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INDICE
INDICE DELLE CARTINE ................................................................................................................ 3
INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 4
I – IL PIANO ....................................................................................................................................... 8
II – LA CATASTROFE DI DUNKERQUE ...................................................................................... 22
III – EFFETTI DEL POST DISASTRO ............................................................................................ 49
IV – IL CROLLO DELLA FRANCIA .............................................................................................. 59
V – LE FORZE IN CAMPO DELLA WEHRMACHT .................................................................... 73
VI – LE DIFESE DELL’ISOLA ........................................................................................................ 98
VII – LA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI ........................................................................ 124
VIII – LA GUERRA NEL CANALE .............................................................................................. 133
IX – IL TEMPO STRINGE ............................................................................................................. 147
X – BOMBEN AUF ENGLAND .................................................................................................... 171
XI – L’INVASIONE DAL CIELO .................................................................................................. 216
XII – L’OFFENSIVA DAL MARE................................................................................................. 242
XIII – IL GIORNO DECISIVO ....................................................................................................... 263
XIV – LA BATTAGLIA PER LA TESTA DI PONTE .................................................................. 286
XV – LA ROYAL NAVY IN ALTO MARE .................................................................................. 305
XVI – LA DIVISIONE FANTASMA COLPISCE ANCORA ....................................................... 327
XVII – IL COUP DE GRÂCE ALLA LINEA GHQ ....................................................................... 340
XVIII – L’INIZIO DELLA FINE .................................................................................................... 361
LA STORIA TRA REALTÀ E SUPPOSIZIONE ........................................................................... 374
NOTE DI RIFERIMENTO .............................................................................................................. 415
LISTA DELLE FONTI .................................................................................................................... 422
APPENDICE 1 – La Kriegsmarine, il piano Z e l’invasione della Norvegia .................................. 424
APPENDICE 2 – Alcuni miti sulla Battaglia d’Inghilterra ............................................................. 428
APPENDICE 3 – Churchill, Hitler e l’impiego del gas ................................................................... 436
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INDICE DELLE CARTINE
Il contrattacco di Arras: la versione di Rommel ................................................................................ 14
Il contrattacco di Arras: la realtà dei fatti .......................................................................................... 15
Lo sfondamento del fronte belga, 26-27 maggio ............................................................................... 40
Lo sviluppo (previsto) della linea GHQ nell’estate 1940 ................................................................ 112
La rete di avvistamento radar della Gran Bretagna .......................................................................... 113
Localizzazione, organizzazione in settori ed effettivi del Comando Caccia il 9 luglio 1940 .......... 114
Le difese del Kent il 15 luglio 1940 ................................................................................................. 121
Il fronte e il retro del volantino più stampato dal Ministero dell’Informazione .............................. 123
Gli aerodromi dell’11o Gruppo ........................................................................................................ 188
L’effettivo raggio d’azione dei bombardieri tedeschi ...................................................................... 203
Lo sbarco dal cielo e dal mare, 19 luglio ......................................................................................... 241
Il contrattacco della 45a divisione di fanteria, 21 luglio .................................................................. 290
Il contrattacco britannico nei settori centrale e orientale della testa di ponte tedesca, 21 luglio ..... 295
La battaglia della Linea GHQ, 29 luglio – 5 agosto ........................................................................ 360
Il piano originale dell’Operazione Leone Marino, da effettuarsi nel settembre 1940 ..................... 375
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INTRODUZIONE
L’Operazione ‘Overlord’, meglio nota come ‘lo sbarco in Normandia’, è stata la più grande ope-
razione combinata di tutta la storia dell’uomo per la quantità di risorse, materiali e umane, che vi fu-
rono impiegate. Durante la notte tra il 5 e il 6 giugno del 1944 vennero effettuati i primi lanci ed
ebbe così inizio l’evento che segnò definitivamente le sorti della Seconda Guerra Mondiale.
Esiste, però, anche un’altra operazione anfibia della quale si sa poco o niente.
L’Operazione ‘Leone Marino’ era il nome in codice che i tedeschi attribuirono al piano
d’invasione della Gran Bretagna, progettato per il settembre del 1940 ma che non venne mai attuato
e che è giunto fino a noi sotto forma di una miriade di documenti cartacei.
Perché scrivere allora un libro riguardante questo argomento? Testi su l’Operazione ‘Leone Ma-
rino’ ce ne sono molti in circolazione ma tutti si possono etichettare sotto due grosse categorie:
quelli che seguono la linea di Invasion of England: The Planning of Operation Sealion di Peter
Shenck e, cioè, che analizzano fin nei minimi dettagli l’avanzamento della pianificazione
dell’operazione anfibia trattandola in tutte le sue componenti immaginabili, dalla logistica al perso-
nale, e quelli che, invece, come Invasion! Operation Sealion di Martin Marix Evans, si limitano a
fornire un quadro generale di come sarebbe andata la guerra se i tedeschi avessero deciso di attuare
l’Operazione ‘Leone Marino’ secondo la pianificazione, ossia il 22 settembre 1940. Solamente per
quanto riguarda la seconda categoria si può parlare di storia controfattuale a tutti gli effetti, quella
che gli abitanti del mondo anglosassone chiamano ‘What if?’ e cioè il ‘che cosa sarebbe successo
se...?’. Nella letteratura inglese, vi sono delle opere narrative che affrontano il tema dell’Operazione
‘Leone Marino’, come Invasion: The Alternate History of the German Invasion of England, July
1940 di Kenneth Macksey o Seelöwe Nord: The Germans are coming di Andy Jonson: entrambi i
testi descrivono, rispettivamente, un’ipotetica invasione tedesca a metà luglio e uno sbarco anfibio
sulla costa orientale dell’Inghilterra.
Facendo leva sul particolare interesse che nutro per le strategie militari adottate dalla Germania
nella Seconda Guerra Mondiale e ispirandomi in modo particolare all’opera di Macksey, ho analiz-
zato l’argomento dell’Operazione ‘Leone Marino’ partendo da un fattore di cui nessuno ha mai te-
nuto conto fino ad ora: che cosa sarebbe successo nell’estate del 1940 se la Germania avesse posse-
duto una Kriegsmarine sufficientemente potente da confrontarsi con la Royal Navy britannica? Ba-
sandomi quanto più possibile sui fatti storici e usando al minimo la fantasia, ho affrontato la que-
stione dell’Operazione ‘Leone Marino’ seguendo lo stile dettato da Paul Carell nei suoi tre capola-
vori. Ho descritto, infatti, la storia sotto forma di campagna militare, preponendo i punti di vista sia
degli aggressori che dei difensori, scendendo nei dettagli in certe occasioni per dare un tocco di rea-
lismo in più e cercando di essere preciso nelle esposizioni di luoghi geografici e affini.
Per facilitare un lettore profano di cultura militare e degli avvenimenti che accaddero nella turbo-
lenta estate del 1940, ho inserito a fondo libro delle note storiche, in maniera da separare la realtà
dalla fantasia storica, nonché tre appendici per approfondire alcuni temi trattati nel romanzo che ho
ritenuto particolarmente interessanti e degni di essere analizzati.
Vorrei ringraziare i miei genitori per avermi concesso la disponibilità economica con la quale ho
avuto l’opportunità di accedere ai documenti che mi hanno permesso di gettare l’ossatura della nar-
razione. In modo particolare, un ringraziamento sentito va a mia madre per essermi stata di supporto
nella fase di revisione grammaticale. Una riconoscenza particolare all’amico N. Taricco per essermi
stato d’aiuto nella scelta dell’immagine della copertina e a tutte quelle persone che mi hanno inco-
raggiato e aiutato ad affrontare le innumerevoli difficoltà che mi si sono presentate durante la stesu-
ra dell’opera.
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L’equipaggio dello Sternschnuppe (letteralmente ‘Stella cadente’, un curioso nome che il mag-
giore Ernst Tunert diede al suo Dornier Do-17 P) fu indubbiamente il più fortunato di tutti i ricogni-
tori attivi della Luftwaffe. Quella che ricevette la sera del giorno D-1 era la missione che molti pilo-
ti desideravano svolgere: immortalare dall’alto i primi momenti dello sbarco tedesco sul suolo bri-
tannico. In realtà, però, il sergente Ernest Lüntze, l’addetto alla Reihenbilder 50/30, era l’unico
membro dell’equipaggio che godeva di un’invidiabile posizione dalla quale riusciva a osservare co-
sa stesse accadendo sotto di lui.
Il Dornier ricognitore si alzò in volo dall’aerodromo di Le Fort-Vert, vicino a Calais, il giorno
stesso dell’invasione, quando l’alba non era ancora sorta. L’obiettivo primario era quello di compie-
re una ricognizione sul Kent, scattando fotografie, in particolar modo sugli aeroporti del settore a
sud-est di Londra. Il maggiore Tunert, dopo essere riuscito a portare l’aereo alla quota di circa
5.000 metri, volò mantenendo una certa distanza dalla costa britannica. Nei pressi della foce del
Tamigi, il Dornier invertì la rotta, procedendo verso sud, sorvolando Margate e continuando lungo
la costa, sopra Broadstairs e Ramsgate. Il pilota cercò di fare buon uso della copertura offerta dalle
nuvole, nella speranza di vanificare un possibile tentativo d’intercettazione da parte dei caccia bri-
tannici, come la triste esperienza dei giorni precedenti aveva indotto l’equipaggio ad aspettarsi. I
mediocri Hurricane e i potenti Spitfire erano diventati un vero incubo volante per gli apparecchi ri-
cognitori e le perdite registrate erano andate oltre i livelli previsti. Il quadro generale della situazio-
ne era migliorato solo dopo che la Luftwaffe aveva scatenato l’offensiva aerea sul Kent, cominciata
un paio di settimane prima, ma la probabilità di incontrare qualche pattuglia aerea nemica non era
mai uguale a zero.
Anche quel giorno, lo Sternschnuppe correva il rischio di fare un incontro poco piacevole con
qualche caccia mattutino della RAF. Quando il Dornier sorvolò Canterbury, la Rb 50/30 fu messa in
azione pronta a cogliere, ogni qualvolta tra le nuvole si fosse aperto un varco, l’occasione buona per
scattare: tutto l’equipaggio era fermamente convinto che la missione sarebbe stata facile come bere
un bicchier d’acqua.
Dopo aver permesso a Lüntze di immortalare dall’alto Sittingbourne e Maidstone, il maggiore
Tunert impostò la rotta che li avrebbe portati proprio sopra gli aerodromi di Kenley e Biggin Hill.
