor oggi si

può ammirare un pozzo.

I pozzi erano una delle poche risorse idriche di Venezia. Un anno in cui

le piogge erano state scarse, vi era stata la necessità di razionare

l’acqua.

Una vera da pozzo

Una sera un barcaiolo recandosi

al pozzo di corte Lucatello trovò una dama vestita di

bianco. Subito si impaurì

pensando si trattasse di una

strega, ma la signora disse al

barcaiolo:

"Non temere! Ti voglio dare un

consiglio; tornatene a casa

prima dell'alba altrimenti ti capiterà un

guaio“.

Il barcaiolo, ignorando il consiglio, continuò ad attingere l'acqua dal pozzo. Ad un certo punto entrò nella corte un uomo

che assalì il barcaiolo con un lungo coltello

colpendolo gravemente, quindi scappò lasciando il barcaiolo a terra.

La dama in bianco prese il coltello gettato a terra

dall'assalitore, si avvicinò al pozzo e fece cadere dentro

tre gocce di sangue. In quel momento

l'acqua cominciò a salire dal pozzo fino

a traboccare.

Le gocce di sangue nel pozzo

Prese allora il suo fazzoletto, pulì la

ferita del barcaiolo che si rimarginò

immediatamente. La dama in bianco affermò quindi che da quel momento vi sarebbe stata acqua

in abbondanza. Quindi svanì nel

nulla.

La leggenda continua: si dice

che la dama, dopo la morte, sia stata sepolta all'interno del pozzo e che il suo spirito aleggi nella corte nelle

notti di luna nuova.

Il fantasma della dama in bianco

Anzoleto, il più bravo gondoliere di Venezia

Un tempo a Venezia i gondolieri

remavano come tutti gli altri rematori, cioè

seduti e con due remi, e il perché le

cose siano cambiate ce lo racconta la

storia di Anzoleto, il gondoliere pigro.

Anzoleto era il più bravo gondoliere di

tutta Venezia, conosceva a

memoria tutti i canali e tutti i rii,

sapeva tutto delle maree, delle correnti e dei

movimenti delle acque.

Quando doveva portare qualcuno in qualche

luogo, dava un paio di colpi di remo, sistemava

la gondola in un certo modo e diceva: “Bon,

desso ne porta la corente”, poi chiudeva

gli occhi e si addormentava e la gondola arrivava regolarmente a destinazione.

L’abilità e la fama di Anzoleto erano tali

che i nobili facevano a gara per farsi portare

da lui, compensandolo con borse piene di

ducati anche solo per brevi tragitti e per questo Anzoleto

divenne oggetto di invidia da parte degli

altri gondolieri.

Una sera Anzoleto, finito il lavoro, stava per tornare a casa e aveva dato un paio di colpi di remo, aveva sistemato la gondola in un certo modo e aveva detto

“Bon, desso ne porta la corente”, e s’era

addormentato mentre la barca si avviava a

destinazione.

Mentre dormiva, altre gondole si

avvicinarono alla sua e, con piccoli colpi di remo, ne deviarono la rotta

fino a guidarla fuori della laguna, verso

il mare aperto.

Trasportata dalle correnti, con Anzoleto sempre addormentato, la gondola navigò per tutta la notte, finché

all’alba venne catturata da una nave di pirati

dalmati i quali presero un remo della barca, lo usarono per bastonare lo sventurato Anzoleto.

I gondolieri invidiosi, saputa la cosa, si pentirono

e da allora, a ricordo perenne della sorte subita da Anzoleto, tutti i

gondolieri di Venezia remano in piedi, con un remo

solo.