Agli occhi del pilota e del mitragliere di coda, il sergente Walter Neumann, lo scenario sottostante
apparve diverso rispetto a com’era stato fotografato qualche giorno prima, in particolare per la pre-
senza di un fitto strato di fumo grigio scuro che ricopriva buona parte della zona. Infatti, la coltre
era tanto spessa che non permise nemmeno a Lüntze di distinguere con precisione le particolarità
del terreno, cosa che normalmente era in grado di fare sfruttando al massimo la capacità di zoomare
della Rb 50/30. Non appena il Dornier si avvicinò a Biggin Hill, il mitragliere di coda comunicò che
alcuni aerei, identificati come nemici, li stavano raggiungendo da una quota inferiore. Dalla descri-
zione di Neumann, sembravano tre Spitfire. Presero quota, salirono fin oltre le nuvole e poi ritorna-
rono, pronti per attaccare il Do-17 P. Immediatamente, il maggiore Tunert scese di quota fino a rag-
giungere le spesse nuvole, mentre gli Spitfire iniziarono a scendere in picchiata verso il ricognitore,
con il chiaro intento di spazzarlo via dai cieli della loro patria. Tra oscillazioni e vibrazioni, il pilota
riuscì nell’intento di confondere i caccia britannici e persuaderli alla ritirata, senza ingaggiare uno
svantaggioso combattimento. Dopo qualche minuto di tensione, l’aereo tedesco spuntò fuori dalle
nuvole, all’incirca sopra Burgess Hill.
Lüntze, dopo aver individuato con precisione la località dove si trovavano, comunicò le coordi-
nate al pilota, il quale decise di invertire la rotta. Il Dornier si diresse a sud e, in prossimità del porto
di Brighton, il maggiore Tunert decise di portare a compimento la missione, dirigendo l’aereo da ri-
cognizione verso Folkestone. Lüntze si sdraiò proprio sul naso vetrato del velivolo e, nel suo diario
personale, descrisse gli ultimi minuti del viaggio di ritorno.
“Dovetti ringraziare il maggiore Tunert perché, quella volta, mi accontentò e portò l’aereo attor-
no ai 1.200 metri. Da quell’altezza e dalla mia posizione potei godere della mia solita visione inin-
terrotta del terreno sottostante. A grande velocità sorvolammo campagne, fattorie, zone boschive e
villaggi, costeggiando le città di maggiori dimensioni per evitare il fuoco dell’artiglieria anti-aerea
situata nelle periferie o a difesa degli aeroporti. Con l’ausilio del mio binocolo, osservai che sotto di
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noi, sulla terraferma, si svolgevano febbrili attività: anche le stradine del paese più piccolo erano
molto trafficate.
Dall’alto e senza binocolo, sembrava di vedere un piccolo verme dalla forma molto eterogenea,
senza inizio e senza fine. Anche il pilota fu incuriosito e decise di scendere ulteriormente di quota.
A quel punto, i dettagli apparvero chiari e distinti: colonne di auto, camion e carri procedevano sulla
sinistra mentre la gente incuriosita alzava gli occhi al cielo verso di noi, oppure si rifugiava saltando
nei fossi laterali.
I veicoli, almeno per la maggior parte, sembravano essere dei civili poiché non riconobbi alcuna
insegna militare sui cofani. Quella scena mi fece tornare in mente le interminabili colonne di fuggi-
tivi che incontrammo, più o meno in condizioni simili, in Belgio e Francia. Man mano che il nostro
Dornier si avvicinava alla costa e verso lo stretto di Calais, i segni della guerra si facevano più evi-
denti. Nel nostro cammino, sorvolammo alcune località completamente in preda alle fiamme e rice-
vemmo anche una dozzina di granate antiaeree, sparate da chissà dove. Anche Neumann iniziò di
nuovo ad avvertirci della presenza di un numero sempre maggiore di aerei nemici, anche se perso-
nalmente ritenni che dovesse trattarsi di alcuni dei nostri. Ma di sicuro fu una vera sorpresa quando
incrociammo due Kette di aerei da trasporto Ju 52, i quali stavano sorvolando Hythe e sembrava che
avanzassero pesantemente verso la Francia. Solo allora mi resi conto della situazione: lo Sternsch-
nuppe stava volando nel cuore dell’invasione. Girai la testa verso sinistra e tutto quello che riuscii a
vedere furono soltanto delle enormi colonne di fumo simili a giganteschi pilastri che sostenevano il
cielo mentre la polvere sollevata dalla battaglia che infuriava, presumibilmente, a terra oscurava
parzialmente la battigia e le scogliere. Davanti a noi, e questo si vedeva benissimo senza l’aiuto del
binocolo, manovravano navi, imbarcazioni e interi convogli, di cui alcuni stavano attraversando il
Canale per giungere in Inghilterra, altri per ritornare in Francia. Si trattava di un evento storico uni-
co nel suo genere e nella sua maestosità che, senza dubbio, andava immortalato: io, purtroppo, non
riuscii a farlo giacché avevo sbadatamente dimenticato a terra la cinepresa.
Con un po’ di buon senso, il maggiore Tunert avrebbe dovuto impostare la rotta per andare verso
l’aeroporto di Calais-Marck ma il pilota effettuò tranquillamente una virata a sinistra, seguendo la
linea della costa e regalandoci una suggestiva ed emozionante visione particolareggiata della flotta,
proprio nel momento in cui le prime truppe di fanteria erano da poco scese dai loro mezzi da sbarco
per riunirsi con i ragazzi dell’aviotrasportata. Quella era la prima ondata d’assalto.
Mentre sfrecciavamo a una quota di 200 m di altezza, alcuni dei nostri uomini alzarono lo sguar-
do al cielo, anche se la maggior parte di essi era troppo impegnata in pesanti combattimenti. Le im-
barcazioni si muovevano a una rapidità impressionante tant’è che non feci in tempo a contarle tutte.
Tra di esse, però, riuscii a individuarne alcune che si trovavano in guai seri: alcune in preda alle
fiamme, altre invece che sbandavano a destra e sinistra. Il pilota decise di allontanarsi dalla zona
poiché la visibilità diminuiva progressivamente, a causa del fumo dei bombardamenti. Egli virò len-
tamente a destra, in direzione della Francia, e prese quota. Quando fummo nei pressi del porto di
Dover, individuai le sagome di due grosse navi da guerra dalle quali sventolava il vessillo nazista.
Dietro di esse, vi erano le imbarcazioni che avevano trasportato i soldati e che, in quel momento,
sembravano disorientate: molte, infatti, navigavano senza una rotta e nemmeno in formazione, cir-
condate da una protettiva cortina di fumo.
Appena fuori la zona di Dover, la mia attenzione fu attirata da un lampo proveniente dalla zona
di Calais: con il binocolo, individuai le batterie di artiglieria pesante che, presumibilmente, stavano
dando il loro contributo ai soldati da poco sbarcati. Non appena arrivammo nei pressi del porto di
Dunkerque, ci sentimmo paradossalmente al sicuro e, allo stesso tempo, ancora più a rischio. La
sensazione di protezione mi pervase perché attorno a noi, ma soprattutto sopra di noi, volavano inte-
re formazioni di bombardieri scortate da molti caccia; il timore di un imminente pericolo, al contra-
rio, era dovuto al fatto che nei pressi erano ancorate due grosse navi da battaglia (tra cui riuscii a di-
stinguere una portaerei, orgoglio della nostra marina) dalle quali qualche buon soldato dal grilletto
facile, inconsciamente, iniziò a sparare contro di noi. Vedendo un aereo non identificato, che volava
a una quota di circa 400 metri, era naturale pensare che si trattasse di un silurante britannico. Fortu-
natamente, gli artiglieri presto si accorsero contro chi stavano sparando e cessarono il fuoco.”
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Sempre nel suo diario, il sergente Lüntze sintetizzò le emozioni provate durante quella giornata
storica indimenticabile.
“Mi sentivo così eccitato quando sorvolammo la costa dove i nostri ragazzi erano sbarcati che
non mi vennero nemmeno in mente le sofferenze patite da quei soldati nel periodo antecedente al
giorno dei giorni e durante lo sbarco. Inoltre, solo gradualmente, fui informato sull’infernale situa-
zione nella quale si trovavano i nostri uomini. Venni a sapere che mio cugino Hasso era stato bru-
talmente ucciso durante la sua discesa con il paracadute e che il mio amato fratellone, Walter, era
stato gravemente ferito in una terribile carneficina ai piedi della scogliera: questi eventi scatenavano
in me sentimenti di consapevolezza sulla sofferenza patita. In guerra, ognuno doveva saper accetta-
re il proprio destino, anche se esso riservava, alle volte, brutte sorprese. Oggi, quando il maggiore
Tunert mi ha chiesto il motivo del mio atteggiamento particolarmente triste, gli ho risposto che non
ero giù per la perdita di mio cugino ma perché non riuscivo a sopportare che mio fratello Walter
avesse dovuto patire così tanto in un combattimento dopo aver passato uno dei peggiori momenti
della sua vita. Lui soffriva di mal di mare e quella era stata la sua prima volta su una barca. Eppure,
nonostante tutte le peripezie che erano avvenute e le notizie di morti, feriti e incidenti che conti-
nuamente giungevano nella sala, provai a distrarmi ripensando a tutti i gloriosi risultati che aveva-
mo ottenuto in quella magnifica giornata dove fu scritto il destino degli anni a venire.”
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I – IL PIANO
Un giorno particolare
L’irrevocabile decisione vitale che permise alla Germania di procedere all’invasione della Gran
Bretagna fu presa da Adolf Hitler, cancelliere del Reich tedesco e comandante supremo di tutte le
forze armate, martedì 21 maggio 1940.1
In quella giornata, colma di entusiasmo e ottimismo, si spalancarono le porte per i nuovi orizzon-
ti dell’egemonia tedesca sul continente europeo. Le forze armate tedesche avevano riportato una
delle vittorie strategiche più significative e senza precedenti nella storia. Solo undici giorni prima, la
Wehrmacht aveva messo fine alla Sitzkrieg dando inizio a un’invasione ben architettata che aveva
come scopo l’eliminazione delle potenze europee occidentali. In soli quattro giorni di combattimen-
ti, l’Olanda fu costretta ad accettare la pace tramite una resa incondizionata e la trionfante macchina
bellica del Führer era arrivata fino al Canale della Manica. Alle ore 19.00 del 20 maggio, con una
telefonata proveniente dal quartier generale mobile, Heinz Guderian, generale dei carristi e coman-
dante del XIX corpo d’armata (proprio quello che nel settembre 1939 e in soli cinque giorni si era
aperto la strada attraverso il Corridoio Polacco), informò Hitler che le truppe tedesche avevano oc-
cupato la città di Abbeville, dopo un’incredibile marcia forzata attraverso l’intricata foresta delle
Ardenne e la Francia, e che il 2o battaglione da ricognizione della 2a divisione panzer al comando
del colonnello Spitta aveva raggiunto il mare presso Noylles. Fu un trionfo totale per il generale e
un risultato degno di lode. Non fu, però, tutto facile, come annotò in seguito il comandante al fron-
te: “La sera di quel giorno non sapevamo in quale direzione dovessimo continuare la nostra avanza-
ta; né il Panzergruppe di Kleist aveva ricevuto istruzioni in merito al proseguimento
dell’offensiva.2”
Si presentò così la questione di dove Guderian avrebbe dovuto procedere con l’avanzata, que-
stione sollevata dal generale dei carristi Walther Nehring, capo di stato maggiore del XIX corpo:
verso sud, nel cuore della Francia e verso Parigi, o verso nord, in direzione di Dunkerque,
nell’ipotetico tentativo di accerchiare le restanti forze francesi e britanniche. Infatti, quest’ultime,
superata la botta iniziale, si stavano appena rendendo conto di trovarsi in una trappola ingegnosa-
mente messa a punto dai loro nemici e di rischiare concretamente di essere tagliate fuori, non solo
dal resto della Francia, ma anche dall’ultima via di fuga attraverso il mare per raggiungere in salvo
l’Inghilterra.
Gli ordini che giunsero erano di procedere a nord e di completare la manovra. L’attacco alla
Francia, ormai priva delle sue migliori divisioni e del grosso delle forze corazzate, avrebbe potuto
attendere ed essere rimandato. L’intera Europa stava per cadere sotto il tallone della Germania e la
Gran Bretagna avrebbe sicuramente chiesto la pace non appena la Francia avesse capitolato o quan-
do le truppe del Corpo di Spedizione Britannico fossero state forzatamente costrette ad arrendersi.
Con quei pensieri in mente, l’attenzione del Comando Supremo della Wehrmacht si rivolse verso
una nuova eventuale questione, sorta parallelamente con lo sviluppo degli eventi, in modo particola-
re in seguito a quegli che si svolsero quel giorno stesso sul fronte di battaglia: il problema di come
agire se la Gran Bretagna avesse preferito continuare la guerra.
La dura sconfitta inflitta alle forze olandesi, belghe, francesi e inglesi era stata provocata dalla
Blitzkrieg, un nuovo metodo di condurre la guerra che aveva portato alla conquista della Polonia in
soli ventisette giorni e che aveva permesso anche una rapida invasione della Norvegia, iniziata il 9
aprile e terminata il 18 maggio. Combinando insieme le operazioni di gruppi di carri armati veloci e
ben armati, artiglieria semovente, fanteria meccanizzata e motorizzata assieme alla Luftwaffe, i te-
deschi avevano prodotto, a partire dal dopoguerra, una macchina bellica qualitativamente superiore
rispetto a tutte le altre. L’uso della guerra psicologica, tramite la propaganda, rese più semplice il
lavoro agli invasori e indebolì lo spirito combattivo del nemico, per convincerlo a riconoscere
l’inutilità di opporre resistenza. Per quanto riguarda la caduta della Polonia, i tedeschi non usufrui-
rono dell’effetto sorpresa in quanto, già dal 15 maggio 1939 (giorno in cui la Wehrmacht invase la
Cecoslovacchia), apparve chiaro a tutti quale sarebbe stato il prossimo bersaglio delle mire espan-
sionistiche di Hitler. Il Paese, il cui nome significa ‘grande pianura’, si trovava dunque circondato
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su tre lati dalle forze tedesche mentre a est risiedeva il ‘Gigante Rosso’ che aveva firmato un patto
segreto di non belligeranza con la Germania il 23 agosto.
All’insaputa di Polonia, Francia e Regno Unito, tedeschi e sovietici stabilirono la spartizione del
Paese in questione. L’avanzata dei panzer in territorio polacco fu favorita dalla quasi assenza di
truppe meccanizzate e corazzate, dai disordini provocati da gruppi di minoranza tedesca e dagli ac-
curati bombardamenti effettuati dalla Luftwaffe sopra basi e centri di comunicazione che mandaro-
no in tilt il sistema difensivo polacco.
La Norvegia, invece, fu invasa con l’uso dell’effetto sorpresa, senza dichiarazione di guerra. I
soldati norvegesi restarono stupiti nel vedere le navi mercantili, apparentemente innocue, sbarcare
ingenti quantità di truppe tedesche o i paracadutisti piovere dal cielo. In entrambe le campagne, i
mezzi di comunicazione di massa (principalmente le radio e i quotidiani tedeschi) e la propaganda
di Paul Goebbels avevano agito in maniera tale da confondere la popolazione e suscitare dissidenti
che avrebbero attivamente accolto e supportato i nuovi arrivati.
Per quanto riguarda il Belgio, I Paesi Bassi e l’Olanda, l’effetto sorpresa era ormai svanito da
tempo, dopo che un aereo tedesco con a bordo dei piani segretissimi era atterrato nei pressi di Me-
chelen il 10 gennaio 1940, a causa del brutto tempo. Tuttavia, i tedeschi erano riusciti ancora una
volta a sorprendere gli avversari. Dimestichezza con le armi, elasticità nei comandi, elevata mobilità
e la concentrazione della potenza di fuoco in un punto specifico (lo Schwerpunkt) avevano intimori-
to i nemici, avevano messo fuori combattimento uno dei più moderni sistemi di fortificazione (il
forte di Eben Emael), avevano letteralmente spazzato via le migliori divisioni meccanizzate alleate,
compiuto progressi di circa ottanta chilometri al giorno, ripulito quasi completamente il cielo dagli
aerei anglo-francesi e convinto i difensori che ogni forma di resistenza sarebbe stata vana dinanzi
alla potenza della Wehrmacht. I falsi rapporti, trasmessi dalle radio tedesche, che annunciavano la
caduta di città importanti o il disfacimento di grosse unità ancora prima che, rispettivamente, un so-
lo soldato tedesco vi avesse messo piede nella periferia o che il comandante di qualche unità indi-
gena avesse deciso di alzare la bandiera bianca, avevano fiaccato il morale e diffuso un senso di
sconforto e di disperazione tra tutti i gradi dello schieramento Alleato.
Quel glorioso mattino del 21 maggio, Hitler si complimentò, e fu a sua volta elogiato, dai gene-
rali subordinati all’Oberkommando der Wehrmacht (OKW), il comandante supremo della Wehrma-
cht. Il comandante in capo dell’Heer (OKH, l’Esercito), il generale Walter von Brauchitsch e il
feldmaresciallo Hermann Göring, C-in-C della Luftwaffe (OKL), colloquiarono animatamente con
il Führer e dalle loro conversazioni emerse una considerazione: nei giorni a venire intravidero
esclusivamente un successo ormai prossimo e la vittoria definitiva.
Chi, invece, ebbe meno da dire e che, almeno inizialmente, partecipò passivamente alla riunione,
fu il grandammiraglio Erich Raeder, C-in-C della Kriegsmarine (OKM); una parte della flotta tede-
sca era ancora impegnata a riprendersi dalle fasi conclusive della campagna di Norvegia e la marina
da guerra non aveva giocato un ruolo di primaria importanza nell’invasione dei Paesi Bassi, tanto
meno durante l’attacco alla Polonia. Nonostante questo, i rapporti più che positivi dell’avanzata te-
desca a Occidente spinsero il grandammiraglio ad approfondire le possibili conseguenze di una vit-
toria in Francia. Per questo, attese che Hitler terminasse i suoi colloqui con Göring e von Brauchi-
tsch prima di chiedergli una parola in privato e riproporre un tema che più volte era stato respinto in
passato: l’invasione dell’Inghilterra, un ambizioso piano che molti conquistatori europei (come Fi-
lippo II di Spagna nel 1588 o Napoleone nel 1805) avevano già tentato di attuare invano e che solo
al Duca Guglielmo di Normandia era riuscito con successo dopo la battaglia di Hastings del 1066.
La questione riguardante l’invasione della Gran Bretagna era già stata sollevata il 15 novembre
1939, in un periodo di alta tensione e rigidi rapporti tra il Führer e il suo staff: mentre Hitler stava,
infatti, cercando invano di convincere i suoi generali a sferrare l’attacco a occidente, Raeder aveva
allora ordinato allo stato maggiore e al Comando delle Operazioni di preparare un piano
d’invasione. Il capitano Hans Reinicke, con la collaborazione del contrammiraglio Kurt Fricke e
sotto la supervisione del vice ammiraglio Otto Schniewind, capo dello stato maggiore della
Kriegsmarine, aveva abbozzato, dopo cinque giorni di studio, tutte le problematiche più complesse
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concernenti un attacco al suolo britannico dai porti tedeschi, riassunte in dodici pagine di appunti
che presero il nome di ‘Studio Rosso’.3
Le sue considerazioni, però, non avevano molto impressionato Raeder né tantomeno Hitler. Dal
dicembre del 1939, anche l’esercito aveva iniziato una ricerca seria, evidenziando quali fossero i
presupposti affinché divenisse realizzabile l’invasione, senza, però, sprecare troppe energie
sull’argomento. L’idea fu temporaneamente posta nel dimenticatoio e, quando il grandammiraglio
la riprese nel colloquio con Hitler il 21 maggio, lo fece non tanto per indurre il Führer a procedere
con l’azione ma solo per verificare se era, nel frattempo, avvenuto qualche cambiamento nella sua
mente.
Con un po’di pessimismo, Raeder immaginò che nulla di positivo sarebbe risultato dalla sua ana-
lisi, dopo che già un ipotetico piano per un attacco a sorpresa al fine di neutralizzare la Royal Navy
a Scapa Flow, il 3 settembre 1939, non era andato in porto. A sua insaputa, però, durante il collo-
quio, Hitler s’inebriò dello spirito della vittoria che Göring e von Brauchitsch gli avevano trasmesso
in precedenza e, a conversazione terminata, volle trattenere ancora un po’ il grandammiraglio.
I suoi occhi si fecero più brillanti e il suo respiro più affannoso dinanzi alla visione delle coste
dell’Inghilterra meridionale che ormai apparivano sempre più vicine alle forze tedesche. Nella sua
mente, si spalancarono ancora di più le porte delle occasioni dinanzi all’inarrestabile avanzata
dell’invincibile Wehrmacht. Egli rimase fermamente convinto della necessità di estirpare l’ideale
comunista a est e di conquistare il lebensbraum (rappresentati dall’Unione Sovietica) ma, già come
aveva trattato nel suo Mein Kampf, rimase terrorizzato al tempo stesso dal pensiero di combattere
una guerra su due fronti. Se fosse riuscito a colpire a fondo la Gran Bretagna e costringerla alla resa
dei conti, assieme alle altre potenze dell’Europa occidentale, la Russia sarebbe stata un bersaglio
isolato da attaccare con tutta calma e tranquillità nel 1941. A rafforzare il progetto di invadere la
Gran Bretagna fu una spaventosa idea che in quel momento gli si proiettò nella mente: se al Regno
Unito non fosse stato dato il colpo di grazia in quel momento, quale sarebbe stato il futuro del Terzo
Reich? Sarebbe stato capace l’impero britannico di risollevarsi mentre le attenzioni della Germania
erano rivolte a oriente? Egli non volle considerare a fondo la questione ma preferì non cestinare la
possibilità di un’invasione.
Poco dopo mezzogiorno, Hitler comunicò ai suoi più stretti collaboratori che si sarebbe svolta
una riunione della massima segretezza il giorno stesso, a Berlino. Nella sala riunioni del Reichstag,
il Führer si congratulò con l’incerto e dubbioso Raeder per la geniale idea che aveva proposto, an-
che se lui non aveva inventato nulla di nuovo. Con voce seria, impose che il progetto di una possibi-
le invasione dell’Inghilterra venisse riesaminato con urgenza. Dal generale Wilhelm Keitel
(l’Oberkommando der Wehrmacht) esigette delle relazioni, da consegnare entro due giorni, sulla
decisione riguardo all’invasione. Poiché nella sala lo stupore regnava assoluto, nessuno osò obietta-
re alle sue parole. Raeder, tormentato da dubbi professionali e dal suo pessimismo, decise che sa-
rebbe arrivato di lì a poco il momento buono per annullare il tutto e porre fine alla faccenda; al con-
trario, von Brauchitsch e Göring, ancora infervorati dalla smania di vittoria che faceva vedere loro
ogni progetto realizzarsi, erano fermamente convinti che si sarebbero adattati. Wilhelm Keitel, che
si era guadagnato l’appellativo di General Jawhole, generale signorsì, a causa della sua personalità
accondiscendente nei confronti del Führer, invece, dette solo qualche segno di momentanea appro-
vazione.
Per quanto concerne il maggior generale Alfred Jodl, capo dell’Ufficio Operazioni
dell’Oberkommando der Wehrmacht, e Walter Warlimont, Capo del Dipartimento L (Landesvertei-
digung = Difesa Nazionale), si prospettò un futuro alquanto impegnativo poiché su di loro cadeva la
responsabilità di far collaborare le tre Armi in un’unica unità per studiare un’operazione combinata.
Un compito reso ancora più arduo dal fatto che le tre sezioni della Wehrmacht, in particolare l’Heer
e la Luftwaffe, invece di collaborare l’una con l’altra, pretendevano di guadagnarsi la gloria assolu-
ta: per questo motivo, erano sempre o quasi in competizione tra di loro per mostrare chi fosse il mi-
gliore.
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Per capire le decisioni che l’Alto Comando della Wehrmacht prese il 24 maggio, è necessario,
però, soffermarsi su un particolare avvenimento che si svolse sul campo di battaglia, nei pressi di
Arras, tre giorni prima.
Per gli Alleati, le cose avevano preso una brutta piega e, per evitare una catastrofe irreparabile,
l’unica alternativa possibile era quella di ritirare le truppe dal Belgio e di volgere immediatamente a
sud-ovest per aprirsi, combattendo, un varco tra le linee di rifornimento tedesche e unirsi con le
truppe francesi che sarebbero arrivate dalla Somme.
Questo fu riassunto nella Direttiva n. 12 del generale Gamelin: le forze mobili del 1° Gruppo
d’Armate, che si stavano ritirando dal Belgio, avrebbero dovuto scagliarsi con violenza contro la re-
troguardia delle divisioni corazzate tedesche e la fanteria motorizzata che le seguiva; contempora-
neamente, la 2a e la 6a Armata avrebbero dovuto contrattaccare simultaneamente da sud, contro le
teste di ponte sulla Mosa. Sebbene l’ordine fosse stato diramato il mattino del 19 maggio, fu tardi-
vo: il Primo Ministro Paul Reynaud, che aveva formato il nuovo Governo la sera precedente e vi
aveva inserito il Maresciallo Philippe Pétain come suo vice, destituì Gamelin dal suo incarico e no-
minò C-in-C il generale Weygand, il quale fu richiamato dal comando delle truppe di stanza in Si-
ria. Poco dopo la sua nuova nomina, il generale annullò gli ordini del suo predecessore, ritenendo
quei piani un’assurdità e dovendo, in primo luogo, confrontarsi con i suoi alleati prima di stabilire il
da farsi.
Nel frattempo, il generale Lord Edmund Ironside, comandante dello stato maggiore imperiale,
aveva raggiunto, il mattino presto di lunedì 20 maggio, il quartier generale del generale Sir Lord
Gort, il Comandante del Corpo di Spedizione Britannico (BEF).
Le ottimistiche previsioni di Ironside furono subito smantellate quando Gort gli presentò la realtà
dei fatti e, proprio per questo, il Comandante dello stato maggiore dell’Esercito ordinò al C-in-C del
BEF di lanciare un contrattacco a sud, mirato ad aprire un varco tra il corridoio dei panzer e a per-
mettere il ricongiungimento con il resto delle truppe alleate, riprendendo il piano di Gamelin.
Gort si oppose riferendo che erano presenti soltanto due divisioni nel settore designato, cioè
quello di Arras, mentre tutte le altre erano impegnate a respingere il nemico sulla Schelda. Ironside,
allora, si recò in visita al quartier generale di Billotte a Lens giacché non aveva ricevuto sue notizie
per ben otto giorni.
Riguardo all’offensiva da intraprendere per salvare ciò che si poteva, il generale francese rispose
che le sue truppe avrebbero attaccato anch’esse con due divisioni, in direzione di Cambrai, il giorno
seguente. Contemporaneamente, il generale Franklyn, che aveva ricevuto ordine il 20 maggio di rin-
forzare la guarnigione britannica ad Arras e di danneggiare le comunicazioni nemiche in quella zo-
na, era andato dal generale Prioux, C-in-C del corpo di cavalleria francese, dove trovò riuniti pure i
generali Blanchard (C-in-C 1a Armata), Altmayer (C-in-C V corpo d’armata) e Billotte, anche se
quest’ultimo arrivò in gran fretta e partecipò soltanto in parte all’incontro.
I comandanti francesi stavano discutendo su un possibile contrattacco in direzione di Cambrais e
Bapaume e chiesero al generale Franklyn di unirsi all’offensiva del giorno seguente, ossia del 21.
Egli rispose loro che non poteva spingersi oltre i limiti e il generale Prioux gli venne incontro pro-
ponendo un piano alternativo: la Frankforce avrebbe dovuto occupare la linea sul fiume Scarpe a
est di Arras mentre una parte della cavalleria meccanizzata avrebbe fornito copertura contro il fian-
co destro, più esposto alla pressione tedesca. Quella notte, tuttavia, Franklyn fu informato del fatto
che la 2a divisione meccanizzata leggera aveva perso troppi carri armati e che Prioux non aveva al-
cuna intenzione di ritirare i veicoli corazzati dalle divisioni di fanteria.
Al mattino del 21 maggio, gli osservatori britannici informarono la Frankforce di aver individua-
to grossi spostamenti di convogli di camion tedeschi lungo la carrozzabile che collega Arras con St
Pol-sur-Ternoise e nei pressi di Douellens. Più a nord, a Ypres, si svolse una conferenza messa in
piedi in tutta fretta, alla quale parteciparono i generali Weygand e Pierre Champon, capo della Mis-
sione Militare Francese presso i belgi, Re Leopoldo, il generale van Ostraeten e l’ammiraglio Sir
Roger Keyes. Il C-in-C dell’Esercito francese presentò a più riprese i piani per effettuare una mas-
siccia offensiva, per così dire, verso sud ma ciò avrebbe necessitato una ritirata dell’esercito belga
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per coprire il fianco agli inglesi. Re Leopoldo non acconsentì alle richieste dei francesi e il risultato
fu che, tra il 19 e il 21 maggio, gli Alleati persero tre giorni di tempo prezioso.
Questo imperdonabile ritardo lo avrebbero presto pagato.
Il generale Franklyn, ormai rimasto solo, decise di proseguire con l’azione e portare a compi-
mento quello che Gort aveva in mente: interrompere le comunicazioni del nemico a sud di Arras.
Per questa delicata e al contempo rischiosa operazione fu incaricato il generale Sir Giffard Le Que-
sne Martel ma le forze a sua disposizione erano soltanto le due divisioni di fanteria non impegnate
nei combattimenti: la 5a e la 50a ‘Northumbrian’. Una brigata della 5a fu mandata a sostenere la 23a
divisione di fanteria sullo Scarpe mentre la restante fu tenuta in riserva. Della 50a, una brigata fu in-
viata a rinforzare la guarnigione di Arras mentre solo la 151a fu impegnata in combattimento. Anche
ciò che rimaneva della 1a brigata corazzata, equipaggiata principalmente con carri armati da fante-
ria, venne schierato in prima linea. Il generale Martel, però, sottovalutò gli effettivi dei tedeschi
perché né lui né Franklyn erano venuti a conoscenza del fatto che addirittura sei divisioni panzer
stavano transitando nel settore interessato dall’offensiva. Le forze britanniche furono suddivise in
due colonne motorizzate, ciascuna formata, nell’ordine di attacco, da un battaglione corazzato, uno
di fanteria, due batterie di artiglieria anticarro, un plotone della 151a brigata anticarro e uno di
esploratori appartenenti al 4o reggimento dei Royal Northumberland Fusiliers. Nei piani di Martel,
le truppe britanniche avrebbero dovuto occupare e ripulire da eventuali forze nemiche una vasta
area che si estendeva da Arras a Bapaume e da Beaumetz-les-Loges fino a Pelves. Un piano irrea-
lizzabile se si aggiunge che, quel giorno, la RAF non avrebbe potuto supportare l’offensiva britan-
nica offrendo aerei da caccia né tanto meno bombardieri.
Secondo il piano, il contrattacco avrebbe dovuto iniziare alle ore 14.30… e così fu: dopo un
bombardamento preparatorio di circa mezz’ora, la colonna di destra occupò Maroeuil (a nord-est di
Arras) ed espugnò Duisans con l’appoggio dei carri armati francesi. I soldati tedeschi furono colti
impreparati e molti di essi furono fatti prigionieri.
Dopo aver lasciato una debole guarnigione a Duisans, la colonna si mosse in direzione di War-
lus. Ancora una volta, i germanici furono sorpresi e costretti alla resa. Il successo sembrava assicu-
rato poiché non mancava molto per raggiungere Beaumetz ma, quando gli inglesi avanzarono verso
la strada che portava a Doullens, ci fu uno scontro tra i carri armati anglosassoni e una colonna te-
desca, appartenente alla 3a divisione di fanteria motorizzata delle SS Totenkopf.
Un paio di camion furono centrati in pieno dalle granate ed esplosero mentre i restanti seppero
reagire con prontezza, scaricando, prima, i feroci combattenti e, dopo, tagliando la corda. La Toten-
kopf era arrivata sul posto la sera precedente e avrebbe dovuto riprendere l’avanzata in direzione
nord-ovest verso le ore 15.00. Anche il 7o reggimento di fanteria motorizzata tedesca fu duramente
impegnato in un furioso combattimento e sarebbe sicuramente stato spazzato via se la Luftwaffe
non fosse prontamente intervenuta. In soli venti minuti, la colonna di destra fu immobilizzata dagli
aerei tedeschi e le punte avanzate furono costrette a ritirarsi a Warlus. Alcuni carri armati del 25o
reggimento panzer tentarono di attaccare Warlus e Duisans ma furono respinti dalla resistenza bri-
tannica. Nonostante ciò, la colonna di destra aveva perso la propria capacità di penetrazione e do-
vette arrestarsi.
Diversamente andarono le cose per gli attaccanti schierati alla sinistra che, invece, riuscirono a
occupare in rapida successione Louez, Wagnonlieu, Dainville, Achicourt, Beaurains e Agny. Le tre
città a sud di Arras furono prese facilmente perché il 6o reggimento di fanteria tedesca non era anco-
ra avanzato in quel settore. La fanteria inglese tenne Agny mentre il 4o reggimento Royal Tank si
spinse più a sud, in un’area campale tra Wailly, Ficheux, Mercatel e Neuville-Vitasse. Per i carri
armati da fanteria Mark II ‘Matilda’ quello si trattò del battesimo del fuoco.
Così rammentò Martel: “[I carri nemici] non erano assolutamente in grado di perforare le nostre
corazze. Quelli vennero messi fuori combattimento piuttosto facilmente dai nostri cannoni anticarro
da due libbre [montati sui carri ‘Matilda’], mentre i nostri carri armati da fanteria resistettero allo
sbarramento di fuoco dei corrispondenti 37 mm nemici senza difficoltà. Alcuni veicoli furono colpi-
ti quindici volte senza che l’equipaggio o il carro stesso venissero lesi.”
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La superiorità numerica del nemico, il completo controllo dei cieli da parte della Luftwaffe e una
scarsa conoscenza degli Alleati riguardo agli effettivi tedeschi a sud di Arras si fecero presto senti-
re, costringendo anche la colonna di sinistra a interrompere l’attacco e a ritirarsi su postazioni difen-
sive.
La 7a divisione panzer al comando di Erwin Rommel fu presa completamente alla sprovvista: i
suoi uomini si erano meritati un giorno intero di riposo, dopo aver compiuto un’estenuante marcia
forzata dopo l’attraversamento della Mosa. La mattina del 21 maggio era arrivato un marconigram-
ma dal generale Gerd von Rundstedt, C-in-C del Gruppo d’Armate A, nel quale veniva spiegato che
l’attacco ad Arras, in data da definire, non sarebbe più stato condotto dalla 5a e dalla 7a divisione
panzer bensì dalla 20a divisione di fanteria motorizzata e dall’11a brigata di fanteria, supportate dal-
la 12a divisione di fanteria. Il prossimo obiettivo delle due divisioni panzer in questione, quindi, sa-
rebbe stato quello di circondare Arras da ovest, attraversare il fiume Scarpe e unirsi con la Toten-
kopf, accerchiando la città.
Invece, il piano di Rundstedt fu vanificato dal contrattacco britannico. Lo stesso Rommel si sba-
lordì quando, dopo essersi distaccato dal 25o reggimento panzer per raggiungere e sollecitare il 6o
reggimento di fanteria, si trovò nel bel mezzo di una colonna inglese. Egli fu testimone di un arduo
scontro che avvenne nei pressi di Wailly dove il I battaglione del 6o reggimento subì perdite elevate.
L’effetto sorpresa influenzò negativamente Rommel, inducendolo a credere che le sue forze fossero
state attaccate da ben cinque divisioni britanniche! Dopo aver fermato inizialmente l’avanzata dei
Matilda, il comandante tedesco raccolse i superstiti e dovette trincerarsi su un’altura più a ovest di
Wailly. Egli, infatti, avendo notato che i suoi carri armati e i cannoni anticarro rimasti potevano fare
ben poco contro la corazza dei ‘Matilda’, decise di trincerarsi in quel colle boscoso, sistemando
ogni pezzo di artiglieria in grado di sparare, tra cui anche alcune batterie del 59o e del 23o reggimen-
to anti-aereo, composte prevalentemente da Flak 88. Rommel stesso passò in rassegna gli artiglieri e
comunicò ai puntatori i loro bersagli.
Sebbene i calibri da 88 e 105 mm riuscissero ad arrestare l’avanzata britannica, ci fu un altro av-
venimento che sconvolse Rommel: la morte del suo attendente, il sottotenente Most, un soldato che
egli definì di grande valore. Lo trovò giacente dietro ad un pezzo antiaereo da 20 mm con un riga-
gnolo di sangue che gli scorreva dalla bocca. Questo lo turbò molto e, forse anche a causa della ten-
sione accumulata quando si era trovato nel bel mezzo della colonna nemica, si ritrovò a sporgere
delle pesanti lamentele al comandante del proprio corpo d’armata, il generale di fanteria Hermann
Hoth, spiegandogli che la 7a divisione panzer era stata investita da un’imponente forza d’urto nemi-
ca composta da centinaia di carri armati e altrettanta fanteria. Egli, comunque, esagerò affermando
di essere stato preso all’improvviso e asserendo che la sua divisione stava per essere soverchiata da
ben cinque divisioni alleate.
Da Hoth, la notizia raggiunse presto anche il comandante della 4a Armata, generale Günther von
Kluge, e quello del Panzergruppe Kleist, il generale della cavalleria Ewald von Kleist, per
l’appunto. Il contenuto del marconigramma era così allarmante e preoccupante che fu riferito anche
a von Rundstedt che, il mattino del 24 maggio, lo comunicò a Berlino. 4
14
Il contrattacco di Arras: la versione di Rommel
Il silenzio inquietante che era calato nella sala di Berlino fu la conseguenza di una serie di dubbi
che avevano pervaso la catena di comando della Wehrmacht.
Era venuto alla luce un aspetto negativo della Blitzkrieg, quello che il generale Erich von Man-
stein, l’autore del brillante piano di invasione di Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, aveva
tenuto in considerazione: i fianchi delle divisioni corazzate si erano allungati pericolosamente e gli
Alleati, sebbene duramente provati, erano riusciti a organizzare un tentativo per indebolire le pre-
ziose divisioni panzer. Von Rundstedt comunicò, inoltre, che aveva intenzione di utilizzare i carri
armati per l’offensiva vera e propria verso le pianure francesi, il piano ‘Caso Rosso’.
Guderian, sebbene fosse venuto a conoscenza del contrattacco di Arras e fosse già stato avvertito
da von Rundstedt di non spingersi troppo oltre i limiti delle proprie capacità, vedeva ormai la vitto-
ria in pugno e ordinò alla 2a divisione panzer di avanzare su Boulogne e alla 10a di marciare in dire-
zione di Calais.
Le lamentele, però, erano pervenute anche a von Kleist, il quale aveva chiesto il permesso per far
riposare i suoi uomini e i mezzi, duramente provati dalla campagna.
Hitler sarebbe rimasto in silenzio per chissà quanto tempo se non fosse intervenuto Göring. Egli,
infatti, indusse il Führer a impartire l’ordine di arrestare l’avanzata verso Dunkerque, assicurandogli
che la Luftwaffe sarebbe riuscita a eliminare ogni forma di resistenza, per dare un po’ di respiro
all’Heer.
Che menzognero! In realtà, Göring voleva accaparrarsi un po’ di gloria, geloso della vittoria che
le truppe di terra avevano riportato. “Che le teste di ponte sul Canale Aa siano ritirate immediata-
mente. Fate fermare senza interposizione ogni veicolo e soldato in marcia su Dunkerque. Il compito
di distruggere ciò che rimane del BEF sarà affidato esclusivamente alla Luftwaffe. L’Heer dovrà
utilizzare tutte le sue energie per sconfiggere la Francia e, solamente in seguito, confrontarsi con
l’Inghilterra. Questo contrattacco è un’evidente dimostrazione del fatto che le truppe britanniche
non hanno alcuna intenzione di arrendersi, nonostante si trovino in una situazione così critica. Per-
ciò non saranno intraprese trattative di pace con l’Inghilterra fino a quando i nostri soldati non
avranno messo piede sulla Gran Bretagna.”
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Il contrattacco di Arras: la realtà dei fatti
16
Le parole severe di Hitler fecero immediatamente capire le sue intenzioni e non lasciarono ombra di
dubbio: egli era tutto tranne che uno stratega conservatore da un punto di vista militare.
Raeder avrebbe voluto spiegare all’arrogante Göring che la sua forza aerea da sola non sarebbe
riuscita ad annientare completamente il BEF ma che tale compito sarebbe toccato alla Kriegsmari-
ne, nel limite del possibile, mentre la Luftwaffe avrebbe fornito copertura aerea. Tuttavia, il tono se-
rio e determinato con cui Hitler aveva emanato il suo ordine aveva indotto il grandammiraglio a evi-
tare di intraprendere una discussione con il C-in-C della Luftwaffe. Non avendo altre alternative,
egli aprì il diverbio mostrando agli altri presenti gli ultimi rapporti che gli erano pervenuti in quei
tre giorni, enfatizzando i rischi che un’invasione avrebbe condotto.
La Flotta di Sua Maestà rimaneva sicuramente un avversario degno di nota e numericamente su-
periore alla flotta tedesca, sebbene la campagna di Norvegia e le battaglie al largo di Narvik avesse-
ro inflitto alcune batoste agli inglesi, come il danneggiamento della corazzata Warspite,
l’affondamento della portaerei Glorious o la perdita di alcune unità di scorta. I danni che la
Kriegsmarine aveva sofferto non furono affatto trascurabili come quelle della Royal Navy: la flotta
degli U-boot, i tanto temuti sommergibili, aveva fallito nel colpire le navi alleate per via di qualche
misteriosa incongruenza con le spolette magnetiche dei siluri, mentre i due incrociatori da battaglia
gemelli, Scharnhorst e Gneisenau, assieme alla corazzata Hindenburg, avevano subìto soltanto dei
danneggiamenti leggeri e riparabili.
Ammettendo che l’invasione sarebbe potuta avvenire con più facilità se i tedeschi fossero riusciti
a ottenere il controllo dei porti che si affacciavano sul Canale della Manica, egli evidenziò come
quella striscia di mare fosse una delle più pericolose e insidiose presenti sulla Terra: le sue coste
erano protette da secche, correnti e ripide scogliere. Inoltre, in base ai rapporti dei servizi segreti
della Kriegsmarine, gli inglesi avevano alcune navi della Royal Navy stazionate nei porti sulla Ma-
nica che, sicuramente, sarebbero intervenute qualora fosse stato avvistato un convoglio tedesco ca-
rico di truppe. I campi minati inglesi a difesa delle coste e dei porti non rappresentavano una grossa
minaccia poiché sarebbero potuti essere spazzati via con l’azione dei dragamine e degli anelli mau-
si. L’anello mausi, in dotazione ai ricognitori imbarcabili o ad alcuni aerei più grossi, era un dispo-
sitivo elettronico a forma circolare, installato sotto la fusoliera di alcuni aerei, attraverso cui veniva
fatta passare la corrente cosicché il campo magnetico indotto, generato dal passaggio dell’elettricità,
permettesse la rilevazione di eventuali mine o la detonazione delle stesse.
Raeder, anche se non era un grande esperto di guerra e tattiche sottomarine, sconsigliò vivamen-
te l’uso dei trenta U-boot a sua disposizione perché nel Canale della Manica sarebbero stati una
preda allettante per la RAF e i cacciatorpediniere britannici. In conclusione, preferì che l’invasione
non fosse attuata. Raeder non fece, però, alcun accenno alla situazione delle portaerei della
Kriegsmarine né, tantomeno, a un loro possibile utilizzo per fornire copertura alle truppe di sbarco:
voleva evitare un’inutile discussione con Göring (che non vedeva di buon occhio il fatto che due
squadroni della Luftwaffe non fossero sotto il suo diretto controllo) e non desiderava gettare nella
mischia un argomento così delicato come quello, temendo un’azione navale nemica contro le por-
taerei, il loro affondamento e conseguenze inimmaginabili.
Quando Raeder finì di parlare, von Brauchitsch prese la parola e, in primo luogo, cercò di con-
fortare il grandammiraglio spiegando, in una maniera poco convincente, che l’Heer avrebbe potuto
sostenere un’invasione solo se fossero state sbarcate almeno due divisioni corazzate. Con la brillan-
te tattica della Blitzkrieg, ogni resistenza sarebbe stata spezzata con la violenza: la Kriegsmarine
avrebbe dovuto solamente trasportare le truppe da una parte all’altra del Canale. In più, egli assicu-
rò che avrebbe messo a disposizione di Raeder un certo numero di batterie costiere mirate
all’eliminazione di qualsiasi nave ostile che fosse transitata nella Manica. Trasportando sul suolo
britannico occupato anche dei pezzi di artiglieria a media e lunga gittata, il Canale sarebbe stato te-
nuto costantemente sotto tiro e i convogli tedeschi al sicuro.
Il compito di affrontare la RAF nei cieli dell’Inghilterra meridionale e della Manica sarebbe toc-
cato alla Luftwaffe, che avrebbe, poi, aiutato la Kriegsmarine nel trasporto dei rifornimenti, qualora
quest’ultima non si fosse rivelata all’altezza di tale compito.
17
Mentre per Raeder queste parole fecero aumentare il suo rancore nei confronti di von Brauchi-
tsch, per Göring furono più un invito che una sfida.
Nelle campagne di Polonia, Norvegia, Olanda e Belgio, la Luftwaffe era riuscita a guadagnarsi la
supremazia aerea praticamente su tutta l’Europa continentale e non ci sarebbe stato alcun problema,
secondo il comandante, a sfidare la RAF. Le truppe aviotrasportate e i paracadutisti avevano avuto
il battesimo del fuoco in Norvegia mentre nell’invasione dell’Olanda avevano giocato un ruolo cru-
ciale, essendo stati lanciati come avanguardia delle truppe di terra, nella conquista dei ponti sui
principali corsi d’acqua.
Göring aveva trascorso il giorno 22 e il 23 in consultazione con il capo dello stato maggiore ge-
nerale dell’Aviazione, il generale Hans Jeschonnek, e con il generale di squadra aerea, Albert Kes-
selring, uno dei suoi ufficiali nei quali riponeva maggior fiducia. Comandante della Luftflotte 1 in
Polonia, a Kesselring fu affidata la Luftflotte 2, che avrebbe dovuto completare l’annientamento del-
le truppe del BEF a Dunkerque. Egli aveva una mente fine ed era uno dei pochi che era riuscito a
individuare il limite massimo oltre il quale l’economia tedesca non sarebbe riuscita a sopportare lo
sforzo bellico. Per questo motivo, prima di qualsiasi campagna, aveva stilato, rigorosamente per la
Luftwaffe, una serie di bilanci nei quali aveva indicato le risorse che, in quell’occasione, sarebbero
state utilizzate. Kesselring cercava in tutti i modi di evitare lo spreco di materie prime e, quando vi
era la possibilità di risparmiarle, preferiva accumularle.
Ora che la Germania avrebbe dovuto prepararsi a una sfida impegnativa, dura e faticosa, lui e
Jeschonnek trovarono immediatamente la decisione da adottare: anche con l’elevato rischio di subi-
re perdite considerevoli, era assolutamente di primaria importanza colpire duramente, fino in fondo,
senza limitazioni o riservatezze, in maniera da eliminare ogni forma di opposizione all’Ovest una
volta per tutte, prima che il sistema industriale britannico si riprendesse e iniziasse a fare concorren-
za all’apparato tedesco. Göring non poté fare a meno di accettare il piano di Kesselring e Jeschon-
nek. La Luftwaffe sarebbe stata messa a dura prova nel dar battaglia alla RAF ma le perdite subìte
sarebbero potute essere rimpiazzate con tutta calma una volta che la pace sull’Europa occidentale
fosse stata ristabilita, cioè dopo che l’Inghilterra fosse stata messa in ginocchio.
Le fondamenta del piano Quello che i due ufficiali della Luftwaffe avevano prodotto venne sottoposto da Göring
all’analisi di Hitler. Vantando la forza aerea tedesca che avrebbe potuto sfidare la Royal Navy, ave-
vano completamente neutralizzato il grandammiraglio Raeder, escludendo la partecipazione della
Kriegsmarine, mentre avevano accontentato in parte le richieste di von Brauchitsch riguardo alla
supremazia aerea.
Secondo il C-in-C, l’invasione dell’Inghilterra avrebbe dato alla Luftwaffe l’occasione per dimo-
strare al resto della Wehrmacht che una sola branca delle forze armate tedesche sarebbe stata in
grado di portare a termine questo arduo compito, tenendo a bada la Royal Navy, sconfiggendo
l’aviazione nemica, effettuando bombardamenti preparatori sulle coste e trasportando il primo sca-
glione d’assalto sugli obiettivi. In secondo luogo, la Luftwaffe avrebbe costituito un gigantesco
ponte aereo per portare i rifornimenti necessari a mantenere le truppe sbarcate. Le divisioni panzer
assieme ai pezzi di artiglieria e al resto dell’Heer sarebbero giunte solamente in seguito. Alla
Kriegsmarine, Göring, come gesto di sprezzo nei confronti di Raeder, conferì un compito superfi-
ciale ma non di scarsa importanza strategica: mantenere aperte le rotte navali per i mercantili carichi
di materiale destinato sempre al mantenimento delle forze sul suolo britannico.
Per il 16 luglio, Göring valutò che avrebbe avuto a sua disposizione:
o 750 trimotori da trasporto Junkers Ju-52; o 30 quadrimotori più grandi Junkers Ju-90; o 100 quadrimotori Focke Wulf C-200 Kondor; o 150 alianti. 5
Una tale forza aerea avrebbe potuto trasportare all’incirca 18.700 soldati o, in alternativa,
3.214.650 chili di equipaggiamenti, naturalmente per brevi tragitti. Tradotto in termini militari, la
Luftwaffe sarebbe stata capace di trasportare oltre la Manica quasi un’intera divisione avio-
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trasportata, completa di materiale di supporto, e mantenerla, senza contare, poi, le truppe che sareb-
bero sbarcate via mare ed escludendo la possibilità che ogni pilota compiesse almeno due missioni
per giorno: così era stato fatto in Norvegia e Olanda, con l’impiego di un massiccio numero di aerei.
Tuttavia, per realizzare tale progetto, erano necessarie delle premesse.
Prima di tutto, l’invasione avrebbe dovuto aver luogo il prima possibile per evitare di dare al
nemico il tempo necessario per preparare difese atte a contrastare un attacco dal cielo: per avvan-
taggiare gli attaccanti, infatti, bisognava fare in modo di sfruttare al meglio il caos presente tra la
gerarchia dell’Esercito britannico, impedendogli, dunque, di riorganizzarsi, riarmarsi e disporsi.
Stando a questo primo prerequisito, la data dell’invasione sarebbe potuta cadere verso la metà di
luglio ma sarebbe stato ancor meglio attorno ai primi del mese. In secondo luogo, la Luftwaffe, e
questa richiesta derivò direttamente dal piano di Kesselring e Jeschonnek, avrebbe dovuto avere la
priorità assoluta riguardo alla propria riorganizzazione, al rimpiazzo degli apparecchi perduti e alla
disposizione in basi avanzate che, ormai, si trovavano sotto il saldo controllo tedesco. Di conse-
guenza, von Brauchitsch si sarebbe venuto a trovare con meno supporto aereo del previsto quando
sarebbe scattato il Caso Rosso, in confronto all’immensa copertura fornita dalla Luftwaffe nella set-
timana del 10 maggio.
Come terzo e ultimo punto, Göring sottolineò che l’assalto dal cielo avrebbe avuto inizio soltanto
se fossero state rispettate le condizioni meteorologiche favorevoli, cioè quattro o cinque giornate
consecutive di pieno sole, possibilmente con qualche nuvola sparsa ma non troppe, tali da poter es-
sere sfruttate a proprio vantaggio. Con il bel tempo, egli era fiducioso che la RAF sarebbe stata an-
nientata senza difficoltà.
Mentre tutti i presenti erano rimasti attoniti, Hitler, invece, era infervorato dal piano di Göring.
Essendo lui il Comandante Supremo delle forze armate, né Raeder né von Brauchitsch provarono
a obiettare. Il C-in-C dell’Heer era l’ultima persona a opporsi alla volontà del Führer mentre il
grandammiraglio avrebbe avuto alcune cose da dichiarare al C-in-C della Luftwaffe ma preferì te-
nerle per sé. Tuttavia egli, come gli altri presenti, eccetto Göring, sapeva che la vittoria contro la
Francia avrebbe provocato la sindrome della megalomania in Hitler e tale patologia avrebbe sicu-
ramente provocato un disastro riguardo all’invasione dell’Inghilterra. L’agitazione interiore di Rae-
der lo spinse a parlare in privato con von Brauchitsch e Keitel, il quale non aveva detto ancora una
parola ma aveva solamente fatto dei cenni con il capo ogni volta che Hitler si era girato verso di lui.
«Le operazioni stanno prendendo una brutta piega. Bisogna fermarsi, valutare la situazione e poi
procedere» disse il grandammiraglio.
Sia l’OKW che l’OKH approvarono l’ipotesi di Raeder e fecero fronte comune per convincere
Hitler dei rischi che la fretta avrebbe provocato. Le alte sfere della Wehrmacht erano in possesso di
un numero sufficiente di dati in modo da permettere una pianificazione in breve tempo? Quante in-
formazioni si avevano riguardo all’organizzazione e all’efficienza delle forze schierate a difesa
dell’isola? Quale sarebbe stata la quantità di truppe necessarie per invadere con successo
l’Inghilterra? Dove sarebbero sbarcate? Quale sarebbe stata l’estensione dello sbarco? Quando e a
quale rateo sarebbero giunti i rinforzi e i rifornimenti? Quali misure necessarie avrebbero dovuto
adottare i soldati nell’evenienza di un possibile contrattacco?
Raeder aveva lasciato impietrito il C-in-C dell’aviazione che non poté contraddirlo perché si rese
subito conto che le divisioni di paracadutisti, sebbene fossero ben equipaggiate e addestrate in ma-
niera eccellente, non avrebbero potuto competere contro eventuali forze corazzate inglesi.
Von Brauchitsch immaginò la peggiore delle ipotesi: cosa sarebbe successo se, durante la traver-
sata degli alianti, qualche cavo di traino si fosse rotto improvvisamente? E se i paracadutisti fossero
stati lanciati non nei luoghi precisati? Privi di un adeguato supporto pesante e sparpagliati su
un’area piuttosto vasta, alle forze a difesa dell’isola sarebbe bastato poco sforzo per spazzare via le
truppe tedesche.
Raeder riprese la conversazione circa il coinvolgimento della Kriegsmarine chiedendo, inoltre, se
la Wehrmacht possedesse adeguate informazioni riguardo ai venti, le correnti marine, le maree e la
natura delle spiagge.
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La domanda che porse al C-in-C dell’Heer fu ancora più preoccupante: quali sarebbero state le
conseguenze se i porti nemici non fossero stati catturati rapidamente e possibilmente intatti,
nell’eventualità che le truppe tedesche fossero sbarcate in una zona limitrofa a un porto?
Il grandammiraglio sembrava aver preso confidenza con i problemi riguardanti l’invasione ma,
proprio mentre stava per comunicare alcune possibili soluzioni, Hitler lo interruppe: «Signori, sap-
piamo bene quanto questo non sia un compito di estrema facilità. I problemi, sia quelli che abbiamo
elencato finora sia quelli che ci ritroveremo in futuro, potranno e dovranno essere risolti. Il come
non è importante.»
A quel punto, un dibattito molto forte si accese tra i comandanti delle tre Armi della Wehrmacht
riguardo a una possibile data d’invasione dell’isola, dibattito che, però, non fece presagire nulla di
buono.
Raeder proponeva il 2 ottobre: per allora, la Kriegsmarine avrebbe sicuramente potuto riparare i
danni provocati alle navi che avevano operato al largo di Narvik e, forse, addirittura rimpiazzare i
due cacciatorpediniere che erano andati perduti. Inoltre, i piloti delle portaerei Graf Zeppelin, Peter
Strasser, Großdeutschland e Clausewitz sarebbero stati sufficientemente addestrati per collaborare
con il resto della flotta in una gigantesca battaglia di annientamento della Royal Navy mentre le na-
vi più leggere (incrociatori, cacciatorpediniere e corazzate tascabili) avrebbero infestato le acque
della Manica proteggendo i convogli di rifornimenti.
Von Brauchitsch e Göring si opposero fermamente, sostenendo correttamente la possibilità che,
in quel periodo, le acque della Manica sarebbero state più agitate che mai e che il moto ondoso, ac-
compagnato dal brutto tempo, non avrebbe permesso di certo né agli aerei di decollare e di traspor-
tare un carico così prezioso, né alle navi mercantili di attraversare quella vasca d’acqua infernale.
Il C-in-C dell’Heer fissò come presunta data d’invasione il 15 settembre, sostenendo che le trup-
pe della prima ondata avrebbero così avuto tutto il tempo necessario di prepararsi a un’operazione
anfibia, mentre la Kriegsmarine avrebbe dovuto riempire i vuoti e la Luftwaffe avrebbe ottenuto la
supremazia aerea. Tale piano, però, si scontrava con quello di Göring, sopraccitato. Ancora una vol-
ta era venuto meno lo spirito di collaborazione, determinante per realizzare un’operazione così
complessa come quella.
«Il giorno in cui vedremo marciare per la prima volta le nostre divisioni di fanteria sul suolo del
nemico sarà il 20 luglio.» Così Hitler pronunciò la frase che lasciò tutti di stucco, compreso Göring.
Raeder, scrollato internamente dalle sue interminabili perplessità, osò ancora porre una doman-
da: chi sarebbe stato il responsabile generale per la pianificazione e per le operazioni? Come proce-
dimento, si sarebbe usato uno simile a quello che era già stato effettuato in precedenza, per la prima
operazione combinata, l’Operazione ‘Weserübung’, ossia l’invasione della Norvegia. Sebbene
l’OKW non giocasse un ruolo fondamentale, al suo comando era radunata la squadra che preparò
appunto i piani cartacei e coordinò le operazioni nei primi giorni. Questa volta si sarebbe dovuto
procedere in maniera differente, soprattutto perché l’ammiraglio Raeder non era pienamente entu-
siasta del progetto e, in particolare, della data scelta, pericolosamente vicina.
Hitler, però, sottolineò che, almeno inizialmente, la Luftwaffe avrebbe senza dubbio giocato un
ruolo chiave nel successo dell’invasione. Benché non s’intendesse di strategia militare, egli disse
questo soltanto perché aveva fiducia nell’obeso comandante dell’aviazione militare.
Già nel pomeriggio del 24, Jodl si prese la briga di radunare la squadra per pianificare
l’invasione mentre il giorno seguente i rappresentanti delle tre Armi si riunirono nella sede della
Sezione L, a Berlino. Nonostante Jodl avesse eseguito gli ordini molto alla svelta, aveva personal-
mente scelto alcuni degli uomini che avevano già partecipato in precedenza con Raeder e con von
Brauchitsch nel novembre-dicembre 1939 o che avevano sulle loro spalle l’esperienza della Norve-
gia.
Fin dall’inizio, la squadra ebbe numerose difficoltà nel trovare un denominatore comune, ecce-
zion fatta per un elemento sul quale tutti si trovarono concordi, un dettaglio che era già venuto fuori
durante l’indagine del 15 novembre: la supremazia aerea sul luogo dell’invasione e nelle proprie vi-
cinanze era un prerequisito pressoché obbligatorio.
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Altri ostacoli apparvero quando i prescelti dovettero affrontare la questione della larghezza del
fronte. I rappresentanti dell’Heer, il generale di fanteria Günther Blumenritt, il generale di fanteria
Heinrich von Stülpnagel e il maggiore Helmuth Steiff, insistettero affinché gli sbarchi avvenissero
su un fronte sufficientemente ampio che, secondo loro, si estendeva da Margate fino all’Isola di
Wight, dalla Baia di Christchurch fino alla Baia di Lyme o fino a Seaton. Essi, inoltre, sostennero
che tredici divisioni sarebbero state sufficienti per l’esordio, suddivise in due scaglioni: il primo per
garantire una larga testa di ponte, il secondo per proseguire l’avanzata nell’entroterra.
Nella prima ondata avrebbero preso parte 90.100 uomini supportati da parecchi pezzi di artiglie-
ria campale leggera, un centinaio di obici da montagna, più o meno 630 carri armati, 4.430 cavalli,
numerosi mortai leggeri e pesanti, un vasto assortimento di armi anticarro e mitragliatrici.
La Kriegsmarine non avrebbe avuto altro compito se non trasportare tutti questi materiali al di là
della Manica mentre la Luftwaffe avrebbe svolto lo stesso incarico per rifornire le presupposte divi-
sioni aviotrasportate e le previste 52 batterie antiaeree comprendenti 280 cannoni a doppio ruolo da
88mm.
La seconda ondata, invece, avrebbe visto sbarcare 170.300 uomini con armi pesanti, 34.000 vei-
coli tra i quali oltre 1.200 carri armati, 57.600 cavalli e 26.000 mezzi di trasporto leggero, incluse le
Truppenfahrrad, le biciclette in dotazione alla Wehrmacht.
Schniewind, Fricke e Reinicke, i tre rappresentanti della Kriegsmarine, erano ancora rimasti le-
gati allo ‘Studio Rosso’ del 1939. Se la prima ondata li avesse messi in difficoltà, trasportare la se-
conda sarebbe diventata un’impresa impossibile. Per trasferire la prima ondata, essi conclusero che
in tutto sarebbero state impiegate almeno 41-45 navi da trasporto, 720 chiatte, 214-215 rimorchiato-
ri e 510 motoscafi, escludendo dal trasporto le batterie della Luftwaffe. Per dislocare, poi, gli ele-
menti rimanenti della prima ondata, tutta la seconda e i rifornimenti per le truppe già sbarcate, sa-
rebbe stata necessaria una flotta da trasporto almeno cinque o sei volte superiore quella sopraelenca-
ta per un totale di 1.700 barconi, 1.160 imbarcazioni a motore di vario genere, 471 rimorchiatori e
155 trasporti. Tirando le somme si sarebbero utilizzate circa 420 navi da trasporto, 2000 chiatte e
800 rimorchiatori.6 Poiché un tale numero di natanti esisteva soltanto nell’immaginazione dei tre rappresentanti e
nella pratica sarebbe stato quasi impossibile da raggiungere, essi sostennero che non vi era alcun
problema riguardo alla produzione di navi di medio tonnellaggio, in quanto i rifornimenti dalla
Scandinavia continuavano ad arrivare, e che l’unico problema era dovuto al tempo: per ammassare
nei porti della Manica un contingente così grosso, si sarebbe dovuto aspettare almeno fino a metà
settembre. Reinicke aggiunse, infine, che le forze navali reduci dalla campagna di Norvegia avreb-
bero potuto soltanto coprire la zona orientale del Canale, quella tra Calais, Ramsgate e Dover, men-
tre sarebbe stato molto più rischioso circumnavigare la Gran Bretagna con portaerei, navi da guerra
e sommergibili per sorprendere gli inglesi in Cornovaglia. Di conseguenza, si sarebbe dovuto ricor-
rere al rapido dispiegamento di campi minati e all’installazione di reti anti-sottomarini direttamente
dentro la Manica.
A rigor di logica, giacché i portavoce della Luftwaffe non avevano ancora detto la loro, si erano
perlomeno schiariti le idee sui piani dell’Esercito e della Marina. Il generale Hans Geisler, coman-
dante del X corpo aereo durante l’Operazione Weserübung ed esperto ufficiale della Luftwaffe per
quanto riguardava le operazioni combinate, il generale di squadra aerea Konrad Zander, comandan-
te in capo della forza aerea operante a bordo delle portaerei, e Hoffman von Waldau, Capo del per-
sonale della sezione Operazioni, avevano ricevuto l’ordine preciso da Göring di mettere la forza ae-
rea tedesca al primo posto.
Von Waldau ci riuscì senza compiere troppi sacrifici poiché le sue prime parole furono una pe-
sante critica alle ambizioni dei rappresentanti dell’Heer. Grazie ai rapporti provenienti dalle scarse
ricognizioni e dai deboli servizi segreti, i comandanti erano al corrente che le forze territoriali bri-
tanniche in Francia erano sull’orlo del disastro, perciò quale valido motivo c’era di impiegare un
così grosso contingente da sbarco? Sarebbe bastata una forza nettamente inferiore per sconfiggere
quella presunta resistenza che le probabili milizie inglesi avrebbero offerto alla prima ondata
d’invasione.
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Blumenritt, von Stülpnagel, Steiff, Schniewind, Fricke e Reinicke iniziarono a riflettere e ammi-
sero che, dopotutto, i loro colleghi non avevano tutti i torti. Geisler proseguì proiettando ciò che ne
sarebbe derivato se tutti avessero preso in considerazione quell’abbozzo. Gli sforzi cui si sarebbe
dovuta sottoporre la Kriegsmarine sarebbero stati ridotti del 70%, l’ampiezza del fronte si sarebbe
notevolmente ristretta, le difficoltà nel trasporto delle truppe e dei rifornimenti sarebbero diminuite,
così come quelle della difesa dei convogli in navigazione, mentre la Luftwaffe avrebbe avuto
l’onore di scacciare in una battaglia decisiva ciò che rimaneva della Royal Air Force. Ancora più
importante, aggiunse Zander, riducendo i tempi di preparazione della Wehrmacht si sarebbe certa-
mente andati incontro alla data prefissata dal Führer.
Jodl, che aveva fatto da partecipante passivo alla riunione, a quelle parole non indugiò oltre e de-
cise di confermare l’operazione, che avrebbe preso il nome in codice di ‘Leone Marino’.
Le soluzioni proposte da Geisler, Zander e von Waldau sarebbero diventate le fondamenta del
piano d’invasione; in questo modo, l’Heer avrebbe avuto tutto il tempo necessario per concentrare
le proprie forze per la fase finale della guerra in Francia mentre la Kriegsmarine non avrebbe avuto
altro da fare se non radunare ogni imbarcazione da trasporto e da sbarco disponibile e preparare le
navi da guerra ad affrontare la Royal Navy.
I partecipanti alla riunione, inoltre, si trovarono concordi su una questione: per poter realizzare
l’invasione secondo l’idea dei tre rappresentanti della Luftwaffe, bisognava prima di tutto soddisfa-
re due prerequisiti fondamentali, ossia ottenere la supremazia aerea sulla Manica e annientare in
Francia il Corpo di Spedizione Britannico per evitare che si reimbarcasse in patria e si fortificasse
sulle coste meridionali dell’Inghilterra, luogo che più attirava una forza d’invasione ostile.
In realtà, vi era anche un terzo prerequisito che avrebbe interessato in futuro esclusivamente i
rappresentanti della Kriegsmarine: bisognava in un modo o nell’altro mettere fuori gioco la Royal
Navy, condicio sine qua non la Marina tedesca avrebbe potuto difendere senza troppe preoccupa-
zioni il canale dei rifornimenti.
Schniewind, Fricke e Reinicke erano a conoscenza di ciò ma sapevano anche che il loro superio-
re, il grandammiraglio Raeder, non sarebbe stato molto concorde sul fatto di inviare tutta la flotta
tedesca nel Mare del Nord o nell’Atlantico per portare allo scoperto la Royal Navy e annientarla.
Perciò preferirono sorvolare su questo elemento poiché era inutile formulare delle ipotesi azzardate
quando sarebbe stato molto più fruttuoso aspettare l’evoluzione dei fatti.
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II – LA CATASTROFE DI DUNKERQUE
Una situazione d’emergenza
Nei pensieri di Winston Churchill, diventato Primo Ministro al posto di Neville Chamberlain il
10 maggio 1940, continuava a essere costantemente presente l’incubo di un’invasione imminente,
terrore che si diffuse come un’epidemia pure tra la popolazione.
Dopo aver imparato la medesima lezione di Polonia, Norvegia e Olanda, anche lo stato maggiore
iniziò a condividere questo presentimento e il 25 maggio, dopo essere stati informati del deteriora-
mento della situazione, l’ammiraglio Sir Dudley Pound, il generale Ironside e il maresciallo
dell’aria Cyril Newall tirarono le somme presentando al Primo Ministro una conclusione che non
era assolutamente fra le più allegre. Stimarono che al nemico sarebbero bastate circa 7.000 truppe
aviotrasportate, lanciate su punti chiave, inclusi alcuni aeroporti nell’Inghilterra sud-orientale, e
avrebbero messo fuori gioco le difese in quel settore. Un contingente da sbarco di 20.000 soldati
circa, supportato da 300 carri armati, avrebbe, invece, sicuramente permesso alle armate di Hitler di
marciare comodamente su Londra.
Vi era un barlume di speranza per evitare che un evento di tale gravità si realizzasse?
Per quanto concerneva l’Esercito in Gran Bretagna, esso comprendeva un totale di quindici divi-
sioni territoriali così inquadrate:
Distretto di Londra 1a divisione di fanteria ‘Londra’
2a divisione di fanteria ‘Londra’
Comando settentrionale 49a divisione di fanteria ‘West Riding’
2a divisione corazzata (incompleta)
Comando scozzese 9a divisione di fanteria ‘Scottish’
Comando orientale 18a divisione di fanteria ‘East Anglian’
54a divisione di fanteria ‘East Anglian’
Comando occidentale 38a divisione di fanteria ‘Welsh’
53a divisione di fanteria ‘Welsh’
55a divisione di fanteria ‘West Lancashire’
59a divisione di fanteria ‘Staffordshire’
66a divisione di fanteria ‘East Lancashire’
Comando meridionale 45a divisione di fanteria ‘Wessex’
43a divisione di fanteria ‘Wessex’
61a divisione di fanteria ‘South Midland’
Per compensare la carenza di divisioni di stanza nell’isola, la sera del 14 maggio il Ministro della
Guerra Anthony Eden fece un appello ai microfoni della BBC, comunicando la formazione di un
corpo di difesa chiamato i Volontari della Difesa Locale (LDV, Local Volunteer Defence) e invitò i
cittadini che avessero voluto arruolarsi a presentarsi presso le stazioni di polizia dei loro villaggi o
delle loro città di residenza. A Dover soltanto, oltre seicento uomini di età mista fecero la fila in at-
tesa di essere reclutati. In una sola settimana, il numero d’iscritti crebbe febbrilmente fino a rag-
giungere la cifra di 250.000 il 21 maggio e di ben 300.000 alla fine del mese.1
Ma la lista di problemi che Ironside doveva affrontare era appena iniziata: le divisioni di fanteria
non avevano gli effettivi al completo, erano equipaggiate con veicoli la cui mobilità era messa a du-
ra prova, possedevano metà degli ufficiali e circa un quinto dell’artiglieria, anticarro e campale,
mancavano di un addestramento necessario e i cannoni potevano sparare solo un numero limitato di
colpi. Tutto questo perché il Governo aveva deciso di dare la priorità assoluta al BEF in Francia,
addirittura inviando dopo il 10 maggio altre truppe di rinforzo, tra le quali la 1a divisione corazzata.
Gli stessi LDV rappresentavano, forse, lo scoglio più grosso che Ironside dovette trovarsi di
fronte: benché la cifra fosse così grande, i volontari erano principalmente disoccupati, giovani stu-
denti e pensionati che desideravano difendere la propria terra dall’invasore tedesco ma che non ave-
vano mai imbracciato nella loro vita un fucile. Dovevano ricevere un’uniforme adatta, essere adde-
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strati come una milizia e soprattutto provvisti di armi e munizioni, oltre che essere sottomessi al
controllo dell’Esercito e organizzati in formazioni. Come disse Churchill in un discorso al Parla-
mento: “In quelle condizioni, i volontari sarebbero capaci a malapena di dare l’allarme nel caso av-
vistassero paracadutisti o navi nemiche.”
Per finire, in Gran Bretagna erano presenti 963 carri armati ma la cifra non rappresentava niente
meno che uno specchietto per le allodole: quelli concretamente funzionanti erano 213 mentre i re-
stanti 618 leggeri e i 123 medi rappresentavano soltanto dei rottami poiché risentivano di guasti
meccanici, difetti alle torrette, alle sospensioni, ai cingoli o, peggio ancora, erano rimasti senza mu-
nizioni, cosa che rendeva circa due terzi di essi praticamente inservibili.2
Indubbiamente l’industria bellica britannica, sotto la stimolo del nuovo Ministro dell’Economia
di Guerra Huge Dalton, nominato personalmente da Churchill il 15 maggio, avrebbe dovuto fare
tutto il possibile per riempire le falle presenti nell’Esercito, in particolar modo avrebbe dovuto po-
tenziare la produzione di armi leggere, munizioni, veicoli e parti di ricambio.
Dal momento, però, che questo non sarebbe stato un processo immediato, la salvezza della Gran
Bretagna cadde sulla RAF che avrebbe dovuto tenere lontana la Luftwaffe, la quale non aveva anco-
ra osato attraversare la Manica e bussare alle case degli inglesi.
A partire dal 10 maggio, tuttavia, l’aviazione britannica fu protagonista di un aumento esponen-
ziale di perdite che avevano messo a rischio la difesa dello stesso Regno Unito poiché il Comando
Caccia, il reparto più interessato alla salvaguardia dello spazio aereo inglese, fu il maggiormente
colpito. Inoltre, il maresciallo dell’aria Sir Huge Dowding non era stato in grado di opporre una se-
ria resistenza al Primo Ministro che acconsentì nel mandare in Francia altri nove squadroni di pre-
ziosi Hurricane e un